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numero 165 anno 17 ottobre 2012

300€

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

il mensile della strada

de’tenis www.scarpdetenis.it

ventuno Europa a pezzi, l’austerity non basta

Siamo 45 mila

Dormiamo in strada, vogliamo dignità Istat e Fio.PSD presentano il primo censimento sugli homeless in Italia. L’identikit del senza dimora: colto, giovane, separato, non è asociale. Metà sono italiani, Milano è la capitale Milano I libri di Ricky Torino Che sfida per il sociale Genova Il cinema sotto casa Vicenza Enrico voleva cantare Modena Oltre le sbarre Rimini Elena e le altre Firenze Imparare ad amare Napoli Garantire alternative Salerno Autismo, una speranza Catania Colline giovani, luogo di incontro

Ferro Comunicazionedesign

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editoriali

I senza dimora tornano visibili, avranno anche dei diritti? don Roberto Davanzo (direttore Caritas Ambrosiana)

L

a carità si può fare e si deve fare in molti modi. La storia della Chiesa sta a dimostrare come la fantasia della carità ha saputo interpretare i tempi, le circostanze, i bisogni fornendo risposte sempre nuove. Per quanti operano la carità in questa stagione di Chiesa che si caratterizza a partire dall’insegnamento del Concilio Vaticano II lo stile della carità assume dei tratti ben precisi. Tra questi quello della difesa dei diritti delle persone. Uno dei documenti più famosi del Concilio così recita: “Affinché l’esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni critica e appaia come tale (…) si abbia estremamente riguardo della libertà e della dignità della persona che riceve l'aiuto (…) e si eliminino non soltanto gli effetti ma anche le cause dei mali”. Detto in altro modo: non lottiamo contro la povertà solo mettendo delle toppe a quegli strappi che lacerano la vita delle persone, ma anche ponendo le premesse affinché i diritti fondamentali – di cui ogni essere umano è titolare – vengano effettivamente riconosciuti. Sia attraverso una legislazione capace di garantire i meno tutelati, sia attraverso azioni giudiziarie laddove per qualche motivo questi diritti fondamentali non fossero riconosciuti. Si cade in povertà per le disavventure della vita, per personali negligenze, ma anche a causa di discriminazioni che negano l’uguaglianza di ogni essere umano.

Ora finalmente l’Istat ha censito anche i senza dimora.

Si tratta di uno studio gravido di interessanti sviluppi anche sul piano del riconoscimento dei diritti. Contare, registrare è il modo con cui le società complesse guardano in faccia i propri cittadini. Che l’istituto nazionale di statistica lo abbia fatto con il popolo della strada, obbliga anche le istituzioni a prendere atto che i più emarginati, gli “ultimi” esistono al pari dei “primi” e dei “secondi”. Rendere finalmente visibili, anche solo statisticamente, quelli che a Milano la gente chiama ancora “barboni” è il primo imprescindibile passo per mettere a punto politiche di promozione sociale. Sarà ora più difficile per lo Stato e la politica girarsi dall’altra parte. C’è dunque da augurarsi che in futuro passa essere anche più facile l’azione di una associazione come quella di “Avvocati per niente” di cui parleranno le pagine interne. Avvocati che offrono il loro servizio a titolo assolutamente volontario (“per niente”), ma con l’ambizione di generare un risultato di incommensurabile valore: il riconoscimento del diritto del più debole! Consapevoli di agire su un segmento limitato di popolazione, ma altrettanto convinti del valore esemplare di certe battaglie capaci di fare cultura, di svolgere una funzione educativa sull’opinione pubblica. Ora proprio il loro impegno, che Anche l’ultimo scapolo delle redazione di Scarp de’ Tenis è stato spesso anticipatore, sarà tanto più prezioso si è arreso. Il nostro direttore Paolo Brivio si è unito in matriperché dalla “conta” dei diseredati si traggano le monio con Anna Maria Cazzato. Agli sposi gli auguri debite conseguenze. di un felice e sereno futuro insieme da tutti noi di Scarp.

Due cuori e uno Scarp

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sommario Fotoreportage

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New York, ritratti di strada p.6

Scarp Italia La ricerca

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

Come leggerci

Dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via Copernico 1, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 addettostampa@caritasfirenze.it Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarpdenapoli@virgilio.it Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

L’intervista Guariso, l’avvocato che vince le cause perse p.16

L’inchiesta/1 Gioco d’azzardo, facciamone una malattia p.20

Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà.

Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale.

Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali.

Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

Per contattarci e chiedere di vendere

Sono 45 mila i senza dimora nel nostro Paese p.12

L’inchiesta/2 Disabili in classe, la lotta per i diritti p.24

L’intervista Raul Cremona: «Ciarlatani, tutta gente onesta» p.26

Scarp città Milano I rom sono tornati. E stanno peggio p.28 L’umanità raccontata dai sedili di un taxi p.32

Como Senda dimora in mostra per Casa Ozanam p.37

Torino La Torino solidale è pronta alla sfida p.38

Genova Santa Brigida, grande schermo sotto casa p.40

Vicenza Enrico voleva cantare, ora solo dimenticare p.42

Modena Carcere S. Anna: di qua e di là dalla sbarre p.44

Rimini Elena e le altre sognano un futuro diverso p.46

Firenze Uomini maltrattanti, un centro per guarire p.48

Napoli Garantire alternative, per dare futuro p.50

Salerno Una speranza per i bambini autistici p.52

Catania Colline Giovani, un luogo di incontro p.54

Scarp ventuno Dossier Europa a pezzi, l’austerity non basta p.60

Stili Fattoria sociale, la buona terra p.66

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 17 n. 165 ottombre 2012 - costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP De’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi, Paolo Riva Hanno collaborato Aghios, Ambrogio, Mr. Armonica, Andrea Barolini, Buba, Damiano Beltrami, Simona Brambilla, Domenico Casale, Aldo Cascella, Antonella Citro, Emanuela Citterio, Salvatore Couchoud, Claudio Corso, Ausilia Costanzo, Stefania Culurgioni, Franck, Eliescu Serban Florian, Sergio Gatto, Sissi Geraci, Massimiliano Giaconella, Silvia Giavarotti, Gaetano “Toni” Grieco, Laura Guerra, Alessandra Leardini, don Angelo Lovati, C. M., Paola Malaspina, Gheorghe Mateciuc, Mary, Mirco Mazzoli, Mauro Meggiolaro, Emanuele Merafina, Beniamino Mirto, Nemesi, Emma Neri, Aida Odoardi, Marianna Palma, Daniela Palumbo, Cinzia Rasi, Paolo Riva, Cristina Salviati, Laura Solieri, Fiore Visentin, Yamada Disegno di copertina Luigi Zetti Foto Roberto Centamore, Stefano Merlini, Archivio Scarp Disegni Silva Nesi, Luigi Zetti Progetto grafico Francesco Associato all’Unione Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale Stampa di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte Periodica Italiana e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 14 ottobre al 10 novembre 2012.

Ritratti di strada La storia di Chris Arnade, banchiere di professione, e fotografo di strada per diletto, ve la raccontiamo sull’ultima pagina di questo numero di Scarp de’ tenis. In queste, invece, la vita di strada la raccontano i personaggi straordinari immortalati proprio dall’obiettivo di Chris, nel Bronx. Senza dimora, ballerine, prostitute, tossicodipendenti. Persone che raccontano, con i loro occhi e i loro sguardi, le fatiche di una vita, troppo spesso complicata.

Jackson, la regina di Heights Roosevelt Avenue. Ragazze in abiti succinti si riuniscono davanti ai loro “taxi club” o, in spagnolo, Bailadero, per attirare gli uomini. Nelle notti dei fine settimana, nelle prime ore del mattino, il marciapiede è pieno: gli uomini si muovono da un club all'altro, sperando di trovare conforto nella birra o nelle ragazze.

Jose, il trafficante Jose, 54 anni, è nato a Puerto Rico e cresciuto a Brooklyn.

Nell’esercito per sette anni, ha iniziato a fare uso di droga negli anni ‘80 mentre era di distacco in Germania. È un trafficante del quartiere nel quale vive dal 2005 come senzatetto.

6. scarp de’ tenis ottobre 2012

ritratti di strada

ottobre 2012 scarp de’ tenis

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Ritratti di strada

Sotto il ponte, con Roy Vive sotto un ponte, uno spazio cupo pieno di immondizia che arriva dall’alto, trasportata dalle piogge. Lo spazio in cui vive è una raccolta di materassi, libri, candele, che divide con 15 gatti. Racconta loro le storie del suo passato. «Ho molto da dire. Tutti hanno bisogno di sentirle».

La partita a Skully Ragazzini che giocano a “Skully” (lancio di tappi di bottiglie di bibite, birra, coca, etc, riempiti di cera, su un campo tracciato sull’asfalto con del gesso) nel quartiere di Brownsville, zona ad alto tasso di criminalità.

8. scarp de’ tenis ottobre 2012

fotoreportage

La maglietta di Eugene Eugene Capers è nato nel 1951 ad Harlem. Con un decennio militare alle spalle, è malato di schizofrenia. Passa dalla lucidità alla confusione, raccontando della paternità e del significato della sua maglietta. Ha perso i suoi familiari che non riesce più a trovare.

La famiglia di Sarah Sarah, suo marito Ramone e la loro figlia Diangela.

Dopo diverse ricadute nella droga, questa volta hanno deciso di rimanere puliti.

«Voglio andarmene da qui.

Farei qualsiasi cosa per mia figlia. Qualsiasi. Lei non merita di crescere qui, intorno a tutto questo». ottobre 2012 scarp de’ tenis

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anticamera Aforismi di Merafina IL CUORE Io abito nel tuo cuore IL GIOCO Il gioco lo conduci tu LA TAC Tac Tac! Chi è?

Sono la tac

Solidarietà Sono in Piazza Fontana, vado verso la fontanella per bere un po’ d’acqua.

La bicicletta è carica di borse e valigie, mi si sbilancia e cade e io con lei.

Tento di rialzarmi ma, alle mie spalle arriva un giovane uomo uscito dall’Albergo Rosa.

Help…Help…mi fa e mi aiuta a rialzare la bicicletta.

Grazie, grazie rispondo e intanto osservo lì davanti seduti sulla panchina, tre omaccioni che non si scompongono.

Una riflessione mi viene da fare: un gesto di solidarietà umana è dovuto alla ricchezza?

Oppure alla buona educazione che prevede che l’aiutarsi tra fratelli, figli dello stesso Dio sia fondamentale per la vita individuale e sociale dell’umanità?.

Le foglie Mentre cammino sul viale alberato mi accorgo che l’inverno si è svegliato.

La moltitudine di foglie che coprono la strada sembra un tappeto.

Mi prende un po’ di tristezza.

Ma poi arrivi tu che mi sorridi, mi prendi per mano, mi dici che sono bellissima, attorno a me milioni di colori stupendi. È come sei tu, con un tocco di magia rendi tutto meraviglioso.

Non posso restare sola, ho bisogno di te, del tuo respiro, delle tue carezze, il tuo sorriso mi scalda ed io dimentico tutto.

Ricordo solo te, solo noi e il nostro amore.

Cinzia Rasi

Non ho sonno Non ho sonno è ormai giorno.

Mio Dio, possa non assalirmi l’angoscia, in questa giornata in cui non avendo un lavoro, non mi muovo pellegrino, ma ramingo.

E’ giorno d’inverno, ed il sole sta oltre le nubi.

Anche l’amore di una donna, che ogni tanto sento di desiderare, ma solo ogni tanto, è sito in un tempo; non so se in quello trascorso, o nel misterioso futuro oppure nel mio illudermi ostinato.

Paziento fiducioso, come se smarritomi in un bosco la notte, non lasciassi all’angoscia il potere di prevalere.

Aspetterò il giorno e se necessario nell’attesa andrò oltre.

Aspetterò con speranza certa, tranquillo; anche se questa attesa dovesse essere interminabile.

Se veglierò così nei miei giorni, sarà colmo di pace e dolcezza il mio cuore, ed al sopraggiungere del mio ultimo giorno, potrei davvero non aver più timori.

Victor

Ambrogio ottobre 2012 scarp de’ tenis

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Il primo censimento delle persone senza dimora traccia un identikit a tratti inedito: oltre 45 mila gli homeless conteggiati

Povero, separato e dorme in strada Milano è la capitale dei senza dimora, seguita da Roma e Palermo.

Gli italiani sono la metà e l’età media non supera i 45 anni.

Oltre il 50 per cento è diventato senza dimora in seguito a una separazione Tanti costretti a dormire all’aperto 45.000 i senza dimora censiti dalla ricerca nel nostro Paese

45 anni l’eta media degli homeless

10%

percentuale dei senza dimora stranieri con una laurea (il 43,1% ha un diploma di scuola superiore)

Fonte: Istat - FIo.psd - mInIstero welFare - carItas ItalIana)

2,5 anni durata media della condizione di homelessness

50% di chi vive in strada è diventato senza dimora dopo una separazione coniugale

10% percentuale degli homeless che chiedono l’elemosina

90% percentuale degli homeless che è in grado di condurre relazioni sociali

70% percentuale dei senza dimora che dorme per strada o in una stazione

12. scarp de’ tenis ottobre 2012

di Ettore Sutti Quarantacinquemila anime. Quarantacinquemila motivi per chiedere nuove politiche di integrazione. Quarantacinquemila invisibili che chiedono dignità.

E un tetto sopra la testa. Tanti sono i senza dimora in Italia secondo la “Ricerca nazionale sulla condizione delle persone senza dimora” promossa da Fio.PSD (Federazione italiana organismi persone senza dimora) insieme al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas Italiana e Istat per meglio comprendere e descrivere il fenomeno della grave emarginazione adulta nel nostro Paese presentata lo scorso 9 ottobre a Roma. Ma chi sono i senza dimora? Una persona è considerata senza dimora quando versa in uno stato di pomostrazione di quanto sia difficile uscivertà materiale e immateriale, che è re da questa condizione. connotata dal forte disagio abitativo, Quello che più colpisce è che ci si cioè dall’impossibilità e/o incapacità di trova a conteggiare come homeless perprovvedere autonomamente al reperisone “normali” che hanno dovuto afmento e al mantenimento di un’abitafrontare problemi più grandi di loro. zione in senso proprio. Un individuo Non è assolutamente un caso, infatti, senza dimora, quindi, è portatore di un che i problemi familiari sono spesso l'odisagio complesso, dinamico e mulrigine del problema: più del 50% delle tiforme. La ricerca è partita dal censire persone censite, infatti, è diventato sentutte le organizzazioni che erogano alza dimora dopo una separazione coniumeno un servizio ai senza dimora per gale. Anche gli stranieri hanno peculiapoi arrivare a stilare il numero complesrità proprie: vivono da meno tempo cosivo di chi vive per strada. E l’identikit, me senza dimora e la grande maggiopur confermando alcune tendenze, riranza di loro lo sono diventati soltanto serva qualche sorpresa. qui nel nostro Paese. Tutte queste perSorprende, ad esempio, che Milano sone sono senza lavoro ma hanno la casia la “capitale italiana” della homelespacità e la volontà di lavorare. La magsness, seguita da Roma e Palermo così gioranza, poi, più del 90% è in grado di come che più della metà dei senza dicondurre relazioni normali con chi li cirmora abbia meno di 45 anni. Sorprende conda e sopravvive con pochissimo, vianche che il numero di stranieri e italiasto che meno del 10% chiede l'elemosini quasi si equivalga in strada e che tra na. La strada sembra essere per molti gli stranieri il livello di studio sia più elel’unica possibilità di sopravvivenza visto vato: quasi il 10% degli homeless strache più del 70% delle persone senza dinieri presenti in Italia è laureato e il mora dorme in strada o nelle stazioni.

43,1% ha un diploma di scuola media Per quanto riguarda i servizi solo le superiore. mense sembrano essere davvero accesConferme, invece, arrivano dalla cronisibili a tutti mentre solo un senza dimocità del problema. I senza dimora, infatra su tre ha accesso ai dormitori. Anche ti, lo sono per molto tempo: 2,5 anni è la quello alla salute è un diritto negato a durata media della condizione di hochi vive sulla strada complice anche la melessness e più del 25% degli italiani perdita della residenza anagrafica. sono in strada da 4 anni o più. Una di-

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la ricerca

Povero, separato e dorme in strada

La riflessione

Milano, città che attrae ma spesso si finisce male I numeri parlano chiaro: Milano è la “capitale” del fenomeno della grave marginalità adulta. Il numero delle persone senza dimora intercettate attraverso la ricerca – censimento promosso da fio.PSD assieme al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Caritas Italiana e Istat, risulta, nel capoluogo lombardo, il più alto di tutte le realtà cittadine censite (12 aree metropolitane, comuni sopra i 100 mila abitanti e tutti i capoluoghi di provincia). Quali possono essere le ragioni che stanno dietro a questi numeri? Se andiamo a vedere, anche sulla base dei risultati della prima fase della ricerca che ha censito i servizi per le persone senza dimora su scala nazionale, il dato dei servizi presenti a Milano, emerge un’offerta piuttosto ampia, soprattutto nelle risposte ai bisogni primari, in particolare per la storica presenza di enti del privato sociale, molti dei quali legati a realtà religiose. Un’offerta così significativa, pur a fronte di alcune carenze, soprattutto rispetto alle accoglienze notturne, sembrerebbe fare di Milano una sorta di polo d’attrazione, rispondendo non solo ai cittadini residenti ma un crescente numero di soggetti in stato di bisogno di altra provenienza. A ciò si aggiunge il dato dell’immigrazione che vede Milano e la provincia, su scala nazionale, avere la più alta concentrazione di cittadini stranieri. Nel leggere il dato di Milano, non possiamo dimenticare che il capoluogo lombardo, pur avendo perso negli anni il ruolo centrale di polo industriale, e pur con tutti i limiti aggravati dalla crisi, è a tutt’oggi considerato meta privilegiata, dagli italiani così

come dagli immigrati, per cercare un lavoro. Un lavoro che si fatica sempre più a trovare, un lavoro che spesso non è, al di là di quanto viene espresso, la necessità primaria di molte persone senza dimora, ma che, di nuovo, continua a attrarre a Milano, ingrossando poi le fila di molti che, senza un reddito adeguato, si ritrovano a dover accedere alle mense per i poveri così come alle strutture di accoglienza, ai centri di ascolto, a tutta la rete, complessa e variegata, dei servizi pubblici e privati che la città offre. alessandro pezzoni responsabile area grave emarginazione Caritas Ambrosiana

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la ricerca

Le organizzazioni garantiscono 2,6 milioni prestazioni all’anno ma sono soprattutto interventi materiali: difficile uscire dall’assistenza

Servizi, tanti aiuti poco reinserimento di Francesco Chiavarini

La galassia dei servizi 727 gli enti e le organizzazioni che, nel 2010, hanno erogato servizi alle persone senza dimora

3.125 i servizi promossi in 1.187 sedi in 158 comuni

130

Fonte: “I servIzI alle persone senza dImora” (novembre 2011, Istat - FIo.psd - mInIstero welFare - carItas ItalIana)

Non solo il mondo dei senza dimora è segnato dalla precarietà e l’invisibilità. Lo è anche l’universo di chi organizza gli aiuti. Dall’indagine condotta dall’Istat sulle realtà che si prendono cura del popolo della strada emerge una mappa molto frastagliata che testimonia la grande e viva tradizione solidaristica italiana; ma fa emergere anche il ritardo del nostro Paese a sviluppare politiche pubbliche e, dunque, interventi su grande scala nei confronti della grave emarginazione. I 727 enti e organizzazioni censiti, diffusi da Nord a Sud, in modo piuttosto capillare, infatti sono in gran parte basati sul volontariato. L’80% (608) delle organizzazioni censite sono private; solo nel 16,4% dei casi (corrispondenti al 13,6% dei servizi erodipendono certamente dalla domanda gati) hanno natura pubblica. Certo, il ma in una certa misura orientano an41,5% dichiara di ricevere finanziamenche la richiesta di aiuto, facendo conti pubblici (che consentono di erogare vergere in alcune zone piuttosto che alil 54% dei servizi), ma chi opera sulla tre le persone in cerca di sostegno. base di convenzioni con le istituzioni Dall’indagine risulta che la Lombarsono al sud appena il 30% , mentre saldia è la regione in cui è più diffusa la rete gono al 62% nel nord-ovest. E non è un di sostegno ai senza dimora, con 130 orcaso che proprio nel Mezzogiorno, là ganizzazioni (il 17,9% del totale) che dove lo stato è meno presente e volonmettono in campo 714 servizi (oltre un tariato e terzo settore devono fare da sé, quinto dell’offerta nazionale) per un’u“dare da mangiare agli affamati” e “vetenza pari a 515 mila interventi (il 19,7% stire gli ignudi” siano ancora precetti del totale); una presenza forte sopratappannaggio della Chiesa. Infatti, è neltutto a Milano (metà dei servizi della rele regioni del meridione che è più alta la gione). Subito dopo la Lombardia viene percentuale degli enti ecclesiastici coinil Lazio, dove ci sono molte meno orgavolti direttamente nell’erogazione di nizzazioni (63 per 242 servizi), ma magbeni e servizi (46%), a fronte di una megiori sono le loro dimensioni, al punto dia nazionale del 34%. che l’utenza è ampia (420 mila persone) Va però anche precisato che non in e per il 91% concentrata su Roma. tutti gli ambiti la delega al privato è di Nonostante questi limiti gli enti asugual misura. L’erogazione diretta dei somigliano a tante piccole formichine, servizi da parte di enti pubblici raggiuniper-attive e indomite capaci di erogare ge i livelli più alti nei settori del segretadalle loro 1.187 sedi 3.125 servizi e 2 miriato sociale (21%, con il 30% di utenza) lioni e seicento mila “prestazioni” ale della presa in carico o accompagnal’anno a persone per la maggior parte mento (17%, e 36% dell’utenza). senza casa. Il tipo di aiuto offerto è ancora molto di base, solo in pochi casi l’intervento è più strutturato e volto ad Disparità territoriali una reale promozione umana. Il 34% Altro segno di debolezza del sistema dedegli enti fornisce una risposta ai bisogli aiuti sono anche le notevole disparità gni primari (mense, distribuzione viveregionali e territoriali. Non in tutte le Reri, indumenti e farmaci, docce…), il 16% gione si riesce ad aiutare il popolo della offre accoglienza notturna e il 4% diurstrada allo stesso modo. Gli interventi

organizzazioni che operano in Lombardia, 63 in Lazio, 42 in Campania, 11 in Calabria

34,5% servizi che rispondono ai bisogni primari (cibo, vestiti, igiene)

17% servizi che offrono alloggio notturno, il 4% offre accoglienza diurna

24% servizi che si occupano di segretariato sociale, il 21% di presa in carico e accompagnamento

1.305.236 le persone che nel 2010 hanno usufruito dei servizi primari, 76.657 dell’accoglienza notturna

2.615.990 il numero delle prestazioni uniche erogate in totale nel paese

14% servizi erogati direttamente dagli enti pubblici, raggiungono il 18% dell’utenza

17% percentuale di servizi pubblici nel nord-ovest, 8% nelle isole

34% gli enti ecclesiastici tra le 608 organizzazioni private attive

na. Soltanto il 24% è in grado di fare opera di segretariato sociale e il 21% riesce a prendersi in carico il soggetto e ad accompagnarlo offrendo sostegno educativo e psicologico, ambulatori, tutela legale.

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ottobre 2012 scarp de’ tenis

..15

L’avvocato delle cause perse Alberto Guariso e “Avvocati per niente” garantiscono il diritto alla tutela legale gratuita di chi, altrimenti, non avrebbe voce. E poche volte perdono Sono quelli che fanno annullare le ordinanze dei comuni, quelli che fanno assumere gli infermieri stranieri in ospedale o che permettono ai bimbi nati da stranieri ottenere il bonus bebè.

Ma anche quelli che permettono a quattro inglesi di poter parlare tra loro in un piccolo comune bresciano.

Lo fanno perchè coinvinti che il diritto e la giustizia debbano essere garantiti a tutti E lo fanno bene

Dalla parte dei più deboli A destra, una bella immagine di Alberto Guariso, presidente di Avvocati per Niente (Foto di stefano Merlini)

16. scarp de’ tenis ottobre 2012

di Ettore Sutti Jeans, camicia a quadri e sorriso disarmante. Scopriremo poi che fa volentieri a meno di giacca e cravatta e che ama girare per Milano in bicicletta. E quando parla lo fa in maniera diretta, senza trincerarsi dietro cavillosi giri di parole o fumosi riferimenti normativi. Alberto Guariso, presidente di “Avvocati per niente” associazione che tutela gratuitamente le cause dei più deboli, non assomiglia per nulla allo stereotipo dell’avvocato di manzoniana memoria sempre pronto a mettersi al servizio del potere. Si perché lui ha scelto di difendere la cause perse, quelle che riguardano gli ultimi, gli stranieri, gli emarginati. E il loro lavoro, Guariso e i suoi collaboratori, lo fanno maledettamente bene. In pratica non hanno mai perso una causa – anche se lui non vorrebbe dirlo perché negli ambienti forensi “porta male” –. Eppure ha sconfitto in tribunale oltre 50 tra comuni, province ed enti accusati di dava i criteri per l'assegnazione di case violare i diritti dei cittadini. per studenti a Milano. Gli alloggi erano stati distribuiti dalla provincia sulla baCome è nata l'idea di Avvocati per se del luogo di nascita degli studenti taniente? gliando fuori chi non era originario delDa un’intuizione dell'allora direttore di la Valtellina. Facemmo subito scalpore Caritas Ambrosiana, don Virginio Colperché l'allora presidente della Provinmegna. Due le motivazioni da cui siamo cia era anche un parlamentare e quanpartiti: il costante aumento del numero do arrivammo a Sondrio per l'udienza di soggetti deboli, e quindi non in grado ci ritrovammo circondati dalle telecadi poter accedere alla giustizia per la tumere. La causa fu poi trasferita a Milano tela dei loro diritti o dei bisogni essene il giudice ci ha dato ragione dicendo ziali e la necessità di avviare una riflesche non si possono fare distinzioni di sione sulla qualità del diritto a favore dei prestazioni sociali sulla base della cittasoggetti deboli a partire dai casi concredinanza. Un verdetto assolutamente ti in cui ci si imbatteva ogni giorno per portarli a conoscenza dell'opinione scontato anche se i politici e gli ammipubblica e offrire una chiave di lettura nistratori continuavano a ripetere che diversa. il loro mandato era quello di tutelare, in primis, i “propri” ragazzi. E hanno deDifendere persone per affermare diciso di ricorrere in appello. Dove hanno ritti? nuovamente perso.

L’idea è quella di partire dal caso per far emergere il problema giuridico ma anE la più stravagante? che quello culturale, politico ed econoTante, troppe. Questo perché fino a mico. Questo perché la violazione di un qualche anno fa c’era grandissima condiritto non riguarda solo la persona fusione sui temi di prestazione sociale coinvolta ma tutta la società. Vista da e di uguaglianza. Mi ricordo una deliquest’ottica difendendo i più deboli, gli bera del Comune di Milano che garanultimi, i discriminati si difende la sotiva un sussidio di povertà a italiani e cietà civile. stranieri solo se in possesso della carta di soggiorno. Ma per avere diritto alla Qual è stata la prima causa per discriminazione che si è trovato ad afcarta di soggiorno bisogna dimostrare frontare? di avere un reddito minimo. Quindi il sussidio alla povertà era garantito solo É stata in provincia di Sondrio e riguar-

l’intervista

Assistenza gratuita per garantire tutti

per chi aveva un reddito. Tutti gli altri no. Il giudice ha riconosciuto che la scelta era discriminatoria e ha obbligato la giunta a modificare l’ordinanza.

Cosa che è stata prontamente fatta ma introducendo il criterio dei 5 anni di residenza. Ma le persone in povertà estrema spesso non hanno la residenza. Anche questa volta il Tar ci ha dato ragione e sembra che la nuova ordinanza sia in regola.

Nel 2002 ha costretto il comune di Milano a cancellare la norma che prevedeva punteggi più alti agli italiani per l'assegnazione degli alloggi popolari. Quindi se oggi le case vengono date soprattutto agli immigrati la colpa è sua...

In verità è colpa della legge Bossi-Fini

Avvocati per niente è nata per difendere i diritti di chi non ha la possibilità di accesso al patrocinio gratuito, possibilità preclusa a tutte quelle persone, e sono tante, con reddito troppo elevato per potervi accedere, ma impossibilitate a pagare un avvocato secondo le tariffe professionali. Da qui la scelta di creare l'associazione, promossa da sei enti definiti "invianti": Caritas Ambrosiana, Fondazione San Carlo, Fondazione San Bernardino, Fondazione Casa della Carità, Acli di Milano e associazione Cena dell'Amicizia.

L'obiettivo è, appunto, quello di garantire il più possibile chi non ha i mezzi per difendersi, ma anche avviare momenti formativi destinata sia agli operatori sociali che desiderano una formazione giuridica minima, sia agli operatori giuridici che necessitano di un background di tipo sociale.

anche se sono in pochi a saperlo. Noi ci limitiamo a far rispettare le leggi. Poi ci sono tanti che ci mettono del loro. Come il sindaco di un comune bresciano che aveva emesso un’ordinanza per cui nelle riunioni in pubblico bisognava parlare solo la lingua italiana. Quattro inglesi che si trovavano in una sala non avrebbero potuto parlare tra di loro. L’idea era quella di impedire a un gruppo di musulmani di ritrovarsi in una piccola moschea casalinga. Quella è stata la prima sentenza emessa con la procedura del giudizio antidiscriminatorio che ci ha riconosciuto anche un risarcimento del Tar. Ma di casi del genere ce ne sono tantissimi: quella che negava l’accesso dei figli extracomunitari irregolari all’asilo, quella relativa a un sindaco che invitava, sul giornalino comunale, a non affittare agli extracomunitari, il rimborso delle spese del dentista ai bambini solo se italiani...

Con i vostri atti vi mettete spesso di traverso contro ordinanze di sindaci e consigli comunali. C'è chi dice che i vostri sono atti politici...

Ci sono casi in cui il giudice ha condannato atti di una giunta o di un consiglio comunale, quindi un organo democraticamente eletto. Questo vuol dire che il giudice si è mosso contro la volontà della maggioranza degli elettori di quel paese che avevano nominato quel consiglio comunale che ha votato quella delibera che era discriminatoria? Non credo. Vuol solo dire che il diritto a questo principio antidiscriminatorio è un principio di correzione nella democrazia rappresentativa perché è un sistema a tutela delle minoranze. Se qualcuno, in qualunque sede, con la volontà e la totalità delle persone decide che un certo gruppo, ebrei, stranieri, omosessuali, va escluso perchè diverso noi interveniamo per dire questo non è possibile. Ma non perchè siamo noi a dirlo.

