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Foto Alessandro Brasile - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

L’INTERVISTA

EDOARDO BENNATO E IL ROCK CHE GRAFFIA ANCORA

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strada

www.scarpdetenis.it marzo 2016 anno 21 numero 199

NAPOLI LO SPECIALE SUL RIONE SANITÀ. LA BELLEZZA, STRUMENTO DI RINASCITA

L’uomo che difende i diritti dei bambini INTERVISTA ESCLUSIVA DI SCARP DE’ TENIS A KAILASH SATYARTHI, PREMIO NOBEL PER LA PACE 2014



EDITORIALE

Le storie e le facce di Scarp Il nostro patrimonio

LA PROVOCAZIONE

Tratta di esseri umani. Dove iniziano le nostre responsabilità di don Roberto Davanzo direttore Caritas Ambrosiana

di Stefano Lampertico [

@stefanolamp ]

Fateci caso. Quando si parla, sui media e sui giornali, di invisibili, di homeless e di emarginati, nella maggior parte dei casi sono sempre cattive notizie. E spesso a ragione. Nelle scorse settimane la rassegna stampa ci ha parlato del pestaggio ignobile del venditore di rose a Milano, della morte per freddo di chi ha sempre rifiutato l’accoglienza nei centri per la notte, della panchina anti-homeless a Genova con il dispositivo che impedisce ai senza dimora di potersi liberamente sdraiare. Difficile leg-

gere una “buona notizia”. Eppure ce ne sono. E ce ne sono tante con protagoniste quelle facce da Scarp che faticano a trovare spazio sui media. A noi invece, quelle facce, quelle persone, quei volti, quelle storie di umanità piace raccontarle. Cerchiamo di farlo su ogni numero del giornale. E lo faremo in particolare sul prossimo, il nostro numero “duecento” – che per la nostra storia ventennale – assume un valore particolare e simbolico. Le nuove forme e tendenze della comunicazione ci dicono

che lo storytelling è il modo più efficace per descrivere le realtà umane. Lo facciamo da vent’anni. E siamo convinti che sia così. A un patto. Che le storie siano sempre vere e non calibrate su copioni già scritti o trame già definite. Perché anche questo è un “vizio”. “Raccontare solo ciò che fa piacere raccontare”. Edulcorando quando va bene - la realtà.

La copertina del giornale è dedicata a un grande personaggio: il premio Nobel per la Pace 2014 Kailash Satyarthi (con Malala Yousafzai) che abbiamo avuto la fortuna di incontare a Milano. Con lui abbiamo toccato i temi dello sfruttamento, della tratta degli esseri umani, del lavoro minorile. Inutile sottolineare lo spessore di un personaggio così.

Siamo sicuri che le storie che leggiamo o che vediamo in tv sono sempre vere? Non vi viene il dubbio che siano calibrate su copioni già scritti o trame definite?

Consentitemi infine un excursus personale. Di Edoardo Bennato conosco a memoria i testi di molte canzoni. Soprattutto quelle storiche, quelle che gli adolescenti come me all’inizio degli anni ottanta, hanno ascoltato mille volte e cantato altrettante. Mi fa allora molto piacere ospitare una sua intervista sulle pagine di Scarp dove non si parla solo di “canzonette” ma si sfiorano molti altri temi. Sono passati tanti anni, ma Edo graffia ancora.

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

Del fenomeno della tratta degli esseri umani se ne è parlato lo scorso 8 febbraio, data che la chiesa cattolica ha voluto dedicare ad un dramma che l'Onu stima coinvolgere circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, che finiscono nel circuito dello sfruttamento sessuale, lavorativo, nell'accattonaggio forzato, nel mercato legato all’espianto di organi. Il 60 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite. Attenzione allora: questo fenomeno arriva molto vicino a noi e talvolta ci vede come complici più o meno consapevoli. Si tratta di un dramma che si rende manifesto sulle nostre strade o negli appartamenti abitati da escort di alto bordo. Un dramma che trova il suo sbocco anche nei territori del sud Italia dove masse di neo schiavi senza diritti vengono “assoldati” per la raccolta di prodotti agricoli che finiscono sui banchi dei nostri supermercati, oppure nei rondò di periferia dove altri caporali gestiscono la manovalanza edile che opera nei cantieri in cui nascono i nuovi quartieri delle nostre città. Qual è la nostra responsabilità? Enorme! Sia nel favorire il mercato della prostituzione, sia nel compiacerci superficialmente di acquisti a prezzi vantaggiosi di prodotti dalla dubbia manifattura. Bando allora alle lamentazioni che ci deresponsabilizzano e invece fuori le antenne per sapere cogliere i frutti perversi di un fenomeno disumano. Il potere è nelle nostre mani: azzeriamo la domanda di prostituzione, non rendiamoci disponibili ad assumere personale in nero, rifiutiamo i prodotti privi di una qualche certificazione. Solo così, forse non sarà debellato, ma certamente il fenomeno della tratta si vedrà pesantemente ridimensionato. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

C’è Kailash Satyarthi, Nobel per la Pace, sulla copertina di Scarp de’ tenis Dopo Papa Francesco, sorridente sulla copertina del numero 197, ecco un altro grande della terra, sorridere dalla copertina di Scarp. Stiamo parlando di Kailash Satyarthi, premio Nobel per la pace 2014, attivista indiano impegnato nel movimento contro il lavoro minorile

dal 1990. Pensate che con la sua organizzazione Bachpan Bachao Andolan, ha “liberato” oltre 80.000 bambini da varie forme di schiavitù, aiutandoli con successo nella loro reintegrazione, riabilitazione e formazione. Kailash era a Milano, a inizio febbraio. Non potevamo lasciarci sfuggire una simile e preziosa occasione. In copertina c’è anche un pezzo di Napoli. È il Rione Sanità, il quartiere che ha dato i natali allo “scugnizzo del rione Sanità”, il principe De Curtis, in arte Totò. Di recente

la Sanità è tornata alla ribalta della cronaca per fatti legati alla malavita. Scarp vi racconta l’altra faccia del Rione, quella fatta di belle storie e di belle facce. In uno speciale tutto napoletano all’interno del giornale. Vi dobbiamo anche un aggiornamento: lo scorso 1 febbraio abbiamo messo all’asta le tavole della mostra “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori”. Ebbene, grazie alla vostro generosità, abbiamo raccolto quasi 10 mila euro per i nostri progetti a favore dei senza dimora.

La mia gente, la mia gente muore e nessuno se ne accorge, io e di questo morire non ne voglio capire. La mia gente, la mia

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rubriche

servizi

PAG.7 PAG.9 PAG.11 PAG.12 PAG.16 PAG.22 PAG.23 PAG.62 PAG.63 PAG.73 PAG.74

PAG.24 L’INTERVISTA Edoardo Bennato graffia ancora con il rock PAG.26 COPERTINA Intervista al Nobel per la Pace: «La schiavitù esiste ancora» PAG.34 SPECIALE NAPOLI Il bello della Sanità PAG.40 DOSSIER Adolescenti, paura di crescere PAG.46 LA STORIA Pecorelle, il tosaerba con le zampe PAG.48 TORINO Alma Mater, le donne per le donne PAG.50 VICENZA Transizione: sviluppare la resilienza PAG.52 GENOVA Povertà: la crisi continua a colpire duro PAG.55 VENEZIA Il Comune taglia i servizi notturni PAG.56 VERONA Villa Erbé, nuova vita ai beni confiscati PAG.58 RIMINI Progetti inclusivi per chi possiede abilità diverse PAG.60 SUD Mai più soli. Vivere al meglio fino alla fine PAG.64 VENTUNO Il clima impazzito aumenterà povertà e fame PAG.69 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.70 NAPOLI Eugenio Tibaldi e Napoli, un amore messo in mostra PAG.71 FIRENZE La voglia di integrarsi, più forte delle differenze

(IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi IL TAGLIO di Piero Colaprico PIANI BASSI di Paolo Brivio PENNE PER SCARP di Francesco Mari LA FOTO di David Marcado/REUTERS LE DRITTE di Yamada VISIONI di Sandro Paté POESIE VOCI DALL’EUROPA di Mauro Meggiolaro SCIENZE di Federico Baglioni IL VENDITORE DEL MESE

Scarp de’ tenis Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis marzo 2016

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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Foto Reuters, Insp, Romano Siciliani Disegni Sergio Gerasi, Gianfranco Florio, Luca Usai, Loris Mazzetti, Francesca Rosa, Irma Ribolla, Gaia Panizzari, Francesca Gerosa


da

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Il men

aforisma di Merafina La luna La luna bussò con gli occhiali da sole Il tweet di Aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

Carceri 'inumane', ex detenuto risarcito con 7,91 euro al giorno (Ansa)

Cos’è

Quanto costa l'Essere Umano? Quanto costa essere umani?

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

o sto a guardare fuori fuori che piove a gente muore e nessuno se ne accorge

Dove vanno i vostri 3,50 euro

La mia gente - tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

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TOP 15

Indice del Progresso Sociale fonte - www.socialprogressimperative.org • dati 2015

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42 Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

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Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Elcograf Spa Verona

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva via Pietro Trinchera 7 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Sud Caritas diocesana, Salita Corpo di Cristo, Teggiano (Sa) tel.0975 79578 info@caritasteggianopolicastro.it

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 27 febbraio 2016 al 1 aprile 2016

www.insp.ngo marzo 2016 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

Una semplice parola spiega il nuovo secolo: “espulsione” Qualche dato. In Italia, Spagna Portogallo e Grecia si sono persi in cinque anni di Paolo Lambruschi più di 6 milioni di occupati. La parola chiave per capire questo secolo è una I profughi espulsi sola ed è drammatica: dalla guerra espulsioni. Lo sostiene – sem- del ventunesimo plifico – nel suo ultimo studio edito dal Mulino la sociologa secolo sono più americana Saskia Sassen. Partia- di 60 milioni. mo dal mondo del lavoro, che ha E il popolo della buttato fuori un numero incredibilmente alto di persone. Guar- strada, in Italia, dando solo ai dati Istat dal 2008 è salito a 51 mila al 2013 il numero degli occupati persone. in Italia si è ridotto di poco meno di 5,9 milioni giungendo a circa 217 milioni nella Ue. Le maggiori perdite di occupazione si sono registrate nell’Europa meridionale. In Italia, Spagna, Grecia e Portogallo si sono persi nel quinquennio 6 milioni e 122 mila occupati. Un milione secco di

disoccupati ci sono solo nel Belpaese, dove anche se si recita il mantra della ripresa, rispetto all’Italia pre-recessione i poveri in senso assoluto sono più che raddoppiati. Sarebbero più o meno 6 milioni. Dati da prendere con le molle, per carità, ma comunque è aumentato in silenzio, ma esponenzialmente il popolo degli invisibili che sono, adottando questa terminologia

sportiva, gli espulsi. Quanti sono? Difficile dirlo con precisione, ma causa povertà in Italia le persone che non si possono più curare adeguatamente sono 4 milioni, e sono poco più di 36mila i nuclei familiari sfrattati nel 2014, quasi 100 al giorno. Sono 90 mila i giovani in gamba, i cervelli, espulsi dal Belpaese perché quelli bravi sono un lusso per gli ordini professionali, il mondo universitario e la ricerca, da decenni divenuti feudi impenetrabili. E sono 2,5 milioni i giovani definiti neet, espulsi dalle scuole e mai entrati nel mondo del lavoro. Andiamo sulla scala globale.

Sono 60 milioni (metà minorenni) i profughi scappati dalle guerre del XXI secolo, chiamate “conflitto” spesso con la qualifica di “bassa intensità”, dalle persecuzioni politiche e religiose. Non sono mai stati

scheda

Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

così tanti dal 1945, un terzo gravita bnel bacino del Mediterraneo, la via più battuta e pericolosa del pianeta, sfogo di almeno una ventina di punti di crisi dove in 15 anni hanno perso la vita quasi 30 mila persone. Ma anche contadini buttati fuori dai propri villaggi perché i pascoli sono stati venduti ai fondi sovrani dei Paesi arabi o della Cina. Processi di

espulsione che non sono dovuti a ristrutturazione, bensì alla decisione di emarginare chi non è più funzionale (o non lo è mai stato) alla produzione e ai

grandi profitti di pochi. Troppo pochi. Chiudiamo con il popolo della strada tradizionale. Sono 51 mila in Italia, secondo i dati più recenti, le persone che usano mense e dormitori, tra single (italiane e stranieri) e famiglie in stato di grave emarginazione sociale. Quali speranze hanno gli espulsi? Nello sport chi prende un cartellino rosso in genere salta uno o due turni poi rientra, nel mondo del lavoro non è più così. Aspettiamo gli effetti delle nuove forme contrattuali per giovani e meno giovani, consci del fatto che sarà difficile tornare ai livelli pre crisi e il panorama resta piuttosto deprimente. Almeno

l’Italia ha finalmente deciso di dotarsi di un reddito minimo, davvero minimo, 320 euro per sostenere i nuclei rimasti senza lavoro con figli a carico. Non c’è da esultare, è solo un inizio. Segnalo infine una novità positiva che arriva da Palermo, dalla Fio.PSD, che con Housing First sta cambiando le modalità di risposta per coloro che vivono in strada. Case per togliere la persona dalla strada, mettendola nelle condizioni di avere prima un’abitazione sicura per poi accompagnarla gradualmente nella risoluzione di tutti gli altri bisogni.

marzo 2016 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Vittime e carnefici Quanto è vivo il desiderio di pace? Tra chi ci ha fatto un torto e noi non è facile far pace. A volte sono minimi sgarbi che dividono per sempre le persone. Viene da pensare an-

di Piero Colaprico

Sono passati quarant’anni che in piccolo, guardando un uomo e una donna, seduti uno ac- dagli anni di piombo. canto all’altra. Negli ultimi otto, Lei si chiama Agnese dietro le quinte, Moro, è figlia di Aldo, lo statista ucciso nel 1978, dopo 55 gior- alcuni criminologi ni di interrogatori e lettere, di so- e un gesuita litudine e dignità, nelle mani dei hanno provato terroristi delle Brigate Rosse. Lui è Valerio Morucci, è il a far incontrare corpo dal quale proveniva una vo- vittime e carnefici ce educata, ma raggelante, trasmessa anche dal telegiornale: «Lei – ripeteva la voce - deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani in una Renault rossa i cui primi numeri di targa…». Morucci non aveva solo telefonato, aveva anche sparato con il mitra ad almeno due dei cinque uomini che scortavano Moro, e vennero tutti uccisi. Sono passati, da allora, quasi quarant’anni. Negli ultimi ot-

to, dietro le quinte, alcuni criminologi e un gesuita hanno provato a far incontrare vittime e carnefici. E tra

scheda

Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

quelli che si sono incontrati, ci sono anche Agnese Moro con Valerio Morucci e Franco Bonisoli, un altro che il 16 marzo 1978 sparò nelle fasi cruente del sequestro Moro: «Guardo loro – dice Agnese – e non vedo i mostri che per tanti anni hanno popolato la mia vita. Il male è come una cisti, un corpo estraneo, ma non è inerte, lavora, ti blocca. Una parte di me rimane ferma, bloccata, congelata. Qualunque cosa io faccia è come se fossi legata con un elastico. Il male lavora sulle persone che stanno vicino, che nemmeno erano nate,

perciò penso che la giustizia riparativa possa essere una cosa buona, perché ha un pregio, rimette in moto le cose, le scongela, dirada il nuvolone. Attraverso cose piccole, come il volto dell’altro».

Sotto il binomio “giustizia riparativa” entra qualche cosa che il diritto penale classico fa fatica a inquadrare: accanto alla punizione e alla riabilitazione, passa qualche cosa che può essere chiamato “desiderio di pace”. Di far pace con il proprio dolore, e non è facile. E di far pace

con chi il dolore l’ha procurato. Chi ha ucciso, vuole far pace con quello che era, un tempo, se quel tempo se n’è andato davvero, se si sente cambiato. E vuole quella stranissima cosa che secondo i Vangeli disse Gesù persino sulla croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

Anni fa, quando il cardinal Carlo Maria Martini stava già molto male, vittime e autori di reati andarono insieme a trovarlo e lui disse: «Che cosa posso fare per voi?». Da giornalista, ho recuperato una foto dell’incontro tra terroristi, vittime e il Cardinale. E l’ho pubblicata su Repubblica, parlando per la prima volta di questa “giustizia riparativa” e del criminologo Adolfo Ceretti, tra i più impegnati nel propagarla come metodo. L’articolo aveva suscitato una serie di pro e contro, qualcuno s’è stupito che Martini avesse accettato di prestarsi a una simile compagnia. Eppure, non era la prima volta.

Dal vescovo di Milano andò, in gran segreto, anche Pietro Cavallero, il bandito che con Sante Notarnicola e altri, nel 1967, alla fine di una rapina, ingaggiò con polizia e carabinieri una sparatoria nella quale morirono cinque persone, la rapina più sanguinosa della storia italiana. Anche Cavallero voleva essere perdonato da Milano e pensò che Martini potesse in qualche modo farlo. S’è saputo dopo la morte di entrambi. Purtroppo, viene da dire, a un povero cronista. In un mondo così isterico, diviso, fasullo, ci sono notizie che è bene circolino il più possibile. Sono il «volto dell’altro». marzo 2016 Scarp de’ tenis

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PIANI BASSI

Esclusione cronica, almeno sappiamo da dove partire

di Paolo Brivio

I numeri annoiano, si sa. Le vicende umane, invece, avvincono. Per questo motivo Scarp è anzitutto un giornale di storie e ritratti: veicoli di immedesimazione, ci introducono al cuore di quel territorio impervio che è l’homelessness. Noi perlustriamo e raccontiamo questo territorio ormai da vent’anni. Per dare un volto amico albarbun jannacciano, nel tentativo di sopprimere la distanza che entrambi –noi cittadini comuni, lui individuo marginale – saremmo tentati di mantenere. Però sappiamo che non può

alcune linee di tendenza che testimoniano non solo chi è, la persona senza dimora oggi in Italia, ma soprattutto come si evolve la sua condizione di vita. L’elemento di gran lunga più inquietante, ottenuto comparando i dati 2011 e 2014, consiste nel prolungarsi, scrive l’Istat, «della durata della condizione di senza dimora», ovvero l’aumento del tempo medio di permanenza sulla strada. Assistiamo, in definitiva, a una sorta di

cronicizzazione dell’esclusione sociale: spirale che si

essere solo l’empatia, a costruire consapevolezze e cementare relazioni. Bisogna lasciare spazio anche a forme di conoscenza aride in apparenza, in realtà capaci di oggettivare i fenomeni. I numeri di una statistica, tutt’altro che appassionanti,

l’autore Paolo Brivio, 49 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

I numeri non sono accattivanti. Anche perché, spesso, raccontano possono aiutare a capire. E, amare verità. di conseguenza, ad agire. Come l’aumento Senza tappe intermedie del tempo Permettete dunque un passo indietro. E una ripetizione. Nello scorso di permanenza numero di Scarp, e più volte in que- sulla strada sta rubrica, si è infatti dato spazio aldegli homeless la ricerca “Le persone senza dimora”, condotta da Istat e Fio.PSD, vo- di casa nostra. luta da ministero del welfare e L’housing first, Caritas Italiana, autentico censimento dell’homelessness in nuovo approccio, Italia, giunto al primo aggiorna- sarà vincente. mento (dati di fine 2014, pubblicati Non senza a fine 2015), dopo l’esordio del 2011. Conviene soffermarci ancora, su le necessarie quella miniera di dati, per estrarne fondamenta...

autoalimenta ed è peggio di una detenzione, perché la strada è una condanna che irrobustisce se stessa, invece di esaurirsi, con l’andar del tempo. Più la persona senza dimora rimane ai margini, più si inselvatichisce, più si accomoda nei riti dell’assistenza, e più fatica a ripensarsi: è a questa spinosa constatazione (confortata da numerosi dati della ricerca, oltre che dall’esperienza di tanti operatori) che dovrebbero ispirarsi le politiche di settore. In Italia le nuove Linee di indirizzo volute dal governo, e presentate insieme al censimento, sembrano inaugura-

re un tempo di svolta, sul terreno del cosiddetto approccio Housing first. Via dalla spirale cronicizzante della strada, subito in una casa, senza tappe intermedie di accoglienza: è la strategia su cui deve poggiare ogni successivo percorso di inclusione. Sembra innovativo e vincente. Se non fosse che altri dati ci ricordano l’assenza, nel nostro Paese, di

autentici investimenti sulla casa “sociale”, di un mercato del lavoro non precarizzante, di un reddito d’inclusione “universale”. Cioé degli elementi che decretano la praticabilità dell’housing first. Perché qualunque approccio fallisce, sul lungo periodo, se è carente di fondamenta. Quando i numeri parlano, insomma, spesso raccontano amare verità. Di cui conviene far tesoro: per quanto frustrati, sapremo almeno da dove partire. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Francesco Mari, ricordati di santificare le feste

Tra pazienza e saggezza

di Francesco Mari

“Anche questa domenica se ne andrà così com’è arrivata”, pensava Gianguido col viso seminascosto dietro il ventaglietto di carte della briscola settimanale. Intorno

scheda Francesco Mari (Napoli, 1966), vive e lavora a Napoli. Laureato in Filosofia, lavora nella pubblica amministrazione nel settore delle attività culturali. Coautore di alcuni saggi: Intrighi e delitti nei secoli, Un giallo di quattro secoli fa, L’enigma della morte di Marilyn Monroe. La ragazza di Scampia è il suo primo romanzo.

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al tavolo c’erano gli amici di sempre, Vittorio, Ettore, Ugo, e nell’aria l’odore del caffè appena preso mescolato al fumo delle sigarette. Nell’angolo opposto della sala interna del bar, un televisore era sintonizzato su un programma sportivo, con l’audio al minimo, che a malapena si avvertiva in sottofondo. Non sembravano passati già sette giorni. Sembrava che l’ultima domenica fosse stata appena l’altro ieri. Da quando era andato in pensione le settimane erano diventate più corte, o forse era che i giorni avevano cominciato a sembrargli tutti uguali: che differenza c’era, ormai, tra una domenica e un mercoledì? Ugo come al solito si faceva attendere, le sue giocate erano sempre precedute da lunghe riflessioni, e Vittorio, il più insofferente fra loro, già cominciava a dare segni di impazienza. Dal canto suo, Gianguido pensava: che fretta c’è? Siamo qui per far passare il pomeriggio, no? Gettò uno sguardo alle finestre e vide che era ancora presto, fuori c’era ancora la luce del giorno. Immaginò che, volendo, avrebbe fatto in tempo a lasciare lì gli amici, prendere l’autobus, scendere dopo tre fermate e andare a bussare alla porta di Iris, che di sicuro lo avrebbe accolto con un sorriso, lo avrebbe fatto accomodare nel tinello con le tendine bianche alle finestre e gli avrebbe offerto il tè con i biscotti di pasta frolla al limone, quelli che lei stessa preparava per sé e per i nipoti tutti i fine settimana. Iris era sempre sorridente, piena di garbo, mai formale: lui si era accorto subito, fin dalla prima volta in cui avevano attaccato discorso in fila alle casse del supermercato, che lei era una donna dall’animo gentile, una vera signora. Gentile e irremovibile, però. Più in là di un tè coi biscotti al limone non sarebbe mai andata, questo lui lo sapeva bene, e dunque che senso aveva prendere l’autobus la domenica pomeriggio per andarla a trovare, idea che in mattinata aveva a lungo accarezzato, non foss’altro che per sfuggire

alla monotonia della briscola pomeridiana? Vestirsi bene, tagliarsi i peli nel naso, pensare a prenderle un pensierino per non presentarsi a mani vuote… ne valeva la pena? E poi si sa come possono essere tristi e deprimenti gli autobus la domenica pomeriggio… Gianguido era anziano, ma non era ancora vecchio. Perlomeno, non era ancora “vecchio vecchio”: questo era un articolo di fede per lui, il suo primo e unico articolo di fede. Tuttavia non riusciva più a ignorare alcune domande che da qualche tempo avevano preso a ronzargli fastidiosamente nella testa, specialmente la notte: perché anche se non era vecchio ma solo anziano, dormiva di meno ultimamente, come accadeva a tutti quelli della sua età. Al buio, prima di prendere sonno, o quando il sonno lo abbandonava con abbondante anticipo sull’alba, nugoli di domande lo assediavano come tafani molesti: era stato felice o infelice nella sua vita? E se era stato felice, che ne era adesso, della felicità passata? Ne aveva fatto un cattivo uso, un uso malaccorto?

Aveva da poco compiuto sessantacinque anni, era andato in pensione ed era solo. Anche su quest’ultima cosa, però, occorreva qualche precisazione, a suo modo di vedere: non era proprio “solo solo”... Non era uno senza amici che giocassero a carte con lui la domenica, per esempio, né senza fratelli, cognate e nipoti che a Pasqua e a Natale non lo invitassero a passare le feste in loro compagnia, e che a turno la domenica, una volta al mese, non lo tenessero a pranzo con loro. Non era insomma uno di quelli che passano il tempo sulle panchine dei giardinetti, alla ricerca di qualcuno con cui attaccare a parlare. Era semplicemente uno che non si era legato, affettivamente parlando, che non aveva mai preso moglie né aveva avuto figli. Altre domande sorgevano però, quando arrivava a questo punto dei ragionamenti che faceva con se stesso: era semplicemente andata così o era stata una sua scelta? Gli era capitato o aveva fatto in modo che gli capitasse? Per anni – gli sembrava di ricordare – aveva avuto la risposta a questa domanda: adesso, da un po’ di tempo, non più.


