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Illustrazione: Silver - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

DOSSIER

RICERCA CARITAS: CASA, UN DIRITTO TROPPO SPESSO NEGATO

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strada

INTERVISTA A LUCA CARBONI «RIFLETTO MOLTO SUL MIO RUOLO E LO CANTO PURE»

www.scarpdetenis.it novembre 2015 anno 20 numero 196

Gente d’altri tempi tributo a Jannacci TORNANO LE CANZONI A COLORI NELLA MOSTRA PROMOSSA DA SCARP DE’ TENIS. DAL 10 DICEMBRE AL CASTELLO SFORZESCO DI MILANO LE OPERE DI 50 GRANDI FUMETTISTI E ILLUSTRATORI ITALIANI



EDITORIALE

Carta di Milano. Caritas: «Si poteva fare di più»

LA PROVOCAZIONE

L’appello di papa Francesco e il valore dell’accoglienza di don Roberto Davanzo direttore Caritas Ambrosiana

di Stefano Lampertico [

@stefanolamp ]

«Nella Carta di Milano non si sente la voce dei poveri del mondo, né di quelli del Nord, né di quelli che vivono nel Sud del Pianeta».

vedere. Una grande kermes-

Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis, non ha usato mezzi termini. Dritto al problema. L’appello sottoscritto dai grandi del mondo e presentato al segretario generale dell’Onu Ban ki-moon, secondo Caritas ha

vato anche a pungolare –l’Edicola Caritas, il padiglione della Santa Sede –, ma il flusso di informazioni e di persone anche, si è diretto più sugli sfarzi e sforzi tecnologici e sulle avveniristiche, va detto, architetture di molti padiglioni. E mentre sulle aree di Expo e sul loro futuro si addensano le nebbie autunnali, qualcosa, va detto, rimarrà. Mi riferisco alla bella

limiti evidenti, manca di mordente e soprattutto offre un approccio molto limitato al tema di come superare la fame nel mondo. Che poi, quello di nutrire il pianeta, appunto, era il grande tema dell’esposizione universale. In sostanza secondo Caritas manca un’assunzione di responsabilità da parte di chi governa la scena mondiale. E temi che con la fame hanno relazione stretta, e parliamo di speculazione finanziaria, di landgrabbing (ovvero di accaparramento di terre soprattutto nei paesi più poveri), di biodiversità, sono temi solo superficialmente sfiorati. Ora, a dirla tutta, non sorprende questa posizione, alla luce di quanto in Expo si è poi potuto

se, senza dubbio, bene organizzata, ma con pochi spunti di riflessione sul tema proposto. Qualcuno ci ha pro-

esperienza del Refettorio Ambrosiano, la mensa per i poveri di piazzale Greco a Milano, dove sono state riutilizzate dai grandi chefvenuti da tutto il mondo e coordinati da Massimo Bottura, più di 15 tonnellate di cibo avanzato nei padiglioni. Un segno concreto. La Carta di Milano, riconoscendo il diritto al cibo come diritto fondamentale, qui, grazie a Caritas, trova una declinazione diretta. Vorrei chiudere con un’altra novità. Scarp entra nelle rete

internazionale dei giornali di strada. Ne parliamo più avanti. Qui vorrei solo sottolineare quanto sia importante, anche per la nostra rivista, il respiro internazionale che ci permetterà di condividere contenuti e idee.

Mentre sulle aree di Expo si addensano nebbie sul futuro, Milano - grazie a Caritas riceve in dono il Refettorio Ambrosiano. Perchè il diritto al cibo è un diritto fondamentale

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

Chi ricorda i tempi del catechismo e le “opere di misericordia corporale”? Una di queste recita: “alloggiare i forestieri” e traduce una parola di Gesù: “ero straniero e mi avete ospitato”. Dunque è a questo precetto di Gesù che Papa Francesco si è riferito lo scorso 6 settembre nel rivolgere “un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi”. Ma sia chiaro: l’azione di carità nei confronti dei migranti è un diritto e un dovere proprio della Chiesa e non va visto esclusivamente come una risposta alle esigenze dello Stato. Si tratta di un “segno” che indica il cammino della comunità cristiana nella carità. Certo, un segno vissuto in conformità alle leggi dello Stato, ma anche un segno portatore di una qualche eccedenza. Le Parrocchie che si stanno attivando per questa ospitalità lo stanno facendo con il desiderio di offrire un di più rappresentato da quella rete di solidarietà fatta di coinvolgimento dei volontari e delle realtà del territorio. Non solo. Nel rispetto delle Diocesi che hanno fatto scelte diverse, quella di Milano ha ritenuto che le Parrocchie in grado di offrire strutture per questa ospitalità sono tenute a farlo a titolo gratuito, salvo il rimborso delle spese legate alle utenze. Cosa guadagneranno queste Parrocchie accoglienti? Di certo la possibilità di un allargamento dei propri orizzonti rispetto a cosa sta dietro al fenomeno migratorio. In seconda battuta l’opportunità di “parlare” del Vangelo a uomini e donne che forse non l’hanno mai sentito nominare. Infine, la certezza di sentirsi dire un giorno, dal Giudice divino: “Grazie per questa ospitalità: forse non ve ne siete accorti, ma lo avete fatto a me”. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

Foto: Romano Siciliani - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

DOSSIER

RICERCA CARITAS: CASA, UN DIRITTO TROPPO SPESSO NEGATO

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Il mensi

strada

INTERVISTA A LUCA CARBONI «RIFLETTO MOLTO SUL MIO RUOLO E LO CANTO PURE»

www.scarpdetenis.it novembre 2015 anno 20 numero 196

Gente d’altri tempi tributo a Jannacci TORNANO LE CANZONI A COLORI NELLA MOSTRA PROMOSSA DA SCARP DE’ TENIS. DAL 10 DICEMBRE AL CASTELLO SFORZESCO DI MILANO LE OPERE DI 50 GRANDI FUMETTISTI E ILLUSTRATORI ITALIANI

Ecco il Lupo più famoso d’Italia con le “scarpe da tennis” più famose della canzone Lupo Alberto, senza dubbio, è il lupo più famoso d’Italia. E genera una carica di simpatia che difficilmente si trova in altri personaggi. E se il Lupo indossa le “scarpe da tennis” più famose del mondo e quegli occhiali, che ne fanno un maestro dello stesso mondo,

allora la simpatia che si genera ha in sé una carica esplosiva. La copertina di questo numero di Scarp de’ tenis è un omaggio tributo a Enzo Jannacci. Dobbiamo ringraziare Silver per questo regalo e la sua casa editrice che gentilmente ci ha donato la tavola che farà parte della grande mostra “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori”, che abbiamo organizzato al Castello Sforzesco di Milano e che aprirà i battenti il prossimo 10 dicembre, alle 18, con la cerimonia inaugurale. Per questo giornale

è importante ricordare Enzo Jannacci e la sua gente, il suo mondo di dimenticati e respinti, che sono il nostro stesso mondo. E il Lupo, questo mondo, lo tratteggia con lo stesso spirito con il quale Jannacci lo cantava. Ironico e amaro, leggero e profondo. Come in pochi sanno fare. Nelle pagine centrali dedichiamo alla mostra ampio spazio. E per i nostri lettori c’è un’altra anteprima. L’immagine che sarà il leit motiv della campagna di comunicazione. Lo splendido ritratto di Jannacci, opera di Sergio Gerasi.

Io e te che ridevamo, io e te che sapevamo, tutto il mondo era Sì perché la bellezza dei vent’anni è poter non dare retta a chi

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.10 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.13 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.14 LA FOTO di Stefano Merlini PAG.20 LE DRITTE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Patè PAG.43 POESIE PAG.55 VOCI DALL’EUROPA di Ronnie Convery PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA Luca Carboni: «Rifletto sul mio ruolo e lo canto pure» PAG.24 COPERTINA Casa, diritto negato PAG.32 SOLIDARIETÀ One Vibe, una musica può fare PAG.34 LA MOSTRA Tributo a Jannacci. Arrivano le nuove canzoni a colori PAG.36 LA STORIA Hockey su prato: in campo tutti italiani PAG.41 MILANO Flor Art Cafè: libri per tutti al posto delle slot PAG.44 TORINO Luoghi comuni, nuova cultura dell’abitare PAG.47 VERONA Il Samaritano cambia e si apre all’esterno PAG.48 VICENZA Notte in piazza per dare voce agli invisibili PAG.49 VENEZIA Autorità Portuale e Caritas insieme contro la povertà PAG.50 RIMINI Una ludoteca per fare bello il carcere PAG.52 SUD Ritratto non vedente, scatti di dignità PAG.56 VENTUNO Emergenze climatiche, questione di sopravvivenza PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI Gaetano Pucino, artigiano del liuto PAG.63 GENOVA Il ricordo indelebile di quel giorno quando ti presi al volo

Scarp de’ tenis Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis novembre 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

Foto Romano Siciliani, Stefano Merlini, archivio Scarp Disegni Silver, Sergio Gerasi, Gianfranco Florio, Luca Usai, Loris Mazzetti

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da

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Il men

aforisma di Merafina Le sardine Le sardine in scatola rimangono sempre chiuse e gli manca l’ossigeno

www.scarpdetenis.it febbraio anno 19 numero 188

Il tweet di Aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

ottobre 2015. Per l’Istat gli italiani poveri sono il 10% della popolazione

Cos’è

Non si vedono eppure ce ne sono 6 milioni. Sono dappertutto eppure non si vedono. Facile dimenticarsi di chi non esiste

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

a un bidone da far rotolare… sì i pretende di spiegarti l’avvenire

Dove vanno i vostri 3,50 euro Io e te - tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

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Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 31 ottobre al 4 dicembre 2015

www.insp.ngo novembre 2015 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

Invisibili e vulnerabili I minori, vittime innocenti della crisi

di Paolo Lambruschi

A giudicare dai numeri della Caritas (il 14% degli italiani non ha i soldi per mangiare adeguatamente contro il 10,5 della media Ue) e ai volti nuovi della povertà, si può affermare che l’unico settore che in questo scorcio di inizio secolo “tira” è la fabbrica dell’emarginazione. Ovvero la fabbrica degli invisibili. Il fallimento di un sistema economico che scarta gli sconfitti e soprattutto la crisi dei rimedi finora utilizzati per mitigare le cadute – il welfare – hanno gettato sulla strada o nelle sue immediate vicinanze categorie mai viste prima alle mense di carità. E se il boom di separazioni e divorzi ha costretto dormire in auto i padri licenziati o con lavori malpagati, ormai non fanno più notizia (infatti sono prontamente spariti da tg e quotidiani) i servizi sulle acrobazie delle famiglie povere per sopravvivere. Senza contare il silenzioso boom dell’azzardo, sostenuto da potenti lobby, che da molti anni rovina migliaia di persone.

Il fallimento di un sistema economico che scarta gli sconfitti e la crisi dei rimedi finora utilizzati per mitigare le cadute hanno gettato sulla strada, o nelle sue immediate vicinanze, categorie mai viste prima alle mense della carità

scheda Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

Alla fine dell’età che pareva intramontabile del benessere in Italia, al termine della crisi economica più lunga dal 1929, si è aggiunta l’ondata di profughi e migranti disperati che fugge dagli orrori dell’integralismo in Medio Oriente e dalla miseria in Africa, spesso alimentata da regimi dittatoriali o dallo sfruttamento sostenuti dai Paesi ricchi, i quali a loro volta generano conflitti. La situazione,

stando a chi di mestiere predice gli scenari futuri, non è consolante. Finché non abbandoneremo il modello economico degli ultimi 35 anni, prospererà una classe di pochi magnati sempre più ricchi grazie anche alle ricchezze accumulate nei santuari fiscali a scapito di tutti gli altri. Né la ripresa porterà molta occupazione per chi dalle nostre parti ha più di 50 anni, né conflitti e sfruttamento termineranno a breve.

Le storie degli invisibili raccolte da Scarpraccontano tutto questo, ma pur di fronte a un mutamento epocale resta sempre nell’ombra la categoria più vulnerabile, quella dei minori, vittime innocenti di questa crisi. Causa crisi è aumentato in Italia il numero di abbandoni precoci della scuola e il lavoro minorile in nero, nella percentuale più alta dei paesi sviluppati. Volete conferme? Basta alzarsi all’alba e andare un giorno in

un mercato a Napoli o nelle città del sud per vedere piccoli scaricatori di frutta e verdura che danno una mano in casa e poi, magari, vanno a scuola. O leggere i dati sull’inquietante crescita di minori – anche in età scolare, non punibili – impiegati dai clan camorristi nello spacci in periferia. E scoprire che 3 mila minori tra i 10 mila non accompagnati sbarcati in Italia sono spariti. Alcuni – ragazzi e ragazze – sono state certamente coinvolte nella rete della prostituzione. Questi sono i nuo-

vi invisibili in una realtà che si fa sempre più dura al tramonto del 2015. Ma almeno nel Belpaese qualche passo avanti proprio per i più piccoli potrebbe essere compiuti in questi giorni che ci separano dal 2016. Se verran-

no mantenute le promesse della legge di Stabilità, si abbatterà finalmente la povertà scandalosa di parte dei minori, se si intensificherà la sorveglianza nei porti molti minori potranno essere salvati dalla vendita della propria dignità. Infine, deve sempre essere approvata la legge che tutela maggiormente i minori non accompagnati. Non ci vuole poi molto per contrastare questi scandali.

novembre 2015 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Francesco De Pedis «Pronto per candidarmi a Milano» Le elezioni a sindaco di Milano fanno paura a tanti, meno che a Francesco De Pedis, quarantenne, doppia laurea, che annuncia così la sua candidatura: «Centrodestra e centrosinistra faranno le primarie e io mi candido». di Piero Colaprico

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scheda

Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

Dove? Diceva mio padre: «Quando sei davanti a un bivio prendilo». Pare che si vincerà o si perderà la corsa a Palazzo Marino, sede del Comune, sulla sicurezza. Le racconto un aneddoto. Arriva a Venezia un importante uomo di Stato e al prefetto che lo accoglie dice: «Stanotte vorrei in camera due donne». Il prefetto non si perde d’animo e allarga le braccia: «Di queste cose si occupa il questore». Ecco, in questi anni c’è stata sulla sicurezza una polemica mostruosa, che ha contribuito a mettere paura alla gente. Io affermo qui e affermerò anche alla fine dei miei cinque anni di mandato che della sicurezza si occupa il questore. Ma io mi occupo del questore, dei carabinieri e del prefetto, nel senso che voglio sapere dove sono i loro uomini e che cosa fanno per la nostra città. Io non posso pensare agli scippatori, ma in primo luogo ai cittadini onesti. Sì, ma l’immigrazione crea ansia in molti quartieri. L’immigrazione è una cosa, la sicurezza un’altra. Ansia è una cosa, paura un’altra. Lei ha figli? Io sì e non gli insegno ad avere paura, ma ad avere prudenza. Ad usare la testa. Quando mia figlia torna a casa, se è tardi, chiedo che sia accompagnata, qualche volta vado a prenderla alla fermata della metropolitana. Le città sono città, ma sono più sicure delle campagne perché c’è la gente. La nostra

In Italia abbiamo due tragedie. Una si chiama Diplomazia del silenzio e una si chiama Società del ricatto. Io non sto zitto e non ho scheletri nell’armadio, non ho ricatti da subire da chicchesia gente deve saperlo e aiutarsi di più, provvederò personalmente a questo. Un esempio? Il custode dello stabile, l’anziano ancora in gamba, avrà qualche piccolo, ma fondamentale compito, moderatamente retribuito. In economia cosa propone? Massima libertà agli investitori nel rispetto delle leggi. Questa città è piena di lamentele perché ci si parla poco e male. La mia amministrazione costruirà un luogo di incontri, tema per tema, alla presenza di figure importanti, come i mediatori dei conflitti, i gesuiti, i giudici, e alla fine arriveremo a una, e quella sarà condivisa. Mi fa pensare a uno slogan assurdo, quello dei moschettieri, tutti per uno e uno per tutti. Uno, da solo, va bene nei romanzi o nella poesia. Il mio slogan è “Nessuno arriva ultimo”. Come giudica Pisapia? Partito bene, il vento nuovo s’è sen-

tito, poi è diventato bonaccia. Nelle periferie l’abbiamo visto molto poco. S’è via via un po’ isolato, non sono mancati i litigi. Ma è stato un buon sindaco nel dialogo, nell’onestà delle strategie, nella lotta all’inquinamento. In quest’epoca di narcisisti è stato un’eccezione. E poi, detto sinceramente, ha un bel sorriso. Se lui si candidasse, io non mi affaccerei, ma se non si candida, sono pronto. Ha sponsor, sostenitori, aiuti? Quello che serve, se serve, lo faccio in pochi giorni, se i media non mi oscurano. Noi in Italia abbiamo due tragedie, una si chiama Diplomazia del silenzio, e ne ha parlato Pasolini, e una si chiama Società del ricatto, e ne ha parlato l’allora magistrato Gherardo Colombo a un vecchio cronista, Giuseppe D’Avanzo. Io non sto zitto e non ho scheletri nell’armadio, non ho ricatti da subire da chicchessia. Lei sa che siamo messi male, in quest’Italia e in questa Milano. Che se si toccano certi fili si muore. Io non voglio toccarli, voglio tenerli lontani dalla mia città e ci posso riuscire se, ricapitolando, faccio muovere il tema della sicurezza e il tema dell’economia senza essere suddito. Se posso dire al ricco “guadagna, ma ricordati che non sei solo a dover mangiare”. Se posso dire alle categorie produttive “fate, ma non come se foste nel salotto di casa vostra, perché la città è di tutti, anche degli ultimi”. Milano è ricca di energie, vanno solo governate affinché non entrino in conflitto, positivo e negativo sono fatti per attrarsi, non per ignorarsi, e alla fine il positivo deve prevalere. Il suo partito ha un nome? Non ci sono partiti, ho appena cominciato a lavorare, vedremo che cosa accadrà, ma ringrazio Scarp per questa mia prima intervista. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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Arthur Ashe il principe nero del tennis amico di Mandela, difensore dei diritti Il primo governatore della Virginia si chiamava Samuel Ashe, il cognome passò a un suo schiavo, di nome Arthur, e al figlio dello schiavo, di nome Arthur, e al figlio del figlio, di nome Arthur Robert Ashe. Che diventò un grandissimo tennista, oltre che un assiduo difensore dei diritti civili. Morì di Gianni Mura

Arthur Ashe è stato il primo tennista nero a giocare in un campionato juniores negli Usa. A Wimbledon nel ’75 battè in finale Jimmy Connors, dato per favorito 4/1 dai bookmakers

scheda

Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

10 Scarp de’ tenis novembre 2015

ancora giovane, a 50 anni, di Aids, infettato da una trasfusione di sangue resasi necessaria durante un intervento chirurgico al cuore. Un altro segno del destino: Mattie, la madre, era morta per le conseguenze di un intervento chirurgico malriuscito, quando Arthur aveva 7 anni. A Richmond il padre, ex poliziotto, era il custode di un impianto riservato ai neri con quattro campi da tennis. Fu lì che Arthur cominciò a giocare, in uno sport per bianchi dove i neri avevano trovato uno spazio vittorioso con una donna, Althea Gibson, che vinse a Wimbledon nel 1957 e 1958. E commentò con ironia: «Esiste una certa differenza tra una stretta di mano con la regina d’Inghilterra e l’essere obbligata a sedersi sul fondo degli autobus in South Carolina, nello spazio riservato ai nigger». Lo stesso doveva fare Ashe, in Virginia. Qualche data, per capire quali avvenimenti stava attraversando l’America e come possa averli vissuti Ashe. Nel 1955 Rosa Parks si rifiuta di cedere a un bianco il posto sull’autobus. Fu arrestata e multata di 14 dollari. Scatta la protesta, sempre pacifica, della popolazione nera: per 381 giorni viene boicottata la compagnia di trasporti. La protesta è orchestrata da Martin Luther King, quello di I have a dream, ne avrete sentito parlare. Fu assassinato nel 1968, come Bob Kennedy. John Kennedy era stato assassinato

Da tennista famoso Ashe non è gradito agli open di Johannesburg. E lui da un lato chiede l’estromissione della Federetennis sudafricana dal circuito mondiale, dall’altro continua per tre anni di fila a iscriversi al torneo. Finché lo accettano nel 1963, Malcolm X nel 1965.

Ashe aveva provato col football americano, ma era troppo esile, i compagni lo chiamavano bones (ossa). Nel tennis promette bene. Il suo scopritore, Ronald Charity, capisce che i campi di Brooksfield Park a quel ragazzino alto e magro cominciano a stare stretti e lo fa conoscere a Walther Johnson, anzi al dottor Johnson, laureato in medicina. È il 1953. Johnson, che ha aperto una scuola di sport per neri, è anche l’istruttore di Althea Gibson. Fa capire ad Arthur che per un nero sfondare nel tennis è più difficile che per un bianco ed è prodigo di consigli. Uno riguarda i tornei giovanili, dove ci si arbitra da soli. «Chiama a favore dell’avversario anche una palla fuori di dieci centimetri, così non passerai per il solito negro che ruba i punti». E, di fronte allo sguardo interrogativo dell’allievo, la rassicurazione: «Forse perderai qualche partita in più, ma se sei bravo alla fine lo dimostrerai».