Esiste la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo che sancisce questo e, fortunatamente, c’è la possibilità di correggere i possibili errori della democrazia rappresentativa. Quindi è del tutto fisiologico che un giudice possa dire cose contrarie alla volontà della maggioranza dei cittadini.

Molto ordinanze sono però frutto di esigenze precise...

Non prendendo in considerazione quelle di pura matrice ideologica il proottobre 2012 scarp de’ tenis

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L’avvocato delle cause perse blema è che se io distribuisco sulla base del bisogno è chiaro che chi arriva da ultimo ha più bisogno degli altri. Per cambiare basterebbe individuare modalità di scelta diverse da religione, razza, origine etnica o cittadinanza. I politici non possono non rendersi conto che utilizzando determinati criteri si giustificano delle diversità o si scatenano conflitti sociali.

La magistratura non sempre reagisce...

La sensibilità al tema della tutela ai diritti fondamentali è altalenante. Ci sono giudici che “reagiscono” solo quando si trovano davanti un caso concreto. Uno dei casi tipo sono le cause sull’accesso

al pubblico impiego da parte di stranieri, soprattutto infermieri: la Corte Costituzionale dice che ogni differenza tra italiani e stranieri deve avere una ragionevole correlabilità con lo scopo perseguito dalla legge. Se la signora X cura i malati da 10 anni con agenzie private qual è il motivo ragionevole per l’esclusione di questa signora dalla possibilità di lavorare nel pubblico se lo scopo della norma è quello di tutelare l’efficienza della pubblica amministrazione? Eppure spesso non è facile ottenere sentenze favorevoli. Capita che i principi di uguaglianza non vengano affrontati con la dovuta attenzione. Proprio perché non legata a soggetti in carne e ossa.

Tutela gratuita: legge quasi ugua

Negli oltre 30 sportelli di Avvocati di Strada si combatte ogni giorno per affermare i diritt Siamo circondati da 60 mila fantasmi. Vivono intorno a noi, ma non li vediamo. Ogni tanto qualcuno va a fuoco su una panchina, e allora ci stupiamo della loro esistenza. I senza dimora rapresentano una fetta marginale della popolazione italiana che però sta crescendo e che conta, soprattutto negli ultimi anni, sempre più uomini e donne giovani che hanno perso il lavoro e non sanno più come vivere. Chi li vede? Chi li aiuta? Secondo una ricerca Istat del 2011, in Italia ci sono più di 700 tra enti ed associazioni che se ne occupano. C'è chi organizza l'accoglienza notturna e chi quella diurna, chi distribuisce cibo e vestiario. E c'è anche chi si offre per fargli da avvocato gratis. La cosa potrebbe spingere chi legge a mettersi le mani nei capelli. Ma come, uno perde tutto, casa, famiglia, lavoro, amici, e persino un po' se stesso, e ha ancora bisogno di un avvocato? E per cosa? «E invece è proprio così – spiega Antonio MumoPaese sono due le associazioni che se ne lo, presidente e fondatore dell'associaoccupano: Avvocati di strada, appunto, zione Avvocati di strada di Bologna, la e Avvocati per niente. Tutto intorno a prima ad essere nata in Italia, nel 2000 – queste due grandi realtà c'è una galassia i senza tetto hanno bisogno di tutela, ridi consulenze, di aiuti, di suggerimenti scatto e assistenza». e di persone che fanno da tramite, che operano soprattutto negli sportelli delUn servizio fondamentale le associazioni. Le Caritas, per esempio, La tutela legale gratuita è uno dei servidi cui Avvocati per niente è un'emanazi più importanti che si possano offrire zione, ma anche la Casa della Carità di a una persona emarginata. Nel nostro Milano, che riceve ogni anno 400 richieste, soprattutto da parte di stranieri che si informano per il permesso di soggiorno, i ricongiungimenti, il lavoro.

«Quello che facciamo è fornire consulenze e fare da tramite con la Questura e la Prefettura, o i servizi sociali e il comune – spiega Martina Tombari della Casa della Carità - quando però si tratta di passare al giudiziale, quando insomma bisogna andare davanti ad un giudice, in

18. scarp de’ tenis ottobre 2012

Tribunale, e serve un avvocato, ci rivolgiamo anche noi a una di queste due realtà». I motivi per cui un senza dimora potrebbe avere bisogno di un avvocato sono tanti e il primo è l'annoso problema della residenza. «Finire per strada significa perderla automaticamente, ovvero essere cancellati dal libro anagrafe del Comune – spiega Antonio Mumolo –. Chi perde la residenza non ha più la carta d'identità, e perde tanti diritti. Non può lavorare in regola, non può aprire una partita Iva, non può riscuotere la pensione anche se ha lavorato 40 anni perché l'Inps non eroga contributi a chi non ha una residenza fissa. Non può farsi curare dal sistema sanitario nazionale, non può presentare domanda per una casa popolare né accedere, per esempio, ad una eredità che gli spetta. E se anche, infine, decidesse di scrivere di suo pugno al comune per farsi concedere la residenza simbolica, e il comune gli dicesse di no, che cosa potrebbe fare? Dovrebbe comunque rivolgersi ad un avvocato».

Allo sportello di Avvocati di strada che aprì nel 2001 a Bologna e che oggi conta 30 sportelli per tutta Italia con più di 700 avvocati volontari, l'utente numero uno che si presentò chiese proprio questo: era diventato povero, era finito in strada, ma voleva riscattarsi. Aveva trovato un lavoro, ma senza carta d'identità non poteva lavorare.

l’intervista Nell'immaginario collettivo gli avvocati sono personaggi disposti a tutto pur di difendere ricchi e potenti...

Nel mio studio vedo sempre più ragazzi che vengono a chiedere di fare l’avvocato perché attratti dal ruolo diverso che abbiamo provato a rappresentare. Sono affascinati dalla vecchia idea dell’avvocato difensore dei deboli. Sono giovani che hanno spesso alle spalle esperienze fatte all’estero sul tema dei diritti e vogliono mettere a frutto le loro esperienze. Questo è molto bello. Scopo dell’associazione è proprio quello di diffondere la consapevolezza che la professione dell’avvocato può essere fatta con questa attenzione.

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ale per tutti

ti di persone altrimenti invisibili L’anno scorso oltre 2.300 pratiche Solo l'anno scorso, per fare un esempio, sono state seguite 2360 pratiche in tutta Italia. Il 50% riguardava il diritto amministrativo (sanzioni per mancanza di titolo di viaggio, decreti di espulsione, ricongiungimenti familiari, assegni a vuoto, mancato pagamento di tasse), il 35% riguardava il diritto civile (licenziamento, separazioni e divorzi, presenza di minori, successioni e pratiche ereditarie, ricerca di parenti in vita) e il 15% pratiche di diritto penale. «Le storie che seguiamo sono di tutti i tipi – continua Mumolo – ci sono senza tetto che lavorano in nero di notte, scaricano casse nei mercati, e poi non vengono pagati perché tanto sono poveri. Casi in cui il senzatetto avrebbe diritto ad un'eredità ma non viene informato dalla famiglia, ci sono volte in cui gli si vogliono portare via i figli, e noi prima verifichiamo se per caso non ci sono parenti cui affidarli, così non si perdono i contatti».

Poi c'è tutto quello che riguarda i reati veri e propri. Chi è povero spesso ruba per fame, raramente si verificano rapine, aggressioni o truffe ordite da chi vive sotto i ponti. Quello che invece accade è che siano vittime di violenza.

«Solo l'anno scorso abbiamo registrato 63 casi di aggressione, molestia e

Qui Genova

Ars, una rete e una comunità al servizio delle persone in difficoltà Gli Ars, avvocati in rete per il sociale, operano a Genova dal 2007, con il sostegno dell’ordine degli Avvocati di Genova e del consiglio nazionale Forense. In collaborazione con Caritas e Fondazione Auxilium prestano assistenza legale volontaria a chi si trova in condizioni di esclusione, in particolare persone senza dimora. Gli operatori dei centri di ascolto Vicariali e della Fondazione Auxilium segnalano le persone allo sportello di Ars. Qui sono accolte le richieste da parte di un gruppo di volontari che allertano il professionista più competente per materia. Le principali problematiche affrontate sono relative a famiglia, locazioni, situazioni debitorie, penale. Gli avvocati coinvolti sono quaranta e otto gli operatori. Gli Ars seguono circa un centinaio di casi all’anno *** Non mi interessa la contabilità del bene, la Carità non si misura, per questo ho sempre difficoltà a descrivere l'esperienza di questi anni di Ars in termini di numeri. Dietro ai numeri ci sono infatti tante persone: volti, speranze, delusioni, frustrazioni, ricerca, rabbia, malattia, solitudine. Insomma il grande caleidoscopio della vita, con tutte le sue mille sfaccettature. Ma che cosa può portare di arricchente Ars rispetto alle molte altre iniziative che in ogni angolo d'Italia si stanno ampliando per sostenere le persone in difficoltà? L'idea della rete e della comunità. Perché, come illustravamo al nostro primo incontro di presentazione promosso dall'ordine degli Avvocati di Genova, camminiamo tutti come equilibristi su baratro di una crisi (sia essa economica, personale, di coppia) e affidarsi al solo filo della giustizia, da solo, non basta. Occorre costituire una rete, che impedisca di sfracellarsi al suolo in caso di caduta, che ci protegga e ci faccia arrivare integri – anche se in fondo al baratro – ma in grado di risalire la china. Non basta l'avvocato, per quanto bravo, con le sue cause, come non basta da solo il medico o l'assistente sociale o il benefattore occasionale che si prende cura di una situazione.

Non bastano più neppure, in un periodo di ripensamento del sistema di welfare, le singole istituzioni che hanno cercato finora di coordinare ed offrire assistenza ed aiuto, sia pubbliche, sia private. Ecco perché “rete”: perché con il filo di ognuno si possa costruire insieme quella comunità che si mette al servizio della persona in difficoltà (non a caso abbiamo scelto come logo una rete, che è stesa al di sotto del nostro nome).

Questa è l'intuizione che Ars condivide con tutte le altre persone che lavorano con il disagio, affinché si possa un giorno tutti insieme vedere "Giustizia e Pace" che si baciano (Sl 85,11).

Agostino Cesareo (Avvocato – presidente di Ars) minacce subite da chi vive all'aperto – racconta il presidente di Avvocati di strada –. Tantissimi sono quelli che vengono derubati. E il numero è in crescita, visto che nel 2010 ne registrammo 48».

Ad essere cambiata, però, è anche la tipologia degli utenti. Se prima per strada ci finiva chi era povero ma, alla povertà, associava un disagio, una malattia mentale, una dipendenza da droga o alcool, adesso diventano senza dimora anche persone la cui unica colpa è di aver perso il lavoro. «Padri separati che devono passare casa e alimenti alla moglie e ai figli – spiega Mumolo – che vanno a vivere in una stanza per studenti ma poi non riescono a pagare neanche

più quella, e quindi passano a dormire in auto. Poi perdono il lavoro, sono licenziati, perché magari non riescono più a presentarsi in uno stato dignitoso, e quindi si ritrovano in strada. Pensionati che non riescono più a pagare le bollette, si vendono tutto, si indebitano, perdono la casa. Imprenditori falliti che non sono riusciti ad intascare i crediti che avevano, ma hanno dovuto per forza pagare i debiti.».

Ma come si diventa avvocati di strada? «Ogni avvocato sottoscrive un documento in cui si impegna a prestare il suo servizio gratuitamente, e nel caso in cui vincesse la causa, a destinare il ricavato, tolte le spese dell'Iva, delle tasse e della cassa previdenziale, all'associazione. Chi non lo fa viene espulso».

Stefania Culurgioni

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ottobre 2012 scarp de’ tenis

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Gioco d’azzardo, facciamone una malattia Per la prima volta lo Stato riconosce che con le scommesse ci si può ammalare. Primo passo per prendersi cura dei giocatori patologici di Francesco Chiavarini

Il gioco dilaga e – benché irrori di denari le esangui casse statali – provoca danni sociali diffusi, tanto da essere ormai riconosciuti come malattie curabili dal sistema sanitario (con relativi costi). Ormai quella dell’azzardo è diventata una tra le principali industrie del paese. La quale (entro certi limiti) crea lavoro e fa circolare moneta. Ma semina disagi che sfilacciano migliaia di esistenze e di famiglie. Dunque, necessiterebbe di una regolamentazione. Come quella che ha provato a dargli, a inizio settembre, il ministro della sanità, Renato Balduzzi. La vicenda è nota: Balduzzi aveva portato in consiglio dei ministri un decreto legge di riforma del sistema sanitario, “arricchito” da provvedimenti di portata più ampia.

Alla fine, però, la stretta sul gioco d’azzardo è stata più blanda di quella auspicata dal ministro. Nel tragitto tra Palazzo Chigi e Quirinale dove è arrivato una articoli, suddivisi in quattro capitoli, nei settima dopo, il provvedimento è stato quali le uniche limitazioni previste riprogressivamente e clamorosamente guardano la pubblicità: niente messagdepotenziato, sotto i colpi di una battagi promozionali nei programmi rivolti glia combattuta dietro le quinte. Deluai giovani; introduzione di “formule di dendo associazioni, sindacati e sindaci avvertimento sul rischio da dipendenche avevano sperato in una prima reza”, nonché indicazione delle “relative golamentazione della materia. E conprobabilità di vincita sulle schedine o fermando l’impressione dello strapotesui tagliandi dei giochi” e all’“atto di acre ormai assunto dalle lobby di settore. cesso dei siti internet” nei giochi on liQuello che è rimasto è un testo di 15 ne; multe più salate (da 100 mila a 500 mila euro) a chi non si atterrà a queste disposizioni.

Tra opportunità e patologia 700 mila

i giocatori d’azzardo patologici stimati in Italia

100 miliardi

gli euro che si stima verranno giocati nel 2012 dagli italiani

20 le “opportunità”, ovvero le tipologie di gioco oggi disponibili e legalizzate (erano 3 venti anni fa). Ad esse si aggiungono i gratta e vinci.

242 le sale bingo in Italia FoNte: CoNAGGA

200 mila

le slot machine diffuse nel paese

da 100 a 500 mila

le nuove e più “salate” multe, in euro, per chi viola le norme sul gioco

20.

20. scarp de’ tenis ottobre 2012

Il peso dei gruppi affaristici Nella versione definitiva del decreto si stabilisce anche che saranno effettuati almeno cinquemila controlli all’anno per contrastare il gioco minorile.

Insomma, risarcimenti parziali, concessi dal governo a chi si aspettava tutele maggiori, dopo il clamoroso dietrofront sulle distanze minime da chiese, scuole e ospedali a cui si sarebbero dovuti attenere i concessionari delle licenze per l’apertura delle nuove sale giochi. Distanze che nelle varie bozze del decreto legge erano passate da 500 a 200 metri e poi cancellate.

«La storia stessa delle variazioni al decreto Balduzzi mi pare emblematica: la prima versione recepiva l’’80% delle

nostre osservazioni, quello finale quasi nessuna. Il risultato è un testo insufficiente, fortemente condizionato dai gruppi affaristici che controllano il gioco che si sono saputi imporre anche su un governo tecnico», commenta amaro l’avvocato Attilio Simeone, coordinatore del Cartello nazionale “Insieme Contro l’Azzardo”, costituito dalle 28 fondazioni antiusura regionali di matrice cattolica. L’amarezza, d’altra parte, è evidente in tutto il vasto e variegato fronte di realtà della società civile che si sono mobiliate con la campagna “Mettiamoci in gioco”. Una fronte che va dalle Acli all’Arci, dai sindacati alle associazioni di consumatori, dalle comunità di accoglienza ai gruppi di auto mutuo aiuto dei giocatori d’azzardo,

l’inchiesta Qui Genova

Una proposta per bar e locali: obiezione di coscienza sulle slot

dal Pime al Gruppi Abele e Libera. «Abbiamo titolato il nostro comunicato “Gioco d’azzardo, il governo fa cilecca”.

Non posso che confermare questo giudizio. Il provvedimento è deludente e inadeguato», sostiene don Armando Zappolini, presidente del Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza), che tuttavia dà atto al ministro di aver posto all’attenzione i rischi sociali del gioco d’azzardo. E infatti, se un risultato può rivendicare Balduzzi, è quello di aver ottenuto l’inserimento del gioco patologico nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, riconosciuti dal sistema sanitario nazionale.

Vuol dire che lo stato ammette che di

Come sull’aborto, anche sull’azzardo si può, si deve fare obiezione di coscienza. Quando in gioco ci sono valori irrinunciabili, come la vita o l’integrità delle famiglie, bisogna assumersi le proprie responsabilità e dire di no. La proposta di avviare una campagna di obiezione civile da proporre agli esercenti di bar e locali che ospitano le slot machine con tanto di bollino blu per quegli esercizi che se ne liberano viene dalla diocesi di Genova, in prima linea contro gli effetti perversi prodotti dall’industria dell’azzardo di Stato.

«L’azzardo dimostra tutta la sua capacità pervasiva, apre punti scommesse specialmente nei quartieri con maggior disagio sociale, si diffonde on line e fa una pubblicità letteralmente disgraziata perché manda in disgrazia le famiglie – spiega don Gianfranco Calabrese, direttore dell’Ufficio Catechistico della Diocesi –. Qui è in gioco la centralità della persona». E dunque serve un sussulto di coscienza, da parte di tutti, compresi, perché no, anche i titolari di bar e locali che incrementano i loro introiti con le macchinette della fortuna. Nel frattempo per avvertire dei rischi della diffusione senza freni del gioco a Genova saranno diffusi un libretto e un opuscolo dal titolo “L’azzardo? non è un gioco!” a cui hanno lavorato il Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze della ASL 3 Genovese, la Fondazione Antiusura S. Maria del Soccorso, la Caritas Diocesana, la Fondazione Auxilium, Ars – Avvocati in rete per il sociale, Ceis - Centro Solidarietà Genova, l’Associazione Giocatori Anonimi.

Dunque una nuova iniziativa anti-azzardo dopo una petizione con 16.500 firme, la costituzione di una specifica consulta comunale, un convegno e il forte pronunciamento del Cardinale Angelo Bagnasco. Il fenomeno proprio nella città della Lanterna ha assunto dimensioni preoccupanti. I dati registrano nel capoluogo ligure oltre 60 sale da gioco e 2.100 esercizi commerciali con slot machine.

Mirco Mazzoli

L’entità del gioco d’azzardo in Italia anno

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2012

spesa per il gioco d’azzardo

entrate per l’erario

(in miliardi di euro)

(% sul totale del giro d’affari)

23,1 28,0 35,2 42,2 47,5 54,4 45,0 (6 mesi)

azzardo ci si può ammalare e decide che dei giocatori patologici si deve fare carico. Anche se non dice ancora come, con quali risorse, in quali strutture e servizi li curerà.

Il doppio di alcolisti e tossici Secondo le stime, i giocatori d’azzardo patologici in Italia sarebbero 700 mila, vale a dire il doppio degli alcolisti e dei

29,5 21,6 19,0 17,0 16,3 16,1 9,2 tossicodipendenti in cura ai Sert. Ma a differenza di questi ultimi, restano fantasmi per il sistema sanitario. Gli interventi sono pochi, sporadici, discontinui. Le sole cure assicurate dalle aziende sanitarie dipendono in gran parte della buona volontà e dalla sensibilità di qualche direttore di Sert, che nelle pieghe dei bilanci sempre più asfittici riesce a racimolare qualche spicciolo ottobre 2012 scarp de’ tenis

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Gioco d’azzardo, una malattia anche per le cosiddette “nuove dipendenze”. Tutto il resto – ed è molto – lo si deve alla fantasia e alla creatività del mondo non profit: Caritas, comunità di accoglienza, gruppi di auto muto aiuto, enti storicamente impegnati nel recupero di tossicodipendenti. E poi onlus e associazioni che hanno ricercato un’intesa con le istituzioni e, a volte, le hanno sostituite, auto-finanziandosi o bussando alle porte delle fondazioni bancarie. E di qualche sindaco.

Che cosa cambierà domani in questa galassia di aiuti? «Oggi se un tossicodipendente commette un reato può scontare la pena in una comunità di recupero. Se un giocatore patologico ruba finisce invece in carcere e non riceve assistenza specifica. Con il provvedimento del governo il giocatore patologico e il tossicodipendente sono equiparati, almeno sul piano dei diritti – osserva Matteo Iori, presidente del Conagga, il coordinamento nazionale dei gruppi per i giocatori d’azzardo –.

Tuttavia il decreto non stabilisce ancora come, e con quali soldi, intende garantire questa parità di trattamento».

Gli interventi clinici specifici e preventivi e la copertura finanziaria per realizzarli restano infatti un grande buco nero. In altri paesi il gioco d’azzardo è tassato per sostenere le terapie di chi, giocando, si ammala. «In Svizzera, ad esempio, lo 0,5% degli introiti della grande lotteria nazionale vengono utilizzati per attività di recupero, prevenzione e cura – osserva Iori –. In Italia, invece, non siamo ancora riusciti a distrarre un euro dei lauti guadagni dei concessionari del gioco per riparare ai danni collaterali».

Più fatturato, meno entrate Appunto: i lauti guadagni. L’industria del gioco è il solo settore dell’economia

nazionale che in tempi di recessione ha visto crescere il proprio fatturato. I consumi degli italiani per il gioco sono passati dai 14,3 miliardi del 2000 ai circa 80 del 2011. E quest’anno, secondo alcune stime, si dovrebbe toccare la soglia dei 100 miliardi di euro. Una crescita vertiginosa, voluta e sostenuta dallo stato. Nell’ultimo ventennio non c’è stato governo, di destra o di sinistra, che non abbia introdotto un nuovo gioco.

Dalle tre occasioni autorizzate alla settimana degli inizi degli anni Novanta (totocalcio, lotto e scommesse ippiche) si è arrivati alle oltre 20 opportunità attuali (15 settimanali), alle quali si aggiungono gratta e vinci, 242 sale bingo e 200 mila slot machine. Un’espansione senza freni, benedetta da uno schieramento politico trasversale ai partiti e convinto, anche in buona fede, di poter rimpinguare, in questo modo, le casse dello Stato.

Si tratta però di un grande, pericoloso abbaglio. «Quest’anno lo stato guadagnerà un miliardo in meno rispetto allo scorso anno, nonostante gli italiani spendano per il gioco d’azzar-

l’inchiesta

do 20 miliardi in più», calcola Maurizio Fiasco, sociologo della consulta nazionale antiusura. Più consumi, dunque, meno entrate per l’erario. Perché?

Un tale paradosso è la logica conseguenza di una politica fiscale favorevole, applicata dallo stato ai nuovi concessionari, per sviluppare un settore da cui sperava e spera di guadagnarci. Ottenendo certo introiti elevati, in valore assoluto, ma assai limitati, se si considera il gettito che il comparto dovrebbe dare, se fosse assoggettato allo stesso carico fiscale di altri settori. «Che il gioco d’azzardo sia una dura necessità per i bilanci statali è una leggenda metropolitana a cui hanno finito per credere anche le classi dirigenti del paese – avverte Fiasco –. I numeri dimostrano che si sta alimentando una bolla speculativa che prima o poi ci scoppierà in mano. Il miliardo in meno che quest’anno mancherà all’appello, ne è la prima avvisaglia».

Che le previsioni del sociologo siano indovinate o meno, una cosa è certa: l’azzardo di stato è diventato un gioco maledettamente serio. Da cui nessun governo sembra capace di tirarsi indietro.

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Una rete per intercettare i “patologici”, corso per operatori alla Caritas di Arezzo La signora Anna (il nome è di fantasia) si era presentata al centro di ascolto della Caritas di Arezzo con le bollette da pagare. Come di regola, gli operatori l’avevano aiutata, ma avevano voluto andare un po’ più a fondo. C’era qualche ragione per farlo, alcuni dettagli non tornavano. Una vedova di 62 anni, sola, in una casa di proprietà, che non riesce a pagare gas e luce pur beneficiando di una pensione di 1.400 euro? Strano. Sì, c’era quel debito misterioso con un amico che – diceva la donna – l’aveva aiutata a rinnovare il salotto. Un prestito sulla parola tra persone che si conoscevano da tanto tempo, dunque senza contratti o fatture che lo potessero certificare. Ma anche così, il bisogno continuo di denaro non si spiegava. Solo dopo ore e ore di colloqui, Anna ammise di avere una passione che con il tempo si era trasformata in un vizio: le slot machine, le macchinette nel bar sotto casa. Se la signora Anna ha potuto curarsi è stato grazie ad uno dei progetti più avanzati del nostro paese lanciato dalla Caritas diocesana di Arezzo e il Sert, il servizio per le tossicodipendenze dalla Usl aretina.

«Noi operatori siamo stati formati per riconoscere i segni della malattia tra i nostri utenti – spiega Manuela Esposito della Caritas di Arezzo –.

Una volta individuato il caso, lo segnaliamo agli psicologi e psicoterapeuti del Sert specializzati nelle nuove dipendenze». Un lavoro di rete fondamentale. «La malattia da gioco non è come il mal di denti. Chi ne è colpito, ci mette un sacco a confessarlo a se stesso – spiega–. E poi, sempre che riesca a riconoscere di avere un problema, lo tiene nascosto agli altri fino a quando non ne può più. Ma a quel punto la situazione non solo economica, ma anche familiare e relazionale, è già parecchio compromessa».

ottobre 2012 scarp de’ tenis

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Oltre 10 mila i ricorsi vinti. Ma ogni anno si riparte da casa

Disabili in classe, la lotta per i diritti Nella scuola dei tagli e delle riforme al ribasso a fare le spese sono i più deboli: i disabili.

Ore di sostegno in caduta libera, classi sovraffollate, insegnanti pochi e poco aggiornati.

Addirittura ragazzini che magicamente ritrovano facoltà che non avevano mai avuto.

Una situazione grave che si trascina da anni a cui la spending review imposta dal governo ha dato un altro duro colpo.

di Francesco Chiavarini Quest’anno, all’apertura delle scuole, mancavano all’appello 65 mila insegnanti di sostegno, secondo la stima di una delle associazioni più combattive “Tutti a scuola”, che davanti a Montecitorio a settembre ha portato delle carrozzine in gabbia per protestare contro la latitanza delle istituzioni e della politica. Su un totale di 215 mila bambini disabili, 120 mila risulterebbero scoperti. Cifre imbarazzanti, che non compaiono in nessuna statistica ufficiale, anzi ben nascoste dalle istituzioni, dagli organi di informazione, dalla politica. «Gli organici della scuola risultano sottodimensionati. Quest’anno abbiamo raggiunto il record negativo a causa dell’austerity imposta al paese da ta anni fa. I figli siedono sugli stessi banMonti. Ma i tagli alla scuola vengono da chi dei genitori. In mezzo secolo sono molto lontano», denuncia Antonio stati sporadici gli interventi di ristruttuNocchetti, medico napoletano che da razione. Così non stupisce affatto, come anni combatte al fianco dei genitori. mette in luce un recente rapporto di Da tempo l’assistenza scolastica ai Cittadinanza Attiva, che nel 14% degli disabili è diventata una variabile dipenedifici ci sono gradini all’ingresso, che dente dai bilanci pubblici. E così, venel 54% non ci siano gli ascensori, che nendo meno le risorse, i diritti sono dinel 34% manchino bagni ad hoc, che ventati un lusso. I casi sono molti. C’è barriere architettoniche impediscano ad esempio la questione delle classi. La l’accesso a mense, cortili, palestre. legge quadro sulla disabilità, la 104 del ’92, stabilisce che una classe con un ragazzino disabile non dovrebbe avere più di 20 alunni. Ma da quando il ministro Gelmini con la sua riforma ha concesso ai dirigenti scolastici di derogare da quella norma e di formare le classi in base alle disponibilità economiche, quel tetto è stato ampiamente superato.

A Milano, Roma, Napoli le classi con bambini disabili arrivano a 30, 35 alunni. Il risultato è un caos, affidato ad insegnanti, che spesso non hanno nemmeno le competenze adeguate. Una ricerca Invalsi ha calcolato che solo il 30% dei docenti curriculari segue corsi di aggiornamento perché mancano i fondi per finanziarli.

Scuole vecchie e non a norma Disabili costretti a scendere in piazza Una delle tante iniziative delle associazioni di disabili contro i ripetuti tagli del Governo

24. scarp de’ tenis ottobre 2012

Per non parlare, poi, dell’edilizia scolastica. In media le scuole italiane di oggi sono state costruite quaranta, cinquan-

l’inchiesta Non potendo sconfessare decenni di battaglie civili, si è deciso di eliminare il problema a monte, sulle modalità con le quali accertare la disabilità e commisurare l’assistenza in classe. La riforma del sistema di certificazioni, infatti, è diventato il grimaldello con cui scardinare un sistema di diritti conquistati. Un attacco invisibile che rischia di cancellare con un colpo di spugna un modello di scuola aperta, inclusiva, che faceva dell’integrazione degli alunni più in difficoltà la propria ragione d’essere.

Disabili magicamente guariti Perché ad un ragazzino sia assegnato un insegnante di sostegno, occorre che venga riconosciuto che le sue difficoltà di apprendimento derivano da un deficit. La legge vuole che sia una commissione medica a stabilirlo. Dall’anno scorso, dopo l’ultima finanziaria del governo Berlusconi è necessario che il loro parere sia convalidato dai funzionari dell’Inps. La conseguenza? Le certificazioni di disabilità, che danno diritto alle ore di sostegno, sono drasticamente diminuite. Solo nella provincia di La Spezia nell’ultimo anno si è passati da 823 ragazzini aventi diritto al sostegno a 670. Uno su quattro, insomma, è stato giudicato meno grave di quanto avevano stabilito negli anni pediatri, psicologi, medici. Un percentuale abnorme a meno di non pensare che tutti quanti abbiano dato segno di un improvviso quanto improbabile recupero.

La storia

«Ecco perché pago gli avvocati per mandare mia figlia a scuola» Valeria Marzano ha 18 anni, vive a Napoli, e da quando è nata è prigioniera del suo corpo. Non parla, non cammina, ha bisogno che qualcuno la imbocchi quando è a tavola, che la sollevi dalla sedia a rotelle quando va a letto. Ma ha una mente sveglia. Sa leggere, è in grado di capire e memorizzare concetti astratti. Per comunicare digita sulla tastiera con le dita, gli unici arti che è in grado di muovere, a patto che qualcuno le stia accanto, l’aiuti a sollevare il braccio, le accompagni la mano, senza forzarla.

