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numero 163 anno 17 luglio - agosto 2012

3 00€

il mensile della strada

de’tenis www.scarpdetenis.it

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

ventuno E il sindaco batte moneta

Scossi

ma sempre pronti ad aiutare

Volontari, cooperative, terzo settore: nel nord Italia, il non profit fa i conti coi danni del terremoto. Strutture lesionate e attività frenate: però nessuno molla, tutti danno una mano a chi è senza casa Milano Tutti in coda! Como Ladri di pere e bici Torino Casa del quartiere Genova Fiori? Tracciabili Vicenza Legami contro le mafie Rimini Rimesse in aumento, ma... Firenze Io campo di mercatini Napoli In tv ci vado io, Nessuno Salerno Un Trool per amico Catania Giovani, resta l’artigianato


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con il contributo di IED


editoriali

Prove di buon vicinato ai prigionieri del solleone Paolo Brivio

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ddio, l’estate! Altra stagione di picchi meteorologici, e di allarmi mediatici. Se – stando a tv e giornali – d’inverno il gelo-killer si accanisce sugli homeless, in estate l’afa assassina prende di mira i vecchi. Il problema è che certe emergenze sono tali solo per chi ha l’incombenza di fare un titolo, e sufficiente pigrizia per incardinarlo su schemi triti e ritriti: possibile che debbano essere le oscillazioni del termometro, pronosticabilissime per quanto estreme, a farci scoprire un problema? L’abbiamo detto tante volte in inverno: è l’assenza di programmazione politica a trasformare in allarme, magari in dramma, fragilità individuali e forme di disagio sociale per tutto l’anno sotto gli occhi di tutti, a volerle vedere. L’abbiamo detto in inverno e lo ribadiamo in estate: intervenire quando il problema si fa acuto è doveroso ed encomiabile, ma Roberto Davanzo criticabile anche sul piano della razionalità economica. Più soldi (e opedirettore Caritas Ambrosiana ratori, e servizi) per politiche strutturali di contrasto dell’homelessness e dell’abbandono degli anziani: si aiuta meglio, e si risparmia l’effimero delle erogazioni emergenziali, che si bruciano in una stagione. ncora una volta è emergenza. Il terreRilevate le comunanze tra allarmi stagionali, è però onesto ammoto che ha colpito le terre dell’Emilia mettere una differenza. La vecchiaia è infatti una condizione umaRomagna ci ha spiazzati. Non lo aspettana ineluttabile. Un destino. Non certo una forma di esclusione, covamo, da quelle parti. E forse non ci aspettavamo me invece l’homelessness. L’invecchiamento diventa problema di essere così penalizzati dai crolli che hanno intesociale solo quando si lascia che si accompagni a una condiressato gli edifici imprenditoriali ed ecclesiastici. zione esistenziale terribile: la solitudine. Ma intanto la macchina della ricostruzione si è È a questo punto che ognuno deve guardare dentro cagià messa in moto, a livello istituzionale e informale. sa (e coscienza) propria. A render fragili gli anziani, conE allora mi permetto di offrire qualche riflessione. corrono tanto le svagatezze della politica, quanto la diLa prima: la generosità è necessaria, ma non basta. scutibile configurazione dei modelli di vita individuale, faMai come in queste circostanze la buona fede di molti rimigliare e comunitaria di cui siamo interpreti. Ci si senschia di disperdere energie, se non addirittura di generate soli, e si soccombe all’isolamento, quando si è lasciati re antipatiche sperequazioni. Ecco perchè è indispensasoli. Per evitare che i vecchi consumino estati tristi e imbile che gli aiuti, sia quelli che afferiscono a realtà istituziopaurite (talvolta pure le loro esistenze) dentro appartanali, come la Protezione civile, sia quelli che scaturiscono menti-forno in città-deserto, dobbiamo cambiare noi: fidall’impegno della comunità cristiana, vengano fatti oggli, nipoti, coinquilini, concittadini, volontari. Organizzangetto di saggia regia distributiva. Si eviti il fai da te, che fa doci per promuovere molte più esperienze di assistenza, sentire protagonisti, ma rischia di cadere nell’inefficacia. La seconda, inerente i meccanismi di raccolta fondi: vigilanza, anche solo di incontro e dialogo. In generale, non basta donare, bisogna farlo con la testa. A giugno i veeducandoci a essere più attenti e solleciti. Più vicini. scovi italiani hanno indetto una “colletta nazionale” con Prove, e dimostrazioni, di “buon vicinato”. Ecco come la precisa indicazione che quanto raccolto venga versaevitare che una fragilità degeneri in emergenza. Ed ecco to, attraverso le Caritas locali, a Caritas Italiana. Altre racun bel tema per chi voglia ridisegnare welfare e quartieri colte sono in atto, con grande rilievo mediatico. Mi sendi città. Sapendo che il vicinato è il “grado zero” di un sistetirei di raccomandare un intelligente discernimento, ma di protezione sociale: costa poco, non deve costituire un affinchè la generosità di ciascuno di noi venga indirizalibi. Le istituzioni devono fare la parte che diritto e civiltà imzata a favore delle realtà che, in occasione di precedenti pongono, senza deleghe al tessuto famigliare e relazionale emergenze, hanno realizzato almeno una trasparente dell’anziano. Noi però dobbiamo sapere che nessuna assie puntuale rendicontazione. stenza sociale, per quanto assidua e innovativa, può quanto la Non paiano – queste – considerazioni di corto retelefonata di un figlio, o la spesa portata dal nipote, o il giretspiro. Chi sta male, chi è stato colpito da un evento deto in cortile con la dirimpettaia di pianerottolo. I piccoli monstabilizzante come un terremoto, ha diritto di essere di antichi, che battono dentro i cuori stanchi dei prigionieri trattato bene, nella logica di una giusta distribuzione dedel solleone, hanno bisogno di volti e mani giovani, e pregli aiuti e di un sostegno a rimettersi in piedi con dignità. senti, in cui specchiarsi. Per continuare a sospettare raNon perdiamo anche questa occasione. gioni di vita, di serenità, addirittura di speranza.

Donare sì, con la testa

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L’hotel è gestito direttamente dalla famiglia Brumana; mamma Pia, che si occupa della cucina vi vizierĂ con i suoi deliziosi manicaretti. Sara che vi accoglierĂ al vostro arrivo in hotel. Andrea, laureato in scienze infermieristiche, responsabile del servizio di assistenza, sempre a disposizione per qualsiasi vostra necessitĂ . Marta, la piccola di casa, iscritta all’istituto alberghiero, addetta al servizio bar e ad organizzare passeggiate per fa farvi ammirare le bellezze della nostra natura. Il tutto sapientemente diretto da papĂ Mario. Tutta la fa famiglia ed il personale saranno costantemente impegnati perchĂŠ vi sentiate a vostro agio, protetti, in un clima caloroso e sereno.


sommario Fotoreportage

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Poveri noi! p.6

Scarp Italia

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese. Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

Sonhora:«Ragazzi riprendetevi il futuro» p.26

Scarp città Milano Minori, non costi. La tutela è un diritto p.28 In coda! La città in attesa p.32

Como

Dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci e chiedere di vendere

Ladri di pere e di biciclette p.37

Torino San Salvario si incontra in Casa p.38

Genova Fiori “tracciabili”, profumo di diritti p.40

Vicenza

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via Copernico 1, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

Legami forti. Così si vince la mafia p.44

Rimini

Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it

Rimesse in crescita. Non è tutto oro... p.46

Firenze «Campo di mercatini. Si deve pur mangiare» p.48

Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it

Napoli In tivu vado io. Cioè Nessuno p.50

Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net

Salerno Amico Trool, si naviga sicuri p.54

Catania

Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net

Ai giovani? Resta l’artigianato p.56

Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 addettostampa@caritasfirenze.it

Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

L’inchiesta Mercanti di fantasia p.22

L’intervista

Come leggerci

Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarpdenapoli@virgilio.it

Il reportage Solidarietà, il valore che resiste alle scosse p.12

Scarp ventuno Dossier Sono il sindaco e batto moneta... p.60

Stili Il legno del Papa diventa villaggio p.65

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 17 n. 163 luglio-agosto 2012 - costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP De’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi, Paolo Riva Hanno collaborato Aghios, Mario Agostino, Mr. Armonica, Andrea Barolini, Damiano Beltrami, Simona Brambilla, Lorena Cannizzaro, Domenico Capuozzo, Domenico Casale, Salvatore Couchoud, Claudio Corso, Stefania Culurgioni, Umberto D'Amico, Massimo De Filippis, Giuseppe Del Giudice, Maria Di Dato, Franck, Favour, Sergio Gatto, Sissi Geraci, Massimiliano Giaconella, Gianni, Silvia Giavarotti, Gaetano “Toni” Grieco, Alessandra Leardini, Bruno Limone, Stefano Malagoli, Paola Malaspina, Mirco Mazzoli, Mary, Mister X, Emanuele Merafina, Nemesi, Aida Odoardi, Marianna Palma, Daniela Palumbo, Michele Piastrella, Dionisie Pista, Cinzia Rasi, Paolo Riva, Letizia Rossi, Pamela Rossi, Cristina Salviati, Yamada Foto di copertina Ap Photo Foto Fabrizio Villa, Giulia Rocca, Riccardo Gallini, Archivio Scarp Disegni Silva Nesi, Luigi Zetti Progetto Associato grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti all’Unione Stampa Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto Periodica e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 15 luglio al 16 settembre 2012. Italiana


Poveri noi Volti che raccontano storie. Intense. Anche se non sempre lineari. Gli ospiti della Locanda del Samaritano, centro di accoglienza della Caritas diocesana di Catania (tra loro, alcuni redattori di strada e venditori catanesi di Scarp e Telestrada), hanno scelto di mostrare il proprio volto per raccontare che la povertà è condizione di vita dura, ma può fare rima con coraggio e dignità. E può toccare tutti, non solo pochi designati. L’obiettivo che li ha ritratti è di Fabrizio Villa, fotogiornalista siciliano: i suoi scatti, in un severo bianco e nero, ma carichi di empatia, hanno dato vita a una bella mostra, realizzata nella città etnea nella prima metà di giugno. E poi sono divenuti stampe, vendute per raccogliere fondi da devolvere ai servizi della Caritas per le persone senza dimora. Chi volesse acquistare una delle foto della mostra “Poveri noi” può rivolgersi all’indirizzo: telestradacaritas@gmail.com Francesco (in questa pagina, sopra) ha avuto problemi con la moglie, è stato allontanato da casa. Hanno attraversato un brutto periodo. Ma ora sono tornati a vivere insieme. LemLem (sotto) proviene dall’Eritrea. Quando è arrivata a Catania, per il permesso di soggiorno, era al terzo mese di gravidanza. Ora si trova in una struttura di accoglienza Roberto (pagina a destra) ha un passato da marito. Ed è padre di due figli, che purtroppo vede molto poco. Dopo la separazione dalla moglie e la perdita del lavoro al supermercato, ha rischiato di finire per strada: lo ha salvato Scarp de’ tenis. Da quattro anni è redattore e venditore del giornale di strada. E ha ricominciato a mettere mattoni nell’edificio del suo futuro

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fotoreportage

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Poveri noi

Luigi (in alto a sinistra) è alla Locanda del Samaritano da un anno circa. In passato ha avuto problemi di dipendenza da sostanze. Non ha familiari, i vecchi amici hanno ancora problemi di dipendenza. Ma lui ci sta provando, a mettersi alle spalle i giorni peggiori: oggi vende per la cooperativa Solidaritas il giornale “La Sicilia” Rosario (in alto a destra) ha lavorato per vent’anni in una fabbrica del nord Italia. Era sposato, ha quattro figli: dopo la separazione dalla moglie ha avuto problemi di depressione e ansia, che non gli hanno permesso di continuare a lavorare. Arrivato a Catania, ha dovuto subire una serie di ricoveri in ospedale. La cui assistente sociale ha chiesto l’inserimento in una struttura della Caritas. Da otto mesi è in Locanda. E non si arrende: Ha iniziato a lavorare in un’impresa di pulizie Tony (a sinistra): una storia come tante, una storia di separazione, solitudine e povertà. E volontà di ripartire: lavora come venditore di Scarp e di spazi pubblicitari.

Wolf (foto grande a destra): un passato di abbandoni, prima da parte della famiglia di origine, poi quella che si era formato da adulto. Viene da un paesino della Germania. Ha trascorso un paio d’anni tra il dormitorio e un gruppo appartamento della Caritas di Catania. Parla poco l’italiano, ma dopo una lunga esperienza come venditore del nostro giornale di strada, vissuta con passione, adesso ha trovato un lavoro come custode di un ostello

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fotoreportage

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anticamera Aforismi di Merafina IL TEMPO Il nostro tempo è cemento I SOGNI I sogni sono gratis e sono esauriti IO SONO Io non sono nessuno ma nessuno è come me

I ragazzi della torre del faro Oltre l’estremo lembo del 21, la fierezza dei forti dorme agganciata al cielo, appesa alla speranza assimilata dal buio della notte dalla luminescenza delle stelle. Lì sulla “torre” il coraggio dei giusti grida silenzioso le ragioni, nel composto sfidare gli elementi accogliere disagio e frustrazione, sconforto ed euforia. L’orgoglio logorato dall’attesa, la crudele vaghezza del futuro, tengono insieme i capi della fune. Irriducibili acrobati camminano nel vuoto senza rete. A voi compagni di una diversa battaglia dico: «Verrà l’aurora, sarà ancora bella e sarà il tempo di rotte fortunate, provvidenziali approdi dove gettare l’ancora».

Aida Odoardi

Come un soffio

La giusta strada

Dipingi la mia vita temprando con esperienza il chiaroscuro della mia esistenza. Esalti il mio candido pensiero, spennelli di vivaci colori il mio viso con grazia celestiale. Nel mantello della notte sai darmi ombra liberando il mio inconscio dalle angosce che lo assillano. Come un soffio il tuo sorriso mi accompagna nel sonno. Attendo un silenzioso risveglio.

Potremmo percorrere strade giuste per sconfiggere l’ozio inutile e dannoso, camminare sui sentieri del futuro prospero e cambiare ciò che non va. Non dobbiamo mai perdere la speranza o scoraggiarci… il tempo ci sarà amico e, se leali, non ci abbandonerà mai. Chi potrà mai ostacolare la fiducia e la determinazione se saremo fermi e vogliosi? Sarà un cammino sofferto e tortuoso, ma se saremo costanti la giustizia ci renderà merito. Non dobbiamo abbandonarci per paura, paura di fallire, lottare per qualcosa non è mai un fallimento. I nostri cuori risponderanno a chiunque ci domandi quanto è viva la nostra speranza per staccarci da vite ormai passate, perse nel tempo dell’incoscienza. Se crediamo nel futuro, il rispetto aumenterà con valori forti e veri. La necessità farà di noi l’esempio ricostruito di novità e meraviglia. Affidarsi a un progetto riscatterà, con l’impegno, chi desidera lasciare indietro quella vita passata.

Cinzia Rasi

Domenico Casale luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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Balsamo terremotato L’acetaia di Rivarino, un’importante fonte di sostentamento per le attività del centro di accoglienza La Lucciola e del ristorante La Lanterna di Diogene. Il sisma l’ha compromessa. Ma le due strutture continuano a operare

Solidarietà, il valore che resiste alle scosse 12. scarp de’ tenis luglio - agosto 2012


il reportage Viaggio di Scarp nell’Emilia e nella Lombardia ferite dal terremoto. Centri di accoglienza, cooperative sociali, realtà del terzo settore: anche il non profit risente degli effetti del sisma. Ma i suoi attori non mollano reportage di Stefano Lampertico e Ettore Sutti

Attendati, ma indomiti In alto, la tenda donata da Caritas Ambrosiana nel parcheggio davanti agli edifici della cooperativa Il Nazareno. Molte attività realizzate con i ragazzi disabili (qui sopra, il teatro) sono state trasferite in capannoni sicuri o tende

Ci sono due fantasmi in questa storia. Il primo, si mormora, ogni tanto fa capolino a Villa Chierici, la dimora settecentesca che ospita il Centro Emmanuel, a Carpi. È il fantasma della nobile signora che abitò la villa e che, si dice, non l’abbia mai lasciata... Il secondo fantasma, invece, è un incubo. Un incubo segnato dalle migliaia di scosse che hanno mosso la terra di queste parti e che hanno ferito, e continua a ferire, la “vita normale” di tante persone, quella vissuta nella proprie case, sul posto di lavoro, con i propri affetti. Ecco. Questa “vita normale”, il fantasma del terremoto l’ha spazzata via una prima volta il 20 maggio. E poi ancora dopo pochi giorni. E poi ancora. E ancora. A le presidente, Marco Viola, attuale vicepresidente e direttore, e don Ivo Silinqualunque ora del giorno e della notte. gardi, sacerdote attivo da decenni nel campo del disagio sociale. Lei di formaSotto il campanile pericolante «Abbiamo paura. E anche se le nostre zione è neuropsichiatra, ma si occupa case sono ancora lì in piedi e sembrano anche di comunicare le attività del Navolerci restare, noi abbiamo paura. E zareno. E non solo. Nel cortile, di fronte alla villa che dormiamo in tenda». Chiara Bellardi, nerupsichiatra, responsabile della co- ospita il Centro Emmanuel, servizio municazione della cooperativa sociale diurno per 25 malati psichici, c’è la granNazareno di Carpi. È la prima persona de tenda pneumatica che Caritas Amche incontriamo in questo nostro viag- brosiana ha prestato, affinchè alcune atgio nel terremoto dell’Emilia. Un per- tività di sostegno dei disabili gravi poscorso differente dal solito. Le nostre tap- sano essere svolte in sicurezza. «Alcune pe non sono i centri storici dei paesi di- delle nostre strutture – spiega Chiara – strutti, che altri hanno già raccontato e sono state segnate dal terremoto e sono illustrato. Ma sono i centri della solida- ancora inagibili. E così abbiamo dovuto rietà, le strutture della cooperazione so- risistemare le nostre attività in spazi diciale, le comunità di accoglienza per di- versi, trasformandone alcuni». Per sabili e persone vulnerabili. Per vedere, esempio nei capannoni antisismici, che capire e raccontare come il terremoto ha ospitano alcune attività della cooperatisegnato anche queste realtà. E per rac- va, sono ammonticchiati divani e armacontare anche la straordinaria voglia di di. Sono delle famiglie di alcuni ospiti del Nazareno che hanno la casa inagibile. rialzarsi, di ricominciare. Chiara è la prima persona che in- Qualche famiglia è addirittura ospitata contriamo. Lavora a Carpi, al Nazareno, qui. Provvisoriamente. Fino a quando? «Anche gli uffici di Carpi, dove hanil network di cooperative sociali nato nel 1989 dall’incontro tra Sergio Zini, attua- no sede il servizio di formazione e inseluglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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Solidarietà, il valore che resiste alle scosse

L’osteria Lanterna di Diogene non smette di sfornare piatti di qualità. Ma gli avventori, dopo il terremoto, qui sull’argine del Panaro, sono diminuiti rimento lavorativo per persone con disabilità e per adulti svantaggiati, svolti per conto del comune di Carpi, sono chiusi. Molte delle attività delle cooperative vengono svolte all’aperto, altre sono state riallocate in queste due strutture antisismiche». E così nello spazio rubato al magazzino degli attrezzi e delle macchine per la cura del verde, è stato riadattato un laboratorio per le attività dell’Atelier Manolibera, sorto per avvicinare le persone con disabilità all’esperienza lavorativa. In questo spazio si lavora la carta, si realizzano bomboniere per cerimonia. E fa un certo effetto. Fa un certo effetto vedere come queste attività di manualità “pregiata” siano lì, nello stesso capannone a fianco di grandi ceste dove ci sono pezzi per lavatrici e lavastoviglie da assemblare. «Un filone importante delle attività del Nazareno – racconta ancora Chiara – è il progetto di inserimento

Una vita per i piccoli con disagio Emma Lamacchia, neuropsichiatra. Da una sua intuizione è nata, più di trent’anni fa, l’esperienza della Lucciola, a Rivarino di Modena

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lavorativo per persone in situazione di disagio sociale: le attività vanno dalla manutenzione di parchi e giardini a laboratori di assemblaggio di materiale elettrico». Il terremoto segnerà anche queste attività. Non solo le piccole e medie industrie della bassa, ma tutto il sistema dell’indotto, cooperazione sociale compresa. «Curiamo la manutenzione del verde – dice Luca Pavarotti, responsabile di questa parte di attività del Nazareno –. Dopo il terremoto il lavoro è diminuito e si è modificato. Siamo preoccupati. Gli enti pubblici, per i quali lavoriamo, erano già stretti nella morsa della crisi e dei tagli, ora saranno costretti a destinare molte delle risorse a fronteggiare l’emergenza post-terremoto». Anche la Casa delle Farfalle è a rischio. Di per sé, la struttura che ospita la comunità residenziale per preadolescenti, nella canonica della vecchia chiesa di Fossoli, sarebbe anche agibile. Ma è il campanile lì a fianco che il sisma ha reso pericolante. E così gli adolescenti della comunità residenziale, che erano ospiti nella casa, vedranno allungarsi il tempo delle loro vacanze. «I nostri ragazzi ora sono a Cesenatico, in un campeggio – racconta Franca Miccoli, responsabile della comunità –, poi si trasferiranno a Lido degli Scacchi fino a settembre. Poi, non so che succederà...». Il terremoto segna il presente e il futuro. Lo rende poco chiaro, nebuloso. «Ma non ci scoraggiamo – prosegue Chiara Bellardi – e continueremo a lavorare per le persone più deboli, con sempre maggiore forza. E guardiamo al futuro con serenità». E chissà se il prossi-

mo Festival internazionale delle abilità differenti, la grande manifestazione che si tiene a Carpi dal 1999, organizzata proprio dal Nazareno per puntare i riflettori sulla valorizzazione della persona, saprà raccontare con il linguaggio dell’arte, della pittura, della musica, dell’eccellenza in generale, come si superano i traumi del terremoto, come si sconfigge la paura, come si può ricominciare a vivere con la serenità nell’animo. Anche quando si è portatori di una fragilità antecedente alle scosse.

Una boa alla quale aggrapparsi Coltivare la speranza, anche quando tutti gli edifici in cui vivevi le tue giornate sono dichiarati inagibili, è impresa non da poco. Ma al centro La Lucciola, a Ravarino di Modena, sono abituati a questo tipo di imprese. Emma Lamacchia, neuropsichiatra, è il direttore di questo servizio, che da più di trent’anni si occupa di bambini e ragazzi con disabilità fisiche e psichiche. «I nostri bambini – racconta, mentre dal parco, in sicurezza, diamo uno sguardo alle crepe degli edifici storici del centro – hanno una vita molto dura, continuamente, ogni giorno attraversata dalla dolore, dalla precarietà, dal buio. L’unica maniera per aiutarli era quella di insegnare loro che esiste una vita migliore, che domani può essere più bello di oggi». Lo insegnano con esperienze concrete. Fino a due mesi fa nei locali della villa storica e degli edifici circostanti, da poche settimane lì, in mezzo al campo, sotto i tendoni, unico luogo sicuro. E alla Lucciola i lavori che coinvolgono i bambini e i ragazzi sono lavo-


il reportage

Ciessevi

Volontariamo.com, un sito per chi vuole dare una mano

ri lenti, semplici, lunghi. Che hanno lo stesso sapore dell’aceto balsamico invecchiato nell’acetaia, e che è andato perso. O lo stesso colore della lana tosata dalla pecora e trasformata in coperta. O lo stesso profumo delle erbe officinali coltivate nel grande orto e servite a tavola al ristorante La Lanterna di Diogene, attività-costola della Lucciola, che dà lavoro a uomini e donne, che da ragazzi hanno frequentato il centro. «Il terremoto ha segnato la nostra e la loro vita in maniera drammatica – osserva Emma Lamacchia –. E segnerà anche il nostro futuro. Ma non possiamo fermarci. La Lucciola è per i nostri bambini una boa di salvataggio, alla quale aggrapparsi sempre». E per fortuna alcuni enti e associazioni si sono prodigati per procurare i prefabbricati necessari ad affrontare il periodo invernale e per coprire le spese di messa in sicurezza degli edifici lesionati. L’attività della Lucciola, proprio non si deve fermare.

Disdette alla Lanterna A pochi chilometri di distanza da Ravarino di Modena, a Bomporto, sull’argine del Panaro, c’è La Lanterna di Diogene. Si chiama così il ristorante, che è insieme un sogno e un’opportunità di lavoro. «La Lanterna di Diogene – racconta Giovanni – è una cooperativa sociale nata dai sogni di alcune persone, per dare risposta al desiderio che quasi tutti esprimono quando devono affrontare il mondo del lavoro: fare un mestiere che piace, che dia soddisfazione, insieme a persone con le quali si sta bene. Volevamo costruire un’attività dove potessero lavorare anche persone con problemi

È on-line il sito terremoto.volontariamo.com, gestito dagli operatori del Centro di servizio per il volontariato di Modena e dedicato all’emergenza terremoto. Diverse le sezioni a disposizione dei cittadini: da come donare alle richieste dai territori, alle indicazioni per consegnare il materiale raccolto. Tutte le informazioni vengono costantemente aggiornate dagli operatori del Centro. «Abbiamo cercato di muoverci rapidamente, come volontariato, perché quello che possiamo fare noi con i volontari è complementare, diverso dall’operato della Protezione civile – spiega Angelo Morselli, presidente dell’Asvm, associazione che gestisce il Centro di servizi per il volontariato di Modena –. Ci sono volontari appartenenti alle associazioni del territorio che si stanno occupando della distribuzione dei pasti o dell’animazione nei campi: è necessario riconquistare ora quel senso di comunità che la perdita della casa o delle certezze di una vita possono mettere in crisi. È poi fondamentale, per noi – aggiunge il presidente – il raccordo, nell’operare, con la Protezione civile, per capire le esatte necessità del territorio colpito dal terremoto, e con il Forum del terzo settore di Modena». Per quanto riguarda la presenza di volontari nei luoghi colpiti dal sisma, il Csv di Modena raccoglie – tramite il sito – le disponibilità dei singoli cittadini, per poi organizzare la risposta.

Cucina, un bel lavoro Qui e sopra, ragazzi e volontarie della Lanterna di Diogene preparano tortelloni, rigorosamente a mano, per il ristorante

(sindrome di down, psicosi, paralisi cerebrale infantile), dove il lavoro fosse costruito insieme, cercando di andare incontro agli interessi dei collaboratori. Così abbiamo iniziato a pensare cosa ci sarebbe piaciuto fare: coltivare la terra, allevare gli animali, trasformare tutto questo in piatti da offrire ai clienti in una osteria. Nel 2003 sono nate la cooperativa, la fattoria con allevamento di animali (galline, maiali, pecore, conigli) e la coltivazione di ortaggi e alberi da frutta, un vigneto di trebbiano per la produzione di aceto balsamico tradizionale di Modena. Nel 2006 finalmente abbiamo inaugurato l’osteria, dove tutto quello che ci dà la terra viene trasformato in

piatti da offrire agli avventori. La nostra cucina è quella tipica emiliana, semplice e genuina, con sapori ormai dimenticati, un luogo legato alle tradizioni e allo scambio, dove incontrare la diversità. I prodotti che non provengono dalla nostra azienda vengono selezionati tra quelli di agricoltori vicini, che con passione producono salvaguardando il territorio». Diogene, ad Atene, girava con la Lanterna accesa in pieno giorno. Per cercare l’uomo autentico. Anche qui, sull’argine del fiiume, la Lanterna è sempre accesa. Per dire che la vita può essere vista anche con gli occhi di un’altra persona. Per dire che la vita è più belluglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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il reportage

la se si fa un lavoro che piace e dà soddisfazione. E lo si legge, questo, negli occhi di Caterina, mentre racconta come si fa il tortellone più buono che si sia mai assaggiato, o in quelli di Nicola, mentre accoglie l’arrivo di un fornitore di vino e scarica le casse, pronte per il magazzino e per essere servite agli avventori. Gli avventori. Già. Sta qui il problema. Dopo il terremoto sono fioccate le disdette. «La domenica successiva alla prima scossa – riassume Giovanni – avevamo tutti i tavoli prenotati, 60 coperti. Uno dopo l’altro, tutti hanno disdetto. Ora, noi non chiediamo aiuti ma diciamo: venite a mangiare da noi». Il gruppo Slow Food dell’Emilia Romagna ha già risposto all’appello. Così come alcuni clienti che sono tornati al ristorante.

le), oggi c’è altro. Anche lettini e brande sistemate per accogliere famiglie rimaste temporaneamente senza alloggio. E che, la branda, non l’hanno avuta neppure nei campi allestiti dalla Protezione civile. Fuori, pronti per l’animazione del

bini», dice Gaia. Secondo lo spirito, quello dello sviluppo dei popoli, che da sempre contraddistingue l’impegno dell’associazione. «Ci siamo cambiati provvisariamente l’abito. E il Sud del mondo, almeno per un po’ di tempo, lascia spazio al servizio per la gente dei

Là dove c’era il mercatino

nostri luoghi, per quelli che erano i nostri vicini di casa che faticavamo a salutare. Qui al magazzino raccogliamo generi di prima necessità e poi li distribuiamo con i volontari nei campi informali, nella tendopoli di Massa Finalese». Il capannone rimane un porto di mare. Sempre pronto all'accoglienza. Ci sono anche le tende arrivate da altri gruppi e associazioni. La solidarietà non si ferma. Anzi, riparte. Più motivata di prima.