Lo dimostrerà. Nel ’57 è il primo nero a giocare in un campionato juniores, nel Maryland. Stanco di cozzare contro il segregazionismo della Virginia, pilotato da Johnson si sposta a St. Louis e poi in California, all’Ucla (Università della California di Los Angeles). A 20 anni è il primo tennista nero nella Nazionale Usa (che vince la Coppa Davis). All’Ucla si laurea in Scienze della finanza. Entra all’accademia di West Point. Nel ’68, da dilettante vince la prima edizione open dei campionati Usa battendo il professionista Tom Okker. Parallelamente cresce

l’attenzione di Arthur per le questioni sociali. Attenzione che non era mai stata bassa. Già da ragazzino sapeva chi era Jackie Robinson, maglia numero 42, il primo nero a entrare nel 1947 nella Major league di baseball. Sapeva la storia della sua famiglia: «Fu mio padre – amava raccontare – a farmi capire che l’affrancamento dei neri non era avvenuto con la fine della guerra di Secessione, né con le leggi che seguirono. Ma era in corso. La mia trisavola era stata venduta per una balla di tabacco, mio nonno era stato meno libero di mio padre, che era meno libero di me ma non se ne lamentava». Da tennista famoso, ma

nero, Ashe non è gradito agli Opendi Johannesburg. Bobby Seale, il leader delle Pantere nere, gli suggerisce azioni di protesta clamorose, come quella di non affrontare tennisti sudafricani. Ma Ar-

thur fa di testa sua. Da un lato chiede l’estromissione della Federtennis sudafricana dal circuito mondiale, dall’altra continua, per tre anni di fila, ad iscriversi al torneo di Johannesburg. Finché lo accettano. Nel ’73,


LE STORIE DI MURA

lista nero, suo compagno di tennis a Brooksfield Park), ad annunciare la malattia in una conferenza stampa, l’8 aprile 1992. Muore il 6

febbraio 1993. In quei mesi, l’uomo-simbolo, il capitano di Davis che ha saputo gestire due tipi scomodissimi come Connors e McEnroe, non è stato fermo a compiangersi. Sa di essere (parole sue) nel lungo corridoio della morte, in attesa, ma intanto fonda l’Arthur Ashe Institute for Urban Health, che si prende cura delle persone sprovviste di assicurazione medica. Era commentatore televisivo, scriveva per il Washington Post, scrive la storia della sua vita, che completerà sei giorni prima di morire. Si fa arrestare davanti alla Casa Bianca manifestando contro la Cia e a favore dei rifugiati haitiani. Sportivamente, il momento più alto

quando fu sconfitto da Connors in finale. Ma quella trasferta servì ad Ashe per andare più volte nel ghetto di Soweto, a seminare speranze. Ha tante iniziative. L’anno prima, su un campo di Yaoundé, aveva scoperto Yannick Noah, mezzo francese mezzo camerunese, che avrebbe trionfato al Roland Garros nel 1983. Ashe, chiamato il Principe nero per la sua eleganza e sportività, sapeva di essere diventato un simbolo e ammoniva: « I neri deificano i loro atleti e molte famiglie preferiscono che i figli emergano nel basket o nel football, mentre è importante che ricevano un’educazione adeguata. Dobbiamo cambiare questa mentalità». Lo disse nel ’92, quando già era segnato dalla malattia. Era stato operato al cuore nel ’79 per un infarto: quattro bypass. E una seconda volta nel 1983. Dal 1988 sapeva di aver contratto l’Aids. Fu costretto, per anticipare lo scoop di Usa Today (a violare la privacy un giorna-

Quando chiesero a Nelson Mandela, da carcerato, di fare il nome di una persona che avrebbe voluto incontrare quando fosse stato libero, rispose: «Arthur Ashe». Fu un momento di grande emozione per entrambi quando si incontrarono

della sua carriera rimane la vittoria del ’75 a Wimbledon contro Jimmy Connors. Era il confronto tra due Americhe, non solo tra il bianco Connors, perennemente arrabbiato, scortese, che si vantava di non aver mai letto un libro e il nero laureato Ashe, ammirato per il suo fairplaysu tutti i campi. Ma Ashe non lo considerava il giorno più importante della sua vita. A domanda rispose «ri-

tengo l’11 febbraio 1990, data della scarcerazione di Nelson Mandela, il giorno più importante della mia vita». E Mandela, da carcerato, quando gli chiesero il nome di una persona che avrebbe voluto incontrare quando fosse stato scarcerato, rispose: «Arthur Ashe». Fu un momento di grande emozione per entrambi quando si incontrarono. Così Martina Navratilova: «Ha combattuto per la sua vita e per quella degli altri. Un uomo meraviglioso che ha saputo andare oltre il

tennis, la sua razza, la sua nazionalità, la sua religione per cambiare e migliorare il mondo». E così lo ricorda Noah: «Arthur mi ha permesso di sognare. Ora non c’è più. Ci mancheranno la sua calma, la sua classe, il suo impegno per i diritti umani e civili». Ma ora, tra virgolette, voglio riportare alcune frasi di Ashe. « Fino a che punto ho lanciato le mie crociate contro l’apartheid per liberarmi dal rimorso di non aver partecipato al movimento di Martin Luher King? Mentre il sangue dei miei fratelli neri scorreva nelle strade di Biloxi, Memphis e Birmingham io giocavo a tennis». «La segregazione mi ha impresso un marchio indelebile che si cancellerà solo con la morte». «L’ Aids non è stato il peso più assillante della mia esistenza, la negritudine sì». «Non mi sono mai chiesto perché mi sia toccato l’Aids come non mi sono mai chiesto perché mi sia toccato vincere a Wimbledon. Ho pensato che fosse la volontà di Dio». «L’autentico eroismo è sobrio, non drammatico. Non è il bisogno di superare gli altri a qualunque costo ma il bisogno di servire gli altri a qualunque costo». Il

campo centrale di Flushing Meadows è intitolato ad Ashe. A Richmond gli hanno dedicato una statua, opera di Paul Di Pasquale. Ashe, in piedi, circondato da bambini, impugna la racchetta con la mano sinistra (ma non era mancino) e nella destra tiene tre libri, come a ribadire che l’istruzione è più importante dello sport. Non lontano, le statue in memoria di due generali sudisti, Robert Lee e Stonewall Jackson. L’avrebbero mai immaginato suo nonno, suo padre? Chiudo con una frase di Ashe malato: «Vi prego di non

considerarmi una vittima. Io sono un messaggero». novembre 2015 Scarp de’ tenis

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PIANI BASSI

Evviva? Nel mio cantuccio faccio il pieno di speranza...

di Paolo Brivio

Evviva!, sento gridare dai piani superiori. I medio-bassi. I medio-medi.I medio-alti. Gli alti-alti. Evviva! Che pare ci siano buone nuove per tutti. Tutti quelli che lavorano, che consumano, che hanno proprietà. Che pagano le tasse. Che votano. In una parola, tutti

quelli che possono…

Evviva! Ché il bonus di 80 euro in busta paga si stabilizza, pur diventando (o almeno così potrebbe accadere in futuro) detrazione fiscale. Gran bella notizia: ad avercelo, un lavoro, da cui scaturisca una busta paga su cui appiccicare 80 euro di incremento, o conteggiare l’alleggerimento delle tasse… Evviva! Ci cancellano l’odiosissima e odiatissima tassa sulla prima casa, quella che applicano quasi in tutta Europa, ma si sa che negli

l’autore Paolo Brivio, 48 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

perché uno sceglie di zavorrarsi le tasche con un covone di banconote tenute insieme con l’elastico, quando può alleggerirle con un bancomat, una carta di credito o prepagata, un telefonino per il conto on line.

Dev’essere amore per i colori della carta, mica per il nero della furbizia… Ad ogni modo:

scommettiamo tutti i contanti triplicati d’Italia che non triplicheranno le mance nel mio cappello? Evviva! Il canone Rai va in bolletta. Guardare la tv costerà meno. Invece non guardarla, per impossibili-

Mai demordere. Arriverà un reddito altri paesi non amano le case di inclusione tanto quanto noi italiani... In- sociale per tutti, tanto, che affarone! Soprattutto se si è titolari di appartamenti di lusso, prima o poi. abitazioni in quartieri sciccosissimi, E, anche se non alloggi trendyin sobborghygentry, loft ha reddito da da rivista di architettura, fieri manieri di campagna. In ogni caso: ad aver- ispessire, né casa celi, un tetto sulla testa, quattro mu- da detassare, né ri attorno, un pavimento sotto il letvoce da levare, né to. Qualcuno può fare una norma per mettere la Tasi sui piazzali delle voto da far pesare, stazioni, sui mezzanini del metrò, un homeless può sugli androni dei negozi e sui sottoponti, così poi possono to- sempre sperare che, prima o poi, glierla pure da lì? Evviva! Ci permettono di tripli- la politica care l’entità dei pagamenti in contanti. Da mille a tremila dobloni. si ricordi dei piani Certo, sarebbe interessante capire bassi-bassi...

tà a possedere un televisore, costerà lo stesso di prima: euro zero. Risparmio finanziario assente, notevole il risparmio di bile assorbita. Quella

che travasa da ogni talkche si rispetti, e in cui la gggente si fa tro-

vare e rappresentare in strada, per mostrarsi davvero incazzata. Fatto

strano, per me che sulla strada ci vivo. E dalla strada vorrei tan-

to andarmene... Evviva! Piovono milioni, a centinaia. Sembra si cominci a fare

sul serio, nella direzione di una misura organica di lotta alla povertà: partendo dalle fami-

glie con minori. Che, come criterio di precedenza, è pure più che legittimo. Certo, chi non ha famiglia, né figli piccoli, oppure li aveva, sia l’una che gli altri, ma li ha visti sfumare nella nebbia degli errori e dei rimpianti, dovrà mettersi in coda. Anche se povero lo è. Magari assoluto.

Magari estremo. Che più estremo non si può.

Arriverà un reddito In conclusione: mai demordere. Arriverà un reddito di inclusione sociale per tutti, prima o poi. E, anche se non ha reddito da ispessire, né casa da detassare, né contanti da far circolare, né televisore da bollettare, né figli da esporre, né voce da sollevare, né voto da spendere, un homeless ha pur sempre il suo cantuccio di mondo. Dal quale sperare che (pri-

ma o poi, appunto) la politica si ricordi dei piani bassi-bassi. Anche quando è animata dalle

migliori intenzioni. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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14 Scarp de’ tenis novembre 2015


LA FOTO

fotografia di Stefano Merlini

scheda

Danis Ascanio (Santiago de Cuba, 1988), è l’autore del murales nella foto. Vive e lavora a L'Avana e Milano. Diplomato presso l'Accademia di Belle Arti José Joaquín Tejada di Santiago de Cuba nel 2007, si è specializzato in pittura e disegno. Dal 2012 lavora a Milano, dove collabora con artisti contemporanei

Alla Stazione Forlanini, non lontana dall’Idroscalo, il Consiglio di Zona 4 di Milano, ha voluto ricordare Enzo Jannacci con un grande murales opera dell’artista Danis Ascanio. Le stringhe, le scarpe e il testo della canzone per ricordare l’amato barbun che parlava da solo e rincorreva il suo sogno d’amore

1.470.000 Nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone

7,4% Al Nord la povertà assoluta è più elevata nelle aree metropolitane

dati Istat 2015

9,2% La povertà assoluta si attesta al 4,2% al Nord, al 4,8% al Centro e all'8,6% nel Mezzogiorno

novembre 2015 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa Povertà: scarsa attenzione dei Governi europei di Enrico Panero «Ho trascorso più di metà della mia vita in povertà, ma sono ancora una persona e posso ancora contribuire alla società». Emblematica la testimonianza di un membro del Glasgow Homelessness Network nel corso della Conferenza annuale organizzata lo scorso 9 ottobre a Bruxelles dall’European Anti-Poverty Network (Eapn) per discutere dei Programmi nazionali di riforma (Pnr) 2015 degli Stati membri dell’UE. Emblematica perché evidenzia, da un lato, una condizione diffusa che colpisce ormai una persona su quattro in Europa e, dall’altro, la frustrazione per le insufficienti politiche anti-povertà attuate a livello europeo. «Le politiche dell’Ue si concentrano sulla crescita, ma per chi e per che cosa? Finché le disuguaglianze non saranno affrontate, soprattutto quelle causate dall’austerità, la povertà e l’esclusione continueranno ad aumentare e con esse il rischio di fallimento dell’UE - ha dichiarato il presidente dell’Eapn, Sérgio Aires. Chiara la valutazione svolta dalla Rete europea: l’88% dei Pnr 2015 non ha la povertà tra le priorità; il 76% sostiene ancora l’austerità come obiettivo principale; il 65% si focalizzata sulle politiche macroeconomiche e finanziarie e non sugli obiettivi di Europa 2020; nonostante il 47% delle reti nazionali anti-povertà sia stato consultato, il 76% ha dichiarato di non essere stato preso sul serio. Tre le principali richieste dell’Eapn: assicurare obiettivi sociali nelle politiche macroeconomiche; rafforzare la dimensione sociale dell’Ue, con una strategia integrata anti-povertà e standard sociali; coinvolgere seriamente le Ong. Info www.eapn.eu

16 Scarp de’ tenis novembre 2015

Sguardo di donna in mostra a Venezia Sono 250 le immagini in mostra fino all’8 dicembre 2015 nella Casa dei Tre Oci per l’esposizione dal titolo Sguardo di donna, a cura di Francesca Alfano Miglietti; 25 autrici, 25 storie, 25 sguardi singolari sul mondo, sull’altro, sulla relazione, attraverso la testimonianza della fotografia. Una mostra che parla di diversità, responsabilità, compassione e relazione. Le autrici, provenienti da diverse parti

del mondo, usano la fotografia come mezzo per esprimersi, ognuna pronta a cogliere il linguaggio dell’umanità, dell’unicità, della differenza nelle infinite varietà dei soggetti ritratti, nell’intento di sottrarsi alla paura della diversità. Antonio Marras ha ideato una scenografia complessa, capace di trasportare il visitatore all’interno delle storie che si leggono nelle varie sale: un’esperienza nell’esperienza, in cui anche l’allestimento diventa parte fondamentale della narrazione e crea la relazione tra gli spazi della Casa e le opere fotografiche. Info www.treoci.org

street art L’arte si unisce alla canzone Due murales per Enzo Jannacci A Enzo sarebbe piaciuto essere stato ricordato qui, in questa strada milanese di passaggio vicina allo stradone che porta all’Idroscalo. Gli sarebbe anche piaciuto che a parlare di lui sia stata scelta l'arte di strada, quella che nasce di nascosto nei bassifondi della contemporaneità; la street art ormai sdoganata e usata per riqualificare le periferie delle metropoli. E gli sarebbero piaciuti, infine, i due murales che il pittore cubano Danis Ascanio gli ha dedicato e che celebrano una canzone anche a noi di Scarp molto cara: El purtava i scarp de tennis che Jannacci aveva ambientato proprio alla stazione Forlanini, dove sono stati collocati i disegni. Il barbun di Enzo, che rincorreva un bel sogno d'amore. Ci piace pensarlo così Jannacci, a rincorrere, a modo suo – mai in fila ordinata, mai con le parole di quelli perbene un sogno d'amore: quello per la vita, per gli ultimi, per chi resta indietro, per il barbun che non ce l'ha fatta. Scarp de' tenis, in fondo, nasce da quello stesso sogno.

on

off

Dal 1990 il numero di bambini morti prima dei cinque anni è passato da 12,7 milioni a 5,9 milioni all’anno, annuncia l’ultimo rapporto dell’Onu. Certamente una bella notizia. Ma va anche detto che gli obiettivi di sviluppo del millennio puntavano a ridurre di due terzi entro il 2015 le morti infantili evitabili. Attualmente, nel mondo ogni giorno 16 mila bambini muoiono prima del loro quinto compleanno, quasi la metà prima dei 28 giorni di vita, per cause prevenibili e curabili come diarrea, polmonite, sepsi, malaria o complicazioni neonatali. La malnutrizione è, ancora una volta, la concausa principale. Sono ancora forti gli squilibri geografici: nell’Africa sub sahariana c’è una probabilità su 12 di morire prima dei cinque anni, mentre nei paesi ad alto reddito è di uno a 147. Tuttavia, dieci paesi africani a basso reddito, tra cui Etiopia e Uganda, hanno raggiunto il traguardo dei due terzi degli obiettivi del millennio.

Quattro milioni e mezzo. Tanti sono i bambini che sono costretti a lasciare la propria casa a causa delle guerre. I minori in fuga da Afghanistan, Siria, Sud Sudan, Sudan, Eritrea. Non solo guerre ma condizioni generali di instabilità, persecuzioni, minacce alle famiglie. Fra i migranti che cercano rifugio verso l'Europa un quinto sono bambini. Il viaggio attraverso il Meditarreneo è pericoloso e infido. Rischiano di essere uccisi, violentati, mutilati, reclutati per altre guerre. Lo denuncia l'Unicef che dà anche la mappa delle fughe dei bambini con i loro genitori. In Siria il conflitto dura da cinque anni: oltre 4 milioni di persone sono state costrette a cercare la sopravvivenza altrove. Raggiungono i campi profughi in Giordania, Iraq, Libano e Turchia. Ma non sempre i campi profughi rappresentano un luogo sicuro. Anzi spesso è qui che avvengono i reclutamenti e le violenze.

Mortalità infantile in calo, ma obiettivi ancora lontani

Bambini sotto attacco e in fuga


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

ArteTerapia Progetto e mostra solidali

La Sardegna nelle immagini di Berengo Gardin Tornano a Milano i tesori dalla Sardegna nuragica in una mostra che celebra un ritorno gradito: quello di Berengo Gardin e della “sua” Sardegna, a Milano. Nel 1985 la Regione Sardegna e il Comune di Milano allestirono nei Giardini pubblici di via Palestro la mostra Sardegna Preistorica, Nuraghi a Milanocon le foto proprio di Gianni Berengo Gardin.A trent'anni da quell'evento, quegli scatti tornano protagonisti della mostra: Le torri dell'isola. La Sardegna nelle immagini di Gianni Berengo Gardin, allestita presso il Civico Museo Archeologico di Milano, in corso Magenta 15, fino al 29 novembre 2015.

pillole homeless Homeless fotografi La mostra va sul calendario

mi riguarda M’ama Food con Hilton Ricette da molte lontano Continua e cresce la partnership fra Hilton Milano e la cooperativa Farsi Prossimo, la realtà sociale di Caritas Ambrosiana che supporta rifugiati, immigrati e richiedenti asilo. Dall'esigenza di dare un lavoro stabile alle donne rifugiate in Italia, Farsi Prossimo si è fatta promotrice del progetto M'ama Food, il catering etnico composto da 20 donne provenienti da diversi paesi del mondo, che risponde alle esigenze di catering sia del privato che delle aziende. L'Hilton di Milano collabora da tre anni al progetto M'ama Food fornendo alla cooperativa diversi strumenti: dalle conoscenze di business ai corsi di cucina. Da tre anni Hilton celebra la giornata Global Month of Service per festeggiare insieme ai suoi volontari, i Team Members, le partnership con le comunità locali. Quest'anno per celebrare il Global Month of Service sono state chiamate a cucinare proprio le donne di M'ama Food. Un successo. Info www.mamafood.it

Café Art è un’organizzazione no profit che cerca, attraverso l’arte, di creare integrazione sociale tra i senzatetto e il resto della società. L’ultimo progetto è un calendario fotografico, realizzato dagli homeless. My London è il titolo. Sono state distribuite cento macchine fotografiche usa e getta a cento persone senza fissa dimora chiedendo loro di ritrarre la capitale inglese da una diversa prospettiva. Quella della strada appunto. Le persone hanno seguito un breve corso presso la Royal Photographic Society. Sono stati riconsegnati circa 2.500 scatti e 80 macchinette. Un gruppo di esperti ha decretato i 12 scatti migliori che andranno a comporre il calendario 2016. Il ricavato del calendario sarà usato in parte per coprire i costi del progetto e in parte per aiutare i più talentuosi a frequentare corsi di arte. www.cafeart.org.uk

L’associazione bolognese Cefa Onlus ha sviluppato un progetto in Tanzania, Art against poverty, che ha dato la possibilità a 20 ragazze e ragazzi della città di Dar es Salaam, di essere formati come ballerini, acrobati e attori. I 20 ragazzi sono stati poi scelti per seguire un corso di clownterapia tenuto dall’associazione Dottor Clown Italia di Vicenza (www.dottorclownitalia.org). Dopo il corso i giovanissimi dottor Clown hanno cominciato a mettere in pratica la propria formazione al Muhimbili University Hospital. I ragazzi di Dar es Salaam da qualche mese ricevono un compenso come Clown e rasserenano le giornate dei piccoli pazienti del reparto di neurochirurgia pediatrica. Gabriele Fiolo è un fotografo italiano che collabora con Cefa onlus e ha scattato molte immagini del lavoro dei clown con i piccoli pazienti. Le fotografie sono diventate una mostra che ha girato per il Veneto e che nel mese di dicembre 2015 approderà anche a Bologna. www.cefaonlus.it

Milano, laboratorio di etnie Milano sta diventando un laboratorio di etnie e di sperimentazioni professionali. Mezzo milione di stranieri in tutta la provincia lombarda e il 15% sono nati in Italia. Una molteplicità di aspetti, colori, sapori, costumi, codici di comportamento e religioni che fa di Milano un grande laboratorio di multietnicità. Un nuovo blog Imilanesisiamonoi vuole essere un contenitore di storytelling digitale in cui i protagonisti, i milanesi famosi e non, si raccontano in maniera diretta. L’idea è di Andrea Scarpa ed è lui a condurre le interviste. Oltre che su nanopress.it, all’indirizzo imilanesi.nanopress.it, i contenuti saranno condivisi anche sul canale Facebook di Nanopress. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

Scuola, i più giovani contro gli sprechi ambientali Il Wwf propone alle scuole italiane di diventare ambasciatrici del clima con il progetto Mi curo di te. Come? Attraverso un racconto su cosa scoprono i ragazzi sul cambiamento climatico, grazie ai contenuti e alle attività proposte in classe. Contenuti che verranno elaborati creativamente in un RapClima da comunicare a coetanei, famiglie, comunità, attraverso i canali social. A sua volta il Wwf pubblicherà i ClimaRap che hanno ricevuto maggiori condivisioni sui propri canali. Un tam tam il cui scopo è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica con la creatività dei più giovani in prossimità del Summit parigino sul Clima che si terrà dal 30 novembre all'11 dicembre (ne parliamo più avanti nel giornale, ndr), e nel quale si dovrà raggiungere un accordo globale sulla salvaguardia dell’ambiente. www.wwf.it

Un brownie per finanziare i progetti di Fondazione Arché In occasione della Giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre, Fondazione Arché Onlus e California Bakery lanciano un’iniziativa benefica per dare un aiuto concreto ai bambini e alle mamme sostenuti da Arché: in tutti i negozi milanesi del noto marchio dolciario, venerdì 20 novembre, per ogni Brownie ai Pistacchi Americani, una parte dell’incasso sarà donata ad Arché Onlus. Si potrà anche ordinare una teglia intera di Brownie, rivolgendosi entro lunedì 16 al Customer Care di California Bakery. Info customercare @californiabakery.it

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Giulio Cavalli, attore, autore teatrale e scrittore. Vive sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro la criminalità

CINQUE DOMANDE

Mio padre in una scatola di scarpe Storia vera di un omicidio irrisolto di Daniela Palumbo

Mio padre in una scatola di scarpe (Rizzoli) è il titolo del romanzo di Giulio Cavalli, attore, autore teatrale e scrittore. Sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro la criminalità mafiosa. Giulio racconta una storia vera: il protagonista è Michele Landa, ucciso e bruciato a 61 anni nella sua macchina il 6 settembre 2006. Michele era un metronotte di Mondragone, Caserta. Aveva il compito di sorvegliare un ripetitore per la telefonia mobile. Un omicidio forse legato al suo lavoro, ma non si è mai saputo. Nessuno ha mai indagato. Michele era un uomo onesto. E la figlia Angela ha raccontato a Giulio la sua storia.

lacci, delle iperboli. Da tempo volevo verificare la capacità di cogliere le fragilità, scorgere l’umanità dei toni intermedi che sembrano non trovare più posto nella letteratura. E poi c’è la delicatezza travolgente con cui questa storia mi è stata raccontata dai figli di Michele: questo libro, lo dico spesso, non ho avuto bisogno di scriverlo, è nato da solo. La tua storia affonda le radici nella vita di Michele, nella sua insofferenza verso l’illegalità. Quanto c’è di questo personaggio in te? Tra le promesse che mi sono fatto c’è anche quella di non parlare più di minacce e scorte. Credo comunque che il personaggio di questo romanzo sia stato più forte di me. E anche la sua famiglia. Hanno deciso di non farsi imbruttire dal dolore e dalla paura.

Leggendo il libro ci si sente soffocare dai personaggi… rassegnati e succubi. Eppure dentro la storia di Michele si intravede speranza. Sì, è così. Del resto la mancanza di speranza genera disperazione, mentre la vicenda di Michele e della sua famiglia è la storia di una resistenza che sfocia in una presa di coscienza. Io credo che per cambiare il mondo serva la volontà e la capacità di farsi cambiare dal mondo e questo romanzo è il racconto di un percorso (anche doloroso) di cambiamenti.

I Torre (la famiglia mafiosa del libro) al Sud e i tanti Giulio (altro personaggio del libro) che riciclano denaro sporco al Nord, dove la mafia ha un volto più rassicurante. La criminalità organizzata quanto è penetrata dentro il tessuto delle città? Èun capitolo importante dell’economia legale. Quindi, inevitabilmente strutturale. Da tempo i segnali indicano un’infiltrazione che arriva ai gangli più alti.

Cosa ti ha fatto pensare che Michele Landa e la sua famiglia andassero raccontati? Ho avuto paura (e continuo ad averla) di non essere più in grado di distinguere i colori tenui, di essermi accodato a una recente e anaffettiva moda degli stril-

La tentazione leggendoti è di chiedersi: perché le persone perbene come Michele restano? Questo Paese è pieno di gente che crede di poter cambiare le storture da cui sono circondati. E per fortuna.


IN BREVE

Scarp de’ tenis entra nella rete internazionale dei giornali di strada Scarp de’ tenis, il più importante giornale di strada italiano, progetto sociale e editoriale sostenuto da Caritas Ambrosiana e Caritas Italiana, aderisce alla rete Insp (International Network of Street Papers), il networkinternazionale che raggruppa più di 100 giornali di strada di tutto il mondo. «Siamo lieti di dare il benvenuto a Scarp de’ tenis in Insp – dice Maree Aldam, amministratore delegato di Insp –. Si unisce ai loro colleghi italiani di Terre di Mezzo, già nostri membri, e agli oltre 100 giornali di strada presenti in 36 paesi. Non vediamo l’ora di saperne di più sull’importante lavoro che l’organizzazione porta avanti in tutta Italia, sostenendo moltissime persone senza fissa dimora. Nello spirito di Insp vedremo insieme come condividere l’innovazione e le migliori pratiche per ampliare il nostro impatto sociale come network». Anche per il direttore di Scarp de’ tenis, Stefano Lampertico, l’adesione al network Insp è importante sul piano delle relazioni e dell’innovazione: «In un periodo difficile, come quello che stiamo vivendo, difficile anche per i giornali di strada, è importante per Scarp de’ tenis aprire i pro-

pri orizzonti. Siamo curiosi di conoscere gli altri giornali di strada del mondo, pronti a cogliere le loro esperienze, a conoscere e portare in tutta Italia le loro storie. Per fare sempre meglio il nostro lavoro, e per garantire ai nostri venditori sempre più opportunità di reddito». Qualche dato Il primo “giornale di strada” al mondo (come oggi li conosciamo) è nato a New York nel 1989. Street News ha ispirato i primi giornali di strada nordamericani alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90 e ha anche ispirato The Big Issue a lanciare il business sociale nel Regno Unito nel 1991. Dal 2013 Insp è diventata l’unica rete globale per i giornali di strada di tutti e cinque i continenti. Il networknel tempo è cresciuto, sostenendo ed espandendo la rete e sviluppando i propri progetti e servizi in favore dei giornali di strada. Negli ultimi anni, la recessione globale e i cambiamenti politici ed economici ad essa correlati hanno avuto un impatto significativo sulla povertà urbana e sui senza fissa dimora. Argomenti come la migrazione economica, la disoccupazione e la carenza di abitazioni hanno fatto sì che la povertà e la demografia dei senza fissa dimora continuassero a mutare. Per tale motivo una visione globale, anche per il nostro giornale, diventa imprescindibile.

