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Foto REUTERS/Yves Herman (courtesy INSP) - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

L’INTERVISTA

ERALDO AFFINATI: «DON MILANI, L’UOMO DEL FUTURO»

la le del i s n e Il m

strada

INCHIESTA “DOPO DI NOI” ANNAMARIA, FILOMENA, SARA: LA CASA DEI SORRISI GENTILI

www.scarpdetenis.it giugno 2016 anno 21 numero 202

Fiori che profumano di ‘ndrangheta DROGA NASCOSTA DENTRO I BOUQUET DA AMSTERDAM ALL’ITALIA. UN TRAFFICO DEL VALORE DI MILIONI DI DOLLARI GESTITI DALLA MAFIA CALABRESE. SCARP PUBBLICA L’INCHIESTA REUTERS SU COME LA MALAVITA ABBIA ALLARGATO I SUOI TENTACOLI IN DOZZINE DI PAESI NEI CINQUE CONTINENTI



EDITORIALE

Homeless day. Dagli Usa una buona idea da copiare

LA PROVOCAZIONE

Ospitalità diffusa. Per avere più speranza che paura di Luciano Gualzetti direttore Caritas Ambrosiana

di Stefano Lampertico [

@stefanolamp ]

Complimenti ai colleghi del San Francisco Chronichle, il quotidiano della città americana sul Pacifico. Sapete cosa hanno indetto e organizzato per il prossimo 29 giugno? Una giornata di comunicazione “virale” in cui in città si parlerà solo del problema degli homeless. L’obiettivo è indurre l’amministrazione della città a far qualcosa per la tragedia apparentemente ingestibile degli oltre sei mila senza fissa dimora – molti con problemi psichiatrici – il cui domicilio in continuo movimento sono le strade della metropoli. Più di 30 testate hanno aderito al progetto nella speranza di creare uno tsunami di informazione che costringa i politici ad agire. Tra pochi giorni sarò ad Atene, per incontrare gli altri giornali di strada del mondo. Sarà un appuntamento molto importante, soprattutto per conoscere e per poter replicare poi, idee e modelli vincenti. Come, nella sua semplicità, questa iniziativa del Chronicle capace di rompere il silenzio su un tema che a troppi, e troppo spesso, pare non riguardare. E invece, come abbiamo scritto su queste

pagine, nel numero di febbraio, anche in Italia si potrebbe fare molto di più per il popolo degli invisibili. Cambio registro. In coperti-

na, allo scintillare dei colori brillanti, fa da contrasto il tema dell’inchiesta della Reuters sui Fiori che profumano di ‘ndrangheta. Una inchiesta che mostra come le mafie negli anni abbiano allargato le proprie relazioni, i mercati su cui operare, le rotte illegali da battere. Su questo giornale abbiamo spesso parlato di mafie. E abbiamo spesso raccontato le esperienze di solidarietà che possono nascere dai beni confiscati e sottratti ai mafiosi. Lo facciamo anche su questo numero, accompagnando l’inchiesta con la storia che arriva da Cisliano, pochi chilometri da Milano, dove in una villa sottratta al clan Valle, ora c’è una casa di accoglienza per persone in difficoltà. Lo diciamo spesso. Potersi

giocare una nuova chance nella vita fa parte del Dna della nostra rivista, e dei nostri venditori. Per questo ci piace raccontare questo genere di storie. Storie che ci dicono come sia possibile ricominciare a nutrire speranze. Su ogni numero, in ultima pagina, c’è la storia del venditore del mese. Ecco. Storie così.

L’obiettivo è indurre l’amministrazione della città americana a far qualcosa per la tragedia apparentemente ingestibile degli oltre sei mila senza dimora il cui domicilio, in continuo movimento, sono le strade della metropoli

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it instagram scarpdetenis

L’appello di Papa Francesco del settembre scorso che invitava ad aprire le nostre comunità all’accoglienza diffusa dei profughi ha spinto Caritas Ambrosiana – così come le altre Caritas – nella ricerca di soluzioni concrete. Si tratta di mettere a disposizione dei posti per piccole accoglienze diffuse, nel territorio, in accordo con le autorità civili e la Caritas diocesana, con l’obiettivo di favorire nelle Parrocchie un impegno per l’integrazione. Il tema è delicato e complesso. Siamo in presenza di diversi aspetti che, come abbiamo sperimentato in questi mesi, non possono essere risolti con soluzioni e modelli standard. A metà maggio i numeri, nella dicoesi di Milano,ci dicono che sono 41 le parrocchie che hanno dato una disponibilità concreta di 235 posti. A questi si aggiungono 16 strutture da parte di Ordini Religiosi per 420 posti, 3 dell’Arcidiocesi per 142 posti, 7 strutture di Caritas per 26 posti. Per un totale di 823 posti. La vera sfida è dunque sul piano culturale. La rappresentazione di ciò che sta succedendo non sempre corrisponde alla realtà. La realtà è certo faticosa, complessa e deve essere affrontata con rigore e realismo. Ma non possiamo permetterci semplificazioni dettate dal pensiero comune su “invasioni”, sottrazione di posti di lavoro agli italiani, rischio di essere islamizzati… Oltre che smascherare queste rappresentazioni, la sfida è quella di far crescere relazioni più giuste e comunità più fraterne, ricordando che chi si mette in viaggio per giungere fino alle nostre terre ha in cuore più speranza che disperazione. Sarebbe un gran risultato se riuscissimo, anche grazie all’ospitalità diffusa, ad accompagnare le nostre comunità ad avere più speranza che paura. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

Con cinque sorrisi Scarp sdogana il selfie in copertina E così abbiamo sdoganato anche il selfie in copertina. Ci volevano cinque sorrisi stupendi per farlo. Di Annamaria, Filomena, Sara, Pietronella e Flavia. Che al 19 di viale Certosa hanno messo in piedi una “casa” speciale, dove ragazze con autonomia ridotta vivono insieme,

seguite da educatrici capaci e sveglie, provando e riuscendo a vivere una vita piena, in autonomia, ricca di attività. E con una casa da gestire. «Al 19 si sta bene», è il loro motto. E hanno ragione. Noi le abbiamo incontrate e i loro sorrisi proviamo a raccontarli nelle pagine che seguono. Intanto il selfie. Quello che state per leggere è un giornale come sempre ricco di servizi e di storie. La copertina è ricca di colori. E di profumi, che si possono solo immaginare con l’olfatto. Sono profumi però particolari. Scarp

pubblica in esclusiva l’inchiesta della Reuters che parte dal mercato dei fiori di una località vicino ad Amsterdam - capitale mondiale del commercio floreale - e porta in Calabria ma non solo. I traffici illeciti della ‘ndrangheta calabrese sotto la lente di magistrati, e di giornalisti capaci di raccontare. Un’inchiesta che merita davvero di essere letta e che mostra come la mafia sia stata capace in questi anni di allargare le proprie reti e di afferrare con i propri tentacoli mercati inesplorati come appunto quello dei fiori.

Sia ben chiaro che non penso alla casetta due locali più i servizi, penso invece a questo nostro pomeriggio di domenica, di famiglie

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.11 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.12 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.14 LA FOTO PAG.20 LE DRITTE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Paté PAG.55 VOCI DALL’AMERICA di Damiano Beltrami PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA Affinati: «Nello sguardo degli altri, come don Lorenzo» PAG.24 DOSSIER Al 19, la casa dei sorrisi PAG.30 COPERTINA Fiori che profumano di ‘ndrangheta PAG.38 MILANO La Masseria della mafia è tornata libera PAG.40 LA STORIA Ci vuole orecchio. Enzo Jannacci visto dai bambini PAG.43 VICENZA Scrittura curativa, così la detenzione aiuta a cambiare PAG.44 TORINO ”Case del quartiere” luoghi di socialità PAG.47 VENEZIA Vincenzo e Fabio fanno un lavoro che non esiste PAG.48 RIMINI A scuola si educa alla libertà PAG.51 VERONA Community music, suonare per stare tutti bene PAG.52 SUD Sartoria sociale: cucire anime e vestiti strappati PAG.56 VENTUNO Raddoppiare le rinnovabili per salvare il clima PAG.61 CALEIDOSCOPI Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI L’Officina della tammorra PAG.63 CASA DELLA CARITÀ Luigi, da detenuto a volontario PAG.64 COMO “Adozioni a vicinanza”

Scarp de’ tenis Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis giugno 2016

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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Foto Insp, Reuters (Yves Herman), archivio Scarp, Stefania Culurgioni Disegni Sergio Gerasi, Gianfranco Florio, Luca Usai, Loris Mazzetti, archivio Scarp


da

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Il men

aforisma di Merafina Il giornale La notizia tutti i giorni fa notizia. È sempre notizia. La si legge sul giornale, tutti i giorni. Il giorno dopo è già dimenticata. Il tweet di Aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

(ANSA) - Genova, 12 MAG - Sono stati trasferiti a Trapani i cinquanta profughi irregolari respinti in blocco dopo essere stati fermati a Mentone in Francia e trasportati fino a Genova

Cos’è

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

i, tante rate, pochi vizi, che verrà quando verrà... e cadenti come foglie... Quella cosa in Lombardia - tributo a Enzo Jannacci

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

Dove vanno i vostri 3,50 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

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TOP 15

Paesi per aspettativa di vita 1 2

Fonte: CIA World Factbook - solo Paesi Onu

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12 Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 190

Monaco Giappone Italia San Marino Singapore Andorra Svizzera Australia Svezia Liechtenstein Canada Francia Norvegia Spagna Ciad

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Elcograf Spa Verona

89,57 anni 85,46 anni 84,84 anni 84,58 anni 84,08 anni 82,65 anni 82,39 anni 82,07 anni 81,89 anni 81,68 anni 81,67 anni 81,66 anni 81,60 anni 81,47 anni 49,44 anni

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva via Pietro Trinchera 7 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Sud Caritas diocesana, Salita Corpo di Cristo, Teggiano (Sa) tel.0975 79578 info@caritasteggianopolicastro.it

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 5 giugno al 1 luglio

www.insp.ngo giugno 2016 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

Un po’ di cuore e comprensione Lo dice anche la Cassazione

di Paolo Lambruschi

Quanto costa un processo? Il tempo del magistrato, le parcelle degli avvocati, i costi vivi di un’aula di tribunale. E quanto costa ogni grado di giudizio? Il costo della giustizia, si dice. Giu-

La vicenda del senza dimora ucraino preso mentre rubava una confezione di wurstel da 4 euro in un supermercato di Genova. Per la Cassazione rubare per fame non è reato.

sto, ma perché mai il cammino della legge scritta nei codici non deve arrendersi davanti alla legge non scritta del buonsenso, che regola i rapporti umani? Non mi viene altro da dire di fronte all’epilogo di una vicenda assurda che abbiamo seguito nel suo evolversi. Si trat-

ta del senza dimora ucraino affamato beccato a rubare una confezione di wurstel del valore di 4 euro in un supermercato e rinviato a giudizio. La Cassazione il mese scorso lo ha definitivamente assolto stabilendo che rubare per fame non è reato.

Questa vicenda ha il merito di far luce su un bel po’ di paradossi che affliggono questo Belpaese. Il primo, scontato, è che il nostro sistema giudiziario è inflessibile con i morti di fame, mentre i grandi ladri la fanno franca. Purtroppo è vero. Devo dire

scheda

Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

che poi ci sono anche le persone che aiutano questo sistema. Penso sinceramente che il bravo cittadino che ha pervicacemente denunciato questo ladro per fame poteva risparmiarsi la bella prova di ferreo senso civico, magari sfogandosi chiedendo, che so, la volta successiva lo scontrino del caffè al barista o la ricevuta all’idraulico. Stavolta il nostro bravo soldatino non ha fatto il suo dovere, ha fatto il forte con un debole caricando i costi inutili del suo gesto – che ha innescato una assurda macchina giudiziaria – sul contribuente. Avrei preferito un altro finale, con questo signore che faceva il bel gesto di acquistarglielo lui, il pacchetto di wurstel al clochard.

Altro paradosso, che investe i titolari del supermarket. Sta per essere approvata dal Parlamento la legge anti spreco che agevolerà la donazione dei cibi freschi in scadenza a chi ne ha bisogno. Si sarebbe rovinato il negoziante se avesse precorso i tempi regalando all’affamato un pacchetto di salsicce in scadenza e quindi invendibili? Mi si obietterà che la proprietà privata è sacra, mi si citeranno i danni subiti annualmente dalla grande distribuzione per questi furtarelli, peraltro in aumento perché la gente povera aumenta. Li conosco bene così come conosco il comandamento che dice di non rubare. Infatti la Cassazione non impedisce la sorveglianza e la

prevenzione del furto, spiega solo con il linguaggio asettico della sentenza che sarebbe meglio usare la testa e il cuore e un pizzico di comprensione prima di chiamare i carabinieri e mettere in moto la macchina della giustizia. Magari indirizzando il clochard, la madre disperata con figli o il pensionato che non arriva a fine mese beccati a rubare alla più vicina mensa di carità. Non si chiede a nessuno di essere generoso per forza, ma a volte c’è un esercizio mentale che aiuta a stare meglio: occorre mettersi per cinque minuti, come dice un proverbio indiano, i mocassini di un altro. Cosa farei se mi trovassi solo e affamato in un Paese straniero, come penserei di cavarmela? Fino a che punto la mia dignità personale prevarrebbe sulla fame e sul bisogno? A me viene in mente anche quella frase del Vangelo che loda chi nutre un affamato. Perché costui aveva il volto nel Nazareno. Certo non fa figo dirlo sui social in questi tempi grami e cattivi, non c’è molta gente che ti mette i like se non la spari grossa. Ma si sta molto meglio immersi nel silenzio di un piccolo gesto di bontà. E questo è il paradosso più grande. Lo dice anche la Cassazione.

giugno 2016 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Quelli che “non vedono la mafia” O sono stupidi, o corrotti, o mafiosi Era il 1994 quando la procura antimafia di Milano, dopo aver messo sotto indagine quasi 400 persone, fece scattare l’operazione «I fiori della notte di San Vito». San Vito era il santo patrono del giorno delle manette, i «fiori», o le doti, sono i gradi dell’esercito criminale della ‘ndrangheta. Allora i di Piero Colaprico

clan calabresi erano ben presenti al Nord, anche se a parlarne erano magistrati, investigatori e giornalisti. Molto meno i politici. Adesso la ‘ndrangheta, dopo aver navigato come un sommergibile per decenni, è emersa ovunque, dall’Australia al Canada, da New York alla Colombia. L’ultima volta in Olanda, al mercato dei fiori, per l’appunto, come si legge su questo numero di Scarp a pagina 30.

E questo genere di «fiori» fanno pensare a Duisburg, città tedesca vicino a Colonia, famosa per aver ospitato la nazionale di calcio italiana: qui, nella notte di ferragosto del 2007, vengono uccise sei persone nel ristorante «Da Bruno», uno dei migliori, frequentato dai politici tedeschi. Su chi puntano il

scheda

Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

dito le indagini e i processi? Su Giovanni Strangio; che viene arrestato dove? Ad Amsterdam con Francesco Romeo, superlatitante. E su Francesco Nirta, che nel 2013 se ne stava tranquillo in un magnifico appartamento di Utrecht, sempre in Olanda. La più grave strage di mafia d’Europa ha visto il triangolo Calabria-Germania-Olanda. A indagini in corso, è difficile, se non del tutto sbagliato, attribuire a ogni persona coinvolta, citata, inquisita, intercetta, una patente da mafioso. Però anche gli olandesi che hanno messo le cimici tra i tu-

Serve una nuova consapevolezza: i criminali, soprattutto quelli organizzati, hanno bisogno per vivere meglio di politici corrotti

lipani del Royal Flora Holland sembrano sconcertati dalle conversazioni che ascoltano – lasciamo perdere le false polemiche di qualche tempo fa sull’Italia come della nazione più intercettata dell’Europa – e che «raccontano i racconti» di omicidi, affiliazioni, traffici. Come noi parliamo al telefono del nostro lavoro – «Che hai fatto oggi? Hai visto quel cliente? Com’è andato il pranzo?» – così anche i criminali parlano del «loro». E nella ‘ndrangheta il potere – chi comanda in un posto e perché – resta uno degli argomenti preferiti. A volte sembrano la rissosa sezione di un partito della lupara. Le intercettazioni, si dirà, non sono il Vangelo. Non v’è dubbio. Però, se noi pensiamo alle intercettazioni registrate anche nel Nord Italia, non solo nel Sud, non solo in Calabria, intessiamo una lunghissima trama infinita. Un nodo

importante si scioglie quando Luciano Liggio, capo di Cosa Nostra, viene arrestato in via Ripamonti a Milano, dove viveva. Esatto: viveva qui, in quel lontano 1974. E un altro si riallaccia poco tempo fa, quando il Raggruppamento Operazioni speciali (Ros) dei carabinieri, per ordine della procura antimafia di Ilda Boccassini, riesce a intercettare quello che accade in un capanno senza corrente elettrica in mezzo a un campo.

Gli uomini della ‘ndrangheta e le loro vedette si sentivano al sicuro, quando cominciò il rito: «Buon vespero e santa sera ai santisti! Giustappunto questa santa sera, nel silenzio della notte e sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna, formo la santa catena! Nel nome di Garibaldi, Mazzini e Lamarmora, con parole d’umiltà, formo la Santa Società». Chi racconta il crimine e chi lo combatte non fa politica, questo deve essere chiaro. Ed è anche

inutile ricordare tutte le volte che i politici hanno assicurato che «al Nord la mafia non esiste». Ognuno, se vuole, li ritrova facilmente su Internet. Ma a che serve rivangare?

Quello che serve sarebbe una nuova consapevolezza: i criminali, soprattutto quelli organizzati, hanno bisogno per vivere meglio di politici corrotti. Quelli che «non vedono» la mafia – che sia calabrese, siciliana, napoletana, milanese, bresciana, pavese, comasca – o sono stupidi, o sono corrotti, o sono mafiosi. Non esiste altra possibilità. E, forse, non dovrebbe essere ammessa, specie quando andiamo a votare. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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PIANI BASSI

#dirittoalvoto (e ben venga il cancelletto...)

di Paolo Brivio

Gli hashtag? (Si, i cancelletti-prezzemolo, che ormai esondano da twitter e tocca piazzare prima di ogni slogan, sennò si fa la figura degli antichi: #salviamoilpandagiamaicano, posto che in Giamaica esista un panda: perché, senza cancelletto e staccando le parole, salvarlo non si può?). Ecco, gli hashtag mi fanno potentemente venire il nervoso. Perché stamattina mi sono svegliato così: umorale. E perché di solito

tradiscono, in chi vi aderisce, il desiderio di seguire la corrente del messaggio di successo, invece di immergersi nelle sue (eventuali) profondità concettuali: malattia ahinoi endemica della comunicazione e del pensiero contemporanei.

l’autore Paolo Brivio, 49 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

Decidere chi deve decidere Sì, lo so, in un articolo non si dovrebbe divagare. Ma era per dire che bisogna discernere il grano dal loglio, tra gli appelli social che trafiggono la nostra quotidianità. E così, se di nove cancelletti su dieci si farebbe beatamente a meno, biso-

gna avere la pazienza di spigolare quell’uno che vale. Per il contenuto di verità cui prova a dar voce e ampiezza. An-

che se – pronostico facile, nel caso in questione –non raggiungerà mai il paradiso dei TT (trending topics, i cancelletti di maggior moda...). La mia spigolatura-segnalazione maturata in maggio, in vista degli albori di giugno, è dunque la seguente: #dirittoalvoto. L’appello vie-

ne da Fio.psd, la federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, e dall’associazione Avvocato di strada, e si sviluppa così: «Il prossimo 5 giugno si svolgeranno le elezioni amministrative per il rinnovo delle cariche di 1.368 comuni in tutta Italia. Da questo impor-

tante momento per la vita del paese rischiano di essere escluse le oltre 50 mila persone che vivono in strada». Fio.psd e Avvocato di strada si rivolgono ai sindaci, perché «si facciano garanti del diritto alla residen-

Appello di Fio.psd e Avvocato di strada: alle elezioni del 5 giugno possano partecipare anche gli homeless. Per farlo, bisogna prima riconoscere il diritto alla residenza anagrafica. E smettere di ridurre le persone senza dimora ai loro bisogni biologici

za delle persone che vivono in strada nel loro territorio, consentendo loro di votare e rispettando un loro diritto costituzionale». Il proble-

ma, notorio, è infatti l’assenza, nel paese, di criteri di omogeneità per il riconoscimento della residenza anagrafica: ogni comune fa prassi a sè.

E se è già abbastanza grave che non tutti i senza dimora in Italia possano vedersi trattati allo stesso modo, quanto all’accesso all’anagrafe, altrettanto serie sono le conseguenze: tra cui, appunto, la possibilità o meno di votare, ed essere votati. Si dirà, abbeverandosi al senso comune: «Ma a un homeless interessano un tetto sulla testa, un cuscino sotto la testa, un piatto di risotto. L’elettorato, attivo e passivo, se non è un lusso, non è neanche una priorità». Beh, che sopravvivere sia

prioritario, non c’è bisogno di dimostrarlo. Ma stiamo par-

lando di uomini (donne). Che hanno cervello e cuore. Ragioni e passioni. E opinioni. E ambizioni (quantomeno di partecipazione). E la volontà di decidere, con gli altri, chi debba decidere delle faccende pubbliche, quelle che condizionano la loro vita, come la vita di tutti. Insomma, anche stavolta, soprattutto questa volta, si tratta di

non ridurre il senza dimora al conglomerato dei suoi bisogni biologici e di assistenza materiale, riconoscendone inve-

ce lo statuto di persona. E di cittadino. Se un cancelletto serve alla causa, ben venga il cancelletto... giugno 2016 Scarp de’ tenis

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Alex Schwazer E il diritto a risollevarsi Pochi atleti hanno percorso il tragitto Paradiso-Inferno- Paradiso come Alex Schwazer. Passando per il

di Gianni Mura Due immagini della recente vittoria di Alex Schwazer ai mondiali di marcia a squadre tenutisi a maggio, a Roma. La maschera della fatica e l’abbraccio con Sandro Donati, dopo la gara

scheda

Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

12 Scarp de’ tenis giugno 2016

Purgatorio di una squalifica per doping (Epo, tanto per cambiare), durata 3 anni e 9 mesi. Alex avrà 32 anni in dicembre, è diventato famoso vincendo nel 2008 la 50 km di marcia, una delle specialità più massacranti, o meno leggere se preferite, dell’atletica leggera. Alto, biondo, occhi azzurri, il classico bel ragazzo. Bella, famosa e vincente anche la sua fidanzata, Carolina Kostner, che volteggia e incanta pattinando sul ghiaccio.

Tutto salta per aria il 6 agosto 2012, quando mancano 5 giorni alla gara olimpica di Alex a Londra.

ph: REUTERS/Max Rossi (courtesy of INSP)

senza dimenticare il passato.