Mani Tese si riconverte A pochi chilometri di distanza, la tappa successiva. Ci aspetta Gaia, al magazzino della sede locale dell’ong nazionale Mani Tese, a Massa Finalese. Gli oggetti del mercatino dell’usato, anche qui, hanno lasciato spazio ai generi di prima necessità. Casse di acqua, coperte, lettini, generi di sussistenza. Dove fino a ieri si poteva fiutare l’affare, un mobile antico da acqusitare con poche centinaia di euro, un vestito usato poco e ancora ben tenuto, un oggetto di antiquariato particolare (finanziando nel contempo progetti di cooperazione internaziona-

A Massa Finalese, antiquariato, abiti e oggetti di Mani Tese han lasciato spazio ai generi di prima necessità pomeriggio nei campi autogestiti dalla popolazione, ci sono i volontari che sono arrivati dall’Aquila. «Mani Tese si è impegnata, in accordo con gli altri enti, per l’animazione nei campi, il supporto psicologico, la cura del gioco per i bam-

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Il cuore e i dialetti degli italiani Giornata al magazzino Caritas: aiuti da ovunque, distruibuiti tramite i centri d’ascolto di Stefano Malagoli

Arrivano un po’ da tutte le parti d’Italia, con furgoni stracarichi di merce; facce stanche per lunghi viaggi (anche da Napoli, in giornata) ma contente di essere a Finale per portare solidarietà agli emiliani costretti a fare i conti col terremoto. Il magazzino della Delegazione regionale Caritas è attivo dai primi giorni dopo il sisma nel polo industriale di Canaletto, alle porte di Finale Emilia, in un capannone messo a disposizione con generosità da un privato. Filippo, giovane di Cavezzo che dimostra di voler impiegare bene i suoi 20 anni, trascorrendo un periodo della sua estate come responsabile nella gestione del magazzino, spiega come è organizzato il lavoro. «Qui arrivano merce e aiuti da ogni parte: noi accogliamo, siste-

miamo, ringraziamo e poi ridistribuiamo quanto la generosità della gente porta qua dentro». C’è di tutto: generi alimentari in primis, soprattutto cibo non deperibile, in scatola e a lunga conservazione; poi prodotti per l’igiene e la cura della persona, generi alimentari e non per la prima infanzia, acqua, tende da campeggio, giochi e vestiti, davvero tanti vestiti che non ci stanno più nel magazzino e sono ora stivati in un container nel piazzale esterno. Con Filippo, segno straordinario della generosità del territorio, c’è anche Sandro. «Ho deciso di dare una mano qui al magazzino Caritas – spiega –. E lo faccio gratuitamenluglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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Solidarietà, valore che resiste alle scosse te. Sono in cassa integrazione, per un anno ancora. E allora ho deciso di impiegare il mio tempo per chi ha bisogno». Il magazzino della Delegazione regionale è a servizio di tutte le Caritas parrocchiali e delle comunità delle zone colpite dal terremoto. «Qui infatti – continua Filippo – arrivano soprattutto gli incaricati delle parrocchie a prelevare quanto serve alle persone che, ad esempio, non fanno riferimento ai campi strutturati della Protezione civile; quelli che stanno nelle cosiddette “tendopoli spontanee” o che vivono in zone isolate e lontane dai centri più popolosi e che non hanno voluto lasciare la loro abitazione, adattandosi magari in qualche sistemazione di fortuna all’esterno, comunque non troppo distante da casa, per tenerla d’occhio. Saranno poi gli incaricati delle Caritas parrocchiali a distribuire nelle loro zone gli aiuti».

Da Bolzano al Vesuvio Capita che al magazzino arrivi anche qualche singolo cittadino, benché la struttura non sia propriamente destinata alla distribuzione diretta degli aiuti. Le richieste sono le più varie: arriva il padre col bambino al seguito e se ne va con tre materassi, alcuni giochi e due biciclettine e «se poi vi arriva una piscinetta vengo nei prossimi giorni a prenderla…» ;

Disoccupati, volontari Sandro e Filippo, volontari al magazzino della Delegazione regionale Caritas a Finale Emilia. Arrivano da Bologna e Cavezzo. Sandro è cassaintegrato, Filippo proprio a causa del terremoto ha perso il lavoro... oppure giunge l’operaio che ha appena finito di lavorare e passa a chiedere una borsina per la cena. Per tutti l’indicazione principale è rivolgersi alle Caritas parrocchiali, ma l’aiuto è comunque assicurato. Le giornate passano sistemando la merce: dalle 9 fin verso le 13 in mattinata, poi pranzo con i pass Caritas al campo Robinson della Protezione civile a Finale e di nuovo in magazzino a sistemare fino alle 19 circa. Ogni tanto arriva la telefonata di Luca Manfredini, il responsabile della Delegazione regionale Caritas, che annuncia l’arrivo di un “carico”. «Verso le 18 arriva la Caritas diocesana di Napoli». Benissimo: e infatti,

mentre ci si prepara per chiudere il magazzino, ecco tre pulmini stracarichi di tutto partiti alle 9 del mattino da sotto il Vesuvio e giunti dopo oltre nove ore di viaggio a Finale: benedetti per questa faticaccia… «Abbiamo fatto il giro dei fornai per prendere il pane fresco di San Sebastiano al Vesuvio e portarlo qui», dice padre Enzo, a capo della delegazione partenopea, che porta una ventata di allegria mediterranea al magazzino. Lo scarico della merce è una collaudata e vociante catena di passamano scandita dai «vabbuò» e dai «sient’amme, faccimme accussi»: in poco tempo il magazzino si riempie del

L’ombra pericolante dei campanili, Nel mantovano circa duemila senza tetto. Nei campi rimasti aperti molte persone che già Avvicinandoti, nemmeno ti accorgi che Mantova è stata colpita dal terremoto. La città ti accoglie in tutta la sua bellezza; solo i locali sanno che il sisma ha fatto crollare il cupolino del campanile di Palazzo Ducale. Ma il terremoto ha danneggiato, anche in maniera seria, alcuni edifici storici, che risultano in parte chiusi o transennati. Una situazione che si è fatta sentire immediatamente sul versante turistico: quasi del tutto vuota, la città, nonostante tutto sia stato messo in sicurezza, e praticamente tutti i luoghi di interesse storico siano visitabili. Ma la paura di nuove scosse sembra avere la meglio. «Nel mantovano – racconta il direttore della Caritas diocesana, Giordano Cavallari – si registrano danni in un’area estesa per 60-70 chilometri, da Suzzara a Felonica, a pochi chilometri (ma a nord del Po) da Finale Emilia, uno degli epi-

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centri. In pratica, due terzi dei comuni del mantovano hanno subito danni di diversa entità. Secondo la Protezione civile, circa 1.800-2mila persone non hanno più una casa in cui rientrare, e a costoro bisogna aggiungere chi ha registrato danni di diversa entità. I più colpiti sono stati gli edifici storici: sono circa 120 le chiese con problemi di stabilità. Sono state chiuse, e con esse le canoniche e in molti casi gli oratori. Non perché tutti inagibili, ma in attesa di mettere in sicurezza chiese e campanili, che rischiano di cadere su queste strutture».

Centri d’ascolto in azione La Caritas diocesana di Mantova si è subito mobilitata per mettersi al fianco della popolazione in difficoltà. «Abbiamo da


il reportage “cuore grande di Napoli”, che si somma al “cuore grande degli italiani”. I colori e l’esuberanza tutta napoletana erano stati preceduti dalla visita della Caritas di Bolzano: con metodo e precisione tipicamente “austro-ungarici” sono entrati e hanno chiesto di cosa c’è bisogno, si sono complimentati per l’ordine e la tenuta del magazzino e poi sono ripartiti. E ancora: il passaggio dei vicini e simpatici romagnoli dalla Caritas di San MarinoMontefeltro con Moris, responsabile Caritas e capo scout, che insieme a due giovani in pantaloncini e fazzolettone al collo hanno scaricato un pulmino di succhi di frutta, scatolame vario e altre derrate, prima della foto per documentare le operazioni di consegna e della partenza per il ritorno nella Romagna solatìa. E altri carichi giungono da Genova, Cremona, Brescia, Padova... E ancora non è finita. Da Montevarchi il parroco porta con sé alcuni giovani dell’oratorio e qualche animatore e si informa se per le prossime settimane c’è bisogno di aiuti in termini di presenza fisica al magazzino. È questo il bello della solidarietà: si annulla la differenza tra chi dà e chi riceve e ci si rende conto di essere in una determinata situazione, tutta particolare, che non tiene conto in alcun modo di quello che si è, ma solamente di quello che si fa. Per gli altri.

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Suzzara

«Nel campo problemi sospesi, speriamo almeno nell’edilizia...» La situazione tornando lentamente alla normalità. E, paradossalmente, per alcuni il terremoto può trasformarsi in un’opportunità. L’associazione San Lorenzo di Suzzara, creata dalla diocesi di Mantova e dalle parrocchie della zona, funge da centro ascolto per quattro comuni (oltre a Suzzara, Pegognaga, Monteggiana e Gonzaga), un bacino di circa 40-45 mila abitanti. «Prima del terremoto seguivamo circa il 2% della popolazione – spiega il presidente, Bruno Staffoli –. In pratica venivano da noi circa 400 persone a settimana, con le richieste più varie, e noi garantiamo risposte base: docce, cibo, vestiario e mobili; per tutto il resto (prestiti, assistenza legale e finanziaria) ci appoggiamo ad altri servizi promossi dal centro diocesano. L’utenza media era formata da famiglie straniere, praticamente senza reddito (o con reddito saltuario) con minimo due figli. Ma poi c’è stato il terremoto...». E così, in pratica, spiega Matteo Amati, responsabile del Centro Casa dell’associazione, «la stragrande maggioranza delle persone che seguivamo sono finite nei campi della Protezioni civile e della Croce rossa. Noi siamo intervenuti nei campi, rispondendo a richieste particolari, soprattutto per quanto riguarda gli alimenti per bambini, il vestiario e l’animazione. Ma molto è nelle mani della Protezione civile, che in un certo senso ha preferito gestire tutto da sola». Ora, però, con la chiusura dei campi, il nodo di chi non ha più una casa si aggiunge a quello di chi già non l’aveva. «Di fatto – continua Amati – le persone hanno vissuto un periodo di sospensione dei problemi. Chiusa la fase della prima assistenza, la drammaticità di certe situazioni è tornata a farsi sentire. Chi era in affitto ha difficoltà a reperire una nuova abitazione. Chi invece viveva in una casa di proprietà si ritrova economicamente destabilizzato. L’unica consolazione è che le aziende da noi non hanno avuto danni e che, verosimilmente, nella fase del dopo terremoto sarà incentivato il comparto edile, in cui molti nostri assistiti possono sperare di trovare lavoro...».

che ne sarà dei vulnerabili? prima presentavano problemi sociali. Sono i più deboli: i comuni da soli non ce la fanno

Interventi Caritas, ecco come donare Gli interventi della rete Caritas si protrarranno nelle aree terremotate per anni, a sostegno dei bisogni sociali delle comunità. Ecco come donare; indicazioni più precise sui siti internet www.caritasitaliana.it e www.caritas.it Caritas Italiana Causale: Terremoto Nord Italia 2012 • c/c postale n. 347013 • Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113 • UniCredit, via Taranto 49, Roma Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119 Caritas Ambrosiana Causale: Terremoto Emilia Romagna 2012 (offerta detraibile o deducibile fiscalmente) • c/c postale n. 13576228 intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS • Credito Artigiano, intestato a Caritas Ambrosiana Onlus Iban: IT16P0351201602000000000578

subito sfruttato la nostra organizzazione – continua Cavallari –, utilizzando la rete dei centri di ascolto e dei servizi di accoglienza dislocati nel territorio. Diocesi e parrocchie si sono unite per promuovere questi centri, affidati in gestione a onlus. Nello specifico abbiamo mobilitato la San Lorenzo, con base a Suzzara, e la San Benedetto, con base a Quistello. I nostri operatori e i volontari, essi stessi colpiti dal sisma, si sono subito adoperati in favore delle persone costrette a lasciare le propria casa. In pratica abbiamo affiancato, e in alcuni casi ancora lo facciamo, come a Quistello e a San Giacomo delle Segnate, la Protezione civile e la Croce rossa nell’assistenza agli sfollati, andando a colmare eventuali carenze

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il reportage o richieste di aiuto particolari. Il tutto è stato reso possibile dalla grande disponibilità di volontari e operatori locali, ma anche dall’immediata solidarietà offerta da Caritas Italiana e dalle altre Caritas diocesane e delegazioni regionali d’Italia. Questo ci ha permesso di agire in fretta e con le giuste modalità. In pratica abbiamo subito posizionato tensostrutture di ampie dimensioni in grado di svolgere le funzioni di centro parrocchiale, alcune hanno ospitato i Gres estivi, e stiamo valutando il posizionamento di altre nel territorio. Anche perché i tempi di intervento per la messa in sicurezza degli edifici appare incerto e, in molti casi, di non breve durata».

In balia di se stessi? Terminata la fase dell’emergenza, i diversi campi di accoglienza, anche informali, realizzati nel mantovano stanno chiudendo, e le persone senza casa vengono concentrate nei due grandi insediamenti di Moglia e San Giacomo delle Segnate. «Nei campi abbiamo trovato buona parte delle persone che già seguivamo tramite i nostri centri di ascolto – ragiona Cavallari –: famiglie immigrate, anziani soli o con disabilità, nuclei di italiani monoreddito. Persone in difficoltà e che magari vivevano già in situazioni abitative al limite, cui il Ricoveri di fortuna terremoto ha dato la spalQuistello, i letti sotto lata finale». il tendone del tennis Per costoro, è previsto un contributo economico di 100 euro a persona, fino a un massimo di 600 euro al mese per chi ha la casa inagibile. Soldi che dovrebbero servire a trovare alloggi alternativi. «Il rischio – conclude Cavallari – è che una volta superata la fase di prima emergenza queste persone siano lasciate in balia di se stesse, con, in più, il problema abitativo da risolvere. Per questo stiamo lavorando a stretto contatto con le amministrazione locali, anch’esse in gravi difficoltà, per cercare soluzioni sostenibili per tutti. Compresi i tanti abitanti di queste zone del mantovano che lavoravano nelle aziende di Mirandola, oggi inagibili: le azioni del futuro dovranno dare risposte anche a loro».

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La storia

Elena, che dorme in macchina e fa centro d’ascolto tra le tende Elena ha un sorriso per tutti. E tutti la conoscono nei campi tendati che accolgono i terremotati dei comuni di San Benedetto Po, Quistello, San Giacomo delle Segnate, Quingetole e Poggio Rusco, in provincia di Mantova. «Dobbiamo costringerla a riposarsi – dice l’assessore alle politiche sociali di Quistello, Claudio Crespi –; se fosse per lei sarebbe sempre qui al campo». Elena Mossini è la responsabile del centro di ascolto dell’associazione San Benedetto. Anche lei è terremotata: la sua casa ha subito danni ed è costretta a dormire in macchina. Ma lei non sembra darci peso. «Seguiamo un bacino di circa 20 mila persone – racconta – e già prima delle scosse assistevamo circa 300 nuclei familiari, per un totale di circa 900 persone. Il 41% delle persone che abbiamo in carico sono italiani: un trend in costante crescita, che non accenna a diminuire». In tre giorni, dopo il terremoto, il centro di ascolto Caritas si è trasferito dentro ai campi tendati della Protezione civile di Quistello e San Giacomo delle Segnate. «In tutto abbiamo seguito 300 persone nel campo di Quistello, 340 a San Giacomo, 30-40 a San Benedetto e altri 280 a Poggio Rusco – continua Elena Mossini –. E stiamo parlando solo delle persone che non hanno la possibilità di soluzioni abitative alternative! Passata la grande paura, nei campi sono rimaste le persone più fragili (anziani, famiglie senza reddito o già vulnerabili). Noi ci siamo subito attivati per “coprire” le richieste che la Protezione civile non era in grado di affrontare nell’immediato, distribuendo in particolare alimenti e indumenti per bambini o materiale per igiene personale. Poi, grazie al costante rapporto con le assistenti sociali dei comuni interessati, abbiamo iniziato a lavorare sull’ascolto delle persone, per cercare di individuare percorsi di uscita dai campi». «A Quistello – spiega l’assessore Crespi – sono rimaste circa 50 persone nel campo (poi chiuso, ndr). Resta il problema della zona rossa nel centro storico, tutta chiusa per paura che il campanile crolli sulle case circostanti. Abbiamo stanziato 250 mila euro per la messa in sicurezza della chiesa e per predisporre container in cui trasferire le attività commerciali del centro storico, ma la situazione resta difficile. Abbiamo già fatto oltre un migliaio di verifiche e ben 250 case (su una popolazione di 5.800 abitanti) risultano inagibili. Se a ciò si aggiungono l’inagibilità di comune, biblioteca e scuole, è facile capire la drammaticità della situazione. Da soli non ce la possiamo fare». San Giacomo delle Segnate ospita uno dei due campi destinati a restare aperti una volta conclusa la fase della prima emergenza. «Finora la situazione – spiega il vicesindaco, Marzia Bertolasi – è rimasta sotto controllo. Ora, però, la paura sta lasciando spazio alla disperazione». Tutto il centro di San Giacomo è zona rossa, anche qui a causa del campanile che incombe su un raggio di 57 metri. Nessuno può rientrare, anche chi ha la casa a posto. «Il campo è un mondo sospeso – ragiona il vicesindaco –, in qualche modo è un luogo protetto e asettico, che garantisce un letto e il cibo, e soddisfa le necessità. Uscire significa per molti affrontare la realtà, ovvero il fatto di non avere più la casa, o i soldi per metterla in sicurezza, o ancora un lavoro (tantissimi nostri concittadini lavorano nelle imprese, oggi chiuse, di Mirandola). Noi contiamo 500 persone con case inagibili, tante famiglie che erano già in difficoltà, tantissimi anziani. E poi dovremo rimettere in sesto scuole, servizi, negozi. Collaboriamo con le risorse locali, a cominciare dalla Caritas. Ma da soli potremo davvero poco». luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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Artigiani e hobbisti: sulla bancarella, la passione di una vita

Mercanti di fantasia Viaggio tra i mercatini estivi: boom, nell’ultimo decennio, di ambulanti che la merce se la fanno da soli, proponendo i prodotti della propria creatività. A chi lo fa per hobby interessa di più l’apprezzamento dei visitatori. Ma per molti è un lavoro cui si sacrifica l’intera settimana. E sbarcare il lunario è forse la parte più difficile dell’attività...

22. scarp de’ tenis luglio - agosto 2012

di Stefania Culurgioni Dice, alla gente che passa, di fermarsi per provare i suoi giochini. «Vi salva i neuroni – ripete con la erre parigina –, vi fa funzionare le sinapsi! E li ho fatti io, a mano». Ma fa caldo, un caldo d’afa che appiccica i vestiti, che soffoca ogni guizzo di creatività, che spegne la voglia di mettersi alla prova, e così nessuno si ferma. I passanti si trascinano con lentezza da una bancarella all’altra, le gettano uno sguardo da pesce affranto, passano oltre. E d’altronde, la fiera di Sinigaglia non è neanche più quella di una volta, dove oltre alle bici rubate a due soldi trovavi punkabbestia che arrotolavano bracciali, barbuti giovanotti che tagliavano sul momento borsette di cuoio o ragazze che sare, le persone sono troppo passive, per infilavano perline per creare collane. loro è più facile guardare la televisione o Tutto è omologato alle più tradizionali giocare alla playstation. Passano tutti bancarelle da mercato: vestiti, libri usasenza valorizzare il lavoro e la ricerca ti, magari qualche pezzo antico d’arreantropologica che c’è dietro, perché io damento, ma il tavolino ricoperto di per inventarli ho studiato i giochi di tanvelluto nero di Marie, a cui sono attacte culture. Sa chi si ferma? Solo qualche cate le sue creazioni colorate e fatte in professore che comprende cosa c’è dieferro, ha sinceramente poche speranze di attirarsi intorno una certa folla. Non è la clientela giusta, e servirebbe un contesto un po’ più speciale per apprezzare i suoi lavori: «Questi sono giochi d’ingegno fatti a mano – racconta lei, che ha 45 anni, è originaria di Parigi ma è venuta in Italia attratta dal Belpaese e dalla sua cultura –, sono fatti con le pinze e sono di ferro. Vedi questo? – dice, mostrando una specie di triangolo con dei cerchietti intorno –: servono cento movimenti per trovare l’uscita, è come un labirinto, e fa funzionare le sinapsi e i neuroni». Marie è bionda, ha i capelli lunghi, parla italiano con una forte cadenza francese, dovrebbe pur fare un certo effetto, ma i suoi occhi tradiscono delusione e amarezza. Vorrei dirglielo, che così non ha speranze di attirarsi clientela, ma lei mi precede: «Ho imparato da sola e ci metto un’ora per farne uno solo, di questi giochini. Giro tutte le fiere e mi impegno moltissimo, ma è molto difficile perché la gente non vuole pen-


l’inchiesta tro, che vale la pena acquistarne un pezzo a pochi euro e giocarci». E questo è tutto: pochi acquirenti e pochi euro di guadagno. Ma intanto Marie con la sua bancarella ci deve vivere, perché non ha un altro lavoro: «Riesco giusto a pagarmi le bollette – confida –, ma di fatto posso definirmi povera». E come lei ce ne sono tanti, tante storie e tanti profili diversi, in quel popolo variegato e inafferrabile di chi fa del proprio artigianato il suo mestiere, il suo strumento di sussistenza. Persone, insomma, che non hanno una bottega, ma che vivono vendendo oggetti da loro creati nei mercatini per strada, sfruttando la loro passione e la loro abilità, puntando tutto sull’originalità del prodotto, frutto di fantasia e manualità.

Difficile fare una mappa Capire quanti sono in Italia non è un’impresa tanto facile. Numeri precisi, in realtà, non ce ne sono. Una cosa infatti è parlare dei venditori ambulanti che hanno una bancarella e vendono oggetti acquistati dai grossisti, un’altra invece è parlare di quelli che la merce “se la fanno” da soli, con le loro mani, usando la loro testa, il loro talento, e poi la vendono. Entrambe le categorie vivono facendo le fiere e i mercati. Ma solo la seconda crea, inventa, pensa, quasi “partorisce” l’idea di un nuovo ogget-

Creart

L’orgoglio di Alan l’hobbista: «Lo stipendio “paga” la passione» Il suo accento ancora marcatamente americano funziona alla perfezione per insistere con enfasi su un concetto che ripeterà per tutta l’intervista: «Noi non siamo artigiani, anzi noi non li sopportiamo proprio, gli artigiani. Perché si fingono hobbisti creativi e invece sono solo commercianti che comprano gli oggettini dai rivenditori cinesi e li piazzano sul mercato come se fossero i loro». Il signor Alan, 69 anni, ex direttore marketing della Levis, è l’inventore di Creart, l’associazione che raccoglie qualcosa come 600 iscritti, tutti hobbisti, che partecipano alle sessanta tra sagre, fiere e feste di paese sparse ogni anno tra la provincia di Lecco e Milano . «Vorrei spiegare meglio che cosa intendo per hobby – precisa Alan –: un’occupazione che riguarda casalinghe, operai e qualunque altro lavoratore, che la sceglie però come passione. Con lo stipendio primario si mantiene la passione, insomma, non il contrario: non è la bancarella che fornisce un guadagno per vivere. Chi la vive in questo modo è un cosiddetto artigiano, e non è proprio la categoria che più amiamo...». Creart nacque nel 1997 a Imbersago, paesino sull’Adda lecchese, quando la Pro Loco organizzò un mercatino di antiquariato. Ebbe un enorme successo, arrivarono 132 piccoli stand, da lì si decise di portare la “creatività” fuori dal contesto di quella festa a tema. «Gli hobbisti creativi fanno di tutto – spiega Alan –: bigiotteria, decoupage, cucito, pizzi, ricami, oggetti in ferro, vetro, borse, dipinti, modellismo, scultura, borse in pelle. Ma li fanno con le loro mani, con la calma e la tranquillità di chi ha già un reddito e nell’artigianato esprime una passione. Secondo noi, chi dice di fare l’artigiano e di vivere vendendo le sue creazioni, in realtà le compra già pronte in via Settembrini a Milano (strada dove ci sono moltissimi grossisti cinesi di qualunque chincaglieria e oggetto, ndr)». Alan continua spiegando il motivo di tanto fastidio: «Gli artigiani delle bancarelle fanno concorrenza sleale ai negozianti, l’hobby invece è creatività, passione, amore non legato al denaro». Agli hobbisti non serve tirare su i soldi per vivere, ma solo quelli che bastano per comprare la materia prima, che serve per ricominciare a creare. C’è chi nel week end tira su 50 euro, chi invece nulla; dipende anche dalla fortuna, ma più che altro alle sagre si partecipa per il gusto di stare insieme. Come quando, sulla sponde del fiume o tra le colline brianzole, Creart organizza il suo mercatino. Alan lo si trova sempre, con il suo hobby di organizzare gli hobbisti. E il puntiglio di espellere quelli che scopre non essere i veri autori dei loro prodotti.

to da esporre, sperando che colpisca l’interesse dei passanti e addirittura ne apra il portafoglio, convincendoli a comprarla. Ma distinguere le due categorie, sfogliando i dati ufficiali, non è facile: «Sul registro imprese non è possibile individuare chi tra i venditori ambulanti produca in modo artigianale gli oggetti che vende – spiega Antonella Barberis della Camera di commercio di Milano –; nelle statistiche compaiono tutti come commercianti ambulanti. L'unico dato che riusciamo a individuare è quello degli ambulanti che vendono articoli di bigiotteria e chincaglieria, attività spesso molto artigianale».

Concentrandoci quindi su questi dati, ecco che cosa viene fuori: la città italiana in cui se ne sono registrati di più è la multiculturalissima Palermo con 1.453 venditori, seguita da Napoli con 941, da Lecce con 712, da Milano con 453 e Salerno con 415. Altissima la percentuale di stranieri extracomunitari che si dedicano a questo tipo di commercio; abbastanza complicato capire se si tratti quindi di semplici rivenditori o di veri e propri artigiani. Marco Accornero, segretario generale dell’Unione commercianti della provincia di Milano, amplifica il tema, facendo un’ulteriore divisione, introduluglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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cendo una nuova sfumatura nella categoria degli ambulanti “creativi”.

Tra hobbisti e artigiani «Io direi che ne esistono due: gli hobbisti e gli artigiani – spiega –. Gli hobbisti sono coloro che hanno hobby manuali, fanno ricami, decoupage, dipingono su ceramica, trasformano insomma la loro abilità non professionale in uno strumento di guadagno. Partecipano a sagre e mercatini, feste patronali e iniziative di paese, hanno il loro banchetto e vendono il frutto del loro lavoro, ma non hanno una partita Iva. Si tratta per lo più di casalinghe, pensionati, persone che hanno già un primo lavoro, ma che usano questo per arrotondare». In pratica, queste persone non hanno un’abilità eccelsa, altrimenti l’avrebbero trasformata nella loro prima, unica e principale fonte di reddito, ma hanno una passione e la sfruttano per farci qualche soldo, ma soprattutto per il piacere di esporne i prodotti. Legalmente, dunque, sono hobbisti, ma in realtà vendono anche loro e sono un po’ sul filo della legalità. «Fanno un po’ di concorren-

La carica degli hobbisti nelle fiere di paese: «Bello vendere. Di più ricevere i complimenti» Se piove a dirotto le persone non escono di casa. Se è variabile le persone magari se la rischiano, ma sono sempre sul chi va là, poco propense a rilassarsi davanti a una bancarella, con l’ombrello al gomito e il naso rivolto all’insù. Conoscere la psicologia del passeggiatore da mercatino a un certo punto diventa fondamentale per chi, come hobbisti e artigiani, vende i propri oggetti nelle sagre di paese. Serve a sapere quanti e quali affari ci si può aspettare da una giornata, se gli incassi saranno alti oppure a zero. Anche se questo non è essenziale per tutti. Vale infatti la distinzione fondamentale: gli hobbisti hanno già un lavoro e usano la bancarella per arrotondare, gli artigiani ci devono campare. Gli hobbisti magari sono pensionati o casalinghe, a volte operai o impiegati, con un’abilità che diventa il loro secondo lavoro, ma il primo obiettivo è esporre le proprie creazioni, dare sfogo alla passione; racimolare qualcosa è solo lo scopo ulteriore. Ben vengano insomma i soldi, ma se non vengono non muore nessuno. Tiziana Fedeli abita a Pioltello (Milano) e fa lavoretti di cucito: copertine per bimbi, tovaglie, bavaglini, magliettine. «C’è sempre interesse intorno alla mia bancarella – confessa –, ma le vendite sono basse». Franca Ranzenigo, anche lei di Pioltello, dipinge a mano piastrelle con facce di cani e gatti: «Se lo facessi come unica professione non arriverei a pagare le bollette – rivela – ma sono un’hobbista e già è tanto ricevere complimenti. Quando la manifestazione è bella, è organizzata bene, quando sono venute tante persone, vado a casa contenta». Anna Perelli invece vende vasi di cristallo, bracciali, collanine, anelli, spille. Abita a Canonica d’Adda e ha sempre un buon giro di curiosi intorno al suo tavolino. «Spesso accade che per tutta la fiera non succeda niente, non si venda – dice –. E poi, all’improvviso, all’ultimo momento, qualcuno decide di comprare...».