Appuntamento musicale al Museo diocesano di Napoli Un appuntamento originale e irripetibile: Oratorio Moondog, perfomance musicale in cui potremo ascoltare per la prima volta in elaborazioni inedite alcune delle più suggestive invenzioni di uno dei più singolari e affascinanti personaggi della musica americana del XX secolo: Louis Thomas Hardin (1916-1999), detto Moondog, poeta, cosmologo, inventore di strumenti e musicista di strada, il Vichingo della 6a Avenue che trasformò per anni un marciapiede di New York nel celebre Moondog’s Corner, teatro delle sue leggendarie esibizioni. Questo singolare Oratorio “laico” è ideato e realizzato da Federico Odling - compositore e violoncellista genovese trapiantato a Napoli, uno dei fondatori dei Virtuosi di San Martino – in collaborazione con Lucio M. Lo Gatto. La Nuova Orchestra Scarlatti sarà affiancata per l’occasione dall’ensemble vocale I Vandalia. Appuntamento dell'Autunno musicale della Nuova Orchestra Scarlatti, sabato 28 novembre 2015, ore 19.00 Museo diocesano Largo Donnaregina - Napoli

Info www.insp.ngo

LA STRISCIA

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LE DRITTE DI YAMADA

Il Gatto Venuto dal Cielo L’anima serena, in un attimo testo e illustrazione di Yamada

sciogliere il grumo emotivo ascoltando musica a tema (in sottofondo: Tamago 2004, piano e cello, Ryuichi Sakamoto e Jaques Morelembaum). Per ora mi sono commossa, con questa melodia in cuffia veramente assassina. Allora chiudo gli occhi e nelle palpebre baluginano tre figure: una coppia giovane e un piccolo gatto. Una gattina per la precisione, con le zampe d’un bianco abbacinante: risponde al nome di Chibi, se chiamata. Sono loro i tre protagonisti di questo libro magico –Il Gatto Venuto dal Cielo–scritto da Hiraide Takashi, uscito la scorsa primavera per Einaudi dopo essere stato un bestselleramatissimo in Francia, Inghilterra e Stati Uniti.

L’avevo preso subito ma l’ho iniziato poche settimane fa, e ancora vibra il ricordo degli attimi perfetti che mi ha regalato. «Come c’è riu-

scito?», scrive il critico del Guardian all’indirizzo dello scrittore in un commento sul retrocopertina: è questa la domanda che ci si fa dopo esser riemersi dal mondo di questa storia ambientata a

Tokyo tra il 1988 e il 1990, dove – questo l’abbrivio – una coppia di sposi è prossima allo sfratto. Sono presis-

simi dal lavoro (lui è redattore e lei

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Una coppia giovane e un piccolo gatto. Sono loro i protagonisti di questo libro magico scritto da Hiraide Takashi, bestseller amatissimo in Francia e in Inghilterra

Quanto sono importanti per i bambini le abitazioni in cui vivono? Calde o fredde, luminose o buie, povere o ricche, silenti o piene di rumori, stipate di vite e di oggetti, oppure vuote, prive di mattoni, di stanze o di tutto: “Ogni casa ha un cuore segreto. Nascosti fra le sue mura i segni e, soprattutto i sogni, dei bambini che la abitano”. Undici brevi racconti sui modi bizzarri dei bambini di “abitare”.

correttrice di bozze) e non hanno il tempo da dedicare ad agenzie per andare in giro a vedere case. Dunque decidono di rivolgersi a un conoscente che pratica le arti divinatorie e li indirizza in una zona «che ricopriva un angolo di quindici gradi a sud sud-est della città»: una volta lì – un quartiere periferico e silenzioso – il narratore e la moglie provano «una strana serenità, come se una persona cara posasse una mano sul mio cuore», scrive lui. Ad attenderli trovano una piccola dépendance, con tante finestre, da affittare. Occupa uno di tre lotti di terreno vicini tra loro, ogni lotto rispondente a una casa (quella padronale bellissima, la loro dépendance e la “casa dei vicini”). Tutt’intorno, il più incantevole giardino giapponese che immaginate, con un olmo gigantesco dai rami protesi sulla casetta dei due sposi. Lascio a voi di scoprire

Luca Tortolini Le case degli altri bambini Orecchio acerbo, euro 14,50

Ma perché, le scuole speciali? Un saggio di Giovanni Merlo, direttore di Ledha, Lega per i diritti delle persone con disabilità, analizza le scuole speciali in Lombardia e le ragioni che spingono molti genitori a sceglierle: mancata presa in carico globale delle famiglie, inerzia dei servizi, fatica della scuola a mettersi in discussione. Esistono ancora le scuole speciali? In Lombardia sono 24, frequentate da quasi 900 tra bambini e ragazzi.

il “vicolo fulmine”, ma non posso tacere della gattina Chibi, «il cui atteggiamento dava la stessa sensazione di una luce fredda e pallida».

il libro Il Gatto Venuto dal Cielo di Hiraide Takashi

Chibi irrompe nella vita della coppia in un momento cruciale che li vede schiacciati dalle incombenze e forse spaventati nel vedere il flusso del loro amore incagliato negli eventi dei giorni. Con educata curiosità e – al contempo – sfrenata dimostrazione della sua natura non vezzosa Chibi abbatte silenziosamente il confine tra lei e la coppia. Non diventerà mai “il loro gatto”. Piuttosto sarà il prezioso ospite, portato dalle aurore alla loro finestra, che rinvigorisce loro l’anima in un attimo. Come faceva la mia Mughi, con la mia.

Giovanni Merlo L’attrazione speciale Maggioli editore, euro 20

I ragazzi e il senso della vita

[ a cura di Daniela Palumbo ]

Al solito, quando leggo un libro che m’inzacchera per bene finisce che a volerne scrivere sono guai: mi escono delle parole non all’altezza di quelle che mi han stregato. Per cui sto cercando di

Ogni casa ha la sua storia

Un libro che racconta la storia di un’insegnante che impara dai suoi alunni lungodegenti “il senso della vita”. Gli alunni ospedalizzati in Italia sono circa 73 mila, 964 i docenti. Il libro sostiene il progetto dell'Agop “La Casa a Colori”. Daniela Di Fiore con Roberto Ormanni Ragazzi con la bandana Infinito, euro 11


«Quando si celebra il passato ci si deve chiedere se c'è una ragione. La Mille Miglia è stata l'immagine del progresso, tecnico, sociale ed umano; e noi facciamo bene a celebrarla, perché questa rievocazione del passato aiuta il futuro» (Giannino Marzotto, vincitore delle Mille Miglia 1950 e 1953)

VISIONI

45 anni insieme. Da festeggiare? 45 Years. Un film inglese con Charlotte Rampling. Manca solo una settimana al quarantacinquesimo anniversario di matrimonio di Geoff e Kate Mercer. Grande festa in preparazione. Ma una lettera sconvolge i piani: il corpo della precedente compagna di Geoff Mercer è stato scoperto, congelato e conservato, nei ghiacciai delle Alpi svizzere. Una mina per gli equlibri della coppia.

Rosso Mille Miglia, il film sulla corsa più bella del mondo carreggiata. Chi perde gli occhiali è spacciato.

26 marzo 1927. Da Brescia, zona dell’Italia dove allora si diceva nelle vene dei locali scorresse benzina al posto del sangue, parte la prima Mille Miglia. Un gruppo di non professionisti, un po’ piloti e un po’ sognatori, cerca di arrivare nel minor tempo possibile a Roma passando da Parma, Bologna, Firenze per poi risalire dalla costa toccando le città di Rimini, Ferrara, Rovigo, Vicenza, Desenzano del Garda e poi di nuovo Brescia.

Quel giorno gli equipaggi sono 77 come la media oraria toccata dall’automobile vincitrice. Anche se l’idea di una corsa per le strade d’Italia era venuta a quattro amici appena qualche mese prima, sin dalla prima edizione tutta Europa parla di questa incredibile sfida di velocità in cui, per citare Lucio Dalla, “partivano di notte e arrivavano di sera”. Le strade italiane allora sono impolverate e in pessime condizioni. Si fa di tutto per avere un mezzo abbastanza robusto. Si fa di tutto per vincere. Le prime Mille Miglia si corrono “a memoria” o calcolando la strada guardando i pali del telefono posti ai lati della

Il primo film sulla Mille Miglia arriva finalmente nelle sale italiane. Finalmente si torna a parlare di IsottaFraschini, Officine Meccaniche, Lancia, Alfa-Romeo e Ferrari. Ma...

Poco meno di novant’anni dopo. Parte con una speciale proiezione ad Expo il suo giro nelle sale italiane, “Rosso Mille Miglia” film di Claudio Uberti che con le vi-

auto d’epoca sono uno spettacolo, le location scelte per il film intriganti, ma il resto non è accettabile.

il film Rosso Mille Miglia Un film di Claudio Uberti. Con Martina Stella, Fabio Troiano, Francesca Rettondini, Remo Girone, Victoria Zinny. Drammatico, durata 94 min. Italia, Russia 2015

Arriva Snoopy al cinema

cende di una giornalista ficcanaso (Martina Stella), un simpatico meccanico e un barista inconsapevole cerca di far vivere al pubblico il fascino della corsa più bella del mondo. Una favolosa OM 665 S, la Superba, dimenticata chissà dove, incidenti mortali, brogli nascosti e un mistero proveniente dal passato, davvero troppo per un film che non riesce quasi mai a regalare un’emozione. La Mille Miglia, disputata per 24 volte, sospesa nel 1957 ed oggi poco più di una rievocazione storica rimane un’epopea lontana di cui è meglio leggere vecchie cronache sportive. Le

Cellulari che suonano in continuazione, ricconi con la “evve” moscia, recitazione un po’ così e tra una gag e un cambio d’abito della stupenda Martina Stella qualche vago riferimento a miti assoluti come Varzi, Nuvolari o Fangio. Occasione sprecata.

Attesissimo Snoopy and Friends con tutta la banda che debutta sul grande schermo con l’animazione in 3D. L’asso dell’aviazione Snoopy si imbarca nella sua più grande impresa all’inseguimento del suo arcinemico, il Barone Rosso. Intanto Charlie Brown intraprende la sua personale, epica, impresa.

Le recriminazioni che ti lasciano senza partner [ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

Dobbiamo parlare: il nuovo film di Sergio Rubini ma anche l’incipit più disastroso di ogni coppia. Vanni è uno scrittore affermato e Linda collabora ai romanzi del partner. La coppia con i loro migliori amici, Costanza e Alfredo, si ritrovano e discutono tutta la notte dei loro problemi. Quale coppia resterà in piedi? novembre 2015 Scarp de’ tenis

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Pop-Up è l’ultimo lavoro del cantautore bolognese. Un disco tra spunti rielaborati e pensieri originali. Un ritorno sulla scena da protagonista

Luca Carboni «Rifletto molto sul mio ruolo. E lo canto pure» di Andrea Pedrinelli

Quella di Carboni, a detta di critici e esperti, è stata l’ultima grande stagione dei cantautori italiani. Con Pop-Up il musicista bolognese torna sulla scena. Da protagonista. 22 Scarp de’ tenis novembre 2015

«Non penso di aver da dire cose più interessanti di quelle che ho messo nelle canzoni». C’è sempre tanto pudore, nel porgersi perbene di Luca Carboni: sia nella musica che fuori da essa. Però la frase di cui sopra possiamo confermarla soltanto a metà. È vero, che nel suo nuovo album Pop-Up, due anni dopo i duetti celebrativi del trentennale della carriera e quattro anni dopo il precedente disco di inediti, i contenuti sono tantissimi. Ma non è affatto vero che egli non abbia nulla in più da dire: e pensiamo che l’intervista che segue possa dimostrarlo. Ma prima di lasciarvi ad essa, fermiamoci un attimo sul disco, moderno e lieve, ben costruito anche nei suoni: un disco che


Ci tengo ad essere ascoltato, non fa che confermare un concetto purtroppo ormai chiaro a però non ho chi segue la musica italiana. La mai lottato sua, quella di Carboni, è per riuscirci stata l’ultima generazione di veri cantautori. Perché né sofferto anche quando è ironico, roman- per non essere tico o (apparentemente) legge- il primo ro, Carboni lascia indietro di di-

L’INTERVISTA

verse incollature chi anagraficamente l’ha seguito nella storia della canzone italiana.

Carboni dice cose importanti, fa politica in senso alto cantando l’uomo, e soprattutto sa dirlo in musica, quello che sente di dover dire. Si parli del-

l’amore come valore assoluto non contrattabile (Luca lo stesso) o di quanto siano false troppe presunte regole del vivere oggi (Bologna è una regola), si guardi alle riflessioni dette in minore, per il pudore di cui sopra, ma pesantissime di Happy o alla dolce e umanissima preghiera laica Dio in cosa crede. Sino ad arrivare alla delicata provocazione di Chiedo scusa, ispirata a una lirica della poetessa Szymborska, che forse sintetizza la forza di senso di Pop-Up fra spunti rielaborati e originalità di pensiero. “Chiedo scusa al mondo se non lo cambierò / Alle guerre lontane che non mi fanno del male / Ai senzatetto nel freddo mentre io dormo beato / No, non seguo la scia, cerco sempre un’idea, prima di andare via mi inchino alla platea”. Già: e dalla platea, sempre più disarmata dalla povertà della canzone di oggi, scatta l’applauso per chi, canzoni, sa ancora farne. Carboni, perché pensa di non aver nulla da dire più di quanto detto nel Cd? Spesso quando finisci un album hai paura che non sia capito.

Pop-Up invece penso sia esplicito, senza difficoltà di lettura. Pop nel senso più bello del termine, insomma. Pop d’autore, comunque. O no? Sono partito dall’idea di rifare Forever o il disco di Mare mare, dal desiderio di contaminarmi ancora con una musica in realtà lontana da quella d’autore, più energica e fisica. Per questo ho lavorato con Michele Canova che usa bene elettronica e programmazioni, e in tutto l’album hanno suonato soltanto tre musicisti. Inoltre ho pensato un pezzo alla volta, lavorando sul portatile e poi inviando i file a Michele fino al brano Invincibili che è su disco come è nato e l’ho registrato all’Isola d’Elba in agosto. Come si definisce oggi, Luca Carboni? Rifletto molto sul mio ruolo. E lo canto pure. Penso sia tempo di parlare d’amore. Infatti parlo di odio… Non è una contraddizione: è che ce n’è troppo, in giro, e denunciarlo è l’unica maniera per combatterlo. Vent’anni fa mi vantavo di essere entrato nelle hit senza cantare canzoni d’amore, ora so quanto vale riuscire a scriverne davvero. Di qui anche l’hashtag #undiscopuòdarelafelicità? Certo. Perché mi ha dato felicità lavorare a questo album in un

scheda Nel bel videoclip di Luca lo stesso, che ha contribuito a riportare Carboni nelle hit, il cantautore è accompagnato da una band al femminile: più fotomodelle che musiciste, però, a occhio. Anche perché l’ironia della faccenda è evidente. E poi del resto a Luca sfugge un “avevo una band”, al passato, che fa capire quanto davvero a questo Pop-Up egli abbia lavorato da solo, in stile music maker all’americana, senza troppi musicisti ma cercando il proprio nuovo suono nelle potenzialità elettroniche dell’oggi. Quindi, in tour come si fa a portarlo, questo bel Pop-Up? Carboni ride, e risponde come segue. «Infatti ci sto pensando, e per questo presentando il disco non ho proposto anche una tournee, come si usa, e in cartella stampa non vi accenno neppure… Ma visto che me lo chiede, le confesso che vorrei fosse un tour figlio legittimo del disco, con lo stesso suono e idee esterne alla musica, funzionali al suo raccontare. Già il clip di Luca lo stesso è una citazione cinematografica del video di Robert Palmer Addicted to love. Vorrei che anche nel tour ci fossero rimandi a un mondo visuale anni Ottanta, con molta new wave… Ci penso per un po’, poi in primavera ne saprete certamente di più». AP

certo modo per parlare di determinate cose, dal concetto di disco, a quando andavo a comprare gli album della PFM… Il disco ha una funzione sociale, agisce sulle persone, sull’anima, sul cuore. Ed è una funzione oggi troppo sminuita. Vede che dice molto anche fuori dalle canzoni? Senza contare brani tipo Dio in cosa crede… Che è una domanda da bambino, poi. Se noi crediamo in Lui, Lui deve per forza credere nel nostro modo di amare. Quindi l’amore terreno cos’è? Ha una sacralità, un mistero, qualcosa di divino? Volevo indagare su questo. E Luca lo stesso? È una rivendicazione orgogliosa, del tipo “sono ancora qui”? Non è nata per quello, ho scelto io di stare in disparte o fare dischi meno diretti… È una riflessione sull’amore e le sue contraddizioni odierne per arrivare a dire ancora che come lo vedeva, che so, Prévert, è l’amore vero. Ma per tornare alla domanda, ci tengo a essere ascoltato: però non ho mai lottato per riuscirci, né mai sofferto per non essere il primo.

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COPERTINA

Casa, In Italia negli ultimi anni, complice la crisi, il difficile accesso alla casa, che tocca da vicino sempre più italiani, rappresenta uno dei problemi più gravi, creando fenomeni crescenti di marginalità ed esclusione sociale. In assenza di politiche e di misure strutturali, le famiglie sotto sfratto (in costante aumento) spesso si vedono costrette ad occupare case popolari lasciate “vuote”. Ma ci sono dei progetti che funzionano. Scarp li è andati a cercare e ve li racconta

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diritto negato novembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

di Alberto Rizzardi

Gli italiani tornano ad avere speranza nel futuro? A dirlo è l’Istat, che nel settembre scorso ha certificato una risalita dell’indice di fiducia tra consumatori – il dato più alto degli ultimi tredici anni – e aziende, con un miglioramento delle attese sul fronte occupazionale e dell’economia in generale. Quest’anno sono aumentati i mutui concessi dalle banche. Vero: il dato emerge dall’indagine Abi sui primi otto mesi dell’anno, che quantifica in un +86% l’incremento dei mutui per l’acquisto di una casa rispetto allo stesso periodo del 2014. Ma, entrando nel dettaglio, si scopre, che il 29% di questi mutui sono in realtà surroghe, ovvero vecchi contratti, stipulati spesso prima della crisi, che vengono spostati da una banca all’altra, rinegoziando con-

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dizioni più vantaggiose. E questo non perché sia un’operazione divertente da fare, ma perché alle condizioni precedenti non si riesce più a far fronte. Casa, problema irrisolto La realtà è che il disagio abitativo in Italia resta forte: non lo chiamiamo emergenza, perché emergenza non è più da tempo. Un barometro importante per capire come stanno le cose nel Paese è il report “Un difficile abitare”, curato da Caritas Italiana, Sicet e Cisl: un’indagine nazionale sui problemi abitativi condotta intervistando un migliaio di utenti dei Centri d’ascolto Caritas e degli sportelli Sicet di quindici città italiane. Cosa emerge? In sintesi, i dati confermano che il disagio abitativo, nelle sue diverse configurazioni e livelli di intensità, ha raggiunto

e superato la soglia dell’emergenza sociale: negli ultimi anni, complice la crisi, il difficile accesso alla casa, che tocca da vicino sempre più italiani, ha rappresentato uno dei problemi più gravi, creando fenomeni crescenti di marginalità ed esclusione sociale. Tralasciando i casi di grave esclusione abitativa (senza dimora, profughi, eccetera), l’indagine offre dati interessanti sul fronte della sofferenza abitativa media, ovvero persone e famiglie “normali” che vivono in territori non necessariamente connotati da grave marginalità socio-economica.

Dallo studio emerge che quasi il 70% degli intervistati vive in una casa o appartamento in affitto, con un non trascurabile 8,5% che ha per casa soluzioni provvisorie, ovvero solo una stanza o un


MILANO

Franco sarà presto buttato fuori casa: «Sono invalido e senza lavoro. Cosa farò?»

Gli sfratti esecutivi negli ultimi quattro anni hanno avuto un picco di crescita. La metà delle persone che si rivolgono al sindacato inquilini Cisl e il 70% di chi va ai centri di ascolto di Caritas ha problemi a pagare l’affitto o il mutuo

posto letto. La metà delle persone che si rivolgono al Sicet dichiara di incontrare grandi difficoltà nel pagare l’affitto, la rata del mutuo o le spese condominiali (quasi il 69% tra gli utenti Caritas). Disagio che aumenta Considerando che l’indice calcolato dalla Banca d’Italia colloca una famiglia in situazione di potenziale sofferenza quando il peso dell’affitto o mutuo supera il valore-soglia del 30% sul reddito totale, la quota di disagio calcolata sulla base di questa soglia mensile individua tra gli utenti Caritas-Sicet livelli di sofferenza del 73,2% tra chi è in affitto e del 71,4% tra chi paga un mutuo. C’è poi tutta la questione dell’edilizia residenziale pubblica, una delle più controverse realtà nel nostro Paese: vicenda annosa che la crisi ha semplicemente acui-

scheda Caro affitti 13,3% il rapporto tra la spesa media per l’abitazione e il reddito medio mensili a livello nazionale 30,8% per le famiglie in affitto (nel 2004 era il 26,9%) 26,2% (dati Eurostat) l’incidenza media delle spese per l’abitazione sul reddito disponibile nell’area UE-28 33,5% in Italia Il valore più alto in Romania (76,3%), il più basso in Finlandia (11,8%) Sfratti 1 sfratto ogni 334 famiglie residenti (nel 2013 era 1 ogni 351) 6 regioni e 51 province hanno rapporto sfratti/famiglie peggiori del dato nazionale Maglia nera: Barletta-AndriaTrani (1 sfratto ogni 133 residenti) Il patrimonio Erp Circa 2 mln le persone che abitano nel patrimonio residenziale pubblico gestito dagli ex Iacp

Tra qualche settimana qualcuno busserà alla sua porta. Verranno a dirgli che se ne deve andare da casa perché lo sfratto è diventato esecutivo. Franco sa benissimo tutto questo ma non c’è molto che possa fare: ha 64 anni, è invalido al cento per cento, non ha i soldi per pagarsi un altro affitto né un lavoro con cui guadagnarseli. Di storie come la sua ce ne sono migliaia. Franco ha in corso uno sfratto per morosità perché non ha pagato l’affitto per mesi, e a metà novembre arriverà a sloggiarlo da casa, molto probabilmente, la “forza pubblica”. Secondo il Sicet, il sindacato casa e inquilini della Cisl, solo a Milano fino al giugno di quest’anno gli sfratti con procedura esecutiva erano più di 14 mila. Significa che ci sono più di 14 mila persone che si trovano nella stessa situazione di Franco. E pensare che tutto nella sua vita prometteva bene: «Facevo il direttore vendite di una multinazionale – racconta – ero sposato e avevo tre figli. Qualche anno fa ho cambiato lavoro: ho aperto una mia società di gadget promozionali e allo stesso tempo sono stato assunto in un’azienda del settore librario». Finché qualcosa ha cominciato ad incrinarsi, prima di tutto nella sua vita familiare. «Io e mia moglie ci siamo divisi – racconta ancora Franco – così mi sono trovato un trilocale, perché mia figlia, ancora minorenne, veniva a trovarmi e spesso stava con me, quindi volevo garantirle una stanza. L’affitto era di 1.060 euro al mese». Poi, comincia ad andare male anche il lavoro. Con i gadget le cose non funzionano, l’azienda libraria lo licenzia, e dal 2013 Franco non riesce più a pagare l’affitto. «Ho ottenuto quella che viene chiamata “morosità incolpevole”’, e in virtù di questa, una proroga prefettizia sullo sfratto. Ma adesso il tempo sta per scadere. Tra poche settimane, lo sfratto diventerà esecutivo e io finirò in strada». La morosità incolpevole, stabilita per legge nel 2014 dal “Decreto Lupi”, è la “situazione di sopravvenuta impossibilità a pagare il canone locativo in ragione della perdita della capacità reddituale del nucleo familiare”. In virtù di questo, la legge ha creato un fondo con il quale è possibile trovare un accordo economico: l’affittuario accetta un risarcimento e si impegna a rinnovare al moroso il contratto. «Ma questo decreto è stato un fallimento – commenta Leo Spinelli, segretario del Sicet Milano – perché i soldi offerti ai proprietari sono pochissimi e quindi, di fatto, nessuno ha aderito. Il vero problema sta invece nei redditi troppo bassi delle famiglie sfrattate e nella conseguente impossibilità a pagare gli affitti. I soldi stanziati dal Decreto, 1,8 milioni di Euro, potevano piuttosto essere usati per sistemare 400/600 appartamenti da assegnare a persone nella stessa situazione di Franco». Stefania Culurgioni

140 mila disabili 600 mila over 65 130 mila extracomunitari Il 34% delle famiglie ha un reddito sotto i 10 mila euro annui Circa 650 mila le domande di alloggi ERP in attesa novembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA to. Il problema è sempre quello: mancano misure strutturali da parte della politica. L’ultimo vero intervento risale al dopoguerra, grazie all’allora ministro Amintore Fanfani, cui seguirono, nel tempo, la legge 167, i Piani di edilizia pubblica e i fondi Gescal, tutti tra gli anni Sessanta e Settanta.