È stato trovato positivo in un controllo a sorpresa effettuato il 30 luglio. Il Coni lo esclude dalla spedizione azzurra. Lui non si difende e nemmeno, in verità, dà spiegazioni molto chiare. Però piange come un vitello, nella conferenza-stampa, e chiede scusa a tutti infinite volte. Non si sottrae a nulla e quasi nulla gli rimane. Gareggiava per il Gruppo Sportivo Carabinieri: si presenta per restituire tessera e pistola, viene congedato. Aveva sponsor di peso: spariscono tutti. Dove vive, a Ca-

Tutto salta per aria il 6 agosto 2012, cinque giorni prima della gara olimpica di Londra. Viene trovato positivo in un controllo a sorpresa effettuato il 30 luglio. Il Coni lice, minuscola frazione di Racines, lo sostengono. lo esclude dalla Altrove, molti preferisco- spedizione azzurra no evitarlo. La conseguenza

più dolorosa è la rottura del rapporto con Carolina, ma è colpa di Alex. Le ha chiesto di mentire il giorno di un controllo a sorpresa, di dire a quelli dell’antidoping che no, non era in casa Alex, che non aveva idea di dove fosse. E invece lui in casa c’era, e per quella bugia detta per

amore Carolina è squalificata per 16 mesi. La sua vita e la sua carriera sono ferite. Quanto a Schwazer, sembra finito. Cattivi pensieri gli tengono compagnia, finché non gliene arriva uno bello: ricominciare da zero, ma

Così Alex si rimette in gioco e per dimostrare la serietà delle sue intenzioni si affida a Sandro Donati, da molti anni conclamato cavaliere bianco nella lotta al doping. Manca circa un anno alle Olimpiadi di Rio. Donati accetta, ponendo strette condizioni. È un duro,

contro il doping, ma capisce il lato umano: a tutti viene data una seconda possibilità. Così Schwazer si trasferisce a Roma, in periferia, alla ricerca dello Schwazer che era, che non aveva bisogno di aiuti chimici prima di cadere nelle tentazione e venire scacciato dalla luce, come Lucifero.

Vita dura, allenamenti duri, svolti indossando la maglietta di Libera. Tutto a spese sue, sponsor non ne ha. Ha solo la sua volontà e, dalla sua parte, Donati, e non è poco, perché se sull’etica a Sandro nulla si può rimproverare sull’atletica poco ha da imparare. Oltre a svuotare l’armadietto di


LE STORIE DI MURA

Alex dai medicinali, anche quelli leciti, tipo integratori, gli dà consigli su una più opportuna postura dei piedi. In breve, Alex

va forte e aspetta con ansia la scadenza della squalifica per poter gareggiare e ottenere, grazie al tempo ottenuto, il visto per Rio de Janeiro.

E Donati è soddisfatto: se Schwazer torna a essere competitivo senza doping, quale spot migliore si potrebbe inventare per l’antidoping? Se Schwazer torna tra i primi del mondo viaggiando a pane e acqua, come si dice in gergo, è una bella botta alle convinzioni e alla pratica di chi ritiene il doping indispensabile? Ragionamento che fila ma che non a tutti piace. Pochi giorni prima dei 50 km a Roma, cioè del ritorno agonistico di Schwazer, il primatista mondiale indoor di salto in alto, Gianmarco Tamberi, scrive su Facebook:

Alex si rimette in gioco e per dimostrare la serietà delle sue intenzioni si affida a Sandro Donati, da anni conclamato cavaliere bianco nella lotta al doping. Donati accetta, ponendo strette condizioni «Schwazer vergogna d’Italia, squalificatelo a vita, la nostra forza è di essere puliti, noi non lo vogliamo in Nazionale». Parole pesanti come pietre, che da un lato ignorano i regolamenti (chi sbaglia paga ma una volta che ha pagato può tornare a ga-

reggiare) e dall’altro quel minimo di solidarietà tra atleti. Parole fin troppo pesanti. Come vergogna d’Italia, secondo me, molte precedono un marciatore dopato che, alla fine dei conti, ha fatto male solo a se stesso, perché la medaglia di Pechino è pulita e da dopato Schwazer non ha vinto nulla. Come vergogne d’Italia, mi sembra che la disoccupazione giovanile, le tasse non pagate dai più ricchi, le pensioni da fame siano piazzate meglio, e potrei continuare con l’elenco. Come Tamberi la pensano altri azzurri. Il test Schwazer l’ha ampiamente superato con un 3.39’ non lontanissimo dal 3.37’09” che gli valse l’oro a Pechino. Andrà quindi a Rio, dal suo punto di vista nessun problema: «Ho scontato la condanna fino all’ultimo giorno, adesso posso camminare a testa alta». Non sarà tra i favoriti, al massimo un outsider, probabile che

ci siano abbracci con Tamberi, o che mangino allo stesso tavolo, ma questo ha un’importanza relativa.

C’è qualcosa, in questa storia di colpe e di riscatti, che richiama la parabola del Figlio prodigo, ma anche la vita di tutti i giorni, dove si può sbagliare per debolezza, per immaturità, perché si va appresso a qualcuno di cui ci si fida. Ho sempre combattuto una frase fatta: lo sport è una metafora della vita. Non è una metafora, è parte della vita. C’è chi va in galera, chi si buca (la droga è un doping non finalizzato) ma tutti hanno il diritto di ricominciare, di risollevarsi.

Per questo la storia di Alex Schwazer e Sandro Donati, la più strana coppia che si potesse immaginare, può essere presentata come una storia di sport. Ma è, soprattutto, una storia di vita.

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LA FOTO

REUTERS/Jason Lee

scheda

Uno straordinario reportage della Reuters tra i lavoratori del settore tecnologico in Cina. Ma Zhenguo, è un ingegnere della RenRen Credit Management Co. di Pechino. Nella foto, dorme su una brandina, in ufficio, dopo avere finito di lavorare a notte fonda. courtesy Reuters/INSP

Ci sono ingegneri che lavorano su turni di 72 ore, concedendosi ogni tanto qualche riposino sul pavimento. Come Dai che, dopo aver lavorato nell’industria tecnologica e dormito 15 anni sulla scrivania o su qualsiasi altra superficie piatta, l’anno scorso ha co-fondato una propria società di cloud computing. Una delle sue prime disposizioni: montare 12 letti a castello in un angolo appartato dell’ufficio. È ormai frequente vedere impiegati dormire sul luogo di lavoro in Cina. Il settore tecnologico cinese sta prosperando così velocemente che molte start-up riescono ad assumere nuovo personale, obbligando i dipendenti a lavorare sino a tarda notte per rispettare le scadenze giugno 2016 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa Giovani europei colpiti dalla crisi di Enrico Panero Le ricadute sociali della crisi economico-finanziaria degli ultimi anni nell’Ue sono ormai note, anche e soprattutto sui giovani che hanno vissuto un generale incremento delle difficoltà. Sono aumentati i problemi nei passaggi scuolalavoro, con un tasso medio di disoccupazione giovanile salito oltre il 20% ma molto più elevato in alcuni Paesi come Grecia, Spagna e Italia; il 16% circa ha addirittura rinunciato allo studio e alla ricerca di lavoro (i cosiddetti NEET - not in employment, education or traning), mentre 90 milioni di ragazzi tra i 15 e i 29 anni sono a rischio di povertà o esclusione sociale, cioè quasi il 30% dei nati in Europa e il 48% dei nati all’estero. Ora sono i giovani stessi a dichiarare di sentirsi esclusi a causa della crisi, come emerge da un recente sondaggio Eurobarometro svolto in aprile nei 28 Stati membri dell’Ue su un campione di oltre 10 mila giovani dai 16 ai 30 anni. Oltre la metà degli intervistati (57%), infatti, ha manifestato l’impressione di essere stato marginalizzato dalla crisi e di conseguenza si sente escluso dalla vita sociale ed economica. Una percentuale che nei Paesi maggiormente colpiti dalla crisi supera i due terzi: quasi 80% in Italia e Spagna, 86% in Portogallo, addirittura 93% in Grecia. La sensazione è fondata, come conferma la Relazione dell’Ue sulla gioventù 2015 secondo cui gli anni di crisi «hanno messo in pericolo le possibilità di inclusione sociale per un gran numero di giovani europei», limitandone in alcuni casi persino l’accesso a beni e servizi di base: cibo, assistenza sanitaria, alloggio.

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Opera San Francesco grandi numeri per l’accoglienza a a Milano Il Bilancio Sociale 2015 di Opera San Francesco evidenzia il crescente lavoro sul campo degli operatori e volontari.

Nel corso dell’ultimo anno si sono rilevati cambiamenti importanti nei flussi migratori. Ma Osf ha assicurato qualità e quantità dei suoi servizi. A cominciare dalla mensa, con quasi ottocentomila pasti offerti fra pranzo e cena. Seguono i servizi di igiene personale sia per le docce maschili

che femminili: nel complesso 66 mila nel corso dell’anno. Il Guardaroba ha consentito la distribuzione di più di 150 mila capi di abbigliamento. Il Poliambulatorio conta su 190 medici volontari. L’attività di distribuzione dei farmaci rappresenta un servizio importante. Anche l’Area Sociale, nel corso del 2015, ha ampliato e perfezionato i propri servizi, che vanno dall’accoglienza al reinserimento. Il Bilancio Sociale presenta un focus dedicato all’utenza femminile che, in sei anni, è aumentata di circa il 40% con la conseguente necessità di adeguare le informazioni e gli orientamenti alle richieste provenienti dalle donne come, per esempio, il guardaroba e le cure mediche. Info www.operasanfrancesco.it

street art Outside the cube i gemelli all’Hangar Bicocca Efêmero è il nome del primo intervento del programma, Outside the Cube, dedicato alla Street Art e alle forme d’arte legate al contesto urbano e pubblico che ha preso avvio all’Hangar Bicocca di Milano. Il progetto durerà due anni, fino all’aprile 2018: l’area di oltre mille metri quadrati all’esterno dell’edificio del Cubo di Pirelli HangarBicocca, viene messa a disposizione per interventi site-specific a cadenza annuale e commissionati ad artisti internazionali. Il primo lavoro che può essere già visitato si chiama Osgemeos, i gemelli, pseudonimo dei fratelli Gustavo e Otávio Pandolfo (1974, San Paolo, Brasile), che hanno presentato il loro primo grande murales in Italia proprio in occasione dell’inaugurazione. Il lavoro dei due artisti è ispirato alla storia dell’edificio Pirelli HangarBicocca, dove nel secolo scorso si fabbricavano locomotive di treni. Info hangarbiccoca.org

on

off

Ottanta discoteche della capitale tedesca hanno raccolto 40 mila euro chiedendo ai vip di versare un euro per la campagna Plus1 che mira ad aiutare le organizzazioni no-profit che assistono i migranti . La risposta è stata buona; la campagna è partita nell’ottobre 2015 e nei contenitori collocati all’ingresso dei locali sono stati depositati oltre 40 mila euro. In particolare, sono state scelte tre associazioni: SeaWatch, che nell’estate 2015 ha salvato più di 2 mila persone nel Mediterraneo e lo scorso inverno ha lavorato a Lesbo e in Turchia, Moabit hilft! che si occupa di lavoro e salute, e Der Flüchtlingsrat Berlin impegnata nella difesa dei diritti. L’idea della Campagna Plus1 nasce dagli Arcade Fire, una rock band canadese che ha fondato un’organizzazione chiamata appunto Plus One per raccogliere fondi a sostegno della popolazione di Haiti dopo il terremoto del 2010.

Anno 2015: per l’azzardo online gli italiani hanno speso 821 milioni di euro, per il calcio ne hanno tirati fuori 268 milioni, per il cinema 631 milioni e per il teatro 365 milioni. Un mercato in mano a pochissime multinazionali. A rivelarlo il rapporto dell’Osservatorio gioco online del Politecnico di Milano. Tra i mercati dell’entertainment, quello del gioco d’azzardo online è cresciuto più degli altri con un +13%. Secondo l’indagine il gioco d’azzardo online è in mano a poche multinazionali: le prime 10 detengono il 75% del mercato. Rispetto al 2011, quando le imprese del settore erano ben 274, c’è stata una costante concentrazione del business in grandi operatori. Ma il 41% delle imprese scomparse in questi anni in realtà è stato acquisito o si è fuso con altri operatori. Sono le slot macchine (+41%) e le scommesse sportive (+25%) a trainare il mercato. Nelle casse dello Stato sono entrati 205 milioni di euro. Gli italiani giocano sempre di più tramite tablet e smartphone.

Berlino: dalle discoteche un euro in più per i rifugiati

L’azzardo online batte calcio, teatro e cinema.


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

TgRom. Il primo tg realizzato dai ragazzi rom

Genesi Salgado in mostra a Genova Genesi è un memorabile viaggio fotografico nei cinque continenti per documentare con immagini in bianco e nero la rara bellezza del nostro Pianeta. Seba-

© Sebasti˜ao Salgado / Amazonas Images / Contrasto

stiao Salgado è considerato il più grande fotografo dei nostri tempi, e questo lavoro lo dimostra pienamente. Genesi è uno sguardo, di più, una preghiera dell’artista nei confronti dell’uomo contemporaneo per far sì che quest’ultimo trovi la forza di salvaguardare ciò che resta del nostro Pianeta. A Genova, Palazzo Ducale, in mostra oltre duecento fotografie in bianco e nero. Fino al 26 giugno. Info www.palazzoducale.genova.it

pillole homeless Ai nastri di partenza la Homeless Football World Cup 2016

mi riguarda

Ammappalitalia.it Scommetti che posso andare a piedi?

Il progetto Ammappalitalia.it è un archivio digitale e collettivo dei cammini d’Italia. Ma anche un progetto di turismo e mobilità sostenibile. Nasce grazie alla passione del camminatore romano Marco Saverio Loperfido che, dopo essersi laureato in Filosofia, si è trasferito in un paesino della provincia di Viterbo e da qui ha scommesso che tutta l’Italia sia percorribile a piedi, senza macchina, treno o bus. L’idea di fondo è che ognuno possa condividere i percorsi a piedi che conosce. Una mappatura del territorio italiano. In questo senso Ammappa l’Italia è un progetto collettivo. «Così come Wikipedia è un’enciclopedia del sapere costruita da utenti di ogni parte del mondo, così Ammappa l’Italia vuole diventare un’enciclopedia, libera e gratuita, dei sentieri, delle strade bianche, delle mulattiere» ha spiegato Loperfido. Oggi, su Ammappa l’Italia, si trova un archivio con oltre 300 percorsi a piedi, in bici o a cavallo (oltre 3 mila km mappati). Info www.ammappalitalia.it

Un torneo mondiale di calcio tra squadre composte interamente da persone senza fissa dimora. Con ingresso gratuito. Gli organizzatori attendono un pubblico di oltre 100 mila spettatori e soprattutto sperano che la manifestazione sia un momento di ottimismo e speranza. Infatti per ciascuno dei giocatori il Mondiale rappresenta una tappa del cammino personale verso un futuro più stabile. Ad ospitare la quattordicesima edizione dell’evento sarà Glasgow. Il fischio d’inizio è previsto per il 10 luglio e il torneo vedrà fronteggiarsi 512 giocatori appartenenti a 64 nazionali di tutto il mondo. Il Messico si è aggiudicato la vittoria della scorsa edizione del torneo. Quest’anno tutti avranno un solo obiettivo: sottrarre la coppa ai campioni in carica.

TgRom è confezionato e lavorato da una trentina di ragazzi tra i 13 e i 28 anni. Si chiama TgRom perché i ragazzi e le ragazze, giornalisti in erba, sono tutti rom coordinati in questo progetto dall’associazione Idea Rom, mentre della loro formazione si sono occupati i giornalisti della testata Nuova Società. Coraggiosamente, il loro primo servizio hanno voluto dedicarlo alla percezione che i torinesi hanno del popolo rom. Naturalmente i vari luoghi comuni (rubano, puzzano ecc ecc.) sui rom non sono stati risparmiati all'intervistatrice... di etnia Romanì. Torino è la prima città italiana che sperimenta questo progetto, ispirato ad alcune trasmissioni già avviate con successo in paesi come Serbia, Macedonia o Romania. Tante le richieste di ragazzi e ragazze rom di altre città, tanto che la direttrice del TgRom sta pensando ad ampliare la rete con corrispondenti da altre città. Info www.tgrom.it

Donne straniere cuoche a domicilio Via Padova, il quartiere multietnico di Milano, torna a far parlare di sé. Dopo la creazione del sito Lasciaredelletracce.it con le video ricette, ha preso il via una nuova iniziativa grazie a un gruppo di donne di diverse etnie. Cuoche a domicilio: per chi vuole organizzare una cena speciale, con sapori e profumi del mondo. «Il progetto è nato un paio di anni fa, con laboratori e incontri tra donne che hanno deciso di raccontarsi anche attraverso i piatti dei propri Paesi d'origine», spiega Federica Bosi, dell'Associazione Villa Pallavicini. Sul sito alcune ricette che le donne di Cuoche a domicilio possono realizzare: dai piatti unici, al pane e ai dolci. Info www.lasciaredelletracce.it giugno 2016 Scarp de’ tenis

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Dove abiti o dove vivi? Caterina Cortese Per un comune cittadino rispondere a questa domanda non fa la differenza. Per “Antonio” che vive da tre anni sotto il ponte tiburtino nel cuore di Roma o per “Maria” che faceva la badante a Padova e ha perso lavoro e casa sì! La questione della residenza, quando è legata ad una abitazione, è una questione delicata e per niente scontata. Vivendo in uno stato di diritto, il riferimento alla normativa di settore è inevitabile, soprattutto perché la residenza porta con sé un sistema di diritti e doveri su cui si basa l’organizzazione politica, sociale ed economica della nostra società e la sua coesione sociale (il diritto al voto, il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il dovere contributivo, la partecipazione, la previdenza). La fio.PSD ha dedicato un intero paragrafo al tema della residenza all’interno delle Linee di Indirizzo per il Contrasto alla Grave Emarginazione Adulta in Italia (par. 2.2. pag. 45). La questione della residenza si risolve nel riconoscimento di un diritto per ogni cittadino stabilmente presente in territorio comunale di iscriversi alle liste anagrafiche del Comune in cui si è reperibili (anche presso vie fittizie o altri tipi di alloggio) (Legge 1228/54; DPR 223/89; Codice Civile); nonché in un dovere da parte del Sindaco, in qualità di ufficiale di Governo, di applicare, senza forzature o prassi lesive dei diritti dei cittadini (Circ. Ministero degli Interni n. 8 - 29 maggio 1995) quanto previsto dalla legge nazionale di cui sopra. Spetta quindi allo Stato sociale rafforzare questo circuito di diritti-doveri garantendo azioni di supporto e percorsi di emancipazione delle persone con residenze riconosciute ma ancora fragili. Info www.fiopsd.org

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foto di Pietro Costanzo (www.lucarandazzo.it)

IN BREVE

Luca Randazzo ha raccolto nel diario gli scritti di Sunita, la ragazzina rom, che, con la moglie e gli altri figli, ha accolto nella propria casa

TRE DOMANDE

Diario di Sunita Parole, per battere i pregiudizi di Daniela Palumbo

Sunita è una bambina rom che viveva con la sua famiglia in una baracca in mezzo a una pineta, senza corrente elettrica né servizi igienici. Il luogo è Pisa ma potrebbe

essere ovunque. In certi luoghi non c’è posto per la scuola. Soprattutto se vieni sgomberato un giorno sì e l’altro pure. Però Sunita vuole andare a scuola. Perché le piace imparare. E ne ha diritto. Allora accetta di vivere a casa di uno scrittore e maestro elementare, Luca Randazzo: abitando vicino alla scuola riesce a essere puntuale e a fare i compiti, come tutti i bambini gagé, i non-rom. Diario di Sunita, Rizzoli, racconta la storia di questa ragazzina che all’epoca dei fatti aveva 10 anni. Attualmente, Luca e la moglie Clelia

ospitano Sunita (13 anni) con la sua famiglia, le offrono una casa confortevole e una bicicletta per andare a scuola, nel weekend Sunita torna al campo. Una dop-

pia vita raccontata con tono irriverente in un diario scritto da Sunita, Luca lo ha “solo” raccolto in un racconto. Le vendite del libro serviranno a finanziare l’associazione Articolo 34, fondata da Randazzo insieme ad altri abitanti del quartiere per aiutare Sunita e i bambini come lei a riappropriarsi del diritto di imparare, come recita la nostra costituzione, nell’articolo 34. Qual è la situazione di Sunita e famiglia oggi?

Siamo in 12 nel mio appartamento di 100 mq. È una situazione transitoria, in seguito all’ennesimo sgombero del Comune. L’associazione (www.articolo34.org) è riuscita ad ottenere che l’ente locale paghi un anno di affitto in un appartamento a Sunita e alla famiglia. Non è stato semplice trovare qualcuno che ci affittasse una casa. Sunita è andata a scuola in maniera saltuaria negli ultimi due anni. Ora frequenta regolarmente e forse sarà ammessa all’esame di terza media. Pare che il suo esame ruoterà proprio intorno al libro. L’associazione Articolo 34 cresce. Seguiamo una ventina di ragazzi e bambini che prima non riuscivano a frequentare la scuola e ora vanno con regolarità, abbiamo interlocuzioni aperte con i comuni di Pisa e Cascina, abbiamo aperto un doposcuola. Il tutto in meno di 6 mesi. E Sunita che vuol fare da grande? (Luca Randazzo preferisce che sia la ragazzina a rispondere) Voglio continuare a studiare. Quando avrò dei figli e i miei amici avranno dei figli faremo un’associazione per aiutarli a studiare. Vorrei anche viaggiare con la mia amica Marta e andare in Macedonia, dove non sono mai stata, per farle conoscere i miei parenti e mostrare come vivono lì. Cos’è l’ingiustizia Sunita? Per me l’ingiustizia è quando quelli che non hanno documenti non possono avere una casa e devono tornare al loro Paese. È anche quando alcuni stranieri vogliono affittare una casa e gli dicono che è già affittata, ma in realtà non è vero; è che non la vogliono affittare agli stranieri.


IN BREVE

Due appuntamenti per sostenere la Ronda della Carità Due appuntamenti culturali organizzati da Ronda Carità per sostenere progetti a favore dei senza dimora. Insieme a Fondazione Verdi, Ronda Carità e Solidarietà Onlus offre alcuni posti tra le prime file dell’Auditorium di Milano (largo Mahler) per il concerto di giovedì 9 giugno alle ore 20.30: Tchaikovsky “Ro-

meo e Giulietta” Ouverture Fantasia; Šostakovic Concerto per pianoforte e orchestra n. 1; Tchaikovsky Sinfonia n. 6 op. 74 “Patetica”: Direttore Jader Bignamini, tromba Alessandro Caruana, pianoforte Angela Hewitt. Un posto in poltrona scontato a 28 € e la certezza di sostenere, a suon di buona musica, tutti i progetti in corso. Per prenotare: inviare una mail a comunicazione@rondacaritamilano.com o contattare telefonicamente la sede (la prenotazione verrà confermata al momento del pagamento). I biglietti si ritireranno la sera stessa del concerto 30 minuti prima dell’inizio.

Venerdì 10 giugno, invece, l’appuntamento è alle ore 20.45 al Centro Pime di Milano (via Mosè Bianchi 94, ingresso gratuito) per la presentazione dell’ultimo libro dello psichiatra e psicoterapeuta Leonardo Maralla, Il cercatore di

scartini e di alcune sue opere realizzate con materiali di recupero (www.leonardomaralla.it): il ricavato della serata sarà de-

Un’opera di Donatello descritta col linguaggio dei segni Il pulpito della Resurrezione è una grandiosa opera dell'artista Donatello e si trova a Firenze, nella splendida basilica di San Lorenzo. La novità riguarda proprio l'opera di Donatello che d'ora in poi potrà essere apprezzata anche dalle persone non udenti. L’Opera Medicea Laurenziana, infatti, mette a disposizione dei visitatori del Pulpito della Resurrezione una descrizione dell’opera anche nel linguaggio dei segni. Nella basilica dedicata a San Lorenzo è stata allestita recentemente una passerella per permettere ai visitatori di osservare da vicino i dettagli del capolavoro. La visita ora è corredata da una app gratuita in italiano e inglese, oggi disponibile anche in Lis. I video sono sottotitolati per consentire a tutti coloro che hanno una disabilità uditiva di poter comprendere la complessità e la forza dell'arte di Donatello.

voluto a Ronda Carità e Solidarietà Onlus e alla Comunità Oklahoma Onlus. Info: www.centroheta.it www.rondacaritamilano.com

LA STRISCIA

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LE DRITTE DI YAMADA

C’è una torta che ti aspetta La magia nel libro per bimbi

Visitare i carcerati «La misericordia verso i detenuti è un dovere dell’essere umano», scrive Giovanni Nicolini, parroco a Bologna e impegnato nel carcere. I detenuti in realtà sono solo meno amati, di coloro che godono della libertà. L’opera di misericordia della visita ai carcerati, è un atto d’amore disinteressato, ma troppo spesso lasciato all’iniziativa dei familiari e di pochi volontari.

scaffali nostrani da Babalibri.