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l’inchiesta za agli artigiani veri e propri, che invece hanno la partita Iva – continua Accornero –. E infatti a differenza di questi ultimi non hanno costi d’impresa, non devono avere un commercialista, vendono a prezzi più bassi perché tanto hanno già un’altra occupazione. Capire quanti sono è molto difficile, molti si registrano come girovaghi». La seconda categoria è invece, appunto, quella degli artigiani che hanno sede e partita Iva, e fanno questa attività come unico mestiere. «La sede può anche essere il garage di casa – continua il segretario Accornero –, o uno scantinato, un sottoscala, un seminterrato dove lavorano dal lunedì al venerdì, dalla mattina alla sera. È il lavoro che hanno scelto come fonte di sussistenza, si impegnano molto e nel fine settimana vanno a vendere i loro oggetti in tutta Italia».

Un incremento enorme Pelletteria, bigiotteria, legno, ma anche ricami e piccoli restauri: le specializzazioni sono tantissime e i luoghi di vendita sono tutti quelli che offre l’Italia delle piazze e delle manifestazioni. Non negozi o punti fissi insomma, ma sagre, feste di paese, lungomare in estate e mercatini d’inverno. «Negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento enorme di questo settore – continua Accornero –, forse perché si sono moltiplicate le occasioni collettive di festa. La crisi però ha colpito anche questi artigiani che, a differenza degli hobbisti che magari rinunciano a farlo, non si fermano neanche con la pioggia, la neve, il vento, il sole battente e non temono le avversità del tempo. Ogni occasione, per loro, è una possibilità per aumentare il fatturato». Difficile, peraltro, capire a quanto ammonti, mediamente, il giro d’affari: «Per giustificare una giornata di vendita con la bancarella devi fare almeno 300 euro – spiega Accornero –: sono i soldi per ripagarsi benzina, affitto del marciapiede chiesto dal comune, costi dei materiali. Questi artigiani costruiscono gli oggetti da lunedì a venerdì e hanno solo sabato e domenica per venderli. Si capisce che non è una vita facile...».

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La storia

Rosi, le ochette e il marciapiede «Si campa anche di segnalibri» Passano centinaia, forse migliaia di persone ogni giorno. E lei ne vede solo i piedi. Vanno e vengono, aspettano l’autobus, si dirigono verso la metro, camminano verso il lavoro, escono per la pausa pranzo, entrano in un bar a prendere un caffè. Piedi veloci, piedi con i tacchi, piedi dentro i sandali, da soli, a quattro a quattro, piedi e caviglie che si evitano, si incrociano, si sfiorano. Rosi (foto sotto) sta sempre nello stesso punto, seduta su un seggiolino da spiaggia, il cappellino blu calato ben oltre la fronte, la testa piegata sul grembo dove tiene il segnalibro su cui lavora. Ha 47 anni, è un’artista di strada, vive di pochissime cose e ha un aspetto, diciamo, vissuto. La prenderesti per una clochard che occupa il tempo facendo creazioni di carta, ma quando le parli scopri che ha una casa, due figlie, un compagno e che occupa lo stesso mezzo metro di marciapiede, nella stessa piazza di Milano, a Cadorna, da 17 anni. Il suo lavoro? Fabbricare segnalibri e quadretti. Ogni giorno otto ore, sanza sosta e senza lanciare richiami a chi passa. Semplicemente, chi vuole si ferma, guarda e compra. Tutti gli altri passano dritti, le lanciano uno sguardo perplesso, incuriosito, muto. E lei sta sempre lì, immobile, a disegnare, circondata da uccellini a cui dà il pane: «I miei amici», confessa. La sua è una storia travagliata e sofferta. Aveva 17 anni quando cominciò a scappare di casa: «Ero giovane, avevo la testa un po’ strana, cercavo la libertà – confida –. Ero un po’ selvatica, diciamo, non andavo d’accordo con i miei genitori. Ho preso qualcosa come 107 denunce per scomparsa, mi riprendevano e scappavo di nuovo, speravo di trovare la fortuna in qualche modo e invece no, è andata in un altro modo». Rosi, adolescente, nata a Venezia, ha girato vivendo di espedienti, facendo la vita di strada. È stata anche aggredita da un uomo che aveva conosciuto per caso e di cui si era fidata: «Vivevo con l’ansia e la paura – rivela –; quando sei giovane fai tante cavolate e non ci si rende conto. La vita di strada, chi non la fa, non può capire che cosa significhi». Il suo viso, però, ne parla a lungo. Ne parlano la cicatrice sul labbro, la pelle segnata dal sole e dalla polvere, le mani ingrossate che lavorano il gesso sui cartoncini. Rosi disegna ochette al chiaro di luna, fiori e farfalle, poi li ricopre con la plastica e li infila nel suo librone, una specie di book di opere. «Un giorno, dopo la fuga definitiva, incontrai un madonnaro – continua –. Gli chiesi: caspita, quindi si può disegnare per terra? Lui mi regalò i suoi ultimi colori e mi lasciò a custodire il suo disegno. Feci un sacco di soldi con il disegno di un altro. Io mi misi solo lì a rifinirlo. Ma intanto imparavo». E infatti con gli anni Rosi ha trovato il suo modo per vivere. «Ho scelto Cadorna un po’ per caso, mi piace, è un luogo di passaggio – dice –-. Lavoro dalle 8 alle 17.30, ma non ho orario fisso, dipende come va la giornata. Faccio segnalibri, quadretti, cerco di arrangiarmi, dipingo col gesso. In una giornata non c’è una quota fissa, a volte faccio 30 euro, altre 40, altre 10 altre 15, non tutti i giorni sono uguali. Vendo i miei oggetti a 2,50 euro, le persone passano, parlano, si avvicinano, tante le conosco, mi sono fatta degli amici e uno di loro mi ha fatto un sito internet, rosedirosi.com». Con i pochi soldi che guadagna, paga le bollette della casa comunale in cui vive e mantiene le due figlie, la maggiore delle quali, 22 anni, è partita per Londra. «Mi sono indebitata con le mie amiche per mandarcela – dice – e ora fa la tata, mentre l’altra cerca lavoro». Lei invece resta a Cadorna, con gruppetti di passeri che sfidano il traffico della piazza per beccarle il pane dalle mani, e uno zaino di colori, di libri, di disegni.

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«Ragazzi, insieme riprendetevi il futuro» Disco di svolta dei Sonhora: più rock, più sociale, appello alla condivisione di Daniela Palumbo

Fratelli in tour La copertina di La storia parte da qui, nuovo disco dei Sohnora. A destra una bella immagine dei fratelli Fainello, veronesi. Per seguire il tour dei Sohnora: www.sonhoraofficial.com www.facebook.com/sonhora

26. scarp de’ tenis luglio - agosto 2012

Sono giovani, sono carini, hanno successo. Ricetta facile: per uno o due anni spesso funziona. Ma loro resistono da più tempo, esattamente dal 2008, anno dell’esordio sanremese, segno che sotto la veste patinata c’è qualcosa di più. I Sonohra sono famosi non solo in Italia, ma anche in America Latina. E in Giappone. I fratelli Luca e Diego Fainello sono di Verona, hanno rispettivamente 30 e 26 anni e sono al loro terzo album di inediti. Un album storico, almeno stando al titolo: La storia parte da qui. Con questo disco i Sonohra tracciano una linea di confine fra ciò che erano – un duo per teenager – e ciò che vogliono essere, da oggi in poi. «Per noi inizia una nuova era – racconta Luca, il maggiore dei fratelli, autore dei testi –. Dal punto di vista musicale siamo andati verso un suono più rock, con sonorità più energiche e potenti, più decise, meno stereotipate. Oggi facciamo molta più sperimentazione di ieri, d’altronde dal colpa che è difficile da estirpare. Gli ornostro esordio a Sanremo siamo crechi spesso sono in casa, o magari sono le sciuti e abbiamo acquisito una maggiopersone più vicine, quelle di cui ti fidi, gli re maturità musicale, abbiamo voglia di insospettabili. Le vittime restano tali per sperimentare strade diverse. E adesso è il sempre se non si trova il coraggio di parmomento giusto per ripartire». Anche dal punto di vista dei testi, lare, di denunciare. Solo così si ha la possibilità di rinascere. Non c’è altra via per non ci sono più solo amore e libertà... tornare a vivere. Con Il cielo è tuo voleQuesto album ci rappresenta nella muvamo far emergere l’urgenza di parlare sica e nelle tematiche, l’abbiamo forteper non restare vittime per sempre. mente voluto, infatti l’abbiamo prodotto in proprio, noi e Carlo Cantini che ci Tu hai scritto anche il Re del nulsegue dall’inizio. La collaborazione di la... grandi autori (Ruggeri, Finardi, oltre a É una canzone contro i reality televisivi Roberta Di Lorenzo, e al bravissimo rapche attecchiscono come piante infeper Micheal Adrian), ci ha dato forza per stanti. Perché questo è un tempo fatto di rompere con gli schemi e certe traiettoillusioni, c’è chi specula sui sogni dei rarie del passato, e fra l’altro è un onore per gazzi, li illudono che sia facile arrivare al noi. I testi di questo album affrontano successo. Vendono sogni a buon mercaanche tematiche sociali ma non potrebto, spacciano la notorietà per tutti, ma be essere altrimenti, non ci si può voltacosì fanno loro del male. Inoltre, sono fire dall’altra parte, fare finta di niente. Abniti i tempi in cui giravano tanti soldi e ci biamo parlato di ciò che ci colpisce di si arricchiva in fretta nel mondo dello più. spettacolo. Forse era così prima, ma la crisi ha toccato pesantemente anche Avete affrontato il tema degli abuquesto ambiente. Il re del nulla è colui si sui minori con una canzone dove sollecitate le vittime a parlare, a che diventa famoso perché va in tv, ma denunciare, per far uscire allo scosenza nessun merito. Tempo qualche perto gli orchi... mese e nessuno si ricorda più di lui. Bruciato. Per arrivare al successo occorrono Io ho conosciuto una ragazza che aveva invece tanta gavetta, tanti no, tante porvissuto questo terrificante dramma. Non te sbattute in faccia, altro che facile! I reariesci più a venirne fuori. A vivere normalmente. Ti porti dentro un senso di lity rappresentano per tanti giovani una


l’intervista fronti della politica e dell’economia riguardi tutti. Però che senso ha parlarci addosso e smettere di investire nel futuro? Noi pensiamo che la forza dell’uomo, dei giovani, sia proprio quella di riprendersi in mano il futuro attraverso la forza dei singoli individui che si mettono e lavorano insieme per il bene comune: avere uno scopo condiviso fa bene all’animo umano. È quello che abbiamo scritto insieme a Eugenio Finardi e Roberta Di Lorenzo nel brano La storia parte da qui. Fra i vostri fan ci sono ragazzi cosiddetti “di seconda generazione”, figli di stranieri (ancora) senza cittadinanza nel nostro paese, pur essendovi magari nati. Da che parte stanno i Sonohra? Non abbiamo dubbi: noi siamo per dare loro la cittadinanza italiana, sono italiani a tutti gli effetti. Siamo un paese vecchio, lo dicono le statistiche e allora, a maggior ragione, perché rifiutare il futuro? Il nostro paese su certi temi dimostra di essere arretrato. Nelle altre nazioni è da tempo così, perché chi arriva in un paese che non è il suo vuole solo un futuro; noi invece lo neghiamo. È ingiusto. Oltre che antistorico, perché loro costruiscono anche il nostro domani.

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scorciatoia. Vuoi diventare famoso in due giorni? Basta andare in tv. Voi la gavetta l’avete fatta? Sì, suoniamo da tanti anni. Siamo stati in posti piccoli e piccolissimi, con poco successo e qualche umiliazione, ma siamo stati anche fortunati, non c’è dubbio. Sanremo ci ha aperto le porte ma per restare a galla devi avere del talento, insieme alla fortuna. La gavetta ti insegna a dare valore alla tua passione, che non crolla di fronte agli insuccessi. Litigate spesso tu e Diego per la musica? A volte, come tutti i fratelli. Ma d’altra parte a sanare in fretta i dissapori ci aiuta proprio il fatto di essere fratelli, di avere perseguito per anni la stessa passione. Poi in fondo ci completiamo: Diego cura gli arrangiamenti musicali, io faccio i testi. I ruoli distinti aiutano. La crisi economica, il lavoro, la politica. Dove li collocate nelle vostre canzoni? Noi parliamo ai ragazzi e alle ragazze di speranza. Non una speranza insensata, vaga. Pensiamo che il disagio nei con-

La storia

Primi passi nei locali del Garda oggi collaborazioni internazionali La storia parte da qui (Sony Music) è il nuovo disco dei Sonohra. I fratelli Fainello suonavano insieme da quando erano giovanissimi, avendo partecipato a numerosi concorsi musicali e maturato una lunga esperienza (nonostante la giovane età) live, in particolare nei locali del lago di Garda. In quegli anni, Luca e Diego si sono appassionati alla musica pop rock degli anni Settanta e Ottanta, con una speciale predilezione per il blues storico. La storia parte da qui è annunciato come l’album di svolta verso una maturità musicale più compiuta. L’album è composto da undici brani, sette in italiano e quattro in inglese, che trattano d’amore e di temi sociali, come la violenza sui minori e la crisi di valori della società. Il nuovo lavoro dei due veronesi, che sulla pagina di Facebook annotano 322 mila fans, è stato masterizzato nei celebri Sterling Sound Studios di New York da Ted Jensen, che ha lavorato con artisti come i Police, Norah Jones e Madonna. Il duo veronese ha lavorato al disco con artisti di lunga esperienza: la star del panorama folk internazionale Hevia, e poi Enrico Ruggeri, Eugenio Finardi, Roberta Di Lorenzo, la band americana dei Secondhand Serenade e il rapper Michael Adrian. L’album contiene: Moonrise, Il cielo è tuo, Liars, Il re del nulla, Ciò che vuoi, The night is ours, Nuda fino all’eternità, La storia parte da qui, Si chiama libertà, It’s much too late, L’amante di Lady Chat, Andromeda, The sky is yours. luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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milano Tempo di crisi e tagli, gli interventi per ragazzi in stato di disagio si fanno “leggeri”. Ingiusto e irrazionale: denuncia Caritas-Cnca

Minori, non costi la tutela è un diritto Milano Tutti in coda! Viaggio nella città che aspetta Como Ladri di pere e biciclette, si ruba per sopravvivere Torino La Casa del quartiere, San Salvario ha un centro Genova Crisi nelle serre in Riviera: diritti dai fiori “tracciabili” Vicenza Legami sociali forti per vincere le mafie Rimini Rimesse in aumento, ma non è tutto oro... Firenze Campare di mercatini, si deve pur mangiare Napoli In tv ci vado io. Vale a dire Nessuno Salerno Amico Trool, i minori possono navigare sicuri Catania Giovani senza lavoro, resta l’artigianato...

28. scarp de’ tenis luglio - agosto 2012

di Ettore Sutti Mario è un bimbo disabile di 8 anni, che non ha una presenza educativa che lo sostenga durante le ore scolastiche. Questo perché la riforma Gelmini ha tagliato i posti degli insegnanti di sostegno, per favorire un risparmio di costi. Ma quanto costa alla società rinunciare a una risorsa che lavora non solo sul singolo alunno, ma sull’intero gruppo classe, per incidere su fragilità e insicurezze? Ahmed non ha grandi prospettive per il futuro, perché quando compirà 18 anni nessuno piu paghera per lui la retta che gli garantisce alloggio, vito e accompagnamento educativo nella comunità dove è ospite. Ahmed sta ancora studiando (gli ospiti delle comunità non vanno tutti a lavorare a 16 anni): che possibilità può avere di trovare un alloggio e un reddito che gli permettano di finire gli studi? La comunità dove è ospitato, in autonomia, ha appronpartenza, nella corsa della vita. E così tato un progetto di accompagnamento viene da chiedersi: può la tutela di un per i ragazzi come lui, che rappresentaminore, e il futuro del nostro paese, dino il futuro del nostro paese ma di cui lo pendere solo dalla disponibilità di risorstato, dopo averne garantito magari per se economiche? anni il mantenimento, sembra dimen«Noi crediamo che la tutela del minore ticarsi. debba essere un bene di tutti – spiega il Servia e una bambina egiziana di 9 anni, responsabile del servizio minori di Cariche vive con la mamma affetta da ditas Ambrosiana, Matteo Zappa – e ciò sturbi psichiatrici: un ricovero in una cochiede l’assunzione di una responsabimunita potrebbe sollevarle temporalita comune, a cui istituzioni e societa cineamente da un compito troppo gravovile non possono assolutamente sotso, ma il comune in cui risiede non ditrarsi. A maggior ragione in questo parspone dei fondi necessari per attivare ticolare momento storico, nella quotil’inserimento. dianita del lavoro sociale ed educativo, Giulia ha 4 anni e due genitori che hansiamo di fronte alla difficolta di come no perso casa e lavoro. Da giorni dorme tradurre in scelte concrete questo “doin macchina con la famiglia: non c’é un vere” di tutela del minore, a causa di luogo che possa accoglierli insieme. I gemolteplici fattori tra cui emerge, con nitori, spaventati dall’idea che i servizi grande evidenza, quello delle risorse disociali possano separarli dalla figlia, presponibili». feriscono andare avanti così, piuttosto che chiedere aiuto. Maria, 14 anni, è spesso sola, perché la Non si parla solo di “sfigati” madre, unico genitore, riesce a procuMa chi sono i minori sotto tutela? rarsi solo lavoretti occasionali senza oraCaritas, in giugno, ha dedicato un conri, e nel paese in cui vive non ci sono luovegno, insieme a Cnca Lombardia, al teghi per il tempo extrascolastico a cui lei ma della loro tutela. «Parliamo – contipossa accedere gratuitamente. Così è nua Zappa – di ragazzini provenienti da costretta a passare tanto tempo sola e a famiglie non in grado di adempiere ai imparare ad autogestirsi. propri doveri genitoriali. Questo non siMario, Ahmed, Giulia e Maria: bambini gnifica necessariamente famiglia malcome tutti gli altri, ma svantaggiati, in trattante: ci sono casi di abuso e mal-


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Il progetto

Artemide, con le neo-mamme La nascita di un figlio e i suoi primi anni di vita rappresentano una fase critica, in cui le famiglie sono esposte da un punto di vista sia socio-economico, sia psicologico e relazionale. Parte da qui il progetto Artemide, nato dalla collaborazione tra Caritas Ambrosiana e le cooperative del consorzio Farsi Prossimo. Il progetto ha l’obiettivo di sostenere e accompagnare nuclei familiari in difficoltà nei primi anni di vita dei loro figli, attivando collaborazioni con le Caritas parrocchiali, i centri di ascolto e le reti di volontariato dei territori. É rivolto a genitori, in particolare madri, con figli da 0 a 3 anni che hanno problemi economici, sociali o relazionali e che hanno bisogno di un supporto e di un accompagnamento. Artemide risponde alle necessità delle neo-mamme e delle famiglie, attraverso la progettazione e la realizzazione di percorsi individualizzati e integrati di aiuto, l’attivazione e lo sviluppo di reti di prossimità tra famiglie che abitano nello stesso territorio. Il progetto offre alle famiglie, in particolare alle madri, la possibilità di ricevere aiuti materiali, incontrare operatori professionali con cui poter condividere le proprie difficoltà e con i quali progettare percorsi concreti per rispondere ai bisogni e affrontare i problemi. Accanto al lavoro individuale, è offerta alle mamme la possibilità di partecipare a gruppi di sostegno tra mamme e a incontri tra famiglie in cui viene favorito lo scambio di competenze ed esperienze relative all’essere genitori e alla cura dei bambini. Questo contribuisce a diminuire il rischio di isolamento e dà la possibilità di non affrontare da soli l’avventura del diventare genitori.

trattamenti, ma nella grande maggioranza ci si trova di fronte a un’incuria conseguente alla fragilità che caratterizza uno o due dei genitori, magari per motivi di salute o a causa della perdita del lavoro. C’è poi tutto un capitolo che riguarda le famiglie monoparentali (in massima parte mamme con bambini) e le loro difficoltà a trovare luoghi protetti e vigilati dove lasciare i propri figli durante le ore di lavoro, oltre al capitolo dei minori stranieri non accompagnati. Credo sia importante sottolineare che in Italia esiste un diritto alla tutela che dovrebbe essere garantito. Dico dovrebbe, perchè a causa del continuo taglio delle risorse da parte dello stato, non sempre questo è possibile. Ma uno stato che non si preoccupa dei propri figli più fragili non è uno stato lungimirante, perchè non è in grado di garantirsi un futuro».

Sempre meno fondi disponibili Il diritto alla tutela, e dunque il dovere a garantirne l’esigibilità, è una responsabilità pubblica, cioè dello stato. luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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scarpmilano Questo significa che potenziare o depotenziare questo settore di interventi è una responsabilità politica ben precisa. «Il problema dei fondi nel corso degli anni si sta facendo sempre più sentire – continua Zappa –, al punto che alcune scelte (leggi lo sviluppo dell’affido familiare, strumento assolutamente efficace, sia chiaro) spesso sono motivate dalla carenza di fondi pubblici, anziché da una convinzione educativa: l’affido, per esempio, garantisce costi molto minori rispetto a una comunità di accoglienza. Ma un progetto di affido non significa parcheggiare un minore in una famiglia e lavarsene le mani, bensì costruirgli attorno un progetto in grado di intervenire anche e soprattutto sulla famiglia di origine, per favorire il rientro. E poi ci sono casi per cui l’affido non funziona o non basta, e si devono aprire le porte delle comunità».

Leggerezza senza progetti Nelle comunità di accoglienza gli standard qualitativi e quantitativi sono cresciuti moltissimo durante gli anni. E i costi per i comuni sono bloccati da anni, ma stanno diventando sempre più insostenibili, per le casse esangui degli enti locali. «Dato l’affievolirsi dei trasferimenti dallo stato – conclude Zappa – l’invio in comunità di un minore, a meno che ci sia un provvedimento da parte del tribunale, rischia di non essere attivato. Oggi sempre più si assiste a interventi “leggeri”, la cui leggerezza non è dettata dalla progettualità, ma dalla necessità di spendere poco. Quello che serve è invece riaffermare l’importanza di lavorare sulla tutela, per garantire diritti adeguati a tutti e, cosa altrettanto importante, affrontare spese sociali minori in futuro, quando i ragazzi avranno raggiunto la maggiore età. Interventi di qualità su un minore e la sua famiglia richiedono costi importanti, ma hanno spesso esiti positivi in tempi medio-brevi. Intervenire in maniera “leggera” e senza le dovute figure professionali significa far affondare l’intervento, con il risultato che il minore è costretto a rimanere in comunità fino al compimento della maggiore età, con maggiori oneri per il comune e più fatiche per lui. Occorre ridefinire le priorità e le garanzie essenziali. E rendere effettivo per ogni bambino e ragazzo il diritto a una buona crescita».

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L’intervento

Marelli (Cnca): «Non ci arrendiamo, si tratta del futuro dei nostri figli» «Quando parliamo di tutela parliamo di diritto esigibile. E dovremmo parlare di diritto esigibile e di tutela dei minori non solo quando ci si trova di fronte a un provvedimento da parte di un tribunale, ma pensare a un sistema di politiche sociali che sia in grado di prendersi cura anche della famiglia d’origine, sostenendo percorsi di autonomia. Non bisogna arrivare, come succede spesso oggi, quando la situazione è compromessa». É un fiume in piena, Liviana Marelli, coordinatrice dell’area infanzia, adolescenza e famiglie del Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza (Cnca). «Si deve parlare di un insieme di politiche e di azioni in grado di rendere esigibile il diritto da parte del minore di crescere in famiglia, a partire dalla propria, così come è sancito dalla legge 149 del 2001 e dalla convenzione di New York, ratificata dall’Italia e quindi legge anch’essa». Il ragionamento non fa una piega: non si deve parlare solo di interventi riparativi, occorre invece ragionare su come rendere disponibile azioni garantite per tutti. «Non dobbiamo commettere l’errore di credere – continua Marelli – che questi interventi riguardino solo i figli di qualcun altro. Sono tutti figli nostri, della comunità locale. Dobbiamo essere in grado di garantire a loro, e quindi anche a noi, un mondo e una società attenta ai bisogni dei bambini. In quest’ottica tutto ciò che ruota attorno al mondo dei bambini – la scuola, la famiglia – deve essere visto come qualcosa da tutelare e proteggere. Una società che si dice civile deve partire da questa assunzione di responsabilità». Quello che accade oggi è però che sempre più spesso la tutela viene vista come il compito di qualcuno: il tribunale, i servizi sociali, il comune... «Significa partire con il piede sbagliato – prosegue Marelli –, perché senza una chiara presa di posizione e un’assunzione di responsabilità da parte della società civile quelli che dovrebbero essere diritti garantiti diventano non chiaramente definibili. Insisto: la tutela va garantita dallo stato e dalla sue diramazioni. Perché lo stato siamo noi e che società può essere quella che si dimentica dei propri figli? Bisogna evitare storture come quelle che accadono oggi in Lombardia dove, con l’introduzione dei voucher e della dote, viene meno la titolarità pubblica dell’intervento. Perché se è vero che la libera scelta è un valore, è altrettanto vero che, per essere tale, deve essere “accompagnata” e ragionata. Saltare a piè pari presa in carico e corresponsabilità è assurdo anche sul versante economico: gli interventi riparativi costano sempre di più». Quella che occorre, insomma, è un’inversione di tendenza. «Se noi pensiamo alle politiche sociali come a un semplice costo – dice ancora Marelli –, allora è evidente che l’unica soluzione, soprattutto in tempi di crisi, è tagliare e contenere la spesa. Noi partiamo dal presupposto contrario, nella convinzione che l’Italia può crescere solo se cresce l’entità e la qualità del welfare. Riducendo le politiche sociali a costo, a elemosina, ad assistenzialismo, si nega il diritto. Perché l’assistenzialismo si basa sulla discrezionalità di chi assiste: ti garantisco quanto posso e finché posso a patto che curi chi voglio io e con questi metodi. Non è la strada da percorrere: o si decide insieme con la compartecipazione o non esiste via d’uscita. Perché il sociale è motore di sviluppo e crescita. La povertà minorile in italia è tra le più alte in Europa: combatterla potrebbe diventare una misura economica fondamentale. Comuni e Anci si stanno muovendo bene, ma la loro voce resta inascoltata». L’importate, dunque è non confondere l’elemosina con il diritto di cittadinanza. «La mancata definizione dei livelli essenziali di assistenza – conclude Marelli – permette impunemente che questo avvenga. Se nulla è garantito, ognuno fa quello che vuole. Su questo punto si deve giocare la battaglia da parte della società civile e del terzo settore, che devono essere in grado di fare rete su questi temi, nella convinzione che sono una priorità per il paese». luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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In coda! La città in attesa Viaggio tra i serpentoni che ogni giorno si snodano a Milano. Viaggiatori, golosi, poveri, modaioli: c’è un tempo per aspettare di Simona Brambilla foto di Giulia Rocca

File per tutti i gusti In queste pagine, in senso orario: coda per le partenze alla Stazione Centrale, coda fuori dalla mensa dei poveri, code per le mostre a Palazzo Reale. Pagina successiva, dall’alto in basso: Milano in coda lungo i Navigli, per i saldi, in gelateria

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Una grande città del nord Italia: Milano. Tanta gente, tante storie, tante realtà: persone di diverso livello sociale, di età, gusti, bisogni, interessi, origini etniche differenti. Poi tutti finiscono accomunati: prima o poi si sta in attesa. Volontariamente, oppure costretti dalle circostanze, si aspetta, ci si mette in fila con pazienza, si attende il proprio turno. Lo si fa per mangiare, quando l’unico pasto disponibile è offerto dalle mense cosiddette “dei poveri”. E allora già di buon mattino, donne e uomini, di varie età, da soli o in compagnia, si prenotano un posto per il pranzo, attendendo con pazienza e dignità. Giovani immigrati, ma anche padri separati italiani, disoccupati o donne sole senza dimora, la cui vita ruota attorno agli appuntamenti e ai luoghi della sopravvivenza quotidiana: mense, appunto, e “conquistare” – l’oggetto dei propri sopoi docce, dormitori, centri d’ascolto. gni, soprattutto nel periodo dei saldi. I Sempre in attesa del proprio turno. E di bisogni sono apparentemente diversi, una svolta. Che tarda a non legati all’indigenza materiale, ma manifestarsi. forse a qualche vuoto interiore da riemMa in coda c’è anche pire con gesti di acquisto impersonale. una Milano agli antipodi: È anonimo anche nascondersi e quella di chi si fa attrarre quasi scomparire in una folla il sabato dal luccichio della moda sera, in piena movida lungo il Naviglio. di massa, ansioso di È la “Milano da bere”, fatta non solo di ostentare una falsa ricdiscoteche e pub, ma anche di tanta chezza. Sono tutti coloro, gente che si riversa sulle strade, in cerspecialmente giovani e ca forse del calore e della vicinanza di giovanissimi, che restano altre persone, anche sconosciuti. ore in fila per lo shopping, Code e attese sono uno dei volti – pur di acquistare – meglio, paradossale, ma concretissimo – della


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GLI ATTI DI VANDALISMO SONO AGGRESSIONI, E TU SEI LA VITTIMA.