PENNE PER SCARP

Era cominciato allora il periodo delle donne “in grado di tenergli testa ma non troppo”

Era arrivato il suo turno di calare la carta. Gianguido era un giocatore accorto ed esperto, stavolta tuttavia ebbe la sensazione di essere stato precipitoso, di non aver ponderato bene la sua scelta. Era distratto, i pensieri lo portavano da un’altra parte… A quel che ricordava, era

stata Brigida, la sua prima moglie, a non volere figli, e comunque sarebbe stata una pes-

sima madre, a essere onesti, sempre così nervosa, così irascibile, pronta a dare in escandescenze per un nonnulla… Mariolina al contrario era una donna fin troppo materna e apprensiva, sarebbe stata una madre opprimente, lo era già stata come compagna del resto… Viola aveva mo-

strato fin dall’inizio un carattere indipendente: c’era stato un periodo della sua vita

in cui aveva desiderato incontrare solo donne così, donne che detestassero l’idea di attaccarsi al proprio compagno “come una patella allo scoglio”; però quando era venuto a sapere da amici comuni che lei l’aveva tradito con quell’architetto più giovane (più giovane anche di Gianguido) l’indipendenza era stata decisamente troppa anche per lui… Aveva conosciuto Valeria subito dopo,

per un paio d’anni gli era sembrata la compagna ideale, una che non chiedeva troppo al suo partner, e che soprattutto era sempre contenta, qualunque attenzione lui le dedicasse o non le dedicasse: semplicemente troppo contenta, alla fine, contenta in modo insopportabile, bisognava pure che una donna avesse un minimo di personalità e che un po’ sapesse anche tenergli testa… Era cominciato allora il periodo delle donne “in grado di tenergli testa ma non troppo”, e tra una cosa e l’altra, tra una donna e l’altra, eccolo arrivato dov’era, coi suoi sessantacinque anni e i suoi nugoli di domande senza risposta… Adesso, finalmente, gli sarebbe piaciuto sistemarsi. Era finito il tempo delle scuse e dei pretesti. Ora sarebbe stata bella anche la monotonia coniugale. Anche i difetti della sua eventuale compagna, perfino quelli avrebbero contribuito a riempire le sue giornate… Iris aveva sette anni meno di lui, l’età marzo 2016 Scarp de’ tenis

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PENNE PER SCARP giusta. Ed era vedova oltretutto, vedova e piacente. A risposarsi, però, a dividere la sua vita con un nuovo compagno, non ci pensava proprio, su questo era stata chiarissima... Era troppo tardi ormai per provare a riprendersi un po’ della felicità passata? “Ohé, ma ti decidi o no?” Arrossì quando si rese conto che l’esortazione di Vittorio non era rivolta a Ugo ma a lui: era di nuovo il suo turno e lui neanche se n’era accorto! Giocò di nuovo in modo frettoloso e casuale, doveva prepararsi a ricevere la ramanzina di Ettore, il suo compagno, a fine partita…

venuto meno a quell’appuntamento. Quando Gianguido una domenica gliene aveva chiesto il perché, suo padre, col cappotto già indosso, aveva risposto: “Un giorno, molti anni fa, tua madre mi disse una cosa. Disse: il giorno di festa è stato inventato per l’uomo, Sandro, non il contrario. Non capii, ma non le chiesi mai, purtroppo, cosa significassero quelle parole... Tu cosa pensi che volesse dirmi?” Gianguido si era limitato a guardarlo e a scuotere la testa, e a quel punto suo padre, quasi desolato, si era messo il cappello e aveva infilato la porta di casa…

“E se…?” pensava adesso Gianguido. All’imA suo modo era stato felice con ognuna delle donne con cui aveva vissuto, questo provviso, come se avesse ricevuto un’illuminazionon poteva negarlo: ma cosa gli rimaneva ades- ne, sollevando lo sguardo dalle carte disse a voce so fra le mani? Com’era venuta, così quella felicità alta: “E se ci fosse ancora una possibilise n’era andata, come ora andavano e venivano le tà?”. Gli amici lo guardarono con aria interroga-

Suo padre che immancabilmente rispondeva: «Hai abbastanza fede tu per tutti e due, Rosa». E lei che rimaneva a fissarlo con quel sorriso di rimprovero indulgente sulle labbra, pieno di tenerezza, quasi avesse a che fare con un ragazzino un po’ discolo

sue domeniche: si era dileguata in breve, una fiammata rapida e lucente, legna giovane bruciata senza lasciare cenere né brace… Gli vennero in mente a un tratto suo padre e sua madre. Erano stati molto diversi fra loro, eppure erano rimasti assieme per tutta la vita. Chissà qual era stato il loro segreto. Religiosissima lei, ateo convinto, perfino un po’ anticlericale, lui: cosa li aveva tenuti legati per così tanto tempo? Ricordava ancora divertito quel teatrino che aveva luogo ogni domenica come un rituale in casa loro: sua madre già sulla porta, pronta per la messa delle undici, che tentava imperterrita tutte le volte di convincerlo ad andare con lei; suo padre che immancabilmente rispondeva “Hai abbastanza fede tu per tutti e due, Rosa”, e lei che rimaneva a fissarlo con quel sorriso di rimprovero indulgente sulle labbra, pieno di tenerezza, quasi avesse a che fare con un ragazzino un po’ discolo… “Tu e Ugo vi siete messi d’accordo per farci impazzire oggi?” Era di nuovo Vittorio: un’altra mano di gioco era stata completata e lui si era di nuovo fatto pescare con la testa altrove. Giocò una carta a caso, ma sapeva che ormai la partita era sfuggita completamente al suo controllo. Infatti intervenne anche Ettore a quel punto: “Ma come giochi?! Non ne stai imbroccando una oggi, si può sapere a cosa pensi? Guarda che stai giocando a carte, mica sei a messa durante l’omelia, che ti metti a pensare ai fatti tuoi”. Avevano ragione a lamentarsi, ma cosa ci poteva fare? Adesso, per giunta, quel riferimento alla messa gli aveva di nuovo riportato alla mente suo padre. Quando sua madre era morta e lui le era sopravvissuto per quasi dieci anni, si era verificata una cosa stranissima: Gianguido non riusciva a ricordare, nel corso di quei dieci anni, una sola domenica in cui suo padre non avesse indossato ogni volta il suo completo migliore e non fosse andato puntualmente alla messa delle undici. Ormai molto anziano, i figli lo avevano pregato di desistere, di rimanere a casa, specialmente nella brutta stagione, ma fino a quando gli era stato possibile suo padre non era mai

tiva. “Per cosa?” chiesero in coro. Ma Gianguido aveva lasciato cadere le carte sul tavolo senza nemmeno preoccuparsi di coprirle, si era alzato, era già sulla porta quando la voce di Vittorio lo aveva raggiunto: “Ma dove vai?” “Scusate, scusate tanto,” disse in fretta, con la manica del giaccone infilata a metà. “Continuate pure senza di me”. Gli amici si guardarono increduli fra loro, e rimasero ancora più perplessi quando, gettando un occhio alle carte lasciate sul tavolo, videro che fra queste c’era addirittura l’asso di briscola… I fiorai saranno tutti chiusi a quest’ora, ma forse faccio in tempo a prenderle dei cioccolatini, pensava Gianguido intanto. “Le piaceranno fondenti o al latte?” Ma che importanza poteva avere? Lei non era certo il tipo di donna che si poteva conquistare con una scatola di cioccolatini! Quando saltò rapido sul predellino dell’autobus, Gianguido ebbe in cuor suo la certezza che Iris non avrebbe ceduto mai. Gli tornò in mente suo padre col cappello in mano sulla porta di casa, pronto a uscire. Ormai tornare indietro non poteva, si disse Gianguido sedendosi. Non voleva, anzi. Sarebbe andato a trovare Iris. Di più: sarebbe andato da lei tutte le domeniche da quel giorno in avanti, se lei glielo avesse permesso, d’estate e d’inverno, col sole e colla pioggia, imperterrito. Questa adesso era la cosa più importante. Avrebbe avuto fede, in un certo qual modo. In mancanza d’altro, avrebbe avuto fede nella sua fede, fede nel fatto stesso di aver fede, e ci si sarebbe tenuto stretto come al corrimano cui si stava sorreggendo mentre si preparava a scendere. Non sarebbe stata la felicità, né passata né presente né futura. Sarebbe stata la sua attesa, forse.

Gianguido è davanti alla porta di Iris, con la scatola di cioccolatini sotto al braccio, e ha appena suonato il campanello. “Da vecchi si impara soprattutto la pazienza”, dice a se stesso. E già sente, dentro casa, i passi di lei, lenti e un po’ strascicati, che si avvicinano alla porta. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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LA FOTO

REUTERS/David Marcado

scheda

Un’immagine straordinaria scattata pochi mesi fa in Bolivia documenta come i cambiamenti climatici stiano modificando, e in molti casi aggravando, le condizioni di vita di migliaia di persone nel mondo. Ne parliamo approfonditamente da pagina 63 nel dossier Ventuno curato da Andrea Barolini

Courtesy of INSP.ngo / Reuters

Il pescatore nella foto si chiama Rene Valero. La foto è stata scattata il 17 dicembre del 2015, pochi mesi fa. Rene è sulla sua barca, sul lago Poopò, nella regione di Oruro a sud di La Paz, in Bolivia. Il lago Poopò, è un bacino salato grande otto volte il lago di Garda ed è del tutto asciutto. Non è la prima volta, ma con i cambiamenti climatici il fenomeno si è fatto più preoccupante. La secca ha fatto morire numerosi animali, e fatto emigrare molte famiglie di pescatori, il cui reddito di sussistenza derivava proprio dalle attività legate alla pesca. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa L’Europa sociale chiede scusa ai profughi di Enrico Panero «Come europei, ci scusiamo a nome dei nostri leader nazionali ed europei per la loro imperdonabile mancanza di coordinamento nel fornire l’aiuto umanitario necessario a far fronte alla situazione che voi e migliaia di altre persone dovete affrontare attraversando le nostre frontiere per sfuggire alla guerra, alla persecuzione e alla povertà». Inizia così una lettera aperta rivolta ai profughi che cercano di trovare rifugio in Europa sottoscritta da oltre 50 organizzazioni europee che aderiscono alla Social Platform, piattaforma sociale costituita da 48 reti e coordinamenti europei in rappresentanza di oltre 2.800 organizzazioni, associazioni e gruppi di volontariato nazionali che operano in tutti i settori sociali. «Mentre molti dei nostri leader sembrano aver dimenticato che la solidarietà e il rispetto dei diritti umani sono valori fondamentali dell’Unione europea, noi non lo abbiamo fatto» dichiarano le Ong europee, sottolineando come l’Ue abbia la capacità di accogliere e «la mancanza di volontà di farlo è una vergogna per tutti noi». Riconoscendo il diritto di cercare rifugio sicuro e il contributo che i rifugiati possono dare alla società europea, i membri della Social Platform affermano che continueranno a fare pressione sui politici europei: «La decisione che avete preso e che vi ha portato qui in Europa ha richiesto molto coraggio. Domandiamo ai nostri leader di dimostrare lo stesso coraggio riunendosi per trovare una risposta paneuropea che rispetti i diritti umani di ogni individuo a prescindere dal proprio status». Info www.socialplatform.org

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After school spopola negli Usa. Arriverà anche in Italia? La piattaforma sta spopolando negli Stati Uniti e si è già diffusa in più di 22.300 scuole superiori. Segreti, dubbi, paure nascoste ma anche messaggi di violenza e pensieri offensivi, il tutto in forma anonima, in un sistema, inoltre, progettato in modo che sia accessibile solo agli adolescenti. Queste le caratteristiche di After school, l’app che sta spopolando negli Stati Uniti e che si è già diffusa in

più di 22.300 scuole superiori. Un calderone digitale nel quale ogni utente può pubblicare messaggi di ogni tipo senza che venga individuato o rintracciato. Già da qualche tempo si sono diffusi social network e piattaforme improntati sulla logica dell’anonimato: Whisper, Wut, Whispero, Social Number e Secret, quest’ultimo molto diffuso anche in Italia, insieme a Ask.fm. La

nuova app, After school, sta avendo un boom enorme tra i più giovani, una com-

munity chiusa alla quale gli adulti non possono accedere: al momento dell’iscrizione viene verificato se l’utente sia iscritto al liceo attraverso le pagine Facebook e vengono create bacheche riservate a ogni campus di scuola superiore. Arriverà anche in Italia?

street art Il passaggio all'età adulta nel campus Bocconi Un murales di 70 metri che mette in scena il passaggio all’età adulta. È il progetto di Urban Art di Bocconi Arts Campus, realizzato dall’illustratrice milanese Arianna Vairo. L’opera di grandi dimensioni simboleggia la formazione universitaria come motore della crescita individuale e cardine del passaggio all’età adulta: un racconto per immagini che è iniziato con gli spunti dati da un gruppo di studenti sul senso dell’esperienza studentesca. Il murales è visibile all’interno del campus dell’Università, in particolare sul muro che collega gli edifici di via Roentgen 1 e piazza Sraffa 13 a Milano. Arianna Vairo racconta così la sua performance: «La forma del muro ha subito suggerito l’idea della metamorfosi. Attraverso il linguaggio visivo della fiaba, ho voluto rappresentare il ruolo chiave giocato dall’università nel trasformare il giovane individuo delle prime scene nell’uomo proiettato verso il mondo delle ultime».

on

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Milioni di persone installano ogni giorno su smartphone e tablet diversi tipi di app per comunicare, giocare, creare, lavorare, studiare, e quant’altro. Il Garante della Privacy avverte però che le stesse app raccolgono e trattano una serie incredibile di dati personali, a volte di natura sensibile: come i dati della carta di credito o video e documenti, è dunque importante scegliere e usare le app in modo consapevole e attento, soprattutto i ragazzi. E per educare all’uso delle app il Garante della Privacy ha creato un video di animazione per sensibilizzare gli utenti più giovani sul corretto utilizzo. Una campagna informativa che vuole sensibilizzare sul tema attraverso un video tutorial e una scheda informativa, realizzati con l’obiettivo di offrire alcune semplici e utili indicazioni di base su come tutelare la propria privacy quando si scaricano applicazioni, specialmente quando ad usarle sono dei minori. Il video è su youtube.

Emanuele Scafato è il direttore dell’Osservatorio nazionale alcol del Cneps (Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute) dell’Istituto Superiore di Sanità. Nell’ambito della campagna sull’abuso di alcol Non perderti in un bicchiere, Scafato ha incontrato gli studenti del Liceo San Francesco Di Assisi, di Roma. Nel suo intervento ha spiegato ai ragazzi tutti i rischi legati all’uso e all’abuso di alcol, rischi anche gravi. Interessante è ciò che ha ricordato sul consumo di alcol. Scafato infatti ha affermato che bisogna fare attenzione almeno fino ai 18 anni per problemi di legalità e di sicurezza, ma non solo. C’è anche un problema legato allo sviluppo: quando si è molto giovani il fisico non ha la capacità di metabolizzare l’alcol, e neanche di distruggerlo. E ancora: nei giovani il consumo di alcol abbassa la percezione del rischio; ciò porta ad avere comportamenti da irresponsabili: infatti è la prima causa di morte per incidente stradale.

Scaricare app, un semplice gesto che va governato

Alcol e giovani Quanti rischi si corrono ancora


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Un progetto teatrale dedicato alle nuove generazioni

La Guerra è finita. War is over! A Milano in mostra le fotografie della Liberazione War is over! propone un confronto tra due diversi sguardi che raccontano la Liberazione in Italia: quello delle fotografie a colori dei Signal Corps dell’esercito americano e quello delle immagini in bianco e nero dei fotografi dell’Istituto Luce, molte delle quali inedite o censurate. La mostra è promossa e organizzata da Istituto Luce-Cinecittà e da Forma Meravigli, un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto, con il patrocinio dell’Università degli Studi Roma Tre e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Fino al 10 aprile in via Meravigli 5 a Milano. Info formafoto.it

pillole homeless Da una brutta storia può nascere un fiore

Nelle Marche un’iniziativa benefica partita dal basso Un emporio solidale nel piccolo centro di Appignano, in provincia di Macerata. Lo hanno aperto un gruppo di cittadini i quali hanno deciso di mettersi a disposizione degli altri, in particolare di coloro che vivono in stato di grande necessità. Funziona così: nell’emporio solidale chiunque può donare un capo di abbigliamento o un oggetto che non usa più. Il ricavato delle vendite viene donato ad anziani e famiglie che non arrivano a pagare le bollette o il mutuo, perché hanno perso il lavoro o perché prendono una pensione irrisoria. L’iniziativa è partita da meno di un anno sull’esempio di un emporio solidale aperto a Bergamo, e attualmente sta avendo successo. I volontari che hanno avviato l’attività si sono costituiti in associazione, il nome è tutto un (bel) programma: A cuore Aperto. Ciò che ricevono gratuitamente nell’emporio viene messo in vendita tramite offerta libera e a parte le spese vive dell’affitto del “negozio”, tutto viene devoluto a chi ne ha più bisogno. In media l’emporio incassa 700 euro al mese.

Succede negli Usa. Dove l'incredibile diventa normale. L'inizio di questa storia è triste: Ronald Leggatt, senza fissa dimora del New Jersey, è stato pagato 5 dollari da un ragazzino per farsi versare del caffè bollente in testa. E per diventare il protagonista di un video da pubblicare in rete. A quel punto però il video è stato condiviso più di 2 mila volte e ha portato a un'indagine della polizia. Ma non è tutto. Alcune persone che hanno appreso della storia umiliante di Ronald gli hanno dato una mano e si sono messe in contatto con lui. Un uomo, il 34enne Ari Boyer, ha offerto a Ronald Leggatt un taglio di capelli, vestiti nuovi e un posto dove stare durante l'imminente bufera di neve. Un altro concittadino, inoltre, ha creato una pagina di raccolta fondi online per il senza dimora. Ma questa incredibile storia ha raggiunto l'apice quando il ragazzino del video del caffè si è fatto avanti offrendo a Leggatt le sue scuse e venti dollari. L'adolescente si era anche offerto di versarsi del caffè in testa, per riparare all'umiliazione procurata, ma Leggatt ha rifiutato.

Acrobazie critiche è un progetto dedicato al teatro e alla sua critica, quella attiva e consapevole, come le giovani generazioni dovrebbero essere, se adeguatamente preparati. Nove teatri milanesi coinvolti in una sinergia virtuosa e dieci spettacoli con l’intento di coinvolgere i giovani attraverso spettacoli, ma anche incontri con artisti e professionisti del settore, lezioni, workshop. Ideato e organizzato da Segni d’infanzia e da Stratagemmi Prospettive Teatrali, il progetto intende fornire ai più giovani gli strumenti per “guardare da vicino” l’atto teatrale. Ad essere coinvolti in questa terza edizione sono: il Teatro Olinda, Atir-Teatro Ringhiera, Teatro Leonardo, Teatro Filodrammatici, Elfo Puccini, Franco Parenti, Teatro Verdi, Teatro della Cooperativa, tutti offriranno ai più giovani una speciale replica. Grande novità di quest’anno sono infine le Acrobazie d’artista: incontri gratuiti e aperti al pubblico che daranno ai ragazzi l’occasione di confrontarsi con gli artisti. Info www.acrobaziecritiche.it

Un parco per tutti in ricordo di Aurora L’iniziativa dei due genitori romani che hanno perso la loro piccola Aurora a otto mesi per un tumore sta avendo un grande riscontro da parte dei cittadini romani ma non solo: il progetto di un parco per tutti. La raccolta fondi infatti in poche settimane ha superato i 10 mila euro e con questi soldi è già possibile acquistare moltissimi giochi per costruire il parco dedicato a tutti i bambini. Sulla pagina del sito, i genitori hanno pubblicato un disegno, che accompagna il report della raccolta fondi. È possibile donare fino ad aprile 2016. Info www.peraurora.com marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Egidia Bruno nel luglio 2002 ha vinto il premio Troisi col racconto La mascula, diventato poi il suo terzo monologo con la regia e le musiche di Enzo Jannacci

IN BREVE

Nasce Travelability, tour operator per persone disabili Arriva in Toscana un servizio che è unico in Italia: gli utenti con difficoltà motorie (disabili, anziani, persone non autosufficienti e persone che devono ricorrere ogni giorno a dialisi o fisioterapia) avranno l'opportunità di usufruire di assistenza socio sanitaria e turistica inviando una richiesta 45 giorni prima di recarsi nella località toscana che aderisce al servizio. Il servizio è a pagamento e le tariffe variano secondo le richieste dell'utente. Secondo le stime degli ideatori questo pacchetto di servizi farà aumentare la presenza di turisti in Toscana: le previsioni parlano di 100 mila pernottamenti in più ogni anno. Saranno messe a disposizione dell'utente anche cartine delle città, info su gite ed escursioni, oltre ad accompagnamenti ai musei prescelti.

A Perugia scatti che parlano di sociale Perugia Social Photo Fest è il primo festival internazionale dedicato alla fotografia sociale e terapeutica. Si terrà a Perugia dall’11 al 28 Marzo 2016, al Museo di Cultura Contemporanea. Il programma della quarta edizione si presenta particolarmente ricco di mostre, incontri e occasioni di confronto. Ma soprattutto di spunti perché l’argomento che si va ad affrontare è il mondo della “cecità”, intesa non solo come incapacità di vedere attraverso gli occhi, ma anche come atteggiamento emotivo e sociale. Quattordici le grandi mostre in programma. Anche quest’anno avrà luogo la conferenza internazionale “Experiencing Photography” sullo stato della fototerapia e la fotografia terapeutica e i possibili utilizzi in ambito sociale.

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CINQUE DOMANDE

In No tu no Egidia Bruno dà voce (e cuore) alle canzoni di Jannacci di Daniela Palumbo

Egidia Bruno ha conosciuto Enzo Jannacci nel 2002. Un caso. Il destino? Chissà. «Recitavo in uno spettacolo a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, e all’ultimo momento ho scoperto che lui era in prima fila a vedermi, mi tremavano le gambe ma alla fine ho fatto il mio spettacolo. Lui è venuto da me e mi ha detto che ero stata bravissima, io stavo lì come un’ebete e non credevo a quello che stava succedendo... Poi un giorno, a Enzo mancava l’attrice comica per un suo spettacolo e ha chiamato me». Da lì è iniziata una collaborazione lunga con Jannacci. Lui ti coinvolgeva, era un vulcano sia professionalmente che umanamente. Siamo diventati amici e quando ci si vedeva si parlava di tutto. Dalle cose che ci facevano ridere a quelle per cui provavamo orrore. La cosa che più mi manca di Enzo sono le sue genialità. Magari eri in macchina con lui e se ne usciva con una frase che sembrava non c’entrasse niente con quello di cui si parlava. Invece poi capivo... aveva seguito il filo di qualcosa che aveva in mente e che c’entrava eccome. In quei momenti diceva delle cose che sembravano surreali, ma che erano lampi di consapevolezza e di genialità. Ora stai portando nei teatri italiani uno

spettacolo omaggio a Enzo: No tu no, scritto insieme a Marie Belotti. È strutturato come se in scena ci fosse Enzo. Ci parlo come se fosse lì sul palco, con me. È un “dialogo” un po’ surreale e un po’ comico, divertente. Abbiamo ascoltato e letto tutti i suoi testi, tantissimi; sono 600 le canzoni di Jannacci. Ma non volevamo portare in scena solo le canzoni più note. Ci sono tanti testi di Enzo che sono bellissimi e dove c’è tutta la sua poetica e i temi che gli sono cari. Penso a Il cane coi capelli, a Passaggio a livello, ma anche La mia gente. Abbiamo dato voce alle canzoni forse meno orecchiabili ma che meritavano di essere conosciute. Perché eri restia a scrivere un omaggio a Enzo Jannacci? All’inizio non volevo fare questo spettacolo, avevo il pudore di sfruttare la mia amicizia con Jannacci. Mi sembrava di usare la sua immagine per farmi pubblicità. Poi ho pensato alle sue parole: un giorno mi disse che era importante per lui passare il testimone, aiutare le persone che secondo lui meritavano. Come me, lo disse lui, non io naturalmente. Mi raccontò di come Dario Fo lo avesse fatto con lui e con altri artisti che avevano talento. E allora ho osato.

Per conoscere le date dello spettacolo di Egidia Bruno dedicate al Maestro: www.facebook.com/enzojannaccifan


IN BREVE

Lo stato del volontariato oggi in Italia Il CSVnet (Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato) ha pubblicato i dati del volontariato in Italia (indagine effettuata nel 2015) svelando che la maggior parte delle associazioni (55%) opera nel campo dell’assistenza sociale (11.812) e della sanità (9.098). Seguono quelle che si occupano di cultura, sport e ricreazione. Anziani e minori sono le categorie primarie di utenti con il 25,4%. Il 18% delle organizzazioni si prende cura di malati e disabili. Solo il 4% ha un presidente con meno di 35 anni. L’età media dei volontari è di 48 anni. In Italia sono oltre 44 mila le associazioni. Al nord e nel centro si trovano oltre la metà delle associazioni: Lombardia, Toscana, Lazio, Piemonte, Emilia Romagna sono le regioni in cui le realtà del volontariato sono più radicate. Se però si confronta il numero di abitanti con quello delle organizzazioni, sono Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta ad avere più Onlus. Al sud e nelle isole si registrano, invece, le percentuali più basse: rispettivamente il 17 e il 6% del totale. La metà delle associazioni opera con meno di 16 volontari: solo il 15% ha un numero superiore a 50. Per quanto riguarda i soci, ne hanno meno di 60 il 50%, mentre poco più del 10% ha una base associativa molto estesa (oltre 500 soci). La rappresentanza legale è composta, per i due terzi, da uomini.

Va anche detto che negli ultimi sette anni il

numero di nuove associazioni è diminuito costantemente: nel 2014 si è registrato un

Torino La fantascienza e i suoi misteri tornano in città Il Mu.Fant è un museo interamente dedicato al Fantastico e alla Fantascienza, fondato nel 2009 grazie a due esperti ed appassionati di fantastico, Silvia Casolari e Davide Monopoli. I due a loro volta hanno chiesto sostegno a esperti e collezionisti del settore. Dopo un periodo di crisi, nell'ottobre del 2015 il Mu.Fant ha riaperto con una nuova sede e un nuovo allestimento. La collezione del Mu.Fant di Torino conta oltre 5 mila pezzi: libri e riviste, illustrazioni, locandine e manifesti, modelli, dischi, gadget, francobolli e tanto altro. Il nuovo allestimento si articola su una superficie di mille metri quadri e comprende due saloni e cinque sale, una biblioteca e un laboratorio multimediale. Nei due saloni principali si può vedere, attraverso postazioni tradizionali e altre multimediali e interattive, l’evoluzione storica dell’immaginario fantascientifico. www.mufant.it

meno 15% rispetto all’anno precedente. Le associazioni più piccole per numero di volontari e per numero di soci sono anche quelle più giovani: il 50 per cento è stato costituito dal 2000 in poi. L’83% ha la qualifica fiscale di Onlus. www.csvnet.it

LA STRISCIA

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LE DRITTE DI YAMADA

Il dono del Duca Bianco prima di volare via

«Ha fatto Blackstar per noi. È stato il suo regalo d’addio. Non ero preparato, però: è stato un uomo straordinario, pieno d’amore e di vita. Sarà sempre con noi, ora possiamo piangere». Queste le parole addolorate di Toni Visconti, produttore “storico” di tanti dischi di David Bowie e del suo ultimo Blackstar che, pubblicato il giorno del suo 69esimo compleanno, porta e suggella a 26 i lavori in studio del Duca Bianco. Se n’è volato via – Starman, Aladdin Sane, Ziggy Stardust, il cantore di Heroes, e tutti gli altri alias che riuscite a ricordare –il 10 Gennaio di quest’anno. Alla notizia – ero al lavoro –con i colleghi non ci volevamo credere. Questo sentimento deve essere stato il più provato in tutto il mondo, se lo stesso figlio di Bowie, Duncan, ha dovuto twittare con strazio che era vero.