Per questo in classe Valeria ha sempre avuto bisogno di un insegnante dedicato e specializzato. Quest’anno però alla riapertura delle scuole l’insegnante non c’era. Mancanza di fondi, si è giustificato il preside del Mazzini, una dei licei più rinomati della città, dove la ragazza è iscritta in terza. Secondo la legge, Valeria avrebbe diritto ad un insegnante di sostegno a tempo pieno e ad un assistente alla comunicazione, ma per ottenerli il padre è stato costretto a rivolgersi alla magistratura. E nonostante il verdetto favorevole dei giudici del Tar della Campania, ogni anno deve minacciare di andare per avvocati. Lo ha fatto anche quest’anno prima delle vacanze estive. Ma l’esito non è stato quello sperato.

Gli assistenti alla comunicazione, la figura specialistica di cui Valeria ha bisogno, sono pagati dagli enti locali, nel caso delle scuole superiore dalla Provincia. Che, però, quest’anno si è trovata con gli impegni di spesa bloccati, dalla spending review imposta dal Governo. Niente soldi, niente docente. «Ho sempre lottato per mandare a scuola mia figlia – racconta Giancarlo Marzano –. Prima ho dovuto sconfiggere lo scetticismo degli insegnanti che non credevano che dentro un corpo così menomato ci potesse essere un cervello che funziona, che capisce, che registra tutto quello che vede, ed è in grado di apprendere. Dopo ho dovuto combattere con le istituzioni, la burocrazia. Ora anche contro la mancanza di risorse».

Un muro di gomma contro il quale rimbalzano anche le più legittime richieste. «La scuola è il solo luogo in cui Valeria può crescere come i suoi coetanei. Gli insegnanti lo sanno, sono consapevoli di quanto siano importanti per lei, per la sua autostima, il suo equilibrio psichico. E per questo negli anni mi sono sempre stati alleati – sottolinea Marzano –. Ma contro la mancanza di risorse, i tagli, gli obblighi di bilancio sembra che nessuno possa fare nulla. Così tocca a me spendere soldi per sostenere le spese legali e ottenere quello che mi spetterebbe di diritto».

«L’esame dell’Inps consiste in una serie di domande banali, del tipo chi sei, quanti anni hai, come vai a scuola. Sono quesiti a cui anche un disabile grave è in grado di rispondere. Ma bastano a ribaltare le indicazioni degli specialisti», osserva Nocchetti che sul sito dell’associazione racconta il caso limite di un ragazzino down di Napoli, spinto a fingersi ancora più diverso di quello che era per convincere la commissione. «Un episodio agghiacciante – commenta Nocchetti –. Un invalido vero costretto a fare il finto invalido per ottenere quello che gli spettava di diritto. Alla fine il ragazzino e la sua famiglia l’hanno avuta vinta. Ma noi tutti, il Paese intero, ha

perso». Per avere ragione dei propri diritti, ai genitori con figli disabili non rimane altra strada che quella di rivolgersi alla Magistratura. Solo negli ultimi tre anni sono stati 10 mila i ricorsi ai Tribunali amministrativi regionali. Ricorsi tutti quanti vinti. Anche se a volte si tratta solo di vittorie sulla carta.

«Due anni fa facemmo una class action per 17 famiglie – racconta Marco Rasconi della Ledha di Milano. Il giudice ci diede ragione. I figli ottennero le ore di sostegno. Ma dopo qualche mese finì l’anno scolastico e in quello nuovo, le ore assegnate furono le stesse del precedente, come se la sentenza non ci fosse mai stata».

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ottobre 2012 scarp de’ tenis

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Siamo ciarlatani, tutta gente onesta Raul Cremona: «Noi regaliamo magia. Non illusioni come la tv di oggi» di Daniela Palumbo

Oggi con la tv il ciarlatanesimo è un abito che si cala sempre uguale sulle persone.

E tu credi che possa essere il miraggio che cercavi, perché il ciarlatano ti deve convincere che chiunque può diventare qualcuno se passa di là. È ora di dire che nessuno può diventare grande se non dedica la vita a quello che fa.

26. scarp de’ tenis ottobre 2012

Nel nuovo spettacolo di Raul Cremona, Prestigi, in giro per l'Italia in questi mesi, gli spettatori ascoltano una storia, l'incantatore è Raul, che srotola un percorso a ritroso dove ritorna la memoria dell'infanzia, con le scatole della magia sotto l'albero di Natale. Quando tutti i bambini scartavano le macchinine, biciclette e pistole, Raul apriva le scatole dei tesori dove trovava le carte magiche e i giochi di prestigio usati dal nonno. Lo scarpinante (così si chiamava un tempo l'imbonitore) che girava le piazze a vendere saponette disappannanti per i vetri delle macchine e cere miracolose per il mal di denti. «Mio nonno Fortunato era un grande personaggio della Milano che non c'è più. Lui era nato nel 1901 a Milano. Anche mio padre, Piero, ha fatto lo stesso mestiere di mio nonno: il ciarlatano. Mio nonno stava in mezzo alla piazza per due ore a le storie e suonava la chitarra o il manparlare di fronte alle persone vestito da dolino, lo portava con lui quando andaturco o da cow boy. Per vendere fumo, va nelle trattorie a suonare e a incantasi esibiva in giochi di prestigio e racconre il pubblico, è stato il suo maestro. tava storie che inventava lui. Era un imL'attore si definisce un po' incantabonitore che ti incantava con le parole, tore, un po' commediante, un po' mago c'era magia in tutto questo. Ma erano e un po' ciarlatano e ha portato nella tv uomini di altri tempi». il mondo degli scarpinanti. Della televiFortunato, il nonno di Raul, in fondo sione ricorda quando osservava da era un artista di strada. Intratteneva le bambino le mirabolanti magie eseguifolle che si fermavano ad ascoltarlo e te dai candidi guanti di Silvan, con i cachissà se ci credevano quando comprapelli impomatati e la dizione curata. Lui vano la cera per il mal di denti. Magari pensava nonno Fortunato e papà Piero facevano finta, tanto per ringraziarlo nelle piazze d'Italia e gli veniva da ridedelle due ore di spettacolo. re a guardare i guanti bianchi del damerino Silvan che si esibiva in mezzo ai luMestiere figlio dell’ingenuità strini e alle veline della tv dell'epoca. Al«Ma no, ci credevano davvero, era un'elora, da adulto, ha rimescolato le carte e poca in cui la gente si fermava per la con l'ironia che gli è propria racconta il strada ad ascoltare un artista di strada lato B della magia, ma senza dimentiche ti incuriosiva per come era vestito. care le scatole di magie di Fortunato. Per C'era ingenuità, c'era candore. Le perquesto nei suoi spettacoli c'è la parodia sone si divertivano da matti con mio ma c'è anche, inossidabile, l'arte pura nonno perché lui era un artista compledella magia. to, ogni esibizione la condiva con la muCremona è milanese doc. Eppure, sica: suonava il mandolino, il pianoforMilano per ora non è in programma fra te, la chitarra, tutto a orecchio, non avele tappe dello spettacolo. «Nelle grandi va avuto un maestro. E poi, a quel temcittà, e a Milano in particolare, l'attenpo, esisteva la cultura della piazza, della zione è rivolta verso il teatro alto, la prosocializzazione all'aperto, perché non sa o la lirica. Però siamo noi, comici e c'era mica la televisione». cabarettisti, a riempire i teatri. Da noi Raul ha un ricordo forte e chiaro del vengono 900 persone, nel teatro alto sononno, perché anche con il nipote, Forno 100. Noi di Prestigi ci siamo prodotti tunato non si risparmiava. Raccontava

l’intervista da soli perché nonostante i numeri non c'è fiducia. Adesso rischi di bruciarti a venire a Milano, per questo aspetto ancora un po', magari il prossimo anno.

Milano è generosa, ma anche tanto ingenerosa con i suoi figli. In Italia il comico è sempre un buffone, un povero demente, uno che fa la bella vita e ha la testa vuota. Chi si ricorda a Milano di Gino Bramieri? Non c'è neppure una via dedicata a questo grande attore. Sono morti i locali di cabaret e sono morti i teatri popolari, sta venendo meno la tradizione. Mi sento un po' tradito da tutta questa disaffezione. Eppure, inventarsi adesso uno spettacolo di illusionismo non è affatto facile. Le persone hanno poco da ridere. E poi hanno perso il candore, anche i bambini non si meravigliano più di niente, giocare con la magia è difficile. Adesso poi che i privati sponsorizzeranno il teatro, la cultura, quella alta e quella popolare, rischia di andare in frantumi».

Artista cresciuto tra gli scarpinanti Raul Cremona, milanese doc, classe 1956, è nato e cresciuto in una famiglia di imbonitori.

(Foto di Roberto Centamore)

Un fiero ciarlatano Se gli dici che è un ciarlatano Raul Cremona ne è fiero, non è un'offesa ma una tradizione che gli è cara. Altra storia sono i ciarlatani della tv.

Questo nuovo ciarlatanesimo di lustrini millanta prodigi ma al contrario del vecchio non ti fa rendere conto, non ti dà la consapevolezza della magia, dell'inganno, non ti incanta, ti costringe a credere che quella che ti si presenta come realtà sia la sola verità che va bene per te. Una volta tu compravi il prodotto, arrivavi a casa, lo provavi e aspettavi la magia, ma era un'illusione e lo capivi, però ci sorridevi perché ti eri goduto lo spettacolo. La prossima volta ti saresti fatto incantare ancora.

Oggi con la televisione il ciarlatanesimo è un abito che si cala sempre uguale sulle persone. E tu credi che possa essere il miraggio che cercavi, perché il ciarlatano ti deve convincere che chiunque può diventare qualcuno se passa di là. E' ora di dire che nessuno può diventare grande se non dedica la vita a quello che fa. Quando la gente capirà l'imbroglio, allora tornerà al teatro, dove i ciarlatani sudano sette camicie per regalarti la magia di un istante».

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La storia

Comico malato di magia Raul Cremona è nato a Milano il 10 novembre 1956.

Inizia la carriera nei locali milanesi con i personaggi comici grotteschi che porterà in tv (Mago Oronzo, Silvano: la parodia del Mago Silvan). Da qui il salto a Zelig Circus dove inventerà altri personaggi: il maschilista Omen che sbraita con le donne e diventa una pecora con la consorte, e poi Evok, il Messia di una pseudoreligione che porta luce e prosperità, e ancora Jacopo Ortis con le lettere surreali all'amico Foscolo. Attualmente l'attore e illusionista è in tournée con lo spettacolo Prestigi. Per vedere le date e i luoghi dove c'è Raul Cremona: www.agidi.it/produzioni/cremona/prestigi L'attore attualmente è presidente del Clam, il Club di arte magica di Milano. Il Clam è un'associazione di maghi, prestigiatori e illusionisti. Niente a che vedere con maghi dell'occulto, veggenti o indovini. Al Clam ci sono prestigiatori e artisti dello spettacolo che realizzano effetti magici attraverso dei sani trucchi.

Ci sono corsi e laboratori di magia (anche Cremona è docente dei corsi di magia) ed eventi con serate a tema dove si possono incontrare gli amici di Raul: da Aldo, Giovanni e Giacomo a Cochi Ponzoni. Basta vedere sul sito: www.clubartemagica.it ottobre 2012 scarp de’ tenis

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milano La politica degli sgomberi dei campi regolari ha fallito. Chi aveva accettato il rimpatrio assistito è rientrato in città in campi abusivi

I rom sono tornati.

E stanno peggio...

Como Homeless in mostra per Casa Ozanam Torino Crisi: la Torino sociale è pronta alla sfida Genova Piazza Santa Brigida: grande schermo sotto casa Vicenza Enrico voleva cantare, ora solo dimenticare Modena Santa Anna: di qua e di là dalla sbarre Rimini Elena e le altre prigioniere del marciapiede Firenze Uomini che maltrattano, un centro dove guarire Napoli Dare alternative ai giovani per garantire un futuro Salerno Un centro di speranza per i bambini autistici Catania “Colline Giovani”, un luogo d’incontro

di Francesco Chiavarini I rom sono scomparsi dalle cronache, ma continuano a vivere in città.

Emarginati, come e più di prima, sgomberati dai campi abusivi che continuano a crescere. Nonostante la sentenza del Consiglio di Stato che nel novembre 2011 sconfessò la linea dell’emergenza, da allora «nulla è cambiato per i rom» a Milano come a Roma, denuncia in un recente rapporto Amnesty International: «le condizioni di vita nella maggior parte dei campi rimangono disagiate, nei campi informali la situazione è ancora peggiore, e i rom restano ancora esclusi della case popolari».

Secondo suor Claudia Biondi, responsabile dell’area Rom di Caritas Ambrosiana, il piano Maroni, figlio proprio di quella politica d’urgenza, «ha mostrato alla prova dei fatti tutti i suoi limiti». Dalla sua approvazione, nel maggio 2008 ad oggi, l’unico insediamento chiuso dei 6 previsti è reato) di aver contravvenuto agli impestato solo quello di via Triboniano, che gni che si erano assunti. Difficile immava detto è anche il più grande e problematico. Quarantanove famiglie, la metà di quelle che lo occupavano, hanno scelto il rimpatrio assistito. Come previsto dagli accordi stabiliti dall’allora ministro dell’Interno, ogni famiglia ha potuto beneficiare di un generoso sostegno economico, in media 15 mila euro. Soldi che sarebbero dovuti servire per rimettere in piedi una vita nel paese d’origine. Le cose sono andate un po’ diversamente. «Un anno dopo, ci risulta che un numero significativo dei rimpatriati è tornato a Milano ed oggi vive nei tanti campi abusivi diffusi sul territorio – sostiene la Biondi». Si sarebbero aggiunti, insomma, ai baraccati di via Bacula, Rubattino, Forlanini, Ripamonti, agli accampati sotto i cavalcavia delle tangenziali di San Donato: la solita mappa del degrado urbano che gli sgomberi non sono mai riusciti a modificare.

Da precari ad abusivi Da residenti precari ma autorizzati i rom di Triboniano che sono tornati a Milano si sono trasformati, dunque, in abitanti abusivi, emarginati ancora di più di come erano partiti e con in più la colpa (che non è chiaro se sia anche

28. scarp de’ tenis ottobre 2012

Rappo dunque sono Foto di gruppo per Brian, Dino e Sefedin e

Kalo, i Gang Styler Boys, che hanno messo in versi la vita al campo di via Novara

scarpmilano ginare adesso per loro un percorso di inserimento. In una condizione ancora peggiore si trovano i rom di via Novara, l’altro campo autorizzato che nei piani del Comune, riconfermati anche dalla nuova Giunta Pisapia, doveva essere chiuso. Fin ad ora è stato svuotato solo per la metà, e sulle famiglie che sono rimaste pende la spada di Damocle di uno sgombero imminente (alla fine dell’estate l’area è stata già acquisita dalla società che deve costruire l’Expo).

Mentre i rom di via Triboniano sono romeni, dunque, cittadini europei, liberi di muoversi attraverso le frontiere del Continente, quelli di via Novara sono kossovari e macedoni, in gran parte rifugiati politici in Italia. Status che hanno perso accettando gli aiuti per rientrare nel paese di origine. Quando dunque sono tornati a Milano, lo hanno fatto da clandestini. «Abbiamo seguito da vicino, ad esempio, il caso di una ragazzina che aveva iniziato una borsa lavoro. L’ha dovuta interrompere perché il padre se l’è portata in Kossovo. Ora la sua famiglia è di nuovo in città e proprio l’altro giorno la ragazza è venuta a chiederci se poteva continuare il tirocinio. Ma ov-

I Gang Styler Boys

La vita al campo messa in musica via Novara cantata a tempo di rap «Lo sgombero arriva tra due settimane e tutto il nostro il campo sarà coperto di catrame»: con una semplice strofa di una canzone quattro ragazzini rom, dagli undici ai tredici anni, raccontano il loro peggiore incubo che rischia di diventare realtà dal momento che il campo di via Novara, dove sono nati e cresciuti, dovrà fare spazio ad un parcheggio per l’Expo. Non solo, “Vita da Rap”, il titolo della canzone rap scritta dai Gang Styler Boys, parla dei topi e della sporcizia, del desiderio di una vita migliore, dell’ambizione per la fama e la notorietà, desideri legittimi di ogni adolescente: «Il mio rap mi renderà popolare, avrò la villa e non la casa popolare».

Hashim, Elvedin, Dino e Ecrem, in arte Brian, Dino e Sefedin e Kalo, sono quattro ragazzini che hanno tanta voglia di raccontare, di evadere e di sognare, che disprezzano il campo in cui vivono perché è sporco, maleodorante, ma allo stesso tempo lì stanno bene perché si sentono liberi. Questi ragazzi portano con loro un’esplosione di energia e di vitalità che, grazie al noto rapper milanese Fabrizio Bruno, sono riusciti a canalizzare in una canzone che negli ultimi mesi ha attirato l’attenzione di musicisti e giornalisti.

«Durante il primo appuntamento Fabrizio ci ha raccontato la storia dell’hip hop e del rap – spiega Hashim –, è stato molto interessante. Poi abbiamo fatto quattro o cinque incontri per scrivere la canzone e due per inciderla». Fabrizio ha svolto un ruolo molto importante in questa avventura, ha infatti insegnato loro a scrivere, ma anche ad andare a ritmo sui beat. Il lavoro è stato lungo e complesso, alcuni di loro lo hanno svolto da soli anche a casa. «La prima volta che abbiamo scritto è stato molto difficile – aggiunge Elvedin –, ma poi Fabrizio con semplici domande, come “pensare al campo cosa ti fa venire in mente?” o “pensare al rap cosa ti fa venire in mente?”, ci ha aiutato a sbloccarci e a buttare giù le rime. Il ritornello lo abbiamo scritto e cantato tutti insieme, poi ognuno di noi ha composto il suo pezzo personale. Anche la base l’abbiamo scelta di comune accordo». I Gang Styler Boys sono diventati “famosi” in breve tempo, al campo, dove le famiglie e gli amici dei ragazzi hanno dimostrato un grande entusiasmo, ma anche fra i compagni di scuola e del centro di aggregazione giovanile. «Quando eravamo nello studio di registrazione e non avevamo ancora finito la canzone – spiegano – avevamo già un piccolo pubblico di ascoltatori».

«Nel futuro di questi ragazzi ci sono luci e ombre – commenta Anna Cavallari, una delle educatrici Caritas che ha seguito il progetto –: lo sgombero imminente ed altre difficoltà. Ma questa è stata un’esperienza molto importante per i ragazzini perché sono riusciti a esprimersi, e forse per la prima volta qualcuno ha ascoltato la loro voce». Visto il successo, ora i piccoli rapper vorrebbero provarci di nuovo. viamente è impossibile. Potrei citare decine di casi. «Ma noi non possiamo fare nulla – osserva la Biondi –. Se era già difficile fare qualcosa per loro quando avevano almeno un permesso di soggiorno, ora che si trovano illegalmente sul nostro territorio è praticamente impossibile».

Tutto sommato la scelta migliore l’hanno fatta quelli che hanno deciso di rimanere e di trasferirsi nelle case popolari (i 25 appartamenti fuori quota Aler che tanti mal di pancia fecero veni-

re al centrodestra all’epoca al governo della città e del Paese, più altri alloggi messi a disposizione dalle associazioni).

Ma anche per costoro, il futuro è quanto mai incerto. I fondi per il sostegno all’affitto, previsti sempre dal Piano Maroni, sono finiti e molti capifamiglia, colpiti anche loro dalla crisi economica, hanno perso nel frattempo il lavoro. I casi di morosità sono diversi. Le associazioni che sono proprietarie degli immobili, possono tollerare ancora qualche dilazione nei pagamenti, ma prima ottobre 2012 scarp de’ tenis

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ph. uezzo.com reclam.com

Siate egoisti, fate del bene!

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene.

Dare una mano a Opera San Francesco significa dedicare una parte di sè e delle proprie risorse a chi ha bisogno di aiuto e può ricambiarci solo con un sorriso o uno sguardo di gratitudine: significa dare speranza e fiducia e, per questo, sentirsi meglio.

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Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo.

Tutti i giorni.

scarpmilano o poi dovranno battere cassa. Fiorenzo De Molli, operatore della Casa della Carità invita a «guardare il bicchiere mezzo pieno, non solo quello mezzo vuoto.

Il ministro Maroni voleva chiudere i campi punto e basta. Ma senza il suo piano non sarebbero stati possibili nemmeno gli interventi sociali che sono stati fatti e che hanno avuto anche successo. Ci sono anche famiglie che grazie a quegli aiuti hanno lasciato il campo e ora vivono autonome in condizioni abitative migliori. Anche se è vero – riconosce – che quei soldi potevano essere spesi molto meglio».

Utilizzare le risorse C’è ancora tempo per raddrizzare la situazione?

Uno degli effetti della sentenza della Consiglio di Stato del novembre 2011 che dichiarà illegittimo lo stato di emergenza, fu il congelamento delle risorse. Potrebbe essere ora un’opportunità. «La nuova Giunta le impieghi meglio di come ha fatto la precedente, secondo un piano personalizzato famiglia per famiglia, graduale e incentivante– suggerisce la Biondi –. Non è impossibile. C’è già una rete di operatori che conosce la storia di ognuna delle famiglie rom e che sarebbero disponibili a collaborare».

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Vita nomade di artista Rebecca in una scena del film realizzato da Paolo Malini, copresidente dell'associazione EveryOne, organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani www.everyonegroup.com. In alto la locandina de “La canzone di Rebecca”

La giovane artista

Rebecca, piccolo talento Rom la sua storia diventa un film Rebecca Covaciu ha un talento che il mondo della cultura ha riconosciuto. I suoi quadri sono nel museo di Chandigarth, in India, e in quello di Lolo Diklo a Seattle, Stati Uniti. Ha vinto numerosi premi di pittura, fra cui il premio Unicef 2008 e il Premio Fondazione Pini/Comune di Milano 2011. Un successo incredibile per una ragazzina rom di appena 16 anni che per molti anni non ha nemmeno vissuto in una casa vera dove fare i compiti e disegnare. Adesso se la sua vasta famiglia una casa ce l’ha lo deve proprio al dono prezioso di Rebecca. La sua storia è diventata un film La canzone di Rebecca e ha attirato l’interesse di tanti “angeli” come li definisce lei. Tra questi proprio il regista del documentario Paolo Malini, copresidente dell'associazione EveryOne che ha procurato il piccolo appartamento. Appena due stanze senza riscaldamento con il pavimento di cemento grezzo, ma sempre meglio di una baracca. E quando i soldi per l’affitto non ci sono è ancora l’estro di Rebecca a venire in soccorso: i suoi quadri li vende a poco: 10, 15 euro, dove capita, in genere sui navigli. «Un giorno è venuta in istituto – racconta Giuseppe Como, dirigente del liceo artistico Boccioni –, voleva iscriversi da noi anche se le prof delle medie le dicevano che era inutile. Se ne è andata lasciandomi un taccuino che aveva iniziato a scrivere da piccola. Lì dentro c'era tutta Rebecca. Ho fatto di tutto per pubblicare i suoi appunti». Appunti che sono diventati un libro L'arcobaleno di Rebecca (edizioni UR). L’incipit recita: “L'unica cosa immobile che ricordo è una piccola casa sopra un'alta collina; perché per il resto alle mie spalle, ho una giovane vita fatta solo di movimento”. Una vita girovaga iniziata dalla Romania quando Rebecca aveva sei anni. Tanti viaggi, tanti cieli, poco lavoro, poco mangiare. Rebecca ricorda i pranzi in cui c'era un uovo diviso in tre e quelli in cui pregava Dio di fargli trovare un kiwi perché non l'aveva mai mangiato. «Mi piaceva disegnare. Nelle baracche dove ho abitato – racconta Rebecca – non avevo i colori, disegnavo con l'erba, la terra, i fiori, sfogavo la mia anima con i colori della natura. Con i bambini più piccoli coloravamo le baracche per farle belle. Quando sei bambina anche la baracca è una casa vera perché ci vivi con le persone che ami. Un pupazzo di stoffa e legno diventa il tuo amico orsacchiotto. Però, spesso veniva la polizia e ci sgomberava. Vedevo le mie bambole pezza inghiottite dalla gru e ogni volta se ne andava un po' di me». Ogni volta ricominciare. Suoi compagni di viaggio sono stati i colori: quelli nessuno può sgomberarli. «Io disegno per mettere nel mondo il colore. Vorrei che il mondo fosse come i miei quadri,.

Vorrei che i colori stessero nei cuori delle persone, perché li illuminano».

Oggi Rebecca è felice di vivere in una casa vera, di avere colori e fogli per i suoi disegni, è felice di stare a scuola con dei compagni che non la chiamano più “la zingara” come era alle medie. Però non dimentica. Né da dove viene, né come ha vissuto. «Io mi vesto come una rom – dice Rebecca mostrando fiera il suo abito lungo con gli strass – perché sono fiera della mia cultura. Oggi in classe racconto gli sgomberi e i disegni strappati, i ragazzi mi dicono: non è giusto che vi facciano questo. Però mi dicono anche che conoscono me e mi vogliono bene, ma non vogliono conoscere altri rom, perché non si fidano. Ci sono cose che cambierei anche io».

(Il docufilm La canzone di Rebecca dal 10 al 17 novembre sarà al Festival dei Popoli di Firenze, poi ospite d'onore all'International Film Festival of India. Il film è stato donato all'Unicef per un progetto nelle scuole) Daniela Palumbo

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Milano e le sue storie descritte, con garbo, dal posto di guida

L’umanità raccontata dai sedili di un taxi di Daniela Palumbo «Lo conoscevate l'effetto treno? Io lo chiamo così – esordisce Raffaella Piccinni che di mestiere fa la tassista, a Milano –. Accade sul taxi quando i clienti scoprono che la loro autista è laureata in Filosofia. E' qualcosa di simile alla tentazione di alleggerire il bagaglio dei segreti, con un compagno di viaggio incontrato per caso che non rivedremo più. Ma sì perché, diciamolo, la vita è dura. E tutti abbiamo bisogno di storie per renderla più leggera». Ma tenerseli tutti per sé, i segreti dei clienti, sarebbero un bagaglio troppo pesante per la tassista-filosofa. Così Raffaella ha trovato il modo di esorcizzare l'asprezza di esistenze difficili, ed è nato www.psicotaxi.it. Nel blog si ride, si sorride, ci si amareggia, ma sempre con leggerezza. I clienti raccontano confidenze, segreti, pesi, misteri, rivelazioni, confessioni, racconti: bugie e verità si liberano giocosadispensabile anche questa, io lo so bene mente, o con affanno, nei venti minuti perché sono uscita di recente da una del tragitto, meglio se allungati dal trafmalattia che spesso non perdona. E poi fico dell'ora di punta. Raffaella è una fiavere buone relazioni personali. Avere losofa con il dono della maieutica, con rapporti soddisfacenti con il prossimo è lei diventa facile aprirsi: ascolta e non fondamentale. Credo che siamo un po' giudica, accoglie e partecipa. degli specchi e ci riflettiamo l'uno nelNoi abbiamo fatto parlare lei perché, in l'altro: se vedi che ti sorridono, tu sorrifondo, tutti abbiamo la tentazione di aldi. Non c’è niente di meglio che essere leggerire il peso dell'esistenza, compreaccolti con un sorriso. sa Raffaella che ha un mestiere stressante, allietato però da tre passioni: raccontare storie, ascoltare il prossimo e Il ladro gentiluomo leggere buona letteratura (anche nelle È stata l'unica volta che sono stata rapipause tra un cliente e l'altro). nata. Era sera tardi, sale un uomo, in realtà era sgarbato all'inizio, poi è cambiato perché io ero gentile. Mi dice che Del perchè è nato il blog deve andare a Novate Milanese. Lì mi è Per me è stato, ed è, un gioco, mi divervenuto il primo dubbio: ci sono delle rete e mi fa sentire serena. Se fai un lavogole nelle rapine. Innanzitutto ti portaro che non ti appaga cerchi di avere una no in luoghi lontani e isolati. Nessuno ti finestra piacevole. Tutti abbiamo bisorapina in Duomo. E' dai tempi dell'unigno di raccontarci, la civiltà nasce con versità che faccio la tassista, sono oltre la scrittura, con un segno su una caver15 anni, ho imparato a valutare le perna. Sì è di un bisogno dell'essere umano sone. Quest'uomo si era agghindato per che parliamo. Adesso ho scoperto la fosembrare qualcos'altro. Era in giacca e tografia, linguaggio essenziale: la notte cravatta, ma c'è cravatta e cravatta. diventa bella la città, ti viene voglia di Quella dell'avvocato che ha lo studio in esplorarne le strade. Sulla strada c'è abCorso Italia è diversa dalla cravatta del bondanza di storie, basta guardare. Tre rappresentante di carta igienica. Una cose sono importanti per me. Avere abpersona trasmette quello che è. Lui avebastanza soldi per essere serena, non va il vestito della festa, come il contadidesidero lo yacht, non voglio il lusso, no che si veste bene la domenica. Lo so non mi interessa. Secondo, la salute, in-

32. scarp de’ tenis ottobre 2012

perchè io vengo da lì. Mia madre era una mondina veneta. Arriviamo e mi dice: «Senta, io devo fare una cosa brutta, ma mi dispiace perché è una brava ragazza». Gli ho dato le chiavi della macchina, i soldi e gli ho detto: questo è quello che ho: 50 euro. Lui non ci credeva che guadagnassi così poco. Invece era vero. Il rapinatore non vuole farti del male, gli interessano i soldi e basta. Sa che una banale rapina cade nel dimenticatoio, se vai oltre scattano le indagini, non gli conviene. Almeno, questo è rassicurante. Però la paura c'è sempre.

Rifiutare clienti sospetti Una sera eravamo in stazione Centrale.

Arrivano due tipi che volevano andare a Genova. Piuttosto che salire con loro sarei andata a fare un rally con Vallanzasca. Ho detto che stavo per finire il

scarpmilano turno. I colleghi hanno fatto lo stesso.

Chi aveva la madre malata e stava per tornare a casa. Chi aveva finito il turno e stava lì a chiacchierare fra amici. Dal fondo della strada sentiamo una voce che dice: “Io sono libero”. Era un collega che doveva pagare le rate della licenza.

Ha rischiato. Dopo qualche giorno l'ho incontrato con la macchina nuova. Gli avevano preso anche quella e l'avevano lasciato di notte a Genova.

Raffaella o Sofia Corben?

A novembre uscirà una raccolta di racconti noir, dentro ce n'è uno mio I frutti del male. Il libro si chiama Ultimo bar a sinistra. L'editore è Ligera, che poi è un'enoteca. Gli avventori sono tutti di via Padova, come me. Ligera è il nome della malavita milanese, Anni '70. Il locale è un avamposto di aggregazione del quartiere. Sullo sfondo dei racconti, la vecchia Milano, con il naviglio della Martesana e le case di ringhiera, e quella nuova, dell'immigrazione, con i dormitori e tutte le difficoltà, speranze ed esperienze dei nuovi e vecchi italiani.

