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numero 167 anno 16 dicembre 2012 gennaio 2013

300€

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

il mensile della strada

de’tenis www.scarpdetenis.it

ventuno Tobin tax, freno a chi specula

I ripartenti Mi alzo, e batto la crisi Si amplia la platea degli impoveriti. Però si moltiplicano storie di chi non solo resiste, ma sa innovare: prove di una società più inclusiva

Milano Un anno di Rifugio Como Porta Aperta a Filippo Torino Distingue Luigi Genova Dentro, troppo tempo Vicenza Meravigliosa umanità Modena Alleati anti-freddo Rimini Muro che spezza Firenze Scrivo, e volo Napoli Non sono numeri Salerno Ragazzi fortunati Catania Nel posto sbagliato


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con il contributo di IED


editoriali

Eppure, ripartire. Con chi ci prova davvero Paolo Brivio

I

mpoveriti novelli. Indigenti cronici. Comunque depressi. La crisi ci consegna a Babbo Natale prosciugati – si direbbe – di ogni speranza. Accendi la tv, sfogli il giornale, compulsi il tablet, e grandina pessimismo: fiducia dei consumatori ai minimi storici, erosione senza tregua dei risparmi, dilagare della precarietà come cifra dell’esistenza, impennata (si dice, benché rimanga da valutare la portata statistica del fenomeno) dei suicidi da fallimento. L’Italia sprofonda: nella classifica dei paesi benestanti, in uno stato d’animo dominato dalla nota nera dell’ineluttabile. Eppure, ripartire. C’è chi ci prova davvero. Da Cuneo a Treviso ad Andria, sportelli e gruppi di mutuo aiuto per sviluppare la “resilienza” (tecnicamente: la capacità del soggetto di affrontare le avversità della vita, di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente). La cooRoberto Davanzo perazione sociale, che continua, nel suo piccolo ma mica tanto, a creadirettore Caritas Ambrosiana re occupazione. Le adozioni (di persone in difficoltà) “a vicinanza”, dentro il quartiere, nel tessuto della comunità. La ramificazione del microcredito, ossigeno per famiglie e aziende “non bancabili”. L’attenochi giorni, e già non se ne parla più. Epzione ai sempre meno garantiti bisogni basilari, che inizia col pacco pure la veloce crisi tra Israele e l’autorità alimentare e diventa capacità di leggere e accompagnare intere palestinese che governa la striscia di Gaza parabole di vita. Infine la scarsità subita, che si fa sobrietà scelha causato almeno 160 morti, di cui molti bambita e vissuta, gemmando magari esperienze creative e – perché ni, oltre che incalcolabili danni. Poi è venuta la treno? – imprenditive di gestione delle risorse (baratto di oggetti, gua, grazie al protagonismo dell’Egitto. Da quel moscambio di servizi, riciclaggio di materie). mento, almeno sui media, il silenzio. Insomma, s’aggira per l’Italia uno spirito di reazione alNe vogliamo tornare a parlare da queste colonne, la crisi che cova germi di ripensamento della cultura, delalmeno per ricordare che anche se siamo nel tempo del l’economia, della