Poco o niente nei decenni seguenti, soprattutto nulla di risolutivo, con la patata bollente passata agli enti locali, che, con risorse sempre più risicate, hanno provato ad affrontare la cosa come potevano. Mettendo toppe anche buone qua e là e appoggiandosi spesso al terzo settore. Ma ancora oggi l’edilizia

residenziale pubblica deve fare i conti, da Nord a Sud, con sfratti (150 mila sentenze di esecuzione nel 2014, quasi 80 mila provvedimenti esecutivi, il 90% per morosità incolpevoli), chilometriche liste di attesa per l’assegnazione degli alloggi, occupazioni, patrimoni inutilizzati, oltre a fenomeni diffusi di mala gestione e clientelismi. Alloggi: la “fame” resta alta Tradotto: la fame di alloggi, sociali e non, aumenta, specie tra le fasce più deboli della popolazione, ma l’offerta è inadeguata e le risposte istituzionali seguitano a essere deboli. Solo il 23,5% del campione dell’indagine Caritas-Sicet usufruisce di una o più misure socioassistenziali, nazionali o locali: la misura più diffusa, il Fondo sociale affitto, è stata fruita da appena il 10,6% del campione; seguono, a distanza, il Fondo sociale Erp, il Fondo sostegno morosità incolpevole e altre misure, come la sospensione del mutuo. Ma non basta: servono interventi strutturali e servono al più presto. Perché quella luce che molti credono di vedere in fondo al tunnel non si riveli il faro accecante di un treno che rischia di travolgere tutto e tutti.

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Uno dei tristemente famosi Bipiani di Ponticelli alla periferia est di Napoli. Tanti gli occupanti nonostante le condizioni abitative più che proibitive

Se un tetto non basta: tra i disperati di Ponticelli di Laura Guerra

Viaggio di Scarp tra le 400 persone che, dimenticate da tutti, cercano comunque di avere una vita normale

Abbandono. È la sola parola che può raccontare e fotografare i Bipiani di Ponticelli, periferia est di Napoli. Agglomerato di prefabbricati in eternit a due piani costruiti per accogliere gli sfollati del sisma del 1980, oggi sono una favela che concentra e intreccia degrado urbano sociale, abitativo, umano. Trentacinque anni dopo il terremoto sono abbandonate le persone: oggi vi sopravvivono circa 400 tra ivoriani, albanesi, rumeni, famiglie di italiani occupanti abusivi, eredi di un disagio abitativo che si tramanda da generazioni. L’unico tetto, gelato d’inverno e rovente d’estate, che possono mettersi sulla testa è quello di questi alloggi fatiscenti. Le pareti diffondono la tossicità di pannelli di amianto completamente sventrati


150.076

77.278

Le richieste di esecuzioni di sfratto nel 2014 (+14,6% rispetto al 2013)

I provvedimenti esecutivi, di cui 69 mila per morosità. 36 mila gli sfratti eseguiti

TORINO

Residenza D’Orho: luogo dove si può ricominciare La residenza temporanea “D’ORHO”, acronimo di “Don Orione Housing”, attiva a Torino dall’ottobre 2013, è un servizio offerto dalla Caritas diocesana, in collaborazione con l’ordine degli Orionini, il comune di Torino e la cooperativa Sinergica. Lo stabile nel dopoguerra era una scuola di arti e mestieri, divenne poi una casa di accoglienza per operai provenienti da fuori Torino e successivamente una struttura di accoglienza per studenti. Al suo interno vi sono una biblioteca, una cappella, una sala relax, cucine, lavanderia, oltre agli alloggi con una capienza complessiva di 95 persone. «Il progetto – spiega un operatore della Cooperativa Sinergica che ha in gestione la struttura – è rivolto in particolare a persone o famiglie che hanno perso l’abitazione e sono alla ricerca di una nuova collocazione abitativa. Durante il periodo di permanenza, che è previsto per un tempo massimo di due anni, oltre che un’abitazione viene fornito un servizio di accompagnamento e un supporto psicologico, quando necessario: si tratta di persone che con-

NAPOLI

ed esposti al respiro di bambini, adulti, anziani. Gli impianti elettrici sono allacci volanti di grovigli di fili scoperti; basta un acquazzone appena più forte e tutto si allaga; non ci sono servizi, non ci sono associazioni che supportano i destini di queste 400 persone dimenticate da tutti. Non solo disagio abitativo Gli ultimi ad essersene occupati sono stati i volontari delle Caritas di tre parrocchie della zona, hanno operato per offrire diritti minimi di cittadinanza stilando un protocollo con il comune di Napoli. Per Massimo Clemente, urbanista e direttore di un gruppo di ricerca del Cnr, situazioni croniche come i Bipiani di Ponticelli, le Vele di Scampìa, gli scantinati del Rione Traiano andrebbero affrontati «mettendo al centro non solo il

concetto di disagio abitativo ma il disagio dell’abitare. L’approccio – spiega il docente – non può essere solo quantitativo, rispondendo con la costruzione di nuovi alloggi in zone che diventano nuovi ghetti, ma di rigenerazione urbana, recuperando gli immobili che ci sono, attrezzando servizi, luoghi di incontro e di cultura, garantendo trasporti efficienti e regolari». Come dire un tetto, da solo, non basta. «Non è solo e sempre una questione di soldi che non ci sono – conclude Clemente – a volte le risorse economiche sono disponibili quello che manca è un approccio urbanistico collaborativo, già sperimentato in tante città europee, che esprima una visione frutto di una riflessione condivisa fra i vari attori sociali: istituzioni, associazioni, imprenditori e urbanisti».

ducevano una vita normale, che spesso vivono la caduta in povertà con un profondo senso di vergogna e che, spesso, non sanno orientarsi fra le risorse presenti sul territorio; in questi casi la rapidità d’intervento è fondamentale». Caso emblematico è quello di un cinquantenne che si è trovato senza casa dopo un divorzio. «Pur avendo conservato l’impiego, – raccontano gli operatori – il pagamento degli alimenti all’ex moglie e alcuni debiti pregressi lo avevano costretto a trascorrere le notti nelle sale d’aspetto degli ospedali, con inevitabili ricadute sul posto di lavoro: ciò nonostante non aveva mai chiesto aiuto, fino al giorno in cui, in seguito ad un colloquio con la psicologa presente nell’azienda in cui lavora, il problema è emerso in tutta la sua drammaticità. Ospitato per sei mesi, è riuscito a riannodare i fili della propria esistenza: è uscito dalla struttura poche settimane fa per trasferirsi in un alloggio che è riuscito ad affittare ad un prezzo calmierato e ricominciare ad avere una vita normale». Vito Sciacca

VICENZA

Marco prossimo allo sfratto salvato da un progetto Caritas Mi chiamo Marco e sono vicentino. Lavoravo alla Dainese, ditta che produce abbigliamento per motociclisti, come magazziniere. Dopo 14 anni di impiego la fabbrica viene ceduta per l’80% e cominciano le riduzioni di personale. Con altri 3 o 4 perdo il lavoro e mi ritrovo disoccupato. Insomma l’iter è quello solito, cassa integrazione, poi sussidi e poi più nulla. Dopo tre anni di lavoretti saltuari, con due figli a carico gli alimenti alla moglie da cui ho divorziato, ho cominciato a non poter rispettare tutti pagamenti. Ne ho parlato subito con il padrone di casa, che abita sotto di me, tra noi c’era un buon rapporto, e mi ha aiutato sempre. Diceva: «Dai, Marco, dove vuoi andare, io ti conosco, sei una brava persona, preferisco aiutare te che ricominciare daccapo con persone sconosciute». E così ho tirato avanti finché purtroppo il proprietario è mancato qualche mese fa. Con gli altri familiari non c’è questa confidenza né questa fiducia. Per fortuna ho potuto usufruire del progetto della Caritas diocesana “Affitti sociali” e, per sei mesi, la rata sarà abbattuta dal contributo del Comune, da quello della Caritas e il canone d’affitto sarà minore. Proprio stamattina però i nuovi proprietari mi hanno detto che allo scadere di questo progetto dovrò onorare tutte le rate del canone senza saltarne nemmeno una, pena lo sfratto immediato. Io continuo a lottare, a cercare lavoro, a pensare ai miei ragazzi, ci vorrebbe però anche un po’ di fortuna. (Per info sul progetto Affitti sociali di Caritas vicentina si può visitare il sito www.caritas.vicenza.it) novembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

LA STORIA

Abdel, lo chef di Diego Armando Maradona che rischia di finire in mezzo alla strada

Housing First: garantire il diritto all’abitazione per poi prendersi cura delle persone. A destra il complesso “le 4 corti” realizato dalla cooperativa Dar Casa nel quartiere milanese di Stadera

Abdel si ricorda ancora di quella volta che Diego Armando Maradona entrò in cucina per complimentarsi per il piatto di pesce che aveva mangiato. Ai fornelli c’era lui e fu una grande soddisfazione. È egiziano, originario de Il Cairo, ha 63 anni e sta per perdere la casa. I tempi dei complimenti allo chef sono finiti da un pezzo, adesso ci sono arretrati di affitto di mesi e un provvedimento dell’autorità giudiziaria che sta per diventare esecutivo. Ci sono anche una moglie e una bambina di 11 anni, molto più concrete dello sfratto, che rischiano presto di finire per strada. «Lavoravo in un ristorante famoso dove venivano a mangiare politici come Bettino Craxi, sportivi come Maradona e personaggi dello spettacolo come Adriano Celentano, Mike Bongiorno e Gigi Sabani», racconta Abdel. La sua poteva sembrare la classica storia da copertina, di un riscatto dalla povertà: arrivato in Italia a 19 anni, inizia facendo il lavapiatti in un ristorante. Il capo cuoco però lo prende in simpatia, non ha figli e quel ragazzo diventa una specie di protetto da far crescere. Sotto la sua ala, Abdel impara a cucinare, diventa a sua volta chef. «Nel 1987 portavo a casa uno stipendio di 2.700 euro – ricorda – lavoravo fino alle tre del mattino ma stavo bene». Poi il ristorante comincia a non andare bene e dopo una lunga agonia, nel 2012, chiude i battenti. Abdel, che nel frattempo ha una figlia e una moglie, si ritrova a 60 anni senza un lavoro e quelli che trova da quel momento sono tutti precari. «Ci siamo spostati in un monolocale, ma dal 2013 non riesco più a pagare l’affitto – dice – presto scadrà anche per me la morosità incolpevole, e poi? Cosa sarà di noi? Come farà la bambina ad andare a scuola ad avere un futuro senza un tetto sotto cui stare?». Questa è la sua preoccupazione più grande. Stefania Culurgioni

Housing first In Sicilia la Caritas lancia la sfida di Alberto Rizzardi

Partire dal “diritto al tetto” per prendersi cura dei bisogni delle persone a tutto tondo facendo rete. Un’idea che funziona 30 Scarp de’ tenis novembre 2015

Tra le realtà italiane che meglio hanno affrontato la questione del disagio abitativo c’è la Sicilia, dove quasi due anni fa la delegazione regionale Caritas e Fiopsd, la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, hanno avviato un progetto pilota di Housing First, che vede cooperare tredici delle diciotto Diocesi della regione. Obiettivo: proporrenuove strade per le persone in difficoltà abitative, in un territorio quasi del tutto privo di strutture di bassa soglia. Il punto di partenza è lo stesso dell’Housing First europeo: la casa come diritto fondamentale da cui partire per poi sistemare tutto il resto. Prima una mappatura delle risorse abitative esistenti sul territorio e degli alloggi presenti ma non utilizzati; poi la creazione di una rete pubblico-privato per un

cambio di rotta concreto sul fenomeno dell’esclusione abitativa. Una rete di 57 appartamenti Oggi sono 145 le persone e 57 gli appartamenti coinvolti nel progetto: «Si conferma la validità dell’approccio Housing First – spiega Domenico Leggio, direttore di Caritas Ragusa e vicepresidente del Network Italia HF di Fiopsd – ovvero la possibilità che le persone, inserite in un percorso abitativo, possano essere seguite da operatori per risolvere anche altri problemi, come la mancanza di lavoro. Non basta trovare un alloggio: serve un più ampio (e personalizzato) percorso di accompagnamento e integrazione delle persone, facendo rete con le realtà del territorio. La cosa sta finora dando buoni frutti, anche inaspettati». Il tutto – e qui sta la grande differenza rispetto al modello originario di Housing First – concen-


LA STORIA

Viviana ringrazia Dar Casa: «Senza di loro non avrei una famiglia»

LA STORIA

Nawal dallo sfratto alla sicurezza: «Senza un tetto perdi la speranza»

IL PROGETTO

trandosi sulle famiglie e sul disagio abitativo medio più che sui casi di marginalità sociale estrema (homeless). Ma a richiesta di casa negli ultimi anni è cambiata.

«Mentre in passato – spiega Leggio – il problema alloggiativo riguardava situazioni conclamate di “povertà ereditata”, ovvero perso-

ne e famiglie che, in virtù di uno stile sbagliato di tramando di padre in figlio (il mancato pagamento del canone di una casa popolare, non per necessità ma per “consuetudine”), negli ultimi quattro anni lo scenario è mutato radicalmente: tante famiglie hanno perso la casa perché, perdendo il lavoro, non sono riuscite più a pagare l’affitto o la rata del mutuo. E così anche tanti pensionati, cui l’assegno mensile non basta. Il problema più grande è che in Sicilia, come a livello nazionale, mancano adeguate politiche di edilizia abitativa».

Una laurea in Economia e Commercio alla Statale di Milano, un lavoro precario come traduttrice, un bambino piccolo, un marito con un impiego temporaneo che poi non viene rinnovato. È la storia di Nawal, 36 anni, italiana e giovane mamma che, improvvisamente, si è ritrovata senza casa. «I miei genitori sono marocchini, io vivo in Italia da 25 anni, ho fatto le medie, le superiori e l’università qui e ormai ho la cittadinanza – racconta – ho trovato lavoro presto, come traduttrice nei Tribunali, un lavoro bellissimo ma davvero molto instabile e poco remunerativo». La storia di questa giovane donna è emblematica: Nawal viveva a Brescia in un appartamento in affitto. Il contratto parlava sulla carta di 300 euro ma quelli veri che la famiglia doveva versare erano 500. «Mio marito lavorava come operaio ma quando è rimasto a casa, ci siamo trovati davvero in difficoltà. Alla fine ci hanno dato lo sfratto». La situazione si è risolta solo dopo sei mesi, quando un’amica di Nawal le ha fatto conoscere Dar Casa, una cooperativa di abitazione di Milano che dal 1991 aiuta le persone in difficoltà a trovare case, esclusivamente in affitto, a prezzi agevolati. Oggi Nawal ha una casa sicura con un affitto basso, ha trovato lavoro come impiegata e suo marito come magazziniere. «Negli ultimi due anni sono aumentate le famiglie in difficoltà – dice Sara Travaglini, responsabile della cooperativa – non riescono più a pagarsi l’affitto e vengono sfrattate». Oggi Dar Casa gestisce a Milano e provincia 250 alloggi che sono tutti già abitati, la lista d’attesa è lunga perché chi riesce ad ottenerne uno paga un canone agevolato, ma deve dimostrare che il suo reddito è basso. «Restare senza casa è come non avere più la sicurezza di niente – ricorda Nawal – è una cosa emotivamente devastante. Adesso siamo più tranquilli ma il sogno di comprare una casa nostra resterà nel cassetto». SC

«Se non fosse stato per Dar Casa non avrei mai potuto farmi una famiglia». Comincia così il racconto di Viviana, 43 anni, oggi impiegata e mamma di due ragazzi adolescenti. La sua vicenda abitativa inizia nel 1996 quando sua nonna viene a mancare. Viviana abitava in casa con la nonna e di fatto, trattandosi di case popolari, continua ad abitarci ma senza averne titolo perché non aveva mai fatto le procedure burocratiche che servivano. In pratica, pur vivendo in quell’appartamento da anni, diventa abusiva. «Lo sgombero era imminente – dice – e nonostante mi fossi sposata, dopo qualche anno, non me la sentivo di fare dei figli». Le cose cambiano quando Viviana conosce Dar Casa e proprio nel 2004 la Cooperativa ristruttura e assegna 48 alloggi all’interno del progetto di riqualificazione delle Quattro Corti, un complesso immobiliare degradato di proprietà Aler al centro del quartiere Stadera a Milano: Viviana e suo marito sono tra gli assegnatari. «Eravamo tutte famiglie giovani e con pochi soldi – ricorda – con le nostre capacità economiche non ce l’avremmo mai fatta». Oggi Viviana ha due figli e vive in un trilocale che paga 700 euro al mese, un affitto più basso di quello di mercato. SC

Dar Casa ottiene, pagandone l'affitto, la gestione di abitazioni di proprietà pubblica inutilizzate e a rischio di degrado, per ristrutturarle e metterle a disposizione di chi sta cercando casa a prezzo moderato. Gli affittuari pagano un affitto di poco superiore a quanto l'associazione paga all'ente pubblico: la differenza è che è l'associazione a pagare la ristrutturazione. In questo modo si dà una casa a famiglie impossibilitate ad accedere al mercato immobiliare e si recupera il patrimonio edilizio pubblico. Attraverso questo metodo sono state recuperate oltre 200 abitazioni nell'area milanese (fra cui spiccano il Villaggio Grazioli e le Quattro Corti). novembre 2015 Scarp de’ tenis

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One Vibe Africa, una musica può fare di Carlotta Peviani

Usare la musica come strumento di promozione sociale e umana: questa la proposta del progetto attivo a Kisumu in Kenya e fatta propria da Emanuele e Micol che hanno operato dentro l’orfanotrofio dello slum di Manyatta 32 Scarp de’ tenis novembre 2015

Metti una serie di coincidenze perfette e in men che non si dica ti ritrovi volontarioartista in Africa. Èl’incredibile storia accaduta a due ragazzi di Lecco, Micol ed Emanuele, che grazie a una naturale predisposizione ad aprirsi agli altri si sono ritrovati a operare in una realtà difficile come quella di Kisumu, città kenyota affacciata sul Lago Vittoria. Ma andiamo con ordine. Estate del 2014, Micol de Brabant è una studentessa universitaria iscritta al corso di antropologia e proprio per una ricerca che sta compiendo, deve recarsi in Kenya. Ed è a questo punto che entrano in gioco una serie di coincidenze. Proprio a Kisumu, dove alloggia Micol nel 2008 è nato un progetto di volontariato unico nel suo genere rivolto ai bambini e ai ragazzi di strada della città. L’idea è di Simon Javan Okelo, allora giovane dj di Kisumu, desideroso di fare qualcosa per aiutare i suoi coetanei e quelli ancor più piccoli di lui, a salvarsi dalla strada, dalla droga, dall’alcool e dalla violenza e a impiegare le


SOLIDARIETÀ

Alcuni ragazzi del progetto One Vibe alle prese con le percussioni. Qui sopra Emanuele insieme ad alcuni dei suoi alunni di Kisumu

Quando sono andata a vedere la scuola mi è piaciuto il modo concreto di aiutare i ragazzi. Nel giro di pochissimo tempo sono riusciti ad aprire un piccolo studio di registrazione dove incidere le canzoni. Il ricavato della vendita dei cd serve a finanziare la scuola

loro giornate in qualcosa di costruttivo e creativo. Appoggiato dalla sua famiglia e da alcuni amici artisti, crea una piccola scuola di musica all’interno dell’orfanatrofio Young Generation Center a Manyatta, uno slum di Kisumu, aprendo le iscrizioni ai corsi musicali – gratuiti –non solo ai bambini dell’orfanatrofio, ma anche a tutti i ragazzi della città. In poco tempo la scuola amplia l’offerta dei corsi, proponendone anche dedicati alla danza e alla pittura. Via dalla strada Nasce così One Vibe Africa, un’organizzazione no profit, che allontana i ragazzi di Kisumu da un destino incerto – molti bambini passano le loro giornate in strada – mettendo a disposizione uno spazio dove esprimere il proprio potenziale creativo. Ritornando a quell’estate del 2014 è proprio con alcuni dei volontari-artisti della scuola che casualmente Micol entra in contatto durante il suo soggiorno in Kenya. Micol ha già avuto in Italia esperienze di volontariato e in più suona il clarinetto, ma mai si sarebbe immaginata di conoscere e vivere da vicino una realtà così.

coinvolta, erano molto curiosi da tutto ciò che veniva dall’esterno. Avevano bisogno di un aiuto, non solo di tipo economico, ma anche di persone che aiutassero i loro insegnanti a migliorare i corsi». Micol, al termine di quell’estate, torna in Italia con nel cuore ancora i volti di quei ragazzi e con il desiderio di fare qualcosa di concreto per loro e con la voglia di diffondere questo progetto. Poco dopo conosce Emanuele Panzeri, un giovane di Lecco da anni nel settore del volontariato – fa l’educatore in oratorio da vent’anni –e con il sogno nel cassetto di andare in Africa. Non solo. Emanuele, che di lavoro fa il designer, è un musicista, canta, suona molti strumenti e ha un proprio gruppo musicale: l’identikit perfetto del volontario per One Vibe Africa. Ad agosto di quest’anno Emanuele par-

te per Kisumu e resta anche lui affascinato da questo approccio nuovo al volontariato, dove l’arte diventa un modo concreto per aiutare. Corsi aperti a tutti «Javan, il fondatore di One Vibe Africa, che dal 2010 vive negli Stati Uniti continua a lavorare per il progetto, raccogliendo i fondi necessari a sostenere la scuola. In questo modo i ragazzi non devono pagare per partecipare ai corsi. Per alcuni di loro la danza si è poi trasformata in una vera professione – dice Micol –. Con Emanuele vorremmo creare una rete che coinvolga altri volontari-artisti . Creatività, spirito di adattamento, abilità artistiche e apertura verso gli altri: sono questi i requisiti di chi cerchiamo. In cambio di un’esperienza unica».

LA STORIA

Emanuele, “maestro” di musica e vita: «Esperienza unica: servono volontari»

«Quando sono andata a vedere la scuola mi è piaciuto il modo concreto di aiutare i ragazzi. Nel giro di pochissimo tempo sono riusciti ad aprire un piccolo studio di registrazione dove incidere le canzoni dei ragazzi. Il ricavato delle vendita dei cd serve a sovvenzionare la scuola – dice

«Ho sempre pensato che la musica è un linguaggio in grado di superare ogni tipo di barriera, linguistica e culturale – racconta Emanuele –, ed è una passione che coltivo da sempre insieme con quella dell’educatore. Per questo quando si è presentata l’occasione di metterla a disposizione di chi ha bisogno, non ho esitato un attimo e mi sono buttato in questo progetto». Il viaggio di Emanuele a Kisumu è stato organizzato da Micol insieme al team della scuola. «Il mio compito – continua Emanuele – era quello di formare una “vera” band musicale con i ragazzi. In Kenya, infatti, il concetto di musica è molto differente dal nostro. Ognuno canta e suona fin da piccolo in modo spontaneo e individuale. Non esistono regole, così come non fa parte della loro cultura l’accostamento di più strumenti musicali. Per questo non è stato facile all’inizio spiegare ai ragazzi il concetto di gruppo, ma dopo un po’ alcuni di loro si sono appassionati all’idea». Attraverso le lezioni di chitarra Emanuele ha cercato di trasmettere la bellezza della condivisione della musica di gruppo. «È stato davvero emozionante – dice ancora Emanuele –. Le tre settimane che ho trascorso con loro sono state indimenticabili. Ho stretto con i ragazzi dell’orfanotrofio, e non solo, legami fortissimi, dati dal loro forte bisogno di comunicare. Ho composto anche delle canzoni con alcuni di loro che ho registrato su cd e che vorrei vendere qui in Italia per ricavarne dei fondi per la scuola. Ma a One Vibe Africa non servono solo fondi. Quello che occorre sono, soprattutto altri volontari-artisti che abbiano voglia di dare qualcosa di costruttivo».