Il mosaico cubista, mutevole e intellettuale del suo spettacolare volto vi travolgerà di suggestioni e di bellezza

Bowie ha corso per cinquant’anni una maratona musicale perfetta. Se googolate

il suo nome e andate su “immagini”, il mosaico cubista mutevole e intellettuale del suo spettacolare volto vi travolgerà di suggestioni e profonda bellezza. In questo mondo dove, molto spesso e inutilmente, si sa tutto di tutti subito, lui ha tenuto per sé la sua lotta contro un male brutto che l’ha vinto dopo 18 mesi.

Prima di lasciarci, e subito dopo il precedente lavoro, The Next Day, è entrato in sala di registrazione a New York per

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il disco Blackstar di David Bowie

È una storia vera. Edek è un giovane prigioniero politico polacco e Mala una ragazza ebrea. Si innamorano nel campo di sterminio. Insieme fuggono il 24 giugno 1944: corrompe un ufficiale nazista che gli cede una divisa da soldato ed esibisce un permesso falso per far uscire la prigioniera Mala. Ma vengono catturati sul confine polacco e moriranno insieme. La ricostruzione fedele di un grande amore.

incidere le sette canzoni che vanno a allestire l’ambiance musicale di Blackstar, per entrare nel quale immagino di scostare con fatica una tenda scura e pesante, di un tessuto spesso che non lascia filtrare neanche un flebile filo di luce. Si entra con timore nella prima canzone, Blackstar, che pare una suite. La sua durata, quasi 10 minuti, permette di immergersi nel pezzo che chiama ipnotico, già pochi secondi dopo il suo inizio. La prima parte è cadenzata cupa e minacciosa, la seconda metà più languida, piena di note lunghe e contrappunti arabeggianti e complessi. Il secondo pezzo ’Tis Pity She Was a Whore comincia con il respiro di Bowie: la prima nota di questo pezzo è il respiro di Bowie pronto per affrontare un’apnea. Tutto quello che succede in questo brano è teatrale vivo e sregolato. È da ascoltarsi a un volume piuttosto alto e la verità musicale che sgorga dalla sua energia lascia l’ascoltatore veramente senza fiato. L’interazione tra il canto di Bowie e il sax selvaggio di Donny McCaslin fa venire i brividi: la coda di ’Tis Pity corre smodata e furibonda, e Bowie surfa, con la sua voce quasi incontrollata, su un impasto musicale più jazzistico che pop. Altre due le perle, secondo il mio gusto: Lazarus – pezzo raffinato, dolente, cantato splendidamente e portato fino alle porte del paradiso dal sax di McCaslin e dal basso di Tom Lefebre – e I Can’t Give Everything Away, che chiude ventosamente il disco e fa passare refoli d’aria da quel tendone nero e pesante, oltre il quale Starman è andato via, per sempre.

Francesca Paci Un amore ad Auschwitz Utet, euro 14

Il mistero del pozzo Ruth Ardingly è agli arresti domiciliari nella casa dove, per sfuggire alla grande città, aveva scelto di trasferirsi con l'uomo che amava. È accusata di avere ucciso suo nipote, Lucien. Un bambino di cinque anni. Attraverso la ricostruzione di un omicidio insensato il libro affronta le paure del nostro tempo distillandole nella storia di una donna che si batte per ciò che ama. Catherine Chanter Il pozzo Marsilio, euro 18.50

Valori e etica di un grande regista

[ a cura di Daniela Palumbo ]

testo e illustrazione di Yamada

Un amore ad Auschwitz

Marco Manzoni, amico fraterno di Ermanno Olmi, ricostruisce la vita del regista. Una biografia da cui emerge, ancora una volta, un maestro dei sentimenti che ha difeso valori come la dignità del lavoro, la difesa degli ultimi dai soprusi del potere, il rispetto per la natura. Marco Manzoni Il primo sguardo Bompiani, euro 12


«Non credo che siamo meglio degli altri, però siamo in grado di descrivere il tentativo di ripercorrere il nostro girare a vuoto in modo tale che forse qualcun altro riuscirà ad identificarsi»

VISIONI

Una storia vera in stile hollywoodiano Truth, il prezzo della verità, esplora i rapporti tra politica e giornalismo. Nel 2005 Dan Rather, anchorman della CBS, rassegnò le dimissioni in seguito alla controversia esplosa dopo un servizio che metteva in discussione l’appartenenza dell’allora presidente Bush alla Guardia Nazionale Aerea durante la guerra nel Vietnam.

La fine di David Foster Wallace Uno scrittore con tanti problemi e tanti talenti da una è di proporre al mensile Rolling Stonesla pubblicazione di un’intervista parte, un giovane esclusiva. In effetti, dopo l’uscita giornalista nelle librerie di Infinite Jest, oltre ambizioso mille pagine in libertà sulla TV, il consumismo, la solitudine, il tennis, e un po’ insicuro, l’autore era diventato una autentica dall’altra. rockstar della letteratura. Wallace Una chiacchierata aveva il tragico sense of humour di Woody Allen, la riservatezza di J.D. lunga cinque Salinger e il talento selvaggio di He- giorni, tenuta mingway. L’incontro tra il giornalinel cassetto sta e lo scrittore durò cinque giorni. La gigantesca personalità di per dodici anni Nel 1996 il giornalista David Lipsky riesce a contattare lo scrittore David Foster Wallace. La sua idea, a quei tempi,

Wallace, il suo feticismo per la parola, l’ansia di comunicare la giusta immagine di sé e una buona dose di narcisismo, tutto ciò, tuttavia, generò un’amicizia durata anni. Perché siamo frustrati per gli obiettivi che non siamo riusciti a raggiungere nella vita? Perché si guarda la televisione? Perché girare con una bandana? Davvero troppi spunti. David Lipsky non riuscì a far pubblicare il suo pezzo, ma convivendo per cinque giorni con lo scrittore di Itacha accompagnandolo in una serie di

il film The end of the tour In viaggio con David Foster Wallace Un film di James Ponsoldt Con Jesse Eisenberg, Anna Chlumsky, Jason Segel, Mamie Gummer, Joan Cusack. Biografico. Durata 106 min. Usa 2015

Missione spazio, vita di una donna speciale

Dodici anni dopo il primo incontro, nel 2008 arriva come un’incudine sul muso la notizia del suicidio di David Foster Wallace e Lipsky non può far altro che ripescare i nastri abbandonati in un armadio. Sbobinando quei cinque

giorni è nato un bellissimo libro che in italiano è stato tradotto con un titolo quanto mai evocativo: Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta. Il regista James Ponsoldt, l’attivissima casa di produzione Anonymous Content, un bravo Jason Segel e Jesse “The social network”Eisenberg hanno trasformato una lunga conversazione in un film toccante. The end of the tour – In viaggio con David Foster Wallace riesce nel difficile compito di rendere narrativo e appassionante un incrocio di vedute su tutto e niente. Parole scambiate davanti a una Pepsi o a una penosa sitcom televisiva, apparentemente banali, si svelano in realtà come la testimonianza di uno dei più incredibili geni della cultura americana degli ultimi anni. Tutto, nato da una chiacchierata amichevole.

Astrosamantha è un documentario su Samantha Cristoforetti. Una storia di eccellenza, e il coronamento di un grande sogno, raccontata dalla voce narrante di Giancarlo Giannini. Tre anni di vita di Samantha, dall’addestramento al rientro. La preparazione, gli amici, la missione, lo spazio e i record della protagonista.

L’amicizia insegnata dal piccolo E.T. Grotto

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

readingper gli Stati Uniti e accettando così anche la sua ospitalità nella sua disordinata casa piena di libri e di cibo spazzatura, infiniti colloqui vennero registrati su cassettine. Cassettine, sì, ormai solo oggetti vintage.

Dopo aver conquistato Giffoni Film Festival 2015 esce Grotto, il piccolo E.T. italiano: una stalagmite vivente dagli occhioni azzurri che abita le profondità della terra, si esprime solo attraverso suoni gutturali e non ama essere toccato. Commedia avventurosa di un incontro (nelle Grotte di Frasassi), fra Grotto e cinque bambini: lieto fine con amicizia. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Pronti a salpare è il nuovo disco di Edoardo Bennato. Il rocker e cantautore napoletano ha alle spalle una carriera cominciata nel 1966

Edoardo Bennato « Il rock non abbia paura di situazioni che sgomentano» di Andrea Pedrinelli

Il rocker napoletano torna sulla scena con il nuovo disco e il nuovo tour Pronti a salpare. A Scarp de’ tenis racconta di quando fu scartato dalla Rai e si mise a suonare in strada 24 Scarp de’ tenis marzo 2016

Il tour è pronto a salpare, e prenderà il largo dall’Europa con debutto a Basilea il 14 marzo e poi date anche in Belgio e Lussemburgo; l’al-

bum, che si intitola proprio Pronti a salpare, è invece già partito da tempo, coi suoi molteplici temi sociali e civili messi in primo piano nella consueta chiave musicale del rock, dopo una presentazione avvenuta addirittura nel cuore dell’Expo di Milano, e con la capacità di confermare Edoardo Bennato – primo 45 giri datato 1966, in carniere da allora altri diciotto album senza contare i live – fra i

massimi esponenti della nostra canzone d’autore di sempre. Se qualcuno poi si chiedesse quanto c’entri, e magari se mai c’entri, il tema delle migrazioni col titolo del Cd (che contiene 14 inediti, alcuni assolutamente di


livello), la risposta è: c’entra tanto. Anzi, si parla proprio di quello. Dal punto di vista però anche di noi occidentali che forse – canta Bennato – dovremmo far “salpare” il nostro pensiero verso orizzonti nuovi, adattandoci alle esigenze dei tempi drammatici che viviamo, anche ma non solo per aiutare chi “salpa” davvero: sulle carrette del mare, in cerca di fortuna nei nostri Paesi dei (presunti) balocchi. Bennato, quanto è forte l’istanza etica di questo album che parla di speranza e coscienza, migrazioni e vite distrutte dalla calunnia, uomini manovrati dalle macchine e necessità di maggiore attenzione ai temi ambientali? È molto forte. E pensi che il titolo del disco risale al febbraio del 2012, quando iniziai a riflettere sul fatto che dovremmo, noi fortunati del mondo occidentale, affrontare certi problemi usando chiavi diverse dalle solite. Penso sia giunto il momento di ammetterlo: con i vecchi schemi mentali siamo impreparati, di fronte a emergenze come quelle delle migrazioni dall’est o dalla Siria. Eppure dobbiamo agire, e non è retorica né buonismo continuare a gridarlo: io credo che la famiglia umana sia unica, e come in tutte le famiglie i responsabili sono i più grandi. In questo momento storico gli adulti siamo noi, i bambini, i fragili, sono i popoli che emigrano: dobbiamo riflettere su come aiutarli davvero. Ma cosa intende, quando parla e canta di cambiare or-

Con i vecchi schemi mentali siamo impreparati di fronte a emergenze come quelle delle migrazioni dall’est o dalla Siria. Eppure dobbiamo agire. Non è retorica dine di idee in merito? Provare a essere propositivi per colmare il gap fra privilegiati e diseredati. E dunque smetterla di agire sempre sull’onda delle necessità del momento. Bisogna essere veloci nelle risposte, ma soprattutto ricentrarle tutte sul concetto dell’accudire, prima ancora che dell’accogliere. Dunque lei pensa davvero di poter incidere sulle coscienze con le “canzonette”, per citare un suo brano famoso di qualche tempo fa? Lo faccio d’istinto. È chiaro che potrei pure parlare di altri temi. Ma vede, la mia musica ha implicazioni diverse da quella definita leggera, che è rassicurante, serve a estraniarci dalla realtà. Il rock è per definizione legato all’oggi, non deve aver paura di affrontare situazioni che ci sgomentano. Certo però non è una lezione o una conferenza: guai, una canzone deve mantenere anzi la possibilità di essere pure ballata, magari dai bambini. Ma anche nel ballo la canzone così concepita passa riflessioni di un certo tipo. Il rock è ancora un linguaggio universale, stanti proprio i movimenti dei popoli sul globo? È l’unico che conosco e so usa-

L’INCONTRO re. E comunque dà energia e vibrazioni del pensiero anche a chi proviene da culture musicali differenti. Oltre le migrazioni, quali sono le emergenze più scottanti che voleva sottolineare col disco? Soprattutto quella che canto in È una macchina. Le macchine le inventiamo noi, ci permettono di realizzare i sogni dell’uomo, di raggiungere ogni obiettivo. Però l’uomo deve mantenere il controllo delle macchine stesse. Se

scheda Pronti a salpare, che segue di cinque anni la precedente prova discografica di Bennato, sa cantare anche il degrado dell’amore com’è vissuto fra gossip e fiction, una politica di apparenza e giochi di potere e persino gli esordi dell’artista. Accade nel brano A Napoli 55 è ‘a musica, in cui Bennato quasi recitando ricorda una lunga e faticosissima gavetta. «Eh sì, l’ho imparato subito che questo mio mestiere non è come lo sport, dove i numeri danno la misura del valore e sono indiscutibili. Dopo la fatica fatta per giungere al mio primo disco per la Ricordi di Milano, Non farti cadere le braccia del ’73, venni chiamato dai discografici per sentirmi dire che le radio non lo volevano passare: trovavano la mia voce sgraziata. Così venni licenziato, malgrado l’Lp contenesse Un giorno credi, Rinnegato, Campi Flegrei… E io dovetti andarmene a Roma, e piazzarmi chitarra e tamburello davanti alla Rai a provocare, “disturbare”. Finché non ottenni una sorta di patente di qualità dall’intellighenzia e ripartii con I buoni e i cattivi, arrivando poi a Burattino senza fili. Ma lo imparai subito, che anche le cose belle possono essere schifate da chi manovra i media, che può apposta impedire loro di arrivare alla gente». [AP]

accade il contrario, come oggi purtroppo capita, è il disastro. La calunnia è un venticello la dedica a Mia Martini ed Enzo Tortora: come nasce l’esigenza di una canzone tanto forte contro le maldicenze e le menzogne che hanno distrutto quelle due vite? Io conobbi Tortora da bambino, mi presentò in una serata canora. Oggi, a posteriori, l’attacco a Tortora fu una prova di forza dell’antistato, purtroppo vinta. Vi facciamo vedere come possiamo trasformare il beniamino della gente comune nel pericolo pubblico numero uno: così hanno pensato i criminali. E nessuno ha reagito, nessuno l’ha difeso. Mimì invece l’hanno rovinata perché aveva detto dei no: e pensare che basterebbe usare rispetto, in certi casi, nient’altro che rispetto. Quanta Italia c’è oggi nel rock di Edoardo Bennato? Beh, come sempre c’è Rossini, il melodramma. Come ai tempi di brani tipo Dotti medici e sapienti o In fila per tre. Perché sa, quando vado a Londra è quella la chiave per convincerli che non siamo tutti cloni dei loro modelli artistici, fuori dall’isola. Il successo che riscontro all’estero dipende anche dal mescolare il rock e la denuncia, con composizioni a volte classiche, molto italiane, tipiche della nostra cultura musicale. In Italia si sente trascurato? I conti non tornano, ma non tornavano neanche all’inizio, per me… Certo oggi uno come Ivano Fossati è uscito dal sistema per dignità: è sempre più dura lottare con un sistema massmediatico che definisce chi va ascoltato e chi no, con regole che prescindono da merito e qualità e in modo pure spietato.

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Una bella foto del Premio Nobel per la pace, l’indiano Kailash Satyarthi (foto da worldschildrens-prize.com). L’ingegnere è attivo dagli anni novanta nella lotta alle diverse forme di sfruttamento minorile

Scarp de’ tenis ha incontrato e intervistato il Premio Nobel per la pace Kailash Satyarthi , l’uomo che difende i diritti dei bambini. Le sue parole sono lo spunto per parlare di sfruttamento, tratta e diritti negati

Perchè la sch 26 Scarp de’ tenis marzo 2016


chiavitÚ esiste marzo 2016 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

intervista di Stefano Lampertico

Sorridente. Elegante nel suo abito bianco e nero. Incontriamo Kailash Satyarthi nella sede di Mani Tese, l’ong nata più di cinquant’anni fa per combattere la fame e gli squilibri tra Nord e Sud del mondo. Ha un linguaggio diretto questo ingegnere indiano, premiato con il Nobel

per la pace nel 2014 insieme alla pakistana Malala Yousafzai per le loro lotte “contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”. Kailash, le nostre interviste iniziano sempre con una domanda. Cosa ricorda della strada e del quartiere in cui è cresciuto? Che immagini le vengono in mente pensando alle strade della sua infanzia? 28 Scarp de’ tenis marzo 2016

Sono cresciuto in una casa che si trovava in una piccola via, una strada non asfaltata, con la terra battuta. Quella strada era per noi il nostro campo di calcio. Mettevamo una piccola porta fatta con qualche pietra o del legno. Non ero un bravo calciatore. Purtroppo quando arrivava qualcuno, un pedone o una bicicletta, dovevamo smettere. Giocare a calcio in una strada molto stretta era divertente ma molto impegnativo perché dovevamo fermarci di continuo e a volte eravamo anche in procinto di segnare un goal! Spesso spariva anche la palla. Abbiamo fatto di tutto in quella strada, che si riempiva di fango quando pioveva. Si cadeva spesso. Ho queste immagini tra i miei ricordi. Bambini, sfruttamento dei minori, tratta di esseri umani. Qual è la fotografia della

realtà? Quali le sfide ancora da raccogliere? Nel mondo 168 milioni di bambini sono lavoratori a tempo pieno e i senza lavoro sono 200 milioni. Cinque milioni e mezzo di bambini sono ridotti in schiavitù e questo numero non diminuisce anzi è in aumento. E nuove forme di schiavitù arrivano anche in Europa attraverso i bambini spariti. In Europa mancano all’appello migliaia di bambini. Europol sospetta che possano essere caduti nelle mani di trafficanti di esseri umani per scopi diversi: abuso sessuale, schiavitù, accattonaggio. Un traffico di persone che vale 150 miliardi di dollari. Stiamo parlando di nuove forme di schiavitù, di reati attuati da gruppi di criminali che non possono essere ignorati. Ci sono Paesi come Siria, Iraq, Afghanistan, dove i bambini, anche molto piccoli, vengono rapiti, tenuti in


LA CAMPAGNA

Una foto di Alessandro Brasile per la campagna I exist di Mani Tese, che ha l’obiettivo di rendere visibile un fenomeno moderno troppo spesso ignorato qual è la schiavitù

foto Alessandro Brasile

La campagna di Mani Tese I exist. Perchè la schiavitù esiste ancora Tra i 21 e i 35 milioni di persone oggi sono vittime di forme moderne di schiavitù per un giro d’affari di quasi 139 miliardi di euro all’anno. Parte da qui la campagna I exist di Mani Tese (www.iexist.it), una campagna che intende costruire una mobilitazione globale contro la schiavitù moderna. Il programma I exist vuole contrastare il fenomeno delle schiavitù moderne attraverso tre focus principali: lavoro minorile, traffico di esseri umani, sfruttamento nelle filiere produttive. L’impegno di Mani Tese verso la giustizia è animato dalla convinzione che la povertà e le diseguaglianze sono frutto di precise cause storiche e del mantenimento dell’attuale modello economico. Combattere le diverse forme di schiavitù significa allora promuovere progetti di cooperazione, iniziative di sensibilizzazione e attivazione della società civile e di educazione alla cittadinanza mondiale per colpire le cause del fenomeno alla radice, individuare modalità efficaci per supportare le vittime e, allo stesso tempo, prevenire nuove forme di schiavitù attraverso azioni di sostegno, prevenzione e la costruzione di una rete di partenariati internazionali. Qualche dato. L’agricoltura rimane il settore di maggiore impiego di lavoro minorile, ma non sono trascurabili i numeri dei giovani schiavi sfruttati nei servizi e nell’industria. 115 milioni sono impiegati in industrie pericolose, dove oltre al rischio fisico immediato, sono anche maggiormente esposti a condizioni di grave sfruttamento. Oltre 14 milioni sono invece le persone sfruttate in attività economiche, da imprese che ricercano il massimo profitto attraverso l’abbattimento dei costi nel modo più diretto possibile, ossia abbassando gli standard sociali e ambientali che regolano la produzione. Infine si stima che siano quasi 2 milioni e mezzo le persone vittime di trafficking nel mondo, che generano un volume di affari che potrebbe aggirarsi tra i 32 e i 150 miliardi di dollari all’anno. Info: www.iexist.it

ostaggio e venduti a scopo di prostituzione. Questa è la nuova sfida che dobbiamo raccogliere. Come eliminare allora queste nuove forme di schiavitù? Le persone devono avere consapevolezza che la schiavitù esiste ancora, non è stata abolita. E i media e i social media hanno un ruolo cruciale nel divulgare questa presa di coscienza. Nel recente passato, fino a vent’anni fa, in Europa e in tutto il mondo, i governi erano i principali attori nel processo di risoluzione delle questioni che riguardavano da vicino i diritti umani. Negli ultimi tempi lo scenario è cambiato. Protagonisti sono diventati gli attori economici insieme alla società civile. Quindi ora abbiamo tre importanti soggetti in questo processo: Stato, imprese e società civile. Ma sfortunatamente nella relazione tra

Chi è Kailash Satyarthi è nato a Vidisha, in India, nel gennaio 1964. Nel 2014 è stato insignito del Premio Nobel per la Pace insieme alla pakistana Malala Yousafzay. Da molti anni lavora instancabilmente per liberare bambini e adulti da varie forme di schiavitù, lottando contro il lavoro minorile, lo sfruttamento e la sopraffazione dei più piccoli.

questi soggetti ci sono molte lacune. La relazione di fiducia tra gli uomini d’affari e la società civile si ferma alla beneficenza. E in egual modo il rapporto tra i Governi e la società civile, in tutto il mondo, va migliorato. Il problema della schiavitù si risolve se questi tre attori si muovono in un rapporto di fiducia. Quale ruolo ha giocato la globalizzazione? La globalizzazione da un lato ha portato crescita economica e apertura, ma dall’altro ha creato la domanda di forza lavoro a basso costo nei paesi in via di sviluppo. Per questo motivo nel processo di produzione e distribuzione si possono trovare facilmente sfruttamento e schiavitù minorile. Le grandi aziende dipendono molto dai fornitori locali. Indumenti, scarpe, borse e persino ar-

ticoli elettronici, vengono prodotti da bambini ridotti in schiavitù. Occorre dunque che vi sia una forte presa di coscienza da parte dei consumatori e da parte delle aziende. Nessun bambino deve essere sfruttato per la produzione di questi beni. Spesso le grandi aziende fanno beneficenza, donano soldi. E si fermano lì. Ma occorre fare un passo in avanti sul piano della responsabilità sociale d’impresa. Occorre rendere sempre più chiaro il processo di produzione, rendere trasparenti le forniture. Questa sarà la sfida dei prossimi dieci anni, e sarà importante in questo senso lavorare insieme con le grandi aziende, perché esse non sono solo macchine per fare soldi ma anche artefici del cambiamento sociale. E come può una grande azienda essere responsabile nei confronti delle persone? Con un principio: mai distruggere l’essere umano per generare facili guadagni. Kailash, qual è la sua idea di libertà? La libertà è il dono più prezioso che Dio ci ha dato. E’ un dono divino. Perché tutti nasciamo liberi? Perché Dio lo ha voluto, perché vuole vederci liberi e crescere liberi. Qualsiasi azione che compromette o mette fine a questa libertà è un gesto contro Dio. Intendo ogni azione che blocca le normali scelte di crescita e le decisioni di una persona, libertà di imparare, di avere un’istruzione, di prendere decisioni, di giocare, di avere una vita felice. La libertà implica una responsabilità nei confronti della società, non è anarchia, è autodisciplina senza alcuna imposizione esterna. E la libertà cresce con la civiltà, più c’è civiltà, più siamo liberi. Insieme a lei è stata premiata con il Nobel anche Malala. Che rapporto avete? Malala è mia figlia. Cosa c’è nel futuro di Kailash? La schiavitù non è ancora finita quindi il mio scopo è ancora quello di combatterla. Abbiamo costituito una nuova fondazione la Kailash Satyarthi Children’s Foundation che lavorerà su tre obiettivi. Il primo è la costituzione di un istituto che lavorerà per la promozione del pensiero olistico. Oggi le politiche a favore dei bambini sono molto frammentate sia sul piano della salute, che in marzo 2016 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

115 milioni di bambini nel mondo sono impiegati in processi di produzione pericolosi e in condizioni di schiavitù

foto Alessandro Brasile

quello dell’istruzione, protezione e aiuto legale. Il secondo obiettivo è cercare di replicare modelli di buone pratiche coinvolgendo lo Stato, la società civile e le imprese. E il terzo obiettivo, e qui un ruolo importante lo potete giocare anche voi come giornali di strada di tutto il mondo, è lanciare la più ambiziosa e imponente campagna mai realizzata a difesa dei bambini. Da una parte ci sono milioni di bambini privati della loro infanzia, della loro libertà, istruzione, assistenza sanitaria, cibo, ma dall’altra parte ci sono milioni di giovani ricchi di ideali, con tanto entusiasmo ed energia che vorrebbero fare qualcosa di più per la società. Ma se la società non è in grado di offrire loro alternative, rischiano di diventare egoisti, egocentrici e la frustazione rischia di trasformarsi in intolleranza e violenza. Questo è lo scopo di questa grande campagna diretta ai giovani, affinché possano sentirsi persone capaci di cambiare le cose. E il ruolo dei social media – strumenti veloci – sarà fondamentale.