partecipazione, oltre che faticosi equiliNatale, nella terra che ha dato i natali al Figlio di Dio che brismi di sopravvivenza. Ancora germi, certo. La politica, si faceva uomo, il clima è tutt’altro che di festa. E per ricorche dovrebbe nutrirli per tessere nuove trame di società, dare che l’augurio di “pace in terra agli uomini che Egli ama” appare calamitata, quando va bene, dalle liturgie di un per troppe persone e famiglie, in Medio Oriente e in molte rigore di cui non sa spiegare il fine, quando va male dal altri luoghi del mondo dove ci sono guerre e conflitti, dovrà lerciume di una corruzione che offende ancor di più, in convivere con le lacrime e con il lutto. tempi di sofferenza generalizzata. Perché rimettere i conEssere cristiani è difficile: significa far convivere la piena ti a posto è cosa buona e prudente, questo lo capiscono solidarietà con la storia degli uomini, unitamente alla fiducia tutti. Ma deve servire, in prospettiva, a generare assetti in un Dio che chiede di credere l’impossibile. E sarà così anche per questo Natale: potremo farci gli auguri, a condiziosociali meno iniqui e prassi di potere meno prepotenti. ne di saper tenere insieme la lucida consapevolezza delle Che fare, allora, in attesa che la politica si risvegli? Priinfinite forme di sofferenza che rovinano la vita umana con mo, non cessare di provare a risvegliarla: lo fanno egregiala scommessa che questa terra è stata abitata da un Dio mente non tanto i fustigatori di professione, quanto i coche non si è vergognato di sporcarsi i piedi con la sua polstruttori di prassi e idee alternative, esponenti di una società vere. Alla faccia di chi pretende di ridurre la fede cristiana civile che esplora una nuova frontiera di economia (più) civiad anestetico: il cristianesimo semmai è proprio ciò che le. Secondo – e spetta a tutti noi, nel quotidiano –, dobbiamo impedisce di chiudere gli occhi, che proibisce di tacere rigiocarci il capitale di relazioni e conoscenze e risorse di cui dispetto a sofferenze e ingiustizie. E permette di sentire vesponiamo, nella direzione di una fiducia in noi stessi, fondata re parole come “beati gli operatori di pace, perché sasulla fiducia negli altri. Ripartenti: non per corazzare residui di ranno chiamati figli di Dio”. benessere privato, ma per edificare un ben vivere collettivo. Di Il Natale ci istruisce dunque sull’identità del bambinuovo in pista: come i venditori di Scarp. Umili maestri della rino di Betlemme, ma anche sul nostro destino: diventare partenza. Ricostruiscono se stessi, affidandosi alla generosità familiari di Dio, suoi parenti, suoi figli. La passione per degli altri. Ma non in modo passivo. Lottano. Lavorano. Racuna pace che ancora non c’è, ma di cui vogliamo farci colcontano. Quando è Natale, ringraziano. Molti di loro ce la laboratori e operatori, è il segno che questa familiarità con fanno, a risalire la china. E così ce la possiamo fare tutti: il mistero di Dio comincia a portare i suoi frutti. paese avvilito, capace di rinascita.