IL VANDALISMO SUI TRENI CI COSTA OGNI ANNO 12 MILIONI DI EURO

NON RESTIAMO A GUARDARE INFO E SEGNALAZIONI NUMERO VERDE 800.500.005 WWW.TRENORD.IT


scarpmilano

solitudine esistenziale che imperversa in una grande città: spesso file anonime si srotolano come “non luoghi” che danno l’illusione di poter vincere la solitudine, almeno per il periodo di un’attesa, che spesso si ripete sempre uguale a se stessa. Invece quando Milano si svuota, nella stagione estiva e nei periodi di festa, aumentano le code per partire, come alla stazione, ma anche quelle dei turisti, in fila davanti a musei, teatri e gelaterie. Volti nuovi popolano strade e piazze durante l’estate, persone che cercano di cogliere il meglio di una città che è anche fatta di arte, cultura e cibo. Una città che sa suscitare interessi, passioni, momenti di leggerezza e dolcezza, per i quali vale la pena fare un po’ di attesa. Questi aspetti diversi e contrastanti di Milano, sono visti con gli occhi di una giovane fotografa ipo-udente. Giulia Rocca, appassionata di arti visive, cinema e fotografia, a partire da una disabilità ha trovato le forme più appropriate per esprimere il suo ricco mondo interiore. Certamente osservare la realtà che la circonda, e raccontarla attraverso immagini, rappresenta per lei un canale privilegiato di comunicazione. Quello di Giulia è uno sguardo particolare, capace di cogliere con attenzione tutto quello che spesso noi lasciamo sciogliere nell’indifferenza di una quotidianità frettolosa.

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storie di via brambilla Il disagio mentale, la strada. L’approdo in Casa della carità. Ora la svolta

Anni di sigarette scroccate, Pablo sorride e cambia vita di Paolo Riva

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URANTE L'ULTIMA VISITA, PRIMA DI LASCIARE LA CASA DELLA CARITÀ, Pablo ha sorriso quan-

do la psichiatra gli ha chiesto da quanto tempo ormai abitasse in via Brambilla. «Tre mesi – ha risposto –, ma loro mi prendono in giro e dicono cinque anni». I suoi problemi di salute mentale, evidentemente, non gli consentivano di ricordare la data precisa del suo arrivo mentre gli educatori, ai quali si era rivolto, ce l’avevano bene in mente. Era il gennaio 2007, e fino a quel momento Pablo aveva abitato stabilmente in piazza Argentina, a Milano, su corso Buenos Aires, pochi passi da piazzale Loreto. Era un homeless classico, sempre vestito di nero, ormai avvezzo alla vita di strada. Da un lato, in quello che era diventato pian piano il suo quartiere, era riuscito a stabilire una rete di relazioni con i suoi “vicini di casa”; dall’altro però faceva fatica a farsi aiutare dai servizi sociali. La Casa della carità entrò in contatto con lui grazie all’unità di strada serale “Diogene”. Dopo averlo conosciuto, gli operatori del progetto, pensato proprio per senza dimora con disturbi psichiatrici, in collaborazione con Novo Millennio, Caritas Ambrosiana e le aziende ospedaliere San Gerardo di Monza e Niguarda Ca’ Granda, decisero che la Casa potesse essere una buona soluzione, dopo un ricovero proprio a Niguarda. Così Pablo ha preso posto nella prima stanza dell’accoglienza maschile, quella subito accanto all’ufficio degli educatori. E ci è rimasto per cinque anni. Anche se non parlava molto, gli altri ospiti, i volontari e gli operatori hanno instaurato un buon rapporto con lui e con il suo modo – spudorato, ma irresistibile – di farsi offrire sigarette. Tante, ma tutte ricambiate da un ampio sorriso un po' ruffiano e da un grazie pronunciato con l’inconfondibile accento portoghese. Pablo, infatti, diceva di venire dal Brasile, ma a dimostrarlo non c’era nessun documento. Solo la sua parola, secondo la quale, tra l’altro, avrebbe avuto 18 anni, quando in realtà era chiaro a tutti che ne aveva almeno il doppio. Insieme agli educatori e all’area diritti della Casa della carità è così cominciato un paziente lavoro per ricostruire la sua identità, conclusosi effettivamente al consolato brasiliano di Milano. Una volta scoperti il suo vero cognome e la sua vera età, ci si è poi impegnati per il permesso di soggiorno, la carta di identità e la tessera sanitaria. Passaggi burocratici faticosi, ma tutti portati a termine, mese dopo mese. Nel frattempo, il rapporto di Pablo con le persone della Casa è cresciuto, così come si è mantenuto anche quello con due anziane sorelle che, abitando poco distanti da piazza Argentina, lo avevano conosciuto quando ancora stava in strada e hanno continuato a fargli visita anche in via Brambilla, fino al mese scorso. A metà giugno, infatti, Pablo ha salutato tutti e ha cambiato nuovamente residenza. Ora vive in una comunità riabilitativa a San Colombano al Lambro, più adatta alle sue esigenze e con una maggiore assistenza specifica. E già le due sorelle sue amiche si sono informate per andarlo a trovare.

Sta meglio, identità ricostruita: ora è in una comunità più adatta ai suoi problemi. E le due sorelle già si informano per fargli visita

in collaborazione con

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latitudine como Como si impoverisce. Picco di richieste al dormitorio. E pure di furtarelli...

Ladri di pere e di biciclette, si ruba per sbarcare il lunario... di Salvatore Couchoud

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NA GIOVANE MAMMA COLTA IN FLAGRANTE DAL FRUTTIVENDOLO mentre ruba una con-

fezione di pere per il suo bambino. Un papà che si fa cogliere con le mani nel sacco mentre “preleva” un videogioco destinato al figlio. Un supermercato – la Coop di via Giussani – che tiene sotto chiave lo zafferano, divenuto ormai merce costantemente nel mirino di improbabili clienti dalle mani leste. Che cosa succede a Como, florida città del turismo e del tessile, che ancora nel 2007 contava appena una dozzina di clochard dai volti noti e addirittura popolari, tutti o quasi “estranei al sistema” e forse proprio per questo “integrati”, sia pure a modo loro e non senza difficoltà, nel gioco dei sottili equilibri della realtà urbana? Nelle cronache locali si rincorrono notizie di furtarelli da disperati, di raggiri a danno di anziani, di reati sospesi tra l’emergenza e l’improvvisazione, e che in ogni caso preoccupano – più che le forze dell’ordine – sociologi, psicoterapeuti e operatori del terzo settore. Si va dal furto di rame nei cimiteri al saccheggio delle cassette delle elemosine nelle chiese, per non parlare dell’impennata delle rapine in farmacia – anche con miseri bottini, dell’ordine di poche decine di euro – e dei furti di biciclette, sullo sfondo di una Como che si popola ogni giorno di più di senza dimora, di padri e madri di famiglia che chiedono l’elemosina di fronte alle chiese e sotto i porticati (vincendo a fatica la vergogna dell’essere riconosciuti), di giovani disposti ad accettare qualsiasi lavoro pur di rimediare non più di qualche spicciolo. «La povertà a Como è in forte ascesa da almeno tre anni – afferma il direttore della Caritas diocesana, Roberto Bernasconi –, ma a preoccupare di più è la totale assenza di prospettive di uscita da questa realtà. E i segnali che provengono dal mondo produttivo sono a dir poco allarmanti, visto che l’ex Falck (ora Cagiva) di Dongo, la Sisme di Olgiate e la Pontelambro stanno chiudendo i battenti, e che alcune realtà della bassa Valtellina sono più in crisi che mai. Ci sarà pure un motivo se le richieste di accesso al dormitorio comunale sono più che raddoppiate nel corso dell’ultimo semestre, e se la fila di coloro che si recano alle mense della Caritas si allunga a un ritmo impressionante, minacciando di far andare in corto circuito il sistema. E si tratta di un’aggiunta tutta italiana delle presenze, come quasi tutti italiani sono i disperati coinvolti negli episodi di microcriminalità». Difficile indicare strade per arginare il fenomeno, anche perché quando si giunge a rischiare la galera per sbarcare il lunario vuol dire che si è prossimi al punto di non-ritorno. «Ma la crisi ha anche un risvolto positivo, nello specifico il netto incremento dei cammini di solidarietà – conclude Barnasconi –. Non aumentano solo i fatti di cronaca nera o forse grigia, ma anche la generosità, la collaborazione reciproca, la consapevolezza che insieme si vince».

«La povertà è in forte ascesa da oltre tre anni – dice il direttore di Caritas –, il problema è che non si scorgono vie d’uscita»

Via Giovio 42 Como tel. 340/3476581

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torino Da due anni “La Casa del quartiere” è diventata un punto di riferimento per abitanti e associazioni. E senza dimora...

San Salvario si incontra in Casa di Aghios e Gianni

Amore Amo mia figlia con le lacrime, ricordo il suo sguardo, il suo viso come fosse il paradiso. L’amore verso la moglie è svanito in un attimo. Consapevole di un sogno che per ora è svanito, mia figlia, mia moglie, speranza che tutto non sia perduto. Massimiliano Giaconella

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In via Morgari 14, a Torino, nel bel mezzo del quartiere multietnico di San Salvario, nel settembre 2010 nasceva “La Casa del Quartiere”. Una struttura (foto a destra) dotata di spazi all’aperto e al chiuso che permettono di svolgere attività culturali e sociali: convegni, dibattiti, proiezioni, balli, corsi e mostre. Di fatto, “La Casa del Quartiere” è un contenitore in grado di accogliere e mettere in rete le diverse associazioni che animano San Salvario. Sono più di 50 i gruppi e le associazioni che, con varia frequenza, “usano” la Casa per le loro attività. «La nostra “Casa” – racconta il direttore, Roberto Arnaudo – è nata in seguito alla necessità, da parte delle associazioni che facevano parte dell’Agenzia per lo sviluppo di San Salvario, di reperire spazi adatti per svolgere le proprie attività. Grazie al contributo della Fondazione Vodafone e del comune di Torino, soeccoci qua... Tanta strada è stata fatta no stati ristrutturati gli ex bagni pubin questi due anni, ma resta ancora blici che sorgevano in via Morgari. Ed tanto lavoro da fare»

All’inizio fu l’Agenzia per lo sviluppo locale «Nata con soldi pubblici, cammina da sola» La Casa del Quartiere è diretta emanazione dell’Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario. «Quando San Salvario diventa oggetto di flussi migratori per individui perlopiù maschi, poveri e soli – spiega il direttore della Casa, Giovanni Arnaudo – il quartiere, che offre alloggi a prezzi bassi, si trasforma rapidamente in area “difficile” per la sua multietnicità. Per questa ragione nasce nel 1999 l’idea del progetto, e nel 2003 si forma l’Agenzia, organizzazione non profit con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita in tutti i suoi aspetti: vi aderiscono una ventina tra associazioni ed enti (parrocchie, comitati spontanei, associazioni di promozione sociale come “Opportunanda”, associazioni culturali come il “Caffè Baretti”). Nasce un tavolo per discutere in maniera democratica progetti e iniziative a livello locale». L’agenzia si occupa di riqualificare lo spazio pubblico e privato, rilanciare San Salvario come quartiere dei giovani, incentivare lo sviluppo economico e commerciale (insediamento di nuove imprese e riqualificazione di attività commerciali e artigiane rare ed etniche), promuovere lo sviluppo sociale. E infine si impegna nella valorizzazione delle vocazioni culturali del quartiere. «Tra i principali interventi di miglioramento nel quartiere – conclude Arnaudo – mi piace ricordare i piani di recupero di immobili di Via Nizza, per la ristrutturazione dei luoghi comuni, i contributi economici a chi apriva attività commerciali da via Nizza a corso Marconi e, in ambito culturale, le iniziative in strada, i festival e la nascita della Casa del Quartiere, sorta dalla ristrutturazione degli ex bagni pubblici di via Morgari. Quando è nata l’Agenzia era il comune che finanziava, ora non più. Per il 70% si autofinanzia, per il resto i tipi di finanziamento variano a seconda dei progetti». Valentina e Gheorghe Mateciuc


scarptorino Lo spettacolo

“Orazio”, viaggio nella follia «C’è umanità dietro la fragilità»

Come siete organizzati? Poco per volta siamo cresciuti, strutturandoci in base alle esigenze del quartiere. Oggi possiamo contare su tre dipendenti part time, che si occupano di organizzazione e logistica e che occupano un ufficio al primo piano. Si tratta dell’unico spazio con un uso esclusivo: tutti gli altri vengono utilizzati alternativamente dalle associazioni in base alle proprie necessità. Il bar, aperto tutti i giorni dalle 9 alle 24, compresi sabato e domenica, è stato dato in gestione a una cooperativa sociale, che si preoccupa di servire il pranzo e gli aperitivi serali. Per aprire il luogo il più possibile al quartiere, dentro la Casa si organizzano anche feste di compleanno e di comunità. Gli appuntamenti con gruppi filippini, marocchini, ecuadoregni e senegalesi stanno ormai diventando una costante. Quante persone frequentano la Casa del Quartiere? L’accesso è libero e la Casa è frequentata da tutti. Le persone che frequentano regolarmente i corsi sono alcune centinaia, ma durante le iniziative più popolari i partecipanti si contano a migliaia. Sono tante le giovani famiglie che trovano nella Casa del Quartiere un posto ideale e acogliente per trascorrere giornate e serate in compagnia dei propri bambini. La Casa del Quartiere è frequentata anche da persone senza dimora... La nostra intenzione è tenere aperte le porte a tutti, senza discriminare nessuno. Quello che cerchiamo di fare è salvaguardare, per quanto possibile, l’accessibilità. Resta il fatto che siamo un’associazione che gestisce spazi e

Orazio, spettacolo di e con Luca Vonella (Teatro a Canone) è la testimonianza di un viaggio nella psichiatria, nel disagio mentale e nei sentimenti, raccolta dalla viva voce di coloro che certe storie le hanno vissute da protagonisti. Luca Vonella ci ha parlato del suo modo di fare un teatro diverso dal solito, in quanto itinerante, una sorta di viaggio attraverso un mondo che al contempo spaventa e affascina: il mondo della “follia”. Per realizzare la sua performance, Luca ha scelto la strada del confronto diretto, arrivando a vivere per 45 giorni in una comunità per disabili psichici. Come sei entrato in contatto col mondo del disagio psichico? Mi ha sempre interessato questo mondo a sé, con le fragilità e i vissuti che lo delimitano e lo caratterizzano. Volevo esplorarlo, raccogliere storie e sensazioni di persone che hanno la voglia di raccontarsi. Per fare questo hai scelto la strada della convivenza. Come è stato il primo impatto? Agli inizi percepivo diffidenza nei miei confronti, al contempo temevo di rompere il loro equilibrio, per altro già fragile. Con il passare dei giorni, superata la diffidenza iniziale, sono stato accettato. Aggiungerei che, alla fine dell’esperienza, con alcuni di loro sono nate delle amicizie. Come si sono rapportate con te queste persone? Inizialmente sentivo la loro paura di essere giudicate, mi hanno spinto ad abbassare le mie difese, a mettermi in discussione; dopo cena parlavo con loro, vita e lavoro si mescolavano. Ne ero affascinato. I manicomi sono cosa del passato: perché tenere viva la memoria? Sarebbe ovvio rispondere che certi orrori non devono andare dimenticati, perché non si ripetano in futuro. Riguardo ai manicomi, provo una strana sensazione: non riesco a immaginarmi come erano; non ne ho visto, fortunatamente, uno in esercizio. Oggi i centri psichiatrici sono belli, addirittura attraenti con parchi enormi, alberi immensi. Eppure quando erano manicomi certo sono stati teatro di orrori, ma anche di momenti di grande umanità. Ricordo una storia raccontata da un ex infermiera: a una ricoverata nacque un bambino che non vide mai più perché le fu tolto. La cosa bella di quell’evento fu che il momento di gioia della nascita venne condiviso da tutte le persone all’epoca presenti. Perché la scelta del teatro itinerante? Non mi ci sono avvicinato per passione; per me il teatro è un viaggio e uno strumento per confrontarsi con nuove diversità, nuovi vissuti. Per perfezionarmi faccio formazione con altri attori attraverso spettacoli universitari, nei licei e con persone soggette ad handicap. In futuro ho in programma spettacoli sui No Tav, Occupy Wall Street, su storie legate al sociale e sul capolarato. INFO www.teatroacanone.it Mister X e Nemesi

non abbiamo strumenti per mettere in atto interventi sociali. Quindi quando la situazione diventa difficoltosa a causa di presenze eccessive o comportamenti sopra le righe siamo costretti ad intervenire per consentire l’uso della struttura a tutti. Il quartiere come ha accolto una

struttura come la vostra? Molto bene, anche perchè si sentiva la necessità di uno spazio pubblico con servizi e attività per le persone. Da parte nostra ci siamo impegnati a trattare tutti allo stesso modo, senza privilegiare sigle più importanti rispetto ad altre. E questo lavoro sta dando frutti.

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genova Crisi nella Riviera di Ponente. Una via d’uscita c’è: ridare valore ai piccoli produttori locali, contro le storture del mercato globale

Fiori “tracciabili”, profumo di diritti di Paola Malaspina Avventurandosi da Genova verso la Riviera di Ponente, lungo le tortuose curve della via Aurelia, si apre alla vista, nei pressi di Sanremo, un panorama inconsueto e ricco di suggestione: una piccola città incuneata nel golfo, e alle sue spalle le colline digradanti sul mare, coperte di vegetazione tropicale. Palme, cactus e cespugli fitti di fiori si succedono tra serre e grandi cisterne d’acqua sui particolari terreni in pendenza (in lingua locale, “fasce”), che il lavoro paziente dei coltivatori ha reso negli anni più produttivi di sterminate pianure. Siamo proprio nel cuore del mondo floro-vivaistico, nel luogo che, per eccellenza, ospita la miglior produzione di fiori e piante. «Eppure – spiega Cristiano Calvi, presidente del movimento “Fiori e diritti” – lo scenario nel tempo è molto cambiato. Anche se noi liguri, e non solo noi, fatichiamo a capirlo». Cristiano segue da diversi anni il progetto di “Fiori di diritti”, un’idea nata all’interno di Bottega Solidale, per promuovere la cultura della sostenibilità, sociale e ambientale, nel consumo di fiori e piante. In un attimo

Attimo

Un primato in discussione La produzione floricola di Sanremo ha mantenuto una sorta di monopolio sui mercati europei (Gran Bretagna, Norvegia, persino Finlandia e Turchia) praticamente dagli anni Trenta sino agli anni Sessanta, anche grazie allo sviluppo delle reti di trasporto e dell’economia in generale. Nei decenni successivi, i primi fenomeni di delocalizzazione produttiva hanno portato un aumento della concorrenza, con un progressivo rafforzamento del ruolo dell’Olanda, sino a che, negli anni Novanta, con la globalizzazione dei mercati e delle merci, hanno fatto la loro comparsa i paesi in via di sviluppo (Kenya, Etiopia, Zambia, Uganda), ma anche paesi come Israele e, in America Latina, Ecuador e Colombia. Queste realtà, caratterizzate da condizioni climatiche favorevoli e, soprattutto, da un bassissimo costo della manodopera, in poco tempo sono riuscite a raggiungere e a superare le posizioni dei concorrenti europei, eroden-

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la tempesta, in un attimo la quiete. Attimo con te, attimi con me. In un attimo, il mio per te, palpiti, in un attimo per tutto il tempo, per questo nostro amore. Franck

done evidenti quote di mercato. In questo scenario, le produzioni della nostra Riviera, riconducibili per lo più a imprese di grandi tradizioni e conoscenze, ma di piccolissime dimensioni, rischiano di restare schiacciate; a loro svantaggio, infatti, gioca anche la crisi globale, con l’impennata dei costi del gasolio, indispensabile per il funzionamento delle serre.

Una perdita per tutti «Uno scenario del genere sembra configurare una perdita collettiva, un danno per tutti – commenta Calvi –. Ci perde, innanzitutto, il sistema di produzione locale della Riviera di Ponente: sempre più serre e vivai sono costretti a chiudere i battenti. Nella maggior parte dei ca-


scarpgenova si il terreno, pazientemente coltivato per anni, viene riconvertito ad area edificabile e utilizzato come superficie per costruire nuovi palazzi. Al valore agricolo si sostituisce quello immobiliare, di più facile e immediato realizzo, specie in tempi di crisi». La perdita che ne consegue non è da poco, dal punto di vista ambientale e non solo: si genera una crisi dell’occupazione locale, sia per il lavoro dipendente che per la piccola imprenditoria a carattere familiare, storicamente protagonista della produzione floristica della Riviera. «Ma il danno non è solo tra le mura di casa nostra – aggiunge Calvi –. I grandi numeri dei concorrenti d’Africa e d’America devono indurci a riflettere, perché in questi paesi il costo della manodopera può essere anche quindici volte inferiore a quello dei paesi europei, a fronte di un costo sociale e ambientale esorbitante». La produzione di fiori in paesi del Sud del mondo, infatti, ha spesso gravi implicazioni ambientali e socioeconomiche: è causa di danni ecologici irreparabili, soprattutto per quanto riguarda l’uso dei pesticidi e la contaminazione dell’acqua, nei numerosi passaggi chimici (anche fino a 80!) dal trattamento sul suolo sino all’impacchettamento del fiore. A questo va aggiunto l’enorme consumo di acqua per irriga-

Mercato miliardario Il Kenya è leader In Italia esistono circa 20 mila operatori nel settore della produzione floro-vivaistica. Di questi, circa 6 mila si trovano nel distretto della Riviera di Ponente. L’Italia non è solo produttrice di fiori, ma anche importatrice. Oltre 13 mila tonnellate di fiori arrivano dall’estero, per un valore di circa 72 milioni di euro all’anno, principalmente da Kenya, Ecuador, Colombia, anche se spesso sono prima transitati in Olanda. Il consumo di fiori recisi nell’Ue è stimato intorno ai 13 miliardi di euro annui. I più importanti mercati: Germania, Regno Unito, Francia e Italia. Il consumo pro capite nei mercati più importati è intorno ai 30-50 euro l’anno. Nel mondo, 550 mila ettari di terreno sono destinati alle produzioni di piante e fiori, per un valore che raggiunge quasi 25 miliardi di euro e coinvolge circa 160 mila aziende. Il paese leader per produzione ed esportazione è il Kenya: nel 2010 ha esportato fiori per 254 milioni di dollari, corrispondenti a 77.029 tonnellate di fiori recisi, di cui 1.424 tonnellate sono rose.. Bisogno di tutela e qualità Lavoratrice in una serra del Kenya. La campagna “Fiori e diritti” intende sensibilizzare i consumatori sui problemi ambientali e la violazione dei diritti umani che avviene nelle serre di tanti paesi del mondo

zione, con cui si sottraggono risorse idriche alle popolazioni locali in territori talvolta tendenzialmente aridi. Sul versante della tutela del lavoro le cose non vanno meglio: i lavoratori delle serre, in larga misura donne e bambini, lavorano in condizioni di sostanziale schiavitù sino a 80 ore alla settimana. Molteplici sono i casi di molestie sessuali e licenziamenti arbitrari a danno dei lavoratori e risulta esclusa qualunque forma di tutela, dall’assistenza sanitaria alla libertà di aderire a un sindacato. «Noi crediamo – spiega Calvi – che

uno sviluppo con un impatto del genere non può proseguire indisturbato. Proprio su questo il movimento “Fiori e diritti” vuole intervenire. Il nostro primo impegno è diffondere la conoscenza di queste realtà tra i consumatori. Come per il mercato del cacao o del caffè, in cui si è andata sviluppando negli anni una coscienza critica di consumo, così noi vorremmo fare per i fiori».

Uno strumento: la certificazione Le iniziative, in questo senso, non mancano, perché “Fiori e diritti” è già da tempo operante con progetti di sensibilizzazione e informazione. Oltre a campagne mirate in vista di festività (San Valentino e la Festa della mamma), “Fiori e diritti” ha avviato un laboratorio dal titolo “Fiori di cotone”, una sorta di incontro in cui l’attività manuale (si realizzano fiori con stoffe e materiali di recupero) diventa occasione per informarsi e confrontarsi sul tema. «Il nostro intento non è certo disincentivare il consumo di fiori, specie in un momento di crisi come l’attuale – spiega Calvi –; piuttosto, intendiamo sensibilizzare il consumatore e proporgli di provare a informarsi sulla provenienza dei propri acquisti. L’unica risposta all’attuale crisi locale del settore è valorizzare i produttori attenti all’impatto del loro lavoro, premiandoli con una certificazione socio-ambientale ad hoc, che dia conto della tracciabilità della filiera. I consumatori ormai hanno una coscienza critica e sapranno premiare con le loro scelte gli operatori virtuosi. Ma perché questo sia possibile, occorre che tutti, a partire dalle associazioni di categoria, siano motivati ad agire in questa direzione, anziché puntare sulle delocalizzazioni». La direzione di marcia proposta da Cristiano Calvi è difficile, ma già tracciata: «Esistono produzioni storiche, altamente specializzate, nelle quali i floricoltori della Riviera non hanno mai cessato di primeggiare. Basta pensare al ranuncolo di Sanremo, così come alla ginestra, al ruscus o alla mimosa». In tutte queste piante, coltivate da più di cent’anni, esistono ancora competenze, storie di cose e di persone di raccontare. È giusto che anche i consumatori possano venire a conoscerle. È una strada difficile ma appare, ormai, come l’unica percorribile

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Proprogato di sei mesi il permesso di soggiorno per i tunisini. Ma resta il problema dell’inserimento lavorativo e sociale

Kalid il parrucchiere uno (integrato) su 471 di Mirco Mazzoli La tanto agognata proroga è finalmente arrivata. I permessi di soggiorno umanitari rilasciati ai nordafricani – soprattutto tunisini – sbarcati lo scorso anno in Italia sull’onda delle Primavere arabe dureranno altri sei mesi. Il 21 maggio, infatti, il presidente del consiglio, Mario Monti, ha firmato il decreto che, di fatto, salverà dall’irregolarità chi, e sono tanti, non è riuscito ancora a trovare un lavoro in grado di consentirgli di riconvertire il permesso per motivi umanitari in permesso di lavoro. Secondo il governo, la proroga può “rafforzare il processo di graduale inserimento” dei migranti nel tessuto sociale ed economico del paese. Ma dà anche il tempo di avviare, “per quanti di loro siano interessati, programmi per il rientro volontario nei paesi di origine o provenienza”. Kalid è in Italia dall’aprile 2011, è uno dei tanti che hanno lasciato la Tunisia in seguito alla cosiddetta Primavera araba. A Genova è stato ospite di un centro di accoglienza, poi ha trovato lavoro presso un parrucchiere del centro storico e si è potuto permettere una sistemazione in affitto, dove ha preso la residenza. “Lavoro più residenza” significa la possibilità di trasformare il permesso di soggiorno per motivi umanitari in permesso di soggiorno per lavoro: insomma, stabilirsi e darsi un futuro. Ma Kalid è davvero il classico “uno su mille”. Anzi, 1 su 471. Perché tanti sono i tunisini rimasti nel territorio italiano (38 in Liguria) arrivati nell’aprile 2011 come Kalid ma che, diversamente da lui, non sono riusciti a inserirsi e sono prossimi all’irregolarità, dopo che saranno usciti dalle strutture che li ospitano per richiesta della Protezione civile, a cui era stata affidata l’emergenza. Quando i tunisini sbarcarono a Lampedusa, all’inizio del 2011, l’Italia concesse loro un permesso di soggiorno per motivi umanitari: sei mesi, rinnovati poi con altri sei, per ottenere residenza e lavoro. Il loro futuro italiano è dunque a una svolta. Le strutture di accoglienza, in grande maggioranza enti del terzo settore, criticano il modo in cui

questi tunisini sono stati trattati e contestano un iter burocratico che difficilmente avrebbe potuto permettere l’integrazione, salvo casi fortunati alla Kalid. Hanno chiesto un confronto con la Protezione civile e stanno studiando come evitare che i tunisini, per lo più giovani o giovanissimi, finiscano nell’irregolarità e, facilmente, nei circuiti della criminalità.

Si rema contro corrente «Per come era partito – commenta Paolo Parodi, presidente del Consorzio Communitas, promosso da organizzazioni che aderiscono o collaborano con il Coordinamento nazionale immigrazione di Caritas Italiana – il sistema di accoglienza di questi tunisini non prevedeva percorsi di integrazione e soltanto in un secondo tempo si è creato un processo di analisi di queste situazioni. Ancora oggi il sistema di accoglienza impostato dalla Protezione civile manca di buone prassi, regole e modelli di riferimento che invece sono presenti nello Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati). In sintesi, la scelta finale è stata demandare la modalità di integrazione al singolo ente accreditato, senza preoccuparsi di creare intorno condizioni di supporto: ad

Communitas, rete che integra Il Consorzio Communitas onlus è promosso da organizzazioni che aderiscono o collaborano con il Coordinamento nazionale immigrazione e l’Ufficio immigrazione di Caritas Italiana. Nato nel 2009, ha lo scopo di sostenere la collaborazione, tra gli enti aderenti, nello studio dei movimenti migratori, ma anche nell’accompagnamento e nell’assistenza al percorso di soggiorno e integrazione dei migranti, in particolare dei richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. Communitas ha avviato, tra l’altro, un “Servizio in rete di assistenza legale” in materia di immigrazione e asilo, che include attività di formazione, informazione e consulenza legale per operatori di strutture di ascolto e accoglienza.

esempio alcuni enti, tra cui la Caritas, hanno cercato di adottare le procedure ordinarie in vigore per lo Sprar, senza però poter chiedere alle istituzioni una risposta alle esigenze minime, prima fra tutte la residenza». Insomma, un remare da soli e contro corrente. La situazione nazionale di certo non aiuta a puntare un faro sul destino di questa gente: 471 sembra un numero gestibile, su cui non costerebbe molto investire, ma in un’Italia alle prese con un complicato presente, è anche un numero residuale, un po’ scomodo, facilmente rimovibile. Speriamo che la proroga aiuti a superare l’empasse.