Caritas: un Presidio per dare voce agli sfruttati di Ettore Sutti

Si chiama Presidio il progetto lanciato da Caritas Italiana nei territori interessati dal fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori stagionali in agricoltura. Un progetto attivo sui territori di ben 10 Caritas diocesane: Acerenza, Caserta, Foggia-Bovino, Melfi -Rapolla - Venosa, NardòGallipoli, Oppido-Palmi (Rosarno), Ragusa, Saluzzo, Teggiano-Policastro (piana del Sele) e Trani-Barletta-Bisceglie. Obiettivo del progetto, di cui

Nuova forza a uno strumento capace di intercettare e combattere forme di sfruttamento nuove e articolate

si è appena conclusa la prima biennalità, è quello di garantire una presenza, un presidio appunto, di operatori Caritas in quei territori che vedono stagionalmente l’arrivo di lavoratori per offrire supporto ai bisogni più immediati e garantire assistenza legale e sanitaria e un aiuto per i documenti di soggiorno e di la-

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voro. Gli operatori girano le campagne con mezzi riconoscibili grazie al logo del progetto, per seguire gli spostamenti dei lavoratori, garantendo assistenza continuativa. «Questa prima biennalità del progetto –spiega Oliviero Forte, responsabile del servizio immigrazione di Caritas Italiana – ha confermato l’esigenza di un intervento coordinato e continuativo nei territori, agendo secondo uno stile e un’azione visibile all’esterno e facilmente riconoscibile. Non a caso Presidio è diventato ormai un marchio che i migranti, che in molti casi si spostano seguendo i flussi di raccolta, riconoscono come un luogo dove possono trovare determinati servizi, siano essi di bassa soglia o di assistenza sanitaria o legale». Quanto ha inciso un progetto come Presidio sul sistema che


340 mila 30 mila 100 mila I minori e gli adolescenti sotto i 16 anni costretti a lavorare in Italia

I minori e gli adolescenti gravemente sfruttati in Italia

I braccianti gravemente sfruttati nel nostro paese. 5 mila ridotti in schiavitù

I DATI

In Italia 400 mila braccianti sfruttati, 5 mila quelli in stato di schiavitù In Italia sono 340 mila i bambini e gli adolescenti costretti a lavorare. Minori di sedici anni che hanno abbandonato gli studi. Questa la denuncia presentata da Save the Children e Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite) in occasione della giornata mondiale contro il lavoro minorile. La legge italiana fissa a 16 anni l’età minima di accesso al lavoro ma, secondo la ricerca "Game Over", nel nostro Paese il 7 per cento dei minori nella fascia di età tra i 7 e i 15 anni è coinvolto nel fenomeno, complice anche uno dei tassi di dispersione scolastica più elevati d’Europa e pari al 18,2 per cento. In quasi 30 mila, un bambino su dieci, sono impiegati in lavori pericolosi per la loro salute e sicurezza e non è scorretto parlare di sfruttamento. Fuori dall’Italia la situazione è ancora più grave. Sempre secondo Save the Children e Oil, nel mondo i bambini e gli adolescenti costretti a lavorare sono 168 milioni. Circa 120 milioni di minori se si prende in considerazione solo la fascia tra i 5 e i 14 anni. E per 85 milioni di loro, si tratta di lavori altamente rischiosi. Diversi i settori economici direttamente interessati dal fenomeno. Almeno 98 milioni di minori sono impiegati in agricoltura. Se parliamo invece di lavoratori gravemente

sfruttati le stime più accreditate sono sempre quelle dell’Oil che parla di 20 milioni e 900 mila persone. Il 90% (pari a 18 milioni e 700 mila persone) è sfruttato. Il 22 per cento di esse (ossia 4 milioni 500 mila) sono coinvolte nella prostituzione forzata e 14 milioni 200 mila in attività lavorative, in particolare in agricoltura, nelle costruzioni e nel lavoro domestico. In Europa, sempre secondo l’Oil, i lavoratori forzati ammonterebbero a 800 mila, di cui 270 mila per motivi correlabili alla prostituzione e 670 mila legati ad attività lavorative. Venendo al nostro Paese appare difficile stimare la reale entità del fenomeno. Gli addetti all'agricoltura in Italia sono un milione e 200 mila. Un quarto sono stranieri, dicono i dati di Coldiretti. L'Istat parla del 43 per cento di lavoro sommerso. Dunque i lavoratori a rischio sfruttamento nel nostro paese sono almeno 400 mila. Sono 22 le province in cui si registrano condizioni di paraschiavismo. In tutto 12 regioni, da nord a sud. A dirlo è il rapporto della Flai-Cgil sulle agromafie curato dall'osservatorio “Placido Rizzotto”. Sulla base di questi dati si stimano che siano circa 100 mila i braccianti gravemente sfruttati e che 5 mila vivano in condizioni di schiavismo vero e proprio. In Italia. Nel 2016.

L’INTERVISTA

domina il lavoro stagionale in agricoltura? Presidio, oltre ad essere stata la giusta risposta ai tanti bisogni che alcune categorie di lavoratori chiedevano, ci ha permesso di leggere e reinterpretare il fenomeno di un mercato del lavoro in cui le aree di nero e di grigio variano continuamente. La banca dati creata dai nostri operatori è servita anche a tracciare tutte quelle persone che, altrimenti, sarebbero rimaste invisibili. Uno dei problemi maggiori è, infatti, intercettare i lavoratori... Quando pensiamo allo sfruttamento abbiamo sempre in mente persone provenienti dell’Africa subsahariana, senza documenti o magari rifugiati in attesa di permesso umanitario che, per loro natura, risultano essere più ricattabili rispetto

ad altre categorie. Quello che abbiamo mappato nel corso del progetto è, invece, la presenza crescente di lavoratori comunitari (in massima parte bulgari e rumeni) vittime di uno sfruttamento altrettanto grave. Il semplice fatto di essere cittadini dell’Unione, infatti, non li pone al riparo da questo pericolo. Altro fenomeno nuovo riguarda i lavoratori delle cosiddette “colture di pregio in serra”. Si tratta di persone che, di fatto, vivono recluse dentro le serre in cui lavorano e che finora era stato impossibile intercettare. Grazie al lavoro degli operatori di Presidio di Ragusa siamo riusciti a contattare centinaia di lavoratori che, fino al quel momento, non esistevano. Una condizione che comporta forme di sfruttamento sempre più gravi... Assolutamente. In Sicilia ma an-

Il caporalato è un problema ma non il problema. In verità è tutto il sistema che non funziona e che deve essere riformato. Nei casi in cui si è lavorato bene contro il lavoro nero, come in Basilicata, il fenomeno del caporalato si è molto ridotto

che nella zona di Castelvolturno si sono registrate situazioni in cui le le donne, ma anche gli uomini, erano vittime di plurisfruttamento: lavorativo e sessuale. I caporali, facendo leva sul fatto che molti lavoratori sono privi di documenti, ricattavano anche sessualmente i propri sottoposti. Quando è difficile da estirpare un fenomeno come quello del caporalato? Il caporalato è un problema ma non è il problema. In verità è tutto il sistema che non funziona e che deve essere riformato. Nei casi in cui si è lavorato bene contro il lavoro nero, penso al sistema di liste attivato in Basilicata, poco alla volta il fenomeno del caporalato si è ridotto di molto. Combattere solo i caporali non risolve il problema. È la domanda che genera l’offerta. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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COPERTINA É di questi giorni la notizia che Presidio continuerà per un’altra biennalità. Un risultato importante... Dopo la prima fase di studio e di comprensione del fenomeno adesso si tratterà di allargare e ricalibrare lo spettro di intervento. Una sfida importante a cui stiamo già lavorando. L’obiettivo primario è quello di investire su tutti quegli ambiti in cui ancora nessuno ha messo veramente la testa. Uno fra tutti il problema alloggiativo di queste persone. Tendopoli e baracche non possono essere una risposta adeguata. Sia in termini di integrazione sia di benessere complessivo. Che senso ha garantire assistenza sanitaria se poi quelle stesse persone sono costrette a dormire in mezzo ai topi e alla sporcizia? Quello a cui pensiamo, e su questo le parrocchie potranno risultare decisive, sono accoglienze di piccoli gruppi, anche familiari, in strutture protette. Un sfida che, credo, saremo in grado di vincere.

Gli affari dei trafficanti sulle rotte dei migranti di Francesco Chiavarini

I barconi degli immigrati sono sempre più utilizzati per trafficare donne da immettere nel giro della prostituzione. Con profitti più alti e bassissimi rischi 32 Scarp de’ tenis marzo 2016

La Libia è diventa la principale porta di accesso utilizzata dalle organizzazioni criminali per rifornire di merce fresca il mercato del sesso italiano ed europeo. Approfittando del collasso del Paese, i clan nigeriani che ge-

stiscono da sempre il racket della prostituzione hanno stretto affari coi trafficanti di esseri umani, utilizzando le

rotte dell’immigrazione clandestina per far arrivare sulle principali piazze europee donne sempre più giovani.

Il risultato è, per gli sfruttatori, un business ormai miliardario superato solo da quello della droga e delle armi, per le vittime, un catena di violenze, umiliazioni, sofferenze ancora più lunga. Non solo, la pre-

senza delle donne costrette a vendersi tra i richiedenti asilo rischia di

imballare il sistema di accoglienza dei migranti. Schiave dello sfruttamento Le storie di chi è costretta a prostituirsi sono tutte molte simili tra loro. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) nel 2014 sono sbarcate in Italia 1.454 donne nigeriane, il triplo di quelle giunte nel 2013. Alla fine del 2015 il loro numero è salito ulteriormente fino a sfiorare le 5mila migranti. Secondo l’Oim il 70% di queste donne è destinata allo sfruttamento sessuale. «Le ragazze provengono da aree sempre più povere della Nigeria – si legge nel Rapporto –, in particolare dai villaggi intorno a Benin City e da famiglie particolarmente indigenti. A volte minorenni, spesso vendute ai trafficanti dalle stesse famiglie, vengono “offerte” come merce di scambio alle milizie para-


dei barconi che portano i migranti in Europa potevano essere una via di accesso a buon mercato anche per le schiave del sesso.

I trafficanti di donne utilizzano le rotte dei migranti per i loro loschi affari. Il trafficking genera un giro di affari di miliardi di euro l’anno

IL CASO

militari alla frontiera della Libia per passare il confine indisturbati. Portate e trattenute nelle conection house o ghetti, in attesa della partenza per l’Europa, le donne subiscono violenze sessuali, torture, sequestri, esperienze traumatiche spesso organizzate o tollerate dagli sfruttatori, con lo scopo di indebolire la resistenza delle vittime e piegarle psicologicamente e fisicamente». Nigeriani e scafisti in affari Diverse inchieste della magistratura hanno verificato che a gestire questo traffico ci sarebbero bande criminali nigeriane, dedite al racket della prostituzione, con ramificazioni in tantissime città italiane.

Sempre secondo inchieste giudiziarie, le organizzazioni nigeriane si sarebbero alleate con le mafie libiche che controllano gli scafisti, avendo capito che le rotte

Un’indagine coordinata della Procura di Agrigento ha messo in luce «collegamenti non occasionali tra immigrazione clandestina e sfruttamento sessuale». A Milano lo scorso 5 novembre, in seguito ad una grande retata che ha portato all’arresto di quattro cittadini nigeriani per tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù, la squadra mobile della polizia ha scoperto che alcune delle ragazze costrette a prostituirsi erano passate dai centri di prima accoglienza per i migranti del Sud Italia prima di essere trasferite nel capoluogo lombardo. Le organizzazioni del Terzo settore impegnate sul campo confermano. Gli operatori delle unità di strada delle associazione attive nel centro Italia ed in particolare lungo il litorale adriatico dicono che è frequente, quasi normale, incontrare le ragazze che si prostituiscono per strada con in tasca la richiesta di asilo: macchine e pulmini le aspettano fuori dalle strutture che le ospitano e le portano a vendersi lungo le provinciali. Trasportate sui barconi «È dall’emergenza Nord Africa, già nel 2011, che abbiamo segnalato il problema. Ora il fenomeno è esploso in tutta la sua drammaticità. Le schiave del sesso arrivano sui barconi e quando giungono in Italia hanno già imparato a memoria la storia da raccontare alle autorità per chiedere asilo. Una storia fotocopia uguale a quella delle altre, preparata da chi le traffica - spiega Palma Felina, dell’area tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana –. Alle donne viene spiegato che è un passaggio obbligato per poter iniziare a lavorare, anche se nessuno dice quale lavoro dovranno in realtà fare e a quali condizioni. Mi rendo conto che è una verità scomoda da far digerire all’opinione pubblica, ma se nascondiamo la polvere sotto il tappeto, diventiamo complici di questo sfruttamento. Non possiamo permettercelo.

LA STORIA

Ashahed, schiava sessuale in Libia che ha avuto la forza di denunciare Ashahed, 17 anni, di Benin city, città della Nigeria, ha dovuto toccare il fondo per trovare il coraggio di raccontare la verità. Quel figlio che aveva nella pancia non era dell’uomo con cui si era presentata al centro di accoglienza, un istituto di Torino gestito da una congregazione di religiose. Quell’uomo non era nemmeno suo marito, come aveva raccontato. Il giovane di cui fingeva di essere la moglie era in realtà il suo “trolley”, come si dice in gergo, la persona di fiducia che il clan di sfruttatori le aveva affiancato per farla giungere a destinazione. «Mi avevano detto che un parente ad Amsterdam cercava una ragazza per farla lavorare nel suo bar – racconta in pidgin, l’inglese misto al dialetto locale –. Se ci volevo andare non mi sarei dovuta preoccupare di nulla: i soldi per il mio viaggio e quello dell’accompagnatore, li avrei restituiti un po’ alla volta appena iniziato a lavorare». Ma una volta arrivata in Libia Ashahed comprende che le cose sarebbero andate molto diversamente. «Quando siamo arrivati alla frontiera, il “trolley” mi ha detto che se non fossi andata coi militari, saremmo morti tutti e due. Ero sola, in mezzo al deserto, gli uomini erano armati. La jeep su cui viaggiavamo si è fermata più di una volta e ho fatto come mi aveva detto lui. Non avevo scelta…». Poi è stato come essere risucchiati in un vortice. «Per un anno e mezzo siamo stati a Zuwarah in Libia, vivevamo in una casa abbandonata alla periferia della città. Lui diceva che avevamo bisogno di soldi per pagare gli scafisti e mi portava sempre nuovi clienti. Erano violenti. È stato terribile, terribile. Pensavo di morire ogni volta. Dovevo scappare allora, ma dove sarei potuta andare?», dice asciugandosi le lacrime. È solo a Torino dove era arrivata in treno, dopo lo sbarco in Sicilia che Ashahed ha trovato la forza di spezzare la catena che la teneva prigioniera al suo accompagnatore. «Quando sono arrivati da noi poco prima di Natale, sembravano veramente la sacra famiglia in cerca di un rifugio. Ma dopo un po’ abbiamo cominciato ad insospettirci. Lui, dopo un paio di giorni, aveva fatto perdere le tracce. Quando le avevamo chiesto spiegazioni ci aveva risposto che era partito per il Nord Europa e che avrebbe mandato qualcuno a prenderla. Poi una mattina, sullo stradone fuori dall’istituto, l’avevamo vista salire su un furgone con altre donne. Alla guida c’era il suo presunto marito. A quel punto per noi era tutto chiaro: avremmo potuto denunciarli subito alle autorità, ma abbiamo preferito aspettare che fosse lei a farlo», raccontano le suore che preferiscono rimanere anonime. Temporeggiare si è dimostrata la scelta giusta. Ashahed ha ripetuto in Questura quello che aveva confidato alle religiose. Ora vive in un appartamento sotto protezione in provincia di Brescia insieme alla sua bambina che ha voluto chiamare a dispetto di tutto “Hope”. L’uomo che la sfruttava è invece ancora ricercato. Francesco Chiavarini

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SPECIALE

Uno dei panorami più famosi del centralissimo Rione della Sanità. Abitato fin da tempi antichissimi è poi diventato luogo prediletto dalla nobiltà. Dopo il degrado oggi il Rione lotta per garantire un futuro ai propri figli

Napoli. Rione Sanità. Un luogo che evoca camorra, morti ammazzati, ragazzini con la pistola. E povertà. Materiale e sociale. Ma Rione Sanità è molto di più di quello che la fredda cronaca ci racconta. Oggi è soprattutto luogo di opportunità e di riscatto. Dove si può sognare. Di avere una vita normale. Ma anche di diventare musicisti o attori. E dove le bellezze architettoniche stanno diventando uno strumento di promozione sociale. Viaggio di Scarp alla ricerca della bellezza. Che c’è.

Il bello della 34 Scarp de’ tenis marzo 2016


Sanità marzo 2016 Scarp de’ tenis

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SPECIALE

di Laura Guerra

scheda Alla Sanità si viene anche per trovare riparo e accoglienza. Due le strutture che offrono un posto letto a 200 senza dimora ogni sera. Sono il centro La Tenda sostenuto dalla Caritas diocesana di Napoli che ne ospita più di 100 e l’Istituto Sant’Antonio La Palma, dove il Comune ha aperto un servizio di accoglienza per 85 persone, gestito dalla cooperativa La Locomotiva. All’Istituto La Palma l’associazione il Pioppo ospita un gruppo di migranti sbarcati a Napoli dopo aver attraversato il Mediterraneo.

Dici Rione Sanità e subito pensi a camorra, a boss ragazzini, a disagio e povertà. Ma Rione Sanita è soprattutto uno scrigno di storie. Ne racchiude di ogni colore e tono e ogni volta che ci torni te ne rivela di nuove. Sfaccettato e grezzo come un diamante ne ha insieme la durezza e la lucentezza. I greci qui avevano gli ipogei e i primi cristiani hanno lasciato luoghi di culto. Nel XVI secolo diventa zona abitata dal Quartiere Stella fino a sotto la collina di Capodimonte. Fra il Seicento e il secolo dei Lumi, antiche casate edificarono qui le loro dimore per l’aria salubre che diede alla zona il nome, appunto, di Sanità. Fu Gioacchino Murat agli inizi dell’Ottocento, in epoca di domina-

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zione napoleonica a separarlo dalla città facendo costruire un ponte che univa l’attuale corso Amedeo di Savoia a via Santa Teresa degli Scalzi. La Sanità fu relegata sotto al ponte e tagliata fuori dagli scambi cittadini diventando un imbuto che dal Borgo dei Vergini arriva alla collina di Capodimonte. Alla fine degli anni Trenta sarebbe arrivato l’ascensore, il sopra con il sotto. Un rione non semplice Da sempre conserva e custodisce caratteristiche particolari; è rione popoloso: in 5 chilometri quadrati vivono 65 mila persone, è un luogo di contraddizioni illuminate sempre accendendo il faro mediatico della cronaca nera: la camorra, la guerra fra bande di ragazzini, l’endemica mancanza di lavoro, la dispersione scolastica. Da sempre custodisce tesori d’arte nei palazzi

seicenteschi, nelle catacombe, nelle chiese. Da questo enorme patrimonio – i giovani con il loro diritto di futuro e i siti d’arte eredità del passato – è partito, 15 anni fa don Antonio Loffredo. Arrivato alla Sanità come parroco delle comunità della Basilica di Santa Maria alla Sanità, di San Vincenzo e Immacolata, della chiesa della Maddalena ai Cristallini e della Basilica di San Severo. In tre lustri con il sostegno di L’Altra Napoli onlus e della Fondazione con il Sud, è nata la Fondazione di comunità San Gennaro, rete di sviluppo territoriale che vede operare insieme associazioni, cooperative, enti no profit, commercianti che ha generato lavoro onesto per molti.

Gli economisti lo chiamano Modello Sanità. A don Loffredo fu chiaro da subito che poteva attingere


LA STORIA

pillole Madri Alcune frequentano un corso nella “Casa di Cristallini” per imparare a cucinare, confezionare e vendere ai turisti piatti tipici napoletani da take away. Altre si incontrano tutti i lunedì per immaginare un futuro diverso per i loro figli. A settembre scorso Giovanni Colangelo, capo della Procura di Napoli ha rivolto un appello pubblico alle madri dei baby boss invitandole fermare i loro figli.

Vittoria Di Giovanniello

Marco Crispino suona il suo violino nella splendida cornice della cappella di Sant’Antonio alla Sanità. Sotto le mani di Ciro, Lucia e Marco. Mani unite. Mani che lavorano e che non mollano

Per le mani di Marco le corde non hanno segreti. La sua è una famiglia semplice: il padre Ciro, lavora in un calzaturificio; le sue mani sono scurite dal cuoio e dal pellame. La madre Lucia, non tiene in ordine solo casa sua, le sue mani sono arrossate dall’acqua e dai detersivi

Noi del rione Sanità È il titolo di un libro scritto da don Antonio Loffredo, edito da Mondadori. La rete dei commercianti del Rione è riuscita a spuntare dalla distribuzione un prezzo più basso di quello dei circuiti classici, l’utile ricavato viene reinvestito nei progetti per il quartiere. Si può trovare nel bar di fronte alla Basilica di Santa Maria alla Sanità, detta del Monacone. Per gli economisti è un fattore di sviluppo di comunità. Il gusto della tradizione La pizza e la frittura di Ciro Oliva di Concettina ai Tre Santi, i taralli e il fiocco di neve di Poppella. Sapori tipici per chi visita chiese e catacombe o per il dopo teatro. Così la tradizione gastronomica diventa benessere economico. Sant’Antonio in macelleria Una statua di Sant’Antonio a grandezza naturale protegge il lavoro di Raffaele, macellaio da tre generazioni. L’ha voluta il nonno per onorare la devozione al Santo di Padova. Il negozio è subito a destra dell’ascensore che collega il rione con Santa Teresa. Padre Alex Zanotelli Il missionario comboniano ha scelto la Sanità per la sua opera di evangelizzazione e denuncia delle ingiustizie sociali. Ciak per Rupert Everett La prossima estate l’attore Rupert Everett girerà alla Sanità il suo prossimo film dedicato allo scrittore Oscar Wilde. Nel cast ci saranno anche Colin Firth, Emily Watson, Miranda Richardson e Tom Wilkinson.

Marco primo violino in Sanitansemble Quando la musica cambia davvero le vite Il violino e la vela; l’archetto e le corde. Quelle del violino e quelle della barca. Le mani di Marco Crispino eseguono e ubbidiscono a tutt’e due. Con disciplina, passione, talento. Marco è primo violino nell’orchestra Sanitansemble, è un velista categoria 4,20 under 19, in gara spesso centra il podio. Lui ha 16 anni, jeans, giubbotto imbottito, taglio col ciuffo, scarpette sportive, occhi scuri, sguardo attento sulla vita, attento a non perderne neanche un attimo. Racconta la sua giornata e si capisce che non si concede il lusso del tempo perso. La sue ore sono piene di musica e mare, quando non prova si allena; frequenta il liceo scientifico con profitto e studia nel resto del tempo. Ottimizza ogni attimo: le spiegazioni dei professori, le interrogazioni dei compagni, la ripassata veloce in macchina mentre va in trasferta per le gare. Non gli si potrebbe chiedere di scegliere fra il mare e la musica. «Quando suono – racconta Marco – esprimo quello che ho dentro e che non so dire con le parole; in barca mi sento libero e lascio andare emozioni e pensieri». Per le sue mani le corde non hanno segreti siano esse di violino o cime della barca. Anzi, li hanno ma lui li fa suoi con l’allenamento e l’impegno. La famiglia di Marco è una famiglia semplice: il padre Ciro, lavora in un laboratorio calzaturiero; le sue mani sono scurite dal cuoio e dal pellame; quando non lavora le usa per costruire i pastori per il presepe. La madre Lucia, non tiene in ordine solo casa sua, le sue mani sono arrossate dall’acqua e dai detersivi. Vivono di lavoro. Hanno anche Federica che frequenta le medie e suona il violino a scuola. Sono del Rione Sanità, nell’orchestra Sanitansemble hanno visto, fin da quando Marco aveva 9 anni, un’occasione alternativa alla strada e ai pericoli che popolano il marciapiede. Hanno colto l’opportunità delle audizioni e hanno scoperto il talento. Marco suona nell’orchestra sinfonica dal 2008, sono in 39, e oltre alle prove corali dirette dal maestro Paolo Acunzo sono seguiti con lezioni individuali e di fila da 14 maestri che curano archi, legni, ottoni e percussioni. Il risultato sono esibizioni davanti al presidente della Repubblica emerito, Giorgio Napolitano, in Sala Nervi per Papa Francesco, al Teatro San Carlo. Da pochi mesi è nata una seconda orchestra formata da bambini più piccoli sono in 45 e l’età media è di 8 anni. Provano circondati dai magnifici affreschi della Basilica di Sansevero; mentre talenti e strumenti rincorrono armonie e melodie le mamme si fermano a chiacchierare e a farsi compagnia. Una di loro, Vittoria Di Giovanniello per mezzo dell’orchestra è diventata fotografa professionista. Dove per mezzo è forma dialettale che significa molte cose: a causa, per tramite, per colpa. Lei, sposata giovanissima, pochi studi alle spalle è madre di 4 figli, pur amando fotografare sin da ragazzina, non era mai stata tanto sicura da seguire fino in fondo la sua passione. Ha cominciato fotografando l’orchestra; poco alla volta ha iniziato a crederci tanto da cogliere l’occasione di un corso tenuto da Sergio Siano, fotografo de Il Mattino che la considera la sua allieva più dotata. Oggi la chiamano per consegnare ai ricordi feste e cerimonie, quel che ama di più è girare con la macchina a tracolla e fare reportage. I suoi occhi e il suo obiettivo guardano il Rione con la generosità di chi ci è nata, ci vive e ha voglia di scoprirla ogni giorno. La stessa generosità che le ha fatto regalare i suoi scatti a questa inchiesta. Laura Guerra marzo 2016 Scarp de’ tenis

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SPECIALE

da due giacimenti inutilizzati: i ragazzi e le opere d’arte. I giovani avevano bisogno di conoscere il mondo oltre il Ponte di Murat e lui li fece viaggiare; avevano bisogno di aver fiducia e lui la diede, affidando loro gli spazi disponibili intorno alle sue chiese. La forza della socialità Si organizzarono per far fare i compiti ai più piccoli sentendosi subito “Paranza”, parola usata fra loro per dire gruppo e che scelsero per riunirsi in cooperativa e con questa far conoscere al mondo le bellezze del Rione Sanità. Nacque la cooperativa “La Paranza” che aprì il bed and breakfast Casa del Monacone, fiorirono centri educativi per bambini e ragazzi. Nacquero gli Iron Angels, gruppo guidato dall’artista del ferro battuto Riccardo Dalisi che ha trasmesso ai ragazzi il suo sapere e i segreti del metallo rovente. Stando insieme scoprirono l’im-

mensità artistica su cui camminavano fin da piccoli senza saperlo: le catacombe di San Gaudioso, il cimitero delle Fontanelle, il palazzo dello Spagnuolo e immaginarono un percorso per turisti che oggi va alle Catacombe di Napoli a Capodimonte in un percorso che hanno chiamato “Miglio Sacro”. Nel 2008 le catacombe di Napoli contavano 6 mila ingressi in un anno, nel 2015 sono diventate 70 mila. Oggi ci lavorano in 20 tra guide e addetti alla manutenzione. Oggi essere giovane alla Sanità può essere tante cose di colore diverso e opposto: puoi finire sui giornali perché intrecci la tua esistenza ai mondi delle criminalità, ma possono parlare di te perché sei educatore, sei una guida delle catacombe, sei un bravo artigiano del ferro battuto, sei un attore del Nuovo Teatro Sanità o suoni nell’orchestra Sanitansemble. Quel che conta è avere l’opportunità di scegliere.