Micol –. I bambini mi hanno subito

Info e contatti lelepanz@hotmail.it - www.onevibeafrica.org novembre 2015 Scarp de’ tenis

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Arrivano le nuove canzoni a colori

Tributo a Jannacci

altre cinquanta perle del repertorio jannacciano e le hanno assegnate ad altrettanti artisti del mondo del fumetto e dell’arte. Con molte sorprese e con

di Stefano Lampertico

La splendida tavola di Sergio Gerasi, scelta come copertina del catalogo di Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori

scheda “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori” è la nuova grande mostra tributo al maestro, curata da Davide Barzi e Sandro Paté e organizzata da Scarp de’ tenis, che raccoglie l’omaggio di cinquanta artisti e fumettisti al cantautore milanese. La mostra si terrà presso il Castello Sforzesco di Milano dal 10 dicembre al 15 gennaio. Inaugurazione 10 dicembre 2015, ore 18 Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori

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Cerchietto rosso sul 10 dicembre. Sull’agenda, sul calendario, sulla app dello smartphone. Insomma, dove volete. Quel che conta è tenere libera la sera del 10 dicebre, a partire dalle ore 18. In quel giorno, a quell’ora, al Castello Sforzesco di Milano, inaugureremo la grande mostra “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori”. Come anticipato sul precedente numero di Scarp de’ tenis la notizia, per i fan del grande Enzo Jannacci, ma non solo, è di quelle che non possono passare in secondo piano. Con la stessa formula di successo della mostra del 2013 “La mia gente. Enzo Jannacci, canzoni a colori”, tutte insieme in una nuova spettacolare mostra arrivano le opere di oltre 50 importanti fumettisti, artisti e illustratori italiani impegnati ciascuno a illustrare una canzone del maestro Enzo Jannacci.

“Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori”. È questo il titolo scelto dai curatori della mostra Davide Barzi e Sandro Paté, per il nuovo grande evento-tributo a Enzo. Che trova, grazie alla collaborazione con il Comune di Milano, una nuova spettacolare location: il Castello Sforzesco di Milano. La mostra infatti si terrà proprio presso il Castello di Milano, all’interno delle Sale della Civica Raccolta Bertarelli. Il Comune di Milano si aggiunge

dunque ad alcuni partner storici di Scarp de’ tenis, come Etica Sgr, la società di raccolta del risparmio del gruppo Banca popolare Etica, e come Fondazione Cariplo.

Nuova la location, nuove (quasi tutte) le firme dell’arte e del fumetto che, proprio in queste settimane, stanno ultimando le tavole con le canzoni assegnate. Davide Barzi e Sandro Paté hanno scelto le

qualche ritorno graditissimo. Torna infatti Silver con il Lupo più famoso d’Italia, che potete ammirare sulla copertina di questo numero. Torna Sergio Gerasi, l’autore della spettacolare tavola ritratto qui a fianco, che verrà utilizzata anche per il Catalogo ufficiale della mostra. E come anticipato, ci sarà anche un’opera speciale, di un grande maestro della musica, Paolo Conte. Che così ricorda Jannacci: «I due

miei concerti organizzati al Teatro Pier Lombardo da Nanni Ricordi e Sergio Martin significavano molto per me, era la prima volta che mi esibivo a Milano, allora non avevo orchestra, solo piano e voce. Quando ho saputo che c’era Jannacci tra il pubblico, a metà spettacolo ho detto semplicemente: “Jannacci, sei circondato, salta fuori”». Insieme con noi e con i curatori, avremo sempre gli amici di Spazio Wow - Museo del Fumetto di Milano e altri partner ancora.

I lavori degli artisti, originali, saranno ancora una volta battuti all’asta e i proventi raccolti saranno destinati alle finalità sociali di Scarp de’ tenis e per i progetti verso gli homeless e i gravi emarginati di Caritas Ambrosiana. Anche in questo caso, torna insieme con noi, un partner importante come Sotheby’s.

Le tavole saranno infatti battute nel mese di febbraio, presso la sede milanese della casa d’aste londinese. Come anticipato già su Scarp de’ tenis, nel periodo in cui la mostra resterà aperta, inoltre, troverete un ricco programma di incontri, testimonianze, approfondimenti su Jannacci e sulle sue canzoni. Per tutte le info, e per molte gustose anteprima,

potete visitare la pagina facebook della mostra al link: “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci,

nuove canzoni a colori”.


LA MOSTRA

novembre 2015 Scarp de’ tenis

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Hockey su prato: «In campo? Tutti italiani» di Stefano Ferrio

La federazione italiana di hockey su prato, nel 2013, ha scelto di applicare lo Ius soli, riconoscendo dunque come “italiani” tutti i giocatori e le giocatrici nati nel nostro Paese. Intanto in Tanzania c’è chi vive un sogno 36 Scarp de’ tenis novembre 2015

Tanti anni fa, così tanti da non saperne il conto, si praticava nella polvere, più che sul verde di un prato. Così come raffigurato nei geroglifici egizi che, nel complesso funerario di Beni Hassa, descrivono una partita svoltasi quattromila anni or sono, e non così diversa dalle attuali sfide fra squadre di undici giocatori, impegnati, in campi grandi come quelli da calcio, a usare i propri bastoni per fare gol nella porta avversaria. Una millenaria storia ci rivela dunque che l’attuale hockey su prato va considerato “sport di strada” per eccellenza. Nel XXI secolo praticato in ogni continente da milioni di uomini e donne. Con conseguenze estremamente positive, e sotto gli occhi di tutti. Al punto che, se siamo qui a scrivere di hockey su prato, è solo per suscitare una pazza voglia, a secon-


LA STORIA

Quando, alla codificazione delle sue regole, avvenuta in Inghilterra nel XIX secolo, è seguita una diffusione planetaria, grazie alla quale questo sport è tuttora amatissimo in Argentina come in Nuova Zelanda, in Pakistan come in Germania, in Olanda come nello Zimbabwe, In Usa, in India.

L’hockey su prato è la prima disciplina di squadra nella quale, sin da bambini, sono riconosciuti come “italiani” tutti i giocatori e le giocatrici nati nel nostro Paese.

Il presidente della Fih, Luca Di Mauro: «Abbiamo semplicemente risposto a una necessità: non vedere più ragazzini tristi, costretti a seguire dalla tribuna la partita dei compagni con cui si sono allenati per tutta la settimana».

da dell’età, di praticare o seguire uno sport libero, democratico e bisex come pochi. Non a caso la prima disciplina di squadra nella quale, sin da bambini, sono riconosciuti come “italiani” tutti i giocatori e le giocatrici nati nel nostro Paese. Compresi gli stranieri che, ancora privi di cittadinanza, possono qui giovarsi del cosiddetto Ius soli, diritto derivato dal luogo in cui si viene al mondo. Così ha stabilito nel 2013 la Fih, Federazione italiana hockey, su input del presidente Luca Di Mauro, di fronte alla necessità di «non vedere più ragazzini tristi, costretti a seguire dalla tribuna la partita dei compagni con cui si sono allenati per tutta la settimana». Una vocazione global “Parole sante” si sarebbe detto una volta, commentando questa spiegazione del presidente federale. Parole che trovano ragion d’essere in un’epopea fatta di palline che rotolano, e di bastoni che si incrociano per mandarle verso una “porta” o verso l’altra. Se infatti risulta facile immaginare che uno dei primi, spontanei giochi di gruppo sia consistito nel calciare una qualche palla di stracci, parodiando lo sport destinato a cambiare la vita di milioni di individui dalla fine dell’800 in poi, la ricostruzione della nascita dell’hockey è altrettanto immediata. Per simularla, basterà mettere un sasso e qualche ramo secco al posto di quel rudimentale pallone

da calcio. In effetti, “tracce” di hockey si rinvengono, oltre che in Egitto, nelle tradizioni di popoli antichissimi e sparsi fra le più varie latitudini: dalla Grecia alla Persia, al Giappone. Una vocazione globalconfermata dalla storia che l’hockey su prato ci racconta in epoca moderna.

Con una storia particolarmente gloriosa in India, la cui nazionale detiene il primato delle vittorie olimpiche, certificato da ben otto “ori”. Se passiamo a considerare l’Italia, il quadro offre due punti di vista. Di secondario interesse è sicuramente quello agonistico, vista la modestia delle patrie tradizioni, a cui rimandano albi d’oro internazionali dove i massimi risultati sono il settimo posto ottenuto dalle azzurre agli Europei del 2007, e il nono conquistato dagli azzurri agli Europei del 1987.

LA SCHEDA

Si pratica in Italia dal 1935: al primo posto il rispetto degli avversari L’anno di nascita dell’hockey su prato italiano risale al 1935. Entrata a far parte della Federazione Italiana Pattinaggio a Rotelle, questa disciplina raggiunse l’autonomia nel 1957, con la costituzione di una apposita Commissione Nazionale. Negli anni Cinquanta l’arrivo di tecnici stranieri favorì una crescita del livello tecnico, che portò la squadra nazionale a partecipare ai Giochi Olimpici del 1952 e del 1960. L'organismo fu poi riconosciuto dal Coni quale “aderente” nel 1973 come Federazione e divenne poi effettiva nel 1978. L’hockey su prato ha molte somiglianze con il calcio, nonostante si usi un attrezzo (un bastone ricurvo) per colpire la palla. Il terreno di gioco è rettangolare, in erba sintetica, e misura 91.40 per 55 metri. Al centro dei due lati più corti vi sono 2 porte davanti alle quali vi sono 2 aree (zone di tiro) quasi semi-circolari di 14.63 m (16 yards). Gli 11 giocatori possono essere sostituiti con una panchina (che conta di 5 elementi) e gli avvicendamenti sono continui e senza limitazioni. La partita, diretta da due arbitri, è composta da due tempi di 35 minuti con un intervallo di 10 minuti. Caratteristica fondamentale dell’hockey su prato è da ricercare in ambito culturale. L’hockey è, infatti, uno sport che si considera da veri gentiluomini, dove le doti morali e comportamentali sono messe al primo posto. Il rispetto dell’avversario e la multirazzialità sono aspetti fondanti di una disciplina. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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LA STORIA

La nazionale della Tanzania sogna grazia a una italiana La nazionale femminile della Tanzania con il commissario tecnico, l’italiana Valentina Quaranta

Vicini alla qualificazione Entrambe le nazionali non hanno ottenuto il visto per le Olimpiadi di Rio 2016, anche se le ragazze ci sono andate vicinissimo, perdendo solo agli shootout (equivalenti ai rigori nel calcio) il decisivo match contro l’India. Nè si può pretendere di più da una disciplina scarsamente diffusa nel paese, al punto che buona parte della sua storia è raccontata da scudetti e coppe con destinazioni ricorrenti, soprattutto Cagliari e Bra, in provincia di Cuneo. Guardando invece all’hockey su prato italiano dal punto di vista della cultura sportiva, ci troviamo di fronte a un autentico esempio, ispirato a valori come la democrazia, la solidarietà, le pari opportunità.

Patrimonio quanto mai

vivo e applicato alla realtà, come dimostra la straordinaria storia che sta raccontando al mondo intero un’atleta di nome Valentina Quaranta. Ex giocatrice della nazionale e della Lorenzoni Bra, questa trentenne, nella cui bellissima anima speranza e lotta sono una cosa sola, si trova dal 2012 in Tanzania, inizialmente inserita in un progetto di cooperazione internazionale, ma ben presto coinvolta emotivamente da una storia di hockey che finisce con l’assorbirla totalmente. Una volta scoperto che lo sport della sua vita è anche quello di tante donne tanzaniane, costrette a praticarlo nella più totale miseria, nonché osteggiate da mariti e genitori ancorati a retaggi patriarcali, Valen-

IL PROGETTO

“Sport modello di vita”: lo stile, dal web un progetto senza barriere L'esempio dell'hockey su prato sembra non essere caduto nel vuoto, all'interno dello sport italiano. Tanto è vero che nel 2013 ha dato vita al progetto nazionale “Sport modello di vita”, che la Fih condivide con altre cinque federazioni nazionali: badminton, canoa-kayak, ginnastica, lotta-arti marziali e pallavolo. Con il sostegno dell'Agenzia nazionale dei giovani, e un'attenzione rivolta in particolare agli under 14, il progetto, promosso attraverso manifestazioni e contributi a plessi scolastici dimostratisi sensibili all'iniziativa, mira a quattro obbiettivi: oltre all'inclusione sociale richiamata dal diritto di nascita, sono lo stile di vita, la tutela della salute e l'integrazione alla diversità. www.nvapple.it/nvradio

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tina dà vita a una campagna di solidarietà i cui frutti sono per ora la sua nomina a commissario tecnico della nazionale femminile della Tanzania, pronta a viaggiare in Sudafrica (se ci saranno i soldi per farlo) a disputare i match di qualificazione ai Giochi di Rio. Per la raccolta dei fondi necessari all’impresa, è stata lanciata una campagna di microcredito, di cui si può trovare notizia digitando in rete: “Sognando le Olimpiadi dalla Tanzania”. Sport di strada Sport di strada, sport di donne. Due verità profondamente intrecciate nella storia dell’hockey su prato. Lo stesso che, in pieno ‘800, lottando contro busti da indossare e preconcetti maschilisti da abbattere, praticavano le giovanette inglesi coetanee dei personaggi di cui narrano romanzi come “Cime tempestose”. Spontaneo movimento che favoriva la nascita, già nel 1895, di una federazione femminile britannica, orgogliosamente separata da quella maschile, rifiutatasi di ammettere le giocatrici in gonnellino. Quelle ribelli vissute in epoca vittoriana non erano per nulla diverse, nello spirito e negli ideali, dalle atlete tanzaniane e dalla loro allenatrice italiana Valentina, la cui avventura è raccontata in Twende!, documentario realizzato dalla regista Silvana Zancolò. Film che sarebbe rincuorante vedere proiettato in tante sale italiane, aule scolastiche comprese, a caccia di idee e storie da narrare. Così da scoprire quanto bene fa “da sempre”, al corpo e all’anima, giocare a hockey su prato.

Il torneo sarà duro visto che la Tanzania dovrà giocare contro nazioni molto più esperte ma la prima partita è già stata vinta: raccogliere i fondi sufficienti per pagare viaggio e alloggio in Sudafrica. La nazionale della Tanzania ha ricevuto supporto e offerte da tutto il mondo (Italia, Australia, Paesi Bassi) per poter partecipare alle qualificazioni olimpiche di Johannesburg. Il 19 ottobre le squadre maschile e femminile voleranno da Dar Es Salaam a Johannesburg con la linea aerea low cost africana FastJet che ha fornito i biglietti a costi ridotti. Per i giocatori e le giocatrici della nazionale sarà anche il battesimo del volo: per la prima volta nella loro vita, inafatti, saliranno su un aereo. «È un'emozione grandissima quando sei lontano fisicamente ma senti che ci sono persone che ti sono vicine e che ti supportano – ha scritto la ct della nazionale della Tanzania, Valentina Quaranta, ai lettori di Hockeylove.it, rivista di settore, per ringraziare dei fondi raccolti in favore della trasferta in Sudafrica –. Sarebbe fantastico se le ragazze potessero conoscervi uno a uno e ringraziarvi di persona per tutto quello che fate per noi». hockeytanzania .wordpress.com www.facebook.com /hockeytanzania


LA STORIA

Youssoupha durante una seduta di allenamento. Sotto, l’atleta con la medaglia d’oro conquistata a Brazzaville

Youssoupha, atleta e recordman che non trova lavoro di Paolo Riva

scheda

Fondazione Casa della Carità Via Francesco Brambilla 10 Milano Centralino 02.25.935.201 - 337 Fax 02.25.935.235 Il centro d'ascolto è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30.

Ha dovuto lasciare il suo Paese perché non era in grado di garantigli un futuro. E si è ritrovato a rappresentarlo sui grandi palcoscenici sportivi internazionali. È la storia di Youssoupha Diouf, ventottenne atleta paraolimpico, arrivato alla Casa della Carità dal Senegal, che lo scorso settembre, ai campionati africani d’atletica, ha stabilito il record mondiale di lancio del giavellotto (categoria F56-57). Colpito dalla poliomelite, che da piccolo gli ha fortemente segnato una gamba limitandolo molto nei movimenti, Youssoupha è venuto in Italia perché in Senegal le persone diversamente abili hanno poche alternative all’elemosina e all’esclusione. Così, una volta giunto in ma-

«Ho dei problemi, certo – ama ripetere – ma anche delle risorse. E devo puntare tutto sulle quello che ho».

niera avventurosa nel nostro Paese in aereo, si è visto riconoscere un permesso di soggiorno per motivi umanitari ed è stato accolto dalla Casa della Carità che, ormai da anni, si occupa di richiedenti asilo e rifugiati con problemi fisici e psichici. Tecnicamente, si tratta di “vulnerabili”, ma di vulnerabile Youssoupha ha dimostrato di avere ben poco.

«Il suo fisico imponente – spiega Giorgio Quaranta, responsabile dell’accoglienza maschile della Casa – contrasta con un carattere timido e dolce che gli ha consentito di stabilire subito ottime relazioni». «Ho tante risorse» Grazie all’aiuto degli operatori, si è visto riconoscere l’invalidità che lo costringe spesso a muoversi su una sedia a rotelle. Però, ricorda Giorgio, alla visita si è voluto presentare sulle sue gambe. «Ho dei problemi, certo – ripeteva sempre Youssoupha, ma anche delle risorse. E io devo puntare tutto sulle risorse che ho». Risorse che ha sfruttato in tutte le loro potenzialità nel campo dello sport. «Prima, si è appassionato al basket in carrozzina giocando in una squadra della zona, già con buoni risultati. Poi, ha scoperto l’atletica e, grazie a conoscenze comuni, ha cominciato ad allenarsi con l’Asd H2 Dynamic Handysports Lombardia, nata nel febbraio 2014. Prima facendo il lancio del peso, poi quello del giavellotto, in un crescendo sorprendente». Il record nella sua Africa «È praticamente tutta l’estate che lo vediamo pochissimo perché è sempre via per gare e competizioni» – prosegue Giorgio. A settembre, infatti, dopo alcune lungaggini burocratiche che gli avevano impedito il tesseramento, Youssoupha ha portato i colori del Senegal sul gradino più alto del podio ai campionati africani tenutisi a Brazzaville. Ha vinto l’oro e si è conquistato l’accesso ai mondiali di Doha. «Sembrerà retorico, ma è davvero emozionante seguire i suoi risultati e sentire i suoi racconti – conclude Giorgio –. Ora, speriamo che con i risultati sportivi arrivi per Youssoupha anche qualche riconoscimento economico perché, purtroppo, l’inserimento lavorativo di persone straniere disabili in Italia è davvero molto molto faticoso». novembre 2015 Scarp de’ tenis

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FRATELLI DI SA AN FRANCESC CO D’ASSISI

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La Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi On Onlus, offre accoglienza e asssistenza alle persone in stato di bisogno e ugp|c" Þuuc" fkoqtc." cfwnvk." cp|kcpk" g" okpqtk." rtqowqxgpfqpg" nc" nqtq" fkipkv 0 In n un anno abbiamo offer to un letto a 60259" persone, distribuito 3 03 39 9403;7" rcuvk, offer to ceeqinkgp|c" c" 5:9" okpqtk, fornitii 980483" ugtxk|k" ad anziani, o offer to 6:0277" rtguvc|kqpk"ogfkejg, incontrato con l’wpkv "oqdkng"pqvvwtpc"43 0;22"rgtuqpg, effettuati"6950:27"ugtxk|k"fk"fqeeg"g"iwctfctqdc amento al ed offer to corsi di italliano, di informatica, orienta psicologico e e previdenziale, suppor to p lavoro, assistenza legale e sociologico.

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MILANO sua esperienza di fiorista nella nuova attività: il bar è anche un locale “verde”. Non è poi escluso che in futuro il Flor Art Cafè abbia una piccola rivendita di fiori.

Una bella foto di Lino e Anna due dei titolari del Flor Art Cafè, esercizio che ha scelto di rinunciare alla slot machine

Flor Art Cafè: libri per tutti al posto delle slot di Sandra Tognarini

In piazza Frattini, a Milano, è aperto da quasi un anno un bar un po’ speciale: il Flor Art Cafè. Si trova nel centro commerciale di proprietà del gruppo Coin ed è gestito dai fratelli Anna, Lino ed Enzo Vitiello. Nella precedente gestione il bar aveva delle slot machine, ma Anna, Lino ed Enzo hanno voluto chiudere con il passato: ora il Flor Art Cafè è il regno dei fiori e dei libri.

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info Flor Art Cafè piazza Pietro Frattini 8 Milano telefono 347 235 6490 facebook Flor art cafè

Proprio Enzo ha fatto il fiorista a Lorenteggio per tredici anni. Quando ha visto in piazza Frattini l’annuncio “affittasi” ha proposto il progetto agli altri. Anna da ragazzina ha lavorato in un bar, ma fino allo scorso dicembre faceva l’impiegata. Ha mollato la scrivania e si è buttata nella nuova avventura. Anche Lino non ha avuto dubbi sul da farsi, visto che faceva il barman. Quando i tre ragazzi sono andati a vedere il bar per la prima volta, le slot non c’erano già più. Coin voleva chiudere con le macchinette e nei fratelli Vitiello ha trovato la controparte ideale, perché nemmeno loro

le volevano. Nel contratto di affitto, comunque, si specifica che il Flor Art Cafè rimarrà sempre libero dalle slot. Il locale è stato rivoltato come un calzino. Enzo inoltre ha trasferito la

Luogo bello e accogliente Ma mancava ancora qualcosa. E il bello è che i tre ragazzi non lo sapevano. Finché una loro cliente, Simona, propone una brillante idea: organizzare una giornata di “scambio libri”. Detto e fatto. I clienti hanno portato un libro da casa e ne hanno ricevuto un altro in cambio tra quelli donati dagli altri clienti. E in più a tutti i donatori è stata regalata una rosa. L’iniziativa ha avuto successo e lo scambio libri ancora continua. Dopo un po’, Simona ha un’altra idea: mettere su ogni libro un postit con una piccola recensione. E anche questa idea ha avuto un grande successo e riscontro tra i clienti. L’ambiente del Flor Art Cafè ora è tranquillo, “come il salotto di casa”, ma pieno di vita, di belle idee e di sorrisi che, come dice Anna, «non sono causa, ma effetto della felicità». E siccome sognare non costa nulla, tra le idee c’è quella, per la prossima bella stagione, di allestire fuori dal centro commerciale un dehors.