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vicenza Da un campo di lavoro all’impegno permanente contro la cultura e la presenza delle mafie: è la scelta di Alessandro

«Legami forti, così si vince la mafia» di Cristina Salviati La scorsa estate un gruppo di giovani, su invito della Caritas diocesana vicentina, ha partecipato al campo “I cento passi”, soggiorno di lavoro a Cascina Caccia, nei pressi di Torino, un bene confiscato alla criminalità organizzata, dove l’associazione Acmos lavora per restituire parte di quello che ogni giorno la mafia toglie a tutta la società. Del gruppo faceva parte anche Alessandro Scaggion, che da quell’esperienza è tornato cambiato, in profondità: oggi partecipa al coordinamento giovani della Caritas e si è iscritto a Libera, sezione di Vicenza. A fine agosto, Alessandro tornerà a Cascina Caccia, stavolta come accompagnatore, e in redazione, a Scarp, abbiamo cercato di capire le ragioni profonde del suo impegno. «Il mio percorso personale – racconta Alessandro – mi ha portato, fino a un paio di anni fa, a trascurare il mio ruolo di cittadino. Mi inforio a dover fare una scelta: sapere e fare mavo, leggevo molto, ma mi mancava finta di niente, o rimboccarsi le manila voglia di spendermi in prima persoche? Intanto ho slacciato i polsini delna e la consapevolezza che solo dalla camicia». l’impegno del singolo la società trae la Cosa significa per te preparare il spinta a uno sviluppo nella giustizia. campo a Cascina Caccia? Mi sono trovato a chiedermi: che tracQuesto tipo di esperienze non sono un cia vuoi lasciare nella vita delle altre servizio di volontariato. Quello che mi persone, soprattutto di quel famoso guida è la volontà di far crescere intor“prossimo” che non conosci? Ho cono a me la consapevolezza dei mezzi minciato ad avvicinare alcune realtà che ogni persona ha per cambiare per capire; poi è capitata questa possil’ambiente e la società in cui vive. Non bilità: un campo di volontariato in cui mi sento di aiutare qualcuno in partisi faceva anche formazione. Era la mia colare o di rispondere a un bisogno occasione, con mia moglie l’abbiamo non soddisfatto. Lo faccio perché vorcolta al volo». rei contribuire alla costruzione di un Da lì è cominciata la scoperta di alposto più accogliente dove vivere. Socune storie: di ragazzi che sono divenno entrato a far parte della Commistati amici, di cittadini esemplari che sione giovani, percorsi di condivisione qualcuno si ostina a chiamare eroi. e stili di vita di Caritas. Tentando di «Approfondire la conoscenza delle stopartecipare il più possibile alle iniziarie di chi ha dato la vita per il nostro tive ideate: tra queste rientra il campo paese mi ha fatto piangere – prosegue di agosto, che quest’anno abbiamo Alessandro – : perché alla fine è solo chiamato “Tu da che parte stai”. Ho questione di scelte. Si sceglie di sciopartecipato come educatore a un viaggliere nell’acido un bimbo solo perché gio a Palermo con studenti di alcune è il figlio di un clan rivale, si sceglie di scuole superiori di Vicenza e dell’Alto trucidare un giudice con il tritolo solo Vicentino attraverso un percorso di leperché fa il suo mestiere, si sceglie di galità. Un’esperienza unica, forte, non piegarsi al pizzo perché “Un’intera emozionante, grazie ai luoghi che abcittà che paga il pizzo è una città senza biamo visitato e soprattutto grazie al dignità”. Allora mi sono trovato anche gruppo di persone con cui ho potuto

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condividere l’esperienza. Con alcuni amici stiamo cominciando a proporre delle iniziative di “cittadinanza attiva”, per una costituenda associazione a Pojana Maggiore, dove abito. Riguardo al problema della mafia in Italia, quali sono le tue speranze, le tue aspettative? Parlare di mafia in Italia sembra una barzelletta. Una di quelle che sanno tutti e non fanno più ridere, così quando la si sente non la si ascolta, anzi si tende a mettere da parte chi ancora la racconta. Credo che il primo problema che dovremmo affrontare riguardo alle organizzazioni criminali sia quello di diffondere la consapevolezza che è un tema che tocca chiunque e che non c’è più un singolo angolo del Belpaese che


scarpvicenza si possa dire mafia-esente. D’altro canto ci sono esperienze magnifiche che sono nate dopo il 1992 in tutta Italia. Parlo di Libera in tutte le sue molteplici forme e connotazioni, ma soprattutto di progetti come Addiopizzo, nato a Palermo e che si sta diffondendo in altre città e regioni. Credo che a vent’anni dalle stragi che hanno segnato uno spartiacque nella risposta della gente alla mafia, abbiamo una grande occasione per riprendere in mano il tema a livello personale e come società nel suo complesso. E tu, hai obiettivi concreti? Ho imparato ad amare il rapporto con i miei coetanei e con i ragazzi più giovani, quindi vorrei tentare di sviluppare percorsi di legalità più incisivi e attuali. Nei nostri territori il problema delle organizzazioni mafiose è legato soprattutto alla sfera imprenditoriale, nel ramo immobiliare in particolare, oltre al traffico di stupefacenti. Mi piacerebbe creare sinergie con le associazioni imprenditoriali per fare in modo che siano loro i primi a capire che non si guadagna facendo affari con la criminalità organizzata. Nel paese del torinese dove abitava la famiglia di mafiosi a cui sono stati confiscati i beni, la gente era più che affezionata a loro e li rimpiange. Sono persone che fanno paura, ma hanno fascino e sono amate. Come Cittadinanza attiva Alessandro Scaggion, in mezzo con il piccone in mano, al lavoro durante il campo di lavoro “I Cento passi” a Cascina Caccia

Luca Bassanese musica Scarp: «Storie e canzoni che commuovono» Per la seconda volta il cantautore vicentino Luca Bassanese ha dedicato un concerto a Scarp de’ Tenis. Nella verde cornice di Madonna dei Prati, a Brendola, Luca ha saputo entusiasmare e commuovere il pubblico animando storie vicentine alternate ad altre internazionali di homeless, tratte dal nostro mensile. Ogni storia era accompagnata da una canzone. Il reading si è tenuto il 14 giugno per un pubblico tutto speciale. Scarp, infatti, comincerà a vendere anche a Brendola, complici i volontari della Caritas che hanno richiesto aiuto per E., papà ghanese in grave difficoltà economica, perché si trova a dover crescere da solo tre figlioletti, tutti affetti da autismo. La comunità del luogo si è stretta intorno ai volontari e il progetto è partito a giugno, con E. protagonista come venditore. Con Luca Bassanese si è rinnovata una bella collaborazione, che forse, grazie alla sensibilità del giovane cantautore, produrrà nuovi interessanti appuntamenti.

si combatte contro tutto questo? La mafia è forte dove manca lo stato, cioè dove mancano servizi, sicurezza, quindi diritti. In una società improntata all’individualismo come la nostra manca quella rete di legami che permette di sopperire a certe mancanze, di curare la solitudine, e credo che i collaboratori di Scarp siano i primi a poterlo testimoniare. Quindi direi che costruire una società dai legami forti, in cui si riconosca nell’altro quel prossimo a cui regalare tempo e attenzione, nel rispetto dei diritti di tutti, sia la prima forma di antimafia sociale. Nessuna mafia può controllare un territorio se non gode della benevolenza dei cittadini, per questo le organizzazioni cercano di formarsi un cordone di approvazione tentando di stare “vicino” alla gente comune.

E spesso ci riescono... Certo. Ma c’è una differenza fondamentale tra il comportamento delle organizzazioni criminali e quello di una società sana: la società deve garantire che ogni cittadino possa essere il più libero possibile, mentre le organizzazioni dispensano come favori quelli che sono diritti, creando un circolo di sudditanza e omertà. In quel paesino il capostipite della famiglia Belfiore distribuiva formaggi e latte in cambio dell’assenso silenzioso del borgo. D’altra parte è stato tra i mandanti dell’omicidio del giudice Bruno Caccia e gestiva con la ‘ndrina dei Belfiore lo spaccio di stupefacenti. Ma allora è auspicabile avere del formaggio fresco tutti i giorni, se il prezzo sono il silenzio e la consapevolezza di vivere in un paese “a legalità limitata”?

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rimini Nel 2011, nonostante la crisi, più denaro inviato dai migranti nei paesi d’origine. Ma la ragione, in certi casi, non è positiva

Rimesse in crescita, non è tutto oro... di Alessandra Leardini Come è cambiata la vita dei migranti che vivono in Italia da quando è scoppiata la crisi economica? Cambiano le abitudini? Come resistono i migranti alla crisi? Si scappa dall’Italia? Scappano loro? Scappano i soldi? Come avveniva per gli italiani emigrati all’estero nei decenni passati, anche i nuovi migranti avvertono la necessità di spedire alle proprie famiglie tutto quello che è possibile racimolare dai propri stipendi in terra straniera. E, a guardare i dati delle rimesse che ogni anno partono dall’Italia per i paesi d’origine dei lavoratori o imprenditori immigrati, si tratta di una mole di denaro sempre più consistente. Nel 2011, dal Belpaese sono partiti ben 7,4 miliardi di euro, il 12,5% in più rispetto al 2010, lo 0,5% del Pil nazionale. La cifra che mediamente ogni straniero invia, ammonta a oltre 1.600 euro l’anno contro i 1.552 del 2010. I dati, diffusi dalla fonsi sono dovute dividere a causa della cridazione “Leone Moressa” di Mestre, che si. A Rimini è rimasto solo il capofamianalizza i flussi monetari transitati per i glia con un lavoro stabile. Gli altri famicanali di intermediazione regolare (istiliari sono dovuti tornare in patria, altrituti di credito e agenzie di trasferimenmenti rischiavano di diventare un peso to contanti), mostrano quindi un quaeconomico insostenibile». dro positivo e in crescita. Secondo i ricercatori della Fondazione Moressa, l’aumento dei trasferimenti dall’Italia all’estero da parte dei Aumentano le rimesse lavoratori migranti è dovuto anche alMa qual è la situazione per gli immil’avvenuto riconoscimento della rimesgrati della nostra provincia? Dal Rimisa come fattore di co-sviluppo e al connese, sempre nel 2011, sono partiti olseguente calo del costo del servizio di tre 34 milioni di euro, cifra che colloca la money transfert. Ma è proprio così? Proprovincia romagnola nella parte mebabilmente solo in parte. dio-alta della classifica (al 36° posto). Rispetto all’anno precedente, quando dai “riminesi d’adozione” erano stati inIl giro d’affari degli intermediari viati nei paesi d’origine 29 milioni di euUna possibilità per inviare soldi all’estero (il 5% in più del 2009), si tratta di un ro è quella di avvalersi del tradizionale bel salto in avanti, pari al 15,7%. Il paecircuito degli istituti di credito. Tutte le se che nel 2011 ha ricevuto di più è la principali banche propongono prodotRomania (18%), seguita da Senegal ti per l’invio di fondi. Un’altra opzione è (14,8) e Ucraina (8,3). quella delle società specializzate nelPer le rimesse e i lavoratori che le inl’invio di denaro in contante, quali Weviano, dunque, sembra non esserci cristern Union o MoneyGram. «Oggi è Wesi. In realtà, Luciano Marzi, responsabistern Union a primeggiare: se non ha il le del Servizio immigrazione della Carimonopolio, poco ci manca. Se ci fosse tas diocesana, aiuta a leggere i dati anun po’ più di concorrenza sarebbe un che da un’altra angolazione. Assai poco bene per tutti – commenta Massimo felice per le famiglie: «Nell’ultimo anno Spaggiari dell’associazione Arcobaleno – spiega l’operatore – un maggiore nu(www.arcobalenoweb.org, si occupa mero di famiglie, soprattutto rumene, della tutela dei diritti degli immigrati) –.

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Infatti le commissioni previste da questo servizio di money transfer sono circa il 10% della somma inviata all’estero». La commissione applicata da Western Union (120 mila sportelli in quasi 200 paesi in tutto il mondo) aumenta a seconda del trasferimento. Per fare qualche esempio: per somme tra 130 e 195 euro la tariffa da applicare è di 19 euro; tra 195 e 260 euro sale a 22,50; tra 260 e 325 sale a 23,50 e così via fino a raggiungere quota 49,50 se si vogliono inviare tra i 930 e poco più di mille euro. Teoricamente è possibile inviare fino a 12,5 milioni, con una somma che sfiora i 500 euro. I vantaggi, dicono gli operatori al dettaglio che offrono questo servizio per conto di Western Union (dalle tabaccherie agli internet point), sono diversi, primo tra tutti la rapidità del tra-


scarprimini Scarp nelle scuole

«Non ho più paura dei poveri, ho scoperto che sanno ridere»

sferimento (bastano pochi minuti) e il fatto che non servono né un conto né la cittadinanza. È sufficiente un documento.

«Perché non andiamo nelle scuole a raccontare ai ragazzi l’esperienza di Scarp de’ tenis?», mi hanno chiesto in coro alcuni venditori. In effetti, era una bella idea. Allora ci siamo andati. I ragazzi e le ragazze di Scarp erano entusiasti della nuova esperienza, a cominciare da Franco, che pure aveva avuto qualche difficoltà iniziale nel parlare in pubblico. «Mi chiamo Franco, per gli amici Scarp. Sono stato intervistato qualche mese fa. Chi ha letto il mio articolo ha di certo capito che questa rivista per me è importante. Ero una persona molto riservata e chiusa, ma poi un giorno ho vinto la mia paura e ho iniziato a parlare del mio lavoro con le persone, a spiegare loro cos’è Scarp; da qualche tempo, al termine della messa do anche la mia testimonianza ai fedeli. C’è voluto più di un anno prima di riuscire a parlare in pubblico di me stesso e delle difficoltà che ho dovuto affrontare. Credetemi, non è stato facile. Adesso sono una persona orgogliosa di me e del mio lavoro. Anche i miei amici sono rimasti sorpresi di questo mio progresso».

Fiducia tra migranti Eppure, per molti migranti, il canale più efficiente resta il “pacchetto” consegnato direttamente o attraverso gli amici che tornano in patria. «È l’unico modo per evitare dispersioni – commenta Luciano Marzi –. E poi c’è una grande fiducia tra le famiglie dei migranti». Sono soprattutto i lavoratori dei paesi africani, specie di quelli in situazioni di conflitto, ad affidare i loro risparmi agli amici in partenza. Tra i cinesi invece, fa notare la presidente dell’associazione Arcobaleno, Shi Shiomien, prevale il bonifico.

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Con l’ingresso nelle scuole, per i venditori di Scarp è iniziata, in effetti, una nuova avventura, alla quale nei mesi conclusivi dell’anno scolastico hanno dedicato parecchie energie. I primi interventi sono stati realizzati in una scuola media e in alcune classi quinte dell’Istituto Alberghiero. «Quando ho incontrato Franco – racconta don Davide Pedrosi, viceparroco della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Bellaria, che da sempre abbraccia e sostiene l’esperienza di Scarp – ho pensato che la sua storia avrebbe potuto aiutare i miei studenti. Insegno alla scuola media di Bellaria, dove spesso i ragazzi non sanno guardare al di là del proprio naso, presi solo da mode e istinti di passaggio. Prima di invitare Franco abbiamo fatto un lavoro di lettura e riflessione su alcuni articoli della rivista; già questo piccolo laboratorio è servito per aprire la mente ai ragazzi sulle situazioni sociali del nostro paese». Ma leggere una storia sul giornale non è lo stesso che incontrare il protagonista di quella storia. Così, quando Franco ha bussato alla porta della classe, i ragazzi lo hanno accolto con entusiasmo. «L’incontro si è rivelato prezioso – continua don Davide – e ha dato la possibilità di riflettere sul disagio sociale e su come solo attraverso l’accoglienza e l’amore del prossimo si possa uscire da certe situazioni. I ragazzi hanno fatto a Franco una marea di domande, mosse dalla curiosità per la sua storia e dallo stupore di trovare un uomo felice e in pace, nonostante tutto quanto gli è successo. Una ragazza, il giorno dopo, piangendo mi ha detto: “Come è possibile che in un mondo civile succeda ancora che gli uomini possano vivere per strada?” Un altro alunno mi ha detto: “Da oggi non avrò più paura dei poveri, perché sanno ridere”». «Sono contento di parlare con i ragazzi e raccontare loro della mia vita e delle disavventure che mi sono capitate. Potermi esprimere è bello. Mi piace dialogare e confrontarmi con i giovani sull’emarginazione – conclude Franco –: un tema che mi tocca molto da vicino. Ma soprattutto mi piace parlare di Scarp, di quello che questo progetto mi sta dando». Anche per Antonio – new entry di Scarp – l’esperienza nelle scuole ha avuto un forte significato. «La mia giornata all’interno della scuola media? Ho cercato di far capire ai giovani quali sono stati gli errori che mi hanno portato a essere emarginato. Ho raccontato loro una buona parte della mia storia. Spero di avere trasmesso qualcosa di importante: che la vita è bella e che è importante ascoltare i propri genitori, perché ciò che dicono è per il nostro bene. Cosa che io ho capito tardi». Letizia Rossi luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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firenze Alessio, Simona, Giovanna: sono sempre di più le persone che vendono piccoli oggetti per integrare un magro reddito

«Campo di mercatini, si deve pur mangiare» di Pamela Rossi e Mario Agostino

Le belle parole Che belle parole se si potessero scrivere con un raggio di sole e il sole splende su di noi sulle nostre parole e ne fa un arcobaleno. Se possedessi un calamaio d’oro scriverei parole dorate un pugno di sabbia nella clessidra del tempo migliaia di attimi, un attimo solo che si disperde nel vento. Un caleidoscopio di colori, di suoni, un caleidoscopio d’oro ecco cosa immaginare che colpo al cuore che colpo all’anima oltre il cuore dei cuori. Maria Di Dato

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«Con la crisi, o ci si arrangia così o si va a rubare». Lo si sente dire, e non di rado, nelle piazze fiorentine, da cassintegrati e licenziati che vendono cianfrusaglie e s’improvvisano ambulanti. Abbiamo realizzato una serie di interviste al “Mercatino dell’antiquariato e del piccolo antiquariato”, che si tiene la seconda domenica di ogni mese – agosto escluso –, per un’intera giornata, in piazza Santo Spirito, uno dei “cuori” storici di Firenze. Quello che ne è uscito è uno spaccato di Italia che, pur di stare a galla, le tenta tutte. Anche di improvvisarsi commerciante. Alessio, per esempio. Faceva le pulizie in ospedale: è stato licenziato due anni fa e oggi è uno dei tanti che al mercatino non si dedica come passatempo, ma perché le sue finanze non gli permettono di raggiungere la fine del mese. Se sono protagoniste tante persone trascivogliamo un po’ sdrammatizzare quenate dagli eventi nel piccolo commersta realtà, il mercatino delle pulci è, per cio improvvisato: al mercatino, infatti, così dire, un ammortizzatore sociale per prenotare uno spazio non serve liminimo e fai-da-te, di fronte ai disastri cenza, basta avere la fedina penale pudel mercato vero, quello che con la crilita e la residenza italiana da almeno si partita dalla speculazione selvaggia dieci anni (richiesta dagli abitanti del e finta si è mangiato molti posti di laquartiere, che temono l’abusivismo). Di voro dell’economia reale, lasciando infatto, ormai, una chance minima per ditere famiglie ad arrangiarsi da sole. soccupati, pensionati sociali, giovani coppie, famiglie a basso reddito. E alcuni, come Simona, si trovano Si guadagna una miseria ad affrontare un tipo di condizione ina«Con tre figli disoccupati a carico, spettata. «Non ho mai avuto problemi quando le cose vanno bene ai mercatidi natura economica – racconta –, tanni porto a casa 800 euro al mese. È diventata la mia prima occupazione – soto che i miei nipoti mi hanno sempre spira Alessio –, anche se i mesi in cui va chiamato “la zia ricca”. Avevo una mia veramente bene sono davvero pochi». attività, una lavanderia che ho gestito Ma Alessio non si arrende: ha allestito per quindici anni. Poi, con l’inizio della una bancarella di abbigliamento in socrisi, non sono più riuscita a mantenercietà con un suo amico che, fino all’anla. Allora ho deciso di vendere per aprino scorso, faceva il mulettista. «Io e mia re un centro estetico insieme alla più moglie siamo diventati custodi di una giovane delle mie due figlie. Tremendo palestra – racconta ancora Alessio –. errore. Mi sono resa conto troppo tardi Non prendiamo uno stipendio, ma non di essermi affidata alle persone sbagliadobbiamo pagare affitto e bollette. E te per la vendita della lavanderia. Quaoggi è importante. Intanto sto cercando rantamila euro sono praticamente un altro lavoro, perché ho una bambiscomparsi nel nulla. Per far fronte agli na piccola e con la vendita dell’usato impegni, io e mia figlia abbiamo chienon si mangia». sto aiuto alla regione e alle banche, ma I mercatini di Firenze sono diventanessuno ci ha dato fiducia. Così ho reta un crogiuolo di storie di crisi vera. Ne stituito le chiavi del mio centro estetico


scarpfirenze mai aperto e ora vendo vestiti e bigiotteria al mercatino. Ma se non mi aiutasse mia figlia, da sola non ce la farei». Poco più in là, una coppia anziana di “artigiani di strada” si avvicina dopo aver origliato incuriosita il dramma di Simona. Nei loro sguardi si manifesta una forte volontà di partecipare all’intervista. Così si rendono protagonisti, immedesimati, di accese esclamazioni: «Devi sapere che tra le bancarelle si guadagna davvero poco – esordiscono i due –. Arriviamo a fare 200, massimo 300 euro al mese. Una miseria». La donna, Fabiola, è in mobilità da tre anni, chissà quando riuscirà ad andare in pensione. Ma per il momento percepisce 250 euro al mese. Il marito, Giuseppe, ha una pensione di invalidità di 600 euro e si dispera: «Veniamo tutti i fine settimana da Arezzo e già un po’ di soldi se ne vanno per la benzina e l’autostrada. Per non parlare del sacrificio, dato che non siamo più così giovani. Non si guadagna quasi nulla, ma è sempre meglio che starsene a casa con le mani in mano. E poi ti fa sentire vivo». Entrambi scuotono la testa.

Anche Intrecci “svuota la cantina” «Occasione per finanziare i progetti» Quando parlo con Francesca Bianco, vicepresidente dell’associazione “Intrecci, liberi d’essere nella salute mentale”, che ha sede a Sesto Fiorentino in piazza della Chiesa, lei ha ancora le mani impastate con gli ingredienti per le torte realizzate per autofinanziare l’associazione. I costi sostenuti per organizzare il convegno svoltosi il 2 marzo nell’aula magna del Careggi, al fine di introdurre anche in Italia, prima città Firenze, la “Psicoeducazione per familiari di pazienti affetti da disturbo bipolare”, devono ancora essere coperti: non manca occasione nella quale l’associazione non si presenti per autosostenersi. Una fra le tante è stata la partecipazione a “Svuota la cantina”, mercatino organizzato a Sesto Fiorentino, un’occasione di alleggerire la propria casa di oggetti non più utili o ingombranti e, per l’associazione Intrecci, un sistema come un altro per raccogliere fondi. «È un impegno faticoso – spiega Francesca Bianco –, ma appagante e utile per l’associazione e la sua esistenza. E comunque è attuato con spirito e divertimento, specialmente considerati i buoni esiti degli eventi che la nostra associazione ha messo in piedi e, speriamo, di quelli che sta progettando per l’immediato futuro nel campo della salute mentale». Glim esiti della partecipazione al mercatino di Sesto, grazie anche alla massiccia presenza di soci e amici, hanno superato ogni più rosea aspettativa, ma ancora molto deve essere fatto affinché le attività dell’associazione siano economicamente coperte. Ma loro non mollano. L’obiettivo è garantire, insieme alla Società della salute del quartiere quinto e alle altre associazioni collegate, il benessere di persone meno fortunate. Claudio Corso

«Meglio qui che a rubare» Però, c’è anche chi nel mercatino vede un velo di speranza per l’avvenire. É il caso di Giovanni, che ha iniziato a girare per le piazze un anno fa, quando l’impresa per cui lavorava si è ritrovata senza clienti. «Con il mio vecchio lavoro – spiega Giovanni – riuscivo a portare a casa 1.500 euro al mese, ora arrivo al massimo a 800. Però sono libero di

gestirmi come voglio e spero che, una volta finita questa crisi, il giro d’affari possa iniziare a crescere. Per ora è dura. Partecipare ai mercatini richiede tempo, fatica e molti più soldi di quanti si pensi». Per la maggior parte degli intervistati, dunque, la bancarella serve a integrare un reddito che si è fortemente

Antiquariato salvagente Bancarelle in una piazza fiorentina: stampelle per sempre più persone in difficoltà economica

ridotto a causa della crsi economica. Nella speranza che il peggio passi presto. È il caso di Domenica, che fa le pulizie part time per 500 euro al mese: «Mio marito è disoccupato – racconta – e i soldi che guadagno io non bastano per arrivare a fine mese in maniera decorosa. Così da un anno mi sono messa a vendere della bigiotteria che fabbrico da sola. Rimedio sui 200 euro al mese e finché mio marito non avrà trovato un altro lavoro dovremo cercare di tirare avanti così. Lo so, non è il massimo, ma è pur sempre una maniera dignitosa di guadagnarsi da vivere» Esperienze direttamente dalla strada, esperienze di una vita difficile: mostrano quanto gravi, su questo paese, la “sfiducia pubblica”. E quanto so consolidi la tendenza a “fare da soli”, ad arrangiarsi. Che sarà pure una vocazione dell’italiano medio. Ma è anche un chiaro sintomo di disgregazione sociale e persino istituzionale. Bella cosa, in definitiva, il mercatino. Ma solo se non sei costretto a svendere cose, ricordi, effetti personali, e le certezze di una vita dignitosa, per evitare di ridursi a rubare...