Un tesoro sotto i piedi E la bellezza crea lavoro di Claudia Sparavigna

La recente scoperta e valorizzazione dell’acquedotto Augusteo del Serino creerà nuove opportunità al Rione 38 Scarp de’ tenis marzo 2016

Un suggestivo scorcio delle catacombe che passano sotto il Rione Sanità che lo scorso anno hanno richiamato decine di migliaia di turisti

A Napoli si cammina sulla storia. Questa frase, che sembra un banale spot, è invece una verità assoluta ed è quello che facevano alcuni inquilini di Palazzo Peschici – Maresca, un edificio nobiliare del ‘600, situato nello slargo di via Arena alla Sanità. Nel 2011, un piccolo cedimento di un locale a pianoterra, nel cortile del palazzo, ha messo in luce una scoperta archeologica senza precedenti: dallo squarcio nella pavimentazione si intravedeva una ghiera d’arco in laterizio per la quale era necessario fare degli approfondimenti. Sebbene il sottosuolo di Napoli riservi sempre grandi sorprese, chi stava andando a compiere il sopralluogo per il cedimento di un

semplice solaio non avrebbe mai immaginato di potersi trovare di fronte ad una delle opere architettoniche più importanti della storia: l’acquedotto Augusteo del Serino, un’infrastruttura lunga 96 chilometri, che portava l’acqua dalle sorgenti del Serino fino alla Piscina Mirabilis di Miseno, datata I secolo dopo Cristo. Una scoperta eccezionale L’emozione che si prova scendendo le scale che portano sotto i grandi archi e i pilastri del XVII secolo, per scendere verso lo strato più antico, è indescrivibile. È una passeggiata attraverso i secoli, che parte dai giorni nostri e arriva al I secolo dopo Cristo, raggiungendo il suo apice in un punto particolare, dove due serie di arcate si fronteggiano, correndo parallele, lì camminano appaiati l’Acquedotto


65 mila

2 mila

le persone che vivono nei cinque chilometri quadrati del Rione Sanità

I partecipanti a Un popolo in Cammino corteo organizzato contro tutte le camorre

Carlo sogna un futuro da attore, la sfida (vinta) del Nuovo teatro Sanità «Voglio vivere di teatro. Si, è quello che voglio. Per me è un’esigenza». Lo dice con convinzione e speranza Carlo, un ragazzo di 25 anni del Rione Sanità, un diploma di ragioneria e all’attivo tanti anni di gavetta per poter calcare le amate tavole di un palcoscenico. La sua è la fotografia di chi, con impegno e studio, si appresta a realizzare i suoi sogni, perché è riuscito a passare le selezioni per diventare allievo della scuola di teatro del Mercadante di Napoli. Un passo enorme per un giovane che viene dal ventre verace della città, la Sanità, dove il teatro si fa in una chiesa trasformata in un teatro da 80 posti, sotto la direzione artistica di Mario Gelardi e di un collettivo fatto da giovani del quartiere e operatori teatrali, dal 2014. Nasce così il Nuovo teatro Sanità, un’esperienza teatrale fuori dalle logiche paludate. «La forza di questo teatro sono i ragazzi – spiega Mario Gelardi – andiamo avanti senza alcun contributo pubblico, solo grazie alla volontà di padre Antonio Loffredo prima e all’aiuto concreto di quelli che noi consideriamo mecenati, come Ro-

IL PROGETTO

Augusteo e un’altra struttura che potrebbe essere l’Acquedotto che portava l’acqua a Neapolis in epoca Flavia.

«Le cose belle di questa città si scoprono quasi sempre per caso ma quando sono andato a fare il sopralluogo non pensavo si trattasse di una scoperta tanto importante – racconta Ciro Galiano, presidente di Riformisti nel Mezzogiorno, associazione che si occupa di controllare lo stato di salute di alcune proprietà dell’Arciconfraternita dei Pellegrini, tra cui palazzo Peschici-Maresca –. Scendendo dalla botola di un negozio vicino a quello dove aveva ceduto il solaio, ci trovammo immersi nei detriti visto che nel Novecento, era stato rifugio anti aereo, deposito e luogo di scarico». Prima di riuscire a comprende-

re bene la portata della scoperta, sono stati necessari tre anni e mezzo di studi e di pulizie, ma poi, grazie al lavoro congiunto delle associazioni del territorio, affiancate dall’arciconfraternita dei Pellegrini, da un rinnovato rapporto con la soprintendenza archeologica, da specialisti del mondo scientifico, dall’università Federico II e dagli ordini professionali, l’azione di recupero del patrimonio architettonico ha dato i suoi frutti. Dal giugno 2014, le associazioni “VerginiSanità”, “Celanapoli” e “Riformisti nel Mezzogiorno” hanno preso in gestione in forma volontaria i locali in via Arena alla Sanità, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare il sito archeologico, considerando il tessuto sociale e culturale del quartiere, che dal 20 marzo entrerà a far parte del Fai.

LA STORIA

berto Saviano e l’azienda “Optima Italia”. Grazie al sostegno della Fondazione Pavesi, riusciamo a portare avanti corsi di teatro gratuiti per bambini e ragazzi che hanno alle spalle famiglie in condizioni economiche complicate ma che hanno deciso di seguire la via dell’arte. Questo è rivoluzionario per chi ha un futuro già deciso come carpentieri, guantai o manovali». Quello del Nuovo teatro Sanità è uno spazio aperto, dove «basta bussare e si entra per discutere», racconta Gelardi, dove lavorano circa trenta persone. In questo spazio, Carlo ha mosso i suoi primi passi, già nel 2007, quando il teatro ancora non esisteva, e in chiesa si facevano attività ludiche, di cui lui era responsabile tecnico. «Prima dell’arrivo del Nuovo teatro Sanità, stavo per mollare tutto– confessa – non c’erano grandi stimoli. In due anni abbiamo triplicato la presenza di pubblico e portato gente, non del quartiere, all’interno della Sanità. Si parla sempre dei problemi della Sanità ma c’è un lato che non viene mai raccontato. E ci sono tanti giovani che possono fare la differenza». (Cs)

IL PROGETTO

“Casa Nostra”, un luogo normale dove i bambini fanno solo i bambini Adda passà ‘a nuttata non è solo un famosa frase di Eduardo de Filippo nel finale del suo celeberrimo Napoli Milionaria. Oggi è, soprattutto, anche il nome di una associazione di ragazzi universitari impegnati a migliorare la nostra città. Fanno tante attività in vari quartieri a rischio della città. Anche alla Sanità dove gestiscono un bene confiscato alla camorra. E una semplice stanza con ripostiglio e bagno e si trova alla Salita dei Cinesi. Una finta salumeria che i ragazzi dell’associazione dopo averla ripulita, hanno rimesso a posto e imbiancata. L’hanno chiamata “Casa Nostra” e ci organizzano il doposcuola per i bambini del quartiere, corsi di teatro, lezioni di italiano per stranieri, giochi e feste per tutto il quartiere. Pasquale Pennino è uno dei responsabili di Adda passà ‘a nuttata. Un ragazzo come tanti che ha scelto di impegnarsi con entusiasmo in questa nuova grande avventura. «All’inizio non è stato semplice – racconta –. Per conquistare la fiducia delle persone che vivono qui ci siamo presentati un giorno con un pallone Supersantos e, improvvisando una partita di pallone per strada, abbiamo iniziato a fare amicizia. Poco alla volta abbiamo superato la comprensibile diffidenza e oggi tanti ragazzi che vivono in “bassi” molto piccoli in cui non hanno lo spazio dove fare i compiti vengono a “Casa Nostra” a studiare». Che vuole essere uno spazio normale – in cui incontrarsi, giocare, studiare – in un quartiere in cui spesso queste semplici cose sono negate». Giuseppe Scognamiglio marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Paura di

Francesca Rosa

DOSSIER

Fragili e infelici. Questa la fotografia degli adolescenti che sempre più diventa tragica per chi da questa fragilità viene sopraffatto: secondo da psicopatologie gravi. Sul banco degli imputati la quasi totale assenza dire no e di staccarsi dai figli. E c’è chi decide (gli hikikomori) di non 40 Scarp de’ tenis marzo 2016


crescere

spesso tratteggiano ricerche sociologiche e media. Una situazione che l’Oms nel 2020 il 12 per cento degli adolescenti potrebbe essere affetto di prevenzione e una generazione di genitori sempre più incapaci di uscire più dalla propria stanza marzo 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER

Irma Ribolla

di Daniela Palumbo

Le illustrazioni del servizio sono state realizzate dagli alunni della Scuola del fumetto e dell’illustrazione di Milano www.scuoladelfumetto.com

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Quando hai 16 anni e l’orizzonte più lontano che riesci a guardare è il tuo presente, qualcosa non torna. La speranza, l’attesa del futuro, innanzitutto. E non è cosa da poco. Disillusi, chiusi, concentrati su loro stessi, fagocitati dal web, con in testa la fuga ma incapaci di staccarsi dalla famiglia; in una parola: fragili. In due: fragili e infelici. È la fotografia degli adolescenti emersa dalle ricerche sociologiche e dai media.

di allarme: il “Regina Margherita” di Torino avverte che l’8% dei ragazzi piemontesi sono presi in carico dai servizi psichiatrici, sempre nello stesso ospedale si registrano due nuovi tentati suicidi di adolescenti a settimana. Al Sant’Andrea di Roma su 250 visite agli adolescenti, effettuate in 10 mesi nel 2015, la metà ha riguardato l’ambito psichiatrico. Il numero maggiore di interventi terapeutici sono orientati su: anoressia e bulimia, abuso di alcool e droghe, dipendenza dal web, bullismo, cyberbullismo, autolesionismo. Tentato suicidio.

Ma c’è chi dalla fragilità è sopraffatto. E allora accade che l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) lanci l’allarme sul numero di adolescenti che nel 2020 potrebbe essere affetto da psicopatologie gravi: il 12 per cento. Intanto, anche dalle grandi città arrivano segnali

Chiusi in una stanza E poi ci sono gli hikikomori. A Milano, gli psicologi del centro per l’adolescenza il Minotauro, si stanno specializzando nella cura di quello che sta diventando un problema sociale da grandi numeri: 50,

forse 80 mila i ragazzi coinvolti. Una forma di disagio esistenziale, denominato ritiro sociale, che da dieci anni, circa, ha fatto la sua comparsa in Italia. In Giappone (qui nasce nella seconda metà degli anni Ottanta) è conosciuto, appunto, come sindrome hikikomori, ovvero: stare in disparte. Anche in Francia, Spagna, Corea e Stati Uniti il fenomeno hikikomori sta crescendo velocemente. «Per ritiro sociale – ci spiega Antonio Piotti, psicoterapeuta del Minotauro – si intende quel comportamento con il quale gli adolescenti, quasi tutti maschi, rifiutano ogni relazione sociale. I genitori che arrivano da noi hanno già visto il figlio chiudersi in camera da almeno sei mesi, i ragazzi non vogliono vedere nessuno, né coetanei né parenti. A volte anche i genitori sono rifiutati, li tollerano solo per nutrirsi. A un


MILANO

Francesca Gerosa

Adolescenti fragili e incapaci di futuro, L’Amico Charly regala una speranza

I genitori che decidono di chiedere aiuto agli psicoterapeuti hanno già visto il figlio chiudersi in camera da almeno sei mesi, i ragazzi non vogliono vedere nessuno, né coetanei né parenti

certo punto non si lavano neppure più. Tutti hanno smesso di andare a scuola. Dormono fino al pomeriggio e cominciano a chattare e a giocare sul web fino all’alba».

scheda L’Amico Charly è nato nel 2001 a Milano in seguito alla tragica scomparsa di Charly Colombo allora sedicenne. La Onlus si occupa di prevenzione del disagio giovanile attraverso progetti di intervento educativi, formativi, di assistenza e di sostegno a favore degli adolescenti, in collaborazione con le istituzioni, le scuole e le famiglie.

Tante le differenze con gli hikikomori giapponesi sia per quanto riguarda le cause della patologia, ma anche rispetto all’insorgere dei sintomi: in Giappone il ritiro comincia a manifestarsi a 18 anni e può andare avanti fino ai 40. Da noi inizia alla fine della terza media e può durare fino ai 18/20 anni.

Attraverso l’ausilio di un’équipe di psicologi ed esperti, L’Amico Charly interviene nella prevenzione e gestione delle situazioni a rischio fino alla presa in carico dei ragazzi che hanno compiuto un tentato suicidio. Gli interventi sono finalizzati a sostenere la crescita dei giovani durante la fase più complessa del loro percorso, l’adolescenza, attraversata a volte da crisi personali che possono anche sfociare in comportamenti autolesivi.

«All’inizio – racconta il dottor Piotti – pensavamo che gli hikikomori fossero fagocitati dalla rete, dal virtuale, ma questa non è la causa, è solo la conseguenza del loro ritiro. Poi abbiamo ipotizzato che la causa fosse il legame con le madri italiane: una dipendenza che può

Le azioni dell’associazione si collocano nell’ambito della prevenzione primaria (anticipazione di situazioni a rischio), secondaria (gestione di situazioni a rischio) e terziaria (cura dei ragazzi che hanno compiuto un tentato suicidio).

Viola ha un fidanzato di qualche anno più grande. Vuole uscire la sera per stare con lui ma i genitori non vogliono. Le dicono che ha solo 14 anni, non può andare e tornare come vuole. Lei ha una paura terribile: se li ascolta, non riuscirà mai a diventare grande. Un giorno il ragazzo tronca la relazione, a lei crolla il mondo addosso: quella era la sua unica strada verso l’emancipazione. In bagno, apre l’armadietto dei medicinali e inghiotte due pacchetti di pastiglie. Questa è solo una delle tante storie che arrivano al Crisis Center dell’associazione L’Amico Charly: ogni anno, tra Milano e provincia, sono circa cinquanta gli adolescenti che tentano di togliersi la vita. Alcune volte è solo un “tentato suicidio”, quando cioè il ragazzo ha nella testa l’intenzione di uccidersi ma usa mezzi incongrui per farlo (per esempio, mangiarsi una scatola di aspirine non porta alla morte, appendersi al cornicione senza lasciarsi andare, neanche), altre volte sono “suicidi mancati” (che solo per un miracolo finiscono bene), in tutti i casi sono gesti gravi, che parlano di un disagio profondo. Alessandra Granata è psicoterapeuta e coordinatrice del servizio, e ci lavora da 12 anni. «Ci occupiamo di tentati o mancati suicidi – racconta – però lavoriamo con la vita. Il fatto che questi ragazzi arrivino qui vuol dire che c’è una parte vitale di loro, ed è con essa che ci alleiamo. Il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti, subito dopo gli incidenti stradali. A dire il vero, anche sugli incidenti stradali bisognerebbe aprire una parentesi perché non si può essere certi che a volte non ci sia sotto una ideazione inconscia». Due i fenomeni che sono mutati negli ultimi anni. «Fino a qualche anno fa – spiega la dottoressa – l’età media di questi gesti era tra i 15 e i 16 anni. Adesso si concentra nella pre adolescenza, sui 12/13 anni, o più tardi, sui 18/19 anni, come se il cambiamento di scuola e la scelta universitaria facciano emergere delle situazioni di disagio». Le modalità sono diverse: le femmine tendono ad ingerire i farmaci (e a preservare il corpo), i maschi fanno gesti più esterni, come bere detersivi o gettarsi dal balcone. Le cause? «I pretesti sono tanti, magari una rottura sentimentale, una lite coi genitori, coi compagni, un brutto voto – spiega la coordinatrice – ma i veri motivi sono dentro e dipendono da come gli adolescenti vivono le cose. Magari sono stati trattati troppo bene in famiglia e non sono capaci di tollerare le frustrazioni, o al contrario vivono un grande dolore familare e vogliono fuggire dalla sofferenza, oppure i genitori hanno investito tutto nel rapporto col figlio e quindi in famiglia passa l’idea che una separazione sia il crollo del mondo, quando a un ragazzino capita di essere lasciato vive la cosa come una tragedia». Il punto è, stando all’esperienza de L’Amico Charly, che non necessariamente il disagio giovanile nasce da famiglie problematiche, economicamente povere, o separate. «È un fenomeno trasversale – continua Granata – dipende dai messaggi che passano nelle relazioni familiari, dove si forma la personalità, ma spesso i genitori si impegnano, sono presenti, e il ragazzo vive ugualmente un disagio». Anche sul numero di adolescenti presi in carico, che aumenta, non ci sono certezze: «Forse questo numero aumenta perché la società è più sensibile nel riconoscerlo, e anche perché tra i ragazzi c’è meno pregiudizio nel chiedere aiuto». Stefania Culurgioni marzo 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER esasperare l’ansia da separazione. Ma le madri degli hikikomori non erano particolarmente protettive. Infine, la vera causa, è di natura antropologica: il ritiro sociale adolescenziale è la conseguenza della società contemporanea di tipo narcisistica in cui c’è un bisogno ossessivo di esibire il corpo e, dunque, la necessità di un corpo adeguato. Se non si sentono pronti gli adolescenti cominciano a isolarsi. Perché c’è una distanza enorme fra come si percepiscono – brutti e goffi – e il loro ideale di sé, che mira, invece, alla perfezione. Cominciano col provare vergogna quando sono insieme agli altri. Sentono di essere inadeguati rispetto alle richieste della nostra società e ciò rende impossibile la costruzione del sé che, invece, consentirebbe il passaggio all’età adulta». Far crescere l’autostima Il 90% degli hikikomori è maschio. «Questo perché – prosegue il dottor Piotti – nelle ragazze il senso di inadeguatezza rispetto al proprio corpo si manifesta con i disturbi alimentari, l’anoressia o la bulimia sono patologie più femminili, il ritiro sociale, più maschile». Al Minotauro i terapisti puntano su diversi aspetti. I genitori e la rete sono i più importanti. Il web è una cartina di tornasole degli interessi del ragazzo, anche per capire i canali attraverso cui è possibile creare un contatto. «Ai ragazzi che ancora hanno un minimo di relazione con l’esterno – conclude Piotti – proponiamo laboratori dove esprimere la propria creatività e far crescere autostima: dal cinema, al teatro, ai video, alla rete. E poi lavoriamo moltissimo sui genitori: in modo che sappiano come gestire la reclusione senza scatenare l’aggressività del figlio e fornendo loro le modalità di comportamento per ricominciare a tessere una relazione con l’adolescente».

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Gli hikikomori sentono di essere inadeguati rispetto alle richieste della nostra società e ciò gli rende impossibile la costruzione del sé

Vittime della paura di farli crescere di Stefania Culurgioni

Oggi si fa sempre meno prevenzione ed aumentano i casi problematici tra gli adolescenti. Ma c’è chi non molla

Il cappellino schiacciato sulla fronte, gli occhi al pavimento, le braccia incrociate. C’è un muro invisibile che separa Federico da tutto quello che lo circonda. Si rintana nel suo silenzio. Anche perché le poche volte che ha provato a lasciarsi andare, si è trovato tra le mani una tale inaspettata rabbia che lui stesso si è spaventato e non è riuscito a contenerla. Infatti due settimane fa ha finito per litigare con un coetaneo per una sciocchezza, gli ha dato un pugno, gli ha spaccato il naso e si è preso una denuncia. Cosa succede agli adolescenti di oggi? Cosa succede a quelli “come Federico”? I numeri dicono che aumentano i ragazzi presi in carico dai servizi, ma i motivi quali sono? Filippo Petrogalli, psicoterapeuta, la-


2.800.000 70 per cento Il numero di adolescenti nel nostro paese (dati Istat)

Gli adolescenti “malati” di narcisismo. Lo dice un'indagine del Boston College.

Daniele Novara, lancia l’allarme: «I genitori non lasciano crescere i figli» Daniele Novara, pedagogista, nel 1989 ha fondato il Centro psicopedagogico per la pace (Cpp) e la gestione dei conflitti. Gestisce lo sportello di consulenza pedagogica per genitori al Cpp di Piacenza e di Milano. Ha scritto, fra gli altri, “Urlare non serve a nulla”, Bur Rizzoli. A lui abbiamo chiesto di raccontarci come sono i genitori italiani e come si relazionano con i figli adolescenti. «Oggi gli adolescenti sono in difficoltà, con frequenti situazioni di sofferenza esistenziale. Certo, sono instabili per natura ma il problema è che si relazionano con una generazione di genitori che giocano a fare gli adolescenti, e hanno atteggiamenti infantili. Non so quante volte ho ripetuto ai padri e alle madri che i loro figli non cercano un amico nel genitore, ma vogliono che siano adulti, che facciano gli educatori, mettano regole e confini». Le mamme sono le prime imputate: «Oggi a 40 anni la donna con una figlia di 15 si sente giovane come la figlia, ha atteggiamenti simili e si veste come lei. La figlia si trova la concorrente in casa. La transizione dall'età adolescenziale verso l'età adulta passa per un confronto-scontro con la figura di riferimento

L’INTERVISTA

principale che in questo caso è assente». E poi ci sono i padri: «Se nell'infanzia sono stati poco presenti, nell'adolescenza scompaiono del tutto. O marginali. Le donne si assumono il compito di proteggere il figlio o la figlia in eterno. Ma il padre in adolescenza è indispensabile perché, se la donna rappresenta l'accudimento infantile, la protezione, il controllo, il padre deve esprimere il “codice paterno”, ovvero le istanze di autonomia, esplorazione, avventura, in una parola allontanamento. Il papà è più predisposto a gestire l'allontanamento di un figlio senza un peso emotivo eccessivo». Novara racconta di adolescenti iperprotetti, iper coccolati e poco autonomi. «Parlo di ragazzini che la mamma bacia in bocca e li chiama solo amore e tesoro. Li infantilizzano al punto che a 13 anni dormono con i genitori nel lettone. E quando si separano padre e madre li mettono a dormire con loro. Tutti gli strumenti di autonomia gli sono negati per non consentirgli di crescere. È gravissimo e pericoloso sotto il profilo psicologico. L'amore genitoriale deve consentire ai figli di staccarsi, di andarsene, è questo che in Italia ancora non si riesce a capire». (Dp)

IL PROGETTO

vora a contatto con loro da 15 anni per Farsi Prossimo. Tiene incontri protetti tra genitori e figli, entra nelle scuole con uno sportello di counselling, lavora anche tra quelli “difficili” del Beccaria. Non si fa più prevenzione «Una volta nella sola Milano c’erano 19 centri di aggregazione giovanili – racconta. Oggi per via dei tagli finanziari ne sono stati chiusi tanti, insieme ai progetti di educativa di stada. Si tende a sovvenzionare solo quello che è urgente mentre i Cag sono, per così dire, servizi a bassa soglia. Ecco però uno dei risultati: se fai meno prevenzione poi aumentano i casi problematici. Ti ritrovi con più ragazzini che hanno sviluppato una forma di disagio». Ma il discorso è ben più complesso. Prendiamo il caso di Federico, che arriva da un quartiere peri-

ferico, da due genitori separati, con un papà che ha avuto in passato problemi di dipendenza. «La mamma ha paura di farlo crescere – continua Petrogalli – È talmente spaventata che commetta qualche sciocchezza, che lo tiene agganciato a sé più che può. Lui ha 15 anni, vuole uscire, vuole diventare grande, lei lo contrasta e il particolare che dice tutto è che Federico dorme nel lettone con sua madre. Un comportamento cercato dal ragazzo, assecondato dal genitore». Ma vischioso, pericolosamente vischioso. Questo dettaglio dice moltissimo sull’errore di molti genitori: «È come se i genitori non fossero capaci di dire di no – continua Petrogalli – è come se non sopportassero di dover compiere alcuni sforzi. Tralasciando il caso di Federico, la cui mamma fatica ad assecondare le spinte evolutive del fi-

È come se i genitori non fossero capaci di dire di no, come se non sopportassero la fatica di avere a che fare con un figlio oppositivo. Per questo dicono sempre sì

glio, alcuni non tollerano la fatica di avere a che fare con un figlio oppositivo e allora dicono sempre di sì. L’adolescenza è un momento difficile per tutti: un figlio ti sputa in faccia tutto quello che odia di te, tu rappresenti tutto quello che lui non vuole essere. Lui lo sta facendo perché gli serve per definire se stesso, ma se tu sei un genitore che non ha fatto i conti con la propria adolescenza, allora sei fragile e cedi». Secondo Petrogalli, insomma, se il disagio dei ragazzi aumenta è perché vengono meno gli argini, quelli che sa dare un genitore. Ma anche perché il mondo fuori non è incoraggiate: «Alle superiori mi capita di parlare con studenti brillanti – racconta – che però sono del tutto privi di speranza. Sanno che, pur se studieranno, sarà difficile trovare un lavoro. Se succede a loro, figuriamoci con i ragazzini disagiati». marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Pecorelle, i tosaerba con le zampe di Alberto Rizzardi

Utilizzare le pecore per offrire a imprese e privati un servizio di sfalcio erba per la cura e la riqualificazione di prati, frutteti e aree verdi. Questa la sfida lanciata da Silvia Canevara a Lodi che offre costi in linea con il taglio tradizionale ma senza rumore e inquinamento 46 Scarp de’ tenis marzo 2016

In Francia si chiama eco-pâturage ed è un settore che sta prendendo sempre più piede, con un fatturato in aumento e un numero crescente di aziende attive (EcoTerra, Dervenn o Vertdéco tra le principali) sia nei piccoli centri che in quelli più grandi, come Parigi. In buona sostanza, si usano animali per tenere puliti e riqualificare aree verdi: pecore, soprattutto, ma anche capre, asini e mucche. Il cliente chiama l’azienda, questa gli affitta per qualche mese il quantitativo di animali necessari per quella determinata porzione di terreno e il gioco è fatto: risultati garantiti e guadagno per tutti, sia dal punto di vista ambientale che economico. Una pratica ancora diffusa maggiormente tra aziende e soggetti privati, ma alla quale guardano con sempre maggior interesse anche le istituzioni. In Italia siamo ancora ai piccoli esperimenti: nel 2005 ci provò l’allora presidente della Provincia di Treviso Luca Zaia, oggi governa-


LA STORIA

A sinistra Silvia Canevara insieme ad alcune pecore del suo gregge Pecorelle sta ottendo sempre più successo

Quando sei pastore, vita e lavoro finiscono per coincidere. È un po’come se la famiglia si fosse allargata. Le pecore non sono strumenti di lavoro, ma compagne di viaggio. Per ora sono venti, ma il gregge è destinato ad aumentare: abbiamo 6-7 gravidanze in corso

tore del Veneto, ma la cosa finì nel nulla dopo poco. Alla Whirlpool di Varese nel 2011 vennero affittate un migliaio di pecore da un pastore di Malgesso che in pochi giorni fecero dei cinque ettari di un campo incolto un prato inglese. In effetti, la pratica, ancora in uso nelle valli della Bergamasca, nacque proprio così: come una naturale consuetudine tra vicini di casa, anzi di cascina. Emissioni zero A Lodi ha preso il via da poco un progetto che si ispira al modello francese ed è il primo tentativo di strutturarlo seriamente a livello d’impresa: Pecorelle (www.pecorelle.it), un servizio di sfalcio erba per la cura e la riqualificazione di prati, frutteti e aree verdi. A idearlo – suonerà strano – una giornalista, Silvia Canevara, che ha deciso di mettere da parte la sua professione per sporcarsi le mani, nel vero significato del termine. «Era un’idea che coltivavo da tempo e che nasce proprio dal desiderio di lavorare con le mani e non solo con le parole, di avere un contatto con le cose più vere del mondo, rivendicando anche ritmi di lavoro più lenti, meno frenetici e superficiali rispetto a quelli che ormai il giornalismo impone. Nel 2013 partecipai per il giornale a una fiera agricola a Codogno, conobbi più da vicino questo mondo e da lì è partito tutto». Silvia e il suo compagno, Emanuele, di professione tree climber, hanno acquistato un piccolo gregge di 20 pecore nane d’Ouessant, la più

piccola razza ovina al mondo: «Sono perfette perché richiedono poca “manutenzione”, visto che non si mungono, ed essendo piccole e relativamente leggere riducono i danni da calpestamento. Sono, poi, molto socievoli e hanno una vita molto lunga». In attesa che parta la stagione lavorativa – e manca ormai poco – vivono e brucano in uno spazio dell’azienda agricola l’Erbolario di Lodi, visto che Silvia ed Emanuele continuano a vivere in città: «Il sogno in futuro è poter avere uno spazio, come una cascina, dove stare tutti assieme». Anche perché, quando sei pastore, vita e lavoro finiscono per coincidere: «È un po’come se la famiglia si fosse allargata – ammette Silvia –. Le pecore non sono strumenti di lavoro, ma compagne di viaggio. Per ora sono venti, ma il gregge è destinato ad aumentare: abbiamo 6-7 gravidanze in corso». Servizio tutto compreso Ma come funziona il servizio Pecorelle? Si parte con un sopralluogo gratuito per rilevare le caratteristiche del terreno (estensione, composizione del pascolo ed eventuale presenza di alberi o colture che necessitano di protezioni), in base alle quali si stabilisce il numero di capi che andranno a costituire il gregge. Qualche dato: il gregge minimo (4 pecore) è sufficiente per gestire

una superficie di tremila metri quadri.