SCHEDA

Nel 2014 persi 17 miliardi al gioco «Gli italiani nel 2014 hanno perso al gioco d'azzardo 17,2 miliardi di euro, una cifra mostruosa, triplicata dal 2001, in meno di quindici anni. In tanti angoli di una qualsiasi città italiana sono nati dei piccoli casinò. Un settore interessante per lo Stato, per la criminalità e per l’imprenditoria immigrata: il primo per incamerare tasse, la seconda perché può riciclare denaro sporco e la terza che ha colto al balzo questo business tanto da crescere nel settore delle sale gioco al ritmo di +36% aperture all’anno (elaborazione Camera di commercio di Milano su dati Infocamere). Tornando allo Stato, segnalo che con le slot incamera come extra gettito la metà di quello che gli italiani perdono. Basti pensare che buona parte del bonus degli 80 euro in busta paga ai lavoratori dipendenti (11 miliardi nel 2014) è stato finanziato con circa 8 miliardi e mezzo che lo Stato ha raccolto dalle perdite sul gioco al quale, è noto, sono sempre più inclini disoccupati, sfiduciati e non abbienti. Quindi mi chiedo: siamo sicuri che questo sia davvero un guadagno per le casse dello Stato?». Alfredo Zini (presidente ente bilaterale nazionale del turismo) novembre 2015 Scarp de’ tenis

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VOLONTARIATO rio ricostruire l’uomo sfiduciato partendo dall’uomo stesso, da ciò che ha dentro e che non gli è stato tolto, ma solo accantonato». La manutenzione del verde pubblico è uno dei lavori che L’Alveare offre a chi si trova in difficolà lavorativa

Alveare, un piccolo gesto di speranza di Alberto Rizzardi

Viviamo in un’epoca di egoismi e paura dell’altro: la questione della migrazione ne è un valido esempio, in bilico tra pregiudizi, tabù e poca voglia di conoscere. Ecco, forse è proprio questa incapacità (forse solo pigrizia mentale) uno dei tasti più dolenti della moderna società. È come se tutto il mondo si

info Associazione Alveare Via Neera 24, Milano tel. 02.89500.817 www.associazionealveare.it associazionealveare2012@ gmail.com

esaurisse intorno alla nostra persona e ai tanti nostri crucci: un’analisi un po’ spietata e fare di tutta l’erba un fascio è sbagliato. Ma, a volte, ci si prende. Un esempio? Pensate a chi è senza lavoro: tendenzialmente, all’aumentare delle preoccupazioni, diminuiscono le telefonate e si snelliscono i rapporti umani. È come trovarsi in una stanza buia in cui si cerca, da soli e a fatica, l’uscita. La crisi economica che da ormai sette

Ridare dignità a chi ha perso il lavoro offrendo occasioni di impiego: questo il piccolo grande progetto dell’Alveare 42 Scarp de’ tenis novembre 2015

anni stringe il suo cappio sull’Italia ha prodotto effetti devastanti, con migliaia di nuovi poveri. L’atteggiamento medio pare essere quello di ignorare la cosa finché non ci tocca in prima persona. Atteggiamento medio, appunto, non generale. I soldi non bastano A Milano, all’interno della parrocchia di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, quartiere Stadera, zona ad alto tasso di povertà e degrado, opera da tre anni l’associazione Alveare, che coinvolge precari e disoccupati in piccoli lavori di manutenzione, opere sociali e pulizie nella zona. Un cuscinetto prezioso per avere una piccola fonte di sostentamento in attesa di trovare un lavoro più stabile. Due le parole chiave alla base del progetto: dignità e operosità. «La

carità – spiega il responsabile operativo, Luca Maiocchi – non può essere mero assistenzialismo. Non basta essere dei “bancomat della carità” per risolvere i problemi di persone e famiglie, ma è necessa-

Gesti di vicinanza «Questo esperimento – aggiunge don Marco Pennati, a Chiesa Rossa da poco più di un anno – permette di riscoprire i valori della comunità e della relazione, fondamentali per la Chiesa ma anche per una famiglia. È il tentativo di inserire queste persone in difficoltà, che rischiano di diventare invisibili, nella vita della nostro quartiere. Le persone che incontriamo hanno bisogno di questo per ripartire: un piccolo gesto di attenzione e di fiducia, una seconda opportunità, un semplice grazie». Insomma, una scintilla per riavviare il motore della macchina con cui affrontare il percorso verso la riconquista della dignità: riqualificando il quartiere si riallacciano anche relazioni tra residenti, ci si conosce, si supera la frammentazione sociale e il rischio (concreto) di emarginazione. Ognuno con il suo spazio, ognuno con il suo ruolo, ognuno con le sue ali: proprio come in un alveare.

E la cosa pare funzionare: circa duecento le persone mediamente aiutate ogni anno dall’associazione.

Chi sono? «Gente della zona – racconta Maiocchi – ma un terzo proviene dal resto della città grazie al passaparola. In maggioranza italiani, ma sono tanti anche gli stranieri. Ci contattano famiglie monoreddito, giovani, cinquantenni fuoriusciti dal mondo del lavoro e persone senza dimora. Finora sta andando molto bene: non abbiamo certo la pretesa di risolvere tutti i problemi, perché sono tantissimi e noi non siamo in grado di garantire uno stipendio regolare ma solo piccoli aiuti che servono per respirare. Ma l’iniziativa ha dato un po’ la scossa al quartiere, migliorandone la vivibilità e riallacciando rapporti umani, anche tra vicini di pianerottolo». Insomma, un piacevole ronzio di speranza.


aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

Milano Non ho mai pensato di cambiare colore al cielo di Milano, non ho mai pensato di essere bello come Maurizio Costanzo, non ho mai pensato di essere un grande attore; adesso sto pensando che la portinaia mi vuole bene ma nessuno mi crede

Antidoti Care granite rinfrescanti e colorate, arrivederci alla prossima stagione estiva: è arrivato l’autunno e le foglie hanno formato tappeti giallo oro alla base degli alberi. Settembre andiamo, è tempo di migrare, scriveva il poeta. In effetti anche l’umanità sta per incamminarsi verso una stagione più grigia, più fredda, più lavorativa. Dalle granite si passerà, in breve tempo, al panettone, alla cioccolata calda, alla panna montata. Meno male, però, che i gelati esistono tutto l’anno: io li preferisco d’inverno perché, mentre d’estate mi mettono sete, col freddo mi danno energia. Silvia Giavarotti

Piogge Lacrimali Perché sempre mi scuoti e il Cuore mi percuoti se la tua grazia mi abbaglia e folle non comprendo dove sorge questo desiderio tra il sogno d’Amore e la tua Bellezza che attanaglia. Non di meno è il tuo sorriso e riso a farmi preda e catturarmi. Ma così non sarebbe se i tuoi occhi non fossero giorno e notte a cercarmi nelle Stelle nei bagliori delle aurore a strali

Al tramonto Nell’aria celeste del giorno morente il sole tramonta con grande fulgore, dal molo deserto il gioco di luci con tanti colori appare incantato. Stagliato sul fondo nell’arco del cielo ancora più vivo il rosso colore, appoggia sul cielo il crinale del monte pulito e perfetto su intenso splendore, le cime dei pini col verde scuro sta lì a indicare il verde d’autunno. E l’acqua di sotto lucente al riflesso si muove pian piano al ritmo dell’onda, in tanta bellezza grandiosa e silente soltanto una vela trascorre sul lago. E’ tutto perfetto è un momento felice di pace e d’amore per tutto il creato. Gaetano “Toni” Grieco

Foglie morte Palmi, ocra e rubino si accartocciano mani avvizzite, capillari fragili sgrigiano i toni cupi del fondale. Tipica procedura di distacco. L’indebolirsi pigro dei peduncoli… Eccole, infine, a terra, un’altra volta, ballerine eleganti, interpreti espressive di danze macabre, minuetti gentili. Adesso, il viale è medesima location, golden carpet prezioso di materie….

L’idea di un giovane volontario Odoardi Mino Beltrami della Ronda della carità diAidaMilano: una App contro lo spreco alimentare

o nelle pietà e nei candori delle tue saline lievi piogge lacrimali.

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Luoghi comuni, nuova cultura dell’abitare di Enrico Panero

Il progetto è nato per garantire accoglienza a chi vive situazioni di stress abitativo, lavoratori in mobilità e personale in formazione ma anche city user e visitatori occasionali. Un mix sociale capace di dare gambe e fondi al progetto 44 Scarp de’ tenis novembre 2015

Affrontare la questione abitativa, cercando di contrastare il degrado e contribuire alla riqualificazione del quartiere. Questo in estrema sintesi l’obiettivo di “Luoghi comuni”, progetto avviato a Torino nell’ambito del Programma Housing della Compagnia di San Paolo in collaborazione con l’Ufficio Pio (ente strumentale della Compagnia). I “Luoghi comuni” sono stati creati in due grandi caseggiati in due dei quartieri più complessi e affascinanti della città: Porta Palazzo e San Salvario. I due immobili, scelti tra molti per la valenza simbolica e strategica, sono stati ristrutturati e adibiti a soluzioni abitative per un periodo di tempo limitato (da un giorno a 18 mesi) offerte a persone che vivono una fase di transizione e quindi di vulnerabilità sociale ed economica. Il progetto “Luoghi comuni” si rivolge a tre categorie di destinatari: popolazione in situazione di stress abitativo (che deve costituire almeno il 40% degli abitanti delle residenze), lavoratori in mobilità e personale in formazione, city user e visitatori occasionali. A seconda della tipologia dei destinatari sono previste tariffe


TORINO

A sinistra uno dei caseggiati che ospita il progetto “Luoghi Comuni”. Qui sopra il particolare della cucina di uno degli appartamenti

A seconda della tipologia dei destinatari sono previste tariffe piene o calmierate in base al reddito. Il progetto comprende anche servizi e spazi comuni, attività commerciali e di animazione: obiettivo è infatti anche il dialogo con il territorio in cui le residenze sono inserite, per promuovere una nuova cultura dell’abitare.

piene o calmierate in base al reddito. Oltre alla funzione residenziale, il progetto comprende servizi e spazi comuni per gli abitanti e di attività commerciali e di animazione: obiettivo è infatti anche il dialogo con il territorio in cui le residenze sono inserite, per promuovere una nuova cultura dell’abitare. Ne abbiamo parlato con Elisa Saggiorato, coordinatrice del Programma Housing della Compagnia di San Paolo. Perché le residenze temporanee e come avviene la selezione dei destinatari? Siamo dell’idea che sia importante un vero mix sociale, non un mix di sfortune. Abbiamo allora strutturato un’offerta per persone che hanno un’esigenza abitativa temporanea: da turisti e persone in città per lavoro o studio a persone in fragilità abitativa (sfratti, nuclei familiari divisi) fino ad alcune persone in emergenza abitativa (nuclei in attesa dell’edilizia popolare). L’obiettivo è creare una ricetta sostenibile, dal punto di vista sociale ma anche economico. La selezione è quindi fatta cercando di mantenere un equilibrio tra la percentuale di abitanti in stress abitativo e quella di persone che sono lì per altri motivi. La capacità del gestore sociale, soggetto del terzo settore a cui diamola gestione di queste residenze, sta proprio nel garantire questa doppia sostenibilità ed esprimere la ricchezza di una coabitazione del genere. Come sta andando questa esperienza? Stiamo sperimentando una sorta di co-housing particolare, per cui tutti collaborano al buon funzionamen-

to del luogo in cui abitano, mettendo a disposizione degli altri condomini proprie competenze o tempo. Esistono infatti spazi comuni classici, come la lavanderia, e altri che hanno una doppia valenza: sono sempre aperti a tutti i condomini ma anche a disposizione del territorio. Nessuno è obbligato a fare qualcosa in più dell’abitare, ma abitando un posto del genere è naturale mettersi a disposizione per il buon funzionamento della casa, che diventa anche un riferimento per il quartiere. Emerge la voglia di vivere in modo diverso le quattro mura mettendosi in gioco ed esprimendo socialità, cosa che ha conseguenze positive sullo sviluppo della comunità territoriale. Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate? Quella di far capire che il Programma Housing di Compagnia di San Paolo si occupa della cosiddetta “fascia grigia”, si rivolge a coloro che

stanno in un limbo abitativo per i quali esistono problemi ma non tali da prevedere un intervento di edilizia popolare. Il nostro programma va dunque in ottica preventiva, perché i costi sociali ed economici di una caduta in basso di queste persone sono indubbiamente maggiori. Delle persone in emergenze sociale e abitativa ci occupiamo invece con altri progetti, attraverso il nostro Ufficio Pio e in collaborazione con i servizi del Comune. Perché la vostra Fondazione bancaria sta assumendo un ruolo sempre più attivo nelle politiche sociali? Ci siamo resi conto che la modalità tradizionale di soggetto finanziatore è limitata, soprattutto in alcuni progetti di innovazione sociale che necessitano di maggiori competenze e diverse tipologie di investimento. Per questo abbiamo deciso di assumerci questo ruolo, più complesso e dispendioso per noi, spesso anche di collettore tra soggetti pubblici e del privato sociale. In quasi 10 anni di Programma Housingabbiamo verificato che nell’housing sociale nessuno è autonomo: è necessario integrare e far collaborare attivamente esperienze e competenze diverse. Così come servono continui monitoraggi e verifiche per migliorare il modello, la sua sostenibilità e la sua efficacia sociale ed economica.

LA SCHEDA

Un progetto che funziona: In due anni ospitate 275 persone La residenza temporanea di Porta Palazzo (via Clemente Priocca 3), inaugurata nel settembre 2013, in due anni ha ospitato 275 persone: 110 breve termine (1-30 giorni) e 165 lungo termine (31 giorni-18 mesi), di questi ultimi metà city user e metà persone in stress abitativo o in emergenza abitativa. È costituita da 27 unità abitative per un target adulto (single o giovani coppie), quindi mono o bilocali. Nei due anni è sempre stata rispettata la capienza minima dell’80%, spesso al 100%. La residenza temporanea di San Salvario (via S. Pio V 11) sarà inaugurata il prossimo 2 dicembre ed è costituita da 24 unità abitative per un target di famiglie, quindi anche trilocali e quadrilocali. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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I tuoi acquisti per sostenere Scarp de’ tenis

www.social-shop.it Potete acquistare la rivista, abbonarvi e cercare il gadget che più vi piace. Tutto il ricavato sosterrà il progetto Scarp de’ tenis e i suoi venditori

rada ella st d e l i s Il men


VERONA centro diurno, la Dimora del Samaritano per detenuti ed ex detenuti, la Locanda (accoglienza invernale), l’accoglienza ai richiedenti asilo, il catering sociale e la Casa Solidale, il progetto iniziato con la prima casa famiglia e che ora ospita una ventina di persone in 15 appartamenti tra cui 3 dedicati ai giovani.

La casa di accoglienza Il Samaritano di Verona cambia: presto sarà aperto tutto il giorno

Il Samaritano cambia ancora E si apre all’esterno di Elisa Rossignoli

Il prossimo anno la casa di accoglienza “Il Samaritano”, della Caritas Diocesana di Verona, festeggerà il suo decimo compleanno. Lo festeggerà vestito completamente a nuovo. Il Samaritano, nato nel-

info Il Samaritano Il nuovo Samaritano sarà inaugurato Il 27 novembre 2015 con l‘evento “Dove abiti?” – Una declinazione dell’Housing First». In programma una tavola rotonda con monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, Cristina Avonto, presidente di Fiopsd. Informazioni Casa accoglienza Il Samaritano tel 045 8250384 (Davide Dal Dosso) Mail eventoilsamaritano@caritas.vr.it

l’ottobre 2006, si configurava con la struttura di un dormitorio, attrezzato per l’ospitalità notturna di persone provenienti da situazioni di grave marginalità, ed è cresciuto negli anni fino all’attuale rivoluzione. «Il Samaritano – spiega Michele Righetti, direttore della struttura – non è mai stato concepito come un dormitorio. Infatti , come spiegava padre Flavio Roberto Carraro, vescovo di Verona, “è nato per realizzare percorsi di reinclusione sociale e ridare diritti di cittadinanza a persone che hanno perso ogni riferimento sociale. Pur partendo dall’ospitalità notturna, si propone di creare i presupposti perché tali persone, in futuro, non abbiano più bisogno del servizio offerto, ma acquistino autonomia”». Una mission chiara: ricostruire uno spazio che sappia di casa, la di-

mora esteriore e interiore perduta, in cui le persone possano ricostruirsi e reintegrarsi nella società. Mai stato solo un dormitorio «Certo –prosegue Righetti –, iniziavamo dall’accoglienza notturna e da una cena semplice, messa insieme raccogliendo le pietanze non distribuite nelle mense scolastiche (grazie al progetto Rebus). All’inizio eravamo due operatori: Nicola, che si affacciava per la prima volta a questo lavoro, e io che in questo mondo c’ero da molto tempo, ma mai prima d’ora ero stato chiamato a cominciare un’avventura come direttore. E poi c’erano i volontari, da sempre l’anima e il cuore della nostra casa, che hanno accettato di condividere ogni nostro passo, anche quelli più impegnativi. Dopo 10 anni ci siamo ancora quasi tutti, e loro sono sempre in tanti, entusiasti, generosi e pronti alle sfide». Anche gli operatori hanno iniziato a crescere in numero ed esperienza. Da due sono diventati più di 30, perché molte progettualità si sono aggiunte: la cooperativa di lavoro, il

«Tutto questo – continua Marco Zampese, responsabile dell’Area Sociale del Samaritano –è cresciuto e stato costruito per aiutare i nostri ospiti a “tornare a casa”, ad es-

sere riconosciuti come cittadini e risorse nella società. Il cammino fatto finora, e la riflessione che come Caritas portiamo avanti con Fiopsd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) ci porta proprio lì. E ci ha permesso di sognare, progettare e realizzare il passo più audace: modificare la struttura principale della Casa. Alcune stanze del dormitorio, ora a 5 posti, saranno infatti sostituite da 5 unità abitative singole, pensate per garantire alle persone che le abiteranno la dignità di una casa, un luogo in cui riacquisire la capacità di gestire la quotidianità in una normale dimensione abitativa. I posti rimanenti sarano suddivisi in stanze a tre posti». Aperto tutto il giorno Anche tutto il resto della struttura cambierà: il centro sarà aperto tutto il giorno come spazio di aggregazione, attraverso la caffetteria sociale, e la possibilità di accedere al centro diurno con i laboratori occupazionali. Siamo al salto finale: l’apertura al territorio per scollare l’etichetta della marginalità, del ghetto, che una struttura come il dormitorio – e chi vi abita - rischia di portare appiccicata addosso. «Questo cambio di prospettiva – conclude Michele Righetti – ha incluso una riflessione comune e profonda sul modello di accoglienza e di operatività che intendiamo realizzare, sulle modalità che scegliamo e sul loro significato. Una cosa non da poco, che ci ha coinvolti tutti in prima persona. Un passo della naturale evoluzione del Samaritano per compiere la sua vocazione». novembre 2015 Scarp de’ tenis

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VICENZA

Pane quotidiano: dal Villaggio Sos un nuovo progetto che sforna speranza

Alcuni dei partecipanti a “La notte dei senza dimora” di Vicenza che hanno dormito in piazza Duomo per solidarietà

Notte in piazza, per dare voce agli invisibili di Cristina Salviati

Lo scorso 17 ottobre 2015, anche a Vicenza si è celebrata “La Notte dei senza dimora”. In piazza Duomo, tra la cattedrale e le finestre dell’episcopio un gruppetto di ragazzi ha dormito al freddo tra coperte, sacchi a pelo e materassi di cartone. Gli altri si sono concentrati insieme agli amici senza tetto a ridosso dell’aiuola nel centro della piazza.

info La notte dei senza dimora rete vicentina “La Notte dei Senza Dimora” si è svolta sabato 17 ottobre nelle piazze cittadine di Vicenza, Schio e Bassano. Eveno che avviene in occasione della Giornata Internazionale di lotta alla Povertà e utilizzato per sensibilizzare i cittadini e le amministrazioni sui problemi di chi vive in strada.

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La Notte dei senza dimora è un evento organizzato in occasione della giornata mondiale di lotta alla povertà. In Italia da vent’anni si dedica a chi più è emarginato, dimenticato, invisibile: le persone senza casa. Nel Vicentino esiste una vera

propria rete di case di accoglienza che danno ospitalità a queste persone nel capologo ma anche a Schio, Arzignano, Bassano del Grappa e a Lonigo. La manifestazione ha coinvolto tutte queste città contemporaneamente con lo slogan “comune diventa te stesso”". Filo conduttore degli eventi infatti è stato il coinvolgimento delle cittadinanze sul tema dei diritti, ma anche per far conoscere i disagi di chi perde la residenza insieme alla casa. Si è scoperto infatti che su 110 comuni in diocesi di Vicenza solo la metà possiedono la “via anagrafica”, strumento che consente di iscrivere chi non ha un alloggio e garantirgli così i diritti fondamentali alla salute, all’assistenza, al lavoro.

Acqua, farina, lievito, sale: la ricetta per il pane. Ma anche per un progetto di solidarietà e di cooperazione targata Villaggio Sos di Vicenza, associazione che dal 1981 accoglie minori in difficoltà e li aiuta nel percorso di crescita. Si chiama “Pane quotidiano, crosta dura, cuore caldo” il progetto – che si basa sulla gestione di un nuovo forno – inaugurato a inizio settembre. «Il laboratorio coinvolge sei o sette ragazzi che faranno funzionare il forno – racconta il mastro fornaio Denis Segalina –, ma anche venderanno il pane nel negozio di prossima apertura in piazza delle Erbe, proprio nel cuore di Vicenza. I nostri clienti qui potranno trovare, oltre al pane anche tanti altri prodotti da forno, ma anche fermarsi a degustare sfiziosità dolci e salate direttamente nel nostro locale». Denis poi mostra con orgoglio le farine biologiche, macinate a pietra da un antico mulino vicentino che ancora funziona da tempo immemorabile. E anche il mastro fornaio si adegua ai tempi passati utilizzando la pasta madre per far lievitare il suo pane, così come mescolerà con sapienza cereali, farro, segale. Intanto i giovani aiutanti di Denis continuano a sfornare pane, pasticcini e altre leccornie per questo giorni di inaugurazione. Sono in tanti qui oggi a festeggiare e a ricordare il lavoro prezioso svolåto dal Villaggio Sos di Vicenza. In conclusione ai tanti discorsi fatti noi ci associamo per augurare a questi ragazzi un futuro pieno, tanta fortuna e un in bocca al lupo per questa nuova avventura. Ivano Frare


VENEZIA

La sede dell’Autorità Portuale di Venezia: Scarp de’ tenis sarà venduto anche qui. Sotto il direttore della Caritas, diacono Stefano Enzo

Autorità Portuale e Caritas insieme contro le povertà di Michele Trabucco

info

San Vincenzo mestrina Via S.Via Querini 19/a Mestre (VE) tel. 041/959359. La mensa Cà Letizia, che ha una disponibilità di 122 posti, offre servizio di colazione e cena. La struttura offre anche un servizio docce (lunedì e giovedì 7.00 - 9.00) e distribuzione vestiario (martedì e venerdi dalle 14.30 alle 16.30)

Caritas e Autorità Portuale insieme per il sociale. Lunedì 21 settembre, nella chiesetta di Santa Marta posizionata nel waterfront portuale del Centro Storico di Venezia, è stata presentata una convenzione tra Caritas e Autorità Portuale volta a strutturare una serie di iniziative di solidarietà e di impegno sociale nel territorio. Cogliendo l’occasione dell’iniziativa Psa Go Greeen Fortnight, promossa dal terminal container Vecon e dall’Autorità Portuale per porre in luce le azioni condotte a tutela dell’ambiente e della comunità, si è voluto ufficializzare la forte collaborazione tra questi due enti – Caritas e Autorità Portuale – rispetto all’obiettivo comune del sostegno delle persone

Non è stato difficile coinvolgere 25 volontari che hanno servito con il sorriso e l’affetto oltre 170 pasti

in difficoltà presenti in particolare nel territorio sul quale insiste la realtà portuale. Attenzione all’abiente In questi anni l’Autorità Portuale ha mantenuto alta l’attenzione in materia di politiche ambientali e sociali, e la partnership con Caritas è un ulteriore tassello alle attività portate avanti in questi temi. Tra le azioni intraprese, la possibilità di donare gli abiti dismessi inserendoli nell’apposito cassonetto posizionato accanto agli uffici della Autorità Portuale,

oltre che l’impegno a recuperare gli alimenti inutilizzati al termine degli eventi aziendali, per poi consegnarli alle mense Caritas presenti nel territorio veneziano. Ma la novità più importante è aver istituito l’appuntamento mensile per la distribuzione e vendita di Scarp de’tenis alla sede dell’Autorità Portuale a partire da ottobre. L’iniziativa proseguirà nei prossimi mesi grazie all’appoggio e alla sensibilità dell’ente portuale e dei suoi dipendenti, e rappresenta un risultato molto bello per tutti coloro che hanno lavorato insieme per poter dare ai venditori un nuovo e ulteriore “sbocco” di mercato per la vendita del magazine. Un aiuto importante «Ringrazio l’Autorità Portuale di Venezia per la proficua collaborazione nata in questo periodo – ha sottolineato il direttore della Caritas Veneziana, diacono Stefano Enzo, al termine dell’evento –. Mi auguro che altre realtà lavorative siano stimolate, sul loro esempio, a intraprendere iniziative concrete di solidarietà. È importante che a questo punto della storia, la chiesa, la società civile e il mondo economico si uniscano, per trovare insieme strade da percorrere affinchè si possano affrontare e risolvere diverse problematiche ambientali e di accoglienza». Anche il segretario generale dell’Autorità Portuale, Claudia Marcolin, ha voluto sottolineare l’importanza e l’utilità di questa collaborazione: «Autorità Portuale e Caritas vantano un rapporto di collaborazione ormai storico, che viene oggi rinsaldato con la firma di una convenzione per l’avvio di iniziative dai risvolti sociali nel territorio veneziano, iniziative volte a ottimizzare la relazione tra il Porto di Venezia e il contesto sociale in cui opera. Per questo dobbiamo ringraziare la Caritas diocesana, grazie alla cui mediazione sarà possibile approfondire il dialogo con la comunità». novembre 2015 Scarp de’ tenis

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RIMINI

Una ludoteca per fare bello il carcere di Angela De Rubeis

Da pochi giorni dentro al carcere “Casetti” ha aperto uno spazio pensato per accogliere i tanti bambini che vengono a trovare il padre in carcere. Un luogo bello e protetto dove le famiglie possono trovarsi e giocare insieme, come tutte le altre 50 Scarp de’ tenis novembre 2015

Il carcere “Casetti” ha aperto, da pochi giorni, uno spazio ludoteca. In passato si è discusso molto del rapporto padri/figli in carcere e delle possibilità di dare spazi adeguati ai minori costretti a incontrare i padri tra le sbarre. La richiesta del recupero di uno spazio giochi esterno è stato uno dei motivi che ha spinto il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale (l’avvocato Davide Grassi) a dare le dimissioni. Era luglio e nel commentare le sue dimissione Grassi citò questa come uno dei suoi rimpianti maggiori: «Vado via, ma il mio cruccio più grande è quello di non aver potuto riqualificare lo spazio verde nato per accogliere i figli dei detenuti. Un luogo all’aperto, che esiste ma che necessita di manutenzione per essere agibile. Uno spazio che avrebbe reso un po’ più semplice la vita dei ragazzi che devono affrontare una prova così dura, incontrando i loro genitori tra le sbarre. Un progetto mi stava a cuore. Ma non è stato possibile». Ma quello era luglio e oggi la ludoteca è una stanza adiacente alla


sa misura, e che tutti siamo buone e cattive persone, criminali e bravi cittadini, ecco, qui di criminali non ce ne sono più. Solo persone, genitori, padri che gioiscono nel ritrovare e rivedere le mogli e i figli.