Piedi sporchi, pace in terra

P

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sommario Fotoreportage

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Il mondo in via Gorizia p.6

Scarp Italia L’inchiesta/1

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

I ripartenti: maledetta crisi, ti metto alle spalle p.14

L’inchiesta/2 La repubblica dei sotto sfratto p.24

L’intervista Rosy Canale: «No alla malavita. Per sempre» p.28

Come leggerci Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci e chiedere di vendere

Scarp città Milano Un Rifugio per non morire in Panda p.30 La città cambia regole: strade aperte all’arte p.34

Como Filippo, che ha traslocato dalla panchina p.419

Torino Dormitori: ciò che distingue Luigi dagli ospiti p.42

Genova Carcere: c’è poco spazio e troppo tempo p.46

Vicenza

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via Copernico 1, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 addettostampa@caritasfirenze.it Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarpdenapoli@virgilio.it Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

Soli e precari nel dopo terremoto p.48

Modena Alleati per vincere la guerra del freddo p.50

Rimini Viaggio sul muro che spezza p.52

Firenze Scrivo e sceneggio, così spicco il volo p.54

Napoli Stranieri: non sono numeri ma una ricchezza p.56

Salerno Noi di Tangram, ragazzi fortunati p.59

Catania Cristian giocava nel posto sbagliato p.62

Scarp ventuno Dossier Tobin Tax: la crisi pagata da chi l’ha prodotta p.66

Storie Vado dal dentista. A Bucarest p.73

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.77

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 17 n. 167 dicembre 2012 - gennaio 2013 costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmEnto SCArP dE’ tEnIS) Redazione di strada e giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi, Paolo Riva Hanno collaborato Aghios, Danilo Angelelli, Mr. Armonica, Andrea Barolini, Damiano Beltrami, Tony Bergarelli, Simona Brambilla, Domenico Capuozzo, Giovanni Coniglio, Domenico Casale, Salvatore Couchoud, Alberto Coloccioni, Stefania Culurgioni, Giuseppe del Giudice, Massimo De Filippis, Franck, Dario Garolla, Sergio Gatto, Sissi Geraci, Massimiliano Giaconella, Silvia Giavarotti, Francesco Girardi, Gaetano “Toni” Grieco, Laura Guerra, Pier Luigi Lolli, Stefano Malagoli, Paola Malaspina, Giovanna Mariani, Gheorghe Mateciuc, Mary, Mirco Mazzoli, Mister X, Emanuele Merafina, Antonio Minutolo, Nemesi, Emma Neri, Aida Odoardi, Daniela Palumbo, Enrico Panero, Angelo Pierri, Roberto Pivetti, Cinzia Rasi, Paolo Riva, Stefano Rossini, Cristina Salviati, Sandra Tognarini, Gabriella Virgillito, Yamada Foto di copertina Ap images Foto Renato Zanzottera, Archivio Scarp Disegni Elio, Silva Nesi, Luigi Zetti Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Associato all’Unione Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, Stampa 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 16 dicembre al 9 Periodica Italiana febbraio 2013.


Il mondo in via Gorizia Uno spaccato dell’Italia multietnica. Se si vuole provare a immaginare che cosa saremo nei prossimi anni, occorre venire qui, periferia ovest di Milano. Un paese: Baranzate. Una strada: via Gorizia. E il mondo. A Baranzate vivono quasi tremila immigrati, su una popolazione di undicimila persone: il 26,5% della popolazione. È il comune con il più alto tasso di immigrati in Italia; quello dove in una via convivono 72 nazionalità diverse; quello in cui un bambino su due ha almeno un genitore straniero. Laboratorio di futuro, non è un’eccezione. È l’Italia di domani. Dove l’immigrazione assumerà sempre più una dimensione familiare. Come racconta la mostra “Il mondo in casa”. Con una duplice accezione: il mondo in casa nostra, ovvero nel nostro paese. Ma anche, e soprattutto, in casa loro. Primavera in Benin Michel, 52 anni, laureato in economia e commercio in Francia, fa il magazziniere a Caronno Pertusella. In Italia da 24 anni, con la moglie Rita e i figli Lio, Carolle, Ornella e Matteo La mostra “Il mondo in casa” è un’iniziativa Media Pime. Dopo essere stata esposta a fine maggio a Milano, in occasione di “Family 2012”, il settimo Incontro mondiale delle famiglie col Papa, è visitabile ora, dal 5 dicembre al 6 gennaio, alla libreria Feltrinelli in via Manzoni 12, sempre nel capoluogo lombardo. È itinerante e può essere richiesta da enti pubblici, parrocchie, associazioni culturali o di volontariato. È accompagnata da schede di approfondimento sull’immigrazione in Italia, con un occhio di riguardo alla presenza e al ruolo delle famiglie. Info Media Pime - Uff. promozione, tel. 02.43822326 / promozione@pimemilano.com / www.pimemilano.com Gli autori Il fotografo Bruno Zanzottera (agenzia Parallelozero) è specializzato in reportage dall’Africa; collabora con numerose e prestigiose riviste geografiche e di viaggi. La giornalista e scrittrice Anna Pozzi (Media Pime) si occupa da molti anni di temi africani e di fenomeni migratori.

6. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013


fotoreportage

dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Il mondo in via Gorizia

Tappeto turco Dal Kurdistan, Mehmet con moglie e figlie (Berfin, Nadia, Songul e Gulistan); Vakkas è cognato e padre di Lorin, in braccio alla moglie

Cina caffè Ye Weibin (Antonio) è in Italia da 13 anni. Con la moglie Liu Lingwa è proprietario del bar di via Gorizia. Con la figlia Xe Xin Yu (Stella)

8. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013


fotoreportage

Romania tricolore Anisoara, 35 anni, è sarta. Sebastian, 42 anni, fa il muratore. Sono in Italia dal 2003. Con lloro la figlia Sandra