Non esistono tariffe fisse, ma indicativamente per la cura di un ettaro di terreno in pendenza con boschetto affidato a 4 pecore per 9 mesi si pagano circa duemila euro,

comprensivi di noleggio materiale per l’insediamento del gregge (recinzioni, ricoveri e abbeveratoi), trasporto, mantenimento delle pecore con monitoraggio settimanali, tosa e trattamenti sanitari, gestione delle pratiche amministrative e sanitarie, pronto intervento 24 ore su 24. Al proprietario dell’area verde tocca rispettare il benessere degli animali. L’idea in futuro è quella di proporre Pecorelle non solo a privati e aziende ma anche al settore pubblico, visto che le amministrazioni locali spesso rinunciano alla cura del verde per le risorse sempre più risicate. E in strutture come scuole, ospedali e carceri: «L’arrivo del gregge e i tanti momenti speciali che scandiscono i mesi di permanenza (le nascite primaverili o la tosa) – conclude Silvia – sono un ottimo spunto per organizzare iniziative di educazione ambientale e aggregazione sociale. Ma c’è anche un’utilità terapeutica in centri sanitari, case di riposo, penitenziari e comunità per minori». L’avreste mai detto che tagliare l’erba potesse essere così bello?

LA SCHEDA

Costi simili allo sfalcio tradizionale ma con grandi benefici ambientali Pecorelle, oltre ad avere costi in linea con il servizio di sfalcio tradizionale (ma con un risparmio fino al 30% sulle spese di manutenzione), garantisce benefici sul fronte ambientale. Di macchinari, infatti, qui non se vedono: quindi meno rumore e meno emissioni. Il pascolamento prolungato e a bassa intensità è in grado, inoltre, di migliorare la qualità del prato. C’è anche un valore sociale: in Francia questa modalità viene scelta dalle aziende per dimostrare un’attenzione all’ambiente, al luogo di lavoro e ai dipendenti. Si offre una possibilità di contatto con gli animali influendo positivamente sulla qualità della vita e sul benessere delle persone. www.pecorelle.it marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Alma Mater, le donne per le donne di Enrico Panero e Sabrina Guarrera

Il tentativo è quello di ribaltare lo stereotipo del migrante. Non visto solo come persona portatrice di bisogni ma evidenziandone le capacità, i talenti individuali, utilizzandoli in progetti di partecipazione e di cooperazione 48 Scarp de’ tenis marzo 2016

Alma Mater è una casa, uno spazio per tutte le donne, indipendentemente dalle origini e provenienza, dove da oltre 20 anni si intrecciano progetti e desideri di tante donne che continuano a progettare assumendo e condividendo le responsabilità, sulla base dell’auto-mutuo-aiuto. Siamo nella zona nord-occidentale di Torino, tra i quartieri popolari e multietnici Regio Parco e Barriera di Milano, nei locali ottocenteschi di una ex scuola femminile che si chiamava appunto Alma Mater. Qui dal 1993 è attivo un Centro interculturale, tra i primi sorti a livello nazionale, nato dall’incontro tra un gruppo della Casa delle donne di Torino e alcune straniere immigrate. Il Centro è gestito dall’associazione Almaterra costituita ad hoc nel 1994 e, come spiegano alcune responsabili del Centro «si configura come un luogo di intermediazione tra le donne e la città, delle donne tra di loro e come laboratorio interculturale». E in effetti la definizione di “laboratorio” ben rappresenta que-


TORINO

A sinistra un momento di festa al centro Alma Mater. Nella foto qui sopra una delle classi che seguono i corsi di italiano

Fin dall’inizio abbiamo stabilito di non “lavorare per” ma “lavorare con”, rifiutando l’ottica assistenziale e adottando un approccio discreto: rispettando cioè i tempi e le modalità di ogni donna nel rapportarsi con le attività e le iniziative del Centro, cercando di valorizzare le differenze

sta realtà sociale torinese, dove il rapporto tra pari (peer to peer) e l’interazione tra culture si sperimentano da tanti anni, il tutto sulla base di un approccio di ricerca di autonomia per permettere alle donne di poter fare scelte libere e consapevoli nella loro vita quotidiana. «Fin dall’inizio – spiega Laura Mazzoli, membro storico dell’associazione – abbiamo stabilito di non “lavorare per” ma “lavorare con”, rifiutando l’ottica assistenziale e adottando un approccio discreto: rispettando cioè sempre i tempi e le modalità di ogni donna nel rapportarsi con le attività e le iniziative del Centro, cercando di valorizzare le differenze culturali. Così, da oltre 20 anni sperimentiamo attività molto utili per le donne che derivano, appunto, dal confronto e dallo scambio di esperienze e culture diverse». Donne migranti, una risorsa L’idea che ha sempre guidato Almaterra è stata quella di ribaltare lo stereotipo del migrante come persona bisognosa, evidenziandone invece le risorse, le capacità, i talenti individuali e di utilizzare queste competenze in progetti di partecipazione e di cooperazione anche nel campo economico, in particolare in progetti di autodeterminazione. Nacque così, nel 1993, la prima esperienza in Italia di mediazione interculturale, con diverse donne formate nel centro Alma Mater e inserite in alcuni servizi socio-sanitari cittadini, introducendo anche nel nostro Paese una nuova figura professionale legata alle migrazioni.

«Figure di “interfaccia, ponte di allacciamento”, sostanzialmente figure di comunicazione tra le migranti e i servizi – sottolinea Sara Hanna, attuale presidente dell’associazione –. Le mediatrici culturali sono diventate un’anima del progetto Alma Mater, un momento forte di una prospettiva di interazione gestita dalle stesse donne straniere attraverso una loro nuova auto professionalizzazione».

In seguito l’associazione ha avviato progetti volti all’integrazione professionale delle donne straniere, con inserimenti significativi, ad esempio nelle banche, in centri informatici oppure in grandi catene commerciali. Attraverso la promozione di iniziative produttrici di reddito e per sostenere l’immigrazione

femminile nei suoi bisogni di salute e di relazione nacque al Centro anche il primo bagno turco in Italia, l’Hammam. Seguendo tutti i cambiamenti dell’immigrazione in Italia, Almaterra ha continuamente aggiornato e differenziato le sue attività, spesso anticipando i tempi e intervenendo sui fenomeni. Si sono così susseguiti progetti con ragazzi di seconda generazione, poi con le vittime di tratta e più recentemente con le rifugiate. «Neanche nei nostri sogni più folli è il titolo di una nostra pubblicazione di qualche anno fa che ben rappresenta la volontà di contrastare gli stereotipi cercando di costruire condizioni di pari opportunità – conclude Laura Mazzoli –. Perché per attivare percorsi di autonomia sono importanti il reddito, la casa, il lavoro, ma servono soprattutto strumenti per sapersi gestire». Per questo i sogni di Almaterra continuano a tradursi in realtà. www.almaterratorino.org

LA SCHEDA

Le attività e i numeri: tutte le cifre di Almaterra Le attività realizzate dall’associazione Almaterra sono molteplici, per un terzo si basano sul volontariato. Viste le crescenti difficoltà economiche negli ultimi anni, un numero crescente di donne italiane (sempre in minoranza rispetto a quelle straniere) hanno richiesto supporto e orientamento. Ad oggi i servizi offerti consistono in: accoglienza quotidiana, orientamento e accompagnamento al lavoro, consulenza giuridica, sostegno psicologico, corsi di alfabetizzazione, educazione alla cittadinanza, laboratori di manualità, microcredito, accoglienza per donne in disagio abitativo e iniziative interculturali di vario genere. Alcuni numeri relativi alle attività svolte nel 2014 7.000 passaggi di donne in Associazione 3.000 pasti erogati a donne che hanno preso parte alle attività 1.000 le donne accolte nei servizi al lavoro 162 quelle coinvolte in formazione al lavoro 405 indirizzate in percorsi collettivi di orientamento al lavoro 130 le donne che hanno frequentato i laboratori di italiano

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Transizione: sviluppare la resilienza di Cristina Salviati

Avviati anche nel vicentino i primi progetti che mirano a creare delle comunità libere dalla dipendenza dal petrolio attraverso una nuova pianificazione energetica e l’avvio della produzione di cibo, di beni e di servizi di base 50 Scarp de’ tenis marzo 2016

Giulio Pesenti è uno dei sei transition trainer italiani. Giovane, laureato in economia, vive e lavora a Santorso dove da circa un quinquennio il movimento della Transizione ha preso piede innescando significative azioni di cambiamento che coinvolgono l’intero paese. Santorso è un comune della provincia di Vicenza, ai piedi della pedemontana, e molto vicino a Schio con cui condivide la nomea di cittadina sempre all’avanguardia. Per chi abita nel Vicentino, infatti, questi comuni sono sinonimo di senso civico, di rete sociale e di impegno civile, è qui che, tanto per fare un esempio, sono nate alcune delle prime cooperative italiane. Non è un caso quindi che il movimento della transizione abbia attecchito proprio in questi luoghi, anche se: «Non è stato facile – racconta Giulio Pesenti – raccontare


VICENZA la Transizione. Le persone sono piene di preconcetti e riducono il movimento a singole azioni, come fare un orto sinergico o scegliere la bici elettrica al posto dell’auto. E poi la gente è scoraggiata, e ti chiede che senso abbia impegnarsi in una battaglia già persa visto l’esaurirsi delle fonti energetiche fossili o il cambiamento climatico. Transizione invece è tutt’altra cosa».

Un momento Open Space del movimento della Transizione in cui ci si incontra per discutere e promuovere nuove idee e progetti

La transizione è una diversa modalità di approccio alle problematiche, un esperimento sociale che parte dal basso, cominciando a ragionare e a progettare. Tutti devono poter partecipare ed essere messi in condizione di esprimere idee

Abbattere le resistenze Abbattere queste resistenze è la vera sfida di chi, come Giulio, si propone di far conoscere questo nuovo modo di approcciare le problematiche non solo ambientali, ma anche sociali e culturali. Quando però si parla alle persone della crisi petrolifera, emerge la preoccupazione per il futuro e le persone si fanno più disponibili al dialogo. «Ecco allora che possiamo introdurre il concetto di resilienza – continua Giulio Pesenti – ossia la capacità di un certo sistema di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno, senza degenerare. La società industrializzata ha un bassissimo grado di resilienza e ci costringe a vivere in balia di organizzazioni su cui non esercitiamo nessun controllo. I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali)».

«Più che un “Fare” – dice Pesenti – la Transizione è un “Come”, una modalità di approccio alle problematiche, un esperimento sociale che parte da una comunità e basata sul ragionamento e la progettazione. Nella nostra società complessa e globalizzata non ci sono soluzioni uniche e buone per tutti. Ma processi che si attivano in determinati luoghi e che ne generano altri dando l’avvio a sequenze di buone prassi». Open space sono i luoghi dove il

movimento viene presentato a chi non ne sa nulla, dove ci si incontra per discutere e promuovere nuove idee o progetti ed è in queste occasioni che l’esperto, il facilitatore, interviene per aiutare l’assemblea a discutere. «È importante valorizzare le potenzialità di tutti. La transizione insegna a mantenere un atteggiamento positivo verso i problemi da affrontare ma anche verso le persone. Tutti devono poter partecipare ed essere messi in condizione di esprimere idee, pareri e anche emozioni». Grazie a questo sistema coinvolgente sono in molti che cominciano a darsi da fare, e così a Santorso sono nati gruppi di acquisto, orti di agricoltura biointensiva, gli incontri della luna nuova, un centro di conservazione della biodiversità. L’ultimo risale a fine febbraio quando è stato creata una food forest, un bosco di alberi da frutto. Anche Vicenza si muove Seguendo queste buone pratiche anche Vicenza si sta cominciando a muovere. Lo scorso maggio è nato un gruppo di transizione che sta lavorando per costruire una base di nozioni comuni, per capire come lavora il movimento e quali esperienze si possano proporre nella cittadina veneta.

«Abbiamo organizzato

una serie di incontri con la cittadinanza – raccontano i tre attivisti Maurizio Segna, Carla Spessato e Alessandro Ceola – dedicati ai cambiamenti climatici, alla resilienza urbana e ai metodi partecipativi». Vicenza è una città molto attiva sul piano ambientale, ci sono molti gruppi che lavorano, si informano e protestano, ma è anche una delle città italiane più inquinate o dove il limiti del PM10 vengono spesso superati. «Abbiamo sempre un buon seguito, 80-100 persone ad ogni incontro. È bello potersi scambiare informazioni, ma a noi sta a cuore il movimento della transizione, perché è innovativo e genera cambiamenti a 360 gradi. Non si perde in chiacchiere o in polemiche, ed è molto concreto». Il neonato gruppo si è diviso in due per poter approfondire le idee del fondatore Rob Hopkins, si sta facendo un censimento di tutte le capacità e le competenze dei partecipanti. Il prossimo passo sarà l’organizzazione di un open space, un’occasione per incontrarsi, discutere, farsi conoscere, seguendo le modalità della transizione. Facebook Vicenza in transizione Santorso in transizione

LA SCHEDA

Nato da un’esercitazione scolastica, è diventato oggi uno stile di vita Transition è un movimento nato in Inghilterra dall'intuizione di Rob Hopkins. «Nel 2003 insegnava a Kinsale (Irlanda) e con i suoi studenti creò il Kinsale Energy Descent Plan, un progetto strategico che indicava come la piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo in cui il petrolio non fosse stato più economico e largamente disponibile. Voleva essere un’esercitazione scolastica, ma quasi subito tutti si resero conto del potenziale rivoluzionario di quell’iniziativa. Quello era il seme della Transizione, il progetto consapevole del passaggio dallo scenario attuale a quello del prossimo futuro. www.transitionitalia.it marzo 2016 Scarp de’ tenis

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GENOVA

Povertà: la crisi continua a colpire duro di Lucia Foglino responsabile Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Genova

Sempre più donne, in massima parte italiane e con figli a carico. Questo è l’identikit delle persone che si rivolgono ai centri di ascolto delle Caritas di Genova secondo il “Dossier sulle povertà” 2015. Lo scorso anno le richieste di aiuto sono state 8.611 52 Scarp de’ tenis marzo 2016

Ottomilaseicentoundici. Tante sono state le persone che nel 2015 si sono rivolte ai centri di ascolto vicariali in un anno. È questo il dato principale contenuto nel “Dossier sulle povertà” che viene diffuso a marzo dalla Caritas Diocesana di Genova, uno strumento prezioso per studiare il disagio nel capoluogo ligure. La rete dei centri di ascolto, infatti, è capillare e indicativa: se ne contano 38 in tutta la Diocesi e vi operano circa 500 volontari di cui due terzi si dedicano all’ascolto delle persone mentre gli altri sostengono il lavoro di segreteria e contabilità, i rapporti con le istituzioni e le parrocchie. A tutti i volontari si chiede competenza e aggiornamento, garantiti da corsi di formazione e da incontri di coordinamento e confronto. Fondamentale è il lavoro di rete: con le istituzioni del territorio, con le altre realtà di solidarietà sociale, con le associazioni. In realtà, rispetto al 2014, l’incre-


Sono state 8.611 le persone in stato di necessità che lo scorso anno si sono rivolte ai centri di ascolto vicariali di Genova in cerca di aiuto

Quasi la metà delle persone viene sostenuta attraverso l’orientamento, l’attivazione della rete di aiuto, la consulenza, il semplice ascolto. Nei casi in cui si è intervenuti anche con un esborso economico, il 66% delle risorse è stato destinato al sostegno per le spese abitative: una voce che in 20 anni è raddoppiata

mento della povertà rilevata è il più basso di sempre (lo 0,8%) ma in questi anni l’aumento delle presenze è stato comunque costante con due impennate significative, nel 2010 e nel 2013. La crisi economica, con un ritardo di due anni circa rispetto al resto della nazione, ha colpito pesantemente anche la nostra città: licenziamenti, ritardi nel pagamento degli stipendi o pagamenti parziali, conclusione del periodo di mobilità senza il reperimento di un nuovo lavoro, azzeramento dei risparmi hanno mandato in crisi profonda famiglie che hanno cercato di resistere come hanno potuto, ma che si sono trovate gradatamente e inesorabilmente senza più alcuna risorsa economica. Chi chiede aiuto? Chi si rivolge ai Centri di Ascolto? Per due terzi sono donne; per l’80% in età compresa tra i 25 e i 65 anni e italiane per il 54%. L’83% ha figli ma solo nel 3% dei casi sono figli maggiorenni e autonomi. Quasi la metà delle persone viene sostenuta dai centri di ascolto senza un contributo economico ma attraverso l’orientamento, l’attivazione della rete di aiuto, la consulenza, il semplice ascolto. Il compianto don Piero Tubino, che tenne a battesimo i centri di ascolto genovesi, ricordava infatti che il centro di ascolto deve superare il puro assistenzialismo e offrire prima accoglienza, solidarietà e condivisione e poi, in pratica, risposte concrete ai diversi tipi di bisogno.

Nei casi in cui si è intervenuti anche con un esborso economico, il 66% delle risorse è stato destinato al sostegno per le spese dell’abitare: voce percentuale che è raddoppiata in 20 anni.

Affitto e utenze costituiscono

oggi il problema più grave che le famiglie devono affrontare, fonte di gravi ansie, di morosità, di sfratti con un pericoloso effetto domino sulla salute stessa delle persone. Oltre la metà degli ospiti dei centri d’ascolto è disoccupata ma esiste un significativo 14% di persone che, pur lavorando, non ha un reddito sufficiente per far fronte alle spese per le utenze e l’affitto, che talvolta superano il 50% delle entrate. È aumentato il numero delle coabitazioni coi genitori anziani la cui pensione, spesso, è l’unica entrata economica certa su cui contano anche i figli, adulti e disoccupati, spesso con famiglia. Il problema del caro-alloggio investe la stragrande maggioranza delle persone ma nel 10% circa dei casi si sono riscontrati problemi gravi e urgentissimi: sfratto esecutivo imminente già avvenuto, forte precarietà e inadeguatezza abitativa. Perdere la casa significa

non avere più il luogo dove custodire la propria intimità, far crescere e studiare i figli, oltre che ripararsi: di sfratto non si muore, ma ci si ammala. Analogamente la inoccupazione prolungata ha conseguenze disastrose: oltre alla mancanza di reddito ci si trova a fare i conti con la propria frustrazione, col sentirsi inadeguati, col dover negare ai propri figli la gita scolastica, lo sport, la pizza coi compagni. Pericolo “scivolone” Nel 12% circa delle famiglie si sono ascoltati problemi familiari, dalla difficoltà dell’inserimento al nido all’abbandono familiare. Nello 0,1% dei casi c’è un’accertata violenza familiare. Ci sono poi dipendenze lievi, sottili, ma comunque disastrose che possono tendere i propri agguati: la “pastiglia per dormire”, un bicchiere in più ogni tanto, la slot nella tabaccheria sotto casa. Lo scivolamento in caso di disagio estremo può essere determinato da un evento scioccante nella propria vita o da tanti piccoli eventi frustranti che rendono la persona non più in grado di valorizzare e sfruttare le proprie capacità e potenzialità.

LA STORIA

Qualche volta finisce anche bene: oggi Luciana lavora ed ha una casa Luciana è una giovane madre separata. Non lavora, ha un figlio di 6 anni e torna a vivere coi genitori. A causa della crisi, anche il padre perde il lavoro e in poco tempo si ritrovano con lo sfratto per morosità. Viene offerta a Luciana la possibilità di frequentare un corso con un tirocinio presso un ristorante. Parallelamente si prendono contatti col datore di lavoro del padre per capire la reale situazione dell’azienda. Luciana frequenta con impegno, alla fine del tirocinio sono contenti di lei e le viene proposto un contratto per tre mesi, poi rinnovato per altri tre e poi per un anno. Si prende anche contatto col padrone di casa che, se si sana la morosità, è disposto a ritirare lo sfratto. A due anni di distanza, tra mille tribolazioni, la situazione è tornata alla quotidiana serenità: Luciana lavora, il padre è stato ripreso dalla stessa azienda. Il Centro d’ascolto è stato accanto a Luciana lavorando in rete con l’assistente sociale, con l’agenzia per l’impiego, con la Fondazione S. Maria del Soccorso e con l’ente di formazione. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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VENEZIA

Un momento del funerale di Livio Bua, morto per freddo, celebrati al cimitero di San Michele

Senza dimora, il comune taglia i servizi notturni di Michele Trabucco

Ogni anno il freddo colpisce le persone più deboli e indifese. Ogni anno si registrano decessi di chi si trova a vivere in strada, e accade sia nelle città del nord, dove si registrano temperature più rigide, ma anche in città, come Roma, dove solitamente le temperature non sono così basse. Non è solo questione di temperatura. Sono le gravi condizioni di vita che abbassano notevolmente le difese immunitarie e amplificano i fattori di rischio di malattia e di morte. È un problema serio, non sempre affrontato dalle amministrazioni pubbliche in modo adeguato. È successo così che a Venezia , la mattina del 10 gennaio 2016 alcuni passanti hanno visto semi-nascosto dalle foglie il corpo immobile di un senza dimora. Subito è scattato l’al-

Lo scorso 10 gennaio alcuni passanti hanno visto semi-nascosto dalle foglie il corpo immobile di un senza dimora

larme alle forze dell’ordine e tra gli operatori Caritas, tra le cooperative e i servizi sociali per capire chi lo conosceva, chi lo aveva incontrato. Si è scoperto che era Livio, senza

tetto e solo. Aveva cercato riparo vicino a una panchina ai Giardini del sestiere di Castello, nel centro storico di Venezia, vicino alla mensa Caritas. Non è riuscito a superare la notte rigida. Solo e senza amici. I funerali invece sono stati celebrati da tre preti e il comune di Venezia si è offerto di pagare il servizio. Due piccoli ma significativi segni di un’attenzione a favore di chi non aveva niente e nessuno. Livio Bua, era un 53enne di nazionalità argentina senza fissa dimora, conosciuto dai residenti e seguito in passato dagli operatori dei servizi sociali: dormiva spesso all’addiaccio, riparato da cespugli e cartoni, motivo per cui è possibile che tra le cause del decesso vi siano le rigide temperature della notte. Livio è stato accolto nella chiesa del cimitero di San Michele da monsignor Ettore Fornezza, don Nandino Capovilla e don Alfredo Basso. La concelebrazione è stata presieduta da don Nandino Capovilla, parroco della Santissima Risurrezione alla Cita, realtà molto attenta ai poveri, agli ultimi e per questo da Livio frequentata soprattutto nei momenti dei pasti offerti dalla comunità, con la partecipazione di molti amici poveri e senzatetto.