Matteo Speroni, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, curerà la prefazione. Nei miei racconti c'è sempre un taxi, questo di Ligera è ambientato negli orti pubblici di via Padova. Ho deciso di firmarlo Sofia Corben, anche sul sito adesso sono Sofia. Il nome fittizio segna un confine, una sorta di rinascita. Prima della malattia ero diversa, davo valore a tante cose che ormai non ne hanUn filosofo al volante Raffaella Piccinni fotografata insieme al suo taxi

La blogger

Pezzi di vita catturati al volo POSTATO IL 9 MAGGIO 2012 – Quando mia madre nacque le donne neppure votavano. Mia nonna non ha mai preso la patente. Le vite delle donne che ci hanno crescite non sono così distanti. Il vecchio sta accanto all’anziana moglie, come a una madre. Amore per loro è “prendersi cura”, chiederti se hai mangiato. Un vecchio-bambino, arrogante e fragile.«Non c’era mica un uomo da fargli portare il taxi? – borbotta saccente». Ultimamente mi sto intenerendo, non so che mi succede, non sono più quella che una volta gli avrebbe risposto: “Hai votato democrazia cristiana per 40 anni, creato la crisi, allargato il debito pubblico, inquinato il pianeta. Lavoro per pagarti la pensione e ti aspettavi un maggiordomo nero in guanti bianchi alla guida del tuo taxi?”. “Questo è quello che succede quando dai il voto alle donne!”, ho risposto accendendo il motore.

POSTATO IL 20 MAGGIO 2012 – Ha gli occhi stanchi, due occhiaie simili a una maschera poggiata sul naso. Il suo treno arriva da Bologna. Durante la settimana lavora a Milano, ogni week end torna a casa, quando può. «Quando mai – dice –. Il letto sussultava come se l’intero mondo mi venisse a dare la sveglia: svegliati. Il giorno del giudizio è arrivato. Ora passa, pensavo, ora passa. Non vedevo le crepe che si arrampicavano lungo il muro, i mobili cigolare, un dondolare lento ti dice che non sei che un pezzetto di fronte all’assalto dell’universo. Ma non ci pensi, tutte queste cose le capisci dopo, oppure mai. Durante la scossa senti solo la paura. Sono corsa in strada così com’ero, col mio ridicolo pigiama rosso. Vedevo intorno a me le finestre illuminarsi, una dopo l’altra. I neon delle scale lampeggiare prima di accendersi.

Le urla. Una famiglia uscire da un portone di corsa, due bambini insieme ai genitori. Ho atteso l’alba su una panchina, insieme agli altri. Una luce pulita illuminava le macerie». Scatta ad ogni frenata, cerco di guidare lenta. «A volte – mi dice – ho la sensazione che possa ricominciare, allora mi fermo a osservare quello che mi circonda per vedere se si muove, se vibra, se oscilla. Ho paura della paura. Quel brivido che senti salire quando la scossa ha inizio». M’invento qualcosa per calmarla. “Lo sa che la macchina è il posto più sicuro durante un terremoto?”. La radio è una lunga cronaca di carneficina. Redazioni eccitate andate a dormire con una bomba, risvegliatevi all’alba con un terremoto.

Cambio stazione, ora suona una canzone, un notturno di Chopin...

POSTATO IL 30 LUGLIO 2012 Ho portato un Buddha, un saggio, era felice con la sua granita appiccicosa. Ed io non sapevo come dirgli in inglese: “Fai cadere anche solo una goccia di quella roba che mi paghi gli interni! Me li rifaccio di fantozziana pelle umana, la tua!”. E’ stato allora che mi ha ucciso con un sorriso e sei parole: «Life is difficult but it's beautiful». www.psicotaxi.it no più per me. Non mi piacevo. Ero troppo ambiziosa, facevo la sindacalista arrabbiata. Ora mi piace spendermi anche per gli altri, una volta alla settimana insegno italiano alle donne straniere del mio quartiere, a Villa Pallavicini.

I clienti, perfetti sconosciuti In genere lascio fare a loro, se vedo che una persona non ha voglia di parlare la lascio perdere. Però sono incuriositi dal fatto che sono una donna e questo fa scattare la conversazione. E' sempre una questione di sintonia, con uno scatta con l'altro no, è come nella vita.

A raccontarsi sono soprattutto le persone in vacanza a Milano, o che sono qui per lavoro. Quando cambia l'orizzonte geografico, cambia anche quello mentale. I clienti abituali del taxi serale sono i trans perché lavorano di notte, persone fragili, si innamorano dei clienti. Ne ho incontrato uno che mi ha chiesto di andarlo a prendere tutte le sere e di andarlo a riprendere sempre in viale Zara.

Ma non si lavora così. Il bello del taxi è questo, entri in relazione con persone che nella vita di tutti i giorni non ti sogneresti di stare lì ad ascoltare, eppure mi piace avere questi legami con perfetti sconosciuti».

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Una disabilità lo costringe su una sedia a rotelle. Ma lui studia e gioca a hockey. Scrive per vincere la noia dei bimbi in ospedale

Libri e viaggi di Ricky che fermo non sa stare di Simona Brambilla La balena arcobaleno, una macchina parlante, un unicorno magico. E poi pirati, folletti e marziani: è la galassia fantastica di Ricky, l’universo dei protagonisti delle sue storie. Riccardo Pomè vive a Milano, ha 13 anni, è disabile: nato al sesto mese di gravidanza, è affetto da una tetraparesi spastica, che lo obbliga in una sedia a rotelle e gli nega qualsiasi forma di autonomia. Eppure lui, benché il corpo non lo segua, ha una mente e una fantasia che viaggiano lontano: scrive racconti per bambini da quando di anni ne aveva appena 8. Il percorso di Ricky è stato un susseguirsi di terapie, esami e interventi, per migliorare e ridurre i dolori dovuti alle retrazioni muscolari che la sua patologia comporta. Durante uno dei ricoveri all’ospedale Buzzi, annoiato della monotona vita di corsia, Riccardo decise di scrivere storie per chi, come lui, è costretto a trascorrere molto tempo in un luogo di cuil ragazzo raccontava. ra. «I volontari in ospedale ogni sera Ricky, infatti, non riesce a fanno visita ai bambini malati e racconscrivere bene, né a mano tano storie – spiega Riccardo –. Io però né al computer, perché la quelle fiabe le conosco a memoria, riesua mente, la sua fantasia sco ad anticipare ogni frase. Così ho dee i suoi pensieri vanno – ciso di mettermi a scrivere racconti appunto – molto più velonuovi. E sono riuscito a pubblicare il ci del suo corpo. mio primo libro».

I libri sono solo un Il libro di Ricky, edito dalla cooperaaspetto della forza con cui tiva sociale Esedra, fa volare Riccardo e Riccardo e la sua famiglia i suoi lettori sulle ali della fantasia, in un affrontano la disabilità. Oltre alla mammondo in cui la disabilità non esiste. ma, sono della partita anche papà, nonFondamentale, per la sua stesura del lina e due fratelli. Uno dei quali, Alessanbro, è stata la signora Elisa, mamma di dro, è laureato in scienze motorie e laRiccardo, che ha messo su carta ciò che vora con persone disabili in alcuni Un sorriso alla vita Una bella immagine di Ricky mentre gioca a basket.

Sopra la copertina del suo ultimo libro

sport, per esempio il nuoto. Così Riccardo vive un ambiente che gli consente di esprimere appieno le sue risorse: ha da poco iniziato a frequentare la prima superiore all’Itis Mattei di San Donato e nei pomeriggi, dopo aver fatto i compiti, gioca a wheelchair hockey (l’hockey per persone in carrozzina) e pratica kung fu. E naturalmente scrive storie. «Ho terminato un altro libro, più lungo e più bello del primo. Voglio pubblicarlo presto, però con una casa editrice che mi dia il 20% delle vendite», sancisce Riccardo con intraprendenza da scrittore consumato. Ma non per egoismo: i proventi della vendita del primo libro sono andati per altre cause, alla squadra di hockey (gli Sharks Monza) in cui Riccardo milita, e al canile di Limbiate.

E così sarebbe anche con la nuova pubblicazione.

Naturalmente i pomeriggi di Riccardo sono occupati anche da lunghe sedute di fisioterapia e dai controlli che deve fare in ospedale, circa uno ogni sei mesi, che aumentano quando viene operato. Ricky è stato sottoposto a ben cinque operazioni, la prima quando era ancora all’asilo, l’ultima a novembre 2010: gli è stata inserita una placca di titanio che permette al suo femore di stare dentro all’anca. Ma non c’è bisogno di placche, né di leghe metalliche speciali, per sorreggere la sua apertura alla vita, il suo coraggio, la sua determinazione, la sua fantasia. Perché la malattia può ancorarti a una sedia a rotelle. Ma il cuore e il pensiero le sfuggono, e hanno tante strade da percorrere.

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testimoni Il 15 ottobre scade la sanatoria degli irregolari. Tra truffe e false speranze

Ahmed che spera in un miracolo alla lotteria della regolarizzazione di Paolo Riva

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I SCOPPIA LA TESTA», DICE AHMED. Da quando ha sentito la notizia della sanatoria –

che fino al 15 ottobre consente ai datori di lavoro che impiegano dipendenti stranieri irregolari di presentare domanda per sanare la loro posizione pagando stipendio, contributi e un forfait di mille euro – non pensa ad altro. Partito dall'Egitto e sbarcato a Lampedusa, dopo una traversata in mare durante la quale sono morti 14 dei suoi compagni di viaggio, spera di ottenere finalmente dei documenti in regola. Dopo aver lavorato in nero per un’impresa di pulizie, ora ha chiesto di farsi assumere, anche in maniera fittizia, ad alcuni suoi connazionali.

La risposta è stata la richiesta di 10 mila euro. Per come è stato pensato il provvedimento, infatti, sono in molti a scaricare completamente sui lavoratori i costi della regolarizzazione che, invece, dovrebbero essere pagati da chi impiega gli irregolari.

C'è poi l’ampio capitolo delle truffe. A pochi passi dalla Casa della carità, in fondo a via Padova, per esempio, il 16 settembre – ad un solo giorno dall'inizio del mese a disposizione per presentare le domande per la sanatoria – il Corriere della Sera denunciava l'operato di un’agenzia specializzata in “mediazione, consulenza sociale e pratiche amministrative per stranieri”. Chiedeva 500 euro per falsificare un documento – necessario per la regolarizzazione – che attestasse l'arrivo in Italia dell'immigrato irregolare entro il 2011.

«Difficilmente però – spiega l'avvocato dello sportello legale della Casa, Laura De Carlo – una domanda falsa andrà in porto e la truffa non porterà in alcun modo all'acquisizione del documento di soggiorno. Nemmeno se denunciata».

Ahmed, in ogni caso, non può affrontare una spesa del genere. «Io quei soldi non ce li ho» dice sconsolato e così, ora, in Casa, chiede informazioni a tutti. Agli educatori, all’assistente sociale, persino all'addetto stampa. Aminatà, senegalese che ha lavorato come badante non in regola, è nella stessa condizione. E come lei c'è anche Younes, egiziano che ha il permesso di soggiorno per attesa occupazione in scadenza, qualche impiego in nero all’attivo e, con questa crisi, poche speranze di trovare un vero contratto.

Tutti, per il passaparola, sui giornali o in internet, hanno sentito parlare della sanatoria e tutti, pur conoscendo i dettagli del provvedimento in maniera approssimativa e distorta o non avendo i requisiti necessari, sperano di farcela.

Sperano di trovare il biglietto giusto per vincere la difficile lotteria della regolarizzazione e sono disposti a tutto pur di tentare. Le possibilità concrete però sono poche per chi è nella situazione di Ahmed, Aminatà e Younes. Le maggiori chanche di portare la procedura a buon fine, fa notare chi si occupa di diritti alla Casa della carità, le hanno quei lavoratori con un rapporto di fiducia ormai consolidato con i datori di lavoro.

Tanti caricano sui lavoratori i costi e cercano anche di guadagnarci: «Mi hanno chiesto 10 mila euro dice Ahmed - soldi che io non ho»

www.casadellacarita.org

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latitudine como Una mostra per celebrare gli ottant’anni della struttura di accoglienza

Gli homeless si mettono in mostra per “festeggiare” Casa Ozanam di Salvatore Couchoud

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A PICCOLA CASA OZANAM CELEBRA QUEST’ANNO IL SUO 80° ANNIVERSARIO, un traguar-

do condiviso con poche altre istituzioni lariane operative nella sfera del sociale, e meno che mai nell’ambito dell’accoglienza ai senza dimora. Ottanta ma non li dimostra, per usare quella che solo in apparenza potrebbe suonare come una frase fatta, ma che al contrario riassume, in maniera esemplare, la realtà di un ente benefico che ha sempre saputo aprirsi al rinnovamento pur senza deflettere dall’osservanza di quel proprio codice interno che si è dato sin dagli albori della sua attività, e che ne ha storicamente caratterizzata la presenza sul territorio in termini di un vero e proprio “stile” e di un’autonoma “tradizione”.

Dal maggio 1932, con l’apertura dei locali in via Napoleona 34, al maggio 2012, contrassegnato dalla stipula della Convenzione con l’amministrazione provinciale per il servizio di pronta accoglienza “Donne vittime di maltrattamenti”, sono stati innumerevoli i momenti “alti” (dalla visita di Giovanni Paolo II alle onorificenze e ai pubblici riconoscimenti raccolti a destra e a manca nel corso degli anni) vissuti dalla struttura. Struttura che, però, ha scelto una forma insolitamente soft per festeggiare l’80° genetliaco. Una scelta sottotraccia che molto dice di quale siano lo stile e le modalità di intervento di questa importante realtà. Si è infatto deciso di rinunciare all’esibizione di “spalline” e decorazioni per puntare invece sulla presentazione, principalmente ai visitatori comaschi e non solo, del dramma della solitudine e della povertà “in presa diretta”, così com’è, senza fronzoli né orpelli retorici, ma segnalandone la problematicità attraverso un impatto visivo forte e immediato. Ne è nata l’idea della mostra fotografica, una serie di gigantografie che appartengono al progetto artistico e sociale realizzato da Cesare Civardini e che si compone delle foto scattate non da professionisti del settore, ma da homeless intenti a ritrarre le scene della loro esperienza quotidiana.

Si tratta di uomini e donne in mostra, in altre parole, che raccontano la vita dal loro punto di vista, quasi mai coincidente con l’angolo visuale degli osservatori “normali”, e che forse proprio per questo è più vivo e reale che mai.

La dimensione del senza dimora indagata nella massima autenticità, senza censurarne ma neppure enfatizzarne gli aspetti traumatici e dolorosi e, comunque, salvaguardando l’obbligo di imporre all’attenzione la cruda verità che è insita nella stessa narratività sequenziale delle immagini. Che quella del senza dimora, soprattutto ora che le cifre sembrano rinviare a un fenomeno di massa e non più a qualche caso isolato, è una condizione innaturale e aberrante, un’anomalia della storia e un tormento della coscienza. Da qualunque parte la si voglia esaminare.

Uomini e donne raccontano la vita dal loro punto di vista, quasi mai coincidente con l’angolo visuale di chi conduce una vita “normale”

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torino

La Torino sociale è pronta alla sfida La crisi non molla: si studiano nuove modalità di intervento

di Beniamino Mirto, Frank e Aghios

Un panino al manganello E’ sabato, un bel giorno, non piove e non c’è vento.

I senza tetto al Balon a vendere di tutto per tutti.

Chi abbandona, e chi raccoglie, per cinque, dieci euro.

Ma la fatica costa: è l’inflazione.

Per vendere occorre aver prima pagato, 10 euro a posto, e il sindaco ha decretato: ogni abusivo sarà cacciato.

Urla la signora, la polizia insiste, lei non cede, sceglie il bastone, sceglie la guerra.

Un poliziotto ha il naso spaccato due manganellate raggiungono la donna che non venderà né il corpo né la droga.

Quel piccolo commercio era il tentativo di racimolare un po’ di pane, di libertà per due giorni appena.

Gheorghè Mateciuc

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Dopo la pausa estiva e il periodo “di rodaggio” di settembre, con ottobre ricominciano a pieno tutte le varie attività della città. L’autunno spesso è il mese dei propositi, delle speranze e, per quanti si trovano in difficoltà, il momento in cui domandarsi se ci sarà una chance per risalire un po’ la china. Allora viene spontaneo, in questa Torino investita in pieno da una crisi che sembra non darle tregua, interrogarsi su quali saranno le strategie per fronteggiarla e che cosa debbano attendersi quanti sono in difficoltà e chi con essi lavora. Abbiamo chiesto all’Assessore al Welfare e alle Politiche Sociali del Comune di Torino Elide Tisi, al direttore della Caritas Diocesana di Torino Pierluigi Dovis e al direttore dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, Giovanni Tamietti, come sarà la Torino dei prossimi mesi, quale scenario ci si debba attendere.

«Le fasce più deboli non saranno laservizi essenziali per le fasce più deboli sciate sole – esordisce Elide Tisi –. Mai, della popolazione». neppure in un contesto di pesante crisi Una presa di posizione importante economica (che peraltro acuisce i proin momenti come questi... «Occorre blemi di chi sta peggio) e di tagli ai fiperò fare una premessa importante – nanziamenti statali e regionali. Però, conclude l’assessore –: il welfare socioper farlo è necessario ripensare i moassistenziale non può essere pensato delli organizzativi e le modalità di erocome un semplice elemento di redistrigazione delle prestazioni al fine di renbuzione per una fascia di popolazione dere sostenibile il nostro sistema di welfare, anche in condizione di forte riduzione delle risorse pubbliche. Sono convinta che insieme a un impiego più razionale delle risorse umane e finanziarie messe a disposizione da pubbliche amministrazioni, mondo del volontariato e Terzo settore, occorra prevedere una maggiore compartecipazione dei cittadini alla spesa, quando questi ne abbiano le disponibilità economiche e patrimoniali. Sono comunque ottimista, perché nonostante tutto sono certa che – tra pubblico, privato sociale e mondo del volontariato – ci sarà sempre una mano tesa e pronta ad aiutare chi si trova in difficoltà».

Questo significa che il welfare cittadino non subirà dei tagli... «No – continua l’assessore –, perché a fronte di minore disponibilità di risorse adotteremo soluzioni che tutelino e garantiscano i

scarptorino in difficoltà, perché rappresenta un fattore costitutivo delle politiche di sviluppo, incidendo sull'occupazione direttamente e indirettamente. Direttamente perché sono centinaia di migliaia le persone impiegate nei servizi di welfare, una parte importante del mercato del lavoro. Indirettamente perché consente di non sprecare le risorse costituite dalle donne e dai più giovani, offrendo servizi che consentono alle donne di conciliare famiglia e lavoro e di garantire ai cittadini in erba un adeguato percorso di crescita e di inserimento nella società. Cosa si devono allora aspettare volontari e lavoratori del sociale? Da parte dell’Amministrazione comunale la massima attenzione e il pieno impegno per far sì che la crisi, che oggi colpisce duramente l’economia del nostro Paese e priva di preziose risorse anche il comparto del welfare, non penalizzi i livelli occupazionali nei servizi sociali e assistenziali cittadini».

Fare rete per intervenire meglio «Nell’ultimo decennio – esordisce Pierluigi Dovis –, Torino e la sua area metropolitana ha vissuto un tempo di incertezza che l’ha messa di fronte al tema del rinnovamento e della progettazione di un nuovo modo di essere città e società. La crisi ha accentuato i processi di emersione della vulnerabilità di persone e territorio, ma ha anche rivelato la scarsa capacità di visione e di conduzione dei fenomeni. Oggi, nel pieno del

Così gira la vita Lacrime di angoscia, non poter vedere, né abbracciare lo sguardo di mia figlia.

Un senso di smarrimento mi assale, mancano persone di fiducia, che sappiano darmi consigli, amici per divertirmi e una brava ragazza che mi capisca Massimiliano Giaconella

guado, Torino si trova nel già e non ancora. Non è più quella di un tempo. Non è ancora quello che è stato da alcuni sognato per un futuro diverso. E, come sempre in un guado, chi soffre maggiormente è chi sta sotto il pelo dell’acqua. Stiamo parlando di circa un quinto della popolazione della città che, in modo assai variegato, porta su di sé i segni della vulnerabilità». Serve un cambio di rotta preciso... «Attraversare un fiume in piena – continua Dovis – porta con sé la disponibilità a modificare gli stili di vita personali e collettivi di tutti, nel segno di una maggiore essenzialità e nell’impegno ad una rinnovata forma di condivisione reciproca. Non sarà più possibile pensare che le questioni di crescita della parte più fragile della società siano delegate a qualche Istituzione o a qualche ente vocazionalmente operante sul settore dell’assistenza.

Non potremmo più permetterci il lusso di ritenere che i beni di giustizia debbano essere posti in essere esclusivamente dalle istituzioni».

Diverse le azioni che serviranno in futuro: «Servirà – conclude Dovis –, pur nel pieno rispetto della sussidiarietà, una nuova formula di responsabilità collettiva che faccia emergere le capacità e le opportunità oggi sparse sui sette colli, nel tentativo fatto con metodo di creare legami. Legami tra le opportunità, ma anche e soprattutto tra le per-

sone. Serve una visione che metta insieme e ridisegni le responsabilità. Serve uno sforzo generativo capace di uscire dagli stereotipi delle formule ormai superate per inventare processi del tutto diversi, nell’ottica della creazione e posizione di opportunità. Intorno a questo obiettivo, insieme culturale ed operativo, Caritas Torino si sta muovendo, provando ad essere generativa proprio uscendo dagli stereotipi».

Uscire dalla povertà è possibile Torino continuerà a risentire degli effetti della crisi e molte persone, nuclei, famiglie che erano riuscite a mantenere una condizione di vita accettabile, cadranno in una situazione di seria difficoltà economica. In questo contesto le persone in povertà assoluta stentano ancora di più ad uscire fuori dalla loro condizione. Quindi anche a Torino aumenterà il numero di persone in povertà assoluta. «Di fronte a questo scenario – spiega Giovanni Tamietti – già da alcuni anni cerchiamo di affrontare i problemi con una diversa modalità di approccio e un obiettivo specifico: costruire progetti di uscita dai percorsi di povertà. Questo continua ad essere l’obiettivo primario, affiancato dall’attivazione e realizzazione di progetti in grado di prevenire situazioni di “caduta” in povertà. Da qui la necessità di rivedere l’organizzazione e le modalità di azione partendo da un’integrazione delle “tre anime” operative dell’Ufficio Pio rappresentate dai volontari, dall’amministrazione e dai tecnici. Lo abbiamo fatto soprattutto con progetti di formazione e aggiornamento. Ma non solo. Stiamo cercando di integrare, attraverso un lavoro operativo di rete, le nostre risorse con quelle degli altri attori, pubblici e privati, che come noi operano in questo campo». Una scelta necessaria per poter continuare a garantire servizi di qualità. «Noi – conclude Tamietti – sosteniamo principalmente gli appartenenti a quella fascia di povertà che noi chiamiamo “statica”: gli ultrasessantacinquenni e le persone con una invalidità superiore al 70%. Nel 2012 abbiamo poi sostenuto nuclei con minori a carico in condizione di particolare fragilità e in difficoltà sia monoparentali sia colpiti da eventi destabilizzanti. Un impegno che continueremo a sostenere anche per il prossimo anno».

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genova I cittadini di piazza Santa Brigida si sono inventati un’arena.

Attenzione alle voci emergenti, in uno scenario spettacolare

Il grande schermo arriva sotto casa di Paola Malaspina Il vicolo stretto e buio a lato di via Pré lascia già intravedere la sagoma degli austeri lavatoi in pietra, mentre la piazza si apre, ampia e luminosa, come una quinta teatrale. Di lì, una ripidissima scalinata in salita fa da “scorciatoia” sino in via Balbi, cuore della vita universitaria. Siamo in piazza Santa Brigida, uno dei luoghi più antichi e suggestivi del centro storico genovese, centro nevralgico di raccordo tra il “fronte mare” e il nucleo cittadino vero e proprio. Storicamente conosciuta come la “piazza dei truogoli” (che in dialetto ligure sono, appunto, i lavatoi), racchiude in sé un simbolo di guarigione e rinascita, in quanto, proprio grazie alla profezia della Santa, nel 1600 qui furono fatti costruire dei lavatoi per combattere la dilagante epidemia di peste, aiutando la popolazione a lavarsi meglio. Così, secoli dopo, questa piazza non poteva che diventare uno dei luoghi cardine della riqualificazione del centro non poteva restare indifferente. Da questorico, soprattutto grazie all’attivissimo st’idea, e dalla collaborazione di un po’ Consorzio “Vivere Santa Brigida”, che si di amici, tra cui il laboratorio audiovisivi propone di attivare e rendere concreta Buster Keaton dell’Università di Genova, ogni iniziativa, istituzionale e non, di riè nato “CINEtruogoli”, iniziativa cinemalancio del quartiere. Tante sono le teste – tografica interamente indipendente e e le voci – all’interno del consorzio, cogratuita, aperta a tutti. Insomma, una stituito per lo più da abitanti e commercollaborazione spontanea che ha procianti della piazza. Tanti i progetti e le dotto un grande risultato: sei appuntaidee, di cui l’ultima, quella dell’arena menti in cartellone, dalla prima decade estiva, sta riscuotendo un successo al di sopra di ogni aspettativa.

Per affrontare il ritorno in città L’idea di fondo gli amici del Consorzio già la spiegano sul loro coloratissimo blog. A noi la racconta Alessandro, collaboratore del progetto e promotore di “Làbora”, un laboratorio di tecnica fotografica e educazione all’immagine nato e cresciuto in questi anni “sulla piazza”.

«Finite le vacanze – racconta – , si torna a casa più stanchi di prima e si iniziano a spulciare portali, social network, locandine appese a bordo strada alla ricerca di un qualche evento che possa rendere meno traumatico il ritorno. Di fatto, la città non ha molto da offrire e, già da quest’anno, con la chiusura delle arene estive nei quartieri di Pegli e Nervi, è rimasta priva persino di cinema all’aperto.

Così abbiamo pensato che il Consorzio

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di settembre sino a tutto ottobre, per una rassegna di cinedocumentari che si propone di accompagnare il pubblico alla scoperta alla scoperta di giovani registi genovesi, sino ad approdare a nomi internazionali già affermati».

Il tutto ovviamente, con l’idea di sfatare il mito del documentario come prodotto noioso e poco coinvolgente. E naturalmente, far arrivare tutti, abitanti e non, a guardare lo spettacolo.

Una piazza tanti contenuti «Lo scenario indubbiamente aiuta – spiega Alessandro – in quanto offre un anfiteatro scenico perfetto e quella che di solito è una ripida discesa diventa una platea più o meno naturale, ideale per queste sere di fine estate». Ma le condizioni di contesto non possono bastare a spiegare il successo della rassegna, giun-

scarpgenova La suggestione del cinema in piazza, in un luogo particolare come la “piazza dei troguoli”

ta già alla sua terza proiezione, dopo un “pienone” delle prime due serate. L’iniziativa funziona grazie all’aiuto – volontario – di tutti, specie dei commercianti che partecipano al Consorzio; tra chi ci mette il montaggio delle attrezzature, chi le sedie, i cuscini e chi offre una cena o un aperitivo a prezzi abbordabili per la serata, tutti, dalla vicina libreria Finisterrae, ai galleristi di ArteViva, o il personale del ristorante I due Truogoli, si affaccendano sin dal pomeriggio per la riuscita dell’iniziativa. E i riscontri naturalmente arrivano: perché alle proiezioni si vedono un po’ tutti, dagli abitanti, per lo più stranieri, della vicina Via Pré, alle famiglie di giovani professionisti e intellettuali che hanno fatto dell’abitare in Santa Brigida una scelta di vita, oltre che di pensiero. Tutti hanno un pensiero di gratitudine, di entusiasmo per questo scampolo di fine estate vissuto all’aperto e in convivialità. Perché riprendersi la piazza è un valore condiviso e sentito da tutti.

Nuove pellicole, vecchie battaglie Cinetruogoli, però, non è solo socialità e vita di piazza. È, anche e soprattutto, un’occasione per ascoltare tante voci “fuori dal coro”; voci che parlano di minoranze, ingiustizie, diritti, ma anche di vita quotidiana e delle sue piccole gioie o delusioni.

Così, all’interno della rassegna, troviamo “Pescoi de Utri – Artigiani del mare”, un documentario sulla dura vita all’interno di un peschereccio al largo delle coste liguri, oppure “Mondo Vino”, una testimonianza sulla produzione vinicola massificata delle multinazionali americane che rischia di sopraffare la forza della diversità delle culture locali.

Proiezioni da incorniciare Piazza Santa Brigida ospita la rassegna di cinema all’aperto

Non mancano, inoltre, contributi “forti” come “Loro dentro”, una lunga intervista a dieci giovani tra i venti e i trent’anni, ospitati all’interno del carcere di Marassi, con tutte le difficoltà di una struttura non più idonea e sovraffollata, oppure “Cose di questo mondo”, cortometraggio del 2002 che ormai ha fatto il giro d’Europa, raccontando la fuga di due giovani rifugiati afghani dal Pakistan verso la Gran Bretagna. Tornando a casa nostra, val la pena citare “L’uomo di Stregna”, storia di un servitore dei lavori più ingrati, alla perenne ricerca di un pezzo di pane e di un giaciglio, senza dimenticare, ovviamente, “Murgando in Palestina”, autobiografia audiovisiva del gruppo di percussionisti genovesi che lo scorso dicembre, tramite un progetto interamente autofinanziato, si sono recati in Palestina per creare un laboratorio musicale con i bambini del luogo.

Cinetruogoli chiuderà in bellezza a ottobre, con “Le voci del Tanaro”, un omaggio a questo fiume che attraversa il territorio, tra diversità etnolinguistiche rilevanti, raccontate da medici e attori, contadini e danzatori, con poesia e leggerezza. Insomma, ce n’è proprio per tutti i gusti e per tutti gli interessi. E soprattutto per tutte quelle battaglie, nuove, ma spesso molto vecchie, che segnano la promozione dei diritti umani nei nostri tempi.

Una voce per tutti Una rassegna fatta quindi di tante voci, che si fa essa stessa voce, provocazione e

richiamo per i problemi irrisolti del centro storico genovese. Perché certamente Santa Brigida, già dal 2000, ha beneficiato di un importante intervento di ristrutturazione comunale su palazzi e locali commerciali, sul selciato e sui vecchi lavatoi, ma, per una piazza come questa, ce ne sono tante, troppe, in stato di completo abbandono.

Basta scendere nella vicina via Pré, avventurarsi per i vicoli che conducono sino all’arteria di Via Gramsci, per vedere palazzi cadenti, cumuli di immondizia abbandonati e tutti gli scenari che provengono dal degrado urbano, tra cui, non da ultimo, il proliferare della criminalità organizzata.