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napoli La redazione napoletana protagonista di un programma di Tv 2000 sui senza dimora. Dietro le quinte delle riprese

In tv ci vado io. Cioè Nessuno di Laura Guerra Viaggio nella terra di nessuno ha fatto tappa a Napoli. Il programma, condotto da Alessio Cammilli, va in onda su Tv 2000, l’emittente della Conferenza episcopale italiana, e si propone proprio di mettere a fuoco le cause e i drammi che portano alcune persone ai margini della società. Il progetto prevede un viaggio nelle principali città d’Italia (Roma, Napoli, Palermo, Torino, Milano, Venezia), insieme a coloro che si sono messi volontariamente al servizio degli ultimi, un viaggio per capire l’entità del fenomeno della grave emarginazione e illustrare i tentativi di chi cerca di trovare soluzioni concrete, immediate, efficaci. Un viaggio che prevede anche l’incontro con chi ha responsabilità politiche e sociali. In questo quadro, autori e realizzatori del programma hanno trascorso un’intera giornata con la redazione napoletana di Scarp. l’Istituto La Palma è stata una bella noEcco il “dietro le quinte”... vità. Vi racconto come è andata. E meno male che un po’ di esperienza ce l’ho, ho lavorato, cioè suonato in teaGli spettatori sapranno di più tro, sul grande palco, in piccoli locali Arriva la tivù, e ci mancava. Stiamo con piccole pedane e so che dietro lo avendo un sacco di esperienze qui a spettacolo, dietro ogni spettacolo, c’è Scarp. Il fotografo di Gente, la mostra un lavoro enorme, lungo, a volte fatifotografica di Tappari e le vignette di coso e dal finale obbligatoriamente Mordillo, la passeggiata “a Cicerone” positivo, tutto deve andare. E tutto va. per il centro storico della città; lo spetPerò un po’ l’abitudine era persa, o tacolo al Bellini, il tastierista degli Alsopita, diluita. E ritrovarmi di nuovo in mamegretta e non mi ricordo più che mezzo all’azione, anzi al: «Silenzio, altro... Ma è un’attività che mi piace. motore, azione!», è stato emozionante. Io sono un po’ orso, lì mi lasci, lì mi Essere intervistato ancora di più, un trovi. Eppure ho girato mezzo mondo, po’ perché non sai cosa sta per capitasiamo strani o forse sono strano solo io, re, un po’ perché effettivamente poi ti ma vabbè. All’inizio tutta questa atticapita. Domande impreviste, risposte vità mi ha sorpreso: mai me la sarei che vorresti cancellare, vestito che voraspettata, salendo le scale per la prima resti cambiare, stanchezza che dovolta, quando ho cominciato a sentir vrebbe sparire, ma che ci sei andato a dire che la visibilità è importante. E fare chissà se hai fatto... Insomma un quindi arriva la tv e vuole proprio me, e grande, grande casino! va bene così: io mi diverto, le cose nuoPerò loro, quelli della tv, dicono che ve fanno bene, ringiovaniscono. Certo è andato tutto bene. E sono contento: non è la Rai, è Tv 2000, non è un spetper me, per il giornale, venderemo tuttacolo di intrattenimento ma una serie ti di più e sarà meglio. Gli spettatori sache vuole far conoscere, capire, rifletpranno qualcosa di più preciso sui tere. E il Nessuno a Napoli sono anche senza dimora di Napoli, così da essere io, come dico talvolta in chiesa quando meno diffidenti. E vissero tutti più felifaccio l’annuncio per la vendita. ci e contenti. Tutto è meglio della panchina: farsi intervistare da Alessio sul terrazzo delBruno Limone

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Bella iniziativa, ma i governanti... Ho avuto il piacere di conoscere il produttore e il conduttore di un programa di Tv 2000. Erano venuti a Napoli per orientarsi, prima di tornare con la troupe, per far conoscere al pubblico una realtà poco conosciuta: i senza dimora. Hanno deciso di intervistare anche me, insieme alla mia amata Maria. Intervista che racconta le esperienze negative che ci hanno indotto a chiedere l’aiuto ai servizi della Caritas, perché eravamo persone indigenti. Se tutto ciò è utile per sensibilizzare i mass media, l’opinione pubblica e i rappresentanti del nostro governo: che vadano avanti con convinzione e determinazione queste iniziative a favore degli ultimi! Però un pizzico di pessimismo mi fa pensare che i governanti sono poco propensi, in questo momenti di crisi economica, ad accorgersi di questo fenomeno. Non immaginavo nemmeno per un attimo che un giorno qualsiasi sarei diventato protagonista, con Maria, di un programma tv, e di essere immortalato dalle telecamere del circuito televisivo che fa capo alla Cei. In piazza Donnaregina, nel pomeriggio, chi si trovava a passare e osservava con attenzione, poteva notare persone che si muovevano senza far trapelare nessuna emozione, consapevoli di ciò che stavano facendo. Erano inviati, operatori, cameraman e produttori. Tutto ciò poteva far supporre che dovevano intervistare il vescovo, o qualche altra autorità. Invece gli intervistati erano alcuni venditori di Scarp (me compreso). L’intento della troupe televisiva era mostrare con le immagini le problematiche delle persone che nell’arco


scarpnapoli Insieme anche sul set Maria e Sergio raccontano a Tv 2000 la loro storia d’amore nata grazie a Scarp de’ tenis

Cavi, microfoni... e una domanda

La storia

Il nostro amore raccontato a tutti Un giorno di maggio nella nostra redazione si sono presentati Ezio e Alessio, produttore e conduttore del programma Viaggio nella Terra di Nessuno. A me e a Sergio, il mio compagno, ci hanno intervistato, per farci parlare della nostra storia d’amore, sbocciata tra la strada e la redazione di Scarp. Non ero per niente emozionata e mi sono sentita subito a mio agio. L’intervista è stata condotta da Claudia, una simpatica ragazza mora, che era molto alla mano ed è stata brava a farmi sentire tranquilla; ha instaurato subito una bella amicizia. Le ho raccontato i passi salienti della mia vita e del mio colpo di fulmine per Sergio. Lei ne è rimasta entusiasta e conoscersi è stata una bella esperienza per me. E spero anche per lei. È stata una giornata davvero speciale. La piazza era gremita di persone al lavoro, che hanno attirato l’attenzione di tanti bambini che un po’ giocavano a pallone e un po’ osservavano gli operatori e le telecamere. È stata una bella esperienza e una giornata memorabile, mi sono sentita messa su un piedistallo, anche Sergio mi è parso entusiasta. Claudia, la conduttrice, quando ha terminato l’intervista mi ha salutato con un caloroso abbraccio e si è fatta scattare una foto con me per ricordo. Maria Di Dato

della vita hanno vissuto un disagio. Una realtà che forse una parte dell’opinione pubblica non conosce? In attesa del mio turno guardavo con attenzione l’affannarsi degli operatori, che cercavano di posizionare nel modo giusto le telecamere. La mia attenzione è stata richiamata dalla truccatrice Carla, che con grande maestria lavorava per far in modo che gli inviati apparissero al meglio. L’intervista che hanno fatto a me e

a Maria è stata breve e ripetuta due volte, affinchè le riprese fossero nitide. Pensavo di emozionarmi ma ciò non è accaduto, anche perché altre esperienze del genere fatte senza telecamere mi hanno aiutato a non farmi intimorire da una situazione leggera e completamente diversa. Alla fine, con Maria e Aldo, ci siamo congedati per tornare a casa dopo aver trascorso un pomeriggio indimenticabile e irripetibile. Sergio Gatto

Non voglio parlarvi del perché e del percome è venuta la troupe di Tv 2000. Mi sono appassionato della parte tecnica; mi piacciono le automobili veloci, le moto, infatti ne ho una; uso il computer ogni giorno e infatti mi sono iscritto a facebook. Tempo fa ho lavorato come tecnico del suono e ancora oggi quando nelle comunità parrocchiali, e al Binario della Solidarietà che frequento, si organizzano feste o spettacoli, io mi do da fare con i cavi dei microfoni e dell’amplificazione e l’impianto luci. Perciò vedere tante persone al lavoro con attrezzature per fare un programma televisivo mi ha incuriosito molto. Il dietro le quinte e la parte tecnica mi piacciono molto: subito ho fatto amicizia con i tecnici e abbiamo fatto delle belle chiacchierate. Erano tutti ragazzi giovani, molto disponibili, erano scherzosi e facevano bene il loro lavoro, da professionisti. Mi divertivo vedendoli montare le attrezzature e regolare i volumi dell’audio e l’intensità della luce giusta. Mi hanno chiesto un po’ del nostro giornale e delle cose che scriviamo, abbiamo parlato anche della pizza, la nostra, napoletana, più morbida, soffice e alta; la loro, la romana, più sottile e croccante. Loro lavoravano per far apparire e sentire al meglio i presentatori che erano quattro: Alessio, Marina, Calogero, Claudia e Mirco. Anche loro ragazzi in gamba, e quando intervistavano qualcuno lo hanno messo a proprio agio e non facevano pesare l’emozione: sembrava una chiacchierata fra amici. Quando hanno intervistato quattro miei colleghi io non c’ero. Perciò sono molto curioso e non vedo l’ora di vedere la puntata girata a Napoli. Sì, perché oltre la nostra città, sarà raccontata la realtà dei clochard anche di Roma, Torino, Venezia, Milano e Palermo. Ma ditemi una cosa: «Come vivono i “barboni” a Venezia?». Boh! Massimo De Filippis

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scarpnapoli

Per una domenica i venditori di Scarp hanno deciso di rinunciare ai magri guadagni, per non “distrarre” dalla raccolta nelle parrocchie

Noi terremotati a vita solidali con l’Emilia La seconda domenica di giugno i venditori napoletani di Scarp de’ tenis non sono usciti per la tradizionale vendita nelle parrocchie. Il motivo? C’era una priorità che stava molto a cuore a chi tutti i giorni è abituato a confrontarsi con la sofferenza e la mancanza di una casa: cercare di portare un aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia e Lombardia. Anche le parrocchie della diocesi di Napoli erano coinvolte nella colletta nazionale promossa dalla Conferenza episcopale italiana. E così i venditori di strada, dopo un incontro con l’équipe che li segue, hanno deciso, in maniera autonoma, di lasciare il campo libero, per evitare di distogliere offerte all’iniziativa pro terremotati. Ecco le loro motivazioni.

La rinuncia che sa di buono Ogni tanto la vita è strana: siamo tutti così superimpegnati a fare, dire, agire, che ci è difficile pensare che, qualche volta, il non fare è la cosa migliore. Questo è quello che è capitato a noi di Scarp nella domenica dedicata alla raccolta fondi pro terremotati promossa dalla Chiesa italiana. Abbiamo semplicemente rinunciato a uscire col giornale, per non “distrarre” la gente da quell’importante, primario impegno. Ognuno di noi venditori ha rinunciato al proprio guadagno e l’ha devoluto idealmente a quella gente così provata. Se non capiamo noi cos’è il disagio... Molte delle nostre vite sembrano terremoti: alti e bassi, crolli e macerie fanno parte del nostro passato e, quando sono indelebili, del nostro presente. E poi il terremoto che ha colpito la nostra Napoli nel 1980 chi se lo scorda? Vidi aprirsi e allargarsi una crepa in un muro che se non mi portavano via forse ci restavo sotto. Che vuoi che sia, allora, oggi, restarsene a casa una domenica, se questo può servire ad aiutare qualcuno che la casa non l’ha più? Non esserci per esserci, questo abbiamo fatto, solo questo. E sa di buono. Bruno Limone

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Dove sono andata Aspettavo quel giorno da sempre e d’incanto è sbocciato il giorno, la luce, la vita. Ho seguito il mio cuore pulsare di vibrazioni. Aspettavo l’arrivo di una vita legata alla mia la sostanza del vivere in un giorno di clima armonioso nell’aria quel dolce respirare che penetra e filtra nelle mie narici. Ah quel giorno, ah quel giorno... Se potessi vivrei così tutti i giorni della mia vita. Cosa ho fatto non lo so. Ma ho solo la magia di amarti a modo mio Marianna Palma

Non per farci belli Domenica 10 giugno è stata per noi venditori di Scarp una giornata particolare. Sapevamo delle varie iniziative organizzate in favore delle popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna. Le chiese sono state fra le prime ad allertarsi e di riflesso i fedeli che vanno a messa. Abbiamo scelto, d’accordo con la redazione, di farci da parte in quella giornata. È stato il nostro contributo, anche se non economico, alle persone che hanno vissuto il dramma. Non potevamo, date le nostre condizioni, offrire un aiuto rilevante in denaro. E allora abbiamo pensato che, astenendoci dalla vendita del giornale, avremmo permesso alle comunità di raccogliere, attraverso le offerte dei fedeli, un sostanzioso supporto per l’emergenza. Sono sicuro che voi che leggete, apprezzerete il gesto, non fatto per farci belli, ma sgorgato dal cuore. Chi ha vissuto, o vive il disagio, è più incline ad aiutare gli altri. Chi ha il dramma, ha un cuore diverso, assume altri valori dentro. Apprezza tutto di più e sviluppa un altro tipo di sensibilità. Molti drammi nascono per caso o per nostra colpa. La gente dell’Emilia non ha nessuna colpa, è vittima di una calamità naturale. Siamo stati tutti contenti di aver fatto, nel nostro piccolo, la nostra parte. Abbiamo dovuto rinunciare al guadagno domenicale, ma abbiamo avuto una grande gratificazione morale. E in più qualche ora di sonno in più e una domenica spensierata, a volte una pausa serve a ricaricare le energie... Non so i miei colleghi come hanno trascorso la giornata diversa; quando sei abituato, ti manca anche il lavoro, anche il dovere; ma a


scarpnapoli noi di Scarp la fantasia non manca. Io, preparata la colazione, ho pensato di trascorrere la giornata a Sorrento, famosa cittadina di mare a pochi chilometri da Napoli. Una località molto bella, anzi di più, meta di turisti che vengono da ogni parte del mondo. Fotocamera a tracolla, occhiali scuri, zaino e scarpe comode, mi sono sentito anche io un turista. Ho passato una piacevole giornata, vedendo tanta gente, bei posti e respirando aria buona. Ma il benessere mi è derivato soprattutto dalla gioia di aver contribuito ad alleviare le sofferenze dei più sfortunati che hanno vissuto il terremoto. Ricordo quando lo vissi io 32 anni fa, ma senza perdere la casa e avendo cosa mangiare. Nonostante ciò ricordo la grande tristezza. Il terremoto è una brutta esperienza. Sconvolge la terra e poi le nostre anime. Giuseppe Del Giudice

L’occasione per il picnic La seconda domenica di giugno i venditori di Scarp non sono usciti per la vendita nelle parrocchie. Il motivo?

C’era una priorità che ci stava a cuore: aiutare le popolazioni emiliane. Le parrocchie si sono organizzate per la raccolta dei fondi in tutta Italia e anche quelle delle diocesi di Napoli hanno partecipato. Noi venditori di strada, insieme all’équipe abbiamo deciso di metterci da parte, ed è stato facile pren-

dere questa decisione. Chi meglio di noi si può calare nei panni di questo popolo, noi che ci sentiamo terremotati a vita? In quella condizione tutti i gesti di vita quotidiana, anche piccoli, diventano difficili, non ci si sente liberi e si desidera tornare ai propri spazi, alla propria casa, alle cose e alle abitudini di ogni giorno e non si riesce ad accettare di vivere in una tendopoli e di doversi adattare ai disagi che comporta. Si vive in modo precario e con la paura che la terra tremi ancora; penso che in tenda ti puoi portare solo l’essenziale e quindi ti mancano le cose personali, anche quelle che sembrano inutili. Quella domenica ne ho approfittato per passare una domenica davvero diversa: con Maria, anche lei venditrice, e i nostri due bambini siamo andati al mare. Abbiamo preparato panini e bibite e ci siamo goduti un bel picnic sulla spiaggia. Ci siamo divertiti. All’inizio ci è sembrato un po’ strano non stare a vendere in chiesa, ma poi abbiamo apprezzato tanto poter passare una domenica in famiglia. Domenico Capuozzo

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salerno In internet senza rischi: a Salerno la prima scuola in Italia che ha sperimentato un social network per i ragazzi, nato a Firenze

Amico Trool, si naviga sicuri di Michele Piastrella

Il tuo sorriso Ammantata d’oro canta l’allodola sul ramo. Contento ride il cielo. Ride la terra. Ridono il lago e il mare. Ma nessun sorriso è bello come il tuo. Favour

Un Trool per aiutare i ragazzi a non perdersi nella rete. Salerno in prima fila nell’accogliere e sviluppare un innovativo social network, protetto e sicuro, dedicato ai più giovani. Secondo l’Istat (dati aggiornati a fine 2011) circa l’80% dei ragazzi italiani al di sotto dei 13 anni utilizza il pc. Inoltre, circa il 93% dei minorenni utilizza il cellulare. Due strumenti che consentono la connessione a internet, che per i minorenni, oltre a essere luogo di svago, istruzione, amicizie, rappresenta un forte pericolo. Uno dei maggiori fattori di rischio è l’assenza di privacy di alcuni siti (social network in primis) e la possibilità di essere contattati da utenti del web che non sono chi vogliono far credere di essere. Riguardo ai social network, Facebook in particolare, il dato dei minorenni che vi si iscrivono è in fortissima crescita, ma la zione sicura e un’intensa socializzaziocosa preoccupante è che tra loro vi sone tra i ragazzi, intende promuovere tra no anche under 13, nonostante l’ele nuove generazioni comportamenti spresso divieto ai ragazzi di quell’età di di cittadinanza attiva. Attraverso Trool, iscriversi. La data di nascita, infatti, è infatti, i ragazzi delle scuole primarie e l’unica voce che, all’atto dell’inserisecondarie pubblicano elaborati che, mento, blocca l’iscrizione. Ma scriverpartendo dai temi rappresentati nelne una falsa è, appunto, un gioco da ral’archivio storico dell’Istituto degli Ingazzi, alla portata anche di un bambino nocenti (uno dei più antichi orfanotrodi 6 o 7 anni.

Un progetto innovativo Per porre rimedio alla situazione l’Istituto degli Innocenti di Firenze, tramite il progetto “Crescere che avventura”, ha deciso di sviluppare un social network dedicato ai ragazzi, estremamente sicuro e protetto. Il nuovo sito si chiama Trool, acronimo di “Tutti i Ragazzi Ora On Line” (www.trool.it): l’iniziativa ha già un ottimo numero di utenti, soprattutto tra i ragazzi e gli insegnanti. Il progetto “Crescere che avventura” è finanziato dalla Fondazione Telecom Italia, nell’ambito del bando “I beni culturali invisibili, una risorsa italiana da valorizzare”; il progetto è stato presentato dall’Istituto, in partenariato con Luoghi per Crescere, cooperativa Eda, Cooperativa Lama e Wikimedia. In particolare il sito, oltre a consentire una naviga-

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scarpsalerno fi e istituti per l’infanzia d’Italia, detentore di un magnifico archivio con libri risalenti persino al Quattrocento), trattano della propria identità locale, della memoria storica della loro famiglia e della loro città, dei disagi dell’infanzia e dell’adolescenza, in un progetto eccezionalmente educativo. Attraverso Trool, i ragazzi hanno la possibilità di pubblicare post e avere profili all’interno di un sito assolutamente sicuro, esente dai rischi della navigazione canonica; in più, possono utilizzare questo social network anche per divertirsi, interagendo tra loro attraverso commenti e votando i post che piacciono di più, trattando argomenti ludici e di svago, pubblicando video e materiali, a mo’ di diario personale. Nei primi anni di vita il sito è stato testato nelle scuole della Toscana, con risultati sorprendenti. Si è deciso, così, di diffonderne l’utilizzo in tutta Italia; la città di Salerno è stata la prima ad adottare Trool, attraverso un laboratorio educativo che si è svolto nei mesi scorsi con i ragazzi della scuola media dell’istituto comprensivo San Tommaso d’Aquino (nel rione Fratte).

I laboratori e la gita I risultati dei laboratori educativi di Salerno sono stati particolarmente brillanti; gli studenti hanno imparato a utilizzare Trool, pubblicando sia post particolarmente impegnativi, su temi co-

Essere genitori

Gestire i figli nella rete: piccolo decalogo ragionato Essere genitori è il compito più difficile del mondo, ma di sicuro, nell’era digitale che ci troviamo a vivere, un buon genitore non può sottovalutare il rapporto tra i propri figli e internet. Il web ha cominciato a diventare un fenomeno veramente di massa attorno al 1996; così, tutti i bambini e i ragazzi che oggi hanno meno di 15 anni possono essere chiamati “nativi digitali”. Non bisogna spaventarsi dinanzi a questa espressione; i nativi digitali hanno il nostro stesso dna, non è avvenuta in loro alcuna mutazione genetica, hanno gli stessi desideri e sentimenti, solo che sono particolarmente ferrati con i pc (e derivati: notebook, tablet, ipad, telefonini, ipod...); soprattutto, trascorrono molto del loro tempo utilizzando questi strumenti. I quali, è, non sono negativo in se stessi, anzi migliorano le possibilità di istruzione e socializzazione dei ragazzi; tuttavia, la prassi di restare “on line” per molte ore al giorno determina la possibilità di trovare contenuti ben poco educativi, e il pericolo di conoscere persone malintenzionate. La rete, infatti, è un po’ come il mondo: vi si trovano persone buone e persone non buone. Ma, contrariamente al mondo “fisico” che è la fuori, dà al malintenzionato la possibilità di nascondersi sotto mentite spoglie. Soprattutto, con l’avvento del web 2.0, che dà la possibilità di interagire a più livelli con la rete e diventare produttori di informazioni, e non solo ricettori, i pericoli aumentano. Cosa deve fare, dunque, un buon genitore per tutelare i propri figli che navigano sul web? Un ottimo sito, “La città invisibile”, elenca 15 regole che un buon genitore dovrebbe osservare con il proprio figlio minorenne “internauta”. Ne segnaliamo alcune: • Non si danno informazioni personali • Non si compilano moduli • Non si fanno acquisti in internet • Non si accettano regali da internet • Non si deve essere “boccaloni” • No al materiale piratato • Attenzione alla posta elettronica (messaggi spam, ad esempio) • Riferire ai genitori ogni cosa sospetta Il tempo su internet: (non più di due ore al giorno, con un giorno a settimana di astinenza completa). Dionisie Pista

me la propria identità, il passato e il futuro che sognano, la storia della propria famiglia confrontata con quella dei bambini abbandonati, sia post ludici e di svago, come avviene su Facebook o Twitter. Cuore del progetto è stata la gita a Firenze effettuata dai ragazzi, accompagnati dagli educatori del progetto e dalle insegnanti, nel corso della quale si è svolta anche una toccante visita all’Istituto degli Innocenti. A coronamento del primo anno di laboratorio a Salerno, martedì 5 giugno si è svolta la presentazione del progetto a tutta la cittadinanza, alla presenza

delle istituzioni comunali (il vicesindaco Eva Avossa), del preside Alessandro Turchi e dei docenti della scuola, della presidente dell’Istituto degli Innocenti, Alessandra Maggi, della responsabile di Fondazione Telecom, Luisa Giolito, e di uno dei responsabili del progetto, Emanuele Dattoli. Presente anche la presidente del consorzio La Rada, Patrizia Stasi, referente del progetto sul territorio e trait d’union dell’iniziativa, che ha posto Salerno all’avanguardia nel rapporto tra i bambini e internet e nell’utilizzo di tecnologie di navigazione sicura per i minori.

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catania La crisi morde anche nel catanese, provincia di eccellenza per gli interinali. Poche le alternative. Serve la formazione

Ai giovani? Resta l’artigianato... di Lorena Cannizzaro

Guardaci Smarriti nei nostri pensieri dispersi tra fumi di nebbia arroccati su costoni di nulla Guardaci! Visi scavati dalle sofferenze affetti relegati in soffitta ricordi che macinano il cuore Guardaci! Abbandonati in balia degli eventi distesi al sole e al freddo notturno confusi in mezzo alla gente che ci ignora Guardaci! Siamo rami secchi sferzati dal vento in un impervio sentiero senza vedere via di fuga Guardaci! Un giorno che sembra ormai svanito nel tempo Tony Bergarelli

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Il segretario della Nidil Cgil di Catania, Giuseppe Oliva (foto sotto), ha fatto il punto per noi di Scarp su come i giovani etnei cerchino un’opportunità lavorativa. Spesso senza trovarla. Ma cosa offre davvero oggi il territorio? E quale supporto arriva dal sindacato? «Catania è da sempre la provincia siciliana di eccellenza per la quantità di lavoratori “in somministrazione”, ovvero gli interinali – attacca Oliva –. Da inizio 2012, anche in questo ambito il trend di offerta di lavoro è stato decisamente negativo. Il drastico calo è dovuto alla crisi dei consumi, quindi alla crisi della grande distribuzione e dei call center: gli effetti delle delocalizzazioni iniziano a farsi sentire. Uno dei servizi offerti dalla Cgil rivolvativi e tecnologici può essere una carto ai giovani è il Sol (Servizio orienta ta vincente. Il suggerimento è quindi lavoro). Di che si tratta? puntare su nuove e piccole aziende. Un discorso a parte lo meritano l’artigianaL’obiettivo primario è fare orientamento e il biologico: pur essendo settori dito al lavoro. Molti giovani lavoratori, versi si riferiscono al medesimo target studenti universitari e disoccupati si ridi clienti, in continuo aumento. Infine, volgono a noi per avere informazioni la manualità e i vecchi mestieri riservasulle nuove opportunità di lavoro, ma no quote di occupazione in crescita. anche più semplicemente li aiutiamo a compilare un corretto curriculum vitae. Quali sono le vostre proposte per coA questo si aggiunge una consulenza struire un nuovo mercato del lavoro? specialistica, che analizza la situazione Abbiamo stilato alcuni punti cardine. individuale per cercare di valorizzare le Innanzitutto bisogna cancellare i conrisorse personali e ottenere una crescitratti più precari: mi riferisco alle assota professionale. Lo sportello è aperto ciazioni in partecipazione e al lavoro a due volte a settimana, il martedì e il giochiamata. Poi dev’essere introdotta una vedì mattina alla Camera del Lavoro, in regolamentazione efficace per impedivia Crociferi 40. È possibile consultare re l’abuso del lavoro autonomo, anche anche il sito www.nidil.cgil.it attraverso un tetto di reddito sotto il quale non si possono attivare contratti a Come ci si può muovere nel mondo progetto e prestazioni a partita Iva. del lavoro in questo periodo di crisi? Quanto ai voucher, bisogna definire il C’è un mercato stagnante. Le aziende loro valore orario e cirdel settore industriale sono in crisi e questo ha coscriverne l’utilizzo. influito sensibilmente Bisogna infine fissare un sui consumi, creando “equo compenso”: sedisoccupazione nella condo la Cgil tutti devogrande e piccola distrino avere diritto a un buzione e nelle aziende equo compenso, che che offrono beni e servinon può essere inferiozi. Paradossalmente, re a quanto previsto nei però, in questo periodo contratti nazionali di lal’attività imprenditoriavoro per i dipendenti di le in settori nuovi, innopari professionalità.


scarpcatania Servono poi nuovi ammortizzatori: tutti gli iscritti alla gestione separata dell’Inps, sia collaboratori a progetto che partite Iva, devono aver diritto all’indennità di disoccupazione. Infine crediamo servano più tutele nell’accesso al lavoro. Gli stage devono essere uno strumento di orientamento al lavoro e non di lavoro mascherato; per questo chiediamo una regolamentazione chiara, affinché siano attivabili solo durante i percorsi di studio. Quali forme contrattuali offrono più tutele ai giovani che accedono al lavoro? La somministrazione di manodopera rappresenta la forma contrattuale che fornisce maggiori tutele ai lavoratori. Con questo contratto si lavora presso un'impresa utilizzatrice, ma si è assunti, se pur a tempo determinato, dalle agenzie per il lavoro, cosiddette “interinali”. Altra forma è senza dubbio l’apprendistato professionalizzante, vera e propria porta d’ingresso al mercato del lavoro: tramite esso i giovani (tra i 18 e i 29 anni) possono ottenere una qualifica grazie a una formazione sul lavoro e acquisire competenze di base e tecnicoprofessionali.

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Tanti sogni nel cassetto, ma la strada è emigrare V.A. è una giovane laureata che racconta la sua esperienza, drammaticamente comune a tanti altri giovani italiani, nel mondo del lavoro. Sono da poco laureata in lingue e letterature straniere, mi trovo a lavorare attualmente in un call center con un contratto a progetto, senza uno stipendio fisso. Dopo il liceo linguistico ho scelto di proseguire gli studi iscrivendomi all’università. Se potessi tornare indietro rifarei la stessa scelta, con la speranza che magari nel mio corso di laurea si investisse più tempo e denaro nello studio delle lingue scelte: infatti l’università ci costringe a imparare nozioni, senza darci la possibilità di metterle in pratica durante il percorso di studi. E dopo la laurea siamo abbandonati a noi stessi. Ai giovani che dopo il diploma scelgono di proseguire i loro studi non saprei cosa consigliare, potrei solo dire di non arrendersi mai. Purtroppo la realtà italiana non permette a tutti di realizzare i propri sogni e ci obbliga a doverci accontentare del minimo; se vogliamo fare progetti per il futuro, siamo costretti a spostarci in altre città o nazioni.

Le opinioni

Laureati e disoccupati, dove sono le opportunità? In Sicilia sono circa 35 mila i giovani laureati disoccupati. E non tutti possono o sono disposti a cercare fortuna altrove. «Solo a Catania – spiega Angelo Villari, segretario generale della Cgil etnea – ci sono 6 mila giovani laureati che non hanno un lavoro. Il 10% riesce a restare all’interno del mondo universitario, lavorando e collaborando a vario titolo, ma con salari da fame. Altri accettano qualunque lavoro a basso stipendio». Sono tanti i settori saturi, bisogna dunque cercare laddove le opportunità resistono. Francesco Profumo ingegnere elettronico e ministro dell’istruzione, di recente in visita a Catania, ha dato un consiglio agli studenti che lo ascoltavano: «È importante intraprendere studi tecnici; in Italia abbiamo il 60% di studenti iscritti ai licei e il 40% iscritti agli istituti tecnici e professionali, nel resto d’Europa le percentuale sono invertite». Da una ricerca di Stefano Scabbio, presidente e amministratore delegato di ManpowerGroup Italia e Iberia, gruppo che studia il mercato del lavoro, è emerso quanto in Sicilia sia carente, nei vari settori, la disponibilità di tecnici, sia di media sia di alta specializzazione. Inoltre, le professioni legate all’informatica e al web, gli esperti di social media e gli analisti programmatori sono figure professionali ancora ricercate dalle aziende. Altra opportunità professionale è il green job, il lavoro “verde”. Il ministro dell’ambiente Corrado Clini ha detto ai giovani catanesi: «Il nostro obiettivo è avere 60 mila nuovi occupati tra i giovani laureati sotto i 30 anni, a partire dal 2013, soprattutto nel campo delle tecnologie avanzate». Interessanti, intanto, sono le opportunità offerte dal settore dell’artigianato: le imprese artigiane faticano non poco a trovare personale. Numerosi antichi mestieri vanno perdendosi e il desiderio di piccole e medie imprese di non farli scomparire si scontra con il fatto che occorrono giovani a cui trasmetterne il valore. Utile strumento d’ingresso nel mondo del lavoro è l’apprendistato, e per questo è stato di recente siglato dalle parti sociali e dall’Agenzia per l’impiego, un accordo valido per la Sicilia: a breve, nel catalogo formativo, saranno inserite nuove aree di lavoro e nuove figure per stare al passo con le esigenze del mercato. Sissy Geraci INfO www.aprrendistatoregionesicilia.it

Il progetto

Il lavoro in Sicilia non c’è? E allora noi ce lo inventiamo... Ma se si ha inventiva, un lavoro lo si può creare. Mettendo a frutto il progetto Italia Camp, nato nel 2008 e pensato come primo think tank universitario italiano per giovani laureati under 30. Si tratta di un serbatoio dove convogliare le proprie idee che, se valide e interessanti, possono trasformarsi in buone opportunità lavorative. Sono state già dieci le idee prese in considerazione da importanti aziende e istituzioni italiane. Nella regione è presente la sede Sicilia Camp, impegnata a favorire la diffusione e la condivisione di idee vincenti di giovani dell’isola. Sissy Geraci INfO www.italiacamp.it luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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poesie di strada

Salto in lungo Il salto in lungo o il salto più lungo? Nel salto in lungo più lungo è necessaria una bella rincorsa, un balzo felino, un salto in avanti da gazzella e un finale lunghissimo jumping into the beach. È spettacolare! Ci vogliono muscoli abduttori, muscoli adduttori, solidi polpacci, natiche e addominali possenti, piedi forti e stabili caviglie. La vita, in fondo, è un triplo salto in lungo,

Capelli Corre bianchi il treno Fremo davanti all’ingiustizia e davanti all’incomprensione, non ho i capelli bianchi. Se mi sarà dato d’aver il crine più candido, oserò sempre di più. Oserò per il fratello dolente, per l’indifeso, il debole, per il buono che lotta per il bene, come già facevo da bambino. Ma ora darò anche all’arido, a chi è lungi dal bene, perché si tolga dal basso in cui vive ignaro del bello di donar e far del bene al fratello nato da uomo e da donna, per leggi d’unione e non di distacco, il bello di far del bene a qualsiasi creatura di lui Dio creatore. Gaetano “Tony” Grieco

un doppio salto mortale dal trampolino di 5 metri, un’infinita staffetta, passando il testimone ai tuoi migliori amici. Silvia Giavarotti

Il mio cuore Finalmente è passata la tempesta, il sole a riscaldarmi si appresta, gli uccellini cinguettano gioiosi sui rami, come gioioso è il mio cuore, che dal tuo messaggio ha appreso che ami, il tuo cuore come un fiume in piena per la via ha portato via da me la malinconia, è passata la tempesta, il mio cuore è tornato a far festa. Mr Armonica

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Corre il treno sbuffando in riva al mare entra nel monte dalla cupa mole esce e, fischiando, risaluta il sole e dentro un fitto bosco poi scompare. Ecco sul ponte appare rimbombando, i paesi sorvola e la pianura, nelle valli silenti sferragliando porta superbo la sua nera armatura. Come fantasmi fuggono veloci le case, i prati, gli alberi e i giardini, si perdono nell’aria allegre voci: i saluti festosi dei bambini. Poi rallenta la corsa e alfin s’arresta; raggiunta la città, placa il suo ardore. Si spegne il fuoco nella nera testa mentre nel ferreo corpo tace il cuore. Mary

Deltaplano Se fossi un deltaplano mi piacerebbe volare dentro le nuvole e vedere gli angeli e insieme a loro volerei forse dall’alto potrei vedere tutta la mia immaginazione libera e mi sentirei leggero come un uccello spensierato. Umberto D’Amico


ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Monete locali. quale viviamo, come l’agenda Sono più di cinquemila nel mondo. per il buon vivere, come E qualche esperienza comincia l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. ad affiorare anche in Italia. Alternative Ventuno è la nostra (credibili) all’euro? La nostra idea di economia. Con qualche proposta per inchiesta, tra rischi e opportunità agire contro l’ingiustizia e di Andrea Barolini l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

ventunostili Ai giovani detenuti della cooperativa Kayros il “legname del Papa”

21 di Stefania Culurgioni

ventunorighe L’eredità di Family 2012

di Fabio Pizzul consigliere regionale Lombardia ex presidente Azione Cattolica Ambrosiana

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21ventunodossier Dagli Hours di Ithaca al Sardex sardo. Nel mondo, ben 5 mila valute locali. Anzi, complementari. Come si spiega il boom?