Due mesi fa sono stata alla Fiera del Libro per Ragazzi, a Bologna. Passeggiando per i padiglioni –dove ogni aprile, da 50 anni, editori di tutto il mondo si ritrovano per fare il punto e lanciare temi e linguaggi dentro storie che parlino al cuore dei lettori di ogni età – ci si muove in un’enclave magica in cui si è di continuo attraversati da stimoli e sentimenti. Questo

succede davvero ad ogni passo, prendendo in mano libri diversi in ogni minuto della giornata-tipo in fiera. E ci si può appassionare a una storia, o alle sole illustrazioni, o a un piccolo personaggio (come nel libro che quest’anno ha vinto una menzione speciale, This Is Prague dell’editore cecoslovacco Baobab, che ha come protagonista un cagnolino delizioso, Punter, che si perde nella meravigliosa Praga e che a fine libro viene riconsegnato alla sua padrona,una vecchina altrettanto deliziosa). O ci si innamora pazzamente di un libro che non puoi portarti a casa in nessun modo e che, neppure, verrà tradotto: il genere di amore impossibile che mi fa fotografare tutto il librino in questione dall’inizio alla fine.

L’innamoramento che va a buon fine è quello con un ti-

tolo straniero che verrà editato in Italia. Due i casi finiti bene: Un Minuto, coedito da Corraini, e C’è una torta che ti aspetta di Philip Waechter, portato adesso sugli

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Quando un libro illustrato mi piace lo capisco dopo poche battute. E se lo compro, preferisco finire di leggerlo a casa, perché intuisco che mi emozionerà. Così è successo col tenero librino della torta

il libro

C’è una torta che ti aspetta di Philip Waechter

Quando un libro illustrato mi piace lo capisco dopo poche battute. E, se lo compro,

preferisco finire di leggerlo a casa, perché intuisco (e mi aspetto) che mi emozionerà. Così è successo col tenero librino della torta: comprato in Fiera, l’ho finito di leggere di sera sul treno che mi riportava a Milano. Protagonista della storia è un maialino che già sulla copertina fa la cosa bella che mi ha conquistato: getta in mare una bottiglia con un messaggio dentro. Il libro ha questa suddivisione: sul fondo bianco delle pagine di sinistra leggeremo il testo della lettera che, nella bottiglia, galleggia verso il destinatario. Sulle pagine di destra, invece, ci sono le bellissime illustrazioni di quello che succede alla lettera in mare: vediamo chi le si avvicina su una barchetta, addirittura che viene risputata dallo sfiatatoio di una balena che se l’era pappata, e che cercano invano di pescarla con un retino. Ma cullata dalle onde, invincibile e affidabile, la bottiglia raggiunge su una spiaggia un altro maialino, che è chissaddove davanti al mare. La prende in mano, legge il messaggio e – meraviglia! –scopre che è per proprio per lui. Non sa quanto tempo la bottiglia ci abbia messo ad arrivare lì. Sale sulla bicicletta e va dal suo amico: c’è una torta di mirtilli che lo aspetta. «Sulla torta non ci starebbe male della panna montata...», dice la lettera, e lui si ferma a comprarla. Nel magico finale, i due amici su un’amaca si gustano la torta con la panna sopra. E se proprio si guarda bene, di torta e di panna ce n’è anche per noi.

Giovanni Nicolini Visitare i carcerati EMI, euro 7

Non avrete il mio odio Antoine Leiris ha perso la moglie, assassinata al Bataclan, a Parigi. Devastato dalla perdita, ha scritto una lettera ai terroristi. Venerdì sera avete rubato la vita di una creatura eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, ma non avrete il mio odio. Siete anime morte. Se quel Dio per il quale uccidete ciecamente ci ha fatti a sua immagine, ogni proiettile nel corpo di mia moglie sarà stato una ferita al cuore per lui. Antoine Leiris Non avrete il mio odio Corbaccio, euro 8.50

Una storia di disastri e di sogni

[ a cura di Daniela Palumbo ]

testo di Yamada

Un’isola che si sta spopolando, un gatto bianco sornione, un medaglione prezioso gettato su una bara di una vecchina di 105 anni e dei preziosi gioielli rubati. Indizi insignificanti se non fossero capitati a una ragazzina di nome Susi, 12 anni e una testa fina. Giuliana Facchini Il segreto del Manoscritto Notes Edizioni, euro 10


VISIONI

«Il padre piano piano riesce a entrare in contatto e a vivere sua figlia in un’altra maniera». Si riscatta, anche se riscattare è un verbo che non mi piace appioppare ai personaggi» (Valerio Mastandrea)

In nome di mia figlia, il film con Auteil Daniel Auteil è il padre di Kalinka, 14 anni, che muore mentre è in vacanza in Germania con madre e patrigno. Il padre è convinto che non sia un incidente. Gli esiti di un’autopsia sembrano confermare i suoi sospetti e lo spingono ad accusare di omicidio il patrigno, dottor Krombach. Dedicherà la sua vita a farlo incriminare.

Fiore L’amore in carcere

Il giorno di Pedro Almodóvar, Marco Bellocchio e dei fratelli Dardenne, in realtà, è tutto di Fiore. La nuova opera di

Claudio Giovannesi è la vera sorpresa del Festival di Cannes 2016. La storia di Daphne e Joshua, inserita nella selezione parallela del festival insieme al film di Paolo Virzì e degli altri italiani in programma, ha stupito il pubblico della Croisette.

A metà strada tra documentario e film sociale, muovendosi sul confine tra grande amore e sbandate giovanili, il film racconta l’affetto tra due ragazzi problematici che si conoscono in un carcere minorile.

La scena in cui i due protagonisti si rivolgono per la prima volta la parola è stupenda e trasmette molto sul tipo di storia. Joshua, interpretato da Josciua Algeri, non viene neppure inquadrato chiaramente. È una voce, un accento milanese un po’ insicuro tra lo slang e il romanesco degli altri giovani detenuti, un tono di voce leggero che arriva da dietro una finestra, al buio e fuori campo. Daphne, una già bravissima Daphne Scoccia, decide di dargli una mano a mettersi in contatto con la fidanzata che forse ancora lo aspetta su al

Applausi a Cannes e tante ottime recensioni. Tormentata e mai retorica, la storia d’amore nata tra le sbarre firmata da Claudio Giovannesi, già nel team di regia di Gomorra, arriva nelle sale italiane dopo l’anteprima francese.

il film Fiore Genere: drammatico Anno: 2016 Regia: Claudio Giovannesi Attori: Daphne Scoccia, Josciua Algeri, Valerio Mastandrea, Gessica Giulianelli

I volti della Via Francigena Nell’anno nazionale dei Cammini il film di Fabio Dipinto, giovane filmaker torinese che ha camminato dal colle del Gran San Bernardo a Roma filmando per sei settimane le persone e le realtà incontrate. Pellegrini, ospitalieri, volontari, religiosi, un’umanità multiforme che rende vivo il percorso e che se ne prende cura.

non vengono neppure inquadrati in volto. Negli spazi di Fiore,

angusti e pieni di barriere, ai ragazzi è vietato l’uso del cellulare, scambiarsi lettere o biglietti, parlare durante la messa della domenica. In realtà, tutto ciò avviene di nascosto, come se l’esperienza del carcere minorile fosse “solo” un esercizio di rispetto delle regole e di rapporti con il personale in divisa. Tra i camei di Aniello Arena e Laura Vasiliu spunta senza dubbio quello di Valerio Mastandrea con una tuta, una parlata e uno sguardo che piacerebbero senza dubbio a Ken Loach.

L’autismo, malattia sconosciuta ai più

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

Nord. Da quel momento iniziano i piccoli grandi problemi. L’istituto in cui vivono è diviso in due sezioni molto vicine, femminile e maschile. Le finestre sbarrate di una sezione guardano l’altra, ma fra le due ali è vietato qualsiasi tipo di rapporto. Il carcere diventa un non-luogo in cui sembra impossibile ogni forma di redenzione, rieducazione o recupero. Tutto è abilmente ambientato in spazi chiusi come celle, uffici e alla fine vagoni dei treni. Adolescenti e adulti convivono, a un tempo molto vicini e incredibilmente lontani, tutti probabilmente condannati. Ragazzi, assistenti sociali e personale carcerario sono costretti a una routine fatta di litigi inutili e puntuali punizioni. Tutti all’interno del carcere si muovono e parlano come robot. Gli adulti, spesso,

Ciccio è un ragazzo autistico che vive nella difficile Palermo e che si ribella al bullismo. Il film, Abbraccialo per me, è di Vittorio Sindoni. Ciccio all’inizio si chiude nella disperazione e nella solitudine ma poi reagisce. All’inizio con violenza, come è normale che sia. Ma sarà proprio lui, con la madre, la brava Stefania Rocca, a ribellarsi al sentire comune. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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Con il suo ultimo libro L’uomo del futuro, edito da Mondadori, Eraldo Affinati ci restituisce Don Milani autentico. È candidato al Premio Strega

Eraldo Affinati « Nello sguardo degli altri. Come don Lorenzo» di Daniela Palumbo

«L’ultima stazione di tutti i miei viaggi è la scrittura». E con la scrittura avvicina mondi lontani. Eraldo Affinati non è solo un autore raffinato. Ma anche impegnato. Per chi ha bisogno 22 Scarp de’ tenis giugno 2016

Candidato al premio Strega («Ci tengo il giusto»), Eraldo Affinati con L’uomo del futuro - Mondadori - ci ha restituito un don Milani autentico. Andando alla fonte,

cercando attraverso un viaggio letterario, ma non solo, di capire come sia nata e cresciuta dentro Lorenzo la voglia di essere dalla parte dei Gianni, figlio di contadini, mai dei Pierini, con la villa in muratura e le domestiche per la casa. Banale? Mica tanto se si considera che Lorenzo era nato Pierino. E allora, da dove nasce quell’urgenza di Lorenzo di essere maestro, amico, capitano, educatore, e infine adulto che ferma il suo sguardo negli occhi di un bambino che gli chiede cosa vuol dire diventare grande? Questo è il grande mistero. Affinati ha percorso a piedi i luoghi del priore di


Barbiana. Una ricerca di senso che interroga se stesso e gli esseri umani. Come accade solo dentro i grandi libri. Eraldo, un tuo ricordo di bambino. La strada dove giocavi, i luoghi rimasti cari. Le strade della mia infanzia sono quelle del Tiburtino Terzo, a Roma, alla fine degli anni Sessanta: una periferia di polvere e sassi, un pallone sgonfio, una bambina che mi guardava curiosa mentre tiravo contro il muro… Forse era lei l’unica luce nella solitudine lancinante dei primi mattini di giugno. «È il lavoro che da sempre più t’appassiona: cercare i rapporti. Scoprire i nessi. Ricucire gli strappi. Mettere in relazione libri e destini. Uomini e avventure. Sai bene che sarebbe patetica soltanto la pretesa di voler conoscere la legge che governa i casi, ma di questa illusione ti nutri». È da questa illusione che nascono i tuoi libri? Proprio così. Vorrei che tutto avesse un senso. Che niente restasse inerte. Che ogni cosa fosse legata all’altra. Che, noi esseri umani, prima o poi, potessimo trovare il bandolo della matassa. Per questo scrivo. Non c’è davvero, in sostanza, un altro motivo. Scrivi: «Gli uomini di cultura non possono restare lontani dalla realtà coltivando chissà quale rivelazione». Ci si atrofizza come una pianta senza acqua. E non ci sarebbero nuovi semi. Invece è esattamente la semina che interessa Eraldo Affinati e la letteratura. Questo sarebbe l’obiettivo primario. Per riuscire a realizzarlo, però, bisogna mettersi in gioco, rischiare sulla propria pelle, bru-

Don Lorenzo mi ha toccato nel profondo. È come se fosse entrato con un ferro rovente dentro di me: non so nemmeno io quali effetti produrrà nella mia vita la sua presenza ciarsi, ferirsi. Rifiutare il pensiero fine a se stesso e, viceversa, l’azione istintiva, priva di guida. Ecco perché ho sempre sentito un forte legame fra letteratura e insegnamento – basti pensare che il mio primo libro era dedicato a Tolstoj –, tuttavia consapevole che nessuno può credere di stringere in un pugno la verità, come se fosse un trofeo. Noi dovremmo vivere “a fondo perduto”, senza pensare al risultato che potremmo ottenere, ma avendo fede in ciò che facciamo: questa è stata la lezione più bella che il priore di Barbiana mi ha insegnato. Il tuo libro è un viaggio letterario, umano, sociologico, pedagogico, alla ricerca dell’uomo e dell’educatore don Lorenzo. Ti sei scoperto diverso alla fine del viaggio? L’ultima stazione di tutti i miei viaggi è la scrittura. Sulla pagina trovo conferme o smentite. Èuna battaglia interiore che però non si fa mai da soli perché il linguaggio non è nostro, bensì di tutti. L’essenza della vita sta nella relazione umana, specialmente quando viene negata. Don Lorenzo mi ha toccato nel profondo. È come se fosse entrato con un ferro rovente dentro di me: non so nemmeno io quali effetti produrrà nella mia vita la sua presenza nei prossimi anni. Sento che riguarderà la Penny Wirton, la scuola di italiano per immigrati che ho fondato insieme a mia moglie, Anna Luce Lenzi, ma non riesco

L’INCONTRO ancora a definire in quale modo. Gli uomini come don Milani, restano. Però la scuola oggi rinnega chi resta indietro, ce la fanno quelli che possono permettersi di studiare greco e latino. Ti piace questa scuola? Ho sempre avuto a che fare con quelli che non studiano greco e latino. Quindi, per riprendere Lettera a una professoressa, ho conosciuto Gianni, non Pierino. Ma quest’anno ho chiamato Pierino a insegnare a Gianni. Fuor di metafora: Pierino è Fulvia, studentessa del liceo bene di Roma. Gianni è Mohamed, sbarcato dall’Egitto. Grazie all’alternanza scuola-lavoro, li abbiamo messi a contatto. Il risultato è stato formidabile. Sono tanti i don Milani sparsi per il mondo, e tu ne hai incontrati diversi. La suora di Benares che imbocca i paralitici, quella di Pechino che aiuta i cerebrolesi, il maestro arabo, il disertore russo: questi sono soltanto alcuni degli incontri che racconto nel mio libro. Barbiana è morta, ma oggi rinasce negli occhi degli immigrati che hanno lo stesso problema dei bambini del

scheda Penny Wirton, corsi gratuiti di italiano per stranieri. Le lezioni si tengono presso il Liceo Scientifico Keplero in via S. Gherardi 87 (Roma) vicino a Ponte Marconi. pennywirton@gmail.com www.eraldoaffinati.it facebook: Penny Wirton Roma Per chi volesse fare donazioni: conto corrente IT4600200805086000101485083 intestato a Associazione Penny Wirton.

Mugello: imparare la lingua italiana. La vera rivoluzione è assumersi la responsabilità dello sguardo altrui. Con tutti i nostri limiti e le nostre insufficienze. Chi vive sbaglia. Ma non dovremmo tenerci le mani in tasca. Con la Penny Wirton tu le mani le metti in pasta. Perché senti questa responsabilità? Perché sono cresciuto in una famiglia senza parole. Sono stato anch’io un ragazzo di Barbiana. Mia madre e mio padre erano due sopravvissuti: una fuggita da un treno che l’avrebbe condotta nei lager, l’altro abbandonato dal padre che non lo riconobbe. Credo di essere diventato scrittore e insegnante per risarcire i miei genitori di quello che loro non ebbero la fortuna di avere. Don Milani, alla fine dei suoi giorni, disse al prelato che l’aveva sempre ostacolato: «Lo sapete, eminenza, che differenza c’è fra me e lei? Io sono avanti di cinquant’anni». Era il 1967. C’è una foto del priore mentre tiene in braccio un bambino africano, di una famiglia che era andato a trovarlo a Barbiana. Direi che non bisogna aggiungere altro. Nella tua scuola, la Penny Wirton, è tutto gratuito. Sì, con Laura Bosio abbiamo aperto una sede nella chiesa di San Giovanni in Laterano, in via Pinturicchio a Milano. A Roma vorremmo uno spazio permanente: solo così potremmo fare davvero di più.

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DOSSIER

Sara e Annamaria, due ospiti de Al 19, appartamento di “residenzialità leggera” realizzata in viale Certosa 19 a Milano, da Cascina Biblioteca, cooperativa di solidarietà sociale legata ad Anffas, insieme alle due educatrici di riferimento

Parola d’ordine autonomia. Per garantire un futuro a persone con disabilità. Spazio allora a luoghi di convivenza in cui gli educatori affiancano gli ospiti in alcuni momenti della giornata. Aspettando la nuova legge sul “Dopo di noi”

Al 19,la casa 24 Scarp de’ tenis giugno 2016


dei sorrisi giugno 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER

di Stefania Culurgioni

Sopra alla testata del letto una mensola con le barbie e i peluche. Accanto, il poster di un giovane attore di Braccialetti Rossi. E poi foto appese al muro. Dei nipoti, dei genitori e degli amici, e intorno tutto è in ordine e pieno di vita. Questa è la casa dove tre donne sono diventate grandi, perché tutti hanno il diritto di crescere e diventare adulti, anche chi è nato con un ritardo intellettivo. Si chiamano Sara, Annamaria e Filomena e hanno fatto il grande passo. Dal settembre dell’anno scorso sono andate a vivere da sole in un appartamento di viale Certosa al civico 19 a Milano, come tre vere coinquiline, ognuna con il suo lavoro e tutte insieme nella stessa pazza avventura. Hanno 27, 31 e 56

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anni, ed è la loro prima volta. Non è mai troppo tardi per crescere, soprattutto quando in pochi avrebbero scommesso che ce l’avrebbero fatta da sole. È una sperimentazione, è una storia tutta nuova che ci si inventa giorno per giorno. Dietro c’è Cascina Biblioteca, cooperativa di solidarietà sociale legata ad Anffas (associazione di famigliari di persone con disabilità intellettiva) che accompagna le ragazze giorno per giorno. L’obiettivo è costruire insieme un percorso di vita autonomo, metterle alla prova aggiungendo, piano piano, un pezzettino di autonomia in più. Ci si immagina che le persone con un deficit intellettivo debbano stare per sempre in una struttura, accudite e protette, soprattutto quando i genitori non ci sono più.

Quando si apre la porta di questo appartamento, invece, si materializza una possibilità nuova: c’è una strada per tutti, basta trovare la forma giusta. Esperienza da continuare «L’appartamento, messo a disposizione dalla famiglia di una delle ragazze con regolare contratto di affitto, nasce come sperimentazione di “ProgettaMi” – spiega Flavia Sola, coordinatrice di Cascina Biblioteca –, esperienza promossa da Fondazione Idea Vita, Consorzio Sir, Ledha e Ledha Milano insieme al Comune di Milano e a Fondazione Cariplo per promuovere i diritti includenti per persone con disabilità e cercare di essere motore attivo di percorsi verso l’indipendenza. Un progetto importante, che aveva come motto “il diritto di pensarsi adul-


gestire i soldi, controllare il resto. Sono processi che sembrano semplici ma molto importanti per l’acquisizione di autonomia». L’INTERVENTO

Elena Morselli, Fondazione Don Gnocchi: «Autonomia importante ma non per tutti» Si chiama il ”Dopo di noi”. Ed è quella nebbiosa dimensione del futuro in cui un genitore di un figlio disabile si immagina di non esserci più. Che cosa succederà al suo ragazzo? Chi se ne prenderà cura? Come farà senza la sua solida presenza a cui aggrapparsi? Se in alcuni casi è possibile preparare i figli “diversi” ad una semi autonomia abitativa, come nel caso dell’appartamento di viale Certosa, in altri la faccenda si fa più complicata. Non tutti sono in grado di gestirsi da soli, alcuni hanno condizioni di salute più gravi. Ma soprattutto, uno dei risvolti meno noti della questione, è l’incapacità dei genitori di “lasciar andare” il proprio figlio. «Da tanti anni cerchiamo di preparare le famiglie a questo momento, per molti pensare al dopo è molto faticoso – spiega Elena Morselli, Responsabile dei servizi Socio Educativi della Fondazione Don Gnocchi –. Molti genitori stabiliscono coi figli un legame strettissimo che si alimenta continuamente dal bisogno di assistenza che i ragazzi hanno, e per alcuni il pensiero di una vita del figlio senza di loro è difficile». Anche la Don Gnocchi ha cominciato a lavorare su questo tema, attivando, con una psicologa, il progetto “Accompagnandoci”, finanziato da Fondazione Cariplo: per 15 giorni, a turno, alcuni ospiti disabili, non solo quelli con ritardo mentale, ma anche quelli in carrozzina, hanno sperimentato un periodo di vita autonoma in un appartamento. Il problema è che l’autonomia purtroppo non va bene per tutti: «Ci sono situazioni con una fragilità clinica più impegnativa in cui la persona risulta forse più tutelata restando all’interno di una struttura – conclude Elena Morselli – in una comunità socio sanitaria o in una residenza per disabili più gravi». Sono luoghi che per molti diventano una casa, la casa per sempre.

Un selfie di Sara, Annamaria e Filomena insieme alla due educatrici che le accompagnano in questo lungo, difficile ma bellissimo viaggio

Info: www.dongnocchi.it

ti”, che si è concluso nel dicembre del 2015. Noi, però non abbiamo voluto disperdere questa esperienza e abbiamo voluto portarla avanti. Anche il Comune di Milano si è dimostrato molto sensibile e si sta impegnando perché diventi un servizio permanente».