Del rilancio del centro storico si parla sempre a mo’ di tormentone; tutti dicono di voler fare molto, qualcuno prova a fare qualcosa, pochi riescono effettivamente. Santa Brigida è un raro esempio di felice collaborazione – informale – tra diversi soggetti della società civile che, con pochi mezzi e molta buona volontà, riescono ogni giorno, a creare qualcosa di buono, condiviso e fruibile per tutti.

La sfida è proseguire su questa strada e allargarla possibilmente ai quartieri vicini, a beneficio di tutti i genovesi, sia di vecchia data che di recente arrivo, come i tanti immigrati nati o arrivati qui negli ultimi anni. E’ una sfida, appunto, difficile e appena cominciata; tutti, in primis le istituzioni locali, siamo chiamati a seguirla per poter rendere ogni giorno il quartiere in cui viviamo un film meritevole di essere seguito.

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vicenza Finire sulla strada dopo anni di duro lavoro e di obblighi sociali

Enrico voleva cantare ora solo dimenticare di Fiore Visintin “La pace entra nei miei sensi. La sensazione di galleggiare in acqua libera il mio corpo”, sono alcune delle frasi che ho trovato leggendo “A novel of suspance” di Clyde, dal titolo Carico Prezioso che narra dello stato d’animo del protagonista, un velista, che e’ attraccato con il suo veliero al porto dell’Aquila nello stato di Washington. Dopo che hanno trovato nelle profondità delle acque del porto il corpo di una bellissima donna, ormai senza vita, il protagonista rimane molto scosso e sconvolto da questo ritrovamento. Il suo dolore non gli dà pace né tregua. Solo nuotando e lasciandosi trasportare dalle onde dell’oceano il suo corpo e i suoi sensi ritrovano quella pace perduta. In maniera analoga questo spaccato del racconto mi riporta alla mente Enrico, una persona eccezionale che dorme dove capita e che vive in anni di matrimonio e due figli – racstrada da ormai molti anni, così tanti conta Enrico –, solo e in mezzo alla anni che quasi nemmeno lui se lo ristrada. Per lei ho cercato di essere e di corda, con la sola compagnia del vino fare l’impossibile: sono stato imprenche gli dà la sensazione di libertà e di ditore di successo per guadagnare tanpace interiore e di beatitudine. Senza ti soldi in breve tempo e ambire a un questo approdo alcolico il suo cuore contesto sociale di eccellenza. Ho fatnon reggerebbe e ne uscirebbe spezto tantissimi sacrifici e lavorato molto. zato. Un giorno Enrico mi volle racIo che, invece, avrei tanto desiderato contare la sua storia. cantare». Sì, avete letto bene. Perché «Mia moglie mi ha lasciato dopo 30 Enrico è un artista nato, un cuore

Una sfida da ricordare La squadra che ha vinto il torneo organizzato nel parco della chiesa di San Giorgio

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Autointervista a Carlo

Difficile lasciarsi andare Chi è Carlo? L'ho conosciuto una volta, qualche anno fa, ancora quando dava valore fondamentale a cose infondate.

Con Carlo vivo ogni giorno, e più passa il tempo, più lo conosco. Con lui percorro le strade di Vicenza, i quartieri che lui ha avuto modo di conoscere. Carlo è un solitario, un orso vagabondo che ama vivere la sua vita. Vita che ha cambiato, perché era ora. Io e Carlo siamo buoni amici. Qualcuno conosce veramente Carlo? Quando sono in giro con Carlo, la gente guarda curiosa. Un giorno mi ha proprio chiesto: «Scusa ma perchè la gente ci guarda curiosa?». Fissandolo negli occhi ho risposto: «Non ci badare, sarà il tuo modo di essere, la tua borsa, il tuo cappello, il tuo bastone. Ma tu non mollare mai, mi raccomando». Lui mi ha sorriso e camminando per corso Palladio ha mandato tutto e tutti a quel paese.

Non so perché ha reagito così, ma aveva certamente una ragione. Chi lo conosce veramente sa chi è e sa di poterlo apprezzare: la sua arte, il suo disegno, il suo modo di essere.

Oppure Carlo non vuole farsi conoscere?

Quando è in giro non guarda mai nessuno, va per la sua strada. Non so se lo faccia apposta oppure se sia un modo per farsi capire di più. Non dice molte parole, ma per lui parlano i suoi occhi scuri, a tratti allegri, a tratti profondi. Il suo umore è buono e quando occorre sa dialogare. Io non credo che Carlo voglia nascondersi, ma la sua vita, quello che gli è successo lo hanno portato a questo. Secondo me Carlo vuole farsi conoscere. Ma è difficile lasciarsi andare e fidarsi di qualcuno.

C. M.

scarpvicenza grande come una casa. Ora che beve così tanto vino si lascia trasportare dalle onde dell’oceano per riuscire a capire se stesso e trovare, forse, un po’ di pace. E come se quest’uomo, ora, abbassasse la guardia delle trappole morali per diventare se stesso. Concedendosi tutto quello a cui prima aveva rinunciato per amore della sua famiglia. Ora quello che più lo lo appaga è il non dover usare nessun tipo di condizionamento sociale.

Da questa lunga chiacchierata con Enrico è nato il testo di una canzone che abbiamo deciso di regalare a Luca Bassanese, cantautore di talento e grande amico di Scarp de’ tenis.

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Il torneo

Hanno vinto i più deboli: un esempio per tutti Queste parole sono state scritte in occasione del torneo di calcetto andato in scena durante la Festa d'estate organizzata lo scorso luglio a “chiusura” di un lungo e impegnativo anno. Un divertente pomeriggio passato in compagnia per rompere la monotonia delle lunghe giornate estive che Scarp de' tenis e il gruppo “Sotto un cielo di stelle, fare cultura con le persone senza dimora” hanno organizzato nel parco della chiesa di San Giorgio a Vicenza. Buba, autore di questo breve scritto era il portiere della squadra vincitrice. *** Domenica al campo di San Giorgio è andato in scena il “grande calcio”. Tre squadre a contendersi un trofeo molto ambito. E la squadra più debole tecnicamente ha vinto il torneo. Perché? Perché ha dimostrato maggior motivazione, più determinazione e una grandissima voglia di vincere: per questo sono riusciti a battere tutto e tutti. E questo è un esempio che vale anche nella vita: fare il bene è una cosa buona, dimostra intelligenza, rispetto, disponibilità, condivisione, amore e tutto questo ti porta sulla strada giusta. Sarebbe un dovere di tutti, ma per arrivare devi avere dentro anche la motivazione, la determinazione, la voglia di riuscire: come la squadra debole del torneo. Nessuno chiede mai quale squadra ha giocato meglio, ma chiedono sempre chi ha vinto? E personalmente preferisco far parte della squadra debole che vince sempre piuttosto che di una squadra forte che però, perde sempre.

Buba

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modena “Umana solidarietà ed evangelica carità”: parla il cappellano del S. Anna. “Quanto si sa all’esterno della struttura penitenziaria?”

Di qua e di là dalle sbarre di don Angelo Lovati cappellano del carcere S. Anna - Modena “Parlaci del carcere modenese”: questo il generico invito che mi è stato rivolto e ne sono grato. Ma come parlarne? Per dire magari cose ben note: sovraffollamento, anche se in questi ultimi mesi c’è stato un sensibile “sfoltimento” e, lo si avverte, il clima generale sembra più disteso, igiene – inadeguata, specie per chi vi è appena giunto e, nonostante, siano in corso lavori di rinnovo degli ambienti –, inattività, spasmodicamente richiesto un qualsiasi lavoro, che, il più delle volte, non c’è, spazi angusti (drammaticamente accentuato il disagio, specie in questi giorni, a causa del terremoto e, nonostante, saggiamente, si siano tenute a lungo aperte le celle, per alleviare, per quanto possibile, quel senso tremendo di “soffocamento” e di “paura” che ti prende) e altro ancora? Tutti problemi veri, sempre della massima attualità, che ho imparato a conoscere, da quando, sei anni fa, ho iniziato il mio servizio di cappellano. In questo mio breve intervento vorrei attirare l’attenL'associazione Porta Aperta Carcere nasce più di 30 anni fa, inizialmente come zione su coloro che, il carcere, sono cocostola dell'associazione Porta Aperta: fondata da Adriana Luppi e attualmente stretti ad abitarlo, per tempi più o meno presieduta da Giulio Marini, oggi opera in totale autonomia pur continuando a lunghi e su quanti, invece, liberamente collaborare con essa. Frutto di questa collaborazione è la presenza di due lo frequentano, perché, a diverso titolo e detenuti che per tre giorni alla settimana, fanno volontariato a Porta Aperta. con diverse responsabilità, vi esercitaQuesta associazione ha iniziato la sua attività nel “vecchio”carcere di S. no la loro professione o vi svolgono Eufemia per poi trasferirsi nell'attuale sede del “S.Anna”. L’associazione si azione volontaria. sostiene grazie ai finanziamenti della chiesa modenese, del comune di Modena e con i versamenti personali dei volontari. Tanti sono i servizi che Porta Aperta Un pezzo di umanità dolente Carcere, composta da soli dieci volontari, mette in campo per i detenuti.

Vi si incontra un pezzo di “dolente” «Abbiamo iniziato la nostra attività occupandoci della formazione dei detenuti – umanità, costituito da chi, nel carcere, spiega Giulio Marini –, dando loro lezioni di italiano. Nel tempo i nostri servizi vi è “rinchiuso” (340 detenuti circa, in sono cambiati. Fin dagli esordi, infatti, ci occupiamo di promuovere colloqui un recente passato: intorno ai 500 ), per individuali con i detenuti per cercare di rispondere a tutte le loro necessità, espiare una condanna o, la maggior partendo da quella più basilare che è avere l'opportunità di poter parlare con parte, appellante o in attesa di giudizio. qualcuno di esterno al carcere. Ci occupiamo anche di accompagnamenti in Sì, “umanità dolente”, perché, checché esterno e di effettuare versamenti in denaro per coloro che si ritrovano senza se ne pensi “al di fuori”, lì, nel carcere, il soldi. Al momento l'attività su cui ci concentriamo maggiormente è quella soffrire, fisico ma, soprattutto, morale, è della raccolta e della distribuzione di abbigliamento. Abbiamo anche bisogno di alquanto diffuso. nuovi volontari che possano prestare la propria attività durante la giornata.

Non di rado, purtroppo, come anFare volontariato in carcere richiede una forte convinzione. Per inviare un che al S. Anna, di recente, è accaduto, volontario in carcere infatti, si devono attivare una complicata serie di pratiche che questo soffrire porti a porre fine, in burocratiche che mettono a dura prova la “resistenza” e le motivazioni del modo tragico, alla propria esistenza. Se volontario. Entrare in carcere significa sfatare tanti miti come quello che vuole parlo di “dolente” umanità, non è certo che i carcerati vivano bene o che tutte le persone rinchiuse siano servite e per stendere un velo pietoso sulle reriverite. Le possibilità di potersi difendere non sono uguali per tutti i detenuti; sponsabilità personali, ma è solo per dimolte persone sono sole, senza risorse e non possono permettersi niente. Ed è re che, comunque, fra quelle mura, è per questo che il nostro aiuto è importante: per farli sentire meno soli». rinchiuso un mio “fratello in umanità”, Laura Solieri che soffre. Certo, molti – si sente dire –

«Non è forse vero che il carcere, da molti, viene spesso considerato una discarica sociale?»

Porta Aperta…in carcere

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scarpmodena “se la son voluta” (ma, anche a questo riguardo, come è facile restare molto, molto “in superficie” nel valutare determinati comportamenti); e, comunque, non viene mai meno il fatto che ho pur sempre a che fare con un mio “fratello in umanità”, che sta’ soffrendo. Ma, di tutto questo – al di qua di quelle mura quanto se ne ha consapevolezza? Non è forse vero che il carcere, per molti, viene spesso considerato alla stregua di una “discarica sociale” e, in definitiva, predisposto per ospitarvi quasi solo della “povera gente”? Per cui, legittimamente, vien da chiedersi: è, il carcere, la “giusta” risposta a problemi di devianza sociale ?

Quale giustizia per i detenuti?

E, in merito alla “giustizia”: può soddisfare una “giustizia meramente retributiva, che non sia anche e, soprattutto, “rieducativa e riconciliativa”? Così come sembra del tutto legittimo chiedersi se, veramente, si vogliano percorrere “strade alternative” (definizioni, interrogativi e problematiche che, in sei anni, ho sentito, spesso, formulare da persone ben più autorevoli del sottoscritto e con ben diverse responsabilità, in ordine all’amministrazione della giustizia).

Ma, nel carcere, c’è anche chi vi esercita il proprio lavoro: chi dirige, chi

educa, chi cura, chi custodisce, chi insegna, chi ascolta, assolve e benedice.

Nella stragrande maggioranza, persone serie e sensibili, “costrette” però ad un “lavoro – spesso – poco gratificante”, all’interno di una realtà, il carcere, che, quanto a funzionamento, lascia alquanto a desiderare. C’è, infine, un gruppo, di una certa consistenza, quello dei volontari. Persone mosse dal de-

Il caso

Richiamo della Cisl : «Il sisma non sia pretesto per licenziare» Il terremoto non diventi un pretesto per licenziamenti individuali o collettivi. E’ la Fim-Cisl della Bassa Modenese ad ammonire le aziende del territorio a non approfittare del sisma per alleggerire i propri organici.

«Ci sono diversi lavoratori – spiega Alessandro Gamba, sindacalista della Fim-Cisl di Mirandola (nella foto) – che hanno dovuto allontanarsi causa l’inagibilità della propria abitazione o per la paura delle scosse. Ebbene, alcune aziende del territorio, per fortuna non tutte, hanno colto questa occasione per ridurre ancora una volta i costi a scapito di qualche lavoratore “scomodo” o per diminuire la manodopera. Come?

Licenziando per assenza ingiustificata. Un comportamento purtroppo prevedibile, ma non accettabile».

Se è vero che, offrendo anche un forte segnale nel senso della ripresa dopo lo choc delle scosse a maggio, le imprese devono continuare a produrre, allo stesso tempo è altrettanto vero che in questo periodo molti lavoratori devono affrontare gravi problemi personali e familiari, per non parlare delle difficoltà economiche causate, in qualche caso, dal mancato anticipo da parte delle aziende dell’indennità della cassa integrazione per evento sismico. «Per questo l’invito ai datori di lavoro ad assumere comportamenti socialmente responsabili e – conclude Fim Cisl – a riprendere l’attività senza scaricare sui dipendenti gli oneri della ricostruzione».

siderio di stare accanto a chi tribola, per alleviarne la sofferenza, per favorire i legami con la famiglia, per offrire un minimo di sostegno economico, per sensibilizzare il mondo esterno al carcere; in definitiva per esplicare, nel concreto, quel senso di umana solidarietà e – per chi si professa cristiano – quel senso di evangelica carità, che risponde ad una precisa indicazione del Signore Gesù:

“Ero in carcere e mi avete visitato” (Mt 25,36). È di questo che ha dato eloquente testimonianza il carissimo don Ivan Martini, perito tragicamente, nella sua chiesa di Rovereto di Novi, il 29 maggio scorso, a seguito del terremoto, frequentando, appunto come volontario il “S. Anna” di Modena, per una ventina d’anni. Mi piace concludere con il caro ricordo di chi ci ha lasciato.

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rimini

Elena e le altre sognano un futuro Sui marciapiedi del riminese tra giovani senza via d’uscita

di Alessandra Leardini

Starci dentro Sono molti i momenti nei quali non ci stai più dentro.

Attimi tra attori di farse inutili nel teatro scomodo della vita.

Tra malati di protagonismo che impedisce di vedere oltre.

Anche oggi si chiude.

Aprirsi nel passato felice, allontanandosi da ciò che ti sta stretto.

Un invito inaspettato, chissà forse voluto dal caso, qualche giorno di vita vissuta, semplicemente con chi ti accetta, ti vuole bene per quello che sei.

Nemesi

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È stata una stagione all’insegna dei blitz, delle multe e del rigore per la “riviera del sesso”. Diversi Comuni, da Rimini a Misano passando per Riccione, hanno forzato il giro di vite contro la prostituzione in strada. Un giro d’affari oggi gestito quasi totalmente da criminali romeni. Al tempo stesso le donne di questa nazionalità (insieme a qualche bulgara, russa e polacca) hanno ormai sostituito quelle africane, oggi presenti per lo più nel Ravennate. I “protettori” addestrano le “ragazze di strada” insegnando loro come vestirsi, adescare i clienti e eludere i controlli delle forze dell’ordine. Le ragazze vengono spesso pedinate a distanza o controllate telefonicamente. In alcune occasioni sono costrette a restare più tempo possibile sulla strada per trarre maggior profitti. Lo sa bene Elena. La sua Rimini è uno scorcio di Statale, una macchina che si ferma, un calendario dove segnare i giorni che mancano al ritorno a casa, in Romania.

Là, a Timisoara, ha una figlia di 5 anni che ora sta con i nonni. È a loro che Elena manda i soldi raccolti notte dopo notte.

Elena è stanca ma non ha scelta «Mi sono stancata, ma è il destino che decide per me, l’alternativa era rubare o spacciare – commenta». La forza di volontà, dopo anni di prostituzione, sembra ormai venuta meno, anche fisicamente. Eppure ha solo 23 anni questa ragazza dalla pelle chiara come la luna, che incontro sulla Flaminia, in zona aeroporto. È una sera di metà agosto, sono appena passate le 22 e tra le Befane e la rotonda delle Vele di Riccione, si scorgono già diverse ragazze, tutte giovanissime. Ne conto almeno quindici. Da sole o in coppia, talvolta in gruppi da 4. I punti più frequentati sono quelli davanti a Fiabilandia, a pochi passi dal Bowling, il piazzale di fronte a “Migani” all’inizio di Riccione e, poco più avanti in direzione sud, l’incrocio con la strada che porta in zona Alba. Qui, dicono alcune ragazze che accettano di parlare (per ovvi motivi, le chiameremo con nomi di fantasia) si può iniziare a lavorare prima che al mare. Mentre parlo con

Elena noto una collega in abiti succinti, dal fare ben più spavaldo. Non faccio in tempo ad avvicinarmi che si ferma un’auto. La contrattazione va in porto, la giovane sale e la macchina riparte per riportarla qui dopo neanche un quarto d’ora. Quanto si prende? Chiedo alla mia interlocutrice. Una prestazione completa viene sui 50 euro «ma c’è chi,

scarprimini con la crisi, ne propone 20 senza protezione».

Dopo la mezzanotte mi sposto in zona mare. Su via D’Annunzio, sempre a Riccione, si vede ancora quache coppia o famiglia con bambini, passeggiare. A pochi passi dalla rotonda del “Pepenero” c’è un gruppetto di tre donne, la più “anziana” non arriva ai 25 anni.

Dice di chiamarsi Dana: anche lei è rumena e anche lei ha due figli piccoli.

Ma lei, un marito, al contrario di Elena ce l’ha. «Solo che sta a casa e non fa nulla, sono io a mandare i soldi – spiega». In Romania, lo capirò sentendo altre ragazze nel corso della notte, funziona spesso così. E ancora una volta al lavoro sulla strada non si vedono alternative. «Là paghi tutto, anche l’ospedale – lamenta Dana prima di salutarmi». Il telefono squilla, potrebbe arrivare la polizia. Si scopre così perché molte ragazze non mollano il cellulare neanche un attimo: «In caso di controlli ci avvisano subito – racconta Ester, 20 anni, polacca».

In strada dopo il matrimonio «Sono tornata da due settimane, mi sono sposata – sorride come se ricominciare fosse la cosa più normale del mondo. Cosa mi piacerebbe fare? Aprire qualcosa di mio, magari un ristorante».

Nuovo sorriso, un’occhiata veloce alla borsetta, poi se ne va per riaccostarsi alle auto in corsa.

L’associazione

La Papa Giovanni in prima fila: «Soltanto in poche smettono» Tutti i giovedì notte, d’estate e d’inverno, loro sono lì. Pronti a offrire il loro saluto, un sorriso, un abbraccio o un tè caldo nei periodi più freddi, alle donne che attendono sulla strada il proprio destino. Sono i volontari del Servizio Antitratta dell’Associazione Papa Giovanni XXIII: la maggior parte sono ragazze tra i 20 e i 30 anni, che in molti casi sono diventate per loro, le cosiddette “lucciole”, un punto di riferimento alternativo. È questo l’obiettivo dei volontari, al di là del convincere le ragazze ad abbandonare la strada: far capire loro che “fuori” non ci sono solo i clienti o gli sfruttatori. E che un altro mondo è possibile. In tanti anni di servizio, sulle preziose orme lasciate da don Oreste Benzi, questo gruppo (formato anche da tanti volontari non appartenenti alla Comunità) ha accumulato un approfondito osservatorio sul problema. Ne parliamo con la responsabile per la zona di Rimini, Mara Poggiali.

Molte ragazze dicono di essere stanche della strada. Alla fine come va?

Finché arrivano fresche e impaurite rimane più facile convincerle a una scelta diversa. Il problema si pone quando i mesi e gli anni passano e le ragazze finiscono per assuefarsi al dolore e per abituarsi a una cosa che non piace, a clienti di ogni età e di ogni odore, talvolta alle violenze.

Alla fine lo fanno più per costrizione o scelta?

I casi sono diversi e complessi. Dietro alcune c’è il protettore violento, ma questo accadeva più in passato. Dietro altre c’è il compagno, una persona di riferimento un po’ più morbida ma che gestisce la situazione.

Moltissime, appena ventenni, hanno già figli e per loro questo è l’unico modo per mantenerli. In Romania, faccio un esempio, l’alternativa è un lavoro da 100 euro al mese. Qui 100 euro li prendono con due clienti. C’è poi da tenere presente un altro aspetto...

Quale?

Sono persone che hanno subito privazioni. Molte non vengono da una famiglia stabile, altre hanno vissuto in orfanotrofi che sono lager.

Quante riescono a togliersi dalla strada?

Nelle due case accoglienza del territorio abbiamo 12 ragazze alla volta in una, e 8 nell’altra. In più ci sono tutte le donne che vivono nelle nostre case-famiglia. Ma per la maggior parte è difficile riacquistare autonomia. E chi ha in patria le famiglie che continuano a chiedere i soldi, alla fine torna sul marciapiede.

Alessandra Leardini Verso l’una i marciapiedi si svuotano, ormai in certi punti sono rimaste solo loro. Da Miramare a Marebello ne conto più di una decina. La mia attenzione si sofferma su una giovane bionda, slanciata, tacchi altissimi, minigonna e top. Mi dice di avere vent’anni, a guardarla bene non arriva ai 18. Mi lancia un’occhiata sospettosa, non sembra avere l’intenzione di parlare anche perché – dice a monosillabi – è in Italia da una settimana. Mi allontano, la sensazione è di metterla in difficoltà. Poco più avanti c’è Irina, 22 anni, anche lei rumena. Ha iniziato alle 23 e rimarrà in “servizio” fino alle 3, massimo 4, “dipende

come va la serata”. Anche in questo caso, però, la motivazione pare venuta meno.

«C’è gente che lo fa da cinque anni, io non potrei mai». Racconta di aver resistito anche d’inverno, in mezzo alla neve, di averlo fatto – anche lei – per i suoi figli piccoli che non vede l’ora di riabbracciare. E si lamenta dei controlli.

«Quest’anno è dura, l’altra notte mi hanno multato per la terza volta. Perché le devo pagare? Ci sono ragazze più svestite di me. E poi – conclude – io ho l’avvocato. Se ti fanno la denuncia e sei difesa, poi ti lasciano andare». Un ritornello che sentirò ripetere spesso, in questa lunga nottata.

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firenze

Uomini maltrattanti, un centro per guarire In città dal 2009 opera il Cam, unica struttura presente in italia

di Claudio Corso Non esistono mura domestiche prive di piccoli o grandi problemi. Eppure spesso sembra che, una volta chiusa la porta di casa, tutto quello che accade attorno a noi, anche nell’appartamento accanto, non ci appartenga, anche se si dovessero sentire urla, colpi, bambini che piangono. La violenza domestica non è un argomento raro, anzi, quando il giorno dopo incrociamo la vicina di casa, con gli occhi gonfi, i lividi sul corpo, sappiamo bene cos’è successo, il perché di quelle urla la sera prima. Troppo spesso però si fa finta di credere alle tipiche scuse del tipo: “sono scivolata” anche se notiamo i capelli strappati dalla nuca. Non sto citando un disegno immaginario, ma una realtà vissuta solo pochi giorni fa, quando cercavo di far capire ad una ragazza deturpata fisicamente e plagiata mentalmente che doveva andare al pronto soccorso e denunciare il compagno che l’aveva ridotta in quel modo, mentre lei, impaurita e confusa, continuava a ripetermi che, nonostante tutto, a quell’uomo lei voleva ancora beC’è l’Autunno sulla soglia, ne. Un fatto avvenuto proprio in concoma ancor tutto verde è il prato; mitanza di un’intervista programmata sotto il Sole ormai placato sull’argomento “maltrattamenti alle cade già la prima foglia. donne” con la psicologa Alessandra Le colline s’intravedon Pauncz, la quale, dopo 17 anni a contatto con donne maltrattate, basandosi ammantate dalla bruma, su programmi che in altri paesi sono sui filari delle viti una realtà che già garantisce risultati, i bei grappoli novelli dal 2009 è passata ad operare dal lato splendon simili a gioielli opposto della barricata, cioè a operare e la terra arata fuma. sugli uomini che maltrattano.

C’è l’Autunno che s’avanza Da questa iniziativa è nato un procol suo manto gramma, unico in Italia, che si è concrerosso e oro; tizzato nel Cam, centro di ascolto uomini maltrattanti, realtà che oggi è operaor la prima pioggia tiva solo sul territorio di Firenze e che è danza quasi sconosciuta, se non ai servizi sosopra i campi ciali. a dar ristoro.

Autunno

Gianni sta lentamente guarendo Ho conosciuto il Centro uomini maltrattanti circa due anni fa, quando avevo intrapreso un percorso di recupero, conseguente ad un fatto di violenza che avevo commesso. Otto anni fa circa, dopo una forte litigata e sotto gli effetti dell'alcol, ho aggredito mia moglie Letizia (cosa già avvenuta in precedenza,

48. scarp de’ tenis ottobre 2012

Sta sull’uscio il contadino; guarda ciò che ha seminato.

Brinda con il nuovo vino, grato ai doni del Creato.

Mary

dodici anni prima, con conseguenze meno gravi) e per fortuna, grazie alla reazione di Letizia stessa, l'episodio non ha avuto un epilogo tragico. Comunque mia moglie si è dovuta far medicare al pronto soccorso e io sono stato portato in caserma dai Carabinieri.

Da un punto di vista giuridico, anche perché Letizia non ha sporto denuncia, non ho avuto noie, ma da quei giorni è iniziato un mio percorso di recupero con l'aiuto del mio psichiatra – la stessa persona che poi mi ha indirizzato al Cam –: un percorso che mi ha fatto capire di avere un problema con l'alcol che sto cercando di risolvere partecipando ai gruppi di alcolisti anonimi.

scarpfirenze Su consiglio del dottor Andrea Cicogni, ho iniziato anche dei colloqui personali al Cam, incontri poi sfociati, nella mia partecipazione ai gruppi settimanali che il centro organizza. La prima impressione che ho avuto è stata di essere capitato nel posto giusto, per non dover rischiare di rivivere e soprattutto far rivivere a Letizia con cui dopo, due mesi di separazione abbiamo ricostruito un rapporto, que terribili momenti.

Un luogo dove mi sento bene La prima buona impressione è stata confermata dal buon lavoro che gli operatori del centro stanno facendo su di me: oggi possiedo gli strumenti necessari a gestire la rabbia, il risentimento, le paure e gli altri stati d'animo che hanno scatenato in passato la mia violenza. Ma la strada da compiere è ancora lunga: le persone come me, che hanno causato in passato episodi di maltrattamento, sono soggetti sempre a rischio di ricadute. Per questo motivo, pur avendo compiuto un percorso importante insieme al gruppo, e sentendomi più sicuro riguardo al controllo del mio essere violento, continuo a frequentare il Centro, anche se con minor assiduità riespetto al passato. È un modo per continuare a mantenere il controllo».

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Il centro

L’esperienza del Cam di Firenze: «Luogo dove imparare ad amare» Il Cam è innanzitutto un punto di riferimento per diverse figure: per uomini che stanno riflettendo sui propri comportamenti, sulla rabbia, su problematiche relazionali e sulla genitorialità e hanno bisogno di aiuto e sostegno; per le donne che stanno subendo violenza da un partner maschile, sia esso un marito o un compagno; per persone preoccupate dall’uso di violenza nei confronti di una persona conosciuta e per operatori che aiutano uomini, donne e bambini in situazioni di violenza domestica.

I contatti del Cam, finora, sono stati circa duecento, di cui la metà provenienti da aree esterne a Firenze.

«Di questi duecento – spiega la dottoressa Alessandra Pauncz –, la metà proviene da fuori Toscana, suddivisi esattamente al 50% fra nord e sud Italia. Un segnale che fa comprendere che il fenomeno non è diffuso diversamente in base alla territorialità e al tenore di vita, come si sarebbe potuto pensare. Da qui la necessità di mettere in campo interventi capaci di essere efficaci a prescindere dalla zona o dal territorio nel quale vengon effettuati».

Nella struttura fiorentina i gruppi si tengono in sedute settimanali. A gestirli sono due specialisti che, come fattore propedeutico al trattamento stesso, sono un maschio, lo psichiatra Andrea Cicogni, e una femmina, la stessa Alessandra Pauncz.

«In Italia – continua Alessandra Pauncz –, rispetto a molti altri Stati e nonostante le raccomandazioni dell’Unione Europea, non esiste una legge che costringa l’uomo violento a seguire questi tipi di percorso.

L’obbligatorietà può essere dichiarata dal giudice solo quando, a seguito di denuncia e relativa condanna, l’uomo si avvicina alla fine della pena detentiva. Per questo motivo c’è stato un incontro con il procuratore generale Beniamino Deidda, al fine di sensibilizzare le forze dell’ordine e la magistratura sulla necessità di inviare gli uomini a programmi di trattamento».

Parallelamente occorre anche lavorare per portare in Parlamento una proposta di legge che consenta di avviare ordinanze di obbligo di frequenza del Gruppo, sia in presenza, sia in assenza di denuncia, laddove sia evidente l’azione violenta nei confronti della donna. «È importante capire – conclude Alessandra Pauncz – che gli uomini che si rivolgono al centro sono assolutamente “normali”. Sono lavoratori, padri di famiglia, hanno livelli di cultura ed istruzione variabile e non presentano patologie particolari. Si avvicinano con paura e speranza alle terapie. La paura è quella di essere “etichettati” o “accusati” e la speranza è quella di poter ricostruire intimità e fiducia nelle loro relazioni. La violenza uccide la complicità e la felicità di stare insieme ed è un prezzo molto alto da pagare.