La nuova ludoteca del carcere di Rimini garantisce ai bambini che entrano nella struttura di incontrare il padre in un luogo bello e protetto

Se è vero che nelle persone albergano bene e male e che tutti siamo buone e cattive persone, criminali e bravi cittadini, ecco qui, dentro la ludoteca, di criminali non ce ne sono. Ci sono solo persone, genitori, padri che gioiscono nel ritrovare e rivedere le mogli e i figli

sala colloqui in cui i bambini possono giocare e avere un momento di svago quando vengono a trovare i papà in carcere. È una sala grande, con un angolo giochi, le pareti coi disegni realizzati dai detenuti e tanti tavoli e sedie (donati da Ikea). Le immagini sul muro raffigurano aperture, scale che salgono nell’azzurro, verso una libertà che qui dentro sembra stridente, ma che rende l’illusione ancora più affascinante. Un luogo sospeso Ma le scale e l’azzurro non sono che immagini su un muro. La realtà è un altra cosa. Per arrivare in ludoteca il percorso è lungo. All’ingresso si lasciano i documenti e il cellulare. Poi un primo agente apre una porta metallica e si oltrepassa la grande cancellata esterna. Ci si ritrova in un vasto cortile interno; all’orizzonte sbarre e cancellate. Qui c’è la sezione a custodia attenuata “Andromeda”. Poi attraverso un’altra porta metallica si viene scortati in un secondo cortile interno, circondato da altre mura con delle guardiole. Una nuova porta conduce nella palazzina con la sala colloqui. Al piano superiore ci sono le celle. Si sentono le chiacchiere dei detenuti.

Un altro poliziotto apre la porta e ci fa passare. Solo quando si chiude alle spalle viene aperta quella di fronte. Un passo alla volta. E alla fine si arriva nella sala dei colloqui e nella ludoteca, con le pareti aperte dalla pittura su un cielo azzurro.

«Immaginate questo percorso fatto da bambini – dice Ilaria Pruccoli, una volontaria Caritas che un sabato al mese sarà in ludoteca per coinvolgere i bambini in attività di gioco – per arrivare ad incontrare il proprio papà che magari non vedono da un mese. Per questo è stata realizzata la ludoteca, per creare un

ambiente più piacevole, adatto a loro, dove possano sentirsi di nuovo bambini insieme ai loro genitori». Ora arrivano anche i detenuti, in attesa delle loro famiglie. Si chiacchiera, ci si conosce. La situazione ha una leggerezza che pare fuori luogo tra queste mura. Poi si aprono le porte. Ma nessuno esce. Entrano i familiari, i bambini, di corsa, e corrono in braccio ai loro papà. Più calmi gli adolescenti, ma vanno a finire sempre nell’abbraccio dei loro padri, insieme alle mogli. Cerchiamo di evitare la retorica, ma è un momento toccante. Se è vero che nelle persone albergano bene e male in diver-

L’importanza dell’affettività Bando al buonismo, i sentimenti si sciolgono in fretta, ma quello che succede ha un valore importante, come ripete il direttore del carcere Paolo Madonna: «Il momento dell’affettività, in carcere, è fondamentale. Il rafforzamento del rapporto coi figli aiuta il riscatto delle persone. Capita che all’esterno molti si estranino dal loro ruolo, soprattutto se hanno dipendenze. Ma se c’è un dato trasversale qui dentro è che l’affettività familiare è il traino per il riscatto e il cambiamento. E il carcere deve fare di tutto per aiutare e accompagnare questa tendenza».

IL CASO

Il carcere come luogo di recupero: il difficile cammino di chi vuole cambiare La realizzazione della ludoteca – e dello spazio attrezzato all’aperto con tavoli e giochi – è stata resa possibile grazie al contributo del progetto “Generazioni Solidali” del centro di servizio di volontariato della Provincia di Rimini, in collaborazione col centro di ascolto Caritas. La ludoteca fa parte delle iniziative volte a rendere il carcere un luogo in cui le persone possano essere. «Spiace – dice una guardia che ci accompagna nella visita e ci offre un caffè (era la ricetta di Ciccirenella?) – che da fuori in molti ci vedano come uno strumento vendicativo. In realtà noi siamo parte del percorso riabilitativo del detenuto. Lavoriamo con loro affinché il periodo passato qui dentro serva davvero a recuperare quanto perso fuori». Tra le altre attività, il direttore Paolo Madonna e l’educatore penitenziario Amedeo Blasi ci parlano del protocollo che permetterebbe fino a 5 persone di lavorare per il comune di Rimini in ruoli socialmente utili. Attualmente però, solo una persona gode di questo trattamento. «Ed è un peccato – chiosa il direttore – perché queste persone avrebbero provveduto a lavori utili, come la pulizia dei muri, oltre a vivere un’esperienza che poteva essere un primo passo verso la ricostruzione di una propria identità sociale». Ancora per il prossimo anno saranno attivati i corsi della Regione insieme all’Enaip (centro di servizi per l'Orientamento e la Formazione al lavoro di giovani ed adulti) per 21 detenuti per operatori di sentieri montani, panificazione e pastificio e pasticceria, con stage e tirocinio formativo. Poi i corsi di alfabetizzazione e scuola media, laboratori teatrali, un corso di attività cinofila, fotografia e molto altro. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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LA MOSTRA

Ritratto non vedente, scatti di dignità di Stefania Marino

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Non voleva suscitare pietà ma raccogliere dignità. La dignità di un volto, di una storia di vita. Armando Cerzosimo, da quarant’anni ha legato la sua vita alla fotografia. Dal 4 ottobre, i suoi scatti “guardano” i visitatori del Museo Archeologico Nazionale di Paestum. Qui, nella sala Metope, uomini donne e bambini fermati nei loro istanti più belli e suggestivi, impongono a chi entra di arrestare il passo, spostare l’attenzione dal


Ci sono scatti fatti tra i muri di casa e scatti voluti, cercati e costruiti nel suo studio fotografico. C’è un uomo con le braccia che cadono lungo i fianchi e uno sguardo che sembra seguire ogni passo del visitatore. Dietro di lui il nero che lo ha inghiottito. C’è una donna di spalle che sta per percorrere la strada verso il buio. Solo un fascio di luce brilla davanti a lei. Lo sfondo nero è la consapevolezza di chi sa che non potrà più vedere nulla e nessuno. E’ un’immagine carica di consapevolezza. Nelle foto alcuni scatti della’installazione fotografica di Armando Cerzosimo “Il Ritratto non vedente” in scena dal 4 ottobre nella sala Metope del Museo Archeologico Nazionale di Paestum

passato e posarla sul presente e sulle dimensioni più intime e sorprendenti di chi non vede. Un progetto fotografico culturale che il raffinato fotografo salernitano – non nuovo a sensibilità sociali – ha portato sulla scrivania della sezione di Salerno dell’Unione italiana dei ciechi e non vedenti. Da lì l’incontro con il buio. Cerzosimo varca la loro soglia di casa, entra nella vita delle persone che pone davanti alla sua macchina fotografica, ascolta per ore ed ore la loro storia, condivide la loro quotidianità fino a far emergere la dignità del non vedente.

C’è chi vedeva e ora non vede più, c’è chi non ha mai conosciuto i colori, c’è chi è avvolto dalle ombre e sa che prima o poi cadrà nelle tenebre. Sono dodici i pannelli dell’installazione inaugurata lo scorso 4 ottobre. Tutti gli scatti, sono in bianco e nero, senza colori, per evitare “vie di fuga” e per far emergere i soggetti fotografati nelle loro forme e movenze senza le distrazioni dei dettagli e degli sfondi. Tutti coloro che Cerzosimo incontra nell’estate del 2014

decidono di mostrarsi senza occhiali.

scheda «Lo dovevo. Una parte della mia vita dedicata alla fotografia, eppure mi mancava (o forse mi manca ancora) l’esercizio importante, quello dove incominciare a fare il bilancio di una carriera. Lo dovevo. Poter fare in modo che al mio continuo angolare, lo sguardo si fermasse negli occhi di chi non può esprimere giudizio se non dalle sensazioni o vibrazioni che partono dalla mia coscienza, attraversano la mia voce e passano attraverso la mia macchina». Così Armando Cerzosimo, fotografo salernitano, descrive il perché è nata l’installazione fotografica “Il Ritratto non vedente”. «Forse sarò riuscito io, uomo che fa fotografie e le spedisce in mille stanze piene di luce e di vento ad essere stato visto da chi mi è stato di fronte? Spero di si, sarebbe un onore essere ricordato da ognuno di loro. Lo dovevo».

La forza del “sentire” C’è un bambino che “sente” sua madre toccandole la collana mentre lei gli esprime la sua forza materna proprio guardando il suo piccolo viso. Ci sono loro, marito e moglie da decenni, entrambi non vedenti. Icone di dolcezza. Cerzosimo ci racconta che la sua intenzione era fotografarli insieme e un poco distanti l’uno dall’altro, quando ad un certo punto le loro mani si sono incrociate. Non ha potuto abbassare l’obiettivo davanti a quel gesto. C’è una donna di origine straniere che mostra il suo leggero sorriso e poi la metà delicata di un viso di un ragazzo. Chiediamo a Cerzosimo che ci accompagna lungo il percorso fotografico, perché ha voluto addentrarsi in questo mondo. Perché questo lavoro di introspezione professionale e di attenzione sociale? La sua è una risposta semplice e profonda. «Perché avevo timore di diventare cieco». Non di non vedere più ma di far prevalere dentro di sé la distrazione, la disattenzione. Il primo piano e il piano americano caratterizzano tutto il percorso espositivo.

Accogliere senza remore Un altro pannello è per un uomo ipovedente in una postura decisa. E poi c’è lei, una ragazza poco più che ventenne, ripresa in un primo piano e fotografata mentre con il suo cane sale una scala a chioccia a mostrare la tenacia con cui affronta un ostacolo. Con un vestito fasciato in vita e con bracciali, anelli e collane a sprigionare femminilità, quella sentita addosso e non quella scontata di uno specchio che ti vede. Ancora lei, in un altro scatto, con le braccia aperte come a voler accettare chi sapeva fosse davanti a lei. È l’accoglienza straordinaria e incondizionata verso chi non vedi. Un altro scatto è per un uomo ritrovatosi senza più la vista. Sta lì fermo con il suo orologio al polso quasi a voler parlare solo con la sua faccia e le sue rughe e i suoi capelli il suo ciclo della vita. E

poi c’è un bambino che tiene teneramente con le sue piccole mani il volto del papà che non vede, quasi a chiedergli di guardarlo. E lui, il papà con la sua grande mano che prende il piccolo braccio di suo figlio. L’installazione fotografica “Il Ritratto non vedente” patrocinata dal Comune di Capaccio e dal Comune di Bellizzi, e accolta dal Parco Archeologico di Paestum, rimarrà nella città dei Templi fino al 13 novembre prossimo. Nella sala, il libro degli ospiti si apre con una nota di Armando Cerzosimo, riportata in prima pagina con il codice Braille. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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VOCI DALL’EUROPA

Amal, l’angelo dei rifugiati: «Glasgow, città accogliente» La famiglia di Amal Azzudin è di origini somale. Amal aveva 11 anni quando fuggì con la famiglia a causa della guerra civile.

di Ronnie Convery

scheda Ronnie Convery, nato nel 1965, é giornalista, scrittore, personaggio televisivo e traduttore in UK. È stato uno dei pionieri per le nuove connessioni culturali tra Scozia e Italia. Ronnie mostra un particolare interesse per emigrazione, religione e scambi culturali, e contribuisce sui media di entrambe le nazioni.

«Ricordo con estrema chiarezza –racconta Amal –gli avvenimenti di quella domenica mattina di 10 anni fa, quando gli ufficiali di Stato arrivarono e portarono via da casa una mia amica, profuga come me. Qualcuno ci aveva avvisati che all’alba Agnesa era stata presa e portata via da casa e che suo padre era in manette. Ero spaventata ma anche molto arrabbiata. Avevo paura per la mia amica, ma temevo che la stessa cosa potesse succedere anche a me e a tutti gli altri asylum seekers, i cosidetti richiedenti asilo che vivevano vicino a me. Il giorno seguente decisi, per protesta, di non andare a scuola e di non tornarci fino a quando non fosse stata rilasciata la mia amica. Anche altre ragazze erano d’accordo con me. Tutto ebbe inizio così, dagli avvenimenti di quella domenica mattina». Amal e The Glasgow Girl Amal oggi ha 25 anni e fa parte del gruppo The Glasgow Girls, gruppo che ha fondato nel 2005 con altre sette amiche con l’obiettivo di denunciare le irruzioni che, all’epoca, le forze dell’ordine facevano, all’alba, nelle case abitate dai profughi. Tutti coloro che non avevano lo status di rifugiato venivano portati via. La consuetudine di fare irruzione senza preavviso, all’alba, nelle case era criticata da una parte dei cittadini, ma dopo le proteste di Amal e delle sue amiche tutto cominciò a cambiare per davvero, la protesta diventò visibile, fecero scalpore questo sparuto gruppo di ragazzine e della

Dopo lo sgombero avvenuto all’alba da parte della polizia di un’amica decisi, per protesta, di non andare a scuola e di non tornarci fino a quando non fosse stata rilasciata la mia amica. Anche altre ragazze erano d’accordo con me. Nacquero così le Glasgow Girls: grazie alla tenacia di uno sparuto gruppo di ragazzine la legge fu cambiata. Ora i dawn raids, le cosìdette ispezioni a sorpresa non ci sono più.

Una bella foto di Amal insieme a due piccoli rifugiati

protesta intrapresa. Dopo lunghi dibattimenti la Legge fu cambiata. Ora non ci sono più i dawn raids, le così dette ispezioni a sorpresa. Nel raccontare la sua storia Amal ricorda che quando le autorità comunicarono alla sua famiglia che avrebbero dovuto trasferirsi da Londra a Glasgow alcuni profughi dissero loro che non erano stati molto fortunati perché ritenevano Glasgow una città poco accogliente, povera e razzista.

«Come vorrei incontrare oggi quelle persone – racconta Amal –: niente di più falso, Glasgow è una città aperta e generosa». A Glasgow Amal ha conseguito due lauree e oggi lavora per e con i profughi che arrivano nella “sua” città. La Bbc (la televisione di stato inglese) ha realizzato due documentari sulla storia delle Glasgow Girlse due anni fa il National Theatre for Scotland ha messo in scena un musical che racconta la storia di questo gruppo. Una luce di speranza Glasgow, la città più grande della Scozia, ha una lunga tradizione di accoglienza agli immigrati. I primi furono irlandesi, poi arrivarono polacchi e italiani e, in anni più recenti, afgani, iracheni, iraniani e somali. La crisi umanitaria dell’ultimo anno ha spinto Amal a sostenere altri progetti, uno in particolare con la Glasgow Campaign to Welcome Refugees con cui è andata in Grecia per accogliere i profughi. Amal conosce molto bene la paura e la confusione dell’essere profugo e uno dei loro obiettivi è creare un ponte tra la Glasgow dal cuore grande e le spiagge del mare mediterraneo. Il loro sogno è dimostrare che anche nella situazioni più buie c’è sempre un filo di speranza. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Emergenze climatiche Questione di sopravvivenza A Parigi la grande Conferenza mondiale sul clima. Con l’obiettivo di scongiurare disastri annunciati, per lanciare la sfida globale di tutela del pianeta e di contenimento delle temperature. Perché per molti è questione di vita o di morte testi di Andrea Barolini

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

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Dal 30 novembre all’11 dicembre prossimi un esercito di delegati – non meno di 30 mila persone, tra rappresentanti di governi, istituzioni internazionali e società civile – si riunirà a Parigi per la Conferenza mondiale sul Clima Cop21, nel tentativo di trovare un accordo per limitare la crescita della temperatura media globale a 2 gradi centigradi. Un obiettivo che, secondo gli esperti, è già oggi molto difficile da attuare. Scarpha già trattato ampiamente la questione spiegando in che modo saranno effettuati i negoziati, e quali sono i rapporti di forza in campo (si veda il numero 193, ndr). Ma se quello del clima è un problema evidentemente “globale”, in realtà c’è chi che, in qualche modo, è più “motivato” di altri ad ottenere un risultato positivo al termine della conferenza. Se salvaguardare il Pianeta, infatti, è nell’interesse dell’umanità intera, ci sono alcune nazioni che si giocano la sopravvivenza. «Qualche grado in più e questi Paesi cadranno

LA STORIA

E il mare, insieme agli atolli, potrebbe inghiottire anche la Statua della Libertà A rischiare di non sopravvivere ai cambiamenti climatici non sono solamente i piccoli atolli polinesiani. Anche numerosi monumenti storici potrebbero essere inghiottiti dai mari. Negli Stati Uniti, la Union of Concerned Scientists ha pubblicato un rapporto nel quale viene indicato un elenco di 30 importanti siti storici che potranno essere danneggiati o distrutti nei prossimi decenni. La mappa rende l’idea delle dimensioni del problema, che potrà colpire dall’Alaska alla California, dal Texas alla Florida, fino allo Stato di New York. Il primo e più famoso caso è quello della Statua della Libertà, che potrebbe essere spazzata via dalle correnti, così come Ellis Island, sempre nella Grande Mela. Ma a rischiare sono anche alcuni centri storici della Nasa, come il Johnson Space Center in Texas e il Centro spaziale Kennedy in Florida. Così come, cambiando tipologia di sito, il parco nazionale di Mesa Verde, in Colorado. «Penso che il cambiamento climatico rappresenti la più grande minaccia mai affrontata dai nostri parchi nazionali», ha dichiarato Jon Jarvis, direttore del National Park Service, citato nel rapporto. «I rischi per tali luoghi sono imminenti – ha aggiunto in un comunicato il responsabile degli Impatti climatici dell’Unione, Adam Markham –. Ciò che rischiamo di perdere è il legame tra la storia del patrimonio e quella della nostra stessa nazione». Proprio gli Usa, inoltre, dovranno fronteggiare un aumento drammatico degli eventi climatici estremi. Sempre secondo l’associazione di scienziati americani, infatti, il numero di uragani di categoria 4 o 5 (i più devastanti) è già raddoppiato rispetto al 1970. Con tutto ciò che consegue per milioni di persone che abitano sulle coste.


Stefan Krasowski

La Micronesia è una delle macroregioni in cui tradizionalmente viene divisa l'Oceania. Il nome Micronesia è stato coniato dal francese Jules Dumont d’Urville intorno al 1830 (insieme a quelli della Pol inesia, della Melanesia e della Malesia) e deriva dal greco antico cioè “piccole isole”. Tra loro le isole di Kiribati e Palau, che a causa dei cambiamenti climatici corrono rischi per la loro esistenza

nell’oblio», ha scritto il giornalista francese Julien Blanc-Gras nel libro Paradiso (prima della liquidazione), che ha vissuto alcuni mesi sulle minuscole isole di Kiribati, nel bel mezzo dell’oceano Pacifico a NordOvest di Tahiti, per poi transitare alle Fiji e in altri angoli sperduti della Terra. Qui il cambiamento climatico non è uno spauracchio per le nuove generazioni: è già in atto. E da tempo. Scorrendo le pagine del libro, Blanc-Gras intervista Kaure, un abitante di Kiribati che lo accompagna sulla riva del mare: «Ecco qui di fronte a te Bikeman, un’isola dal verde lussureggiante - spiega, indicando l’orizzonte -. Una volta venivamo

qui per un pic-nic nei weekend, per sfruttare l’ombra degli alberi». L’autore scruta allora il mare, ma non vede altro che acqua: «Se controlli sulle carte troverai l’isola - assicura Kaure, sconsolato -, puoi verificare. Ti rendi conto? Nel corso della mia vita ho visto scomparire un’isola!». E ciò che oggi è un

piccolo pezzo di terra, domani riguarderà interi Paesi, che rischiano di essere cancellati dalla geografia, sprofondando interamente sotto le acque dei mari. Di fronte a tale situazione drammatica, all’inizio del mese di settembre i capi di Stato di sedici tra le nazioni che risultano maggiormente a rischio si sono incontrati in Papua Nuova-Guinea, in occasione del Forum delle Isole del Pacifico. La riunione ha fornito

un dato importante: i governi hanno sottolineato infatti la necessità di limitare la crescita della temperatura media globale a 1,5 gradi centigradi, entro il 2100. E non a 2 gradi, come ipotizzato dai partecipanti alla Cop21. Effettivamente,

Bikeman, l’isola dal verde lussureggiante, non c’è più. Esiste solo sulle carte geografiche, è completamente sommersa. Interi Paesi rischiano di essere cancellati dalla geografia, sprofondando sotto l’acqua del mare. Nel pacifico la sfida del contenimento delle temperature è ancora più rigida, e difficile

anche con una crescita di 2 gradi per alcuni Paesi non ci sarebbe scampo. Va ricordato infatti che, secondo quanto deciso alle scorse Conferenze mondiali, a tutte le nazioni del mondo è stato chiesto di indicare prima della riunione di Parigi i propri impegni in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Mentre Scarpva in stampa, quasi 150 Stati, che rappresentano l’87% delle emissioni globali, lo hanno fatto. Ma secondo un’analisi basata su dati di poco inferiori a quelli raccolti finora, ed effettuata dal climatologo Michel Den Elzen, dell’agenzia di valutazione ambientale dei Paesi Bassi, tali promesse non sono affatto sufficienti nell’ottica di non superare le soglie stabilite. «Esse permetteranno di evitare emissioni pari a 3 o 4 miliardi di tonnellate di CO2, il che rappresenta solo il 1520% dello sforzo necessario per limitare la crescita delle temperatura media globale a 2 gradi centigradi entro il 2100», ha spiegato. «Altre analisi – riferisce Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia di Wwf Italia – parlano di una crenovembre 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Gli abitanti suo arcipelago, una parte della delle isole del Sud Nel popolazione è già stata evacuata. Pacifico sanno Una situazione non dissimile da che il loro destino quella vissuta a Palau, a Nord del«Nel corso degli ultimi è segnato. E questo l’Indonesia: tre anni abbiamo registrato due surappresenta per-tifoni. Il cambiamento climatico è una realtà che affrontiamo quoun duro colpo tidianamente: per noi è una quesoprattutto stione di sopravvivenza», ha per i giovani che dichiarato il presidente Tommy E. vedono affondare Remengesau. Nello Stato di Tuvalu, arcipelago polinesiano, nell’acqua la terra le acque dell’oceano hanno e le loro speranze già sommerso numerose col-

ture. Il primo ministro Enele Sosene Sopoaga ha ricordato che «i nostri Paesi contribuiscono in misura minima alle emissioni di gas ad effetto serra. Tuttavia, siamo i primi ad esserne colpiti. Per questo, stiamo investendo comunque sulle energie rinnovabili, perché questo aiuta a salvare le nostre vite, le nostre culture, i nostri popoli». Nel suo libro, Julien Blanc-Gras descrive uomini traballanti sotto il peso di grandi sacchi di sabbia, che si aggirano sulle spiagge per porre argini all’acqua. Ma gli abitanti sanno che il destino è segnato, e questo rappresenta un enorme peso per il loro morale. «Riscontriamo troppi casi di suicidi tra i giovani, che non hanno alcuna prospettiva, per essere in un luogo così ameno e pieno di sole», racconta Kaure. I più fortunati riescono ad ottenere un permesso di soggiorno in Nuova Zelanda. Ma si tratta di poche decine di “visa”, concesse a fronte di 8 mila domande. Che affondano nell’acqua, insieme a terra e speranze.