La via è stata aperta. E quando si diventa grandi, è difficile tornare indietro. Annamaria, Sara e Filomena vivono insieme dal lunedì al sabato. Una educatrice, Petronela, passa da loro al pomeriggio e ci resta fino a sera. Poi se ne va, e le tre coinquiline, che ormai sono amiche per la pelle, si fanno la serata da sole: leggono, scelgono insieme che film guardare, si sfidano a un gioco di società, vanno a dormire. Al risveglio non c’è nessun altro se non lo-

Non ho ancora capito bene il valore dei soldi, dice Sara. Ma vorrei imparare, soprattutto quelli più grossi. Credo che questa casa sia un’occasione per crescere e diventare autonome, è un passaggio importante

ro tre, hanno imparato i loro orari, si vestono, fanno colazione, ciascuna va a fare l’attività in cui è impegnata. Sara in una mensa, Annamaria al Banco Alimentare. Prendono i mezzi da sole, arrivano in tempo, tornano e vanno a fare la spesa quando serve. Banale? Non per loro. Difficile ma bello stare sole «Le difficoltà che si incontrano in appartamento sono quelle di tutti i giorni – racconta Flavia Sola –: le classiche incomprensioni tra coinquiline, la difficoltà di vivere esperienze nuove e di fare cose in autonomia. Per esempio fare la spesa è un’attività che prevede diversi passaggi: la stesura di una lista di cose che servono, l’uscita per andare a comprarle, la capacità di fare una scelta tra qualità e prezzo, di saper

«Ho 31 anni e due bellissimi nipoti – esordisce Annamaria – di questa casa mi piacciono la vivacità e la complicità dello stare insieme. Certo, vivere da sola non è stato facile e ho avuto delle difficoltà: ammetto che non avevo mai pensato di utilizzare la lavatrice e invece ci sono riuscita. E poi, non pensavo che sarei riuscita a fare la doccia da sola. E invece ce l’ho fatta. Con i soldi? Beh, me la cavo. Non sempre riesco a capirli, ma a volte sì». Sara mostra il ciondolo che le ha regalato il suo fidanzato Simone. È un campanellino, «sembra il suono degli angeli», dice. Racconta di come ha imparato a condividere con persone che non conosceva i piccoli momenti della sua giornata, di come ha imparato a fare i mestieri e la spesa, di come si è messa d’impegno a capire i prezzi, quelli più alti, quelli più bassi: «Non ho ancora capito bene il valore dei soldi – ammette – ma vorrei imparare, soprattutto quelli più grossi. Credo che questa casa sia un’occasione per crescere e diventare autonome, è un passaggio importante». Creare relazioni Filomena ha 56 anni, è più introversa, e si emoziona: «Mi piace vivere da sola perché è un’esperienza nuova – dice –. La mia giornata si svolge così: mi alzo, vado a lavorare, torno, faccio un po’ di mestieri, decidiamo cosa fare la sera. Mi piace fare i mestieri e la cosa che preferisco è pulire i pavimenti». Dentro casa si cucina a turno ma una delle cose più importanti è tutta la rete di amici che ci gira intorno. «Un punto molto importante del nostro lavoro è aiutarle a creare una rete amicale e relazionale che giri intorno a questo appartamento in modo che venga vissuto come casa aperta – spiega ancora Flavia Sola –. Abbiamo per esempio organizzato un corso di cucina che, oltre a insegnare a cucinare e mangiare sano, è anche un modo per stare insieme e per crescere. Le ragazze fanno il corso di zumba, organizziamo uscite in città per acquisti personali, organizziamo feste e uscite con amici». La pizza è uno dei mogiugno 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER menti settimanali più attesi, e poi nel fine settimana si rientra a casa con la famiglia. «Per le ragazze è importante vivere questa esperienza per crescere e per cominciare a percepire la loro autonomia come una cosa possibile, soddisfacente e piacevole – racconta Petronela Largeanu, educatrice –. Per i genitori l’uscita di casa del proprio figlio è un motivo di speranza verso la possibilità reale di vederli indipendenti e di conquistare degli spazi propri. Può anche essere un’occasione per rinnovare quel rapporto in una chiave più adulta».

Quello che ti investe, quando entri in questo appartamento speciale, è l’accoglienza e l’allegria delle padrone di casa. Tutti sono i benvenuti e tutti diventano amici. «Abbiamo un motto», rivela Annamaria. Le tre ragazze e le due educatici si mettono in cerchio e si abbracciano come una squadra di pallavolo. Fanno il conto alla rovescia e quando è il momento si staccano alzando le mani e urlano: «Al 19 si sta bene».

Nonostante i passi avanti fatti con la prima stesura della nuova legge restano le preoccupazioni per i disabili gravi non autosufficienti

La sfida di Joseph e gli altri: vivere da soli di Marta Zanella

La cooperativa Filo di Arianna gestisce alloggi di residenzialità leggera dedicati a chi cerca di rendersi autonomo 28 Scarp de’ tenis giugno 2016

Si chiamano Cedro, Mandorlo, Betulla o Ginepro. Ma non sono alberi, sono case. «Case vere e proprie, appartamenti dove persone che hanno un disagio psichico possono vivere una vita il più possibile normale. Case che permettono a persone, che da sole non riescono a farcela, di trovare con l’aiuto di un operatore una chiave per migliorare la propria vita, e magari poi proseguire con le proprie gambe». Così ne parla Rita, educatrice della cooperativa Filo di Arianna, del consorzio Farsi Prossimo, che di appartamenti di questo tipo, a partire dal 2008, ne ha aperti sette, dislocati tra Milano e hinterland. Destinatari degli alloggi, che tec-

nicamente si chiamano “di residenzialità leggera”, sono persone che soffrono di una malattia psichica ma per cui un ricovero in comunità sarebbe troppo: giovani che si aiutano a impostare una vita il più possibile autonoma prima che la malattia cronicizzi, oppure persone che hanno già compiuto un percorso riabilitativo e camminano verso l’indipendenza. O ancora, pazienti che hanno trovato un loro equilibrio dal punto di vista clinico e devono essere aiutati a mantenerlo. Luoghi di autonomia In ciascuna di queste case vivono tre o quattro persone capaci di gestire le piccole incombenze quotidiane. Ogni giorno, per qualche ora, passa un educatore che li aiuta dove c’è bisogno. La domenica e la notte, invece, se la cavano da soli.


2.60o.000

90 milioni

Numero di persone in Italia con disabilità grave non autosufficienti

Entità del fondo istituito per l’assistenza a disabili gravi privi del sostegno familiare

IL PUNTO

“Dopo di noi”, così cambia la legge: «Meno ricoveri per chi resta solo» Dopo di noi: sono solo tre parole, ma chi è genitore sa quale sia il loro peso specifico. Lo sa, soprattutto, chi ha figli disabili, in particolare non autosufficienti. Qui sta il vero problema, perché questa è una questione che, in realtà, interessa da vicino tutti noi. In Italia c’era un vulnus normativo: da anni genitori e associazioni chiedevano a gran voce una legge che regolasse l’assistenza di persone con disabilità gravi, prive di assistenza famigliare. C’era, per l’appunto, perché qualcosa, forse, sta lentamente cambiando. Lo scorso febbraio la Camera ha approvato a larga maggioranza un disegno di legge, ora in discussione al Senato: un testo unificato di sei diverse proposte di legge presentate da vari partiti, frutto anche della petizione lanciata online dalla deputata Pd Ileana Argentin, affetta da una patologia neuromuscolare. Era da quasi vent’anni che si aspettava un intervento in materia. Finora le norme di riferimento erano degli anni Novanta: la legge 104/1992 e la legge 162/1998, che introdusse una serie di programmi di aiuto alla persona per “garantire il diritto a una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia”. Negli anni si sono diffusi modelli alternativi al ricovero in residenze sanitarie, dall’assistenza indiretta alle cure a domicilio, passando per percorsi di autonomia personale,

ma mancava, tuttavia, un’iniziativa specifica a tutela delle persone con disabilità grave non autosufficienti (circa 2 milioni e 600 mila persone in Italia) dopo la morte dei genitori. Il nuovo disegno di legge vuole, in buona sostanza, evitare il ricovero sanitario dei casi più gravi di disabilità alla morte dei genitori o di chi se ne prende cura. Cosa prevedono i dieci articoli che compongono la norma? Verrà istituito un fondo (90 milioni di euro già previsti dalla legge di stabilità 2016) per l’assistenza alle persone con disabilità gravi prive del sostegno familiare: servirà a realizzare interventi innovativi di residenzialità, creare case famiglia e sviluppare programmi per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile ai disabili senza assistenza. Il disegno di legge prevede campagne informative e una relazione annuale, stabilendo la copertura finanziaria (56,9 milioni di euro per il 2016, 66,8 dal 2017), il vero nodo del contendere sono gli articoli 5 e 6: questi stabiliscono che sarà possibile detrarre le spese sostenute per le polizze assicurative stipulate per la tutela dei disabili. Duro il Movimento 5 Stelle, che ha votato no. Più soft la posizione di molte associazioni di disabili che, tuttavia, non hanno lesinato critiche alla legge: un emendamento all’articolo 5 vorrebbe ora ampliare le agevolazioni tributarie previste per le assicurazioni in favore di persone con disabilità, con un maggior rigore dei prodotti. Un passo avanti importante. [Alberto Rizzardi]

LA STORIA

«Il nostro lavoro è aiutarli a imparare ad avere cura di sé e degli ambienti, a gestire i propri soldi, a fare la spesa, a farsi da mangiare in modo semplice ma sano», racconta ancora Rita. L’obiettivo è che possano arrivare a fare tutte queste cose senza essere più supportati dall’esterno. E c’è chi ci riesce: qualcuno ha ottenuto una casa popolare ed è andato a vivere in una casa tutta propria. «Tonino oggi ha il suo appartamento, riesce a gestire la propria vita, i propri risparmi e anche la malattia. Certo, sempre prendendo i farmaci e sempre seguito dal suo psichiatra di riferimento, che lo ha incoraggiato quando è stato il momento di lasciare il nido e volare con le proprie risorse, ma riesce a fare una vita quasi normale, sicuramente autonoma».

Joseph ha 25 anni, abita a Casa Betulla e si sveglia ogni mattina prima delle 5. Esce presto di casa, prende l’autobus e va al lavoro. Tutte le mattine, da solo. Joseph sogna la scuola «Lavoro per una cooperativa sociale: mi occupo della raccolta di imballaggi e rifiuti per una grossa catena di supermercati. Per me questo lavoro è importantissimo, perché è il primo passo per tornare a farcela da solo – racconta –. In passato ho avuto problemi di salute e sono finito in una comunità. Dopo qualche anno sono migliorato, prendo ancora le mie medicine, ma intanto ho un appartamento tutto mio. Un educatore mi aiuta ancora: mi accompagna a fare la spesa, oppure nei vari uffici, all’Inps o all’Asl quando devo fare dei documenti».

Ho avuto problemi di salute e sono finito in comunità. Dopo qualche anno sono migliorato, prendo ancora le mie medicine, ma intanto ho un appartamento tutto mio. Un educatore mi aiuta ancora ma spero ancora per poco

In casa invece si arrangia: «Cucino e sistemo le mie cose. Con la lavatrice invece ho ancora difficoltà: alcune volte riesco, altre devo aspettare l’operatore della cooperativa per avviarla». Joseph è arrivato in Italia da solo, la sua famiglia è rimasta al suo Paese, in Africa. Ma ha trovato qualcuno che lo ha preso a cuore: un volontario della comunità si presenta da lui tutti i sabati, e insieme si concedono una biciclettata al Parco Nord. Alla sera dell’ultimo dell’anno la famiglia del volontario lo ha invitato al cenone a casa loro. «Non so se arriverò ad essere del tutto autonomo – conclude Joseph– ma c’è una cosa a cui tengo tanto, oltre al mio lavoro: voglio riuscire a tornare a scuola. Questa è la cosa che mi interessa di più». giugno 2016 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

La Fresh BV di Vincenzo Crupi, arrestato per traffico di droga e affiliazione mafiosa, si trova tra il porto di Rotterdam e l’aeroporto, una posizione ideale per ricevere i carichi di droga dal Sud America

L’Olanda è il maggiore esportatore al mondo di fiori recisi. Ma per un presunto appartenente alla mafia, il mercato dei fiori di Amsterdam, rappresentava una copertura per il traffico di droga. Un mercato del valore di svariati milioni di dollari: la droga veniva nascosta in mezzo ai bouquet che su camion arrivavano in Italia. Un’inchiesta targata Reuters

REUTERS/Yves Herman

profumo di ‘ 30 Scarp de’ tenis giugno 2016


Fiori

‘ndrangheta giugno 2016 Scarp de’ tenis

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REUTERS/Yves Herman

COPERTINA

Le forze di polizia e i pubblici ministeri che hanno smascherato il traffico, hanno dichiarato che questa scoperta getta nuova luce sulla ‘ndrangheta – la mafia calabrese – e sul modo in cui ha allargato i suoi tentacoli

di Steve Scherer Tradotto dall’inglese da Marika Costantini/ Translators Without Borders Per gentile concessione di INSP.ngo/Reuters

Per i commercianti del famosissimo mercato dei fiori Royal FloraHolland che si trova nella città di Aalsmeer, non lontano da Amsterdam, Vincenzo Crupi era uno dei tanti uomini d’affari che commerciava fiori freschi tra Olanda e Italia. Per la polizia invece, Crupi è un affiliato alla mafia che avrebbe nascosto la droga, del valore di svariati milioni di dollari, tra i profumati bouquet che arrivavano in Italia con i camion dell’azienda. Le forze di polizia hanno cominciato ad indagare e hanno messo delle cimici negli uffici che Vincenzo Crupi aveva al mercato dei fiori. Nel corso di alcune conversazioni registrate, è emerso che il 52enne italiano ha parlato a lungo di questioni mafiose. L’agenzia di stampa Reuters ha potuto esaminare le 1.700 pagine dell’inchiesta e secondo alcuni dettagli dell’indagine, Crupi avrebbe parlato oltre che del traffico di droga, del commercio di armi e delle

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sanguinose lotte di potere in atto tra i membri della mafia canadese. È da vent’anni che Crupi lavora al mercato dei fiori di Amsterdam e lo scorso settembre, durante il suo soggiorno in Italia, è stato arrestato nei pressi di Roma. Secondo quanto riferito dalle fonti giudiziarie, Crupi verrà processato quest’anno per affiliazione mafiosa oltre che per traffico di droga. Questa indagine ha permesso di conoscere in maniera più approfondita le ramificazioni della ‘ndrangheta–la mafia calabrese –e di come abbia allargato i suoi traffici in decine di altri Paesi dei cinque continenti. Nel corso della stessa indagine, sono state arrestate oltre 50 persone. Crupi, dal carcere, nega qualsiasi illecito. Il suo avvocato, Giuseppe Belcastro, ha dichiarato alla Reuters che il suo cliente è un onesto uomo d’affari, che lavorava da sempre nel settore dei fiori e che le attività della sua azienda sono tutte legali. Gli inquirenti confermano che la ‘ndrangheta all’estero ha, intelligentemente, mantenuto un basso profilo. Crupi incarna il modello di “commerciante internazionale”,

A sinistra un terminal container al porto di Rotterdam, principale hub di smistamento dei fiori. Qui sopra il mercato Royal FloraHolland nella città di Aalsmer non lontana da Amsterdam

proprietario e dirigente di una fiorente attività che rappresentava per la ‘ndrangheta una copertura perfetta per il traffico di droga e il riciclo di profitti illeciti. Così recita il mandato d’arresto emesso a Reggio Calabria: “Le intercettazioni confermano la piena appartenenza di Crupi e degli altri arrestati a una rete mafiosa internazionale”. Un portavoce della cooperativa di FloraHolland, dove Crupi aveva il suo ufficio, ha dichiarato che non hanno mai saputo né avuto sospetti che l’indagato fosse un possibile criminale. Canale per la cocaina In passato i maggiori proventi della mafia calabrese provenivano dalle estorsioni e dai rapimenti, dalla fine degli anni ottanta, i circa 160 clan affiliati alla ‘ndrangheta, hanno “investito” sul commercio di cocaina. Gli elevati proventi derivati dal traffico di droga hanno fatto sì che la mafia calabrese superasse Cosa Nostra, sia in ricchezza che in potere. Le autorità italiane considerano oggi la ‘ndrangheta il maggiore importatore di cocaina del Paese.


David Ellero, maggiore dei Carabinieri e senior specialist a Europool, l’agenzia investigativa dei Paesi membri dell’Unione europea, ha dichiarato che la ‘ndranghetaè “una garanzia di autorevolezza criminale”. A detta dei pentiti Vincenzo Crupi è cresciuto in una famiglia che aveva stretti rapporti con la mafia della cittadina calabrese di Siderno. Due ex dipendenti dell’azienda hanno dichiarato, sempre all’agenzia di stampa Reuters, che Crupi si trasferì in Olanda all’inizio degli anni novanta per avviare il commercio di fiori e che, nel 2002, fu raggiunto dal cognato Vincenzo Macrì, condannato per traffico di droga negli Stati Uniti dove aveva scontato 13 anni di carcere. Per i commercianti di fiori e per gli incaricati delle indagini olandesi, Crupi e Macrì erano normali uomini d’affari. Vivevano poco distante dal luogo di lavoro. La loro giornata tipo cominciava con la sveglia all’alba e continuava con il lavoro fino a sera tardi. Viaggiavano spesso in Italia, si concedevano qualche cena al ristorante ma, non erano persone “appa-

LA COLTIVAZIONE

Fiori recisi da Kenya e Etiopia, tra sfruttamento e danni ambientali

Rispettato uomo d’affari in Olanda, per gli iquirenti Vincenzo Crupi è invece un affiliato alla mafia che avrebbe nascosto la droga, del valore di svariati milioni di dollari, tra i profumati bouquet che arrivavano in Italia con i camion dell’azienda. Per poi essere distribuita e smerciata sulla piazza

Sono solo dei fiori. Ma dietro una rosa c’è un mondo. Che nasconde sfruttamento di manodopera sottopagata, ingenti danni ambientali: un business enorme, fatto di soprusi e ingiustizie. La gran parte dei fiori che finiscono sul mercato italiano vengono prodotte in Kenya, Zimbabwe, Uganda e sempre più in Etiopia. Paesi che continuano a garantire una manodopera a basso costo e condizioni di lavoro non protette. E, al contempo, una grande efficienza. Una rosa coltivata nella Rift Valley o su un altipiano etiope, sarà dai rivenditori italiani solo 24 ore dopo essere stata recisa, passando per Amsterdam, centro di smistamento mondiale dei fiori recisi. Oggi, però, il Kenya potrebbe perdere il primato di principale produttore ed esportatore africano di rose e fiori recisi. Il progressivo aumento dei costi di produzione e l’incertezza sul rinnovo degli accordi tra la Comunità dell’Africa orientale (Eac) e l’Unione europea sta spingendo i grossi importatori di fiori a rivolgere il loro sguardo altrove, in particolare a Etiopia, appunto, e India. L’Etiopia, in particolare, non solo dispone di molta acqua per le vaste piantagioni, ma soprattutto si avvale di una manodopera pagata pochissimo. Le frontiere dello sfruttamento, dunque, si stanno spostando da un Paese all’altro, laddove il mercato intercetta le condizioni di deregolamentazione più favorevoli al proprio tornaconto. Lo stesso vale per l’India, dove tra il 2012 e il 2013 il volume d’affari delle esportazioni floreali è cresciuto del 23% e le previsioni puntano a raddoppiare questa cifra. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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COPERTINA riscenti”, non possedevano Ferrari, né orologi costosi. Quello che però i dipendenti del mercato non sapevano – affermano i pubblici ministeri – è che Crupi e Macrì facevano parte del clan Commisso, uno dei clan più potenti della ‘ndrangheta che ha il suo quartier generale a Siderno. Entrambi erano strettamente legati al potente boss Antonio Macrì detto Zio ‘Ntoni, che fino alla metà degli anni settanta ricopriva una posizione importante all’interno della cosca mafiosa: il magistrato italiano Guido Marino in una sentenza del 1970 lo aveva definito il “simbolo vivente dell’onnipotenza della criminalità organizzata”. I figli di Zio ‘Ntoni Concetta e Vincenzo sono rispettivamente la moglie e il cognato di Crupi. Il 72 enne Zio ‘Ntonifu ucciso nel 1975 al termine della sua quotidiana partita a bocce e al suo funerale a Siderno, paese che conta meno di 20 mila persone, presero parte 5 mila abitanti. A detta dell’esperto di “cose di mafia” John Dickie, l’omicidio innescò una sanguinosa guerra tra clan che in tre anni costò la vita a 233 persone. L’avvocato di Crupi, Giuseppe Belcastro, in merito a Siderno e al suo cliente ha dichiarato: «Siderno è un paese piccolo, quindi è normale che il mio cliente conosca persone che possono avere trascorsi criminali, ma ciò non lo rende un criminale». Azienda leader nel mercato L’azienda che gestivano al mercato dei fiori di Amsterdam, la Fresh BV, nella pubblicità dichiarava essere “una delle maggiori aziende per il commercio all’ingrosso di fiori del mercato italiano” e “l’efficiente trasporto su gomma, che garantisce una veloce distribuzione, è una delle qualità che ci rende orgogliosi”. A detta di alcuni ex dipendenti, alla metà degli anni duemila la Fresh BVinviava in Italia un camion di fiori freschi al giorno, mentre, secondo gli inquirenti, negli ultimi anni il vo-

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Secondo Federfiori, quasi il 30% del mercato dei fiori recisi in Italia è in mano agli abusivi che fanno tutto alla luce del sole. Un affare che genera fatturati milionari

Isaia Sales: «Mafie nate nelle società agricole» di Laura Guerra

Lo spazio occupato oggi dalla criminalità organizzata nel settore della produzione agricola “agromafie” non conosce crisi

Fiori che attraversano l’Europa e possono nascondere e coprire, fra il profumo soave e i colori accesi gli interessi dei clan malavitosi, utilizzati o come copertura di traffici di droga o come attività in chiaro per riciclare denaro illecito. Quali sono le connessioni, le contiguità le connivenze fra mercato dei fiori e mafie? Ne parliamo con Isaia Sales, professore di Storia delle Mafie all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Autore della voce camorra dell’Enciclopedia Treccani, autore di molti saggi; da ultimo ha pubblicato il volume Storia dell’Italia Mafiosa per Rubettino Edizioni. Sales parte tracciando il rapporto fra le economie della camorra, della ‘ndrangheta e della mafia. «Le mafie, nei loro processi originari si innestano dove c’è arre-


lume d’affari era un po’ diminuito.

NAPOLI

Anche la camorra entra nell’affare dei fiori, la lunga mano dei clan sul mercato di Pompei

Max Peef

La camorra diversifica le proprie attività economiche e cerca di costruire scambi legali e illegali all’interno del suo complesso tessuto di relazioni di potere. Il settore floro-vivaistico è fra i suoi interessi di riferimento. Negli anni ci sono state diverse inchieste, seguite da sequestri e confische per svariati milioni di euro a carico di importanti imprenditori, diretta emanazione della criminalità. Il più rilevante riguarda un affiliato al clan camorristico capeggiato da Ferdinando Cesarano, cosca attiva a Pompei, e presente in molti comuni della provincia di Napoli. Gennaro Del Gaudio, è l’imprenditore che per conto dei Cesarano ha costruito la più importante azienda di fiori del comprensorio vesuviano. Secondo quanto emerso dalle indagini, Del Gaudio aveva “abilmente allacciato intensi rapporti commerciali con operatori olandesi e del nord Italia” e, “sfruttando la propria appartenenza al clan Cesarano, imponeva con modalità estorsive, il monopolio nella commercializzazione dei prodotti floro-vivaistici su buona parte del mercato nazionale dei fiori recisi e dei bulbi”. Alcuni pentiti hanno rivelato i meccanismi di imposizione del “pizzo” nella zona tra Pompei e Castellammare di Stabia ai rivenditori esercitato attraverso il mancato versamento dell’Iva sulle fatture e l’obbligo a pagare da un minimo di mille a un massimo di 2.500 euro per un banco di vendita al mercato dei fiori di Pompei.

L’INTERVISTA

tratezza culturale e sociale ma esiste ricchezza – spiega –. Storicamente sono nate nelle società agricole dove si producevano ortaggi e frutta destinati al mercato e non all’autoconsumo. In questi contesti le mafie attaccano la ricchezza e attuano strategie per controllarla e impossessarsene». Figli di contesti contadini Non è un caso se si sono sviluppate nelle aree vaste coltivate: in Sicilia zona di produzione degli agrumi, in Calabria nelle zone dell’allevamento e commercio bovino e in Campania nelle pianure di coltivazione dei ortaggi. «Una delle figure tra le più simboliche e iconografiche della camorra del Novecento, Pasquale Simonetti conosciuto come “Pascalone e Nola”, marito di Pupetta Maresca, era un intermediario agricolo. Era lui a fare il prezzo del-

Zone di contatto fra il commercio dei fiori e interessi illegali sono possibili visto che parliamo di compravendita e, come tutti gli ambiti commerciali, anche quello ha bisogno di intermediari

le patate sul mercato ortofrutticolo locale». I guappi siciliani con la coppola sono figli dei contesti contadini, dove agivano prevaricazione, controllavano i flussi di denaro legati al commercio di olio e ortaggi esportati negli Stati Uniti. «Lo spazio occupato oggi dalla criminalità organizzata nel settore della produzione agricola – conclude Sales –viene più ampiamente definito con il temine “agromafie”. Che ci siano contiguità, zone di contatto e d’ombra fra il commercio dei fiori e interessi illegali è possibile visto che parliamo di un settore di compravendita e, come tutti gli ambiti commerciali, anche quello dei fiori ha bisogno di intermediari. In questo punto di scambio tra domanda e offerta si inseriscono figure che si pongono al limite fra interessi illegali e mercato legale».