Sono il sindaco e batto moneta... dossier a cura di Andrea Barolini

Il borgomastro di Woergl, Tirolo austriaco, nel 1931 stampò buoni da spendere nei negozi del paese. Con una clausola: la perdita di valore se non venivano usati entro un mese. L’idea era far circolare la ricchezza. Ebbe così successo che Woergl risentì della recessione in maniera più lieve del resto dell’Austria. Ma come funzionano, oggi, le “valute complementari”? E perché, anche in Italia, sono sempre più diffuse? Interpretano bisogni dell’economia “reale”. Ma non sono scevre da pericoli...

60. scarp de’ tenis luglio - agosto 2012

Valute locali, tra recessione e folklore

L’Euro sta in crisi, ci affidiamo al Fiorito? Sgombriamo subito il campo da dubbi. Sebbene numerosi esperti storcano il naso, la scelta di alcune amministrazioni locali di puntare su monete diverse dall’euro non è derubricabile nel novero delle semplici boutade elettorali. Né tantomeno in tentativi di “boicottare il sistema”. Al contrario, spesso si tratta di iniziative assolutamente serie che, a patto che siano costruite nel modo giusto, possono anche portare reali benefici alle economie territoriali. Un’associazione francese, l’Aises (Associazione internazionale per il sostegno delle economie sociali) ha mulazione, un vettore di appropriaziopersino pubblicato sul proprio sito inne della ricchezza, a deterioramento del ternet una guida dettagliata per la crealegame con il sociale e dell’interesse colzione di una moneta alternativa, repelettivo», ha osservato il filosofo francese ribile anche in inglese (www.aisesPatrick Viveret. Basti pensare, conferma fr.org). Perché ciò che conta, appunto, è un’analisi della testata La Gazette des scegliere con attenzione metodi, perCommunes, che solamente il 3% della corsi e obiettivi: i pericoli, infatti, sono liquidità “ufficiale” complessiva circola in agguato. nell’economia reale: il resto è appanMa facciamo un passo indietro, e naggio della finanza (e, spesso, degli tralasciamo per un attimo gli aspetti speculatori). problematici del fenomeno. DomanE quando, durante i periodi di recesdiamoci innanzitutto a cosa servono le sione, anche quel 3% diventa difficil“valute complementari”, e perché promente raggiungibile da cittadini e imprio adesso assistiamo al loro boom. Si prese (ad esempio a causa della chiusutratta di monete, appunto, “a complera dei rubinetti del credito da parte delmento” della valuta di riferimento, e le banche), una moneta diversa può non “alternative”: tali strumenti, infatti, evitare lo stallo di una porzione locale da noi si affiancano, non sostituiscono dell’economia, consentendo alla popol’euro. Si può affermare che la loro utilazione di continuare a consumare, ai lità sia figlia delle storture del capitalicommercianti di continuare a vendere, smo: «Le monete ufficiali, da strumenti ai fornitori di continuare a produrre, al volti a facilitare gli scambi, sono divenmercato del lavoro di non congelarsi. tati ormai un fine. Un obiettivo di accuProprio per questo l’ancoraggio ter-


monete locali

Le monete «ufficiali, da strumenti volti a facilitare gli scambi, sono diventati ormai un fine. Un obiettivo di accumulazione, un vettore di appropriazione della ricchezza, a deterioramento del legame con il sociale e dell’interesse collettivo

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Le Ore fanno scuola La banconota di 5 Berkshares è la valuta complementare in uso nel territorio del Massachussets. È nata sulla scia del successo della prima divisa locale statunitense, l’Hours, progetto del 1991 attivo nella città di Ithaca, stato di New York

ritoriale è una caratteristica peculiare delle valute complementari. Lo conferma chiaramente un breve ripasso della storia del fenomeno. Nel suo libro Au cœur de la monnaie, Bernard Lietaer, uno degli “inventori” dell’Ecu (meccanismo che gettò le basi della moneta unica europea), fa risalire le prime esperienze di valute locali complementari all’epoca dei Faraoni. Allora, in Egitto, le monete erano fatte di metalli preziosi, e in parallelo, per gli acquisti quotidiani, si utilizzava una moneta senza valore proprio. Nel XX secolo sono state soprattutto le crisi economiche a dare impulso al fenomeno. Dalla Grande Depressione del 1929 all’Argentina del 2001, città, regioni, province hanno sfruttato tali sistemi per ravvivare le proprie economie. Nel 1931 il sindaco di Woergl (cittadina del Tirolo austriaco) stampò dei buoni da spendere nei negozi del comune. Con la “clausola” che, se non venivano spesi entro un mese, perdevano di valore. In tal modo, la ricchezza circolava anziché essere risparmiata. L’idea ebbe successo: Woergl risentì della recessione meno del resto dell’Austria. Oggi di monete alternative ne esistono, secondo l’ultimo numero della rivista International Journal of Community Currency Research, oltre 5 mila. Una stima precisa è impossibile, dal momento che molte iniziative non sono pubblicizzate (sui siti www.community-exchange.org e www.complementarycurrency.org si può reperire un

buon elenco di alcune delle monete complementari note). Uno dei progetti più longevi è quello partito nel 1991 nella città americana di Ithaca (stato di New York), dove per tutelare i produttori locali contro la catena di ipermercati Wal Mart nella grande distribuzione si diede vita agli “Hours”. Le banconote in “ore” (del controvalore di 10 dollari) sono accettate nel raggio di 50 miglia, e affiancate da una locale banca di credito cooperativo (la Alternative Credit Union) che offre perfino conti correnti in Hours, a tasso zero. Un successo, tanto che in altre città degli Usa si è cercato di replicare quell’esperienza: con i BerkShares a Berkshire, nel Massachussetts; con i Plenty a Pittsboro, nel North Carolina; con gli Equal Dollar a Philadelphia, e ancora con i Cheers a Detroit. In Europa, uno degli esperimenti recenti più interessanti è quello che vede protagonisti i Paesi Baschi. Complice anche il vivo spirito autonomista della regione, dall’anno prossimo il territorio potrebbe dotarsi degli Eusko: «Sarà una moneta locale basata sulla parità con l’euro – ha spiegato alla testata La République des Pyrénées Benoit Egloff, uno degli ideatori – e sarà utilizzabile nella rete degli aderenti locali. Lo spunto è stato tratto dal Chiemgauer, moneta adottata nella comunità di Prien am Chiemsee, nella Baviera tedesca. Nella cittadina e nei dintorni, 280 mila persone hanno scambiato qualcosa come 6,18 milioni di Chiemgauer nel 2011 (pari ad altrettanti euro). E ciò ha per-

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Sul versante economico, un’eccessiva iniezione di liquidità “alternativa” nel sistema può aumentare l’inflazione messo alle associazioni locali di incassare 50 mila euro. Come? Grazie al fatto che per ciascuna operazione di cambio tra euro e moneta locale, il 3% del valore è versato obbligatoriamente a un’associazione, scelta da chi effettua la transazione». In Italia, recentemente, è stato il comune di Filettino, in provincia di Frosinone, a lanciare la propria «protesta contro le misure di austerity» a suon di moneta alternativa. Il sindaco Luca Sellari ha coniato così il Fiorito (destando scalpore per aver posto la sua effige sulle banconote), buono per effettuare acquisti nei negozi locali o per i turisti che

vogliano comprare souvenir. Similmente, a Parma il neo sindaco “grillino” Federico Pizzarotti ha profilato la possibilità di introdurre una valuta propria.

E in Sardegna, il Sardex! Ancora, in Sardegna è nato da qualche mese il Sardex, moneta virtuale basata su una sorta di baratto moderno. Ideata da quattro ragazzi di Serramanna (provincia di Medio Campidano), vuole costituire una base di liquidità circolante: i possessori non la accumulano (non esistono banche che offrano conti correnti in Sardex) e in tal modo ali-

Pagare per credere L’adesivo esibito dai negozi di Serramanna che aderiscono al circuito Sardex

mentano gli scambi commerciali locali, nei negozi associati al progetto. E gli euro vengono relegati alle spese che possono essere effettuate solo con la

moneta ufficiale (stipendi, bollette, rate dei prestiti o dei mutui). Impossibile, poi, non citare gli Scec, acronimo di Solidarietà ChE Cammina (www.scecservice.org), idea nata a Napoli e utilizzata ormai in Italia da 15 mila persone e 30 mila tra negozi, liberi professionisti e piccole imprese. Si tratta di buoni sconto, valutati un euro ciascuno, che vengono utilizzati “insieme” agli euro: un bene può essere comprato, ad esempio, pagando 8 euro in contanti e 2 in Scec. In questo modo si incentiva il commercio all’interno del cosiddetto “Arcipelago Scec”. Più “accademica” la proposta degli economisti italiani Massimo Amato e Luca Fantacci, che per conto dell’ex sindaco della città francese di Nantes, Jean Marc Ayrault (attuale primo ministro transalpino), hanno studiato il “Bonus”, divisa complementare all’euro, sul modello di un’altra esperienza, nata nella svizzera Basilea nel 1934. Si tratta di un sistema di credito cooperativo tra aziende, finalizzato anche in questo caso a rafforzare l’economia locale: «Un modo per lavorare gli uni per gli altri. Per “ringraziarsi” tra concittadini, proprio oggi che le monete rischiano di disintegrare le comunità», ha spiegato Amato, presentando il progetto.

Solo la Cina guadagna terreno

Anche il dollaro piange, l’alternativa è lo yuan La base non già del successo, bensì dell’esistenza stessa di una moneta, è cementata nella fiducia. A “credere” nel valore altrimenti nullo di monete di metallo e banconote di carta devono essere le istituzioni, i mercati, i partner internazionali. E, ovviamente, la popolazione. Partendo da questo presupposto, la crisi dell’euro non può essere “minimizzata” puntando il dito solo contro la crisi finanziaria globale, contro la bulimia delle grandi banche, la spregiudicatezza dei fondi d’investimento o il cinismo degli speculatori. Ciò che ha messo, sta mettendo, e se non si cambierà rotta continuerà a mettere in crisi la moneta unica dell’Unione europea è solo non è mai diventata un’Europa anche la mancanza di “forza politica” “politica”, ma neppure un’Europa compiutamente “economica”. Il mandelle istituzioni che la governano. Molti osservatori indicano da an- dato conferito alla Banca centrale euni la debolezza dell’euro proprio nel- ropea è solamente parziale (essa non le scelte che ne governarono la nasci- può, ad esempio, prestare capitali dita. L’Europa “monetaria”, è noto, non rettamente agli stati, come fanno tut-

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te le altre banche centrali, e per questo è costretta a “regalarli” alle banche, al tasso stra-agevolato dell’1%, nella speranza che arrivino all’economia reale). L’europarlamento, inoltre, ha sì più poteri di vent’anni fa, ma il centro decisionale ultimo dell’Ue re-


monete locali

Inflazione e falsificazione Fin qui i pro. Ma quali sono i rischi? Innanzitutto, da un punto di vista economico, un’eccessiva iniezione di liquidità “alternativa” nel sistema può potenzialmente provocare un’impennata dell’inflazione. C’è chi adombra poi rischi di protezionismo e di esclusione per chi non appartiene ai territori di circolazione delle valute complementari. Inoltre esistono preoccupazioni legate alla sicurezza: le monete locali sono solitamente più facili da falsificare e da spacciare come autentiche; un fattore che può crescere proporzionalmente a diffusione e successo di ogni iniziativa. Proprio per avere successo ed evitare storture, tali valute devono mantenere la loro natura originaria: quella di strumento, anziché di obiettivo. Radicandosi nel territorio, favorendo l’economia locale, basandosi sui concetti di cooperazione e fiducia. D’altra parte, come scriveva l’economista John Maynard Keynes, «non è facile per gli uomini capire che le loro monete non sono che un semplice intermediario privo di significato in sé, che passa di mano in mano, ricevuto e poi speso, e che una volta finito il suo lavoro sparisce dalle tasche dei ricchi, così come in quelle delle nazioni, delle comunità, di ciascuno di noi».

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L’economista

«Crimine e falsi... nell’orticello. I rischi non vanno sottovalutati» «Con le monete complementari si ottengono dei benefici, ma si rischia anche. Di certo, non possiamo considerarle la soluzione ai problemi economici del paese...». Piero Alessandrini (nella foto), ordinario di politica monetaria all’università di Ancona, non si dichiara contrario alle esperienze di monete complementari. Ma ne evidenzia i pericoli. Professore, il gioco non vale la candela? Tutto sommato no. O, meglio, se l’obiettivo è alimentare i mercati locali, dare fiato alle piccolissimo imprese, alle botteghe di un paesino, allora le valute complementari possono essere uno strumento interessante. In tempo di crisi può essere utile... Certamente. Ma non supereremo di certo così i problemi a livello nazionale. Quali rischi vede nell’uso di strumenti affiancati all’euro? Innanzitutto ci sono problemi legati alla criminalità. Il crimine cerca di controllare le economie locali e di far sparire ciò che è controllabile. Le monete alternative sono meno sicure di quelle ufficiali, più a rischio di falsificazione. E inoltre sono di fatto offshore: non vengono controllate dalle istituzioni. In termini economici, poi, sono strumenti limitati. Perché? Perché devono comunque collegarsi alle monete ufficiali. Nessuna comunità può considerarsi autosufficiente, a meno che non si voglia vivere come quaccheri... Tutti hanno bisogno di servizi esterni, che si pagano in euro. Nel caso dei buoni pasto, i ristoratori poi li incassano in euro. Magari si ridurrebbero un po’ i consumi... Intendiamoci: io sono assolutamente favorevole a incentivare le colture a chilometro zero, o a ridimensionare gli eccessi... Appunto: una moneta locale può favorire una sorta di decrescita... Ma la decrescita va governata dalle istituzioni, altrimenti rischia di diventare regressione. La riduzione dei consumi, ad esempio, è una strada che è giusto percorrere, ma evitando che siano i cittadini “normali”, o peggio ancora poveri, a doversi ridimensionare. È chi ha la pancia piena che deve mettersi a dieta.

sta il Consiglio dei ministri, ovvero i singoli governi. Per questo anche gli “euroscettici” oggi cominciano a parlare di politiche economiche, se non comuni, per lo meno coordinate. Sempre che non sia troppo tardi, perché l’euro rischia davvero di

Qui il ragionamento si fa politico... Prendiamo i rischi di protezionismo legati all’introduzione delle monete complementari: chi sta fuori dal circuito, non potrebbe accedere ai benefici. È chiaro che il passo dall’alimentare l’economia locale al protezionismo e all’isolamento può essere molto breve. E chiudendosi nel proprio orticello, diciamo la verità, si rischia di diventare un po’ leghisti... luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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tabella 1 La crescita degli investimenti internazionali cinesi (in miliardi di dollari)

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

281

413

640

1.188

1.494

1.511

1.791

FONTE: The Renminbi’s Role in the Global Monetary System, Brookings Institute, 2012

affondare sotto il peso dei crolli della Grecia e della Spagna, che hanno seguito i terremoti economici di Irlanda e Portogallo. Basti pensare che, compresi i 100 miliardi di euro concessi a metà giugno al governo di Madrid, il costo totale dei salvataggi negli ultimi anni è stato di 503 miliardi di euro. Ai quali andrebbero aggiunti altri 100 miliardi di “sconto” sul debito concessi ad Atene. Una cifra spaventosa: una “normale” manovra economica, per una nazione come l’Italia, è di 15-20 miliardi.

A Londra, obbligazioni in yuan Ma l’euro non è la sola moneta a subire con forza le conseguenze della crisi. Il dollaro americano sembra ad esempio al centro di un inizio di rimescolamento delle carte nel sistema monetario internazionale. Dal 2001 al 2010 (vedi tabella 2), il volume degli scambi globali effettuati per mezzo del biglietto verde è sceso infatti continuamente. Andamento simile a quelli registrati dallo yen giapponese e dalla sterlina inglese. Tale dinamica è legata a filo doppio al boom economico dei paesi emergenti. Così, sebbene le quote di mercato siano ancora limitate, crescono (anche esponenzialmente) le transazioni effettuate in rupie indiane, in rubli russi, in yuan cinesi. Soprattutto Pechino sembra essere la più attiva nel tentativo di intaccare lo strapotere del dollaro. L’obiettivo delle autorità del gigante asiatico è di imporre sempre più lo yuan come moneta “internazionale”. Sfruttando la propria forza economica di principale esportatore del mondo e i crescenti investimenti internazionali (vedi tabella 1). Così, proprio nei mesi scorsi, l’istituto di credito britannico Hsbc ha emesso a Londra le prime obbligazioni in yuan al di fuori del

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tabella 2 Distribuzione degli scambi globali per valuta (sommando altre divise oltre alle prime, riportate nella tabella, si arriva al totale del 200%, dal momento che in ciascuna transazione sono coinvolte due monete)

1998

2001

2004

2007

2010

Dollaro (Usa) 86,8 Euro Yen (Giappone) 21,7 Sterlina (GB) 11 Franco (Svizzera) 7,1 Rupia (India) 0,1 Rublo (Russia) 0,3 Yuan (Cina) 0 Real (Brasile) 0,2

89,9 37,9 23,5 13 6 0,2 0,3 0 0,5

88 37,4 20,8 16,5 6 0,3 0,6 0,1 0,3

85,6 37 17,2 14,9 6,8 0,7 0,7 0,5 0,4

84,9 39,1 19 12,9 6,4 0,9 0,9 0,9 0,7

FONTE: Banca dei regolamenti internazionali

territorio cinese. Operazione avallata dal governo del Regno Unito, che punta a fare della City un importante centro di scambio di prodotti finanziari in valuta asiatica. «È una nuova tappa nel processo di sviluppo di Londra come prima piazza di compravendita per lo yuan, e un segnale dell’enorme potenziale che questo mercato rappresenta», ha commentato all’agenzia France Press Stuart Gulliver, direttore generale della banca inglese.

Un altro “fronte”, poi, il dollaro lo ha visto aprirsi in America Latina. Dove, in molti paesi, il dollaro è più o meno tacitamente la valuta di riferimento (perfino nella comunista Cuba circolano montagne di biglietti verdi). Ma per contrastare il fenomeno, nel dicembre 2008 è stata lanciata l’Alba (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América), intesa inter-governamentale che ha portato all’introduzione di una nuova moneta, denominata sucre. In questo caso si tratta di denaro “virtuale”, ovvero che non viene stampato dalle zecche, ma col quale si vorrebbe sostituire il dollaro in tutti gli scambi commerciali operati dai paesi aderenti: Antigua e Barbuda, Bolivia, Cuba, Dominica, Ecuador, Nicaragua, Saint Vincent e Grenadine e Venezuela.

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21ventunostili Il palco dell’Incontro Mondiale delle Famiglie smontato e riciclato a fini sociali. La cooperativa Kayros ne farà una struttura per minori

Il legno del Papa diventa villaggio

di Stefania Culurgioni

Travi, vetrate, pvc: i materiali del grande palco del Family 2012 diventeranno casa per ragazzi con problemi famigliari o reduci dal carcere

Ci hanno lavorato trecento operai, lo hanno montato e smontato nel giro di un giorno. Un cantiere spettacolare, che ha trasformato l’aeroporto di Bresso, alle porte di Milano, in una grande chiesa all’aperto: migliaia di sedie sistemate davanti a un altare bellissimo, ricreato a modello della Basilica di Sant’Ambrogio. E sopra, una cupola con pannelli in pvc trasparente e colorato, che rappresentavano le vetrate del Duomo. In tutto, una profondità di 30 metri, un’altezza di 22, una superficie di quasi cento metri calpestabili. Per chi l’ha visto dal vivo o per chi l’ha visto in tv, non sarà difficile scordarsi del palco del settimo Incontro Mondiale delle Famiglie, allestito per ospitare, a inizio giugno, il Santo Padre e la messa da lui celebrata, davanti a centinaia di migliaia di fedeli. Ma ora, a celebrazione finita, che cosa ne è del mega-palco? A rivelare il

destino “solidale” di cotanta struttura è don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e presidente-fondatore della comunità di accoglienza Kayros: «La Fondazione Family 2012 ha deciso di riciclare tutto quel materiale – ha spiegato – e di consegnarlo alla mia cooperativa, perché fosse riutilizzato per la costruzione di un nuovo piccolo villaggio».

Una nuova struttura Vimodrone, periferia est di Milano, via 15 Martiri, appena accanto alla (statale) Padana. È lì che, con una convenzione di comodato d’uso che dura per 15 anni, Kayros ha la sua sede principale, le altre sono a Segrate e nel capoluogo. La sede ospita 40 ragazzini che sono fuori dalla famiglia per differenti motivi: ci sono quelli che hanno commesso reati penali e sono appena usciti dal Beccaria, quelli che vivono luglio - agosto 2012 scarp de’ tenis

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situazioni di disagio familiare e sono sottratti ai genitori per essere affidati in comunità, gli adolescenti stranieri non accompagnati, quelli che fanno i viaggi della speranza da soli e devono inventarsi un modo per sopravvivere. «Noi offriamo appartamenti dove vivere, insieme a educatori, e percorsi di reinserimento – spiega don Claudio –, ma abbiamo bisogno di un nuovo spazio, di una nuova struttura, e abbiamo deciso di costruirla sempre qui, su questo terreno di Vimodrone».

I progetti per il futuro Il progetto è quello di una comunità di accoglienza con laboratori di formazione professionale –per insegnare ai ragazzi un mestiere, per farli studiare –, ma anche con sale per attività culturali e ricreative. Il tutto, su un’estensione di duemila metri quadrati. Don Claudio pensa di potercela fare a pagare tutto: «Abbiamo molti appartamenti sparsi in città per i quali paghiamo un affitto per un totale di 150 mila euro all’anno (soldi che alla Kayros arrivano in parte dai comuni che danno i ragazzini in affidamento e in parte da contributi del ministero, ndr): se dismettiamo quelli, dirottiamo i soldi al pagamento del mutuo di questa nuova costruzione». Questo, insomma, è il piano. E certamente quello che è arrivato dalla diocesi è un grosso aiuto: il materiale ligneo usato per il palco papale è di buona fattura; le travi, i blocchi dell’altare, tutto sarà riutilizzato per la nuova comunità. E poi ci sono le simil-vetrate dette Crystal, molto resistenti e decorative, quelle che decoravano la cupola. «Ci sono state regala-

Abbraccio al campione I ragazzi di Kayros insieme ad Andrea Ranocchia, difensore dell’Inter

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Bilancio sociale

L’indotto? Immagine di apertura... e 55 milioni «L’Incontro Mondiale delle Famiglie ha rappresentato per Milano una felice congiunzione fra il tema centrale dell’incontro e i tratti della cultura cittadina. Milano città ambrosiana: aperta, accogliente, attraente». Lo ha dichiarato il professor Luigi Campiglio, economista dell’Università Cattolica di Milano, che per Family 2012, la fondazione che ha curato e organizzato l’evento, ha scritto il bilancio sociale. Partendo dalle voci di spesa, che si sono attestate intorno ai 10 milioni di euro fra preparazione remota, realizzazione degli eventi e struttura organizzativa, Luigi Campiglio, ha posto l’attenzione sulle ricadute economiche dell’arrivo di un milione di pellegrini, oltre che sui lavori diretti e i rapporti con le imprese innescati dall’Incontro Mondiale delle Famiglie: «Per l’arrivo di un milione di pellegrini, fra spese di vitto, alloggio e trasporto, abbiamo

stimato un indotto economico di circa 55 milioni di euro». Oltre al ritorno economico, per la città di Milano il guadagno è consistito anche nella possibilità di promuoversi: i partecipanti stranieri hanno potuto cogliere e riportare nel loro paese i tratti qualificanti della cultura ambrosiana. L’Incontro mondiale (nella foto, i suoi stand alla Fiera di Milano) ha rappresentato per Milano una felice congiunzione fra il tema centrale dell’Incontro – la famiglia, la festa, il lavoro – e i tratti della cultura cittadina. I pellegrini saranno messaggeri nel mondo di Milano, come città aperta al cambiamento, accogliente sul piano della solidarietà, del volontariato, dell’imprenditorialità sociale, attraente per le opportunità offerte a chi, italiano o straniero, è disposto a impegnarsi a fondo per realizzare un futuro migliore».

te anche quelle e lanciamo un appello a tutti: dateci suggerimenti su come impiegarle nel modo migliore!», sorride don Burgio. Nella nuova comunità che sorgerà a Vimodrone ci sarà anche una cucina che sarà usata come spazio di formazione per un laboratorio di pasticceria. Il nome sarà Dolci Evasioni, perché sarà destinata alla formazione

dei ragazzi che escono dal Beccaria. «Noi accogliamo tutti anche per situazioni di emergenza – conclude don Claudio –; anche chi commette reati è inserito da noi in misura cautelare in attesa di processo, o in regime di messa alla prova per riabilitarsi socialmente». E cosa c’è di meglio, per mettersi alle spalle un passato amaro, che cucinarsi un dolce futuro?

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21ventunostorie La Paranza: dalla storia il lavoro, alternativa al crimine

Bellezza salva Sanità, si rinasce dalle catacombe

Archivio della generatività italiana Info www.generativita.it

di Barbara Garavaglia

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Gli studiosi dicono che per uscire dalla crisi occorre ritrovare il coraggio dell’intrapresa, declinandolo in maniera moderna. Cioè coinvolgendo i molteplici “capitali” comunitari (umano, relazionale, sociale, economico). Questo suggeriscono, fra l’altro, le esperienze raccontate dall’Archivio della generatività italiana, progettato dall’Istituto Luigi Sturzo e dall’Almed (Alta scuola in media) dell’Università Cattolica. Esperienze che hanno saputo reinventare la tradizione, hanno prodotto valori e significati, hanno saputo affrontare le sfide della contemporaneità in modo generativo. Di benessere condiviso, solidarietà, coesione sociale. Scarp vi racconta le più significative

EL RIONE SANITÀ, il rapporto con la morte è parte della realtà quotidiana. Lo testimoniano le antiche catacombe. Ma i cristiani credono alla resurrezione e quindi la morte, e tutte le economie di morte, non possono avere l’ultima parola. Nel rione Sanità, l’arte è un patrimonio e una risorsa. Che può mettere in gioco potenzialità inaspettate. Così come una grande risorsa sono i giovani, troppo spesso attirati in attività che si collocano oltre il limite della legalità. Ma bisogna crederci, occorre essere un po’ sognatori e visionari. O forse sarebbe meglio dire profetici. Don Antonio Loffredo ha creduto che esistesse una speranza, una prospettiva positiva. E in questa “periferia nel cuore della città”, come egli stesso la definisce, ha realizzato molti progetti che incarnano il sogno di offrire rispose chiare all’“economia criminale”. Nel rione dove nacque Totò, don Loffredo ha visto un eccezionale patrimonio artistico e storico rischiare di scomparire a causa di degrado e dimenticanza. E ha visto un altro eccezionale patrimonio, costituito da decine di giovani disoccupati. Non è facile la vita, alla Sanità; la gente è ricca di umanità, il quartiere è affascinante, in bilico, come sottolinea il parroco, «tra umile e sublime». E certamente l’isolamento dal resto della città ha inasprito le difficoltà. Il parroco si è dunque domandato come aprire al resto del mondo lo scrigno della Sanità. Come valorizzarne il patrimonio storico-artistico. Anzitutto rendendo accessibili monumenti chiusi da decenni, come la basilica di san Gennaro extra moenia, e creando un nuovo ingresso alle catacombe di San Gennaro e San Gaudioso. La storia e l’arte, ingredienti per rivitalizzare il quartiere: per realizzare il progetto, è stata creata La Paranza, cooperativa sociale di giovani, formatisi attorno a risorse storico-artistiche, di conseguenza economiche. Poi, con il tempo, altre cooperative sono state attivate. I ragazzi del rione si sono messi all’opera come guide, come fabbri, realizzando un bed & breakfast. Nel rione è stato creato uno spazio verde aperto ai bambini, uno spazio di aggregazione giovanile, realtà che si occupano di studenti e donne, un ensemble musicale composta da bambini e ragazzi. Il sogno di don Antonio ha trovato sintonie con altri elementi della comunità locale, artisti e imprenditori privati. Il parroco chiosa Dostoevskij: «Solo la bellezza salverà il mondo. E anche Sanità». E immagina il futuro del quartiere nel segno della luce e dell’apertura, lenta ma costante, verso l’esterno. Si augura che molti monumenti oggi non fruibili possano essere visitati, escano alla luce. Già, perché don Antonio e i suoi ragazzi sono «nemici di coloro che raccontano solo le ombre della realtà. Sogno la Sanità come un quartiere tante volte visitato e non più violentato, tante volte conosciuto e insieme amato». Guardando ai giovani, che a volte camminano sul confine della legalità, il pensiero di don Loffredo è chiaro: c’è un “imprevedibile” che può vincere ogni “inevitabile”. Anche in un rione periferico, nel cuore di Napoli, dove le catacombe possono diventare strumento di vita, anziché testimonianza di morte.