IL CASO

Servizio “Senza dimora”: rischio chiusura Il Comune di Venezia intende ristrutturare i servizi ai senza dimora. I tagli ai servizi sociali colpiranno le cooperative che in dieci anni hanno contribuito a creare il servizio “Senza dimora”, attività d’eccellenza del comune, che dovrebbe cessare il servizio il 10 marzo. Si tratta delle cooperative Gea e Caracol, quest’ultima formata da operatori che ogni notte operano a Venezia e a Mestre per portare beni di prima necessità a chi non ha una casa. «È da dieci anni che facciamo questo servizio – spiega Vittoria Scarpa di Caracol, associazione che dà ospitalità ogni notte al Rivolta a 34 persone – ma l’amministrazione non ci ha ancora detto nulla». In un anno l’associazione ha contattato 600 senza dimora, ogni notte ne incontra in media una sessantina, ma solo la metà hanno un posto dove dormire. «Qualcuno non vuole farsi aiutare – conclude Vittoria Scarpa – ma tanti invece chiedono un posto e siamo costretti a fare una selezione perché non ci sono tanti posti letti quante le persone che sono in strada. Vogliamo sapere che fine farà questo servizio. E poi, chi si prenderà cura di queste persone?». marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Villa Erbé, nuova vita ai beni confiscati di Elisa Rossignoli

A Erbé, una villa oggi ospita in parte una comunità alloggio per persone con disabilità, mentre le due strutture adiacenti che all’epoca della confisca erano dei ruderi, sono state affidate al gruppo scout Tartaro Tione che li hanno trasformati nella “Base Airone” 56 Scarp de’ tenis marzo 2016

La sede degli scout di Erbé, piccolo paese tra le campagne in provincia di Verona, sorge in un luogo assai particolare: una tenuta che fino a pochi anni fa apparteneva ad uno spacciatore colluso con la ‘Ndrangheta. Si tratta di un luogo bellissimo: 25 mila metri quadrati di terreno con un parco, una villa, un maneggio, addirittura un ristorante. Tutto questo oggi, dopo la confisca, è stato restituito alla comunità. La villa, infatti, oggi ospita in parte una comunità alloggio per persone con disabilità della cooperativa “La Risorgiva”. Le due strutture adiacenti, che all’epoca della confisca erano ormai soltanto ruderi, sono state invece affidate al gruppo scout Tartaro Tione, che, con impegno in-


VERONA

Alcuni momenti dei campi estivi che Libera organizza a Villa Erbé, uno dei primi beni confiscati alla mafia in terra veneta

La villa di Erbé è una degli 88 edifici confiscati alla criminalità organizzata in Veneto di cui 25 sono localizzati tra Verona e provincia. Grazie alla legge 109 questi siti non vengono solo confiscati ma esiste, invece, l’obbligo della riqualificazione

stancabile e l’aiuto di Fondazione San Zeno e Banca Etica, li hanno trasformati nella “Base Airone”, inaugurata nel 2011: si tratta della prima sede scout creata in un bene confiscato alla mafia della regione Veneto. Libera, l’organizzazione fondata da don Ciotti che dal 1995 raccoglie molteplici associazioni con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia, ha accompagnato e tuttora accompagna questa importante avventura sul territorio veronese. Sono 88 gli edifici confiscati «La villa di Erbé è una degli 88 edifici confiscati alla criminalità organizzata in Veneto di cui 25 sono localizzati tra Verona e provincia – racconta Francesca Turra, referente della sezione veronese di Libera –. Grazie alla legge 109 questi siti non vengono genericamente confiscati e affidati al comune di pertinenza ma esiste, invece, l’obbligo della riqualificazione». Non soltanto perché cadono in rovina, come purtroppo accade a molti luoghi storici e culturali nel nostro Paese (e stava accadendo anche a due strutture del complesso di Erbé), ma so-

prattutto per restituire loro la dignità della legalità e l’appartenenza condivisa con la società civile. Affinché tutti ne possano usufruirne. «Il centro, grazie al-

l’impegno congiunto di molti – conclude Francesca –, è cresciuto ed è diventato davvero nostro, cioè di tutti, come è giusto che sia. Ed è abitato, è vivo».

L’INIZIATIVA

Campi della legalità a villa Erbé grazie ai volontari della casa Dal 2011 ogni estate la villa di Erbé ospita “i campi della legalità”, le settimane di vita comune organizzate da Libera, Spi Cgil e il gruppo dei volontari della casa. «Sono loro i protagonisti, perché Libera, per sua natura e per statuto, non è un'associazione, ma un'associazione di associazioni – spiega Francesca Turra di Libera –. E la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, perché più persone, gruppi e associazioni si coinvolgano, è fondamentale. La nostra forza è proprio essere in rete». Ai campi partecipano giovani provenienti da tutta Italia. «Sono settimane di lavoro e formazione. Lavoro, perché la tenuta, soprattutto il parco, richiede manutenzione, ed è bello che siano i giovani a prendersene cura a nome di tutta la società. E formazione, certo, perché la cultura della legalità significa non solo giustizia, ma anche stili di vita sostenibili, condivisione, informazione su temi sociali importanti e attuali come le migrazioni, i Beni Comuni, tutto ciò che possa contribuire a costruire una società centrata davvero sulla persona e la sua dignità». Ovviamente, sono anche settimane di vita condivisa, allegria, relazione. E soprattutto non si chiudono quasi mai con la fine del campo. Ciascuno ritorna a casa “per ripartire”, per continuare nell'impegno intrapreso e conosciuto, sperimentato più da vicino durante l'esperienza del campo. Sarà per questo, forse, che la villa di Erbé ed il suo parco ora sembrano assai più belli e vivi di prima? marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Progetti inclusivi per chi possiede abilità diverse di Angela De Rubeis

Tante le iniziative a Rimini: Segundo, disabile fisico, è responsabile di un progetto; Veronica e Alex, entrambi con sindrome di down, lavorano per Geox grazie al progetto Valemur. Il Bagno 27 ha invece aderito a un’iniziativa pilota per l’inserimento di ragazzi autistici 58 Scarp de’ tenis marzo 2016

Secondo la Corte di Giustizia Europea, che più volte ha bocciato l’Italia sul tema del lavoro e dell’inclusione dei soggetti svantaggiati, nel nostro Paese solo il 16% delle persone con disabilità tra i 15 e i 74 anni lavora. Ancora oggi risulta difficile relazionarsi con questa tipologia di lavoratori. Ecco perché la strada intrapresa in Italia è stata quella di mettere in piedi dei progetti speciali che creano degli ambienti inclusivi volti a sviluppare le diverse abilità ed esperienze di queste persone. Segundo Veles Solis originario dell’Ecuador, vive a Rimini dal 1998. Ha una protesi ad una gamba e dal 2003 lavora grazie ad un progetto della cooperativa La Formica, che da oltre un ventennio lavora sul territorio promuovendo –tra le altre cose – l’inserimento lavorativo di persone disagiate. «È stata l’Ausl a mettermi in contatto con La Formica –dice –. Qui ho cominciato un percorso che dura ormai da 10 anni e ho ricoperto diverse


RIMINI

Operatori della cooperativa La Formica impegnati al lavoro. A destra le speciali sedie a rotelle in dotazione al Bagno 27 di Rimini

mansioni. Oggi seguo i percorsi di altri ragazzi che hanno bisogno d’aiuto nell’inserimento lavorativo. E sono socio della cooperativa».

In Italia solo il 16% delle persone con disabilità tra i 15 e i 74 anni lavora. Difficile, poi, relazionarsi con questa tipologia di lavoratori. La strada intrapresa è stata quella di mettere in piedi progetti capaci di creare ambienti inclusivi volti a sviluppare le diverse abilità

Lavori di qualità Veronica e Alex, invece, hanno la sindrome di Down – 24 anni lei, 21 anni lui – e lavorano in un’importante azienda italiana: la Geox. Il loro è un lavoro creativo e artigianale, infatti tingono le pelli e i tessuti che vengono impiegati nella produzione di scarpe. Un lavoro delicato perché le pelli vengono tinte a mano, con telai da serigrafia. Ne vengono fuori pezzi unici. Veronica e Alex possono fare il loro lavoro grazie a Valemur, il progetto partito da Verona nel marzo del 2004 (grazie alla fondazione Più di un sogno) e che a distanza di 12 anni coinvolge anche Torino, Cosenza, Cuneo, Firenze, Treviso, Palermo e Rimini attraverso le associazioni Crescere Insieme e La Formica. «A marzo è stata presentata la collezione primavera-estate –spiega Emiliano Violante, giornalista di RiminiSocial.it –. Sono gli stessi ragazzi a presentarle ai loro personaggi preferiti: il trio comico Boiler, La Pina di Radio DJ, il calciatore Javier Zanetti e lo chef Carlo Cracco».

Al Bagno 27 di Rimini «la stagione è andata bene – ammette Stefano Mazzotti, il gestore dello stabilimento che ha accettato di essere “pilota” di un progetto di inclusione per ragazzi autistici –. Da

qualche anno, unico stabilimento della zona Rimini Sud, abbiamo aderito al progetto Spiaggia Libera Tutti promosso dalla Provincia di Rimini. Da lì è nato il nostro impegno a dotarci non solo dei tradizionali e necessari servizi per disabili (scivoli all’ingresso, servizi igienici dedicati) ma anche di una serie di altri strumenti che potessero rendere la nostra spiaggia davvero alla portata di tutti. Abbiamo quindi acquistato due sedie a ruote speciali che per-

mettono alle persone che non camminano sia di entrare in acqua che di muoversi sul bagnasciuga. Abbiamo lettini rialzati realizzati ad hoc perché le persone possano facilmente spostarsi sul lettino dalla carrozzina. All’ingresso dello stabilimento le pedane tattili consentono alle persone cieche di orientarsi in autonomia negli spazi e scoprire tutti i servizi del nostro bagno. E infine ci sono le passerelle in materiale eco compatibile per spostarsi facilmente e raggiungere tutti i diversi luoghi della spiaggia». Spiagge per tutti E poi c’è stata l’evoluzione e la collaborazione con l’associazione Rimini Autismo per realizzare il primo stabilimento italiano Friendly Autismo. «Un incontro casuale, nato su Facebook – prosegue Stefano –. Ho capito cos’è l’autismo e quali sono le esigenze delle famiglie con bambini

e ragazzi autistici; così è nato Friendly Autismo Beach, progetto inaugurato nel 2013 e che, a oggi, ha già coinvolto 40 stabilimenti balneari, 15 alberghi e oltre 400 famiglie». Poi a inizio stagione 2014 è partito il progetto pilota finalizzato all’assunzione di ragazzi con autismo per lavorare come bagnini nelle spiagge. Per questo Mazzotti ci ha detto che la stagione è andata bene. Perché lui la sua stagione l’ha fatta insieme a Enrico. «Prima di conoscere questo mondo per me l’autismo era un film: era Rain Man – racconta –. Adesso quest’esperienza è una ricchezza». Grazie a Enrico, infatti, molte cose sono cambiate nello stabilimento, anche il modo di lavorare. «Aveva messo in atto tutte le sue schematicità, ma si è vista anche la sua volontà di voler uscire dal guscio. Ha fatto delle cose che nessuno gli aveva chiesto e che andavano ben oltre le sue mansioni».

LA STORIA

Da immigrato disabile a lavoratore «Avevo 14 anni. Era domenica. Decisi di accompagnare mio fratello al lavoro nei campi. Volevo aiutarlo ma mi avvicinai troppo a una falciatrice. Un attimo di distrazione ha cambiato la mia vita». Una distrazione che a Segundo Veles Solis ha causato tre mesi di ospedale, un intervento, mesi di sedia a rotelle e la prima protesi in legno. «Questa esperienza mi ha reso più forte di prima, e ne avevo bisogno per affrontare il mio futuro». Così Segundo ha indossato per la prima volta la protesi alla gamba sinistra, dal ginocchio in giù. Disabile, straniero, senza patente e senza conoscere un mestiere o una professione ha colto al volo la mano che La Formica gli ha teso. «Lavoro ai cambi turno per coordinare i lavoratori del progetto Valemur che rientrano e quelli che iniziano, nel settore della raccolta differenziata eseguo controlli sul territorio e seguo l’organizzazione del settore affissione tenendo i rapporti con l’ufficio referente del Comune, nel quale sono stato dislocato per diverso tempo e dove conosco tante brave persone. Il lavoro è molto vario mi capita anche di fare mansioni d’ufficio. Sono contento di quello che faccio e felice di poter aiutare altre persone in difficoltà. (adr) marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Gli hospice della Campania sono una rete di strutture pensate per accogliere al meglio un paziente e la sua famiglia garantendo la dignità di ogni persona in ogni momento del fine vita

Mai più soli, vivere al meglio fino alla fine di Stefania Marino

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«Anche se non ci fosse più nulla da fare per la malattia, c’è ancora tanto da fare per la persona malata». Lo scrive Sergio Canzanella, manager al Pain control center hospice di Solofra e segretario regionale per la Campania della società italiana cure palliative. Con lo slogan “Mai più soli in regione Campania”, la onlus House Hospital, nata nel 1998, ha lanciato il sito www.hospicecampania.it, un osservatorio regionale sulle cure palliative e sulla medicina del dolo-


SUD

perché i colori sono un elemento importante e determinante per ciascuno. Qui è stato abolito il bianco ospedaliero. E poi c’è l’attenzione agli orologi con il quadrante grande perché lo scorrere del tempo è legato allo scorrere dei pensieri. Nell’hospice di Solofra, dell’Asl di Avellino, ogni stanza in effetti è un piccolo appartamento dove chi entra può portare qualche pezzo di casa e dove può trascorrere il tempo con un proprio familiare.

re. Una finestra su un mondo spesso lasciato nel silenzio che qui viene seguito in tutti i suoi aspetti, una finestra per poter dialogare con i malati “algici, cronici e terminali”e con le loro famiglie spesso lasciate nei meandri della solitudine a combattere con le mille difficoltà che sopraggiungono, tra cui quello che Canzanella chiama “dolore burocratico” riferendosi alla complessità delle procedure appunto burocratiche che giocoforza ci si trova ad affrontare. Un luogo di vita Uno strumento di comunicazione e di informazione sulle cure palliative, un diritto questo garantito, sancito dalla Legge 38/2010. “Il loro scopo non è quello di accelerare o differire la morte, ma quello di preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla fine per il paziente e la sua famiglia”. Incontriamo Sergio Canzanella all’Hospice di Solofra, nella verde Irpinia, uno stabile avulso dall’architettura che è intorno, dove il vetro pare catturare la luce per conservarla e restituirla a chi abita queste stanze. Ogni stanza porta il nome di un fiore. «È un luogo di vita non di morte – ci dice Canzanella –. Qui un’équipe multidisciplinare fatta di medici, infermieri, psicologi, sociologi, operatori socio sanitari, fisio-

scheda Legge n.38 del 15 Marzo 2010 La presente legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore. È tutelato e garantito, in particolare, l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza. Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore assicurano un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei seguenti principi fondamentali: tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine; adeguato sostegno sanitario e socioassistenziale della persona malata e della famiglia.

terapisti, volontari, ogni giorno lavora mettendo al centro di tutto la qualità della vita del paziente e la sua dignità. L’umanizzazione è parte integrante della quotidianità, è la parola chiave che lega il rapporto tra il paziente, la sua famiglia e il personale. Un’umanizzazione che emerge con tutta la sua forza proprio nel momento del lutto, negli abbracci di familiari con il nostro personale».

Un processo fatto di piccole e grandi cose, come il camice giallo degli infermieri

Un luogo accogliente Canzanella ci spiega che lo scopo è proprio quello di trasferire qui il domicilio di una persona. Su questo punto, ci illustra anche la questione delle cure domiciliari ancora non attuate dagli hospice ma che dovrebbero già far parte della grande rete delle cure palliative. Quante persone chiedono di poter essere curate e sostenute a casa propria? E invece spesso proprio perché manca un supporto medico e psicologico da casa propria, la persona malata giunta nella fase della terminabilità, va a finire in un semplice reparto di ospedale. Canzanella di frequente promuove attività all’interno dell’Hospice: l’anno scorso si sono esibiti gli artisti di Made in Sud.

LA SCHEDA

Hospice, ancora pochi in Campania La storia degli Hospice inizia negli anni ’60 in Inghilterra ad opera di un’infermiera di nome Cicely Saunders grazie alla quale nasce il St. Christopher’s Hospice di Londra. In Italia, gli hospice arrivano molto dopo. In Campania, attualmente ce ne sono 9, di cui 3 in provincia di Salerno, 2 ad Avellino, 3 a Caserta e 1 a Napoli. In tutto 117 posti. Manca un hospice pediatrico. Ci sono dei numeri sul sito www.hospicecampania.it che si fa fatica anche a leggere: 735 casi di tumore per 100 mila abitanti ogni anno in regione Campania, 160 casi di patologie oncologiche che riguardano i bambini con una sopravvivenza/guarigione pari al 50%. Da uno studio della società italiane cure palliative emerge che in Italia il 20% dei malati oncologici vive da solo e il 15% negli ultimi tre mesi di vita non ha avuto nessun familiare accanto. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

In ognuno di noi C’è chi ride e ancora spera C’è chi piange e si dispera chi si raccoglie chi si diverte e se ne frega chi rimpiange chi si rassegna chi vive solo di ricordi chi si illude chi inganna chi sostituisce chi si sente impotente chi onnipotente chi se la gode chi presto invecchia chi non tira fine mese chi non ha che l’Anima chi prega chi ancora Ama e ringiovanisce. Ma quanti siamo a mantenere il sorriso? Una parola buona e tra un po’ di dolori e, nonostante, Viver di gioia ?! Mino Beltrami

Quel filo Gocce di emoglobina le mie lacrime rapprese dentro un nucleo di misteri. Chi conosce lo scopo? Chi, i motivi, di questa penitenza senza fine? Nulla rimane intatto in quel filo? Della complicità che ci legava? Scandisco il tempo e spero disperata che la clessidra filtri ogni granello, che il sedimento avverso che hai nell’anima scorra nella corrente della vita… di quella vita che rimane un “bene” nonostante ogni illogica ragione. Aida Odoardi

La mia città Milano è un derby 0-0, Milano è così: Milano è giusta, si fa i fatti suoi e non ti giudica. Non è come Firenze pettegola, maledetta e fuori binario… Milano è Scarp de’ tenis ed è buona come il latte delle vacche che pascolano nelle valli della Lombardia, è come il fior fiore di frumento integrale che si trasforma in croccanti michette; Milano è dolce come il panetùn e il turun che ti porta via tutti i denti e ingenua come il sorriso di un bambino… Milano non ha tante pretese, ma è capace di dare.

Libri, libri, libri Ci sono storie e libri che ti fanno vivere mille vite Curiosità Sono curioso ma purtroppo sono anomalo ad ogni costo

Silvia Giavarotti

Le rondini Sento l’arrivo della Primavera e vedo gli alberi vestirsi a festa. Cantan gli uccelli fino a tarda sera e l’acqua nel ruscello si ridesta. Vedo le rondini arrivar festose tornando a schiera da lontani lidi. Le grondaie ch’eran vuote e silenziose rieccheggian di pigolii nei nuovi nidi. Saettano nel cielo, nere e bianche, come frecce da arco liberate; intreccian danze, garrule, mai stanche tornano ai nidi a sera, ornai appagate. Che mai sarebbe la stagione dei fiori senza la festa dei loro lieti voli? Quando sen vanno rattristano i cuori, alberi e Umani si senton più soli. L’idea di un giovane volontario Ma torneranno, e questa è una certezza, allo sbocciare delle prime viole, della Ronda della carità di Milano: fugando dell’Inverno la tristezzae richiamando in ciel l’amato Sole..

una App contro lo spreco alimentare

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Mary

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VOCI DALL’EUROPA

Frigo solidali per battere lo spreco, ma le burocrazia li vuole chiudere

di Mauro Meggiolaro

Berlino è un città enorme: tre milioni e mezzo di abitanti che mangiano a ogni ora del giorno e della notte. Ma nonostante stiano tutti sempre lì a masticare con la birra o l’aranciata in mano, alla fine avanzano tonnellate di roba, che viene buttata. Ogni anno famiglie, supermercati e ristoranti buttano via cibo per un valore di 20 milioni di euro, mica bruscolini. E se da una parte si gonfiano i bidoni dell’umido e del secco, dall’altra ci sono migliaia di cittadini che da mangiare non ne hanno a sufficienza. Che si fa? Certo, c’è la Berliner Tafel che dal 1993 raccoglie quintali di frutta, verdura e prodotti vari dai supermercati e li distribuisce a chi ne ha bisogno. Ma quel panino solitario che è rimasto in vetrina? Quell’insalata ancora croccante che hai in frigo ma te ne devi liberare perché parti per una settimana di vacanza?

scheda Mauro Meggiolaro, nato a Verona nel 1976. Ha lavorato per banche e finanziarie etiche in Germania e a Milano (Etica Sgr, Banca Etica). Azionista critico alle assemblee di Enel ed Eni, nel 2009 ha creato la società di ricerca Merian Research. Scrive anche per “Valori” e “Il Fatto Quotidiano”. Nel 2013 è tornato a vivere a Berlino.

I “salvatori del cibo” Nessun problema: c’è il frigo solidale. Anzi, in città ne esistono ormai venticinque. Ognuno può aprirli per metterci del cibo o per prenderselo: sono pubblici, non servono tessere né chiavi. «Il nostro obiettivo principale è che gli alimenti non vengano buttati – spiega la “salvatrice del cibo” Lilo Brißlinger in un’intervista al canale regionale Rbb –. Non ci importa chi li consuma. Anche chi avrebbe i soldi per comprarsi i prodotti è invitato

Il nostro obiettivo principale è che gli alimenti non vengano buttati – spiega la “salvatrice del cibo” Lilo Brißlinger –. Non ci importa chi li consuma. Anche chi avrebbe i soldi per comprarsi i prodotti è invitato a prenderseli dal frigo se ne ha voglia. La comunità dei salvatori del cibo si organizza online, grazie alla piattaforma foodsharing.de

Due dei frigo solidali in attività nella capitale tedesca

a prenderseli dal frigo se ne ha voglia». La comunità delle salvatrici e dei salvatori del cibo si organizza online, grazie alla piattaforma foodsharing.de, dove si stabiliscono anche i turni per le pulizie e la manutenzione dei frigoriferi e si tiene il conto del cibo recuperato.

La piattaforma funziona in tutta la Germania: Berlino è al primo posto, con circa 818 mila chili di cibo salvato, seguita a ruota da Colonia (610 mila chili) e, con un certo distacco, da Amburgo (198 mila chili). In tutto il Paese i foodsaver (salvatori) sono ormai più di 13 mila. Le più attive sono le donne. Come Elke, che in

tutta la sua carriera di salvatrice ha recuperato ben 32 mila 344 chili di cibo in 1.826 spedizioni in negozi e supermercati. O Brigitte, che con 1.450 missioni ha rimesso in circolo 31 mila 229 chili di frutta, verdura, panini, brioche e torte salate. Lotta contro i burocrati «Mi diverte – continua la salvatrice Lilo – sento che sto facendo qualcosa di buono e allo stesso tempo conosco nuovi vicini di casa che prima ignoravo». Tutto bene quel che finisce bene? No, perché la burocrazia, ottusa in Germania come in Italia, si sta mettendo di traverso. «L’igiene non è assicurata», dicono i funzionari puntando il dito su un pezzo di carota ammuffita. «State infrangendo la legge sugli alimentari». Le autorità hanno già fatto chiudere due frigo ma la reazione non si è fatta attendere: salvatrici e salvatori hanno raccolto in pochi giorni quasi 17 mila firme in una petizione online. E c’è da star sicuri che non molleranno facilmente. marzo 2016 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Il clima impazzito aumenterà povertà e fame Con il riscaldamento della temperatura media globale e con gli stravolgimenti che ne seguiranno, gli eventi meteorologici estremi saranno sempre più frequenti. I risultati – sul piano sociale e di lotta alle povertà – saranno catastrofici di Andrea Barolini

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

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fine di porre un freno al “deragliamento” globale del clima. In particolare, l’Onu ha avviato il consesso spiegando che - come ripetuto d’altra parte dalla stragrande maggioranza degli scienziati - è necessario limitare la cresci-

Se non agiremo in tempo per frenare i cambiamenti climatici, il loro impatto sull’umanità sarà devastante, anche per quanto riguarda il numero di persone che saranno condannate, in tutto il mondo, a soffrire la fame. La questione non è, infatti, unicamente un problema “ecologico”: le ricadute derivanti dagli squilibri provocati dall’innalzamento della temperatura media globale saranno anche - se non soprattutto - sociali. A confermarlo è il World Food Programme delle Nazioni Unite (Programma alimentare mondiale), che ha messo a punto assieme al Centro Hadley per la Ricerca e le previsioni sul clima del Met Office britannico uno strumento finalizzato proprio a comprendere come cambierà il pianeta in funzione del clima. Un passo indietro: dicembre 2015. A Parigi si conclude la Conferenza mondiale sul clima dell’Onu, che si poneva l’obiettivo di trovare un’intesa tra i governi delle 196 nazioni presenti, proprio al

ta della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi, entro la fine del secolo, rispetto all’epoca pre-industriale. E che per farlo occorre ridurre il quantitativo di gas ad effetto serra disperso nell’atmosfera. Proprio

Per gli scienziati appare inderogabile limitare la crescita della temperatura media globale di 2 gradi, entro la fine del secolo, rispetto all’epoca pre industriale

per questo, quasi tutti i Paesi, prima della conferenza, hanno inviato i loro piani di riduzione delle emissioni. In realtà, però, l’analisi di queste “promesse” indica che il limite dei 2 gradi sarà superato ugualmente. Il governo francese ha infatti studiato i piani predisposti dai governi, concludendo che sulla loro base si arriverà nel 2100 a toccare i 2,7 gradi. Un calcolo che potrebbe essere perfino troppo ottimista: secondo le Ong si potrà superare facilmente anche la soglia dei 3 gradi. Ebbe-


ne, non si tratta di una semplice guerra di cifre, perché a cambiare, assieme ai decimali, sarà il destino di un bel pezzo dell’umanità. Proprio per questo il Programma alimentare mondiale ha ideato un sistema di calcolo, i cui risultati sono stati “tradotti” in semplici mappamondi con le nazioni colorate in funzione della gravità della situazione, consultabile da tutti grazie ad un sito internet dedicato (vedi pagina seguente). I risultati sono inquietanti: qualora si dovesse continuare su quello che viene definito il business as usual (ovvero l’andamento che si avrà nei prossimi decenni senza intervento correttivo), nel 2080 centinaia di milioni di persone in più rispetto ad oggi non saranno in grado di trovare il cibo di cui necessitano per il loro sostentamento. Parliamo di una recrudescenza storica e devastante del problema: basti pensare, come termine di paragone, che ad oggi