Sorrisi latini Marisol, dal Perù, e John, dall’Ecuador, insieme ai loro figli Mia (6 anni), Valentina (7) e Alessia (9) dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Le nostre chiese, la storia di tutti A Mantova e provincia il terremoto del maggio 2012 ha colpito 129 edifici di culto su 302. 83 chiese sono ancora inagibili

www.aiutamantova.it iban IT44C0520411503000000000743 per contribuire:

(causale “Le nostre chiese, la storia di tuttiâ€?) Il progetto è sostenuto da ACEC - Caritas Ambrosiana

si ringrazia


anticamera Aforismi di Merafina SI ARRENDE Il passato si arrende al presente AL MERCATO Andiamo al mercato per non incontrare nessuno LA CIVETTA La civetta nel bosco il divertimento è scontato

Italia Ferma è l’antica voce, si odono effimere risonanze, oblio di plenilunio nelle acque stellate. Lenti scorrono i fiumi fra rive luminari, rombi di vulcani nella terra dei ciclopi. Lungo il tempo che passa le segrete mutazioni, dal celeste fuoco è nata la nostra Italia

É tutto cambiato I ricordi svaniscono con il tempo la luna sta nascendo ora lentamente illumina il cielo mi parla di te – se ti potesse portare presto da me, ma lei gelosa del tuo splendore tace… Sei appena andato via e l’aria ha già cambiato odore il buio si sta impadronendo del cielo non fa rumore la mia tristezza nessuno saprà che soffro ancora per te. Ma capiranno che tutto è cambiato se fosse un sogno vorrei svegliarmi se fosse una bugia non vorrei sapere la verità se fosse un gioco lascia che sia io a vincere Cinzia Rasi

Batton le ore Batton le ore. L’ora non sosta. Fugge sonora come il vento. Spuntan le albe, sfavilla il Sole, poi l’ombra torna ad accender le Stelle. Batton le ore. L’ora non sosta. Fugge sonora come il vento. Fuggono le stagioni. Spuntano i fiori, cadon le foglie, s’addensan nubi, scorrono le onde. Batton le ore. L’ora non sosta. Fugge sonora come il vento. Un fiume è il Tempo. Nasce da sorgente ignota, porta con sé vite e stagioni, corre verso ignota foce. Batton le ore. L’ora non sosta. Fugge sonora come il vento.

Mary

Buon Natale a tutti i lettori di Scarp

Ambrogio dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Si è fatto uomo, bussa ogni giorno di Suor Giuseppina Esposito coordinatrice Binario della Solidarietà – Napoli

In vista del Natale abbiamo chiesto a due religiose – una impegnata 365 giorni all’anno sull’accidentato fronte dell’accoglienza agli ultimi, l’altra appartata nel silenzio della clausura – una riflessione sul senso di questa festa. Poi abbiamo domandato a Rebecca Covaciu, giovane e talentuosa artista rom, di illustrarci il senso del tempo natalizio a modo suo. Ecco quello che ne è uscito. Un regalo per i nostri lettori