Certo mettersi in discussione non è facile, ma con l’aiuto degli operatori ed il sostegno degli altre persone che stanno vivendo le stesse difficoltà, è possibile iniziare un percorso di cura. E i vantaggi che si ottengono nel corso della terapia sono di gran lunga più gratificanti della difficoltà iniziale di chiedere aiuto».

CAM (Centro di Ascolto UOMINI MALTRATTANTI) Via Enrico il Navigatore, 17 50127 - Firenze Lun.: dalle 12 alle 17 – Mar.: dalle 9 alle 12 Mer.: dalle 9 alle 14 – Gio.: dalle 9 alle 17 telefono 339.89.26.550 www.centrouominimaltrattanti.org ottobre 2012 scarp de’ tenis

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napoli La figlia del giudice Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia nel 1983 ha inaugurato la comunità “La Tartaruga” a Somma Vesuviana

Garantire alternative, per dare futuro di Laura Guerra

Lo chiamano granello Un granello di sabbia, un niente, nessuno ne parla, nessuno conosce i suoi disagi, quando per esempio viene calpestato da bagnanti urlanti che si dirigono nell’acqua.

Il granello di sabbia: una cosa.

Diamo poca importanza alle cose, eppure le cose ci aiutano a leggere i nostri percorsi, li mantengono vivi.

Le cose sono piene di significati, le cose gridano, anche un granello di sabbia lo fa.

Le cose siamo noi.

Quando le cose non ci saranno più non ci saranno più gli uomini.

Quando gli uomini non ci saranno più le cose resteranno a raccontare gli uomini.

Aldo Cascella

50. scarp de’ tenis ottobre 2012

«Mio padre è stato il primo giudice negli anni Settanta ad andare nelle scuole a parlare con i ragazzi di droga e mafia in un periodo in cui l'eroina uccideva molti giovani palermitani. Questa piazza che da oggi porta il suo nome, traduce in concreto il suo impegno e il suo sacrificio». Con queste parole Caterina Chinnici, figlia di Rocco Chinnici, magistrato ucciso dalla mafia a Palermo con un attentato il 29 luglio 1983, ha battezzato la piazza in onore del padre e inaugurato la comunità alloggio per minori “La Tartaruga“ a Somma Vesuviana. Caterina Chinnici, da luglio di quest’anno a capo del Dipartimento Giustizia minorile, ha voluto ringraziare ad uno ad uno, i quattro adolescenti, ospiti del “La Tartaruga”, per aver saputo cogliere l’opportunità di riscatto che è stata loro offerta, grazie a un percorso educativo personalizzato e a tirocini formativi che batte la camorra solo con l’eterna lotta stanno frequentando in alcune aziende. tra guardie e ladri». Una posizione conUn taglio del nastro fortemente simbodivisa anche dal colonnello Marco Milico per il gruppo di lavoro de “La Tartanicucci, comandante provinciale dei ruga” nato in via sperimentale a MariCarabinieri di Napoli che ha puntato gliano nel 2001 e ora trasferito nel coml’accento sullo stretto rapporto di prosplesso polifunzionale di Somma Vesusimità che esiste tra l’Arma e strutture viana e diretto da Mariella Patrone. quali La Tartaruga e tante altre realtà sociali del territorio, così come il sindaco Il lavoro come riscatto Una cerimonia, a tratti commovente, a cui hanno partecipato le massime autorità territoriali. Il presidente del Tribunale di Napoli, Carlo Alemi, ha voluto “chiedere scusa ai ragazzi, a nome dello Stato, colpevole di non offrire, in alcuni territori, valide alternative alla devianza”.

«Dobbiamo noi per primi dare l’esempio – ha sottolineato – se vogliamo che i giovani percorrano la strada della legalità. Dovremmo inaugurare tante piazze Rocco Chinnici, che immaginò e organizzò il primo pool antimafia e volle al suo fianco Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per tenere viva la sua memoria e quella di tanti servitori dello Stato».

E il questore di Napoli, Luigi Merolla ha voluto sottolineare l’importanza delle misure alternative al carcere per il reinserimento dei giovani. «Offrire concrete possibilità di lavoro e di socializzazione ai giovani significa sottrarre linfa alla criminalità organizzata, non si com-

scarpnapoli di Somma Vesuviana Raffaele Allocca che ha aggiunto: «Dobbiamo far passare questi ragazzi dal disagio all’agio».

«Questa piazza e questa comunità traducono in segno quello che era il sogno di Chinnici: una giustizia che recupera i giovani e non li giudica soltanto» ha detto don Tonino Palmese, vicario episcopale di Napoli e presidente onorario della Fics, Federazione internazionale città sociale, sigla che raggruppa molte realtà del terzo settore. «Oggi non inauguriamo semplicemente una comunità per minori ma una rete di welfare per i giovani» ha sottolineato Salvatore Esposito, presidente della federazione Internazionale Città Sociale.

Struttura per otto adolescenti “La Tartaruga” a Somma Vesuviana, è una struttura educativa residenziale a carattere comunitario, può accogliere fino a 8 adolescenti maschi, tra i 14 ed i 18 anni ed è gestita dall’associazione “Il Pioppo”, storica associazione impegnata dalla fine degli anni Settanta nel recupero dei tossicodipendenti Un luogo nel quale gli educatori vivono, insieme ai ragazzi, la “normalità” del quotidiano dove sperimentano e mettono in pratica un progetto di recupero sociale individuale. Uno spazio nel quale le regole condivise diventano la cornice all’interno della quale agire e approfittare di opportunità scolastiche, formative ed educative.

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Occasione di socialità Caterina Chinnici davanti alla lapide dedicata al padre nella comunita per minori “La Tartaruga” di Somma Vesuviana

L’incontro/1

Una cena tra amici a Casoria E' stato un bell'incontro anche se non li conoscevo. Siamo stati ospiti della comunità giovanile di San Benedetto Martire a Casoria. Il primo impatto è stato quello della conoscenza: erano tutti ragazzi e ragazze tra i venti e i trent’anni, il tempo di una stretta di mano e subito si è creata un'atmosfera familiare intorno a noi. Quando sono entrata nella struttura c'era una sala grande ma lunga con un grande tavolo apparecchiato ed in fondo era stato montato un megaschermo perchè quella sera c'era una partita della Nazionale italiana ai campionati europei. Prima abbiamo guardato la partita e poi abbiamo cenato tutti insieme. Proprio quello è stato il momento della condivisione, della conoscenza più approfondita. L'atmosfera era molto rilassata, fra una risata e l'altra il clima era tutto rosa. Conoscendo meglio quesi ragazzi ho capito che erano tutti istruiti, alcuni già laureati altri stanno ancora studiando all'università; ma la cosa che mi ha colpito è che sono ragazzi che credono nelle cose importanti.

Si tratta di un bel gruppo fatto di persone molto semplici che mettono in primo piano i valori come l'amicizia e il rispetto per gli altri. Ho trascorso una bella serata, insieme a loro e ho sentito di essere stata un'amica simpatica. La serata è passata velocemente ed in allegria: hanno messo la musica e alcuni hanno ballato, io ho fatto soltanto da spettatrice ma è stato divertente lo stesso. E cosa dire? Ragazzi e ragazze che con la loro semplicità ti fanno sentire bene. Non abbiamo conosciuto il parroco ma sono sicura che è un bravo sacerdote, ha saputo creare quella bella comunità di giovani che sono il suo gregge.

Marianna Palma

L’incontro/2

La bellezza di stare in compagnia L'invito a cena era fissato per il tardo pomeriggio e infatti con gli amici di Scarp de’ tenis siamo arrivati intorno alle diciannove e ci hanno ricevuti in una sala preparata con accuratezza e buongusto dove tutto era pronto per condividere la lauta cena e trascorrere la serata in un clima di spensieratezza e di comunione. I ragazzi che avevano dai venti anni in su si sono presentati con fare amichevole senza crearci nessun tipo di imbarazzo o soggezione. Dopo aver visto la partita Italia-Croazia nel torneo degli Europei, finita poi con un pareggio su gol di Pirlo, ci siamo accomodati tutti intorno ad un bel tavolo lungo e mentre aspettavamo di gustare le prelibatezze preparate dallo chef. Era tutto molto saporito e cucinato bene: la frittura all’italiana, il rotolo di mozzarella ripieno di rucola, la pasta al filetto di pomodoro, la carne al forno con le patate e per finire un bel dolce fatto in casa. Il discorrere con leggerezza per conoscere il pensiero e le opinioni di questi ragazzi mi hanno fatto capire da subito il livello sociale e culturale che li distingueva da tanti giovani che vivono la quotidianità senza ideali e senza obiettivi. Loro li ho visti assennati: mi sono sembrate persone che sanno cosa vogliono. Sia esso un traguardo da raggiungere o una vittoria che gratifica. Mi sono sembrate persone cresciute in un contesto che è stato capace di trasmettere l'importanza della famiglia, dell'etica, della morale e del matrimonio. Alla fine della cena, dopo un bel caffè e una foto di gruppo siamo tornati tutti a casa, accompagnati con il pullmino della parrocchia. Tenendoci tutti stretti nel cuore il ricordo di una bella serata, trascorsa con gente piacevole. E di questi tempi non è poco.

Sergio Gatto ottobre 2012 scarp de’ tenis

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salerno Da novembre a Salerno sarà attivo un centro specializzato per curare la malattia. Una via d’uscita per migliaia di famiglie

Una speranza per i bimbi autistici di Eliescu Serban Florian

Il libro Il cubo di marzapane Quando si può sfidare l’autismo di Christina Caflish Edizioni Kappa (Roma)- euro 12

52. scarp de’ tenis ottobre 2012

Non sono poche le famiglie salernitane che vivono con bambini autistici: secondo una stima, in tutta la Campania i casi di autismo tra i bambini sarebbero 2.000 (stiamo parlando di quelli ufficialmente riconosciuti, ma si pensa che molti altri non siano mai stati diagnosticati), dei quali il 20% riguardano Salerno e provincia. Una malattia, l’autismo, che per tanti anni è stata una sorta di buco nero, della quale si ignoravano le cause e per la quale sembrava che le famiglie non potessero fare altro che accettare le manifestazioni e i sintomi dei figli così com’erano. L’accettazione di una persona con problemi è un atto d’amore, ma i progressi della scienza dimostrano che c’è un atto d’amore più grande, possibile per i ragazzi autistici: la cura medica. E Salerno, in questo campo, sta per diventare un centro d’eccellenza. Nel luglio scorso, infatti, è stato firmato un protocollo d'intesa tra diventare un punto di eccellenza nel comune di Salerno, ospedale Bambino Sud Italia. Con questa struttura d’eccelGesù di Roma e associazione “Una lenza, unica nel Meridione d’Italia, Sabreccia nel muro” per la realizzazione di lerno tende la mano ai malati ed alle fauna struttura all’avanguardia, unica nel miglie aiutandoli a ritrovare il sorriso e suo genere in tutto il Mezzogiorno, che la speranza». sarà inaugurata a novembre 2012. È significativo che la struttura di cura e riabilitazione per i ragazzi autistici,

Struttura unica nel Mezzogiorno «La stipula del protocollo d’intesa per la creazione di un centro d’alta specializzazione per la cura ed il sostegno ai bambini autistici ed alle loro famiglie rappresenta un tassello fondamentale della città – ha dichiarato con soddisfazione il sindaco Vincenzo De Luca –. È un'iniziativa di grandissimo valore, che ci riempie di orgoglio e soddisfazione e che profila l'immagine di una comunità votata all'accoglienza e alla solidarietà.

Crediamo fortemente in questo progetto perché capace di darci assolute certezze scientifiche, in quanto guidato da un protocollo di cura ispirato ai più alti livelli di approccio scientifico. La struttura non sarà solo un luogo di accoglienza e di cura dei bambini autistici, ma anche un centro di formazione per le famiglie e per gli operatori. Siamo convinti di poter avviare una struttura che durerà nel tempo, un vero e proprio presidio terapeutico che potrà presto

scarpsalerno e l’associazione che la gestirà, si chiamino “Una breccia nel muro”. Il muro è l’ostacolo, che sembra insormontabile, che separa i ragazzi autistici dai loro familiari o amici. Un muro che può apparire molto spesso, ma che può essere abbattuto dalle giuste cure degli operatori e dall’amore dei familiari.

Un centro per 50 bambini «Con l’apertura del centro di Salerno – spiega il presidente dell’Associazione “Una breccia nel muro”, Alberto Giuliani –, ogni anno, sarà data risposta a 50 bambini di 2-6 anni. Si tratta di un inizio importante. Al Centro saranno proposti percorsi terapeutici personalizzati e intensivi, secondo un approccio cognitivo-comportamentale già sperimentato con risultati significativi nel Centro romano, adottato con successo nei paesi evoluti e riconosciuto efficace nelle “Linee guida sull’autismo” espresse alla fine dello scorso anno dall’Istituto superiore di sanità. Le famiglie sono coinvolte nel trattamento per consolidare nei bambini, in casa e nell’usuale vita di relazione, le attitudini, i comportamenti e le funzionalità da essi acquisite e per fronteggiare le situazioni critiche che spesso si presentano. Questo consentirà ai bambini una qualità di vita migliore, nell’immediato e nel corso degli anni; li recupererà a un vivere sociale al quale hanno diritto».

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L’incontro

Uscire dal “cubo di marzapane”: con l’autismo si può convivere Giovedì 20 settembre al salone dei Marmi del comune di Salerno si è svolto un importante convegno sull’autismo, a cui hanno partecipato luminari internazionali che studiano la patologia, e nell’ambito del quale è stato presentato un libro, intitolato “Il Cubo di Marzapane”. Il libro è opera di Christina Caflisch, coraggiosissima madre che ha accompagnato la figlia Lisa, autistica, attraverso numerose e faticosissime terapie: oggi Lisa vive una vita “normale”, è sposata e lavora come insegnante. La storia della meravigliosa guarigione di Lisa è descritta splendidamente da Christina nel suo libro; il titolo fa riferimento al “cubo”, a quel luogo angusto, chiuso in tutte le sue parti e buio, nel quale Lisa continuamente si rintanava da bambina. Scappava da tutti i rumori e suoni, non poteva essere minimamente sfiorata, aveva enormi difficoltà nella lettura ed era oggetto di pregiudizi a scuola.

Ma nonostante questo, Christina ha intuito che, accanto al grande amore che ogni giorno ella stessa donava a sua figlia, qualcosa potesse essere fatto per migliorarle la vita.

Per anni si è documentata, frequentando convegni e leggendo libri, finchè si è imbattuta nelle teorie di un noto specialista italo-americano, il professor Carl Delacato. Secondo quest’ultimo, l’autismo dipende da una lesione leggera e diffusa della corteccia cerebrale, che provoca alterazioni nella percezione della realtà, attraverso i cinque sensi. Il professor Delacato, che aveva uno studio in Italia, visitò Lisa, e desunse che la ragazza aveva alterazioni percettive, in particolare, con l’udito e il tatto; Lisa aveva alterazioni “ipersensoriali”, cioè aveva una percezione straordinariamente più grande delle sensazioni uditive e tattili (altri soggetti hanno alterazioni di segno opposto, “iposensoriali”). Carl Delacato era un neuropedagogista, così prescrisse a Lisa alcuni esercizi, da svolgere, accompagnata da sua madre, per ben quattro ore al giorno, relativi al senso di equilibrio, determinato dall’udito, alle sensazioni tattili e a tanto altro. Nel giro di pochi mesi, Lisa migliorò incredibilmente. Un po’ alla volta, col passare degli anni, cominciò ad avere una vita sempre più normale, si diplomò (superando completamente i problemi di dislessia) e, soprattutto, iniziò ad avere una vita sociale, frequentando amici e amiche; fino a fidanzarsi e poi a sposarsi.

In sintesi, quel buco nero, quel “cubo” alto e chiuso da inferriate, apparentemente più sicuro, in cui Lisa si rifugiava per sfuggire a una realtà ipersensoriale così spaventosa, quel cubo che la rendeva assolutamente incomprensibile e “strana” per tutti coloro che la conoscevano, è diventato un cubo di marzapane, dolce, morbido e malleabile (reso tale dall’amore di sua madre e dalle cure del dottor Delacato), nel quale la ragazza è cresciuta e dal quale, vista la morbidità, è potuta meravigliosamente venire fuori. Nel corso del convegno al Comune di Salerno è intervenuto il professor David Delacato, neuropedagogista del Delacato international center di Philadelphia (Usa), luminare della materia e figlio del compianto medico Carl Delacato a cui si rivolsero Christina Caflish e sua figlia Lisa. «Si può guarire dall’autismo – è stato detto nel convegno – ma è necessario approntare le giuste cure, che renderanno più semplice, più bella, normale laddove possibile la vita dei ragazzi autistici, e di conseguenza delle loro famiglie».

Antonella Citro ottobre 2012 scarp de’ tenis

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catania Ad Aci Castello una villa sottratta alla mafia diventerà presto un centro di aggregazione dove i giovani potranno gestirsi

Colline Giovani, luogo di incontro di Ausilia Domenica Costanzo “Se non ti muovi, non si fa niente”. Questo il motto di Giusi Palermo, altra mente, insieme a Dino Barbarossa, del progetto “Colline Giovani”; nonché presidente del consorzio Elios Etneo e della fondazione Natività del Signore. Il consorzio Elios Etneo è nato nel 2006 all’interno del progetto di sviluppo del consorzio Sol.Co Catania (rete d’imprese sociali siciliane costituita nel 1994). Formato da sedici cooperative sociali che condividono strategie imprenditoriali per l’integrazione, l’interazione, la promozione umana, con particolare riguardo per i soggetti più svantaggiati. La fondazione Natività del Signore è sorta nel 2011 per riqualificare parte del quartiere Cibali di Catania, coinvolgendo anche e soprattutto i cittadini, nella convinzione che un modello migliore di welfare si può ottenere solo grazie alla collaborazione dei vari attori sociali. “Colline Giovani” è il nome del centro d’aggregazione giovanile che sorgerà nella villa di Aci Castello sequestrata oltre vent’anni fa a un prestanome del clan mafioso dei Laudani e di cui abbiamo I luoghi di prossimità legati alla fondazione Ebbene, si trovano a Catania, in chiesto alla dottoressa Palermo. provincia ed in altre località della regione. Costituiscono iniziative di sviluppo

Luoghi di prossimità: progetti belli e possibili

Come e quando avete ottenuto l’assegnazione del villino?

Due anni fa il Consorzio per la Legalità ha pubblicato un bando. Il Consorzio Sol.Co lo ha vinto, aggiudicandosi la gestione della villa.

Perché se l’immobile è stato sequestrato più di vent’anni fa, solo in tempi relativamente recenti si è proceduto all’appalto?

La procedura di consegna dei beni confiscati alla mafia segue un iter piuttosto lento. A questo aggiungerei il cambio delle amministrazioni che, sovente, porta ad abbandonare progetti avviati precedentemente.

Welfare diffuso Nella foro in alto il presidente della Fondazione “Ebbene” di Catania, Dino Barbarossa

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locale e di partecipazione civica. Attualmente sono cinque: “Fondazione Natività del Signore”. Nata a Catania per volontà di 200 cittadini residenti a Cibali, un quartiere da riqualificare, con ampie zone da mettere in sicurezza per renderle fruibili a tutti, piccoli e adulti.

“Colline Giovani”. Il villino confiscato alla mafia e affidato al consorzio Sol.Co. Sorge su una collina in provincia di Catania. L’intento è di realizzare un centro di orientamento, aggregazione e formazione per i giovani del territorio.

“Fondazione Odigitria”. Ha sede a Palermo. Le attività sono molteplici. Si occupa principalmente di assistenza sanitaria e socio-sanitaria per soggetti svantaggiati. Ha in sperimentazione un tipo di assistenza domiciliare che attraverso un monitoraggio telematico collegato direttamente alla struttura ospedaliera, permette alla persona la permanenza a casa evitando la necessità del ricovero. “Dopo di Noi” è un altro progetto di rilevante importanza al quale Odigitria sta lavorando: realizzare delle realtà abitative in grado di ospitare ed accudire ragazzi affetti da gravi infermità fisiche e mentali al momento che non avranno più i loro genitori.

“Fondazione Don Luigi Sturzo”. Opera a Caltagirone con l’intento di aiutare i poveri, gli anziani e gli immigrati, cercando di migliorarne la qualità della vita promuovendo la cultura del dono e della solidarietà.

“Terra Mia”. E’ un fondo agreste di 19 ettari nel territorio ragusano. Il gesto filantropico della proprietaria, lo ha messo a disposizione della cooperativa sociale ‘Isola iblea’. Il progetto che si sta portando avanti, prevede una struttura per l’accoglienza di giovani con disagio psichico dove lavorare per la loro riabilitazione psichiatrica e per dare loro l’opportunità di un’inclusione socio-lavorativa.

Sissi Geraci

scarpcatania Fondazione Ebbene

Realtà al servizio dei cittadini con l’attenzione ai più deboli La fondazione “Ebbene” è nata a Catania nel giugno del 2011, quando decise di diventare parte attiva nella realizzazione di una campagna di sensibilizzazione volta alla ristrutturazione e riconversione di un bene confiscato alla mafia, un villino in provincia di Catania, affidato nel 2010 al consorzio Sol.Co., la più grande rete di imprese siciliane che operano nel sociale. «La fondazione è una struttura autonoma – spiega il presidente Dino Barbarossa –, dedicata ad attività di servizio e di solidarietà sociale a favore di tutti e in particolare di chi vive in situazioni disagiate. I servizi offerti sono molteplici, grazie alle strutture e categorie professionali che si sono e che si stanno convenzionando con la Fondazione. Lo spettro è ampio: dall’assistenza medico-sanitaria agli aiuti alimentari, dai servizi educativi e di assistenza alla formazione professionale, alla consulenza legale. Si tratta di un sistema di welfare evoluto che consente al cittadino l’accesso diretto al servizio di cui ha bisogno, senza l’intermediazione dell’ente pubblico, evitando così le lunghe attese e beneficiando di tariffe agevolate con un risparmio fino al 40%».

Per le persone più bisognose, numerosi servizi sono gratuiti. Come punto di riferimento, i cittadini possono recarsi nei centri di prossimità, strutture adibite a sportelli aperti al pubblico, dove ricevere accoglienza e informazione. «Per accedere ai servizi, sia gratuiti sia a pagamento, è necessario essere in possesso della Fidelity Card Ebbene, che ad un costo di 30 euro l’anno, viene rilasciata dall’associazione di consumatori “Cittadini europei” a noi collegata – conclude il presidente –. Abbiamo chiesto a tutti i Comuni siciliani, di offrire a loro spese la card ai cittadini più poveri, e grazie a quelli che hanno accolto la richiesta, già 4000 famiglie indigenti ne stanno beneficiando. A chi non ha nulla possiamo garantire pacchi di cibo attraverso il “Banco delle Opere di Carità” che è la nostra filiera alimentare, istruire gratuitamente pratiche di microcredito, dare la possibilità di assistenza e tutela legale gratuita».

Info: www.ebbene.it Sissi Geraci

In quali condizioni versava la villa?

La struttura era in rovina per via del ventennale abbandono e vandalizzata.

In cosa consiste il progetto di riqualifica del bene?

Poiché ad Aci Castello manca un vero e proprio centro di aggregazione giovanile (da qui il nome “Colline Giovani”) vogliamo creare un luogo di ritrovo – culturale e non – destinato tanto all’adolescente abbiente, quanto a quello più in difficoltà.

Sol.Co è l’affidatario del villino (ottenendone la gestione decennale); la fondazione “Ebbene” ed il Consorzio Elios, invece, che ruolo hanno?

Entrambi gli enti si sono sviluppati all’interno di Sol.Co lavorano in parallelo,

(la forza sta proprio nell’operare in rete), mentre però la Fondazione “Ebbene” ha uno scopo filantropico, prefiggendosi di creare luoghi di prossimità, ossia bacini d’iniziative di sviluppo locale, il Consorzio Elios si occupa di concretizzare le varie idee.

Fattivamente, allora, come vi state muovendo?

I lavori di messa in sicurezza della villa li stanno svolgendo operai specializzati appartenenti alla nostra cooperativa dei senzatetto. In questo modo loro riacquistano dignità e noi riqualifichiamo il bene.

In che modo sarà strutturata la villa?

Attualmente stiamo creando una pic-

«Mi auguro che il centro possa arrivare ad essere completamente gestito dai giovani. Poiché il cittadino deve imparare ad impegnarsi in prima persona» cola sala convegni e un ufficio; successivamente saranno realizzate una biblioteca e delle postazioni internet.

Come si è proceduto per la raccolta fondi?

Poiché si tratta di un bene confiscato alla mafia abbiamo fatto richiesta al Programma operativo nazionale sicurezza del ministero degli Interni. Intanto Unicredit ci ha donato 20.000 euro. Aiuto fondamentale, ma sufficiente solo per risanare una parte dell’ immobile.

In quali ostacoli vi siete imbattuti?

Il primo scoglio da superare è stato quello del vandalismo, a cui abbiamo posto un freno inserendo nella villa, ventiquattrore su ventiquattro, un custode (ex senzatetto). Per il resto vi è solo un po’ di perplessità da parte dei vicini, perché temono che la tranquillità di quella zona possa essere turbata e perché, come spesso accade, la novità spaventa. Comunque tuttora l’unico vero problema è rappresentato dalla scarsità di risorse economiche.

Quando è prevista l’apertura del centro?

Intorno ad ottobre, ma sarà fruibile solo una porzione di villa.

Qual è l‘obiettivo finale?

Noi siamo abituati a “leggere” il territorio per comprendere ciò che in quel dato momento è necessario. Quello che posso dire è che mi auguro che più avanti il centro possa arrivare ad essere completamente gestito dai giovani. Poiché il cittadino deve imparare ad impegnarsi in prima persona.

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ottobre 2012 scarp de’ tenis

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poesie di strada

Flash-back Gallerie d’arte biforcute avvocati della buona e della cattiva sorte quest’inverno vado a sciare noi non ce ne andremo a sciare per dimenticare i luridi marciapiedi di questa tetra città e gli edifici, caserme in cui la gente ricca s’imprigiona tra soldi, oro e nefandezze con allarmi e cani da guardia e servitù di colore.

Andrò a sciare andremo a sciare per ricordare Karol… papa sportivo sorridente, beato forse già santo per imitarlo per tuffarmi per tuffarci nella neve fresca come ai vecchi tempi della mia prima gioventù di mamma.

Il mio cibo è la mente la natura d il mio prossimo.

La mia mente comprende tutto il mondo con i suoi colori.

La mia mente è libera e il mio corpo agile: proverò lo snowboard!

Poi mi stirerò le gambe per distendere le membra ed i nervi.

Silvia Giavarotti

Ciò che amo Piccolo Ho amato il mare vento che unisce il cielo al lontano orizzonte, ho amato la sua ira che furiosa flagellava l’indifesa scogliera.

Ho amato il vento che alitava sul mio viso il suo caldo sospiro, l’ho amato ancora quando violentò i fiori del mio giardino.

Ho amato le stelle che videro nascere i miei amori, quando la notte oscurava il mondo per poi vederti svanire.

Ho amato questa realtà: elementi che vivono nell’universo.

Prigioniero oggi di un mondo sconosciuto.

Sono fuggiti lasciandomi solo legato ad una vita che non amo.

Vorrei odiarli, ma continuo ad amarli.

Nel buio dei miei giorni presenti, elementi che ho lasciato nel passato illuminano ancora il mio viso, vivo nel loro ricordo.

Gaetano “Toni” Grieco

Paradiso terrestre Dopo pranzo, nella mia terra passeggiavo, d’un tratto all’ombra di un albero mi sdraiavo ed un pisolino schiacciavo; svegliandomi mi accorgevo che attorniato da tanti alberi ero, ero felice perché in questo luogo campestre consapevole di essere nel paradiso terrestre.

Mr Armonica

56. scarp de’ tenis ottobre 2012

Quel “piccolo” vento porta con sé odori profumati della stagione.

E’ fresco, piacevole, mentre ti accarezza il viso.

I capelli mossi disegnano sul tuo viso una ragnatela, disordinata e intrigante.

I tuoi occhi lacrimosi sembrano circondati da piccoli brillanti che luccicano colpiti dai raggi di sole.

Sei ridente e felice per quest’ebbrezza che ti sfiora, mentre con la mano sposti i capelli.

Ridi per le sensazioni che provi, non ne hai motivo, ma ridi.

Hai allontanato i pensieri tristi, ma vuoi distogliere la tua speranza.

Guardo la tua emozione e vivo attraverso te fortunati pensieri, che accorciano le nostre distanze.

Rimani fedele ai miei ricordi, rimani esposta a quel piccolo vento che porta con sé odori profumati, che ti porta al cuore le mie dolci parole dell’amore.

Domenico Casale

Arpeggio Oggi, e ancora ancora, ancora…

Nell’infinito intreccio di intenti ed alchimie sogni e realtà, nell’armonie di anime unite in un “assolo”.

Susseguirsi di accordi antichi e nuovi… giocose sinfonie d’opere liete e…il delicato arpeggio di un Amore per sempre!

Aida Odoardi

ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier L’Europa a pezzi. quale viviamo, come l’agenda tira la cinghia in Grecia, Spagna, per il buon vivere, come Portogallo. E anche in Italia. Ma l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. l’austerity, soltanto, non basta più.

Ventuno è la nostra Quali ricette per uscire dalla crisi? idea di economia.

Con qualche proposta per di Andrea Barolini agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno. ventunostili Sulla fame non si

Si

specula. La campagna di sensibilizzazione contro i facili guadagni sul prezzo del cibo

21 di Emanuela Citterio

ventunostili Quando coltivare la terra diventa un’impresa “sociale”. La storia della Conca d’Oro, fattoria sociale nel trevigiano.

di Cristina Salviati

ventunorighe Tra mostri finanziari e avidità

di Mauro Meggiolaro giornalista finanziario

ottobre 2012 scarp de’ tenis

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21ventunodossier Se Atene piange, Sparta non ride. Si tira la cinghia in Grecia, in Portogallo, ma anche in Spagna e in Italia. Ma cosa servirebbe?

Europa a pezzi, l’austerity non basta dossier a cura di Andrea Barolini

Chi paga lo scotto di una crisi, che a quattro anni di distanza, ancora non mostra segnali di ripresa? Le fasce più deboli della popolazioni, i disoccupati, le famiglie con redditi bassi.