Il mercato di FloraHolland ad Aalsmeer è enorme, ha una dimensione pari a quattrocento campi di calcio ed essendo vicino sia al porto di Rotterdam che all’aeroporto di Schiphol, Fresh BVsi trovava nella posizione ideale per ricevere i carichi di droga dal sud America. Gli indizi emersi dalle intercettazioni della polizia italiana, in collaborazione con quella olandese, sono numerosi: hanno ascoltato discussioni riguardanti la vendita e la spedizione di cocaina a una “famiglia napoletana”, del progetto di portare a termine un affare legato al traffico di droga in Venezuela, di come “ricettare” milioni di euro dal cioccolato Lindt rubato e della sanguinosa lotta per il potere in seno alle cosche mafiose in Canada. Negli atti giudiziari gli inquirenti hanno scritto che Crupi e Macrì sospettavano di essere sorvegliati e per questo parlavano in dialetto calabrese. Solitamente facevano riferimento a presunti altri membri utilizzando soprannomi. Dalle indagini è emerso che assieme ad altre persone, erano a capo di un’organizzazione “sistematicamente e regolarmente dedita all’importazione dall’Olanda di grossi quantitativi di cocaina da vendere sul mercato italiano” e che rappresentavano la parte “internazionale” della ‘ndrangheta. I primi arresti sono stati fatti nell’agosto del 2014 a seguito della testimonianza di un uomo che ha dichiarato di aver preso in consegna nei pressi di Roma la droga proveniente dall’Olanda e stipata in un camion appartenente alla famiglia Crupi. In un’altra occasione, un altro autista dei Crupi avrebbe prelevato più di 11 chili di cocaina a Rotterdam e li avrebbe portati in Italia sempre nascosti in un camion. Legislazione da rivedere L’autista è stato arrestato nel dicembre del 2014 in una zona industriale del nord Italia dove aveva incontrato il presunto acquirente, anch’esso arrestato. Tutti questi episodi, per gli inquirenti, sono solo la punta di un iceberg.

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Vengono da Sri Lanka o Bangladesh. Fuori dai locali cercano di piazzare un fiore in cambio di spiccioli. Così ripagano i debiti contratti per arrivare in Italia

COPERTINA La legislazione italiana considera l’affiliazione a un’organizzazione mafiosa un illecito penale. Tale illecito comporta una sentenza che prevede fino a 24 anni di carcere nel caso in cui le attività mafiose operino a livello internazionale. Nessun altro Paese ha una legge simile e per i Pm italiani tale mancanza è un impedimento per combattere le organizzazioni mafiose che operano a livello internazionale. David Ellero ha dichiarato che la mancanza di una normativa comune penalizza e talvolta vanifica gli sforzi fatti dai legislatori e investigatori italiani. Questo è uno dei motivi per cui molte organizzazioni criminali hanno trasferito sia attività che beni all’estero.

Ci sono ricorrenze alle quali non si può mancare: compleanni, matrimoni, battesimi e funerali sono occasioni importanti per la ‘ndrangheta, per questo nel febbraio 2015, il servizio centrale operativo della Polizia italiana mise delle microspie nella macchina che Crupi aveva noleggiato per recarsi al compleanno del nipote all’Hotel Presidentdi Siderno. Secondo gli atti giudiziari, durante il viaggio, ebbe luogo una conversazione tra Crupi e un noto membro della ‘ndrangheta. L’indagine è ancora in corso. A Roma e a Reggio Calabria, i Pm stanno preparando il processo contro Crupi, Macrì e altre 50 persone accusate di traffico di droga e affiliazione mafiosa. In Olanda alcuni dei loro ex colleghi sono increduli. «Se è tutto vero – ha dichiarato un ex dipendente dell’azienda –allora Crupi è un attore migliore di Robert de Niro e Al Pacino messi insieme».

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Il pubblico ministero di Reggio Calabria, Antonio de Bernardo, che sta conducendo l’indagine contro Crupi, ha più volte dichiarato che «Il reato di affiliazione mafiosa esiste solo in Italia, ma la mafia è ovunque».

AL DETTAGLIO

Venditori abusivi controllati dalla criminalità Federfiori: «Milioni di fatturato all’anno. Esentasse» Compravendita di fiori per mascherare il traffico di cocaina. Ma non solo. Anche la vendita al dettaglio dei fiori, una volta arrivati a destinazione, segue delle procedure tutt’altro che chiare. Da anni Federfiori – federazioni di Confcommercio che riunisce i fioristi italiani – denuncia l’abusivismo selvaggio, controllato dal racket, che intacca la categoria. Senza, o quasi, alcun risultato. Secondo Federfiori, infatti, quasi il 30% del mercato è in mano agli abusivi che fanno tutto alla luce del sole. Per accorgersene basta notare quanti venditori di fiori improvvisati vendono i loro prodotti a cifre irrosorie sui marciapiedi di tantissime città. Una situazione che rischia di minare un

mercato già non molto fiorente in Italia fatto da oltre 20 mila aziende, quasi tutte piccole o piccolissime, per un totale di oltre 30 mila addetti. La catena dei fiori abusivi parte all’interno e all’esterno dei mercati all’ingrosso, dove i fiori vengono venduti anche a chi non ha partita Iva. Il secondo livello sono i venditori ambulanti senza regolare licenza. Il terzo, e ultimo, livello è quello dei “fiorai”, ambulanti del Bangladesh o pachistani che vendono rose accontentandosi di pochi spiccioli. Una filiera controllata da una struttura criminale, rigidamente organizzata, che genera milioni di fatturato all’anno. Esentasse. E alla luce del sole.



MILANO

La Masseria della mafia è tornata libera di Francesco Chiavarini

A Cisliano, a sud di Milano, l’ex quartier generale del clan Valle è stato strappato al degrado solo grazie alla volontà del sindaco, di un gruppo di associazioni (tra cui Caritas Ambrosiana e Libera) e dal lavoro, gratuito, di moltissimi cittadini 38 Scarp de’ tenis giugno 2016

A Cisliano, sulla strada provinciale per Milano, la villa hollywoodiana con annessa pizzeria del boss Francesco Valle oggi ospita in tre distinti appartamenti due padri separati rimasti senza casa e lavoro, due giovani madri sole con i loro figli, una famiglia sfrattata da una casa popolare. Tutti cittadini in difficoltà residenti nel piccolo comune, tranne la famiglia che invece viene dal quartiere milanese del Corvetto. Grazie alla determinazione di un sindaco, Luca Durè, e di un prete combattivo, don Massimo Mapelli, ai militanti di Libera, al lavoro e alla generosità di tanti volontari e cittadini in un solo anno è stato possibile ristrutturare e restituire alla comunità il covo di una delle famiglie di 'ndranghetapiù potenti e radicate nel sud Milano, stando ai processi ormai giunti a sentenza definitiva. Un caso raro. Una piccola grande vittoria della società civile contro la malavita organizzata. La storia comincia da lontano. I Valle arrivano da Reggio Calabria negli anni ’70 in seguito a una san-


Nella foto a destra don Massimo Mapelli (secondo da sinistra) con il sindaco Luca Durè (primo a destra), l'attivista di Libera Elena Simeti (seconda da destra) e i volontari davanti a La Masseria

scheda

A causa delle lungaggini burocratiche il patrimonio mafioso rimane spesso inutilizzato e diventa soltanto un onere per lo Stato. Al Sud, per ovviare a questo problema, alcuni magistrati affidano il bene a chi lo gestirà prima ancora della sentenza definitiva. Nel Nord Italia questo, invece, generalmente non avviene. Si calcola che solo nel Sud di Milano ci sia un immobile ogni mille abitanti che potrebbe essere riutilizzato a fini sociali. Un tesoro nascosto, che se fosse valorizzato, potrebbe dare ad esempio una risposta al bisogno di case drammaticamente diffuso nel capoluogo lombardo.

guinosa faida familiare. Si insediano prima a Vigevano e poi si trasferiscono a Cisliano dove costruiscono una fortuna coi prestiti ad usura praticati agli imprenditori e commercianti locali. La villa-pizzeria, la Masseria di Cisliano, è il quartier generale da cui gestiscono i traffici illeciti, anche se all’apparenza sembra soltanto un ristorante dal gusto un po’ kitsch. Nel giardino disseminato di telecamere, sistemi di allarme e sensori per tenere lontani gli intrusi, la famiglia incontra gli affiliati, organizza i summit, stabilisce le strategie per infiltrare le amministrazioni locali. Nella taverna-bunker, sotto la grande sala da pranzo, regola i conti con chi non paga: botte, intimidazioni, violenze raccontate nelle intercettazioni agli atti. Un bene da salvare Nel luglio 2010, nel corso del maxi blitz “Infinito” – la più grande operazione antimafia del passato recente nel Nord Italia –il clan viene arrestato. Finiscono in manette il patriarca Francesco Valle, allora 72enne, i due figli Angela e Fortunato, di 46 e 47 anni, e un’altra dozzina di parenti e soci in affari. Il pubblico ministero Ilda Boccassini dispone anche il sequestro della villa insieme ad un centinaio di altri beni, tra appartamenti, ristoranti, bar, conti correnti intestati a società riconducibili alla famiglia. Per quattro anni alla Masseria non si vede più nessuno. Poi, improvvisamente, non appena viene disposta dal Tribunale la confisca in via definitiva, si notano movimenti sospetti. Viene danneggiato l’impianto elettrico, ma i cavi tagliati non vengono portati via. Le tegole del tetto vengono sollevate e le infiltrazioni d’acqua fanno crollare la soletta. La cancellata in ferro viene divelta e spariscono le statuette in gesso della Madonna di Polsi, cui la famiglia era particolarmente devota. Una devastazione sistematica che fa

pensare a qualcosa di più che non semplici atti vandalici. Presidio per la legalità L’allora referente regionale di Libera, Davide Salluzzo, presenta al Tribunale di Milano la richiesta di sorveglianza e presidio del bene confiscato. Interviene anche il sindaco che chiede all’Agenzia nazionale dei beni sequestrati di assegnare la Masseria al Comune per preservarla dalla spoliazione. Intanto una perizia fatta da Libera stima attorno a 500 mila euro i danni provocati dai presunti vandali. «Se non fossimo intervenuti subito, non avremmo più avuto le risorse sufficienti per il recupero del bene, anche se alla fine dell’iter giudiziario ne avessimo ottenuto la gestione», racconta il primo cittadino Durè. Il 21 aprile 2015 il sindaco convoca in piazza un consiglio comunale aperto alla cittadinanza e mette ai voti la decisione di dare vita ad un presidio permanente di tutela. L’assemblea civica vota per il sì all’unanimità e il 13 maggio 2015 alle ore 10, inizia il picchetto organizzato da Comune, Libera, la cooperativa Ies della Caritas Ambrosiana, dall’associazione “Una casa anche per te”. A turno i cittadini per un mese passano giorno e notte alla Masseria. L’amministratore giudiziario no-

minato dal Tribunale - caso unico nel Nord Italia – decide di concedere in comodato d’uso provvisorio la villa al Comune prima della confisca definitiva. Inizia così una straordinaria mobilitazione della società civile. «Non siamo mai stati soli: tanta gente comune ci ha dato una mano – racconta Elena Simeti una delle attiviste del presidio –. C’è chi è venuto a rimbiancare gli appartamenti, chi a rifare l’impianto elettrico. Tutto gratis. Gli unici soldi che sono girati qui sono stati quelli delle donazioni che abbiamo usato per coprire i costi del materiale». Progetti ambiziosi Tre appartamenti su quattro in questo modo sono stati recuperati. La villa che nel frattempo è stata ribattezzata Libera Masseria è diventata anche un luogo di educazione alla legalità e all’antimafia. E questa estate ad esempio ospiterà i campi di volontariato estivo per i giovani della Diocesi. Ma i progetti per il futuro sono ancora più ambiziosi. «Finora abbiamo dato una risposta ai bisogni sociali del territorio – spiega don Mapelli–-. Ma la Masseria deve anche tornare a dare lavoro. Solo così avremo finito la nostra opera e nessuno potrà pensare che dopotutto era meglio quando c’erano i Valle».

I NUMERI

In Lombardia oltre 1.000 beni sequestrati solo il 30% è utilizzato per fini sociali La Lombardia è la terza regione in Italia per quantità di beni immobili sottratti alla mafia. Delle 1050 ville, case indipendenti, box e cantine, frutto di attività criminali, solo il 30% è riutilizzato a scopi sociali. Tra il sequestro del bene, la confisca e l’assegnazione definitiva passano anni. Nel frattempo l’immobile viene in genere deturpato e, quando l’iter giudiziario si conclude, è così deteriorato che l’ente assegnatario deve investire parecchio denaro per ripristinarlo. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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LA STORIA

Ci vuole orecchio Enzo Jannacci visto dai bambini di Daniela Palumbo

Una maestra, 27 bambini “monelli” e una passione smodata per Enzo Jannacci. Da qui e dall’ascolto delle canzoni del grande cantautore ne è nato un bellissimo lavoro. Sui testi, sulla musica e, soprattutto, su se stessi. Per crescere in armonia 40 Scarp de’ tenis giugno 2016

E allora succede che una terza elementare si appassioni a Enzo Jannacci. Che ami alla follia No tu no! E che 27 bambini della scuola Primaria di Solbiate, guidati dal capitano Claudia Leoni, cantino da mattina a sera, a scuola, a casa, allo sport, con gli amici... Vengo anch’io? No tu no! E perché? Perché NO! Sarà che a quell’età è ancora più bello gridare grandi no e poterli cantare a squarciagola, sarà che la maestra&capitano Claudia è così trascinante nel suo amore per il poeta Enzo, sarà che i video e le parole di Jannacci sono per tutte le generazioni. Ma i 27 monelli, come ama chiamarli Claudia, si sono innamorati di Enzo e gli hanno dedicato disegni e parole, di cui il medico e cantore, ne siamo certi, sarebbe fiero. «Io sono cresciuta con le canzoni di Enzo Jannacci – racconta la maestra –. Mio padre era un appassionato di musica italiana, musica d’autore, non solo canzonette. Veniva sempre con dischi nuovi, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. E io ascoltavo, mi divertivo a sentire


LA MOSTRA Enzo Jannacci. Nella pagina a fianco, il disegno di Alessandra e, sotto, il disegno realizzato da Diego

info Buon compleanno, Jannacci! Una serata dedicata al grande cantautore milanese nei giorni in cui avrebbe festeggiato il suo 81° compleanno. Programma della serata: Musica dal vivo e presentazione del libro “Peccato l’argomento. Biografia a più voci di Enzo Jannacci” con l'autore Sandro Paté. Proiezione del film “Jannacci, lo stradone col bagliore” di Ranuccio Sodi, alla presenza del regista. Inaugurazione di "La mia gente. Enzo Jannacci canzoni a colori" mostra di illustrazioni ispirate alle canzoni di Enzo Jannacci a cura di Davide Barzi e Sandro Paté in collaborazione con il mensile di strada Scarp de' tenis . Martedì 7 giugno ore 20.30 Cinema Beltrade via Oxilia 10 - MILANO Telefono 02 26820592 info@cinemabeltrade.net

quelle buffe di Jannacci, le tristi di Endrigo, e poi le cantavo naturalmente. E crescevo con la musica di Enzo che era il mio preferito». Claudia, insieme alla maestra Eleonora Pizzolorusso, che adesso non è più a Solbiate, ogni anno propongono un progetto nuovo ai bambini. L’importanza dell’ascolto «L’anno scorso, in terza, il tormentone su cui abbiamo lavorato tutti insieme è stato l’ascolto – spiega Claudia –, naturalmente in senso lato, come ascolto dell’altro e ascolto di se stessi. Il titolo è stato: Ci vuole orecchio... tanto, anzi parecchio. Ma per parlare di astratto ai bambini bisogna partire dal concreto e allora ho pensato alle canzoni di Jannacci. Subito gli è piaciuto il ritornello: Vengo anch’io no tu no, è diventato un cult! Amatissimo. Da lì abbiamo cominciato a conoscere Enzo da vicino. La sua vita e le sue canzoni. Da questa esigenza è nato un canovaccio che ho scritto per i bambini dove parlo del nostro amico Enzo come di una persona che aveva un grande dono: saper ascoltare e osservare la realtà attorno a

“Gente d’altri tempi” espone a Rimini: Jannacci e Scarp ospiti al “Cartoon Club” I personaggi “sgalembri” di una vita, le poetiche struggenti delle canzoni e la denuncia dell’emarginazione. Il pantheon stralunato degli antieroi raccontati da Enzo Jannacci, cantati in carriera con ironia e disincanto dal medico-artista, ora rivivono in una mostra originale e struggente, proposta dal festival internazionale del fumetto e del cinema d’animazione “Cartoon Club” di Rimini. “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori” (nella foto la locandina) propone oltre 50 illustrazioni realizzate da grandi autori italiani e dedicate allo chansonnier meneghino e a tutti i meravigliosi, umani, scanzonati e disperatamente allegri personaggi che hanno preso vita dalle sue liriche. Da Silver a Sergio Gerasi, da Pao a Staino, da Stefano Disegni a Oskar, fino al cantautore Paolo Conte, la mostra, curata da Davide Barzi e Sandro Paté, presenta al Foyer del Teatro Galli di Rimini (30 giugno-31 luglio 2016, ingresso libero, info: 348.7849349) le reinterpretazioni con matita e pennello delle canzoni del vasto repertorio dello scomodo artista. C’è l’Enzino struggente cantore del Barbon dell’Idroscalo che portava i scarp del tennis, e quello apparentemente nonsense di Vengo anch’io no tu no, una delle sole due canzoni del medico chirurgo con la passione per il pianoforte a scalare le vette della hit parade. Per l’occasione Jannacci si prese la responsabilità di modificare il testo inizialmente scritto da Dario Fo. La versione del Premio Nobel recitava, infatti: «Si potrebbe andare tutti quanti nelle miniere del Belgio a bruciare». Jannacci, libero da ogni ideologia e cosciente della fatica degli emigranti, preferì modificare quei versi. Le opere sono state tutte donate gratuitamente dagli autori. I fondi raccolti dalla vendita saranno destinati all’accompagnamento sociale delle persone senza dimora e ai venditori di Scarp de’ tenis, giornale di strada promosso da Caritas Ambrosiana, che saranno presenti a Rimini nella giorni della mostra. L’esposizione sarà accompagnata da filmati di repertorio, video delle apparizioni televisive di Jannacci e disegni animati basati sulle sue canzoni. All’inaugurazione, (il 30 giugno) parteciperanno i curatori Davide Barzi e Sandro Paté, alcuni dei disegnatori coinvolti nell’operazione e, nella sala superiore del Foyer, è prevista una esibizione dell’artista Beppe Ardito. La lezione di Enzo, quella di non dimenticarsi mai degli ultimi, dei “disgraziati”, come li chiamava lui, continua. Gente d'altri tempi. Enzo Jannacci, nuove canzoni a colori Foyer Teatro Galli, piazza Cavour - Rimini (30 giugno - 31 luglio 2016) info: 348.7849349 giugno 2016 Scarp de’ tenis

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LA STORIA lui. Proprio per ricollegare Jannacci al tema del progetto, l’ascolto appunto».

È nato dal “canovaccio” introduttivo il filo del tram.

Eccolo: Milano è la città dei tram. È così grande Milano che per poter andare da est ad ovest devi aspettare il tram e lasciarti portare. Enzo è nato a Milano nel 1935. Allora i tram avevano un filo che li collegava alla rete e che dava loro l’energia per percorrere le strade. Enzo il tram lo prendeva insieme a quelli che aspettavano alla fermata. Studiava musica, il suo grande sogno, e intanto frequentava l’Università... Così i 27 monelli hanno cominciato a immaginarlo quel filo e quel bambino mingherlino che voleva suonare e scrivere le canzoni e anche diventare dottore. Se lo immaginavano in piedi dentro il tram che correva per la città, grazie al filo che era attaccato alla corrente, Enzo che guardava le persone, si incuriosiva della gente e ascoltava tutti con attenzione. Eh sì, sapeva ascoltare per davvero quell’Enzo lì. Da filo nasce filo. Poi sono arrivati i disegni dei bambini e le loro riflessioni.

Anche noi abbiamo il nostro filo di allegria. Anche noi dobbiamo imparare ad ascoltare. Anche noi possiamo imparare tante cose importanti scherzando e giocando Melissa

«Non abbiamo corretto nulla né dato indicazioni – dice Claudia – tutto è come loro lo hanno immaginato. Ognuno

con la sua sensibilità e con la sua attenzione all’ascolto. Poi siamo andati a incontrare delle persone sorde, e lì i bambini si sono resi conto di cosa vuol dire essere privati dell’ascolto, ma anche che si può ascoltare con il cuore e con gli occhi». Claudia Leoni è anche un’accanita lettrice di Scarp de’ tenis e presto i bambini saranno ospitati dalla nostra redazione, insieme ai nostri venditori che accoglieranno le 27 piccole pesti per parlare ancora di ascolto. L’ascolto dell’altro, di chi è più fragile. Un filo che non si spezza. Vi aspettiamo.

A fianco, dall’alto, i disegni realizzati da Cristiano, Manuel, Giulia e Giada

Il nostro amico Enzo ha dedicato la sue canzoni ai poveri. Ma Enzo voleva essere un grande amico dei bambini. Le canzoni di Enzo e chi le ascolta sono una grande melodia Margherita e Lavinia

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VICENZA

Il laboratorio di scrittura creativa organizzato con gli ospiti del Lembo del Mantello

Scrittura curativa: così la detenzione aiuta a cambiare di Cristina Salviati

Sono otto le persone ospitate in un appartamento vicino a Vicenza per il progetto della Caritas diocesana, “Lembo del Mantello”, servizio residenziale e domiciliare per il reinserimento di detenuti in misure alternative, cautelari o in semilibertà. Otto uomini con storie e provenienze diversissime che si trovano a dover convivere cercando di rispettarsi l’un l’altro.

info

Il Lembo del Mantello A Vicenza il Lembo del Mantello opera in due case distinte ospitando uomini e donne, in due diverse zone della diocesi. Per saperne di più: www.caritas.vicenza.it

«Non è facile – racconta T. – abbiamo abitudini molto diverse a partire dal cibo, fino alla religione, ai modi di fare, alle differenze razziali. Proveniamo da sei Paesi diversi». L’équipedegli educatori ha messo a punto una serie di attività che aiutino a conoscersi più a fondo. Primo tra tutti l’appuntamento settimanale battezzato “Incontro dei valori”, dove si parla di moltissimi argomen-

Scrivere non è come parlare: devi pensare, lavorarci su. Sei costretto a rivedere le tue scelte e tutti gli sbagli

ti, e dove ognuno può mettersi in discussione oppure sentire cosa ne pensano gli altri delle sue chiusure o paure. Padre Hiani e Simone, volontario che frequenta la casa, propongono anche dei video o degli spezzoni di film per dare inizio alla discussione. «Spesso – dice ancora T. – sono immagini e racconti molto forti, che ti obbligano a riflettere». Il cinema, la lettura e la scrittura sono le attività scelte per stimolare la riflessione e la discussione. Sem-

pre con l’aiuto di volontari una sera a settimana si svolge il cineforum con scambio di opinioni finale. Ogni quindici giorni poi arriva un gruppo di “lettori” che propone dei brani. «Di solito – aggiunge G. – sono loro a scegliere il tema, dal giallo alla letteratura classica. Ma una volta abbiamo proposto i testi delle canzoni di Bob Dylan e si sono preparati su quelle. Una bella soddisfazione sentirsele recitare su richiesta».