Una periferia nel cuore di Napoli: in molti oltre la legalità. Ma i sogni di un parroco aprono nuovi percorsi: «L’imprevedibile vince l’inevitabile»

COOP. SOCIALE ONLUS "LA PARANZA" Tondo Capodimonte, 13 80136 Napoli Tel +39 081 7443714 www.catacombedinapoli.it

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ventun righe

di Fabio Pizzul consigliere regionale Lombardia ex presidente Azione Cattolica Ambrosiana

La famiglia, risorsa contro il declino L’eredità del Family 2012? Preziosa per i credenti. Ma anche per tutti i cittadini. Con implicazioni anche sul piano della visione della società e dell’economia. Ecco alcuni spunti. 1. Il nostro tempo ha ancora bisogno di simboli e momenti unificanti. Il Papa e gli eventi che hanno accompagnato la sua visita lo testimoniano con chiarezza. In momenti in cui tutto sembra individualizzato e frantumato, c’é sete di idenificazione e condivisione simbolica non effimera. 2. La famiglia resta un riferimento per tutti. Luogo di relazioni cruciali, base del vivere comune. Va riproposta come strada bella e possibile. Compito culturale e pastorale, prima che politico. 3. La famiglia non va strumentalizzata o utilizzata come argomento per creare consenso, ma riconosciuta come ricchezza. Occorre eliminare gli ostacoli che si trovano di fronte a chi intende creare la famiglia. Non servono privilegi, basterebbe non ci fossero penalizzazioni. 4. Milano e i milanesi (e tutti i lombardi) rispondono adeguatamente quando sono chiamati a mettersi in gioco per sfide grandi. I nemici più grandi per Milano e la Lombardia sono la mediocrità e l’assenza di sfide (o sogni) impegnative. Ciascuno é disposto a fare il suo piccolo sacrificio, se lo vede collocato in un progetto grande e condiviso. 5. Non dobbiamo rassegnaci al declino. Possiamo recuperare risorse insospettate anche laddove tutto sembra fermo. Possiamo creare valore e lavoro se non ci limitiamo a difendere gelosamente quanto abbiamo, ma ci mettiamo in un’ottica di relazione e apertura. La politica non deve garantire privilegi, ma sostenere e promuovere opportunità. 6. É urgente recuperare la capacità di far festa assieme, di sorridere per qualcosa di cui tutti possiamo essere contenti, di gioire per quello che riusciamo a costruire assieme. Bisogna riscoprire o ricostruire una sorta di pedagogia sociale della festa.

68. scarp de’ tenis luglio - agosto 2012


lo scaffale

Le dritte di Yamada Seduto in quel caffé, io non pensavo a te Guardavo il mondo che, girava intorno a me... ...e a una madeleine, che avevo appena preso da un sottile piattino bianco, vicino a una tazza di thé. Milano Spazzatura, Un dolcino dorato e perfetto, una magicherìa che – brucia cioè uomini di mafie come tutti speravo tanto – mi avrebbe portato da qualche parte, al primo morso. Addento: la morbidezza mi vince, Milano brucia. Matteo Donati l’“intorno” comincia a girare e il suo spettro colorato Brucia nel fuoco è responsabile produce una risultante bianca e luminosa che della malavita del centro m’avvolge. Sono dentro una canzone, dentro la prima organizzata. Brucia d’ascolto della assieme a quella Caritas diocesana canzone che ricordo: Hey Jude dei Beatles. palestra divorata di Pesaro. Di Hey Jude ho proprio stampato nella memoria l’efdalle fiamme. Attraverso la sua fetto ipnotico che mi aveva assestato la sua meravigliosa Brucia come i piedi esperienza di “coda” di quattro minuti, spalancandomi il cuore. Zoodel santo scalzo operatore sociale, mando il cuore spalancato, noteremmo la circolazione che dal tetto ha raccontato le urla la follia della viscere della sua venosa e quella arteriosa irrorare un paesaggio surreale gente. Brucia città con l’intento esondante girasoli, stelle, draghi, ombrelli, e la faccia come i negozi che di mostrarne greve e iconica di un sole a glassare il tutto: insomma si sono negati. la basùra. Ossia un piccolo pianeta nato dai “semi dell’amore” e abitato Come i volti la spazzatura: dai Tears for Fears, che sbucano dalla famosissima deformi di coloro persone che per che sanno, e i più disparati copertina di The Seeds of Love, “targato” 1989. tacciono. Dopo motivi si ritrovano L’inno sonico di questo piccolo astro è Advice for the l'Alveare, Giuseppe a vivere per strada, Young at Heart. Una notte di tanti anni fa, alla radio, Catozzella riprende chiedendo avevo sentito che questa canzone non avrebbe certo il discorso sulla l’elemosina sfigurato nel Voyager Golden Record insieme a una selemalavita all’uscita dal organizzata a supermercato, zione di altre musiche (Bach, Chuck Berry – ! –, Mozart, Milano, sempre o ritrovandosi Beethoven, Stravinsky) e suoni del mondo, allo scopo di meno manifesta, prigionieri di droga raccontare ad altre forme di vita extraterrestri la nostra sempre più e alcol. Arrivando terrestre civiltà. E allora, io quasi quasi prendo un foglio, invasiva e feroce. a toccare la disegno un razzo di quelli con gli oblò e vi carico su tutti spazzatura dei Giuseppe nostri cuori. (stavolta della cagnetta Laika ci portiamo solo la foto, cui Catozzella indirizzare baci, se ci mancherà). Fuego Matteo Donati Partiamo con un’enorme scia di fuoco e, un metro al Feltrinelli Editore Cronache da secondo, saliamo nel cielo trapunto di stelle. Nel bludimensioni file: basùra. nero interplanetario vediamo fluttuare lunghi fili scuri 2002 KB – formato Emi editore kindle euro 0,99 euro 9 che acchiappano il nostro razzo: sono tentacoli che emanano suoni e s’infiltrano dalle pareti porose della navicella. Tentacoli che suonano, tendo l’orecchio: ma sì! È LoveSong dei Cure. L’avrete capito che siamo finiti tra i capelli neri e a fontana di Robert Smith, e lì c’incagliamo. Il nostro razzo di carta si squaglia, e calandoci coi capelli da fiaba del leader dei Cure, alluniamo sul suo viso-pianeta, pieno di crateri neri e rossi. Fissiamo un suo occhio da cui, bizzarramente, cola e s’arricciola il pesante eyeliner, nel mezzo. Non pago, il nero del trucco scivola verso l’angolo esterno dell’occhio, trasformandolo nella copertina di una canzone che conosco, Eye in the Sky, di Alan Parsons Project. Mi ha sempre rasserenato questo pezzo, e lo fa anche stavolta, radunando ricordi e speranze che, stanotte, mi aspettano su un balconcino, nell’estate. Aspettano voi e me, con una ringhiera a cui appoggiarsi, un pensiero cui aggrapparsi, un saluto da mandare lontano, un angelo da scomodare, una birra fredda da sorseggiare, un sorriso da sbrigliare e una lacrima da rintuzzare. Ci arriva il suono di un sax, lontano e stentato: è Sergio Caputo, in pigiama, che insegue le chimere del jazz in Ho l’hobby del sassofono. Sorridiamo nel buio, c’è tempo per un ultimo pezzo: C’est le vent, Betty, dalla colonna sonora di Betty Blue. Stiamo sul balconcino ancora un po’, per vedere l’alba che arriva... cosa dite? Compilation per l’estate 2012

Mika & C., più forti del terremoto Mika è una formica di sei anni che vive a Formicopoli. Una notte la terra si muove e tutte le formiche restano senza tetto, le case e la città distrutte dal terremoto. Una favola per dire ai bambini che dal terremoto si può rinascere. Ma per farlo è meglio essere insieme, fare comunità. I diritti d'autore del libro e il ricavato della vendita sono devoluti al progetto “Per l'Abruzzo, biblioteche e ludoteche per bambini e ragazzi”. Carlo Scataglini Le formiche sono più forti del terremoto Edizioni Erickson pagine 92 euro 7


Miriguarda di Emma Neri

Volontari nei luoghi del terremoto, un sito per segnalazioni e indicazioni I Centri di servizio per il volontariato (Csv) di Modena, Ferrara, Reggio-Emilia e Rimini pubblicano on line indicazioni per coordinare gli aiuti e le persone che vogliono dare un contributo come volontari. Il sito sull'emergenza terremoto del Csv di Modena (www.terremoto.volontariamo.com) ha una sezione per capire che cosa serve davvero nei territori colpiti dal sisma e una dedicata a chi si vuole mettere a disposizione con ore di volontariato. Quanto alla presenza di volontari nei luoghi colpiti dal terremoto, il Csv di Modena raccoglie, tramite il sito, le disponibilità dei singoli cittadini per organizzare le attività future. Nel primo momento di emergenza è necessario, infatti, che ad operare siano volontari formati dalla protezione civile. INFO tel. 059.212003

Street art di Silvia Montella

conviviale accogliente. Per pensare, ballare, bere e mangiare, conoscersi e confrontarsi. Dal 1981. INFO www.cicipeciciap.org

Milano

Cultura aperta a tutti, al Castello Sforzesco Bramantino gratuito In tempi di privatizzazione dei beni pubblici, Milano va controcorrente. Al Castello Sforzesco è in programma una mostra sul Bramantino, fino al 25 settembre. La novità della mostra risiede nel fatto che è stata realizzata

Milano

Scambio di libri (in buono stato), si comincia da piccoli

Buskers Festival, tutta Europa all’edizione 25

Alla Libreria dei Ragazzi di via Tadino 53, a Milano, fino a tutto luglio ragazzi e adulti potranno portare i libri vecchi e letti (ma in buono stato), che verranno valutati da Roberto e Giovanna: al loro posto si potrà contare su un buono libri. Un modo per incentivare lo scambio dei libri e non scoraggiare i piccoli lettori in tempi di forte crisi economica. INFO 02.29533555

Il Buskers Festival di Ferrara, la più importante manifestazione di artisti di strada in Italia, compie 25 anni e per festeggiare invita tutta Europa all’edizione in programma dal 17 al 26 agosto. Quest'anno gli organizzatori hanno accettato la sfida di portare nella città estense un gruppo per ognuna delle 27 nazioni che formano l'Ue, invece di celebrare (come è stato finora) una sola nazione per volta. Ai 27 gruppi si aggiunge inoltre un ensemble, in rappresentanza di ciascuno degli altri quattro continenti. Dunque, il numero di gruppi passa dai 20 tradizionali a 31. INFO www.ferrarabuskers.com

Milano

dal comune di Milano e offerta gratuitamente ai cittadini. Bergamasco, documentato dal 1480 e morto nel 1530, Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino, deve il suo soprannome al rapporto con il marchigiano Bramante, pittore e architetto alla corte di Ludovico il Moro. Il Bramantino è il più grande artista lombardo del Rinascimento. INFO 02.88463700

Milano

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“Vecchie ragazze”, un luogo al femminile per divertirsi e discutere Una sede nuova, progetti nuovi: le “vecchie ragazze” di Cicip&Ciciap continuano con la loro idea forte di aggregazione femminile, comprensiva di differenze di età, etnia, scelte politiche e orientamento sessuale. Nel cuore della vecchia Milano il Cicip&Ciciap rappresenta un’opportunità unica, per tutte le donne che desiderino parlare, parlarsi, scambiarsi pensieri e punti di vista su se stesse e sul proprio rapporto con il mondo. È un luogo

Milano per i bambini, il blog aiuta persino a cercare la tata... Un sito pensato per i genitori che lavorano e fanno acrobazie per conciliare tutto: casa, lavoro, famiglia, interessi. Il blog Milanoperibambini.it nasce dall’esperienza di alcune mamme e ha lo scopo di raccogliere in maniera esaustiva tutto ciò che succede nel pianeta dell’infanzia a Milano. Appuntamenti, corsi, tempo libero, scuola, libri, e un nuovo servizio a costo zero per le socie (tessera a 15 euro) che aiuta a trovare una tata affidabile in città. Infatti, il servizio mette in contatto le mamme che


caleidoscopio hanno bisogno di aiuto per qualche ora con donne dallo spirito materno, disponibili a fare da baby sitter. INFO www.milanoperibambini.it

On

Torino

Manifattura Tabacchi, proposte culturali dove era abbandono Fino al 22 luglio la Manifattura Tabacchi (Corso Regio Parco 134/a), fabbrica parzialmente dismessa e diventata luogo di abbandono e marginalità, si anima con mostre, cinema, musica, teatro, incontri. Sarà un polo culturale capace di offrire una proposta di spessore, anche se a termine: l’iniziativa è resa possibile dal coinvolgimento di molte realtà che operano nel territorio. Due le mostre ospitate negli spazi temporanei: la personale di Hasan Elahi (The Orwell Project) e Terre Gaste (cinque fotografi sulle rive della città: Federico Botta, Fabrizio Esposito, Rosalia Filippetti, Gianni Fioccardi, Giulio Lapone). La programmazione, insomma, coniuga globale e locale: Hasan Elahi, artista del Bangladesh, da anni vive negli Stati Uniti e a Torino presenta il suo innovativo progetto multimediale. Più legata al territorio invece “Terre Gaste”: cinque fotografi ritraggono le sponde del torrente Stura di Torino come una terra di nessuno, dove la natura conserva il suo corso fra orti urbani, baracche di lamiera e cartone e storie di uomini e vita. INFO ladiesbela@yahoo.it

Genova

L’estate di Villa Bombrini, in un contesto restituito alla città Prosegue sino all’8 settembre la rassegna “Estate a Villa Bombrini”, nell’omonimo parco di Genova Cornigliano: all’interno di questo appuntamento, ormai immancabile per il Ponente genovese, si susseguiranno oltre 50 giorni di musica, teatro, spettacoli di artisti di strada e per bambini, dibattiti. Il valore aggiunto dell’iniziativa risiede nel fatto che questa era una zona ex industriale, fortemente degradata, oggi in pieno recupero socio-urbanistico. INFO www.percornigliano.it

Genova

Mario Dondero “Dalla parte dell’uomo”, foto da antologica Milanese, classe 1928, Mario Dondero ha raccontato attraverso la fotografia la storia contemporanea. Scelse da subito la fotografia sociale: conflitti sociali, guerre, avvenimenti internazionali. Dondero rimane nell’immaginario collettivo soprattutto per lo scatto che immortala il crollo del Muro di Berlino. Il suo maestro è Robert Capa. Ora Palazzo Ducale gli dedica ora un’antologica, “Dalla parte dell’uomo”, fino al 19 agosto. Fotografie note e inedite, derivanti da reportage realizzati in ogni parte del mondo, e ancora ritratti di artisti, di letterati, insieme agli scatti che ripropongono momenti storici in varie città d’Europa e i volti di gente comune. Un'occasione unica per ripercorrere il lavoro di Dondero: 50 anni di viaggi, impegno civile e sociale. INFO www.palazzoducale.genova.it

Savona

Teatro in piazzetta, al festival è tempo di commedia Torna l’appuntamento con il festival teatrale di Borgio Verezzi (Sv), ormai diventato un evento caratteristico e prestigioso, ambientato nella piccola e suggestiva piazza Sant’Agostino. Otto prime nazionali, per un totale di ventuno serate di spettacolo: fino al 10 agosto, 46ª edizione. Quest’anno si va dai classici ai testi contemporanei privilegiando, forse per via dei tempi che corrono, la commedia sulla tragedia. Ecco allora che sul palco di Borgio Verezzi si alternano momenti farseschi e giocosi, situazioni comiche e tragicomiche. INFO www.festivalverezzi.it

I giovani aiutano i giovani, un progetto con i social network In Toscana sta per partire Social Net Skills, un programma interregionale, di cui la Toscana è capofila, finanziato dal ministero della salute con 400 mila euro. Le altre regioni che partecipano sono Lombardia, Liguria, Puglia, Lazio, Umbria, Emilia Romagna e Campania. Il progetto, della durata di due anni, prevede l’attivazione di percorsi di auto-aiuto e counseling online sui social network: Facebook, Google, Twitter, YouTube, Pinterest. A chattare, o comunicare on line o via Skype con i coetanei, saranno ragazzi sotto i vent’anni, opportunamente formati, con il supporto di psicologi, medici ed esperti di comunicazione.

Off Senza fondi la vita dei disabili non è più autosufficiente Con la legge 162/98 il parlamento sancì per la prima volta il diritto alla vita indipendente per le persone con disabilità. Grazie alla normativa, migliaia di persone hanno potuto condurre un’esistenza dignitosa, con buoni livelli di integrazione sociale e lavorativa. Oggi tutto questo rischia di sparire. I tagli ai trasferimenti agli enti locali e il taglio dell’87% dei fondi per le politiche sociali hanno prodotto uno tsunami che sta colpendo i comuni. Ledha, la lega per i diritti delle persone con disabilità, nell’ambito della campagna "No ai tagli! Sì alla vita indipendente e all’inclusione nella società” ha voluto raccogliere e divulgare le testimonianze di quattro persone con disabilità, per raccontare una quotidianità sconosciuta a tanti: ne è nato un reportage, visibile sul sito www.personecondisabilita.it. Racconti di vita indipendente documenta sogni, speranze, progetti, ama anche frustrazioni e paure relative a un futuro ormai prossimo, attraverso la viva voce dei protagonisti.

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sei domande a... Paola Turci di Danilo Angelelli

«La musica è omologata, ogni storia è un cammino» Da Sanremo ad Haiti. Dai bambini «armati e disarmati» che cantò ventiquattrenne al Festival del 1989, a quelli incontrati nelle strade di Port-au-Prince che le «chiedono l’acqua». In mezzo, tanta vita mescolata alla musica, tante occasioni per scendere in piazza e dire la propria, tanti viaggi nel Sud del mondo. Sud assai presente nell’ultimo disco di Paola Turci, Le storie degli altri: nove canzoni, nove fotografie a colori vividi sulla realtà che ci circonda. Chi sono gli altri, per Paola Turci? Uno che poi diventa un altro e un altro ancora. Non un pubblico, non una massa informe. In questo disco fotografo la persona, l’essere umano. Soprattutto quello che occupa l’ultimo posto della fila.

Paola, tra rock e solidarietà Paola Turci e (sopra) la copertina del suo nuovo album, Le storie degli altri. Nata a Roma 48 anni fa, ha esordito a metà degli anni Ottanta. Cantautrice, intensa “vocazione” rock, da sempre è sensibile ai temi sociali

Nella canzone I colori cambiano sostiene che ogni incontro ha bisogno di ascolto, cammino e memoria... Quali incontri hanno contribuito a maturare questo pensiero? L’incontro con Alessandra, malata terminale di Aids, ospite in un centro delle suore di madre Teresa. Quello con un’altra ragazza, a Malindi: distesa in mezzo alla strada, voleva suicidarsi perché non aveva né lavoro né affetti.

In Devi andartene il riferimento a Berlusconi è chiaro. Cosa pensa di chi è gli è subentrato? La canzone si riferisce a chi ha esercitato il potere con arroganza e menefreghismo, a chi ci ha fatto vivere in una situazione pericolosa, di cui paghiamo le conseguenze. Oggi, nonostante tutto, si sta scrivendo una pagina nuova, molto più chiara. Però le prime scelte dell’attuale governo sono scollegate da chi fa fatica ad andare avanti. Le manovre economiche si fanno sui grandi numeri, ma come cittadina vedo uno squilibrio pesantissimo: chi è ricco non sente la crisi, il disoccupato e il pensionato la sentono troppo. Il disco parla anche di immigrazione. Quanto è importante capirla, per conoscere il mondo di oggi? Il tema oggi è centrale, simbolico, rappresenta il modo di stare al mondo, misura il nostro grado di cultura e conoscenza, è un’occasione per renderci conto se la storia l’abbiamo dimenticata. Come ci saremmo sentiti, quando eravamo noi italiani a emigrare, se ci avessero chiamato clandestini? Ci apostrofavano anche peggio, ma la parola “clandestino” è legalizzata. Il tempo che viviamo valorizza o mortifica l’artista che coniuga musica e impegno civile? La musica si è formattata sull’intrattenimento, si è omologata per paura di perdere pubblico. Eppure la musica dice, non è un sottofondo. Io quando ascolto una canzone mi fermo. Ho sempre fatto musica puntando sulle mie sensazioni a 360 gradi, non solo su quelle amorose. E mi sento a disagio quando mi definiscono “cantante impegnata”: sono parte di questa società, è naturale cantare considerando la politica, la realtà che vivo. Si è sposata ad Haiti nel 2010, sei mesi dopo il devastante terremoto. Perché? L’idea non è nata sulle ceneri del terremoto. Già ero stata ad Haiti, poi dopo il sisma ho partecipato alle attività della Fondazione Francesca Rava. Ho visto il prima e il dopo: la differenza è data dai cumuli di macerie, ma la povertà è sempre stata immensa. A Port-au-Prince i bambini per strada non chiedono un soldino, ma un bicchiere d’acqua! Io e mio marito desideravamo sposarci ad Haiti anche perché lì c’è padre Rick Frechette, dell’organizzazione Nuestros Pequeños Hermanos. E soprattutto perché è un luogo dove sembra che l’amore e la vita siano stati cancellati. Eppure ci sono, nonostante tutto. Noi volevamo celebrarli.

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caleidoscopio Vicenza

Domani è già qui! Giovani all’Aquila, oltre il terremoto Come si vive all’Aquila dopo il terremoto del 2009? L’emergenza è finita, ma la normalità è ancora lontana. E la crisi economica non aiuta. In base a queste premesse, la Caritas di Vicenza ha deciso di inviare forze giovani (e volontarie) ad animare e conoscere le realtà vitali della bella città abruzzese. L’iniziativa “Domani è già qui!” invita tutti i giovani dai 17 ai 27 anni ad andare all’Aquila per una settimana di condivisione con i giovani abruzzesi, per capire, attraverso le testimonianze e i percorsi di vita attuali, come si vive oggi. E progettare insieme nuovi percorsi. Il campo ha un costo di 150 euro. INFO www.caritas.vicenza.it

2012. È il primo festival in Europa dedicato alla creatività e ai processi creativi. L’evento, nato da un’idea di Giulia Cogoli, chiama a raccolta filosofi, scienziati, scrittori, artisti, musicisti, psicoanalisti, storici, attori e registi, italiani e stranieri, che hanno avviato riflessioni originali sulla natura e le caratteristiche di una delle più apprezzate tra le capacità umane. Il programma (80 eventi) ha come cornice il cuore storico della città: conferenze, letture, spettacoli e performance e workshop, per stimolare le menti e la creatività, anche dei più piccoli. Ai relatori viene chiesto di raccontare in un intervento, workshop, laboratorio o spettacolo, non solo il cosa, ma soprattutto il come e il perché del loro lavoro e percorso creativo. INFO www.festivaldellamente.it

Salerno

Giffoni Film Festival, pellicole per minori il cinema è felicità

Sarzana

Creatività, come nasce? Festival della Mente, 80 eventi e tanti stimoli Il “Festival della Mente” è alla sua nona edizione: si svolgerà a Sarzana (Sp) dal 31 agosto al 2 settembre

Si terrà dal 14 al 24 luglio la 42ª edizione del Giffoni Film Festival, il festival cinematografico per ragazzi più famoso al mondo, che si svolge nell'omonima cittadina dei Monti Picentini, a pochi chilometri da Salerno. Il tema delle pellicole di quest'anno sarà la felicità. Il festival proietterà cortometraggi animati per i giurati dai 3 ai 5 anni e poi sezioni di film per le

Pillole senza dimora Sempre più giovani in strada nella civile Inghilterra Anche in Inghilterra suona l’allarme riguardo al numero degli homeless. Un fenomeno che Oltremanica ha assunto connotati preoccupanti. Non solo perché nel 2011 sono aumentati del 10% rispetto all’anno precedente, ma soprattutto perché questo “esercito di strada” è composto in buona parte da ragazzi tra i 18 e i 25 anni, costretti a vivere in stato di indigenza. Il fenomeno riguarda ormai oltre 80 mila giovani. Di questi, il 51% ha abbandonato precocemente gli studi e addirittura il 40% è stato vittima di abusi sessuali. Alla base di questo dramma emergente non ci sono solo la crisi economica e gli alti tassi di disoccupazione giovanile ma, rilevano i sociologi, uno specifico aspetto della società inglese, dove la famiglia stenta a svolgere il proprio di ruolo.

diverse età; i giurati saranno come sempre bambini e ragazzi dai 5 ai 18 anni. I ragazzi che formano le giurie provengono da numerosi paesi stranieri, oltre che dalle varie regioni d’Italia. INFO www.giffonifilmfestival.it

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

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street of america È finita in strada per i disturbi da stress, che colpiscono tante veterane

Deriva del soldato Jennifer, coca contro gli incubi afgani di Damiano Beltrami da New York

L’

Lieto fine Due immagini di Jennifer Crane. La sua vicenda, emblematica dei disagi psicologici e sociali vissuti da tante veterane dell’esercito Usa, per fortuna ha avuto un finale positivo: si era ridotta a chiedere l’elemosina come homeless, oggi è mamma di una bambina di 4 anni

EX SOLDATO JENNIFER CRANE RICORDA PERFETTAMENTE LA SUA NOTTE PIÙ DIFFICILE. «Speravo di

perdere i sensi e di non svegliarmi più», spiega il soldato Crane, riandando con la memoria a quella sera del novembre 2005 nella sua casa di Downingtown, un paese di ottomila abitanti, adagiato sulle pianure della Pennsylvania orientale. «Se il mio ragazzo non fosse entrato in quel momento, non so come sarebbe finita». La battaglia più dura era cominciata al rientro negli Stati Uniti, nell’ottobre 2003, dopo otto mesi di missione in Afghanistan, all’aeroporto militare di Bagram. Jennifer ra tormentata da flashback di strade con bombe pronte a saltare in aria e di colpi di mortaio dei talebani. Per settimane, aveva ingannato il tempo sdraiata sul divano fumando sigarette. E le cose sono peggiorate quando, incoraggiata dai familiari, è andata alla clinica per veterani di Coatsville, il capoluogo di contea. I medici non capirono, dice, che era traumatizzata dalla sua esperienza in Afghanistan e minimizzarono i sintomi, anche perché in fondo lei non aveva operato in zone di combattimento, ma come mediatrice con le popolazioni locali, un ruolo non considerato tra i più pericolosi. Così il soldato Crane decise di medicarsi da sola. «Ho cominciato a sniffare cocaina – racconta nel cortile di casa sua –. Mi teneva sveglia, in questo modo non dovevo più andare a dormire, con la paura di svegliarmi di soprassalto, bagnata di sudore, a causa degli incubi». Neanche due anni dopo, la tossicodipendenza aveva prosciugato tutti i risparmi e le forze del soldato Jennifer. Che si è trovata senza casa, costretta a chiedere l’elemosina. Dal 1990 a oggi, il numero delle reduci dalle guerre a stelle e strisce è passato dal 4% all’8% dell’intera popolazione dei veterani, che complessivamente è stimata sui due milioni. Quante di queste ex soldatesse siano senza dimora è difficile da stabilire. Nessuno si è preoccupato di contarle. Ma un rapporto governativo dell’Accountability Office dello scorso dicembre ha segnalato come dal 2006 al 2010 le veterane che hanno contattato i V.A. hospitals, gli ospedali convenzionati con l’esercito, sono aumentate notevolmente. Erano 1.380 nel 2006, quattro anni più tardi erano 3.328. La storia di Crane è a lieto fine. Ritornata alla clinica per veterani, le vennero diagnosticati disturbi post-traumatici da stress (Dpts), forti sofferenze psicologiche provocate dalle situazioni dolorose e particolarmente stressanti. Con molta fatica, Crane ne è uscita. Oggi, a 29 anni, è disintossicata e madre di una bambina di 4 anni. Molte altre veterane, però, sono state meno fortunate, anche per l’inadeguatezza dei servizi forniti dalle strutture ospedaliere dell’esercito, che per anni hanno sviluppato programmi di recupero incentrati sui problemi psicologici dei veterani uomini, e ancora oggi faticano a crearne di adeguati per le donne. Le donne soldato impiegate in Iraq e Afghanistan sono 230 mila: l’11% dell’esercito americano. A 12 mila sono stati diagnosticati disturbi da stress, secondo i dati del Veterans Affairs Department. Ma per le associazioni di attivisti per i diritti dei veterani, come Common Sense, le reduci con Dpts sono molte di più.

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