E le spending review non sono sufficienti in un panorama europeo caratterizzato da un debito pubblico sempre più pesante, da disoccupazione (giovanile soprattutto) a livelli preoccupanti, debole tenuta dei sistemi di welfare.

Quali ricette allora per uscire dalla crisi?

58. scarp de’ tenis ottobre 2012

Solo lacrime e sangue, politica monca Se si considera il crollo del colosso bancario americano Lehman Brothers come il momento in cui la crisi – finanziaria prima, economica poi – è esplosa a livello internazionale, allora possiamo affermare di aver vissuto ormai quattro anni di depressione. Un periodo che ha visto i governi di tutto il Nord del mondo concentrarsi ostinatamente su due ricette per uscire dal tunnel: dapprima il salvataggio del sistema finanziario, a suon di ricapitalizzazioni, nazionalizzazioni o altre forme di sostegno, di cui hanno beneficiato soprattutto banche e compagnie d’assicurazione. spetto agli altri Stati del cosiddetto grupQuindi, a ruota, l’adozione di politiche po dei “PIGS”, e quindi può vantare animprontate ad un rigore draconiano, ficora fondamentali leggermente migliori glio della necessità di contenere le espo(sul fronte occupazionale, non certo su sizione debitorie pubbliche, a loro volta quello del debito). Ma occorrerà vedere generate proprio dalle operazioni di aiucome evolverà la situazione nei prossimi to alla finanza, che hanno pesato in moanni: l’ondata di speculazione che ha do impressionante sui bilanci statali. Il ricolpito il nostro Paese, e che ha provocasultato è presto detto, e non è certo figlio to un’impennata dello spread (il differendi una semplificazione: a pagarne le speziale tra i tassi sui titoli di Stato italiani e se sono stati i cittadini dei Paesi colpiti, quelli tedeschi), ha costretto nei mesi ed in particolare – come quasi sempre scorsi il Tesoro ad emettere debito anche accade – le fasce economicamente e soal 7%. Il che significa che le casse pubblicialmente più deboli. Uno sguardo anche si svuoteranno rapidamente quanche rapido ai principali dati macroecodo tali obbligazioni andranno a scadennomici non lascia spazio a dubbi: i tassi za: un fattore che, potenzialmente, ci di interesse che crescono, la crescita che condannerà a nuove difficoltà. E, probafatica a manifestarsi, continue ricadute bilmente, ad nuove manovre improntain fasi recessive. E, soprattutto, i tassi di te al rigore e ai sacrifici. Anche la risposta disoccupazione che – proprio nei Paesi del nostro Paese alla crisi, d’altra parte, è che hanno stretto di più la cinghia – sono stata in perfetta linea con quelle dei prinschizzati alle stelle: 24,6% in Spagna, cipali partner internazionali. Così, se21,7% in Grecia, 15,2% in Portogallo. L’Icondo un’analisi del Sole24Ore, dall’initalia partiva in una posizione migliore rizio della legislatura il parlamento ha ap-

austerity e crisi

provato ben dieci manovre, che hanno garantito al Tesoro circa 330 miliardi di euro, tra tasse e tagli alle spese. Una cifra straordinaria, che però non è bastata né – come detto – a limitare il prezzo dell’emissione di titoli di Stato, né a ridare fiato all’economia reale.

Il crollo della Spagna Se si vuole toccare la situazione con mano basta anche solo passeggiare nelle strade spagnole, portoghesi e greche.

Prendiamo il primo caso: per “disindebitare” l’economia, Madrid non può contare su altro se non le esportazioni e i servizi turistici. Ma la strada è ripidissima: la somma dell’indebitamento privato e di quello pubblico rappresenta qualcosa come il 363% del Pil. E ciò che è incredibile è che l’indebitamento privato è stato accumulato quasi solo tra il 2001 e il 2005, durante la fase di espansione internazionale del credito. Così, oggi sul groppone delle industrie iberiche c’è il 134% del Pil, mentre famiglie e banche devono rispettivamente l’82 ed il 76%.

Lo Stato, paradossalmente, è “solo” al 71%: dunque imprese e cittadini sono costretti (se ci riescono) a risparmiare tutto il possibile. Il che provoca inevitabilmente un ulteriore calo di investi-

menti e consumi. Nel frattempo, il governo continua a stringere i lacci. Devastando la vita dei più deboli. Un esempio per tutti è quello legato alla decisione di limitare di netto l’accesso alle cure sanitarie per i senza tetto extracomunitari privi di permesso di soggiorno (150 mila persone nel Paese): a loro sarà concesso solo il primo soccorso (eccezion fatta per donne incinte e minori). Una misura con la quale si ritiene di risparmiare circa 500 milioni di euro all’anno. Il governo, in soli nove mesi di attività, ha inoltre effettuato un duro giro di vite sui sussidi di disoccupazione e aumentato numerose tasse (tra cui anche l’equivalente spagnolo dell’IVA). Col solo risultato di indebolire ancora di più le famiglie, e deprimere l’economia.

Grecia, ospedali paralizzati Anche ad Atene la musica non cambia.

Dopo aver ricevuto imponenti aiuti economici, atti ad evitarne il tracollo, l’ortodossia della “troika” (Bce, Commissione europea e Fondo monetario internazionale) ha costretto la Grecia ad adottare misure di straordinario rigore (emblematico il caso della tassa sulla casa riscossa tramite la bolletta elettrica). Numerosi cittadini sono rimasti in breve let-

teralmente strozzati, la disoccupazione è schizzata alle stelle, ogni giorno chiudono centinaia di negozi ed imprese.

Eppure, nonostante gli sforzi sovrumani, agli speculatori non è bastato. Le agenzie di rating hanno rigirato il coltello nella piaga piazzando l’etichetta di “junk” (spazzatura) sui titoli di Stato ellenici, e la troika è tornata alla riscossa chiedendo al governo di vendere parte del patrimonio pubblico. Con risultati peraltro desolanti: i proventi nei prossimi 3 anni, stimati dapprima in 50 miliardi di euro, sono stati poi rivisti nettamente al ribasso (a 19 miliardi).

Ora, chiaramente non si può sorvolare sulle responsabilità degli amministratori greci, che negli anni passati hanno portato pian piano le finanze pubbliche sull’orlo del baratro. Ma le conseguenze del rigore eccessivo, anche qui, sono sotto gli occhi di tutti. Basta osservare la situazione degli ospedali: nel bilancio 2012 i finanziamenti alla sanità sono stati tagliati del 6,5%. Mancano i soldi per pagare le medicine, la maggior parte dei nosocomi risulta indebitata e la corruzione è diventata dilagante. Moltissimi medici accettano abitualmente le “fakelaki” (tangenti, in greco), e si può arrivare fino a 30 mila euro per un intervento chirurottobre 2012 scarp de’ tenis

.59

ventunodossier

Spread

Il contrattacco di Draghi L’ultima mossa del numero uno della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha costituito, da un lato, un chiaro messaggio a chi ha speculato e continua a speculare sulla crisi dell’Eurozona. Dall’altro, uno dei rari momenti di sostanziale unità di intenti (eccezion fatta per l’intransigente Germania) a livello comunitario.

L’ex governatore di Bankitalia ha annunciato la volontà di lottare contro i tassi di interesse sui debiti pubblici attraverso l’acquisto diretto di titoli di Stato, emessi dai Paesi membri in difficoltà, con scadenza da uno a tre anni. Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia, insomma, potranno contare su un compratore di ultima istanza, di fatto illimitatamente (Draghi, intelligentemente, non ha posto tetti massimi alle operazioni, mossa che ha il merito di non dare punti di riferimento agli speculatori), il che consentirà probabilmente di frenare i tassi e dunque, il costo dell’indebitamento stesso.

Va detto inoltre che la Bce si è mossa coraggiosamente, perché lo ha fatto camminando ai limiti del proprio mandato. All’Eurotower infatti non è chiesto di sostenere la crescita: Draghi, per questo, ha “giustificato” le proprie scelte con la necessità di garantire equilibrio monetario. Dando il via libera ad uno “scudo anti-spread” che per alcuni governi potrebbe costituire una vera e propria ancora di salvezza.

60. scarp de’ tenis ottobre 2012

gico. Una distorsione alimentata anche dal fatto che, secondo le informazioni fornite dall’ordine dei medici greco, un dottore su quattro risulta disoccupato o sotto-impiegato. L’intero sistema produttivo greco paga inoltre lo scotto di un’economia in nero dilagante: circa un quarto del sistema è sommerso (la media dei 21 Paesi più sviluppati dell’Ocse è pari al 14%), secondo le analisi di Friedrich Schneider, ricercatore dell’università di Linz, in Austria. Le regole fiscali appaiono applicate in modo discrezionale, e gli episodi di corruzione dei funzionari pubblici sono all’ordine del giorno. Il che fa ricadere su chi non può evadere – in primo luogo i dipendenti statali – la grandissima parte del peso fiscale complessivo.

Portogallo, ora ci si ribella Sentimenti che in Portogallo sono sempre più diffusi. Non è tanto il tasso di disoccupazione (per altro al di sopra del 15%, che sale addirittura al 36,1% per

quanto riguarda i giovani) a far comprendere l’umore della popolazione lusitana, quanto il numero di persone che, scoraggiate, dichiarano di aver smesso di cercare un impiego. Si tratta di 83 mila persone, secondo l’Istituto nazionale di Statistica, ossia il triplo rispetto a soli tre anni fa. Un comportamento comprensibile, se si tiene conto del fatto che, alla fine del 2011 oltre la metà dei 771 mila disoccupati lo era da più di un anno, e 250 mila da più di due.

A loro, però, nell’ambito delle manovre di austerità imposte al Paese in cambio degli aiuti finanziari da 78 miliardi di euro concessi dalla troika, le prestazioni sociali sono state tagliate di netto. Dal 1 aprile scorso, il tetto ai sussidi è stato abbassato da 1.257 a 1.040 euro, e le mensilità concesse sono passate da 38 a 26 al massimo. Il governo ha poi dapprima provato a tagliare le tredicesime per i lavoratori dipendenti, quindi ha “ripiegato” su un incremento di ben 7 punti percentuali dei contributi previdenziali (che

Muovono masse di capitali in tempi brevissimi

C’è chi riesce a speculare sui semi di cacao Da anni se ne parla, senza che mai sia stato chiarito effettivamente di chi si tratta. Sono i responsabili della bolla speculativa pre-2008 e del clamoroso, conseguente crollo della finanza globale. Sono quelli che hanno messo in ginocchio la Grecia, l’Irlanda ed il Portogallo, e che hanno tentato (per ora solo tentato) di fare altrettanto con Spagna e Italia. Sono gli “speculatori”. Ma di chi stiamo parlando in realtà? Rispondere a questa domanda non è facile. Innanzitutto occorre comprendere il concetto stesso di speculazione: essa consiste nell’acquistare e vendere dei titoli per approfittare delle oscillazioni di prezzo ed ottenerne in tal modo un beneficio. Posta tale definizione, si può affermare che, in realtà, la speculazione è al- prezzo ben più piccole, riesce comunla base stessa del funzionamento del que ad incidere profondamente sul simercato capitalistico: banche, investi- stema. La crisi recente lo ha dimostrato tori istituzionali, grandi imprese o pic- chiaramente: attratti dagli ampi margicoli investitori sono tutti, sebbene a gra- ni di guadagno registrati fino alla fine del 2007, i grandi investitori hanno gondi diversi, speculatori.

Il problema è legato proprio a tali fiato a dismisura, un po’ in tutto il mongradi. Chi compra mille euro di azioni do, il mercato immobiliare. Spingendo i di una società, sperando di ricavarne un prezzi ben al di là del loro valore reale. guadagno anche ampio, poniamo del 20% in un anno, dal punto di vista del Integrati nel “sistema” mercato non muove nulla, essendo Un’ulteriore conferma del fatto che la troppo limitato il capitale investito. Al speculazione sia “integrata” nel sistema contrario chi effettua transazioni impo- la danno altri due elementi: l’esistenza nenti, magari sfruttando oscillazioni di di prodotti e strumenti atti specificata-

austerity e crisi

passano dall’11 al 18%). Una proposta che ha fatto insorgere i sindacati, e che ha portato il 15 settembre scorso milioni di persone nelle piazze portoghesi.

Cosa servirebbe invece?

L’austerity applicata in assenza di misure di sostegno alle imprese, alla popolazione (soprattutto chi è più in difficoltà), e più in generale alla crescita, è dunque una politica monca. Lungi dall’essere una panacea, rischia di ritardare fortemente la ripresa. Sia chiaro: è evidente che debiti pubblici eccessivi non possono essere considerati sostenibili. Ma ciò che dobbiamo chiederci è – appunto – quali chiavi alternative si possano sfruttare per migliorare la situazione delle finanze pubbliche, senza accanirsi sulla popolazione e senza bloccare il rilancio del sistema economico. Ciò di cui avremmo bisogno, in questo senso, è un serio piano di profonda ristrutturazione del tessuto produttivo del Paese, a cominciare – perché no? – dalla riconver-

sione di quelle aziende che oggi producono beni poco appetibili sul mercato (leggasi Fiat) o la cui governance è ormai impresentabile (vedasi Finmeccanica).

Al contempo, si dovrebbero adottare politiche volte ad una sana redistribuzione dei redditi e delle risorse, al fine di restringere la forbice tra ricchi e poveri e, insieme, rilanciare i consumi e gli investimenti nelle piccole e medie imprese.

Quanto al fronte dei mercati, anziché “tranquillizzare” gli investitori si potrebbe scegliere di “attaccare” gli speculatori.

Come? Cogliendoli di sorpresa come ha provato recentemente a fare Draghi con il nuovo piano di acquisti di titoli di Stato (vedi box a fianco), introducendo una tassa sulle transazioni finanziarie (che garantirebbe oltre 600 miliardi di dollari al-

l’anno a livello globale, 250 in Europa), e mettendo al bando alcuni prodotti finanziari (soprattutto derivati) e alcune pratiche (a cominciare dalle vendite allo scoperto). Senza contare la lotta all’evasione fiscale e la razionalizzazione (senza tagli, possibilmente) della spesa pubblica. Un esempio concreto? Se si eliminassero gli sprechi dalla sola sanità, per stessa ammissione dell’ex ministro della Salute Ferruccio Fazio, si potrebbero ottenere tra i 5 e i 10 miliardi di euro all’anno. Ai quali si potrebbero aggiungere, sottolineava uno studio di Confesercenti del 2006, anche gli sprechi collegati alla “cattiva gestione dei rischi in ospedale, che determina richieste di danni da parte dei pazienti pari a 2,5 miliardi di euro”.

migliaia di transazioni al minuto, per sfruttare anche le piccolissime oscillazioni di prezzo.

Altri si concentrano invece sulla pratica delle vendite allo scoperto (short selling), che consiste nel comprare oggi un titolo del quale si entrerà in possesso tra qualche mese, “scommettendo” su un cambiamento del prezzo.

Ma ciò che rende più oscuro il mercato è il fatto che moltissimi speculatori utilizzano sistemi di compravendita paralleli a quelli tradizionali: sono sempre maggiori, infatti, gli scambi effettuati nei mercati cosiddetti “over the counter”, o nelle “dark pool”, buchi neri della finanza globale, privi di controlli, supervisione e regolamentazione. Per tutto ciò, tracciare un identikit dello

“speculatore tipo” è difficile.

Ciò che è chiaro è che non può che trattarsi di soggetti in grado di muovere enormi masse di capitale in breve tempo. E dunque banche, hedge funds, grandi società finanziarie. Basti pensare che, un paio di anni fa, il fondo d’investimento londinese Armajaro comprò in breve 240 mila tonnellate di semi di cacao. Qualcosa come il 7% delle scorte mondiali. E il prezzo del cioccolato crebbe ai massimi degli ultimi 33 anni...

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Gli scambi avvengono sempre di più nei canali “non ufficiali” mente a speculare, e la volontà, perpetrata per decenni, di deregolamentare il comparto finanziario. Un chiaro esempio è quello dei credit-default swap, noti anche con la sigla CDS. Si tratta di derivati che costituiscono una sorta di assicurazione rispetto ad un investimento effettuato, contro il possibile fallimento del soggetto emittente.

Il che, tradotto, significa che se si acquistano titoli di Stato, si possono comprare anche CDS per assicurarsi contro l’ipotetico default del Paese in questione. Ma tali swap possono essere comprati anche senza essere in possesso di alcun titolo di Stato. Il che significa che chi possiede, ad esempio, solo CDS (e non titoli pubblici) legati al debito greco, avrà tutto l’interesse a vedere fallire Atene!

Ancora, numerosi speculatori utilizzano ormai da anni sistemi informatici sofisticatissimi, basati su complessi algoritmi, che consentono di effettuare

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21 ventunoeconomia Venticinquemila persone ogni giorno muoiono di fame. Ma c’è chi, sul cibo, gioca. Anche in borsa o sui mercati finanziari!

Sulla fame non si specula di Emanuela Citterio Cos’è un derivato? E un future, uno swap? Sembra gergo tecnico, per addetti ai lavori del mondo della finanza eppure si tratta di un fenomeno che influenza la vita di tutti noi. Scommettere sul cibo è diventato sempre più facile. Basta anticipare la salita o la discesa dei prezzi dei beni alimentari, attraverso investimenti e opzioni commerciali come lo scambio e la compravendita di contratti “futures” sulle materie prime. La speculazione finanziaria sul grano, il mais e il riso – alimenti che costituiscono la dieta di base, e spesso l’unica, nei Paesi più poveri – non è solo un gioco virtuale privo di conseguenze. Si è visto per la prima volta nel 2008: in quell’anno improvvisamente i prezzi dei cereali e di molte derrate alimentari raddoppiarono, e in qualche caso aumentarono anche di più, per poi ridiscendere bruscamente in pochi mesi. Sulla borsa merci di Chicago, che fa da riferimento per i prodotti agricoli, il valore del grano triplicò e in Paesi come l’Egitto, il Messico e le Filippine il costo dei beni alimentari di base diventava proibitivo per centinaia di migliaia di famiglie. Lo stesso fenomeno si è riproposto all’inizio del 2011 e a metà del 2012: i prezzi del mais e del grano hanno ricominciato a crescere segnando improvvisi picchi, superando i massimi storici e arrivando a fluttuazioni superiori a quelle del 2008.

Futures sul riso Perché i prezzi aumentano tanto e in modo così irregolare? C’è una scarsità di cibo tale da rendere rare, e quindi più

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925.000.000 sono le persone al mondo malnutrite preziose e care, le derrate alimentari? «La speculazione finanziaria consiste nell’anticipare la salita o la discesa dei prezzi attraverso investimenti e opzioni commerciali come lo scambio e la compravendita di futures e derivati» afferma Oliver De Schutter, relatore speciale dell’Onu per il diritto al cibo. Ma cosa sono i futures? Sono contratti finanziari con i quali si stabilisce “oggi” a quale prezzo comprare “domani” un certo bene, come il grano o il riso. Che la speculazione sui beni alimentari abbia conosciuto una vera e propria esplosione lo si vede proprio dal moltiplicarsi di questi tipi di contratti finanziari: dal 2003 al 2011 il volume dei futures sulle materie prime agricole scambiati alla Borsa di Chicago è moltiplicato per nove passando da 13 miliardi di dollari a 260 miliardi di dollari. «Quando operatori privati o istituzionali – continua De Schutter – vedono che un gran numero di contratti futures sono scambiati sul mais, e che altri attori finanziari stanno scommettendo sull’aumento di prezzo di quel prodotto, tendono al panico. Così ritardano

le vendite, stoccano il cibo, perché credono di essere di fronte a una scarsità.

Se tutti i venditori trattengono i loro stock e tutti i compratori cercano di crearsene, si crea una scarsità artificiale: c’è abbastanza cibo, ma ce n’è troppo poco sui mercati finanziari». «A questo punto i prezzi del mais, del grano o del riso impennano, e questo può essere completamente slegato dal fatto che ci sia o meno disponibilità di questi beni ».

E quando la bolla esplode? Dopo alcuni mesi la legge della domanda e dell’offerta legata alla disponibilità dei prodotti torna a prevalere e il panico finisce. Ma nel frattempo i Paesi poveri, soprattutto quelli che dipendono per la propria sicurezza alimentare dall’importazione di cibo, sono andati incontro a enormi problemi e molte famiglie sono entrate nel circolo vizioso della povertà perché non sono più riuscite a soddisfare i propri bisogni alimentari. La Banca Mondiale ha calcolato che nel primo semestre del 2011, 44 milioni di persone sono finite in povertà come conseguenza dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari.

Prigionieri dei lobbysti di settore Quali allora le possibili soluzioni? «È necessario che i mercati finanziari funzionino in modo più trasparente e che rispettino alcune regole», afferma Riccardo Moro, economista e uno dei promotori di “Sulla fame non si specula”, lanciata a Milano nell’aprile del 2011.

Quest’anno il G20 si è mosso sull’emergenza speculazione raccomandando di studiare la possibilità di imporre dei “li-

fattorie sociali

Le proposte della campagna per Expo 2015

Subito un osservatorio su cibo e finanza Un osservatorio su cibo e finanza. Per capire come la speculazione sta influenzando i prezzi dei beni alimentari e per informare l’opinione pubblica. È la proposta che la campagna “Sulla fame non si specula” ha fatto alla città di Milano in vista di Expo 2015, la grande esposizione universale il cui tema è “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Cos’è un derivato? E un future, uno swap? Sembra gergo tecnico, per adetti ai lavori del mondo della finanza eppure influenza la vita di tutti noi. Così come il “land grabbing”, la speculazione sulle terre in Africa e Asia, sta minacciando il diritto al cibo di intere comunità. Per orientarsi e saperne di più la campagna italiana “Sulla fame non si specula” ha messo online un kit informativo che spiega i legami fra cibo e finanza, si può scaricare gratuitamente ed è a disposizione di quanti vogliono attivarsi e far arrivare la voce della società civile alle istituzioni e ai governi. “Sulla fame non si specula” è un’iniziativa di sensibilizzazione nata a Milano nell’aprile del 2011 su iniziativa di un gruppo di persone, fra cui giornalisti, economisti, rappresentanti di associazioni, che hanno chiesto alla città di Milano, che ospiterà l’Expo 2015 su “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, di dare un segnale forte impegnandosi a non investire in titoli derivati legati ai beni alimentari e di promuovere un osservatorio che studi e informi sui legami fra il cibo e la finanza. La campagna si è diffusa a livello nazionale e ha aggregato via via importanti sigle del non profit fra le quali Action Aid Italia, Acli, Altromercato, Banca etica, Coldiretti, Pime, Slow Food, Settimanale Vita, Volontari per lo sviluppo – Focsiv, Unimondo. Ha un sito web e una pagina facebook dove è possibile tenersi aggiornati e collabora con altre campagne in Europa e negli Usa, con l’obiettivo di informare e chiedere alle istituzioni di difendere il diritto al cibo dalla speculazione senza regole. Per scaricare il kit e attivarsi: www.sullafamenonsispecula.org; Facebook/Sulla fame non si specula

miti di posizione” agli attori finanziari, facendo in modo cioè che un determinato operatore non possa detenere più di un certo numero di derivati o futures. Un’altra proposta è quella di garantire una maggiore trasparenza sui mercati dei beni alimentari obbligando governi e operatori privati a fornire informazioni sulla produzione reale e sulle scorte effettive dei prodotti agricoli, per ridurre la “nevrosi” dei mercati.

L’iniziativa più concreta oggi in campo è quella del Commissario ai mercati interni dell’UE Michel Barnier, che si è fatto promotore di una proposta per migliorare la trasparenza e l’affidabilità dei prodotti derivati legati alle materie prime. La sua proposta potrebbe diventare legge nel 2013 ma sta incontrando molte opposizioni. «Questi argomenti finora sono stati trattati dagli addetti ai lavori» afferma Valérie Ledure, esperta che lavora nel pool di Barnier. «È invece essenziale che il fenomeno della speculazione sul cibo sia portato a conoscenza dei cittadini in modo che la società civile possa esprimere la propria opinione, altrimenti anche le istituzioni rischiano di restare prigioniere dei lobbysti del settore finanziario, che naturalmente perseguono il proprio interesse».

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21 ventunostili La Conca d’Oro, biofattoria nel trevigiano, ha fatto scuola.

Anche nel vicentino è pronta a partire un’esperienza simile

Fattoria sociale, la buona terra

di Cristina Salviati

Ai nastri di partenza Sopra un’immagine della fattoria sociale di Bolzano Vicentino, lo stabile concesso dall’Ipab all’associazione “IlPomoDoro”.

Nascerà sulla scia dell’esperienza della Conca d’Oro, (foto nell’altra pagina) realtà veneta ormai consolidata

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Un ingegnere aerospaziale, un prete, un giovane disoccupato senza qualifiche particolari e un altro neo laureato ereditano un campo. Sembra l’inizio di una barzelletta e invece è uno dei tanti esempi di biofattorie sociali nate in Veneto negli ultimi 10 anni. All’ultimo convegno del forum che riunisce queste realtà la storia di questo campo nel trevigiano è stata una delle tante raccontate. Il campo era uno all’inizio, poi sono diventati due e si è cominciato a vendere lungo la strada adiacente. Dopo un anno i quattro riescono a pagarsi il 15% dello stipendio. Adesso, dopo tre anni lo stipendio è salito al 75% e la competenza dell’ingegnere aerospaziale è servita a progettare un furgone che si apre au-

tomaticamente ai mercati. È così che nascono queste nuove attività agricole che associano alla coltura e all’allevamento la predisposizione a dare lavoro a giovani in situazione di disagio. In particolare a Pove del Grappa, nel bassanese ha superato il traguardo dei dieci anni La Conca d’Oro, una fattoria che dell’inserimento di ragazzi disabili ha fatto la propria forza. In uno stabile di proprietà della fondazione Pirani Cremona, un edificio cadente e abbandonato si è partiti con l’idea che la vita e il lavoro in fattoria fossero particolarmente idonei all’inserimento di ragazzi con disabilità mentale lieve o media.

«All’inizio abbiamo vangato a mano un piccolo orto – racconta il presidente,

fattorie sociali

lo psicologo Fabio Comunello – non ne sapevamo niente e abbiamo fatto molti sbagli, ma fin da subito c’era con noi anche un ragazzo disabile e a poco a poco abbiamo imparato». Anche a Pove hanno cominciato nel ’99 con un solo campo, poi ne hanno aggiunto un altro e oggi la terra a disposizione non basta per tutti i progetti, così è stato avviato il laboratorio di trasformazione degli alimenti, si è aperto il punto vendita, poi è arrivata l’attività di ristorazione, fra sei mesi dovrebbe funzionare il nuovo forno per il pane, si è cominciato ad allevare galline.

Il rispetto della terra «Abbiamo solo prodotti biologici – spiega ancora Comunello – perché crediamo nel rispetto del la terra, di chi ci lavora e di chi compra i nostri prodotti. Ma questo non significa che nei banchi del nostro negozio o al mercato le nostre verdure non siano anche curate e scelte perché facciano una bella figura anche esteticamente». Una filosofia questa che si percepisce subito, arrivando alla Conca d’Oro: la fattoria è sempre ordinatissima e pulita, gli spazi interni dove alloggiano alcuni ragazzi, il salone ristorante, gli uffici sono curati in tutti i particolari. Alla Conca d’Oro lavorano oggi 20 ragazzi disabili di questi, 7 sono residenti, seguiti e coadiuvati da uno staff di 14 operatori tra educatori e esperti di agricoltura. Tutto il personale che si distingue per l’età media decisamente bassa continua a formarsi, non solo crescendo nelle proprie specifiche, ma aggiungendo nuove capacità e nuove qualifiche. L’agronomo, per esempio, è formato a lavorare con le persone in disagio mentale e con i ragazzi in difficoltà in genere. L’operatore socio culturale impara a coltivare la terra, a gestire il negozio o a servire in tavola e così via.

Questo stesso principio serve a inserire anche i ragazzi in difficoltà, all’inizio si seguono le propensioni e i desideri di ognuno, poi, mano a mano che si conoscono meglio le attitudini e le capacità il ragazzo potrà lavorare anche in ambiti diversi. «Lo scorso anno abbiamo inserito, per esempio, un giovane autistico che aveva problemi di spina dorsale – racconta con un sorriso il presidente –.

Mentre lavorava nel laboratorio di trasformazione ci ha chiesto di incaricarlo

Un’esperienza nata in Olanda negli anni ’90

L’imprenditoria rurale che si fa impresa sociale Promossa da Acli Terra e Confagricultura la Rete delle Fattorie sociali è una rete di agricoltori, operatori sociali e culturali, ricercatori, dirigenti di cooperative e di associazioni, animatori di sviluppo locale che ha l’obiettivo di proporre ed espandere modelli di agricoltura responsabile, in grado di rispondere ai nuovi bisogni dei cittadini. Sul sito www.fattoriesociali.com è possibile leggere la carta dei valori della Rete. Tra quelli più significativi va certamente segnalata la volontà di integrare l’attività produttiva agricola con l’offerta di servizi culturali, sociali, educativi, assistenziali, sanitari, formativi e occupazionali, a vantaggio di soggetti deboli, da una parte, e di aree fragili, in particolare aree agricole urbane e periurbane, territori di collina e di montagna e centri isolati dall’altra. In alcuni paesi europei le fattorie sociali sono una realtà consolidata.

Le prime “social care farms” nascono infatti in Olanda negli anni ’90 e in quel Paese, grazie anche al supporto di politiche sociali particolarmente attente, si moltiplicano in fretta. Oggi sono circa 400. In Italia il concetto di impresa agricola con finalità sociali ha iniziato a farsi strada solo recentemente. Un impulso in tal senso è arrivato dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”) che punta a rilanciare l’imprenditorialità rurale prevedendo per le aziende anche la possibilità di “sconfinare” in altri importanti ambiti quali quello educativo e didattico.

a trasportare le cassette con i vasi pronti. Il permesso gli è stato negato, le casse con 32 barattoli erano troppo pesanti per la sua schiena.

Sembrava aver accettato la consegna e invece, dopo una mezz’ora, l’abbiamo visto ripresentarsi con una cassetta piena a metà. Sedici barattoli erano alla sua portata».

Oggi la Conca d’Oro viene coinvolta nella formazione di molti nuovi progetti e funge da centro di documentazione.

In questi 10 anni hanno saputo dimostrare che è possibile inserire le persone in difficoltà, aiutandole a sentirsi utili, contribuendo all’economia del Paese, lavorando in un’azienda che pone tra i primi obiettivi l’equilibrio tra il benessere e la produttività e il bilancio dello scorso anno è stato in attivo.

Su questa scia e sotto la guida esperta di Comunello, un gruppo di genitori di ragazzi disabili a Bolzano Vicentino, poco lontano dal capoluogo, ha deciso

di buttarsi in questa avventura provando a duplicare questa bella esperienza.