«Per chi, come me, è agli arresti domiciliari – spiega T. – ogni attività è interessante, qui ti senti accudito, aiutato a occupare il tempo che altrimenti non passa mai». «In carcere – racconta F. – ti senti inutile, sei solo un numero: non hai niente da fare e nessuno ti segue». Invece qui le proposte sono continue. Grazie agli spunti e alla libera creatività Antonio, insegnante in pensione, riesce pure a far scrivere questo gruppo di persone ristrette. Si parte da un ricordo, una foto, una parola per sviluppare un breve racconto o un semplice scritto, buttato giù con semplicità senza l’assillo della grammatica o della punteggiatura. Proprio come si fa nei laboratori di scrittura creativa si cerca di recuperare la memoria e il dialogo con se stessi senza preoccuparsi della forma. «Scrivere non è come parlare – conclude T. – devi pensare, lavorarci su. Sei costretto a rivedere alcune tue prese di posizione, i tuoi sbagli, le scelte che hai fatto. Mettersi in gioco attraverso la scrittura aiuta a crescere e a cambiare».

IL PROGETTO

Lembo del Mantello, occasioni di crescita Il Lembo del Mantello, opera segno della Caritas Diocesana Vicentina, è inserito nel progetto interprovinciale Esodo presente a Vicenza, Belluno e Verona. Nasce dalle Caritas diocesane di queste tre città e dalla Fondazione Cariverona con la collaborazione dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto. Per promuovere percorsi strutturati e organici d’inclusione socio-lavorativa a favore di persone detenute, ex detenute o in esecuzione penale esterna si è dato vita a una rete di organizzazioni che consentono numerosi interventi. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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“Case del quartiere”, luoghi di socialità di Enrico Panero

Riutilizzare spazi pubblici abbandonati per creare e sperimentare forme di socialità e convivenza. Torino, con le sue nove “case del quartiere”, è una delle città italiane più vive sotto questo aspetto: luoghi accoglienti e aperti davvero a tutti. 44 Scarp de’ tenis giugno 2016

La riappropriazione di spazi pubblici per sperimentare forme di convivenza e socialità è una pratica diffusa in molte città. Case e strutture di varia natura, vecchie cascine, ex fabbriche: spazi fisici che diventano “spazi di comunità”, dove i soggetti organizzati e i cittadini danno vita a un nuovo modo di abitare la città. Esperienze diverse che per la prima volta si sono incontrate a Torino al convegno “Abitare una casa per abitare un quartiere” con quasi 400 persone in rappresentanza di oltre 40 realtà italiane e non, per creare sinergie e connessioni. Non esiste un modello unico perché le realtà territoriali e le esigenze sono diverse tra loro, in comune però ci sono idee e pratiche. La voglia di sperimentare è tale, poi, che in alcuni casi anche l’assenza di strutture diventa un ostacolo superabile, come evidenzia El Campo de Cebada, a Madrid: dopo la demolizione di un centro sportivo i cittadini si sono riappropriati dello spazio trasformandolo in una piazza per le attività del quartiere, costruendo gradina-


TORINO coinvolgimento e auto-organizzazione».

Nella foto Cascina Roccafranca, una delle “case del quartiere” di Torino, dove si è svolto il convegno sugli spazi di comunità

Ogni Casa ha una storia diversa ma tutte si configurano come luogo d’incontro e punto di riferimento per nuovi e vecchi cittadini. Le azioni più interessanti sono quelle che nascono su iniziativa dei singoli, cosa che fa di questi luoghi delle piazze che esprimono modi diversi di vivere la città

te, impianto elettrico, coperture e mettendola a disposizione di chiunque voglia utilizzarla. «Crediamo fermamente nel potere dell’azione dei cittadini basata sulla cura dei beni comuni, alla ricerca di ciò che unisce», dichiarano i promotori dell’iniziativa. Torino in prima linea Il primo incontro tra queste esperienze è avvenuto a Torino in quanto città-laboratorio di “spazi di comunità”. Dal 2007 sono infatti nate in città nove “Case del quartiere”, con 12.700 metri quadri di spazi adibiti ad uso sociale e culturale, una media di 1.200 passaggi quotidiani a centinaia di corsi, laboratori, eventi, servizi, sportelli. Si tratta di spazi pubblici riqualificati con la collaborazione tra istituzioni, fondazioni bancarie e private, imprese sociali, associazioni e cittadini. «Ogni Casa ha una storia diversa e un territorio specifico – spiega Erika Mattarella, responsabile dei Bagni pubblici di via Aglié, la Casa del quartiere di Barriera di Milano, e coordinatrice della rete cittadina – , ma tutte si configurano come luogo d’incontro e punto di riferimento per nuovi e vecchi cittadini». Come? Raccogliendo e organizzando le attività di un vasto numero di associazioni e gruppi informali; creando momenti di socializzazione e svago; offrendo servizi, corsi e laboratori, attività culturali; mettendo a disposizione spazi. Sono luoghi aperti e pubblici; laboratori sociali e culturali nei quali si esprimono pensieri e vissuti collettivi; spazi che avviano esperienze di partecipazione,

In comune c’è un’idea di città e alcune caratteristiche: le dimensioni dello spazio a disposizione; l’attività di servizio della struttura, che offre luoghi, competenze e supporto ai soggetti del quartiere; i target e i servizi differenziati; la capacità di includere anche cittadini non organizzati; il fine ultimo del benessere del territorio. Si tratta di laboratori socioculturali in continua evoluzione, come sottolinea Roberto Arnaudo, direttore dell’Agenzia per lo sviluppo di San Salvario che gestisce la relativa Casa del quartiere: «Le cose più interessanti sono quelle che nascono al di fuori della programmazione, su iniziativa dei cittadini, cosa che fa di questi luoghi dei punti di riferimento, delle piazze che esprimono modi di vivere la città. Ci deve comunque sempre essere circolarità tra territorio e amministrazione non necessariamente in termini economici ma di relazioni e collaborazioni: alimentare la politica istituzionale di contenuti e visioni che vengono dal basso e fare in modo che le iniziative dei territori stiano dentro a delle politiche».

Nasce la rete cittadina Sono ormai tre anni che esiste a Torino un coordinamento cittadino, che ora ha deciso di costituirsi in una Rete delle Case del quartiere i cui obiettivi sono: condivisione di esperienze, strumenti e metodi delle Case, per aggiornare il modo di operare e rispondere ai nuovi bisogni, attivazione di collaborazioni ed economie di scala, ideazione di progetti comuni, supporto a progetti in quanto Rete, comunicazione comune e organizzazione di iniziative culturali.

«C’è anche la volontà – continua Roberto Arnaudo – di definire una visione comune, fare sintesi per evidenziare gli elementi innovativi delle nostre esperienze e proporre una prospettiva». La Rete, come spiegano i suoi coordinatori, rappresenta le Case del quartiere nel rapporto con istituzioni, enti, associazioni, gruppi e con tutti quei soggetti che intendono o che potenzialmente possono collaborare, al fine di «contribuire ad una politica culturale dove i cittadini siano protagonisti dell’agire sociale e i territori la loro importante risorsa locale». www.casedelquartieretorino.org

LA SCHEDA

Dieci punti che caratterizzano le “Case”, un manifesto da esportare fuori città Dal confronto fra le Case torinesi è nato un documento in dieci punti che evidenzia gli elementi caratterizzanti queste esperienze. 1. Luoghi aperti a tutti i cittadini. 2. Spazi di partecipazione attiva. 3. Luoghi accessibili, accoglienti e generativi di incontri. 4. Spazi di tutti ma sede esclusiva di nessuno. 5. Contenitori di molteplici progettualità. 6. Gli operatori: competenti artigiani sociali. 7. Luoghi intermedi fra il pubblico e il privato. 8. Giusto rapporto tra autonomia economica e sostegno pubblico. 9. Luoghi radicati nel territorio. 10. Strutture con una propria forma di governance. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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VENEZIA

Vincenzo e Fabio dentro la loro sagoma. Sono ancora in attesa del permesso di utilizzarla

Vincenzo e Fabio fanno un lavoro che non esiste di Michele Trabucco

Vincenzo è uno dei venditori storici di Scarp Venezia. Fin dall’inizio ha aderito al progetto e si è dato da fare per integrare il reddito mensile e poter un giorno vivere in una casa tutta sua. La sua esperienza personale è bizzarra. Da divo della musica e del canto a persona che si trova ad affrontare le difficoltà della vita in strada, anche se da tempo è accolto nelle strutture della Caritas. Non si è mai scoraggiato e la sua creatività lo ha sempre salvato dalle situazioni più degradate. Ultima in ordine di tempo è stata l’idea di creare una fonte di reddito utilizzando uno dei palcoscenici più più belli ed unici al mondo : la città di Venezia. Ogni anno nel capoluogo lagunare arrivano circa 20 milioni di turisti. E il dormitorio della Caritas

Loro ci hanno tentato ma per il Comune la loro attività non esiste. E rischiano multa e sequestro. Così non lavorano

con la sua mensa, frequentate da Vincenzo, sono in uno dei posti più belli del centro storico. Vincenzo insieme a Fabio, responsabile del dormitorio, hanno così pensato di realizzare un’attrattiva per i tanti turisti che visitano le calli e le fondamenta della città. Come fare per “distrarli” dalle bellezze monumentali e coinvolgerli in un momento divertente? Idea nuova e semplice Semplice: realizzare un pannello in legno con disegnato un gondoliere e una bambina, sullo sfondo di un canale, ricavare un buco per il viso e ottenere uno di quei classici oggetti in cui la gente infila il viso e si scatta la foto con la sagoma disegnata e raffigurata sul pannello. Un’idea che a Vincenzo è venuta ricordando il viaggio fatto a Las Vegas, durante gli anni “ruggenti” della sua carriera musicale. Insieme alla sua band, avevano viaggiato da Londra agli States dove con una macchina a noleggio raggiunsero la città del gioco. Lì aveva visto questi pannelli. A dicembre scorso l’idea di rea-

lizzarlo a Venezia. Con impegno e laboriosità, Vicenzo e Fabio spendono circa 150 Euro per il legno, la pittura, gli attrezzi per costruire il pannello. Tutto pronto per la prima foto sulla fondamenta dell’Arsenale. Un successo. Fin dal primo giorno i turisti, sia bambini che adulti, si fermano, infilano la testa sul foro e “click” una foto (senza possibilità di selfie) per il ricordo di essere gondoliere per un giorno.

Ma non basta la fantasia in Italia. Serve essere a posto con la burocrazia. Ecco allora la richiesta presentata al Comune di poter fare questa attività, ad offerta libera. Ci mettono 4 mesi per poter compilare la richiesta con la marca da bollo. Perché così tanto? Perché nell’elenco delle attività lavorative del Comune, da potersi fare in strada, o meglio in calle e in fondamenta, non è prevista la loro. E gli impiegati comunali non sanno come classificarla. Ad aprile Vincenzo accetta di rientrare nella categoria dei “madonnari”. La durata del permesso è per soli 15 giorni. Poi dovrà rifare la domanda, altra marca da bollo. Felici e contenti riprendono l’attività, convinti di essere a posto. Il “lavoro” procede bene, divertimento, scherzi, siparietti con turisti e residenti sono frequenti. Così come le offerte che ricevono dopo aver scattato la foto. Nessuno sa cosa fare Ma arriva il fatidico giorno del controllo. Passa la polizia municipale e crolla tutto. Il permesso non va bene. Bisogna mettere via tutto e sparire, altrimenti viene sequestrata ogni cosa. Non resta che obbedire. Nell’elenco delle professioni di strada del Comune non esiste quella di Vincenzo e Fabio, quindi non si può fare. Forse bisogna fare richiesta al sindaco o al consiglio perché inseriscano questa nuova tipologia di lavoro. Nel frattempo i due amici non possono “lavorare” in quel modo e tanti turisti e bambini non avranno la loro foto di essere “gondolieri” per un giorno.

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A scuola si educa alla libertà di Angela De Rubeis

Si chiama “Anche se piove” la scuola democratica materna nata a Rimini grazie alla cooperativa “Il Millepiedi”. Qui, ogni giorno, i bambini decidono cosa fare e quando farlo insieme a insegnanti e educatori secondo regole decise tutti insieme 48 Scarp de’ tenis giugno 2016

Scuole libertarie, scuole democratiche, scuole parentali, metodo montessoriano, steineriano, outdoor education. Negli ultimi anni è aumentato l’interesse verso modelli alternativi rispetto a quello adottato dalla scuola pubblica. Mode del momento? No. O almeno non solo. Nel 1921 quasi in ogni paese d’Europa nascono delle scuole di pensiero. In Italia, Maria Montessori sviluppa il sistema montessoriano, oggi apprezzatissimo, soprattutto nei paesi anglosassoni, ma particolarmente snobbato in Italia. Per fare un esempio, negli Stati Uniti il metodo Montessori ha educato personaggi del calibro di Sergey Brin e Larry Page (i fondatori di Google), Bill Gates, Jeff Bezos (Amazon) e Jimmy Walls (Wikipedia) solo per citarne alcuni. A Rimini da pochi anni è stata aperta “Anche se piove”, una scuola democratica materna di outdoor education, che si basa sull’educazione all’aperto, gestita dalla cooperativa sociale “Il Millepiedi”. «Il nostro giardino offre la possibilità di vivere l’aula all’aperto –


RIMINI

Un momento della giornata nella scuola democratica materna di Rimini. Qui sopra la riunione di inizio giornata dove si decide cosa fare

Ogni mattina i bambini si organizzano definendo dei compiti e poi viene preparata l’assemblea, il momento in cui si decide come organizzare la giornata, ci si confronta e i bambini si raccontano. L’assemblea si svolge in circolo, bambini ed educatori, proprio per sottolineare il carattere paritario

racconta Antonella Guidi, una delle insegnanti – e i bambini possono scegliere liberamente se giocare fuori o dentro. Ci sono momenti liberi e momenti di gruppo. La giornata comincia alle 8 di mattina, ma l’ingresso si conclude alle 9 e 45. Questo tempo è il tempo libero, quello in cui si arriva, si entra nel gioco, nella relazione e si sceglie come cominciare la giornata. Alle 9 e 45 i bambini si organizzano definendo dei compiti, tra cui, ad esempio, il suono della campanella, e poi viene preparata l’assemblea, il momento centrale, quello in cui si decide come organizzare la giornata, ci si confronta e i bambini si raccontano. L’assemblea si svolge in circolo, bambini ed educatori, proprio per sottolineare il carattere paritario tra tutti». La scuola democratica Ma non c’è il rischio che in un metodo democratico, in cui cioè i bambini possano scegliere cosa fare e come farlo, ci sia anche chi decide di non fare niente? Soprattutto nei gradi di scuola, come le elementari, le medie e le superiori? A questi interrogativi risponde Michael Newman, insegnante della scuola di Summerhill a Leiston, in Inghilterra. È la più antica scuola democratica del mondo, nata nel 1921, e comprende tutti i gradi di insegnamento (esclusa l’università). «Summerhill è una scuola residenziale con 74 studenti e 15 adulti che vivono insieme. La vita, la gestione e la “giustizia” della scuola si decidono all’interno di assemblee. I ragazzi sono sempre liberi di scegliere se andare o non andare a lezione. Dobbiamo sempre ricor-

darci che i bambini amano imparare, hanno una motivazione interiore molto forte, dettata dalla curiosità. La vera domanda che dovremmo porci è: perché nella scuola tradizionale si utilizzano dei metodi che porteranno il bambino a perdere la voglia di imparare? Dalla nostra scuola escono studenti bravi e molto curiosi. Sono persone motivate e cittadini attivi, capaci e desiderosi di imparare. Ma se vengono valutati con un classico sistema ad esami, a prove, potrebbero sembrare meno capaci di altri. Le uniche volte che abbiamo avuti problemi è stato con studenti provenienti da altre scuole e abituati a un metodo classico. Perché in quel caso, l’obiettivo non è l’educazione, ma il passare l’esame». La differenza principale in queste scuole risiede nel coinvolgimento dello studente nell’attività educativa. Il ragazzo non è solo un

ricettacolo passivo di nozioni, ma segue le sue inclinazioni e partecipa alla fase organizzativa. «Scuola democratica non vuol dire anarchia – specifica Sara Savoretti, coordinatrice area infanzia de “Il Millepiedi” – non c’è licenza di fare tutto. Ci sono regole, perché i bambini si trovano a vivere delle situazioni di rischio uscendo dal contesto scolastico e vivendo la dimen-

sione dell’esplorazione all’aperto. Questo implica una grande coesione di gruppo, spirito di adattamento e grande capacità di attenersi a regole chiare. E sono chiare perché partono da loro e perché sono condivise. “Anche se piove” si rivolge ai bambini dai 3 ai 6 anni e veicola le regole durante l’assemblea mattutina nella quale si discute sia di scoperte sia di regole. Abbiamo cominciato nel 2012, incontrando dei genitori che cercavano una proposta diversa da quella tradizionale. Attualmente la scuola propone solo la materna, ma in futuro speriamo di poter andare avanti, e proporre anche una classe per le elementari». Solo in scuole private Le scuole democratiche e libertarie faticano ad affermarsi, soprattutto in Italia. Senza nulla togliere a tanti bravi insegnanti, la scuola tradizionale non sempre riesce a perseguire l’obiettivo di formare cittadini attivi e preparati, e soprattutto sembra incapace di assimilare modelli alternativi e diversi rispetto a quello istituzionale. Chi desidera sperimentare scuole dall’impianto diverso oggi può farlo solo in scuole private, non alla portata di tutte le famiglie. Le esperienze sono positive. In futuro potrebbe accorgersene anche la scuola pubblica. www.ilmillepiedi.it

LA SCHEDA

Genitori Montessoriani, un gruppo per offrire nuovi spunti educativi Si chiama Genitori Montessoriani Rimini e dintorni, è il gruppo nato su Facebook per riunire i genitori che sentono il metodo Montessori vicino al loro modo di essere e di educare o che sono alla ricerca di nuovi spunti educativi. L’idea è venuta dopo il corso “Il Montessori a casa” tenuto da Alessia Salvini al centro Arbor Vitae di Rimini: da una parte c’era il desiderio di non perdersi di vista, dall’altra quella di condividere un percorso educativo che prima di riguardare il bambino riguarda il genitore. Il numero dei membri è passato da una ventina iniziale ai 175 di oggi. Il gruppo è un luogo di incontro tra persone che credono in un nuovo approccio e rapporto col bambino che, passando da adulto centrico a bambino centrico, costituisce una svolta nella direzione della consapevolezza e della libertà. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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VERONA dice ancora Andrea – vogliamo offrire un’esperienza positiva, di ben-essere. Un momento di spensieratezza, quelli in cui si sospendono i pensieri e le preoccupazioni e ci si diverte». Un monento del laboratorio di Community music andato in scena alla casa di accoglienza Il Samaritano

Community music, quando suonare fa stare tutti bene Al centro diurno della Casa “Il Samaritano” (Caritas diocesana di Verona) si è da poco conclusa un’esperienza mai provata fino ad ora. Per due mesi, ogni martedì pomeriggio, una decina di ospiti ha seguito un laboratorio musicale di community music. All’inizio più di qualcuno era titubante e magari un po’ perplesso, ma anche curioso. Cominciando, è apparso chiaro che la cosa coinvolgeva molto. D’altra parte, a portare la musica nella Casa era qualcuno che la conosce bene, e che ne conosce altrettanto bene le potenzialità benefiche, trasformative, creative. Si tratta di Andrea Giorio, insegnante nel corso di community music (diploma internazionale Btec)

A conclusione del corso si è scelto di coinvolgere tutto il pubblico nella performance, facendo suonare tutti

al Csm College di Verona, e di Francesco, Mattia, Davide e Peter, studenti del suo corso che hanno scelto quest’esperienza come argomento della loro tesi. «Una proposta arrivata al momento giusto – commenta Anna Zampicinini, educatrice al centro diurno –. Da tempo ci sarebbe piaciuto fare un po’ di musica con i nostri ospiti, ma non sapevamo bene come. Questo laboratorio era proprio quello che ci voleva». La musica unisce «La musica – spiega Andrea – ha un’essenza intrinsecamente aggregativa, oltre che artistica. E una forza creativa e trasformativa. Nelle diverse esperienze di community music, che raccoglie tante e variegate esperienze di musica con e per la comunità, il fine artistico diventa in un certo senso secondario, ed emerge il fine sociale. Il “Samaritano” è un luogo ideale in questo senso». Diversi gli obietti che si vogliono ottenere utilizzando questa offerta formativa. «Innanzitutto –

Obiettivo pienamente raggiunto, anche a detta di chi vi ha partecipato. Moctar, Davide, Babacar e Paolo, alcuni fra i protagonisti del progetto, concordano proprio su questo: è stato un momento di relax e divertimento per tutti. Babacar, che come Moctar suonava i tamburi, aggiunge: «È stata un’esperienza costruttiva, che ci ha lasciato l’impressione che fare musica non è così difficile come si pensa, nel momento in cui ti lasci coinvolgere». «E quando hai un buon maestro – continua Paolo, che, armato di chitarra, non ha mai perso un giorno del laboratorio –. Mi ha riportato indietro nel tempo, non pensavo di essere ancora in grado di suonare. I nostri maestri sono davvero bravi, mi hanno aiutato a tirar fuori questa passione che è anche mia, ed è stata una bellissima esperienza». Il bello di stare insieme «Il secondo obiettivo che ci siamo prefissati, un po’ più ambizioso, è quello di esprimere un’altra caratteristica intrinseca alla musica: trasmettere valori positivi. Per questo abbiamo scelto di lavorare insieme su due pezzi di questo tipo: Hey Jude dei Beatles e Io penso positivo di Jovanotti». Che sono stati molto apprezzati. Su un’altra cosa sono tutti concordi: l’evento finale del laboratorio, cui erano invitati tutti, ospiti, volontari, operatori e il direttore, è stato un momento molto bello, un momento di comunità in cui tutti sono stati coinvolti. «Invece di fare noi lo spettacolo – prosegue Paolo – abbiamo scelto di coinvolgere nella performance anche il pubblico. Quindi alla fine tutti suonavano e cantavano insieme, maestri, insegnanti e pubblico. Uniti in un’unica grande voce». giugno 2016 Scarp de’ tenis

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Sartoria sociale: cucire anime e vestiti strappati di Stefania Marino

La sartoria è il luogo dove arrivano persone, specialmente donne, che vivono una fase di difficoltà. Qui si sta insieme prima di ogni cosa. È un luogo di incontro, di aggregazione, di condivisione di idee, di pensieri e obiettivi 52 Scarp de’ tenis giugno 2016

C’è un luogo di fronte al mare della Spigolatrice di Sapri dove la solidarietà passa attraverso l’ago e il filo. In alcune stanze al secondo piano dell’Istituto Santa Croce, meraviglioso edificio di fine Ottocento, voluto da un benefattore del tempo, tale cav. Giuseppe Cesarino, oggi c’è la Sartoria sociale. Un vero e proprio laboratorio di creatività messo in piedi nel 2013 dall’associazione “Una goccia nell’Oceano” grazie al contributo della Fondazione della Comunità salernitana. E fu così che tre anni fa con poche migliaia di euro, l’allora presidente Giuseppina Maio, ricevuti i locali dalla parrocchia di San Giovanni, sistema tutte le macchine da cucire e tutto l’occorrente e dà il via alla sartoria insieme alle volontarie dell’associazione. Quando si entra lo sguardo è catturato dagli abiti già pronti appesi ai manichini, dai cappelli, dalle borse, dai ritagli di tessuto, dai fili e dai nastri poggiati qui e là. Dai balconi si può ammirare il mare e il panorama che da tutto il Golfo di Policastro, ultimo lembo della provincia salernitana, arriva


SAPRI

Due donne al lavoro nella sartoria sociale creata per aiutare persone che si trovano in difficoltà economiche o sociali. Un luogo magico che crea legami

Si è creato un dialogo tra generazioni e culture diverse: è un’esperienza di crescita anche per la sartoria. Ed un’esperienza rigenerante per chi la frequenta. Ci sono state donne schiacciate dalla depressione che hanno trovato nella manualità, nello stare insieme anche se in silenzio, un’ancora a cui aggrapparsi

giù fino a Maratea. Annamaria, Rosamaria, Carolina, Ersilia, Anna con il capo chino sui loro lavori di taglio e cucito ci raccontano del valore sociale insito in questo luogo. Sì. Perché la sartoria è il luogo dove arrivano persone, specialmente donne, che vivono una fase di difficoltà, a volte segnalate dal Tribunale per i Minori o dalle strutture sociosanitarie del territorio. Qui si sta insieme prima di ogni cosa. Èun luogo di incontro, di aggregazione, di condivisione di idee, di pensieri ed obiettivi. Un punto di riferimento che scandisce il tempo di tutti i giorni della settimana. Le donne del Golfo Giuseppina Maio, memoria storica di questa realtà, ci mostra le scatole piene di abiti, tappeti, borse pronte per essere spedite in Burkina Faso. Una volontaria ci racconta che qui si ricicla tutto. Con dei jeans sono state realizzate borse per fare la spesa. A volte le stoffe vengono comprate, a volte qualcuno gliele regala, ma la creatività la fa da padrona e alcuni vestiti vengono realizzati mettendo insieme con gusto e stile scampoli di stoffe presi qui e là. Anche i bottoni vengono riutilizzati. Esempio ne è un meraviglioso cappello di bottoni cuciti su raso rosso. Al muro, appesi alle stampelle, scivolano giù gli abiti. Con tutto ciò che la sartoria sociale produce, a volte si organizzano mercatini per supportare le difficoltà economiche di famiglie indigenti. Stretto è il legame e forte la collaborazione con il Centro di Aiuto alla Vita per l’assistenza a ra-

gazze madri. Le volontarie, ci raccontano dell’impresa portata a termine nel realizzare un abito da sposa per una giovane donna impossibilitata a comprarne uno. Nell’altra stanza una modellista dà lezioni di cucito.