A rischio di estinzione un animale su sei

Una specie animale su sei rischia di scomparire a causa del cambiamento climatico in atto sulla Terra, qualora le emissioni di biossido di carbonio (CO2) non scenderanno nei prossimi decenni. A lanciare l’allarme è

La perdita di biodiversità è direttamente proporzionale al crescere delle temperature. I rischi su flora e fauna

uno studio statunitense, secondo il quale il rischio di estinzione – nel caso si avverasse lo scenario climatologico peggiore – riguarderà il 16% delle specie viventi attualmente in tutto il mondo. «I risultati della nostra analisi confermano che le minacce saranno più importanti in futuro», ha spiegato - secondo quanto riportato dal quotidiano svizzero Le Temps - Mark Urban, ricercatore del dipartimento di Ecologia e Biologia dell’università del Con-

scita a 3,5. Proprio per questo è necessario muoversi da subito, senza aspettare il 2020 per attivare i piani dell’eventuale accordo di Parigi». Le nazioni minacciate contano di far sentire la propria voce alla Cop21. Al Forum in Papua

Nuova Guinea, il presidente della Repubblica di Kiribati, Anote Tong, non ha usato mezzi termini: «Siamo arrivati all’ultima frontiera. Se la supereremo, il mondo intero subirà gravi conseguenze».

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necticut, e principale autore della ricerca (pubblicata sulla prestigiosa rivista Science). Lo scienziato ha basato la propria analisi sui risultati di 131 studi che hanno quantificato l’impatto del cambiamento climatico su fauna e flora, condotti in numerose regioni del Pianeta. Tutti concordano sul fatto che la perdita

di biodiversità è direttamente proporzionale al crescere delle temperature: se dovessimo arrivare ad una risalita limitata a 2 gradi centigradi (il livello immaginato dai governi, ma che per molti scienziati non sarà possibile raggiungere), a rischio estinzione sarebbe il 5,2% delle specie viventi, contro il 2,8% attuale. Qualora si toccassero i 3 gradi, la quota crescerebbe all‘8,5%, e


Arnaud Bouissou - creative common

LA SCHEDA

Rischi altissimi per specie particolari di animali, tra i quali l’orso polare. I cambiamenti climatici, secondo Science, avranno impatto soprattutto sulle specie che da più tempo abitano il pianeta

toccherebbe, appunto, il 16% se si arrivasse a +4,3 gradi.

gioni sarebbero più colpite rispetto ad altre. In determina-

Urban ha sottolineato che il problema non riguarderebbe il globo terrestre in modo uniforme: alcune re-

te aree dell’emisfero australe, in particolare, i rischi saranno decisamente alti (specialmente in particolare per rettili e anfibi): soprattutto in America del Sud, dove a rischiare sarebbe il 23% delle specie,

e in Australia e Nuova Zelanda, che raggiungerebbero il 14%. Di contro, in America del Nord e in Europa i rischi sarebbero minori: pari rispettivamente al 5 e al 6% (ma non per questo meno preoccupanti). Un’altra ricerca internazionale (anch’essa pubblicata sulla rivista Science) ha studiato i fossili di organismi marini su un periodo di 23 milioni di anni. «I cambiamenti climatici e le attività antropiche – ha concluso Seth Finnegan, professore di Biologia presso l’università di Berkeley, in California, e principale autore del rapporto – avranno un impatto soprattutto sulle specie che da più tempo abitano il Pianeta». Con esse perderemo non solo biodiversità ma anche, in qualche modo, pezzi di storia dell’evoluzione animale. novembre 2015 Scarp de’ tenis

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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO Klaus e il suo sassofono all’opera per le vie di Milano: «Non sono stato io a scegliere la strada ma lei a scegliere me. Milano senza la musica di strada sarebbe ancora più grigia. Le diamo colore».

Klaus: «La musica di strada fa Milano più bella» Klaus, la musica l’ha coltivata da bambino, con il classico percorso: solfeggio, pianoforte per poi appassionarsi al sax. Si diploma all’accademia musicale di Catanzaro ed inizia a girare per l’Italia. A Milano da diversi anni, Klaus ha creato un suo giro di collaborazioni con artisti nazionali e stranieri. «Non sono io che ho scelto la strada – racconta Klaus – ma la strada ha scelto me. Qui posso esprimermi liberamente e senza filtri e posso dedicarmi alla musica che mi piace, come Charlie Parker ed Enrico Rava». Klaus nel corso della sua lunga carriera ha inciso diversi album e, nonostante la sua lunga esperienza musicale, la strada è un’occasione fondamentale per sperimentare e presentare nuove canzoni. «A volte mi capita di suonare anche in qualche locale – racconta Klaus – ma il fascino di suonare all’aperto, in mezzo alla gente, è impagabile. Perchè credo che una Milano senza musica da strada sarebbe veramente grigia. Le persone hanno bisogno di scoprire nuovi generi musicali: Antonio dove ti capita di ascoltare oggi del jazz se non per strada?». novembre 2015 Scarp de’ tenis

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PAROLE

La bellezza nel vedere come nasce un violino

Gaetano Pucino, artigiano del liuto nel centro di Napoli

Gaetano Pucino spiega alla redazione di Scarp come si costruisce un violino. A destra il suo tavolo di lavoro

Impara l’arte e mettila da parte. Voglio iniziare così a parlare e a farvi conoscere Gaetano Pucino, un uomo di 42 anni, capelli medio lunghi, mossi, un po’ stile Jim Morrison, tipico degli anni ’60. È un bell’uomo con una personalità stravagante e ci ha invitati nella sua bottega che si trova a Piazza San Domenico Maggiore, nel centro storico di Napoli. Entriamo nel palazzo con portiere, che ci indica la strada, ci apre la porta un suo aiutante di nazionalità filippina e, insieme a lui, c’è anche un gatto persiano. Appena entriamo, notiamo tanti violini, perché Gaetano è un artigiano che li costruisce e li aggiusta e la sua è una tipica bottega antica, piena di quadri di personaggi che suonavano il violino. Appesa al muro, aveva anche la locandina di uno spettacolo del 1929. L’ho notata subito, in un primo momento ho pensato che potesse essere di un suo spettacolo, poi ho visto la data e ho pensato: “no, non può essere!”. Gaetano ci spiega che lui ha studiato a Cremona, che in Italia ci sono solo due scuole: Cremona e Gubbio, e che in ogni classe ci sono sette alunni per ogni professore. È una scuola di qualità, dove ti insegnano a fare violini di qualità. Gaetano ci ha spiegato come si costruiscono i violini: ci vuole legno d’acero per la cassa e dopo averla costruita, poi servono due pezzi di legno d’acero per fissare le corde. Quei due pezzi, si chiamano anima. L’archetto invece è fatto con la coda di cavallo e il legno non è verniciato con pittura ma con resine naturali. Per fare un violino, Gaetano, ci impiega 40 giorni, lavorando per otto ore al giorno. Il costo finale è di alcune migliaia di euro e il prezzo dipende dalle caratteristiche dello strumento. Ci racconta anche che ci sono fabbriche in Cina che producono anche violini da 100 euro, quelli sono per i ragazzini che vogliono imparare ma non sanno ancora se continueranno come professionisti. Non basta la scuola per costruire un violino, servono due mani esperte, una mente aperta e ci vuole orecchio per accordarlo. Quello tra violinista e liutaio è un rapporto di sintonia, quasi d’amore, non è soltanto un rapporto tra cliente e artigiano ma sono due persone che si uniscono grazie a uno strumento. Maria Esposito

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PAROLE

Foglie morte Palmi, ocra e rubino si accartocciano mani avvizzite, capillari fragili sgrigiano i toni cupi del fondale. Tipica procedura di distacco. L’indebolirsi pigro dei peduncoli… Eccole, infine, a terra, un’altra volta, ballerine eleganti, interpreti espressive di danze macabre, minuetti gentili. Adesso, il viale è medesima location, golden carpet prezioso di materie Aida Odoardi

Donde viene la parola artigiano, visto che, indubbiamente, arte ne è il certo inizio? Forse dal latino, che noi studenti degli anni ’60, un po’ ribelli, apprendevamo con distacco e sufficienza. Quello che so per certo è che un artigiano produce pezzi unici, apprezzatissimi da chi glieli ha commissionati, e che il liutaio, il costruttore di strumenti musicali, è il più artista di tutti. Non si tratta di un fine paio di scarpe, non di un vestito, né di un mobile intarsiato, ma di un oggetto fatto per produrre musica, l’arte più intensa e coinvolgente. Gaetano costruisce, anzi crea, violini. Io, da chitarrista autodidatta, posso solo sentire che una chitarra mi suona, mi vibra meglio che un’altra; lui invece sa il perché, la scelta dei legni per il fondo, il top, le fasce, la tastiera è fondamentale. A noi di Scarp pericolosamente stretti nel suo laboratorio, ha mostrato come si intaglia, si assembla, si rifinisce, si fa nascere un violino da un pezzo di legno. Magico. Gaetano plasma il suo legno e gli dà vita, respiro, voce. Certo, ha studiato e anche tanto, oggigiorno non si va più “a bottega” per imparare l’arte, bisogna andare a scuola, a Gubbio o a Cremona, non a caso la città del grande Stradivari. Così, imparando, soffrendo, sbagliando, forte dell’umiltà e della cocciutaggine dei convinti, vincendo anche qualche difficoltà in famiglia, ci è riuscito. Lui è Gaetano Pucino, il liutaio di piazza San Domenico maggiore e crea gli strumenti per i maestri dell’orchestra del Teatro San Carlo, della Nuova Orchestra Scarlatti. Bruno Limone


Gaetano, uomo straodinario «Sogno diventato bottega» Un lavoro impossibile da portare avanti senza la passione. Ogni strumento una creazione unica, con un suono specifico Gaetano Pucino è una persona fuori dagli schemi. È un liutaio napoletano che costruisce e ripara violini, viole e violoncelli. Prima ancora dei vent’anni decise di seguire la sua passione. Senza la passione non si intraprende una strada del genere. Capì subito che presso un liutaio avrebbe imparato poco, si iscrisse ad una scuola di liuteria, quella di Cremona, la città di Stradivari, facendo sette anni di studio. La voglia di raggiungere il suo obiettivo a far da sostegno nei momenti difficili e alla fine il sogno si realizza: un piano terra nel cuore di Napoli, a piazza San Domenico Maggiore, accoglie l’arte fresca e inesperta di Gaetano e diventa il laboratorio dove poter far crescere il suo talento. Costruire uno strumento musicale non è cosa facile, ma Gaetano è bravo e tenace. La cura, l’amore che mette nella costruzione si nota subito. L’avrà capito anche Truciolo, il bellissimo gatto che gli fa compagnia. Solo legno massello, legno pieno e non fogli incollati, scavato a mano per formare il ligneo fondo curvato e la tavola armonica. Abete rosso della Val di Fiemme e acero i suoi legni preferiti. Ogni parte dello strumento richiede un legno specifico. Gaetano pensa, immagina lo strumento prima di cominciare a lavorare. Per ottenere il suono che gli ha richiesto il suo committente. Quanto fascino. Impiega circa cinque settimane per un solo strumento, otto ore al giorno di lavoro. La soddisfazione è tanta, immensa, vale più dei settemila euro che chiede, in

NAPOLI media, come compenso. Ho trascorso un’ora di grande piacere ed emozione. L’atmosfera antica del locale è stata mitigata dalla presenza e dalle parole dell’artista. Il suo aspetto un po’ da sessantottino, magro con la barba lunga, mi ha portato indietro nel tempo. Alla fine degli anni sessanta, li chiamavamo figli dei fiori o alternativi, cercavano di ribellarsi ad una realtà che gli stava stretta. Gaetano mi ha fatto rivivere immagini vissute da bambino ma ciò che mi ha toccato nel profondo è stato il suo coraggio, la determinazione, la voglia di riuscire, unitamente al suo amore per questo lavoro. Una bella mattinata, per me appassionato di musica e di tutto il lavoro che occorre per la realizzazione di un oggetto fantastico, meraviglioso: uno strumento musicale. Peppe Del Giudice

GENOVA

Mi resta il tuo ricordo indelebile, di quando quel giorno ti presi al volo Quel giorno ti presi al volo. Il tuo aspetto era trascurato. La tua espressione assente, confusa, indifferente. Ero preoccupato. Perché all’inquietudine si univa un tuo atteggiamento passivo, rigido. Non riuscivo a mettermi in contatto, non eravamo sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Mi sembrava che non riuscissi a reagire, a tratti nemmeno a metterti in moto. Eri rallentato. Ricordo bene quel giorno. Ho in mente con chiarezza l’immagine di quei momenti. Sembravi catturato da non so quale demone, avviluppato in uno stato onirico. Era come se avessi perso il senso dell’orientamento, con uno stato di coscienza turbato, irrimediabilmente compromesso. E pensare che da poco avevi ripreso in mano la tua vita; avevi riconquistato uno spazio finalmente tuo, e lo avevi reso non solo dignitoso ma originale, accogliente. Con quella cura e quell’attenzione che ti contraddistinguono, nelle fasi di tranquillità, avevi ridato campo alla fantasia, personalizzando la tua camera. Con gusto e precisione. Dando una immagine di luminosità e pulizia. In più avevi ripreso a comunicare con gli altri. Gradualmente, senza scossoni. Ma avevi conosciuto persone, intessuto amicizie, sviluppato relazioni. Trovando un po’ di pace in mezzo ai tuoi conflitti interiori. Avevi trovato un angolo di serenità. Sino a quel momento, quando tutto si è offuscato. E ti sei ritrovato prima in ospedale e, ora, in questo palazzone algido, freddo, anonimo. In questa struttura dove però sei accudito e monitorato da una affettuosa infermiera. Faccio fatica a vederti lì, relegato in quel letto. Ma c’è una sorta di gratitudine in tutto questo, sei un paziente modello, diventato la persona a cui tutti gli inservienti sono legati. Continuo ad essere un poco a disagio di fronte a questa tua presenza – assenza; la normalità era vederti attivo, sempre intento a lavorare, restaurare qualsiasi cosa ti capitasse per le mani. Anche dopo il tuo pensionamento, eri instancabile, un vero “tuttofare”. Era difficile immaginare la possibilità che questa tua vita dovesse forzatamente rallentare. La malattia ti ha debilitato, progressivamente corroso. Eppure continui a trasmettere quella tua capacità di coinvolgere chi ti sta attorno. Ci riesci senza dire nulla; nessuna parola, pochi sguardi e movimenti. È proprio vero, l’anima esiste. Ed esiste un percorso indelebile di quello che si è fatto. In negativo come in positivo. Ne sei l’esempio lampante. Ne è l’esempio questa mia dedica che imprime un segno evidente della tua presenza, del tuo spirito. Una traccia che non scolorisce. Nonostante tutto quello che è successo; da quando quel giorno ti presi al volo. Stefano Neri novembre 2015 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

L’acqua L’acqua fa il suo (per) corso e anche se ti va sul dorso o nelle altri parti del corpo non ti pesa e danneggia la vorresti e detesti perché sarà sì pericolosa, noiosa ma è anche innocua sicché lasciala stare non la rinnegare o odiare perché lei fa parte della natura e vuol farsi notar. Giovanni Ricciardi

Rabbia e orgoglio Non sono ancora finito Non mi arrendo mai. Che prova di forza Tutte le bugie e le ferite. Si può ancora combattere. Dignità e rispetto. Senza compromessi. Non venire a patti Per orgoglio e sete di giustizia Aspirare alla libertà Stringere i denti. Vai, e sconfiggi i demoni Nella tua mente e nel tuo cuore.

Accoglienza profughi nel comasco: «Opportunità da vivere insieme» di Salvatore Couchoud

È un bilancio tra luci e ombre quello che emerge dal capitolo dell’accoglienza dei profughi nella diocesi di Como. «L’accoglienza è praticata in modo diverso tra Valtellina, valli varesine e provincia di Como –spega il direttore della Caritas, Roberto Bernasconi –, a causa della differenze riscontrabili nella morfologia del territorio, e non certo per una più accentuata ritrosia da parte della popolazione in taluni luoghi piuttosto che in altri, come ancora si favoleggia su qualche organo di stampa locale. La verità è invece che l’anima buona delle nostra gente salta sempre fuori, come rivelano tutte o quasi le esperienze del quotidiano, e l’altissimo numero dei volontari impegnati nei diversi servizi ne è la spia più significativa ed eloquente. Purtroppo però la stabilizzazione dei flussi e la fine della vecchia illusione che si trattasse di un’emergenza destinata prima o poi a esaurirsi, ci pone di fronte a difficoltà nuove e impreviste, che non si limitano al problema del reperimento dei posti e della distribuzione degli arrivi». Il nodo da sciogliere è ancora quello di snellire le procedure di identificazione, trop-

po lente e macchinose. Oggi occorrono almeno due anni prima di dare risposta alle richieste. Due anni di “parcheggio” e di assuefazione in cui ci si abitua alla routine e si smette di ricercare occasioni e opportunità di riscatto.

«È vero infatti –continua Bernasconi – che procurando loro un tetto, abiti nuovi e puliti, due pasti giornalieri e la possibilità di curarsi e la-

varsi si è già offerto qualcosa che nei paesi di provenienza difficilmente avrebbero potuto avere, ma è necessario passare allo stadio successivo per ottenere un’autentica integrazione». Per questo molte parrocchie comasche stanno cercando di impiegare i profughi in alcune attività come la pulizia delle strade, il giardinaggio, l’orticoltura e piccole manutenzioni edilizie, con risultati al momento più che apprezzabili, soprattutto sul versante della relazione che si instaura tra residenti e migranti. «Se vivi l’accoglienza come un

problema questa diventerà un problema –conclude Bernasconi –ma se la vivi come un’opportunità diventerà un’opportunità. E da tempo, infatti, ci stiamo accorgendo che proprio l’afflusso dei profughi sta schiudendo prospettive che mai ci saremmo sognati di accostare».

Mr Booboo

Cercami Cercami, io sarò il tuo amico, credendo anche alle tue bugie. Sarò la chiave dei tuoi segreti. Cercami, nella tua strada, buona o cattiva che sia. Fai di me la tua speranza, sarò il tuo sfogo di rabbia, pur che tu ti calmi. Cercami per amore, perché io so soffrire. Fai di me la tua occasione, il domani da scoprire. Quest’uomo che ti parla è il tuo mistero, bizzarro nel volere un desiderio. Ho la fine alle calcagna, ma riesco ancora a correre velocemente. Non essere triste ci sono io ad accarezzarti. Io sono il tuo amico amante, il tuo essere importante, che a volte vale niente. Fabio Schioppa 64 Scarp de’ tenis novembre 2015

Satellite Senza sapere ti hanno additato Menti mortali non andarono oltre In questo nome la dice alla lunga Di misti uomini conca tu sei Prospetto ampio di ogni fratello. Satellite, dentro Pioltello Pulsa il tuo cuore Schivo tu sei da critico occhio Che si ostina a non vedere in là Volti diversi, visi coperti Il paradiso è dentro di te In una mano ci siamo dentro tutti Dai tuoi palazzi tra nuvole e sogni Il tuo Pioltello alzi più in su Dove si gode di smisurato amore.. Rita


La produzione italiana di pomodori è più che sufficiente per coprire tutto il fabbisogno dell’industria conserviera tricolore

SCIENZE

concentrati di pomodoro cinese di bassa qualità. Innanzitutto

va chiarito che la legge italiana su questo è chiara: si può definire passata di pomodoro solo quella derivante da pomodoro fresco. Non solo. Sull’etichetta del prodotto va anche indicata la zona di coltivazione del prodotto fresco utilizzato. Casi di frode sono segnalati e le relative aziende sono sotto inchiesta, ma si tratta di un problema marginale.

Passata di pomodoro sicura è fatta con prodotti italiani di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Un’inchiesta recentemente portata avanti dal programma televisivo Le Iene, in onda su Italia Uno, punta il dito contro il mercato cinese che, secondo gli inviati del programma di Mediaset, altererebbe la produzione di buona parte delle passate di pomodoro. Facciamo il punto. Qualche settimana fa è andato in onda un servizio de Le Iene dove si parlava della produzione di passata di pomodoro, una delle eccellenze dell’industria agroalimentare italiana. Secondo chi ha confenzionato il servizio, però, gran parte della materia prima utilizzata per realizzare le passate made in Italy proverrebbe però dall’estero (in massima parte della Cina)e sarebbe di infima qualità. Addirittura si tratterebbe di

prodotti scaduti da anni, riempiti di pesticidi e spesso contaminati. In Italia, quindi, avverrebbe solo il confezionamento finale, uno stratagemma che consentirebbe di apporre il tanto agognato marchio del made in Italy. Ma le cose stanno davvero così? Passata tutta italiana In realtà non esistono prove che in qualche modo avvallino queste pesanti affermazioni. Per quanto la stessa inviata del programma televisivo si sia recata in Cina per verificare questa ipotesi, non sono stati forniti dettagli inequivocabili, né i nomi delle aziende italiane che sarebbero coinvolte in questo “losco” mercato. Ma le passate di pomodoro italiane come vengono fatte? Secondo il servizio de Le Iene gran parte sarebbero composte da

Concentrato per il ketchup La produzione di pomodori italiana, infatti, è più che sufficiente a coprire il fabbisogno dell’industria conserviera italiana. Si importa in Italia del concentrato di pomodoro dalla Cina, ma rappresenta appena il 10% e comunque non viene utilizzato per fare la passata di pomodoro, ma per alimenti, come il ketchup, destinati soprattutto al mercato extraeuropeo. Se quindi avete dei dubbi sulla qualità dei prodotti che potete trovare al supermercato, non preoccupatevi. Nessuna passata contiene vermi o concentrati stranieri di dubbia provenienza e qualità. Fortunatamente esiste una legge e dei controlli regolari che, salvo casi eccezionali, garantiscono la qualità di un prodotto famoso in tutto il mondo.

novembre 2015 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2014 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Fichret in compagnia di due amici e sostenitori: quando lo incontrano non mancano mai di comprare la rivista

Fichret «Instancabile padre di 7 figli che lotta per avere la patente» di Cristina Salviati

info Tutti i mercoledì mattina la redazione vicentina si riunisce a Casa Santa Lucia per discutere, rileggere, proporre storie e poesie. Un gruppo di circa 15 persone, composto da venditori, collaboratori e volontari che si impegnano anche nel reading di storie senza tetto, Diario di strada

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VICENZA

Fichret Halilovich è bosniaco ma la sua vera patria è l’Italia, dal momento che è nato e ha sempre vissuto qui. Fichret è papà di sette figli di tutte le età, in fila dagli 8 ai 19 anni, è separato e, da solo, si occupa di tutta la tribù. «Per la verità – racconta – con un buon aiuto da parte dell’assistente sociale e di Marta e Donato, i due operatori dello sportello Rom e Sinti della Caritas Vicentina. Soprattutto con i più grandi, gli adolescenti, a volte non so proprio come fare». Da quasi un paio d’anni Fichret fa il venditore di Scarp de’ tenis mettendo in campo una buona rete di contatti: sono in tanti a conoscere la sua famiglia e volentieri lo aiutano. «Per me – racconta Fichret – vendere Scarp è un buon sistema di guadagnare qualcosa, almeno finché non riuscirò a riprendere la mia attività di prima, la raccolta e la vendita del ferro». Per Fichret, infatti, questo lavoro ha dovuto arrestarsi all’improvviso quando fermato alla guida del camioncino in stato di ebbrezza si è visto ritirare la patente. Per lui che non ha potuto studiare, riuscire a superare nuovamente

l’esame è un’autentica impresa. Da quasi due anni frequenta i corsi dell’autoscuola dove ormai tutti lo conoscono, ma ancora non riesce a superare lo scoglio del quiz. «L’ultima volta ho fatto solo 5 sbagli – racconta – ci sono quasi, la meta si avvicina, ma poi, mi prende l’emozione e sbaglio le risposte».

Quando Fichret affronta per l’ennesima volta l’esame di guida sono in tanti a fare il tifo, non solo la redazione di Scarp, gli operatori o i volontari, ma anche le maestre dei suoi numerosi figli e perfino alcuni tra poliziotti e carabinieri che sono anche tra i migliori clienti del mensile di strada. «Appena mi vedono – conclude Fichret – mi chiedono se ho l’ultimo numero di Scarp da vendere, da sempre mi hanno sostenuto in questo lavoro di vendita. Prima che mi trasferissi in appartamento, in parrocchia, venivano sempre al campo a trovarmi e mi raccomandavano di tener duro e di continuare nella vendita. Da quando poi ci siamo fotografati insieme al Festival Biblico, mi chiedono quando uscirà sul giornale la nostra foto, insieme» .




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