Emissione di gas serra e politiche di adattamento ai cambiamenti climatici che saranno introdotte dai governi. Si gioca su questi il numero di esseri umani ri- due scenari dotti alla fame è pari a circa 795 milioni (coloro che vengono il futuro di molte considerati cioè in condizioni di parti del mondo

“insicurezza alimentare”). L’analisi del Pam e del Met Office è stata presentata proprio nel corso della Cop 21. Il mappamondo interattivo pubblicato sul sito dell’ufficio meteorologico inglese consente di modificare due parametri al fine di verificarne l’evoluzione nel corso del tempo. Il primo è il quantitativo di emissioni di gas ad effetto serra che verrà disperso nell’atmosfera; il secondo è relativo invece alle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici che saranno introdotte dai governi. Ovviamente, lo

scenario migliore è quello nel quale si immagina un basso tasso di emissioni e un contemporaneo alto impegno per contrastare gli effetti del climate change. In questo caso, il mondo appare in miglioramento, con le cartine delle nazioni che prendono colori più tenui, tendenti verso il giallo. Al contrario,

lo scenario peggiore è quello che prevede un alto livello di gas ad effetto serra e scarse politiche di adattamento: in questo caso il mappamondo

si tinge in molte aree di rosso scuro. Tra i due estremi, si possono ottenere varie “vie di mezzo”, impostando i due parametri (è possibile scegliere tre livelli per ciascuno) e due scadenze: al 2050 e al 2080. Il messaggio, in ogni ca-

so, è chiaro: qualora il mondo non agirà in tempo sia attraverso politiche efficaci volte a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, sia diminuendo drasticamente le emissioni di gas ad effetto serra, il risultato sarà catastrofico. Occorre dunque agire su entrambi i fronti. Modificando infatti uno solo dei due fattori, la situazione appare in leggero miglioramento, ma resta a livelli largamente insufficienti: parte dell’umanità sarebbe perciò comunque condannata. «Il lavoro di costruzione delle mappe che abbiamo effettuato - ha spiegato Richard Choularton, direttore del Programma di riduzione dei rischi ambientali del Pam - ha richiesto l’utilizzo di un’ampia serie di informazioni. Abbiamo tenuto conto delle condimarzo 2016 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Ad essere più in pericolo è la quasi totalità del continente africano per ragioni climatiche, ma anche per ragioni sociali. Ma rischia anche l’America Latina e una parte del Sud-est asiatico

zioni in cui verseranno i sistemi agricoli, così come dei problemi che potranno manifestarsi nell’accesso all’acqua potabile. Ma anche dell’impatto del clima sulle foreste e ancora delle difficoltà specifiche che si registreranno in alcune aree del Pianeta nelle catene di approvvigionamento dei beni alimentari». Il problema appare più drammatico se si tiene conto che, di fatto, i

cambiamenti climatici rischiano di vanificare i progressi realizzati tra il 2000 e il 2015 nell’ambito dei cosiddetti “Obiettivi del millennio”. E di rendere inutile l’impegno assunto il 25 settembre 2015 dalla comunità internazionale, che ha ratificato la versione aggiornata degli stessi: essa prevede proprio, tra le altre cose, di eliminare la fame “in ogni sua forma” dalla faccia della Terra, entro il 2030. «Quello che

abbiamo ideato - ha aggiunto Ertharin Cousin, direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale - è uno strumento che consente di comprendere quali cambiamenti si registreranno nel Pianeta in funzione delle risposte che l’uomo saprà dare alla questione climatica. In gioco c’è il futuro di centinaia di milioni di persone». E ad essere più in pericolo è la quasi totalità del continente africano. Per ragioni sia climatiche che sociali. Ma anche i Paesi che si trovano in America Centrale, India, Sud-Est asiatico e in parte dell’America Latina, rischiano di vedere aumentare il numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare: secondo un calcolo del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), circa 600 milioni di persone in più rispetto ad oggi potrebbero soffrire la fame nel 2080.

Le mappe elaborate dal Programma Alimentare e da Met Office ci mostrano qual è la situazione attuale e gli scenari futuri al 2050. Dalle mappe si evince come sia urgente una politica condivisa di prevenzione degli eventi catastrofici

Grado di vulnerabilità (aumento della fame e della povertà) basso

alto

Scenario futuro • Basse emissioni • Alto grado di adattamento

Foodsecure L’Onu prova a prevenire catastrofi

Con il riscaldamento della temperatura media globale, e con gli stravolgimenti atmosferici che ne conseguiranno, gli eventi meteorologici estremi saranno sempre più frequenti nel mondo. E la loro intensità è destinata ad aumentare via via nel tempo. Si tratta di qualcosa che ciascuno di noi, sebbene l’Europa non sia tra le regioni più colpite dai fenomeni più violenti, ha potuto sperimentare, tra “bombe d’acqua”, periodi di siccità, mancanza di neve sulle Alpi e ondate di calore o grandinate eccezionali. E se le conseguenze, anche in un Paese ricco come l’Italia, spes-

Il Programma Alimentare Mondiale ha già sperimentato – con buoni esiti – in Uganda, Guatemala e Zimbabwe azioni di prevenzione 66 Scarp de’ tenis marzo 2016

2050 so possono essere molto problematiche (basti pensare alle difficoltà che possono incontrare gli agricoltori), in altre aree del mondo si può trattare di una questione di vita o di morte.

Per questo il Programma alimentare mondiale (Pam) ha lanciato un’iniziativa il cui obiettivo è di tentare di prevenire le catastrofi, che spesso sono almeno in parte annunciate: grazie ad una partnership con la Federazione internazionale delle società della Croce


Situazione attuale Scenario futuro • Alte emissioni • Basso grado di adattamento

IL PUNTO

2050 Rossa e della Mezzaluna Rossa, è stato lanciato il 2 dicembre scorso il programma Foodsecure.

In concreto, il sistema dovrebbe consentire di sbloccare fondi e avviare azioni specifiche ogni qualvolta un evento atmosferico eccezionale sarà previsto dai meteorologi. Il tutto contando su uno stanziamento complessivo pari a 400 milioni di dollari (circa 376 milioni di euro). Foodsecure è stato sperimentato nei mesi scorsi in Uganda, per preve-

In tante parti del mondo le conseguenze degli effetti del cambiamento climatico potrebbero essere questione di vita o di morte

nire e cercare di attenuare le ripercussioni drammatiche legate a n fenomeno di accumulaEl Ni˜o, zione di calore nelle acque del Pacifico, che provoca forti precipitazioni in numerose aree del globo, come ad esempio in America Latina, Sud-Est asiatico e Australia. In Uganda erano prevedibili delle inondazioni, e per questo sono state ad esempio distribuite compresse per la purificazione dell’acqua. Allo stesso modo, il programma è stato attivato in Guatemala

e Zimbabwe, in aree minacciate dalla siccità: gli agricoltori sono stati istruiti su come diminuirne l’impatto e sono state distribuite scorte di semi resistenti alla mancanza di acqua. «Fornire una risposta in anticipo a questi eventi non soltanto protegge gli esseri umani coinvolti, ma consente anche di risparmiare del denaro - ha spiegato Ertharin Cousin, direttrice esecutiva del Pam -. Le or-

ganizzazioni umanitarie, oggi, versano infatti in situazioni complicate dal punto di vista finanziario, e per questo era necessario sviluppare un nuovo approccio al problema, che permetta di agire prima che una catastrofe si manifesti. È il solo modo che abbiamo di aiutare concretamente le persone più vulnerabili a difendersi dalla fame cronica e dalla povertà». marzo 2016 Scarp de’ tenis

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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO

Maxmiliano porta la sua anima metal per le strade di Milano. La sua musica lo rende unico nel panorama degli artisti di strada

Maxmiliano, il metal nel sangue Maxmiliano è un chitarrista di musica metaled è arrivato a Milano già da qualche anno. Da piccolo in Uruguay i suoi familiari lo hanno mandato a scuola di pianoforte. Ma successivamente ha “mollato” i tasti e ha iniziato a suonare la chitarra elettrica. Da adolescente ha formato una band in cui suonava chitarra e basso. Terminati gli studi inizia a lavorare. Ma la passione per la musica continuava a crescere. Così dopo qualche anno lascia il lavoro, saluta i familiari, prende la chitarra e parte per l’Europa. Prima tappa Barcellona, qui inizia a suonare in strada e la sua musica ha successo. Poi arriva in Italia. Prima a Napoli poi a Milano dove scopre che può suonare liberamente in strada. «In centro ormai mi conoscono – racconta – anche perché il metal si sente difficilmente in giro. A Milano mi trovo bene ma la vita costa tanto. Con la mia musica non riesco a mantenermi e devo arrotondare con qualche lavoretto. Però va bene così». Antonio Vanzillotta marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Eugenio Tibaldi, piemontese di nascita ma napoletano di adozione davanti all’opera “Edicole votive”

PAROLE

Temporale paesaggio lontano

Eugenio Tibaldi e Napoli, un amore messo in mostra Eugenio Tibaldi è nato nel 1977 ad Alba, in provincia di Cuneo e, nonostante abbia viaggiato in lungo e in largo fin da ragazzo per il suo lavoro di artista, la città che ama di più in assoluto è Napoli. Infatti ci è rimasto per 14 anni. Lui dice che Napoli è una città assoluta sia per bellezza sia per modo di vivere. Napoli è una città spontanea e se una persona gira per i vicoli vede cose che in altre città non vedrà mai. Però dice pure che noi napoletani non vediamo queste cose perché per noi sono cose di tutti di tutti i giorni e non ci facciamo più caso. Per riprendere a farci caso e catturare l’attenzione in modo originale ha progettato, e poi organizzato, una mostra di bricofotografia con l’aiuto dei ragazzi del liceo Vico di Napoli. Il progetto è durato un anno nel corso del quale sono state scattate, con gli smartphone e rigorosamente in verticale, più di 24 mila foto dei vicoli di Forcella, Sanità e Quartieri Spagnoli. I soggetti delle foto sono tipici di Napoli: cassette di frutta sui marciapiedi, motorini in casa, depositi di ferro vecchio in bassi o edicole votive private costruite dagli abitanti del quartiere. Questi “arazzi di foto” sono poi stati esposti al Museo Madre. Eugenio ci ha raccontato alcuni aneddoti dei suoi viaggi. Il racconto che mi ha colpito di più riguarda, manco a dirsi, il suo arrivo a Napoli 14 anni fa. Dopo aver preso in affitto un appartamento con garage annesso. Un giorno trovò davanti al garage un’auto parcheggiata. Non potendo uscire suonò il clacson per chiamare il proprietario della macchina. L’uomo scese e disse: «Dottò, io lo faccio per voi. Così non si mette davanti nessuno altro. Io abito al primo piano voi basta che mi fate un fischio e io scendo». E cosi fece per un certo periodo. Questa è la mentalità dei napoletani, non esiste da nessuna altra parte. Ed è questo che gli piace. Al punto che quando deve allontanarsi anche per pochi mesi, è sempre molto dispiaciuto. Si dice che un forestiero quando viene a Napoli piange due volte: quando arriva e quando riparte. E secondo me, ora che Eugenio è tornato Massimo De Filippis a Torino, si sente un pesce fuor d’acqua. 70 Scarp de’ tenis marzo 2016

PAROLE

I passi A veder passare davanti a me questa persona che si porta dietro di sé un ombra che lui non sa chi sta dietro di lui e lui stesso camminando quell’ombra che gli passa davanti dice che cos’è questa ombra coi riflessi del sole e al buio. Non sa chi è chi Umberto D’Amico

Temporale paesaggio lontano Le nuvole nere con i riflessi azzurro del mare E un bel tramonto, i gabbiani che volano sull’acqua onde così bianche è un incanto a vedere tanti colori il tramonto piano piano che vai e si vede che scende la notte e la notte a vedere un gabbiano bianco che accarezza l’acqua è uno sguardo lontano su quelle onde azzurre con una nave che naviga così lontano con dei delfini che saltano che escono dall’acqua a vedere mi ha incantato è stata la prima volta che li ho visti sono rimasto incantato e meravigliato. Umberto D’Amico


NAPOLI

Questione di appartenenza, la città vista con altri occhi La Napoli che non ti aspetti “rimontata” dall’occhio di un artista Un patchwork di emozioni e di colori fissato su arazzi di carta A Napoli le cose strane, gli oggetti inusuali, le abitudini più avverse, tutto ciò che altrove farebbe storcere un po’ il naso diventano cose normali. Gaia, Francesco, Luisa e Guido, che assieme ad altri studenti hanno girato per la città facendo foto, ci hanno confermato che essere napoletani significa letteralmente “appartenere a Napoli”; questa madre affettuosa ma un po’ matta, buona ma non sdolcinata, che ti usa e si fa usare secondo momento e stato d’animo. Una gran bella idea quella di Eugenio Tibaldi da Alba, napoletano d’adozione che ha invitato trenta studenti ad immortalare la “loro” Napoli. Ne è venuta fuori un’enorme quantità di immagini che, raggruppate in modo assolutamente singolare (e artistico) hanno dato vita a diversi collage. La Napoli vera Si trovano così le porte e le finestre dei bassi, le tantissime edicole votive, i tubi esterni di riscaldamento, le cassette della posta, un insieme curioso e colorato, un simpatico patchwork progettato da Eugenio Tibaldi e diventato 5 arazzi di carta in mostra al Museo Madre con il nome “Questione di Appartenenza”. Eugenio Tibaldi è un uomo vivo e intelligente, non privo di senso pratico e capace di trovare l’arte dovunque. Partito da Alba alla ricerca di periferie diverse dalla sua è approdato proprio a Napoli, con cui convive da una quindicina d’anni e dove si è accorto che la periferia

può avere un significato assolutamente relativo. Qui buoni e cattivi, ricchi e poveri, tranquilli e agitati vivono gomito a gomito e ognuno possiede una propria chiave della città, solo vagamente intellegibile da chi viene a elencare le cose senza prima armarsi di esperienza, informazione e apertura mentale. Non per niente i Quartieri Spagnoli sono a un passo dal Palazzo Reale, il palazzo della Regione di trova a Santa Lucia, ex centro di contrabbandieri e Forcella è a venti metri dal Duomo di San Gennaro, luogo di eterno culto. Un grazie a Eugenio Tibaldi per l’occhio e la fantasia, un eterno grazie alla mia città per essere semplicemente quella che è. Bruno Limone

FIRENZE

La voglia di integrarsi è più forte di tutto e c’è chi studia al ristorante o in un giardino Il mio ritorno su queste pagine è, lo confesso, inaspettato e sorprendente per me in primo luogo. Un grande scrittore anglo polacco dell’ottocento sosteneva di escludere il soprannaturale dalle sue opere perché includerlo significava negare che il quotidiano fosse – di per sé- meraviglioso. Ci eravamo lasciati girovagando nelle strade del centro che ancora percorro, strade che convogliano greggi di turisti da una fila all’altra per accedere ad una fugace occhiata alle infinite meraviglie accolte nei musei, ma anche di fronte alle vetrine dei negozi colmi di “prodotti tipici”, etichettati come fiorentini e poi in realtà made in dovunque possa venirvi in mente, l’importante è la possibilità di abbassare il costo del lavoro. Adesso le greggi turistiche non sono più strettamente anglofone, anche lì sono arrivati i cinesi, a sostenere il nostro disastrato Pil. Caso ha voluto che mi sia successo di stringere una bella amicizia con Fang Wei, figlia, per così dire, di una rosticceria cinese in via Ghibellina. Dovete sapere che ero in ottimi rapporti con i precedenti proprietari. Qualche titubanza al cambio di gestione, poi, tra un riso alla cantonese e un pollo fritto la conoscenza di questa ragazza, testa di ponte della famiglia con il mondo in quanto l’unica capace di esprimersi in italiano. È stata di certo una delle migliori conoscenze degli ultimi anni. La sua vita: sveglia prima delle sette, colazione, scuola (quinta liceo linguistico), ritorno alla rosticceria, lavoro fino alla pausa pomeridiana facendo insieme i compiti, continuare a fare i compiti nella pausa. Poi riaprire e lavorare, sempre con i compiti dalle diciotto alle ventidue e trenta circa. Poi spazzare, dare il cencio, eventualmente ripassare e via così. Mi arrogo il merito, in un momento di crisi della ragazza, di aver insistito perché portasse a termine il suo percorso scolastico, arrivando a un meritato diploma. Negli ultimi due mesi sto anche aiutando un caro amico tunisino a preparare l’esame di cultura italiana necessario al conseguimento della carta di soggiorno. Lui, sposato con un’italiana, è andato a vivere fuori Firenze, io una casa non ce l’ho, quindi ci troviamo a studiare in un giardino. Un ristorante e un giardino. Qui è dove studiano con voglia e caparbietà gli italiani del futuro. C’è solo da imparare. Roberto Stramonio marzo 2016 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

8 marzo Donna, donna, il nome più bello. Madre, moglie, sorella e figlia. Felice ci rende il suo sorriso e riscalda il nostro animo. A volte è triste e sola, forse noi con un fiore potremmo il suo animo rallegrare. Quel fiore creato dall’amore, giardino del nostro cuore. Mai lasciarlo svanire. Quanto i suoi occhi sono tristi, doniamo noi la luce per dire ancora “Donna, donna, il nome più bello”. Carlo Mantoan

Subito è notte È l’alba; sale rapido il Sole. Il tempo di strofinarti gli occhi assonnati, ti guardi allo specchio e un poco attorno e senza che te ne renda conto, già il sole è al tramonto. Gaetano “Toni” Grieco

Scout, la bellezza di farsi dono In prima fila contro il disagio di Salvatore Couchoud

C’è un aspetto della solidarietà poco esplorato e conosciuto che a Como risulta particolarmente forte collegandosi a una realtà, quella dello scoutismo dell’Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani), che non smette di sorprendere per la continuità e la perseveranza nell’impegno. A dispetto della giovane età – una fascia racchiusa tra gli 8 e i 21 anni – i ragazzi e le ragazze dei tre gruppi lariani di Como 1, Como 3 e Como 45 si distinguono da anni per la loro attività a sostegno delle persone colpite da disagio o in stato di grave marginalità sociale, come attestano i servizi prestati a beneficio del Banco Alimentare, dell’Ozanam, del Centro Diurno Caritas e della Cooperativa “Simpatia” di Valmorea, che si occupa delle disabilità più gravi e invalidanti. «Questo tipo di attività – ricorda don Angelo Riva, che dal 2002 è assistente ecclesiastico del gruppo Como 3 –, ha in realtà una duplice natura e una duplice benemerenza, poiché è utile nel campo dell’as-

sistenza ma è anche funzionale alla crescita formativa e all’assunzione di responsabilità per tanti giovani che antepongono l’ottica della cooperazione a quella dell’individualismo e del relativismo dei valori. Si tratta semplicemente di applicare un metodo educativo di grande efficacia perché modellato sulla centralità della persona, colta in tutte le dimensioni e non soltanto in quella dell’assistenza “materiale”, come avviene nel momento in cui occorre intervenire per rimediare alle situazioni di difficoltà, senza poi curarsi dell’aspetto “spirituale”, psicologico ed esistenziale della persona portatrice del disagio. L’apertura all’altro, l’accoglienza e il servizio sono invece i primi valori che trasmettiamo agli scout, anche se nell’immaginario collettivo lo scoutismo è più che altro associato all’escursionismo, ai campeggi e all’immersione nella natura: tutte cose che ovviamente non mancano e che hanno la loro importanza, ma che senza il supporto di un’azione didattica ed educativa forte lascerebbero il tempo che trovano. Ecco perché a Como si privilegia quest’ultimo aspetto, nel rispetto di una tradizione che ha avuto inizio nei primi anni del dopoguerra e che continueremo a portare avanti con la massima serietà».

Come fo’ per? Come fo’ per essere considerato e rispettato? Sono un barbone perché ho la barba lunga, un borsone e sono senza un soldo? Homelessperché sono senza fissa dimora? Vabbè sarò disordinato ma devo fare il mascalzone per essere (un po’) considerato? Come mai si guardan gli indumenti e non i sentimenti? Ho capito, l’unica soluzione per cercar di salvar (mah?) codesto mondo è prender una grossa sacca, tramortirli (questi a modo?) metterli dento e finirli in quella grande vasca. Ferdinando Garaffa 72 Scarp de’ tenis marzo 2016

Dedicato a te Attraverso le nebbie delle nevi mancanti Primavera risbocci di ghirlande d’essenza Dolce Anima Bella profumi di incanti. Nel tuo viaggio nel navigar dell’io quando il tempo non esiste che di meraviglia. Apri la tua Luce illuminala d’oro se mi abbraccera di questa stretta nell’inspirare della tua Anima il respiro di musicali note in echi d’Infinito sarà il ritorno a quel principio espanso. Mino Beltrami


SCIENZE

Una coltivazione di palma da olio. Si stanno avviando coltivazioni che siano sostenibili dal punto di vista ambientale

L’olio di palma fa male, ma non più degli altri di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Sono molte le campagne che invitano a boicottare l’olio di palma per i suoi effetti dannosi che avrebbe sull’ambiente, soprattutto in realtà fragili come alcuni Paesi in via di sviluppo. Cerchiamo di capire quali sono i rischi “reali” che comporta questo ingrediente presente, a causa del prezzo ridotto, in tantissimi alimenti in vendita nei nostri supermercati. Dal frutto della palma da olio si ricavano olio di palma (ottenuto dal frutto) e olio di palmisto (estratto dai suoi semi): entrambi sono solidi o semi-solidi a temperatura ambiente, ma con un processo di frazionamento si possono separare in componente liquida (olio di palma bifrazionato, usato per la frittura) e solida.

Il suo successo è dovuto all’estrema produttività per parità di superficie (e costi), alla mancanza di un sapore “forte” e alla consistenza che lo rende ideale per le produzioni dell’industria alimentare. Sicuramente è un prodotto il cui consumo va moderato, perché presenta un alto contenuto di grassi saturi, quelli considerati “cattivi” per la salute. D’altra parte però è più salutare di burro, olio di cocco e burro di cacao. Questo significa che l’olio di palma è un grasso di media qualità, ma che non è peggiore di tanti altri.

di palma con altri grassi, quindi, non elimina il problema. Non è solo la questione salutare, però, che preoccupa. La produzione di olio di palma ha infatti provocato grandi disboscamenti delle foreste per far spazio alle palme da olio, con danni alla biodiversità e all’ambiente. Bisogna però chiarire alcuni aspetti: innanzitutto buona parte della pianta non serve per la produzione alimentare, ma per biocombustibili “alternativi”. La palma è infatti usata anche nella produzione di biodiesel, o come olio di palma poco raffinato miscelato con gasolio convenzionale, oppure lavorato per produrre un estere di metile dell’olio di palma. Si stanno anche sperimentando, anche se in piccole quantità, processi produttivi di biocarburante di seconda generazione. Produzione sostenibile Inoltre esiste fortunatamente l’interesse nel promuovere una produzione sostenibile di olio da palma, che sfrutti aree già piantate a palme o che favorisca la creazione di nuove aree forestali. Sostenibilità però significa anche considerare che per produrre la stessa quantità di un olio alternativo (e non per forza più salutare) sarebbe necessario utilizzare molta più terra. Anche in questo la soluzione sta innanzitutto nel promuovere un’alimentazione più sana e moderata, con un consumo minore di grassi saturi, qualsiasi sia la loro provenienza. Ne guadagnerà la nostra salute e l’ambiente.

Troppi oli con grassi saturi Il rischio per la salute non sta quindi nel consumo dell’olio di palma, ma nell’elevatissimo consumo di prodotti che contengono tanti grassi saturi. Sostituire l’olio marzo 2016 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2015 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Ivano, grazie al tempo passato in comunità e al lavoro a Scarp de’ tenis, sta tornando ad avere una vita

Ivano Un anno di Scarp «Il giornale mi ha regalato dignità» di Ivano Frare

info Sono 50 le parrocchie in diocesi di Vicenza, due i teatri e due i cineforum in cui da otto anni i venditori propongono Scarp. Ci si imbatte nelle 7 pettorine rosse vicentine anche ai mercati, ai supermercati e alle feste e ai convegni.

74 Scarp de’ tenis marzo 2016

VICENZA

Un anno a ScarpVicenza e, signori, per me un anno super. Facilitato anche dal fatto di aver trovato un gruppo in cui subito mi sono sentito a mio agio. Quando sono entrato a far parte del progetto stavo finendo l’ennesima comunità di recupero da droghe e alcool e, intanto, mi disintossicavo anche dalla “dipendenza della strada”. Sembra strano ma io ce l’ho. E nel momento in cui stavo rimettendo tutto in discussione, cercando di reintegrarmi nella società ho pensato che dovevo fare qualcosa. Insomma, darmi da fare, impegnarmi. Così mi sono ricordato che, parecchio tempo prima, avevo scritto poesie per il mensile di strada. Un mercoledì mattina mi sono presentato in redazione ed eccomi ancora qui, è già passato un anno. Non sarò di certo mai il venditore del mese, perché ciò che faccio mi basta. Mi dà l’opportunità di mettermi in gioco con le persone, perché quando chiedono di saperne di più sul giornale devi imparare a parlarci con cordialità e a non abbatterti quando, dopo aver spiegato per lungo e per largo, in risposta ti senti dire

“grazie non mi interessa”. Allora impari la pazienza, anche. Amo di più scrivere articoli e poesie; oppure muovermi a fare il giornalista free quando c’è qualche evento in città. Ma più di tutto amo partecipare al readingche la redazione ha messo in piedi in questi ultimi tre anni. Fare teatro a 360 gradi è un’attività bellissima, che si fa insieme e con il gruppo della redazione. Dopo essere stato varie volte in comunità, dopo le tante ricadute, dopo aver vissuto parecchio tempo in strada, se ora ho riacquistato la mia dignità è anche grazie a Scarp de’ tenis. Con questa esperienza mi sento felice e sto pure riconquistando l’affetto di mia figlia, il mio piccologrande universo. Il giornale mi ha riavvicinato anche alla fede, perché vendendo fuori dalle chiese, ho ricominciato a partecipare alla messa, e ho scoperto il mio tempo, quel tempo dove sono io e Lui, da soli. Questo è il mio Scarp de’ tenis. A tanti potrà sembrare una piccola cosa ma per me, che non avevo praticamente nulla se non molta solitudine e vuoto dentro, significa davvero tantissimo.




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