La sartoria è frequentata da molte donne del Golfo di Policastro che vengono qui per fare una piega ai pantaloni o per aggiustare una cerniera. Chi vuole lascia un contributo.

Da qualche mese, frequentano la sartoria sociale, anche due ragazze nigeriane provenienti dalla struttura Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) della vicina località di Santa Marina. Anche loro, sono impegnate con taglio e cucito. Per loro, è stata una scoperta. Entrambe mamme, hanno realizzato già magliette, vestitini, lenzuola. Vengono qui in pullman, una o due volte a settimana a volte portando con sé anche i loro bambini più piccoli che dal passeggino “assistono” quieti al ticchettio delle macchine da cucire. Un esempio di accoglienza integrata, che significa frequentare il territorio, le persone che lo abitano ma significa anche cimentarsi in attività utili alla propria vita privata e perché no ad un eventuale impegno professionale. Esperienza che rigenera «Si è creato il dialogo tra generazioni e culture diverse –ci dice Giuseppina Maio – è un’esperienza di crescita anche per la sartoria». Ed un’esperienza rigenerante a volte per chi la frequenta. Ci sono stati casi di donne schiacciate dalla depressione che hanno trovato nella manualità, nello stare insieme anche se in silenzio, nella condivisione, un’ancora a cui aggrapparsi. «Creare qualcosa è gratificante e curativo».

LA SCHEDA

Continuare a crescere goccia dopo goccia: serve una sede più grande Anna Petraglia, da poche settimane, è la nuova presidente dell’ Associazione “Una goccia nell’Oceano”, nome dato pensando alla famosa frase di Madre Teresa di Calcutta “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno». Portare avanti il grande lavoro della “Sartoria sociale” di Sapri è l’obiettivo di Anna Petraglia. Ciò che lei e tutte le volontarie sperano per il futuro è di trasferirsi in una nuova sede, più grande e più accessibile. Per dare la possibilità a tante altre donne di far parte di questa squadra per continuare a seguire lo stesso nobile fine di supportare il mondo del sociale. Degli ultimi. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

Fine delle trasmissioni Questa non è la mia tragicità solo la più triste possibilità della nostra umanità. Vedo le onde elettroniche che recano notizie malinconiche. Sulle bandiere issate a mezz’asta pende un nastro di crespo nero per le vite stroncate a metà del sentiero il nostro sgomento e il nostro pianto non basta. Velivoli precipitati da uomini invasati, figli che uccidono padri e figli soppressi dalle loro stesse madri, corpi straziati da pirati sulle strade e abbandonati, l’intimità della religiosità infangata dall’avidità. Il treno dell’evoluzione porta i mattoni per una stabile costruzione ma continuiamo a scagliarceli addosso fabbricando l’ordigno di neutroni che spargerà le sue radiazioni. Di certo poesie non scriverà e la vita dell’ultima stella solo una frase leggerà: Fine delle Trasmissioni. Ferdinando Garaffa

Cielo del mattino Il cielo del mattino, un cielo grande, immenso che occupa ogni spazio ovunque, a destra, a sinistra, lontano. Masse di nuvole bianchissime, volumi incommensurabili che si muovono senza peso, con dolcezza che si allungano, si trasformano prendendo forme uniche, irripetibili, che si incupiscono e colorano l’asfalto del loro grigio lucido, luminoso, palpabile, accarezzabile come il manto di un gatto. Sotto questo cielo, campi verdissimi di geometrica bellezza e case e fattorie come puntini rosa, sullo sfondo colline più scure affollate di boschi,verso cui sale la strada curiosa di vedere l’altro cielo, oltre l’orizzonte.

L’amicizia Dall’amicizia all’amore c’è solo la distanza di un bacio Lezione Prima di parlare impara a tacere

Alberto Dafarra

Universo vivo Nel mio mare senza fine getto in acqua le colonne del mio trono furibondo per fermarmi ovunque Dio mi faccia arenare in questo universo vivo di mondi visibili ed invisibili di perenni aurore boreali tra miliardi di Stelle. Mino Beltrami

Avvocato delle cause... Avvocato delle cause disperse (ri)trovate diverse riverse dei corsi ricorsi percorsi discorsi delle arringhe penali civili venali d’ufficio di grido tu presunto cliente attento a non incappare in un losco tizio o ad aver qualche brutto vizio perché se ti capita che non tien alcun (pre)giudizio L’idea dicolui un giovane volontario (specialmente al ricco) giù a picco. della Ronda della carità lo dimanda Milano: Giovanni Ricciardi una App contro lo spreco alimentare

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VOCI DALL’AMERICA

Pianoforti in strada per fare musica così Piano Man si è rifatto una vita

di Damiano Beltrami

scheda Damiano Beltrami, nato a Genova. Classe 1982. Reporter. Negli Stati Uniti dal 2008 con una borsa Fulbright. I suoi articoli e i suoi video sono apparsi su testate americane e italiane, tra cui il New York Times, l’Huffington Post e il magazine mensile del Sole24Ore IL. Nel tempo libero ama camminare nei boschi.

Un uomo magrissimo in canotta nera barcolla per un marciapiede di Sarasota in Florida. Ha capelli lunghi spettinati, una barba arruffata, e la pelle cotta dal sole. Siamo nel giugno 2015, l’aria è di un calore appiccicoso. L’uomo fissa un pianoforte nel dehor di un bar. Si avvicina, siede sul seggiolino e studia i tasti. Poi attacca una canzone rock. Il suono è limpido, i colori brillanti, il ritmo preciso, le legature eleganti. La canzone si chiama Come Sail Away, è degli Styx, un gruppo degli anni ’70. Ad ascoltare non c’è nessuno, tranne una ragazza che passa di lì per caso. Aurore Henry trova singolare questo senzatetto che accarezza i tasti con tanto talento. Per cui tira fuori il cellulare e lo filma. Poco dopo carica il video online. In un solo giorno 100 mila persone vedono la sua performance. In migliaia mandano cenni d’apprezzamento su YouTube, Facebook e Twitter. A 51 anni la vita di Donald Boone Gould prende una piega inattesa e spettacolare, a sua insaputa. All’indomani del fulmineo successo in rete, Aurore torna al bar del pianoforte con due amici e intervista Boone. «Alle superiori studiavo batteria, poi son entrato nei marines e lì suonavo il clarinetto – racconta –. Con l’orchestra sinfonica siamo andati in tutto il mondo. Me la cavo a orecchio, ma so anche leggere la musica. Mi esercito tutti i giorni, a meno che non piova. Sono senza casa da sette anni. Se trovassi

Con la notorietà, per Donald Gould, è anche arrivato un gruzzolo di 40 mila dollari frutto di donazioni ricevute via internet da tutto il mondo. Il fondo lo sta aiutando a completare gli studi sospesi tanti anni fa nel suo nativo Michigan. Il “fu Boone” abita in un appartamento in affitto e ha riallacciato il rapporto con il figlio appena maggiorenne

Donald Boone Gould all’opera su uno dei pianoforti di Sarasota

un lavoro da muratore non sarebbe male, ho esperienza nei cantieri». Ma Boone non era destinato all’edilizia. Meno di due mesi dopo la scoperta di Aurore a Sarasota, un uomo perfettamente sbarbato, dai capelli ben pettinati e un’elegante camicia bordeaux button-down entrava nel Levi’s Stadium di San Francisco gremito con 68 mila spettatori ed eseguiva al pianoforte l’inno nazionale prima della partita tra la squadra di casa e i Minnesota Vikings. Il risultato è stato un minuto di applausi e gli occhi lucidi di un uomo incredulo. «A volte – dice Boone – il successo arriva quando stai per dire addio a tutto». Nel labirinto della droga Per anni Boone, meglio noto online come Piano Man, si era perso nel labirinto della droga. I problemi erano cominciati con la morte della moglie nel 1998. Ad aumentare la sua disperazione era stata la decisione del tribunale di affidare suo figlio di soli tre anni a un’altra famiglia. Con la notorietà, per il rinato Donald Gould, è anche arrivato un gruzzolo di 40 mila dollari frutto di donazioni arrivate via internet da tutto il mondo. Il fondo lo sta aiutando a completare gli studi di pianoforte sospesi tanti anni fa nel suo nativo Michigan. Il “fu Boone” abita ora in un appartamento in affitto e ha riallacciato il rapporto con il figlio appena maggiorenne. L’iniziativa culturale del Comune di Sarasota di mettere sei pianoforti in giro per la città per facilitare le performance spontanee dei cittadini ha superato ogni aspettativa. Oggi ben 20 milioni di persone hanno visto quella disperata e delicata esecuzione di Gould. Emoziona ancora. E da pochi giorni è uscito su iTunes e Google Play il suo primo singolo, Come Sail Away. giugno 2016 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Raddoppiare le rinnovabili per salvare il clima A che punto è l’Italia in termini di sviluppo di energie pulite? Uno studio del Politecnico di Milano fotografa la situazione: incremento sì, ma rallentamenti in vista, senza incentivi. Il nostro Paese ha obiettivi da raggiungere. Ma come?

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

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se dovrà moltiplicare gli sforzi è un rapporto elaborato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, che ha individuato la strategia che occorre perseguire se si vuole limitare la crescita della temperatura media globale sulla superficie degli oceani e delle terre emerse a 2 gradi centigradi entro la fine del secolo. «L’attuazione dell’accordo di Parigi obbliga ad una svolta nelle

politiche climatiche, a tutti i livelli, compreso quello nazionale. E prima si partirà, prima si potranno cogliere le opportunità che questa trasformazione garantirà», sottolinea Edo Ronchi, presidente della fondazione ambientali-

Il 10% dei più ricchi genera il 50% della CO2 del Pianeta

LA SCHEDA

Le diseguaglianze possono essere misurate anche attraverso l’ambiente. Per la precisione, analizzando le emissioni di CO2. Un rapporto pubblicato dall’associazione Oxfam ha infatti rivelato che la metà più povera della popolazione mondiale, pari a circa 3,5 miliardi di persone, pur essendo la più minacciata dai cambiamenti climatici è responsabile solamente del 10% delle emissioni globali di biossido di carbonio. Al contrario, il 10% più ricco è responsabile della dispersione nell’atmosfera di circa la metà della CO2 totale. «I cambiamenti climatici e le diseguaglianze economiche sono intimamente legati – ha spiegato Tim Gore, responsabile delle Politiche climatiche presso Oxfam France – e rappresentano una delle grandi sfide del Ventunesimo secolo». Il rapporto sottolinea alcuni esempi eloquenti: «Una persona che fa parte dell’1% dei più ricchi del mondo genera in media 175 volte più CO2 rispetto a chi fa parte del 10% più povero». Differenze che però cambiano notevolmente in funzione delle nazioni: «Un ricco indiano è responsabile solamente di un quarto delle emissioni che contribuisce a disperdere un individuo appartenente alla metà meno agiata della popolazione degli Stati Uniti». Jorge Luis Baños/IPS

di Andrea Barolini

L’Italia dovrà raddoppiare la propria produzione di energia da fonti rinnovabili se vorrà centrare gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi, raggiunto lo scorso dicembre nella capitale francese al termine della Conferenza mondiale sul clima (Cop 21) e firmato ad aprile presso la sede delle Nazioni Unite a New York. A spiegare che il nostro Pae-


Hernán Piñera/creative commons

sta. Ma a che punto è l’Italia in termini di sviluppo delle energie pulite? A fornire una risposta è il Renewable Energy Report, redatto dall’Energy&Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano e pubblicato all’inizio di maggio. Secondo tale documento «il mercato globale

delle rinnovabili è in forte crescita in termini di investimenti (oltre 290 miliardi di euro in tutto il mondo) e hanno raggiunto livelli mai visti prima, neppure negli anni del boom (2010-2011)». In particolare, entro i confini del nostro Paese, «nel 2015 la nuova potenza installata è stata di 893 MW nell’intero comparto delle rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico, biomasse, ecc.). Le rinnovabili hanno contribuito in questo modo al 40,5% della produzione e alla copertura del 35% della domanda elettrica nazionale». La potenza installata ha raggiunto i 50,3 GW, «in crescita dell’1,8% rispetto al 2014, con un parco impianti che è composto per un terzo della sua potenza da

Nel 2015 in Italia la nuova potenza installata nell’intero comparto delle rinnovabili è stata di 893 MW. Le rinnovabili hanno contribuito in questo modo al 40,5% della produzione

impianti idroelettrici, un terzo da fotovoltaico e la rimanente parte da eolico, biomasse e geotermico». In particolare l’eolico, con una potenza totale installata pari a 9.080 MW alla fine del 2015, ha fatto registrare nuove installazioni pari a circa 423 MW: «Il valore di queste ultime è stato nel 2015 di circa 670 milioni di euro. La Basilicata da sola conta per il 67% del totale». Le nuove installazioni fotovoltaiche, invece, sono state pari a 290 MW, «in contrazione di circa il 25% rispetto all’anno precedente, e a livelli inferiori a quelli del 2008. Il valore delle nuove installazioni è stato pari nel 2015 a circa 558 milioni di euro, con il mercato residenziale che ha pesato per oltre 284 milioni di euro (circa il 51% del totale), mentre gli impianti di taglia pari o superiore a 1 MW hanno ricevuto nel 2015 investimenti per 15 milioni di euro». Per quanto concerne l’idroelettrico (pari a 18.448 MW al 31 dicembre scorso), il comparto ha visto crescere la potenza installata di circa 110 MW, per un valore di mercato pari a circa 500 milioni di

euro, «in larga parte appunto attribuibile agli impianti di piccola taglia che hanno pesato per l’85% del totale. Gli impianti tra 1 e 10 MW sono cresciuti del 9% in numero rispetto al 2011, a fronte di una crescita del 18% degli impianti sotto il MW (+1% e +4% rispettivamente prendendo a paragone il 2014)». Infine, la potenza cumulata delle quattro diverse tipologie di biomassa (biogas, biomasse agroforestali, rifiuti solidi urbani, bioliquidi) utilizzate per la produzione elettrica «ha raggiunto, al termine del 2015, i 4,2 GW, con una crescita di 70 MW, contro i 450 MW del 2013 ed i 764 MW del 2012». Molti numeri e molti dati, che secondo il Politecnico di Milano, possono essere riassunti nella previsione di nuove «installazioni pari a 4mila MW nel periodo 20162020», con l’eolico a trainare la crescita delle rinnovabili. La percentuale di incremento complessivo attesa nel 2016-2020 rispetto ai dati di fine 2015 è del 7%. Un fatto positivo? Solo in parte, se si tiene conto che nel periodo 2010-2015 la crescita «era del 43%». Il rallentamento, giugno 2016 Scarp de’ tenis

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L’eolico, con una potenza totale installata pari a 9.080 MW, ha fatto registrare nuove installazioni per 423 MW

VENTUNO

Per contenere le emissioni di CO2, entro il 2030 le energie rinnovabili dovranno rappresentare non meno dei due terzi della domanda di elettricità a livello nazionale

di incentivazione sembra essere condizione fondamentale per mantenere in vita il comparto delle rinnovabili in Italia». Servono dunque politiche proenergie pulite da parte del governo e delle amministrazioni locali. Un’opinione condivisa dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, secondo la quale, tra l’altro, le emissioni di CO2 sono aumentate per la prima volta dopo anni di riduzione, a fronte proprio di una battuta d’arresto nella crescita delle rinnovabili (unita ad un aumento dei consumi). «Il quadro – si legge nel rapporto dell’istituto –è peggiorato: le rinnovabili sono passate dal 16,7 per cento nel 2013 al 17,3% del 2015, con una crescita modestissima, dello 0,2 per cento all’anno». Al contempo, «è diminuita la

Greenpeace “corrompe” gli scienziati: ecco come si fa

quota di elettricità da fonti rinnovabili passando dal 43% al 38% tra il 2014 e il 2015».

Per questo, conclude il report, occorrerà raddoppiare la quota di fonti rinnovabili del consumo energetico finale: entro il 2030 esse dovranno rappresentare non meno dei due terzi della domanda di elettricità a livello nazionale. Pertanto, occorrerà ridurre del 50% le emissioni di gas ad effetto serra, rispetto ai livelli del 1990. Un compito difficile, sapendo che per ora siamo riusciti a raggiungere solamente un -20%. Per riuscirci, sarà necessario puntare fortemente anche sul risparmio, diminuendo i consumi di circa il 40%. Altrimenti, le previsioni più nefaste sul destino del Pianeta Terra, avanzate da numerosi scienziati alla vigilia della Cop 21, rischiano di diventare realtà.

La Conferenza mondiale sul clima era in pieno svolgimento, nello scorso mese di dicembre, quando Greenpeace svelava con una sua inchiesta la facilità con la quale si possono corrompere gli scienziati, chiedendo loro di scrivere analisi e studi favorevoli a questa o quella multinazionale. Che la corruzione esista ovunque non stupisce. Ma ciò che

lascia a bocca aperta è la semplicità con la quale sia possibile offrire mazzette in cambio di paper scientifici compiacenti. Nonché la

L’inchiesta che smaschera alcuni esperti del “clima” che, in barba alla deontologia, non si sottraggono alle pressioni delle imprese 58 Scarp de’ tenis giugno 2016

Denise Morazè/IPS

in altre parole, «è perciò evidente. L’avvio di un nuovo sistema

naturalezza con la quale alcuni quotati esperti e docenti universitari abbiano risposto alle “proposte indecenti” degli attivisti dell’associazione. Questi ultimi si sono infatti “mascherati” da emissari di grandi imprese attive soprattutto nello sfruttamento energetico delle fonti fossili. Un gruppo di militanti della divisione inglese di Greenpeace ha così contattato alcuni professori di prestigiose università come quelle di Princeton e della Pennsylvania. Uno di loro è il fisico William Happer, noto per le sue posizioni climato-scettiche. Al docente è stato proposto di scrivere un articolo remunerato da «una compagnia petrolifera del Medio Oriente». Chi lo ha contattato si è infatti spacciato per un consulente con sede a Beirut: «Le scrivo per conto di una socie-


L’INCHIESTA

tà preoccupata per l’impatto che potrebbe avere la Cop 21 che si terrà tra poche settimane. Pensiamo che, tenendo conto del suo importante lavoro sul tema, un breve articolo scritto o firmato da lei possa rappresentare un’operazione importante per il nostro cliente». Happer accetta immediatamente. E – incredibile ma vero – indica senza remore il proprio tariffario: 250 dollari per ora di lavoro. Con l’accortezza di non versare direttamente a lui la somma ma di farla arrivare alla CO2 Coalition, associazione che lo può «rimborsare». Il falso consulente chiede però se ci siano rischi che il tutto possa essere scoperto. Il professore lo tranquillizza: «Se firmo solo io l’articolo, non vedo alcun problema a precisare nel testo che non ho ricevuto alcun compenso». Happer è stato con-

Paper scientifici compiacenti, articoli remunerati per permettere alle imprese delle energie fossili di influenzare, in modo anonimo e senza traccia, il dibattito sul clima. L’inchiesta di Greenpeace lascia senza parole

tattato dal quotidiano Le Monde, dopo le rivelazioni di Greenpeace, ma al giornale francese «non ha commentato, né smentito la ricostruzione dell’associazione ambientalista». Cornetta di nuovo alzata e altro tentativo. Questa volta il numero composto è quello di Frank Clemente, celebre sociologo al quale viene proposto di scrivere, dietro pagamento, «un rapporto che contrasti le ricerche che indicano un legame tra l’uso del carbone come fonte di energia e le morti premature. Con particolare riferimento alle cifre pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo le quali tale risorsa sarebbe responsabile, con l’inquinamento che produce, di 3,7 milioni di decessi ogni anno». La risposta è di nuovo positiva. Segue la richiesta economica: 15 mila dolla-

ri per un articolo di 8-10 pagine.

«Con la nostra inchiesta – ha commentato il direttore di Greenpeace Regno Unito, John Sauven – abbiamo svelato l’esistenza di una rete di docenti universitari disposti a vendere i loro servizi per permettere alle imprese delle energie fossili di influenzare, in modo anonimo e senza lasciare alcuna traccia, il dibattito sul clima». In barba ad ogni regola di deontologia professionale. E sulla pelle di milioni di persone che già oggi subiscono le conseguenze dei cambiamenti climatici.

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L’aiuto come cammino verso una piena integrazione è davvero possibile

Ecco cosa fanno i Fratelli di San Francesco Gli arrivi di profughi nel nostro Paese non accennano a diminuire, ma anzi sono destinati ad aumentare; ad oggi la situazione appare ancora instabile e difficilmente gestibile senza un coordinamento e delle misure condivise a livello europeo. La povertà in Italia è poi una condizione trasversale: coinvolge sia gli stranieri, sia gli italiani (sempre più numerosi, secondo le più recenti statistiche). La Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi Onlus, istituita nel 1999, è una realtà ben radicata nella città di Milano e presente con le sue strutture anche in comuni limitrofi. Ciò che la caratterizza è l’attenzione rivolta a chiunque si trovi in stato di bisogno, italiani o stranieri, senza fissa dimora, anziani, adulti o minori. L’assistenza e l’accoglienza offerte si esplicano in diversi servizi. In un anno nelle nostre case di accoglienza sono state ospitate 4.200 persone, sono stati distribuiti 1.295.825 pasti sia nella mensa, sia nelle case periferiche, sia come pacchi vi-

veri, nella comunità per minori sono stati accolti 292 ragazzi e nel Poliambulatorio di via Bertoni 9, oltre che nelle Case, sono state effettuate 42.254 prestazioni mediche fornendo anche medicinali gratuitamente. Inoltre sono stati forniti 55.296 servizi ad anziani in difficoltà, l’unità mobile notturna ha incontrato 22.630 persone, sono stati offerti 438.050 servizi di docce e guardaroba e infine sono stati organizzati corsi di italiano, informatica, orientamento al lavoro, assistenza legale e previdenziale, supporto psicologico e sociologi-

co. Dal primo intervento per chi ha bisogni più basilari come la necessità di un letto, di un pasto o di cure mediche, fino ai servizi integrativi come gli sportelli legali e previdenziali, per il supporto al lavoro o il Centro di ascolto, sono tanti servizi, tutti accomunati dalla specifica volontà di promuovere ciascuna persona nella sua globalità. Qui si cerca di comprendere le persone nelle loro diverse esigenze, perchè possano essere valorizzate e supportate nel cammino verso una piena integrazione nel contesto sociale.