Lo stabile e i campi intorno, dati in comodato d’uso gratuito dall’Ipab stanno per far nascere una nuova fattoria sociale sul modello della Conca d’Oro. Il progetto, gestito dall’associazione “Il PomoDoro”, ricalca i passi della fattoria di Pove e riparte con un campo, due campi… Papà e mamme che di fronte ai continui tagli al sociale, di fronte alla prospettiva che i propri figli restino esclusi dai progetti per mancanza di fondi, si rimboccano le maniche e scendono in campo.

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ventun righe di Mauro Meggiolaro giornalista finanziario

Tra mostri finanziari e avidità In Italia siamo in crisi da sempre, ma dal 2008 la recessione ha coinvolto tutto il mondo occidentale. Come se ne esce? Prima di tutto imponendo un’ulteriore cura dimagrante al mostro finanziario. Dodici mondi e mezzo di prodotti finanziari derivati, scommesse su materie prime e tassi di interesse si sono gonfiati – con la connivenza della politica – sopra a un unico mondo reale di produzione e commercio. Oggi le grandi banche di investimento sono in disarmo, la piazza finanziaria di Londra ha perso 100.000 posti di lavoro dal 2007. Ma non basta. La riconversione deve continuare. Negli Stati Uniti sta passando una riforma epocale del mercato finanziario, mentre l’Europa procede a rilento. Non possiamo però aspettare che siano i politici a trascinarci fuori dal tunnel. Anche noi possiamo contribuire in modo significativo al dimagrimento del mostro. Per esempio smettendo di farci abbindolare da chi ci promette di guadagnare 1.000 euro nella pausa pranzo con il trading online. O da chi ci vende certificati per speculare sul grano o sulla soia. Sono solo le briciole della speculazione che il sistema finanziario fa cadere dal tavolo. Non abbocchiamo. Cominciamo invece a fare scelte sostenibili a livello individuale: indebitiamoci di meno, spostiamo i soldi in una banca etica, sosteniamo progetti di utilità sociale. La battaglia contro il mostro finanziario non si vince se non vinciamo prima la nostra avidità di denaro.

66. scarp de’ tenis ottobre 2012

poesie di strada

Tempi lontani Con grande nostalgia ricordava che era bello solcare i mari facendo quelle belle crociere, era bello ricordare quelle dolci primavere, era bello volare verso nuovi orizzonti, verso mete lontane, mentre oggi, in questo tempo di crisi l’unico pensiero è quello di poter acquistare il pane, era bello, molto bello, ma il bello purtroppo resta dei tempi passati, di tempi remoti, di tempi lontani.

Mr. Armonica

Le foglie Svolazzan gli uccelletti sugli alberi e sui tetti.

Ridono i fiorellini nei campi e nei giardini.

Bisbiglia la fontana una canzone strana.

E sussurrano i pini sui bei declivi alpini.

E si odon del mare pur le onde cantare.

C’è intorno solo canto e letizia e sorriso.

Gente, sarà per caso questo il Paradiso?

Mary

La sovrana Libertà sei nel vento tra le nubi, nei vicoli pensosi del silenzio, nei viali lastricati di parole…

Dentro ogni tempo che presenta e impone la dimensione illogica di leggi e ragioni, il disegno dei limiti e le scelte, di cui tu resti l’unica sovrana

Aida Odoardi

Vecchia barba Vecchia barba che pendi dal volto coi baffi incorniciati al tuo viso ti accarezzo quando penso felice e tra le mani il tuo manto apparisce.

Sei ancora giovane e bella e bruna ma da vecchio diventerai bianca come la luna.

Ti guardo e ti curo allo specchio ogni giorno ma mi sembra l’aspetto di un vagabondo ti porto come Gesù nel Vangelo perché mi dia l’aria di uomo santo e sereno.

Anonimo ottobre 2012 scarp de’ tenis

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HAI MAI PENSATO A QUANTA STRADA DEVE FARE L’ ACQUA PRIMA DI ARRIVARE NEL TUO BICCHIERE?

3HU VDOYDJXDUGDUH OœDPELHQWH VL SXz EHUH OœDFTXD GHO UXELQHWWR XQD YROWD YHUL¿FDWD la sua qualità , oppure un’acqua minerale proveniente da fonti vicine al tuo Per l’imbottigliamento e il trasporto su gomma di 100 litri di acqua per * 100 km, si producono emissioni almeno pari a 10 kg di anidride carbonica .

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lo scaffale

Le dritte di Yamada Sul sito della Celebrity Crociere, ho cercato – tra la flotta che fa rotta ai Caraibi – la cara vecchia motonave Zenith, ribattezzata Nadir da David Foster Wallace: nel 1997 lo scrittore ci s’imbarcava per passare Uno spaccato Una stanza, una settimana in una crociera extra-lusso su incarico sul Friuli, crocevia terra aspra di destini della rivista Harper’s, i cui lettori, poi, avrebbero letto il reportage. Questo libro è stupefacente: al pari della broIn una lettera Può accadere che chure della crociera 7NC (così abbreviata nel libro, ndr), indirizzata a un il silenzio parli più che evoca lusso, nullafacenza estrema, inviti imperativi maresciallo dei di tante parole. E` a lasciarsi viziare in ogni modo con esperienze sensocarabinieri, Greta quello che è ripercorre un anno accaduto a riali legate al cibo, relax e fantastiliardi di attività di supplenza nella Mariapia Bonanate ricreative in cui buttarsi al grido di “facciamo tutto!”, vi scuola media di quando il suo imbarca sulla Nadir e v’impegola nel racconto della Meduno, paesino compagno di una contro-crociera da lui vissuta succhiando il dolce dei delle montagne vita, all’improvviso, frutti tropicali e l’amaro del disagio psicologico, per sé e friulane. Un anno è stato colpito passato tra lezioni, dalla sindrome tutti i benestanti croceristi, ferocemente impegnati a gite nei boschi, Locked-in. Una meritarsi ogni secondo di quella vacanza. chiacchierate con malattia che lascia Anni fa DFW si chiedeva se la letteratura si ricavava colleghi frustrati da la persona ancora uno spazio in mezzo alla quantità enorme di un mancato cosciente, ma puro intrattenimento del nostro tempo. trasferimento, totalmente rapporti non immobile, senza la La sua esperienza di lettore appassionato e scrittore di sempre facili con possibilità di talento gli faceva rispondere che letteratura e poesia la comunità del comunicare. Da sarebbero state sempre importanti «perché parlano alla posto. Uno quel momento la solitudine esistenziale delle persone». spaccato su una stanza sulla piazza, Il lettore può trovare qualcosa di sé in quello che legge, terra aspra dove dove lui vive, è anche i ragazzi diventata il cuore con in più (se lo scrittore è bravo) «quella stretta allo hanno negli occhi pulsante della stomaco» che è il «motivo principale per cui leggiamo». la durezza di leggi casa, un luogo Quando leggiamo qualcosa che ci sta facendo bene, antiche. Sullo dell’anima dove abbiamo quella sintonia tipo »A-ha...Qualcuno la pensa sfondo un giallo ogni giorno come me... Non capita sempre, ma quando succede, irrisolto di tanti accadono fatti anni prima. straordinari. non mi sento più solo a livello emotivo, intellettuale, spirituale. Sono in comunicazione con un’altra Giulia Bozzola Mariapia Bonanate coscienza, in maniera del tutto diversa da quanto posUna classe difficile Io sono qui sano fare altre forme d’arte» (estratti dal sito di Fazi editore Editore Mondadori Minimum Fax, La magia della letteratura, DFW, ndr).

Pagine 341 Pagine 128 Euro 16,50 Euro 18 Tornando “a bomba”, “volontariamente e dietro compenso” DFW va nella tana del lupo/intrattenimento, e in un sabato di marzo da Fort Lauderdale (Florida), lì giunto con un volo da Chicago pieno di gente già vestita da crociera (non DFW, che ha giacca e pantaloni in lana nera), attende l’imbarco sulla motonave, poi prende possesso della sua cabina 1009, e poi ancora guarda la manovra del capitano greco della Nadir che mette il muso della gigantesca nave – grande bianca e pulita – verso il mare aperto. Le tante revisioni di quello che doveva essere un articolo hanno rilegato gli appunti di DFW in un libro complesso per l’acutezza, l’ironia e la ricchezza dei fatti che racconta e dei pensieri che gli vengono (e che il rollìo della Nadir scombussola vieppiù). Fidatevi di me, leggetelo.

Sarete con DFW sul ponte 12, o al tavolo 64 coi commensali che il destino mescola per una settimana; a giocare a ping-pong e stravincere, o a perdere a scacchi da una bambina-genio triste di nove anni; a una cena elegante senza esserlo – ahimé – neanche un po’, o a chiedervi se il conto-bibite di ogni passeggero sia il vero ricavo delle compagnie di crociere. I suoi pensieri disperati e notturni sono anche i nostri, quando i lustrini degli abiti dei croceristi sono a riposo, l’ultimo faretto della discoteca si spegne e la Nadir naviga sull’oceano, in una coda di spuma.

Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace, Minimum fax, 2012

I ghetti che rischiano di esplodere Dopo la morte del padre, Alen molla la scuola e lavora come buttafuori.

Da quel momento sembra che abbia tutto: un lavoro, amici, e una ragazza, Flo. Allo stesso tempo non ha niente, nessun progetto...

L'esordio letterario di un giovane regista tedesco che, citando una canzone del rapper Jan Delay, racconta il regno delle ombre in cui vivono gli emarginati della società. La storia di Alen è lo spaccato di un ambiente che rischia di trasformarsi in una bomba a orologeria.

Nuran David Calis La Luna è il nostro sole Asino d'oro ed.

Pagine 300, Euro 14

On Anche da “dentro” si può diventare produttore di beni e servizi Oltre 2 milioni di euro: è il fatturato annuo delle otto cooperative e imprese nate all'interno del carcere di Bollate (Milano). Coinvolgono 200 detenuti sui 1.150 presenti. Nel novembre 2011 il Comune di Milano ha creato l'Acceleratore di imprese ristrette (Air), per favorire lo sviluppo di nuove attività all'interno dei quattro istituti penali della città (Bollate, Opera, San Vittore e Beccaria) con uno stanziamento di 500 mila euro. Alle imprese e cooperative più esperte, il Comune sta inoltre dando la possibilità di realizzare piani di sviluppo concedendo agevolazioni economiche fino a 45 mila euro ciascuna (di cui il 50% a fondo perduto).

Off Il disarmo non è nell’agenda dei governanti È ancora di là da venire una soluzione positiva per il destino dell’Arms Trade Treaty-ATT, il Trattato internazionale chiesto a gran voce da un gruppo di Nobel e dalla società civile mondiale per dotare gli Stati di uno strumento capace di fornire regole comuni ed elevati standard normativi sul commercio di armi. Nessuno vuole una regolamentazione chiara. Il giro di affari è imponente: secondo il Sipri Yearbook 2012 i paesi del mondo hanno speso 1.740 miliardi di dollari, nel 2011, per rifornirsi di sistemi d’arma. Si tratta della cifra più alta mai spesa dalla caduta del muro di Berlino a oggi. Contro la stesura del trattato i soliti noti: Russia, Cina, Stati Uniti. E l’Italia? Pur avendo sostenuto la versione di Trattato più rigorosa, alla fine anche l’Italia ha difeso gli interessi particolari dell’industria delle armi, chiedendo che dal testo fossero escluse le armi leggere che rappresentano per il nostro Paese un giro d’affari pari a oltre 250 milioni di euro l’anno.

70. scarp de’ tenis ottobre 2012

Milano

Uno sportello online per orientarsi nel volontariato Secondo un'indagine dell'assessorato al Volontariato e Coesione sociale del Comune, su un campione di 400 giovani che frequentano gli ultimi tre anni delle scuole superiori e l'università un giovane su cinque a Milano fa volontariato. Ma gli altri? La maggioranza, l'84%, si dichiara disposto a dedicare al prossimo qualche ora della settimana ma non sa come fare, a chi rivolgersi. Per questo Comune e Csv hanno dato vita all'anagrafe del volontariato, ossia uno sportello unico d'orientamento on line.

Funzionerà utilizzando soprattutto skype. Dai siti internet dei due enti sarà possibile inviare una mail per chiedere l'appuntamento, la chiacchierata avverrà poi via skype. A Milano ci sono 384 associazioni ed enti che coinvolgono 16.636 volontari, di cui 2.968 under 29.

INFO www.ciessevi.org

Genova

L'Università dei Genitori raddoppia Giunge al secondo anno il ciclo d’incontri dedicato al tema dell’educazione. Il ciclo rappresenta una risorsa a disposizione del mondo adulto che si trova a ricoprire responsabilità educative. Gli incontri pensati in primo luogo per i genitori, sono aperti anche alle altre figure educative (insegnanti, educatori, allenatori sportivi ecc.).

Università dei Genitori è un progetto di LaborPace Caritas Genova, inserito nel programma Mondo in Pace: la fiera dell'Educazione alla Pace. Fra i relatori del ciclo che termina il 15 gennaio 2013, c'è Fulvio Scaparro, Silvia Vegetti Finzi, Miguel Benasayag e Daniele Novara. Gli incontri si tengono a Palazzo Ducale.

INFO www.palazzoducale.genova.it

Genova

L'informazione utile a orientarsi nella scelta più importante La nuova edizione di ABCD+Orientamenti, il salone

dell'orientamento e del lavoro, si terrà alla Fiera di Genova dal 14 al 16 Novembre 2012. ABCD+Orientamenti quest'anno diventa tridimensionale per esplorare tutto il pianeta dell’educazione, dell’orientamento e del lavoro! ABCD per operatori del mondo dell’educazione a confronto con istituzioni, realtà associative e professionali, aziende produttrici di beni e servizi per il mondo della scuola.

Orientamenti Junior per studenti delle scuole secondarie di I grado e i loro genitori alla ricerca di informazioni sul loro percorso futuro e sulle innovazioni della riforma scolastica. Orientamenti Senior per studenti, docenti e operatori in un percorso che integra le opportunità formative, il lavoro che “resiste” in Liguria, talenti e stili di vita.

INFO www.abcd-online.it

Firenze

Sulle antiche vie dei pellegrinaggi lenti e sostenibili Fino al 18 novembre si svolgerà in Toscana il Festival delle Vie Romee, l’antica rete viaria medievale composta da 6 strade, oggi per lo più di campagna, utilizzate dai pellegrini penitenti in viaggio per Roma. Sono 560 chilometri di percorsi che attraversano in lungo e in largo il territorio di Firenze fino alle province di Arezzo e Siena.

Il festival delle Vie Romee propone una serie di itinerari e iniziative diurni e notturni lungo quelle antiche strade: il percorso urbano di Firenze, le vie Bolognese, Sanese e Pisana – Francigena Nova.

Tutti gli itinerari sono percorribili a piedi, alcuni in bicicletta e ognuno segue temi scelti per promuovere la conoscenza di particolari aspetti del territorio con l’aiuto di una guida specializzata. Il Festival si propone sia agli adulti che ai più piccoli, ai singoli e alle famiglie.

INFO 0552340742

caleidoscopio Firenze

Torna Florens, dove la cultura fa rima con qualità della vita Florens 2012 sarà in città dal 3 all'11 novembre. Alla sua seconda edizione, la Biennale Internazionale dei Beni Culturali prevede tavole rotonde, convegni, lectio magistralis, mostre, aperitivi culturali, appuntamenti musicali e installazioni spettacolari che coinvolgeranno l'intera città: dai luoghi del sacro (Battistero e Cattedrale in particolare), a quelle delle istituzioni civiche (Palazzo Vecchio), e ancora piazze, musei, università. Tutti gli eventi sono gratuiti. Relatori italiani e internazionali si confronteranno su tre temi cardine: conservazione e valorizzazione dei beni culturali; paesaggio; industrie creative. Fra gli ospiti: Alberto Asor Rosa, Vandana Shiva e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky. La manifestazione è ideata da Giovanni Gentile, Presidente della Fondazione Florens. Dopo il grande successo degli eventi di piazza nel 2010, Florens 2012 propone tre progetti di grande suggestione e forte coinvolgimento della città, sempre orientati alla rilettura di opere del nostro patrimonio storico e artistico e alla teatralizzazione di installazioni realizzate appositamente per Florens, in un dialogo continuo tra arte antica e contemporanea. Ad esempio, in Piazza San Giovanni prenderà vita un’installazione di decoro urbano con oltre 70 ulivi secolari, disposti a scacchiera, in armonia con le linee del Battistero e della Piazza. L’ulivo, pianta tipica del paesaggio toscano, richiama anche le Scritture evocando l’immagine dell’orto del Getsemani.

INFO www.florens2012.it

Firenze

Grandi artisti hanno attraversato gli anni bui della democrazia La mostra “Nell’Italia degli Anni Trenta”, a Palazzo Strozzi fino al 27 gennaio 2013, riguarda il periodo attraversato dal fascismo, ma nonostante ciò sono stati anni di grande vivacità culturale che vedevano schierati tutti gli stili e tutte le tendenze, dal classicismo al futurismo, dall’espressionismo

Miriguarda di Emma Neri

Con Scarp a Vicenza, la notte nel sacco a pelo Nella giornata mondiale della povertà, in piazza della Posta, ci sarà La notte dei senza dimora, il 17 ottobre dalle 6 alle 18. è Scarp de’ Tenis di Vicenza, con Cristina Salviati alla regia, ad aver organizzato la serata. Sul palco ci saranno artisti vicentini, e persone senza tetto di Casa San Martino, operatori Caritas, volontari e cittadini: tutti mescolati, senza fare distinguo tra chi ha e chi non ha casa. Sono coinvolti tutti i servizi per persone senza dimora della città e tanti gruppi di giovani che si sono offerti volontari per dedicarsi alla pubblicizzazione dell'evento e alla sensibilizzazione dei passanti. Oltre alle band di musicisti, sul palco ci sarà un animatore di balli sudamericani, un reading di letture di storie di homeless, scritte e lette dai protagonisti, interviste imperdibili. Lo spettacolo si concluderà alle 23.30, cantando tutti insieme Piazza Grande. Una delle iniziative più belle della serata è curata dai giovani volontari: la tenda delle interviste video: i ragazzi hanno realizzato riprese a persone senza dimora e passanti, fianco a fianco per rispondere alle stesse domande. Scarp sarà dunque protagonista della serata, anche raccogliendo i messaggi sul senso del dormire in piazza una notte: i messaggi verranno poi letti sul palco.

INFO www.caritas.vicenza.it

all’astrattismo, dall’arte monumentale alla pittura da salotto. La scena era arricchita e complicata dall’emergere del design e della comunicazione di massa con i manifesti, la radio, il cinema e i primi rotocalchi, che trasmetteno al grande pubblico.

Insomma, un laboratorio complicato e vitale, aperto alla scena internazionale, introduttivo alla nostra modernità. La mostra mette in scena quel decennio attraverso i capolavori (99 dipinti, 17 sculture, 20 oggetti di design) di oltre quaranta dei più importanti artisti dell’epoca quali Mario Sironi, Giorgio de

Chirico, Alberto Savinio, Achille Funi, Carlo Carrà, Corrado Cagli, Arturo Nathan, Achille Lega, Ottone Rosai, Ardengo Soffici, Giorgio Morandi, Ram, Thayaht, Antonio Donghi, Marino Marini, Renato Guttuso, Ivanhoe Gambini, Carlo Levi, Filippo de Pisis, Scipione, Antonio Maraini, Lucio Fontana.

INFO www.palazzostrozzi.org

Napoli

Il paradiso di Zevola popolato di archetipi Ancora qualche giorno per visitare la mostra e poi i lavori dell'artista napoletano Oreste Zevola - Eden - sarà ospitata a Parigi, al Musée du Montparnasse. Fino al 17 ottobre è a Napoli al Palazzo delle Arti. Il Pan accoglie circa trenta lavori di questa originale esposizione: le opere sono infatti realizzate con la tecnica dell’intaglio su cartoncino. Zevola dà forma a un’inedita interpretazione concettuale dell’Eden descritto negli antichi testi e tramandato nel corso del tempo dalle tradizioni di tutto il mondo.

Creature metamorfiche popolano il paradiso di Zevola, arrivano da lontano ed affiorano nella mente dell’artista con ottobre 2012 scarp de’ tenis

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incontro con Claudio Sottocornola di Daniela Palumbo

Le canzonette? Educano il cuore Sono tutte fruibili in rete le “lezioni-concerto” del filosofo del pop, Claudio Sottocornola, bergamasco, insegna Filosofia e Storia al Liceo Scientifico Mascheroni e Storia della Canzone e dello Spettacolo alla Terza Università di Bergamo. Ma Sottocornola è anche poeta e scrittore: tante infatti le opere pubblicate.

Il progetto che lo vede protagonista si chiama working class: si tratta di un percorso di ricerca per determinare, con spirito da filosofo, come la popular music abbia contribuito a plasmare l’identità del nostro Paese. Le lezioni concerto sono delle vere e proprie performance artistico-musicali in cui Sottocornola stesso suona e canta sul palco, incarnando le icone della canzone pop italiana. Cinque sono i live messi in scena e che spaziano fra Lezioni concerto l’interpretazione di canzoni e la dissertazione Sopra, Claudio storica. Il primo video è dedicato all’analisi Sottocornola, filosofo, della condizione giovanile, Teenager di ieri e di poeta e scrittore, in una delle sue performance. oggi.

Qui a fianco, un’altra Il secondo step di Working Class si chiama immagine del working Decenni e si sofferma sul potere che la canzone class, il percorso di ha esercitato sui giovani di tutte le latitudini ricerca per determinare, generazionali. Le performance di Sottocornola in con spirito da filosofo, questo caso interpretano cantanti e cantautori come la pop music abbia come Battisti, Modugno, Cocciante, Renga, contribuito a plasmare gruppi vecchi e nuovi come Orme e Vibrazioni. l’identità del nostro Paese.

Un altro video è dedicato ai Cantautori, poi ai mitici Anni ’60. L’ultimo è “L’immagine della donna nella canzone leggera italiana”, nel quale il filosofo bergamasco esplora l’influenza delle icone femminili della musica pop che tanto hanno influito nei mutamenti della società.

«Il genere popular music – dice il filosofo – non è sottocultura come qualcuno pensa, anzi se guardiamo alla produzione culturale del nostro Paese ci accorgiamo come intere generazioni si siano formate anche con De Gregori. Il mio è un approccio ermeneutico a un genere considerato “minore” a torto. Io considero le cosiddette “canzonette” come uno strumento per ricostruire la storia sociale del nostro Paese perché con il loro potere, il loro simbolismo, hanno avuto la potenza di orientare i cambiamenti di costume, linguaggio e gusti, ma anche di educare il cuore».

Claudio Sottocornola ha fatto della popular music la categoria di lettura del contemporaneo. Il confronto con i ragazzi del liceo bergamasco dove insegna è fondamentale. «Spesso nelle mie lezioni concerti ho restituito al pubblico input arrivati da loro, ovvero dalla discussione filosofica in classe che, se condotta attraverso argomenti che li vede coinvolti, è ancora affascinante per i giovani. Inoltre, uno degli obiettivi del mio percorso di ricerca in fondo li vede protagonisti. Mi piace l’arte della maieutica con i giovani. Credo che sia tornato il momento di parlare loro della bellezza di esprimere una visione, di avere dei sogni. Mi interessa educare il cuore: oggi vedo i miei studenti che hanno competenze linguistiche, tecniche e tecnologiche impressionanti. Ma i luoghi del cuore sono sconosciuti, eppure se tu apri loro una via in questa direzione, loro la percorrono con entusiasmo. La scuola deve tornare a educare alla sensibilità, all’empatia, alla percezione della propria interiorità».

Per chi volesse esplorare le lezioni concerto di Sottocornola: www.claudiosottocornola-claude.com

72. scarp de’ tenis ottobre 2012

caleidoscopio minuziosa precisione. I temi ricorrenti dell'artista, che vive fra Napoli e Parigi, sono: ambivalenza del bene e male, il divino e il maligno, la vita e la morte, il dolore ed il piacere. In Eden emergono con particolare rilievo, restituendo una visione edenica atipica, che ingloba emblemi sacri e simbologie tribali, legati all’origine dell’uomo.

INFO 081.7958601

Salerno

Con le buone letture si costruiscono radici salde Il prossimo 20 ottobre sarà inaugurata una nuova attività, al servizio dei ragazzi di Salerno, in particolare dei rioni periferici della zona orientale, particolarmente privi di punti di riferimento culturale. Si chiama Saremo alberi, ed è una libreria e punto di lettura dedicato ai ragazzi dagli zero ai quattordici anni. Si parte dalla lettura di libri particolarmente educativi ed avvincenti, per avviare un progetto educativo a 360° gradi, rivolto soprattutto ai teenager delle zone ad alto disagio sociale della città. Il nome, Saremo alberi, è dedicato ai ragazzi che frequenteranno il centro con

l'obiettivo di mettere radici, tutti insieme, dentro il terreno dei valori buoni e solidali, capaci di rinverdire la società e di darle ossigeno, come una grande foresta. Saremo alberi avrà sede presso l'oratorio della parrocchia di Santa Margherita, nell'omonimo quartiere della zona orientale di Salerno. La libreria è curata dai giovani dell'ANSPI, l'Associazione Nazionale S. Paolo Italia per gli Oratori e i Circoli.

INFO facebook.com/SaremoAlberi

Disabilità

Un concorso per sensibilizzare sulla discriminazione Sapete come mi trattano? È il titolo di un concorso che si concluderà il 16 novembre 2012 e prevede un premio di 2.000 euro al primo classificato di ogni categoria e di 1.250 euro al secondo classificato. Foto, vignette, sceneggiature e cortometraggi verranno scelti da un Comitato d'onore, composto da esponenti di spicco del mondo della cultura e del movimento per i diritti delle persone con disabilità.

Tema non facile quello della discriminazione, difficile da comunicare in forma efficace. Il Concorso è un'iniziativa rivolta a quanti si proveranno nel difficile compito, testimoniando – con una foto, una vignetta, un filmato o con un testo che potrà essere la sceneggiatura per uno spot o un breve film – il proprio pensiero e la propria creatività.

INFO www.fishonlus.it

Pillole senza dimora Homeless: allarme suicidi Feantsa, il network di associazioni europee che lavora per prevenire l'esclusione sociale degli homeless, ha lanciato un allarme: tra i senzatetto il suicidio è più diffuso che tra la popolazione generale. La responsabilità è dell'effetto che le misure anticrisi, adottate da molti governi dell’Unione europea, hanno sulle famiglie, dato che colpiscono maggiormente quelle a basso reddito. Per ogni aumento dell'1% del tasso di disoccupazione in Europa, vi è un incremento dello 0,8% del tasso di suicidi. Sempre secondo Feantsa molti Paesi europei hanno lanciato piani di austerità causando l’aumento del numero di persone disoccupate e di conseguenza spingendo nuove masse di persone verso la povertà, che si traduce immediatamente nella mancanza di casa. La mancanza di un tetto, continua il comunicato del network di associazioni, costituisce un duro colpo alla salute mentale di una persona, a tal punto da renderla estremamente fragile.

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

ottobre 2012 scarp de’ tenis

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street of america Hunts Point, Bronx. Per catturare, con l’obiettivo, immagini di vita

Gli scatti di Chris il banchiere ritrattista degli ultimi di Damiano Beltrami da New York

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Hunts Point, Bronx Gli scatti di Chris.

Di giorno una scrivania a Wall Street. La notte, invece, con la macchina fotografica al collo. Per cogliere le espressioni più sincere e vive degli ultimi del Bronx: senza dimora, tossicomani, prostitute. Ai quali regala poi, i suoi scatti migliori.

HRIS ARNADE LAVORA A WALL STREET e abita con la moglie e i tre figli in un’elegante zona di

Brooklyn. Ma di sera e nei weekend vaga per le strade di Hunts Point, uno dei più malfamati quartieri del Bronx. Qui fotografa prostitute, tossicodipendenti e senza fissa dimora per documentarne la vita. «Abito a New York da vent’anni, mi è sempre piaciuto vagare senza meta per la città», racconta Arnade in un’intervista a Scarp de’ tenis. «Da cinque anni a questa parte mi porto dietro la macchina fotografica. Ho cominciato fotografando quartieri normali, adesso mi interessano quelli di cui credo la gente abbia una concezione sbagliata». Il quarantaseienne newyorchese ha cominciato a bazzicare il Bronx un paio d’anni fa, quando faceva volontariato per un gruppo locale che aiuta bambini di famiglie in difficoltà. Dopo qualche tempo ha iniziato a parlare con alcuni tossicodipendenti della zona ed è rimasto affascinato dalla schiettezza con cui raccontavano i loro problemi. Allora si è messo a fotografarli, tornando poi a mostrare loro le immagini sul suo iPad e regalando loro un stampa a colori dei ritratti.

«Subito era difficile avvicinarli», ci spiega Arnade, «ma tornando spesso a Hunts Point ho guadagnato la loro fiducia e adesso visto come uno di casa nel quartiere». All’inizio i suoi colleghi a Citigroup non capivano proprio perché Arnade passasse molte notti e weekend in una zona così brutta di New York. Poi, vedendo il suo lavoro fotografico, hanno compreso che cosa lo animava, e il loro scetticismo si è trasformato in ammirazione. «I miei colleghi lo sanno che sono un po’ stranuccio», scherza Arnade, «ma alla fine mi accettano per quello che sono». Arnade spende circa 500 dollari al mese per questo suo hobby, per lo più per pagare le stampe di grandi dimensioni che regala ai soggetti. Se necessario paga una prostituta anche una ventina di dollari per posare. «In alcuni casi ricompenso i soggetti dei miei ritratti per il tempo che mi dedicano», dice, aggiungendo che non sempre si tratta di denaro; a volte basta una sigaretta, un caffè, un panino.

In una tipica notte di “vagabondaggi fotografici”, Arnade può trovarsi a scattare foto a un transessuale eroinomane, a una madre ispanica costretta a prostituirsi, e a una afroamericana che sta cercando di uscire dal giro.

Cresciuto in Florida, Arnade è il più giovane di sette figli. Suo padre, Charles, era un professore di storia e un attivista dei diritti civili. Con la famiglia ha girato mezzo mondo, dalla Nigeria al Nepal. Arnade ha conseguito un dottorato in fisica teorica, ma nel 1993 si è trasferito a New York per lavorare alla banca d’investimento Salomon Brothers.

Sorprendentemente, essere un banchiere di Wall Street non sembra costituire per lui un ostacolo a stabilire un rapporto empatico con i suoi soggetti.

«Per ora ho avuto tanti riscontri positivi», ci confida. «A volte vado a salutare persone conosciute qualche tempo prima e vedo che hanno appeso in casa i miei ritratti. E’ una bella emozione».

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74. scarp de’ tenis ottobre 2012

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