M. A. tra poco compie 17 anni, è solo un ragazzo ma di disavventure ne ha già passate tante. Ospite della comunità per minori di via Moscova dei Fratelli di San Francesco da quasi 4 mesi, M. A. è nato in Egitto. Lì stava bene, circondato dall’affetto della sua numerosa famiglia e del cugino, che lo portava a pescare insieme a lui, passando intere giornate in barca. Già verso i 2 anni iniziò a perdere l’udito, fino a diventare sordomuto.

Da allora sono iniziati i suoi problemi, perché lui stesso si rese conto di essere diventato un peso per la famiglia che faticava a mantenerlo. Fu così che poco più di un anno fa la famiglia, lo fece caricare su un barcone diretto a Lampedusa per raggiungere il fratello maggiore. Le cose però non sono andate per il verso giusto; il fratello era un violento e lo maltrattava. M. A. riuscì a scappare e si ritrovò nel nord Italia e dopo pochi mesi venne trasfe-

rito nella comunità dei Fratelli di San Francesco a Milano. Nonostante le ulteriori difficoltà dovute al fatto che ormai è quasi completamente sordo e non riesce ad articolare le parole, è uno dei ragazzi più attivi e volenterosi della comunità. Lui non è certo uno che si arrende! Frequenta, come i suoi compagni, la scuola interna alla comunità, studia e si impegna per il raggiungimento degli obiettivi. Frequenta in aggiunta l’Ente Nazionale Sordi

e il CPIA di via Colletta. In questi giorni è lui ad aiutare e coordinare i suoi compagni durante i lavori per la ristrutturazione delle stanze della comunità, si fa notare per la cura del dettaglio, la precisione e l’ordine. Gli educatori si stanno impegnando per trovargli un’adeguata collocazione prima del compimento dei 18 anni, altrimenti come a tanti altri ex minori, non resta che il collocamento in un dormitorio per adulti.

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La storia di M. A. un ragazzo minorenne trovato in stato di abbandono sul nostro territorio, ci insegna a non arrenderci mai


INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO

King Barra mentre si esibisce di fianco a Palazzo Marino. Nonostante qualcuno lo insulti per il colore della sua pelle lui adora Milano

King Barra, dal Senegal un canto di fraternità «Mi chiamo King Barra vengo dal Senegal, suono in strada dal 2012, amo trasmettere la mia cultura cantando». Così si presenta il cantante senegalese che incontro in piazza della Scala. «Mi piace Milano, ricca di artisti per le vie della città. Bisognerebbe rinnovare il permesso di soggiorno ai musicisti di strada extracomunitari, riconoscendogli questa arte come mestiere». Fin da bambino King è un appassionato di musica e teatro. Nel 2000 dal Senegal si trasferisce in Marocco e si laurea in ingegneria all’Università di Fès. Partecipa al Festival musicale di Casablanca nel 2005 e nel 2006 gira il Marocco con altri artisti marocchini. Giunto in Italia nel 2011, forma il gruppo King Barra and the Citizen Roots gruppo con all’attivo qualche album di discreto successo. King Barra è molto noto nell’Africa sub sahariana e gira spesso come solista in diversi Stati europei. Le sue canzoni trattano temi solidali come la pace nel mondo, la democrazia, i diritti umani, l’abolizione di tutte le guerre e un’auspicabile Unità Africana. In strada King ha spesso subito razzismo verbale. Ma lui va oltre: «Milano é ben altro da chi mi urla parolacce». Antonio Vanzillotta giugno 2016 Scarp de’ tenis

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PAROLE

La tradizione religiosa ha un sapore antico e contadino Paola ed Enrico con il loro lavoro e la loro passione mandano avanti a Spaccanapoli l’antica tradizione della tammorra

L’Officina della tammorra, uno dei suoni del Sud È un piccolo negozio molto conosciuto chiamato : Officina della tammorra, si trova in vico San Severino a Spaccanapoli. La fondatrice è Paola, un’artigiana che gestisce questo negozio da sedici anni con amore e sacrificio. Ci ha fatto vedere e toccare strumenti di varie misure e spiegato che per avere un bel suono le tammorre, che sono di diverse grandezza e devono essere costruite con ottimi materiali. Il cerchio deve essere di legno di noce o castagno e sopra stenderci e montare una pelle di capra, se il legno non è di buona qualità e la parte di sopra è sintetica il suono non si sente bene. La tammorra è nata duemila anni fa, ci sono testimonianze antiche di dipinti che mostrano donne che danzano con le tammorrelle: ce n’è uno anche nella stazione Toledo della Metropolitana. Paola ci ha spiegato che per fare una tammorra ci vogliono 3 giorni di lavoro e che loro costruiscono e vendono anche i putipù, i triccheabballacche e gli scetavaiasse che sono altri strumenti tipici della musica popolare del Sud. Paola dice che suonare questo strumento è molto terapeutico , lei suona e balla stupendamente , ci ha fatto sentire uno dei suoi pezzi e ha suonato Giuseppe Scognamiglio e ballato per noi.

La tammorra fa vibrare l’anima È una musica che ti porta un po’ indietro nel tempo, ascoltando la voce di un artista strillone che canta con parole antiche in napoletano stretto e segue il ritmo della tammorra e delle nacchere. Il suono è coinvolgente, ti fa vibrare, non puoi stare ferma, ti fa muovere il corpo. Questa musica è un’energia di emozioni, ti aiuta, ti fa stare bene, musica per Marianna Palma me è la mia compagna di viaggio. 62 Scarp de’ tenis giugno 2016

PAROLE

Tempo Il tempo di un tempo non ferma il tempo Il progresso avanza la storia imprime la sua memoria che con tenacia ed esperienza percorre la strada ovunque vada Il tempo di un tempo non ferma il tempo. Marianna Palma

Questo suono lo sentivo tanti anni fa quando andavo in pellegrinaggio alla Madonna dell’Arco a Sant’Anastasìa un paese della provincia. Questo pellegrinaggio si fa a Pasquetta, si parte da Napoli e si arriva fino al Santuario a piedi. Andavo con mia mamma, durante il cammino c’erano i gruppi di suonatori di tammorre e castagnelle che richiamavano i fedeli. Si arrivava scalzi fino davanti alla chiesa dove continuavano le musiche e i balli delle donne con le gonne lunghe. Intorno c’erano tante bandiere e stendardi di tutti i colori dedicati alla Madonna, madre di tanti miracoli. La musica della tammorra ha sempre accompagnato questa festa religiosa e anche quella della Madonna delle Galline a Pagani, vicino Salerno e quella della Madonna di Montevergine ad Avellino. Non sono andato più a quella processione però quelle musiche sono belle da ricordare io le sento ancora quando partecipo ai laboratori di musica che si fanno alla Palma il lunedì pomeriggio. C’è una maestra di tammorra si chiama Maria Teresa, ci insegna a suonare. Lo facciamo tutti insieme e balliamo anche. Una volta lei e suo padre ci hanno fatto cantare Tammurriata Nera; ci siamo divertiti molto, loro sono molto bravi e per me è un’esperienza bella perché mi fa tornare a quando ero piccolo. Antonio Casella


NAPOLI

Paola ed Enrico tramandano i segreti di un antico sapere Una piccola officina artigiana nel bel mezzo di Spaccanapoli lavora in maniera tradizionale per ottenere il suono giusto Le origini della tammorra sono vaghe. Non ci sono prove tangibili che attestano la provenienza di tale strumento. La storia, racconta di voci che asseriscono che le origini del manufatto risalgono a 2000 anni fa. Progettato in un epoca remota, costruito in modo manuale e artigianale, dava l’opportunità alle comunità contadine di riunirsi e far festa con balli tradizionali. La tammorra è uno strumento che fin dalle origini è stato costruito, come si fa ancora oggi, stendendo la pelle di capra. Procedimento della lavorazione prevede un processo particolare per evitare la putrefazione della pelle, che arrecherebbe un danno notevole. L’attività artigianale già non gode di ottima salute, vista la concorrenza di articoli simili ma fatti di plastica o materiali scadenti. La parte superiore viene stesa su anelli di legno di noce o castagno intorno ai quali si montano i “timpani” che sono dei sonagli. Alla fine dell’opera, a richiesta degli acquirenti, le tammorre possono essere poi rifinite e personalizzate con disegni fatti a mano. Artigiani per passione Nonostante le difficoltà economiche, e la crisi perenne che attanaglia il settore dell’artigianato, Paola ed Enrico, con sacrifici e rinunce, continuano e aprono il negozio ogni giorno grazie alla passione e all’amore che hanno per il proprio lavoro. Enrico e Paola non costruiscono solo questi strumenti ma li sanno anche suonare e ballano insieme secondo le

antiche usanze, cioè quelle di una danza che è di corteggiamento e di amore. Non a caso, ha spiegato Paola, lei balla solo con Enrico altrimenti sarebbe sconveniente. Il ritmo di questo ballo che si accompagna al canto in una cadenza serrata, cattura i sentimenti del pubblico che segue il ritmo e balla inebriandosi del suono. È una musica simile ad un virus capace di cambiare l’umore degli ascoltatori e di coinvolgerli nel ballo. Il suono anche se è fragoroso non è assordante, anzi fa venire la voglia di partecipare alla danza. Massimo De Filippis

CASA DELLA CARITA’

Luigi da detenuto a volontario attivo, quando fare del bene ti cambia la vita Chi, tra maggio 2014 e maggio 2015, tra le 15 e le 21 del sabato è transitato dalla portineria della Casa della carità, è passato sotto il suo sguardo, attento ma gentile. Lui è Luigi, che in via Brambilla è arrivato come volontario dell’associazione “Articolo 21”, formata da detenuti ed ex detenuti del carcere di Bollate, con cui la Fondazione ha da alcuni anni un rapporto di collaborazione e amicizia. Ma a segnare, fin da subito, uno stretto legame tra la Casa e Luigi, che gli operatori descrivono come una persona semplice e discreta, è stata anche l’attività che, tramite una borsa lavoro, lui svolgeva all’hub della Croce Rossa di Bresso. Qui, come alla Casa della carità, lui si occupava dell’accoglienza dei migranti che, sempre più numerosi, sono arrivati a Milano in questi ultimi anni. Per questo, quando Luigi ha finito di scontare la sua pena e si è trovato escluso dai percorsi assistiti di uscita dal carcere, la cosa più naturale è stata offrirgli un posto in via Brambilla. Grazie ai soldi messi da parte con il lavoro per la Croce Rossa, ha comprato una bici con cui tutti i giorni andava a lavorare a Bresso e al Cara di via Corelli dove era stato trasferito. Nei tre mesi in cui è stato ospite della Fondazione, Luigi ha lasciato l’attività di portineria, dimostrandosi però sempre pronto e disponibile a dare una mano quando c’era bisogno di aiuto. Dal momento che la borsa lavoro si è tramutata in un’occupazione, seppur a tempo determinato, ad agosto 2015 gli è stato proposto di fare un altro passo verso l’autonomia, e di entrare in uno degli appartamenti che la Fondazione gestisce in città, dove attualmente vive. Oggi, nonostante non abiti più in via Brambilla, il contatto con gli operatori della Casa è ancora forte e costante, in particolare con Fiorenzo, Luisa e Doudou, che non manca di chiamare ogni volta che il suo contratto di lavoro viene confermato. È a loro che ha confidato i suoi sogni: prendere la patente e cercare una casa tutta sua. Valentina Tresoldi giugno 2016 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

Nostalgia Paura ansia oscurità. Quanta paura nel futuro. Quanto timore nei progetti. Mamma non mi tiene più la mano, da tempo. Ma quella sensazione resta, e torna, quando il passo si fa difficile, quando zoppico e non riprendo il passo. Allora mi fermo, ho bisogno di aria nuova nei polmoni. Qualche goccia. Alzo il viso al cielo e mi lascio accarezzare da un po’ di pioggia. Mi sciolgo, mi sento di ritorno da un altro viaggio nelle mie angosce. Ivano Frare

Il vento C’è a chi piace e a chi no Può dar fastidio e dar piacere Spazza foglie, carte e quel che trova I panni stesi si divertono con lui Quando è forte suona pure Energia allo stato puro Ma cos è? E’ il vento. Giuseppe Del Giudice

“Adozioni a vicinanza”, se cinque euro cambiano una vita di Salvatore Couchoud

Cinque euro al mese. Da sette anni a questa parte, le famiglie che aderiscono al progetto “Adozione a vicinanza” promosso dalla parrocchia di San Giuseppe a Como, hanno risolto e risolvono un’alluvione di sofferenze e disagi per le famiglie del quartiere che hanno pagato più di altre lo scotto della crisi, spesso trovandosi nell’impossibilità di concedersi anche un solo pasto al giorno. «Quando fu varato il progetto –spiega la responsabile, Bruna Marinoni – le famiglie che si rivolgevano a noi per ricevere il pacco viveri del Banco Alimentare, o per essere aiutate nel pagamento dell’affitto di casa o delle utenze domestiche erano non più di cinque o sei. Oggi seguiamo trenta famiglie per un totale di oltre un centinaio di persone, alle quali cerchiamo di andare incontro offrendo, oltre che generi di prima necessità, il pagamento delle bollette, delle mense scolastiche e delle rette per gli asili». L’aumento delle famiglie in difficoltà e la riduzione del quantitativo di generi alimentari ricevuti dal Banco Alimentare, che non riusciva a far fronte a tutte le richieste, aveva obbligato i responsabili del

servizio a spendere in cibi e bevande quasi tutte le risorse raggranellate con il contributo dei parrocchiani. «Èstato un momento difficile che abbiamo superato prima associandoci alla Caritas, dalla quale otteniamo tutte le informazioni sulle realtà del disagio di cui abbiamo bisogno, e poi stabilendo un accordo con il Banco Alimentare di Muggiò-Monza Brianza che ci ha garantito la copertura di tutte le richieste di generi alimentari». La grande novità di quest’anno è che i proventi della raccolta “cinque euro al mese” saranno indirizzati verso coloro che ha nno perso il lavoro, aiutandoli a rimettersi in piedi senza dover “sempre chinare la testa per dirci grazie”, come recita il volantino dell’iniziativa distribuito nella chiesa di San Giuseppe. «L’obiettivo è ora quello di finanziare una serie di colloqui per i corsi regionali di riqualificazione Enaip – precisa Bruna Marinoni – a cui si aggiungeranno gli stage per il reinserimento e borse lavoro del valore di mille euro. Si chiama solidarietà, e non a caso occupa uno dei primissimi posti nella graduatoria dei valori cristiani». Ha davvero dell’incredibile scoprire cosa si possa fare ai nostri giorni con soli cinque euro al mese.

Bambini invisibili Mi chiamo Federica e da 5 anni sono una venditrice di Scarp de’ Tenis. Vivo in una struttura per persone senza casa del Comune di Vicenza dove alloggiano anche alcune famiglie con i loro bambini. Questa è la loro storia: figli di storie difficili che spariscono dentro poche mura, dentro il cortile dell’albergo cittadino. Bambini invisibili. Un giorno, uno di loro mi dice che non è mai stato al cinema. Da un po’ di tempo io faccio la volontaria al cinema Primavera del quartiere S. Bertilla in città. Con l’aiuto della coordinatrice, Rosamaria Plevano, ho accompagnato al cinema Samantha, Cristian e Asciaraf. Mi ha colpito soprattutto Cristian con quei suoi occhioni, quando è entrato in sala li ha sgranati per bene. Dentro hanno incontrato anche alcuni amici e così hanno visto il film in compagnia. Alla fine quando sono venuti a ringraziare me e Rosamaria mi sono commossa. Adesso Samantha, Cristian e Asciaraf sono un po’ meno invisibili, a volte gli altri volontari del cinema mi chiedono di loro. Magari li riporto. Federica Tescaro

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Acqua Che nutri, lavi, che disseti, che filtri, che fecondi, intenerisci zolle, germogli, orti, piantagioni. Che regali la vita o che distruggi prodigi di colture insediamenti umani, dissennati, disseminati sopra le tue vie. Sorgiva, cristallina, inalterata, tossica, terapeutica, fangosa, cadenzi il passo in una danza a valle o rabbiosa sovverti le tue forze fino a spaccare gli argini fino a sfidare con la prepotenza monti, radici, asfalto, serramenti. Fino a vincere, goccia dopo goccia, la massima durezza della roccia.

Aida Odoardi


SCIENZE

IL PUNTO

I forni a microonde del tutto sicuri: meno radiazioni che dal cellulare Le diete prescritte in base al proprio gruppo sanguigno non sono avvallate da alcune prova o pubblicazione degna di nota

Dieta del gruppo sanguigno senza alcuna base scientifica di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Forse avrete sentito parlare di una dieta che utilizza le conoscenze sul gruppo sanguigno per prevenire le malattie. Formulata nel 1997 dai naturopati James D’Adamo e Peter James, si basa sul fatto che ci sarebbe un legame tra malattie e gruppo sanguigno: secondo i seguaci, infatti, i gruppi sanguigni vengono identificati a seconda di un cosiddetto “antigene”, molecola riconosciuta dal sistema immunitario, e anche gli alimenti contengono antigeni. Grazie a queste basi, secondo i due naturopati, si potrebbe progettare un profilo dietetico personalizzato in base al proprio gruppo sanguigno: un regime di sola carne, frutta e verdura (gruppo Zero), una dieta vegetariana (gruppo A), carne, vegetali e latticini (B) o un misto di queste ultime due (AB). Tutto questo è possibile? In realtà già definire un gruppo sanguigno è ben più complesso, perché ci sono almeno trenta sistemi per individuare il proprio gruppo sanguigno e

nessuno di questi è stato considerato nella dieta. Inoltre tutto si basa su un errato modo di considerare le lectine, classe di proteine che solo in piccolissima parte possono essere in conflitto con il nostro organismo (e più precisamente con il nostro gruppo sanguigno). Non c’è alcuna base teorico-scientifica sensata che motivi la realizzazione di queste diete. Il fatto più grave, però, è che non si ha alcun dato su una sua efficacia. Vi sono solo proclami e aneddoti, mentre gli unici studi scientifici disponibili mostrano che seguire questa dieta non protegge dalle malattie, non migliora i valori di parametri sensibili come glicemia e trigliceridi e anzi potrebbe diventare pericolosa, sia per un disequilibrio nell’alimentazione, sia perché è una pratica che rischia di attirare persone realmente in difficoltà e bisognose. In conclusione, la dieta del gruppo sanguigno non ha alcun effetto e può indurre persone a spendere soldi per trattamenti inutili.

Avrete sicuramente sentito parlare del microonde e degli effetti delle radiazioni sul nostro organismo. Nonostante gli allarmi, però, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Il microonde è un elettrodomestico preciso, efficace e comodo. A differenza dei normali forni che cuociono con il calore, il microonde trasmette delle onde elettromagnetiche, le microonde, ai cibi e fa “vibrare” le molecole dall’interno. Niente paura però: anche la luce è un’onda elettromagnetica. Le radiazioni per provocare effetti dannosi sull’organismo devono essere molto più energetiche (ionizzanti) ed è questo il caso di raggi UV, raggi X e gamma. Oggi comunque i forni a microonde sono schermati per evitare anche quelle minime dosi di radiazioni che potrebbero arrivarci e che sono minori di quelle che ci arrivano costantemente da apparecchi come WiFi e cellulari. La paura del microonde viene, oltre che dalla scarsa comprensione di cosa siano le onde elettromagnetiche, proprio dal diverso modo di cuocere che ci sembra apparentemente innaturale: in realtà il microonde è un ottimo sistema per cuocere molte verdure, mantenendo i suoi nutrienti. In conclusione, il forno a microonde è uno strumento molto utile di cottura che se non danneggiato non provoca danni alla salute. Il suo unico pericolo è quello di scottarsi o ustionarsi la lingua, dal momento che i cibi vengono scaldati dall’interno. [Fed.Ba] giugno 2016 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2015 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Vito ha sempre un sorriso e una parola per tutti: da quattro anni collabora con Scarp e aspetta la pensione

Vito In strada dopo l’esaurimento: «Scarp mi ha dato uno scopo » di Ettore Sutti

info

Nel 2015 sono state 107 le parrocchie della città di Milano (Zona Pastorale 1) raggiunte da Scarp. Erano 67 nel 2010. Milano, con le sue quasi 17 mila copie vendute nel 2015, rappresenta da sola un quarto delle vendite totali del giornale nella Diocesi ambrosiana

66 Scarp de’ tenis giugno 2016

MILANO

Vito ha la fama di essere uno dei migliori venditori di Scarp. Anche nelle parrocchie più difficili lui, con il suo modo di porsi, i modi gentili e un sorriso, riesce sempre a portare a casa la giornata. Quando lo incroci, sulle scale o in ufficio, è sempre pronto a fare una battuta e a sorridere sotto i suoi baffetti appena accennati. Sì, perché Vito sorride. Quasi sempre. E nonostante tutto. Vito è nato a Mazara del Vallo 65 anni fa ma si è trasferito presto a Milano. «Ho sempre lavorato – racconta Vito – facevo un po’ di tutto, sempre in maniera precaria, ma le cose non andavano male. Vivevo con la mia compagna, siamo stati insieme 30 anni, sua figlia e la mia avuta da una storia precedente. Andava tutto bene, poi mi è crollato il mondo addosso. Sono iniziati i litigi in famiglia a causa dei soldi, sono caduto in depressione e ho avuto un esaurimento nervoso. Sono andato via di casa con solo un orologio, una catenella d’oro e una manciata di euro in tasca. Dormivo in strada.

Ma non a Milano. Avevo vergogna: stavo tra Pavia e Tortona». Poi, anche a causa del freddo – Milano garantisce posti letto in più nei mesi invernali – è rientrato in città ed è finito al dormitorio di viale Ortles. «Lì c’era un ospite malato che aiutavo. Così l’assistente sociale mi ha proposto di fare un corso Oss. Ed ho avuto anche una borsa lavoro. Poi, un giorno ho accompagnato quella persona in un centro di ascolto Caritas e lì mi hanno offerto di vendere Scarp. Sono quattro anni che sono qui. E sto bene». Oggi Vito ha una casa Aler, un sussidio del comune, il lavoro a Scarp e aspetta la pensione. «Quello che ho mi basta e avanza. Ogni tanto passo a trovare i vecchi amici in viale Ortles o al centro diurno La Piazzetta. Un caffè costa 35 centesimi. Ma ti cambia la giornata. Io sono stato due anni senza un centesimo in tasca, so cosa vuol dire». Vito, però, vorrebbe fare di più per gli altri. «Mi piacerebbe che noi, come venditori di Scarp, facessimo qualcosa, lasciassimo un segno. In questi anni abbiamo ricevuto tanto sarebbe bello se potessimo restituire qualcosa».


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