Natale è un tempo forte e significativo del nostro essere cristiani. È il momento in cui Dio nel suo splendore si umanizza e l’uomo con i suoi limiti si divinizza. Dio Padre, mandando suo Figlio in mezzo a noi, “si è fatto uomo”. Gesù è stato bambino, ragazzo, uomo; Gesù è stato povero e ci ha affidato i poveri. Nel vivere il nostro tempo, ce lo chiediamo ogni giorno. Chi sono i poveri oggi? Ci sono tante cose, si fanno tante cose, si vedono tante cose e a una prima valutazione sarebbe automatico dire che ci si sente poveri quando non si possono comprare alcuni oggetti; le cose che tutti sembrano desiderare e avere. Ma è davvero la povertà delle cose, la povertà che ci circonda? Al Binario della Solidarietà (servizio di accoglienza diurna per senza dimora, aperto alla stazione di Napoli, ndr) vengono persone con ogni tipo di difficoltà; ogni giorno arrivano, ogni giorno bussano, per trecentosessantacinque giorni l’anno. Non hanno una casa, dormono nei centri di accoglienza cittadini. Arrivano con le loro poche cose, con tanti pesi e molte ore da riempire: la solitudine pesa. È la mancanza delle relazioni, dello stare insieme, degli affetti, la povertà più dura da sostenere, il vuoto più profondo, il silenzio più difficile da riempire. Accogliamo l’uomo e la donna soli, con le loro difficoltà, proponendo di riconoscersi persone e diventare protagonisti del proprio cambiamento. L’occasione delle feste si alimenta di piccole cose: giocare una partita a carte; guardare un programma in televisione e commentarlo; organizzare e Nei giorni di festa ci sentiamo più partecipare allo spettacolo di Natale; vicini e più vicini a Gesù, che nel Natale fare una gita in città… rinnova il mistero del “si è fatto uomo”. È sentire un’aria di casa. Passare inIl manto del mistero ci avvolge, ci coinsieme il giorno della Vigilia e di Natale volge, stravolge le nostre umane e piccelebrando l’Eucarestia e condividendo cole certezze, per offrircene una più la mensa spirituale e conviviale senza grande, la più grande di tutte: non siadistinzioni di ruoli. A un certo punto ci mo soli, Gesù, uomo come noi, è vicino si dimentica di essere operatori, volonai nostri passi. Nel cammino fermo e sitari, utenti. Siamo noi e stiamo insiecuro e in quello incerto e rallentato dame, ognuno con il suo nome di battesigli inciampi. Ogni giorno e ogni stagiomo, ognuno con le sue qualità, i pregi, i ne, affinché sia Natale tutto l’anno. difetti, le preferenze, le simpatie.

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12. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013


pensieri di natale

Stiamo uniti, l’Altro è con noi di Suor Chiara del Magnificat clarissa del monastero di San Quirico in Assisi Nella piccola e luminosa chiesa del monastero, la mattina della vigilia, risuonerà il canto del Martirologio, un inno antico che ripercorre la storia della salvezza, dalla creazione sino alla nascita di Gesù; sarà – per le sedici clarisse del monastero di san Quirico in Assisi – l’evocare l’apertura di un grande portale sul mistero del Natale. Chiusura e apertura non hanno contraddizioni tra queste pietre antiche. La comunità delle monache, separate dalle grate rispetto al resto del mondo, non è isolata, anzi. «Il Signore ha pensato a una storia molto concreta nella quale incarnarsi – commenta suor Chiara Maria del Magnificat, trentottenne di origini lombarde, da 16 anni in clausura –. Il suo è un abbraccio che vuol accogliere tutti». E il pensiero di suor Chiara Maria non può che andare a coloro che la contattano: «Numerosi amici mi hanno affidato tanti desideri: ci sono coppie che desiderano un figlio, coppie in difficoltà per diversi motivi, gente alla quale manca il lavoro e che arriva quasi alla disperazione, malati terminali che si stanno preparando a un incontro faccia a faccia col Signore… L’orizzonte è ampio. Tante persone ci domandano di pregare e le porteremo nelle nostre preghiere, a Natale. Ma sappiamo che è Lui, Dio, che ci viene incontro, che per primo ha desiderato venire a noi». Al portone del monastero si sente spesso bussare: «Giungono da noi anche tanti poveri, che ci domandano da mangiare. La crisi si sente, tocca la nostra sensibilità». Come si vive la festa di Natale nella comunità delle clarisse? Discepole di san Francesco – che a Greccio “inventò” il presepio e che prediligeva la solennità del Natale –, non possono che seguirne le orme. «Partiamo dalla liturgia, che è la strada maestra per arrivaRebecca Covaciu re al Natale. Nella Novena preghiamo Rebecca è una ragazza rom, ha 16 anni con alcune antifone della tradizione lie un grande talento. I suoi quadri sono esposti in musei di India e Stati Uniti. turgica romana, che iniziano con un Un successo incredibile, per una ragazzina “O” di stupore. Lo stupore è l’atteggiache per anni non ha vissuto in una casa vera, dove fare i compiti e disegnare. La sua storia mento con cui avvicinarsi a questa feè diventata un film, La canzone di Rebecca, sta, un atteggiamento da ravvivare. e ha attirato l’interesse di tanti “angeli”, come li definisce lei: la sua famiglia, Celebriamo la veglia e la messa di a Milano, ora dispone di due stanze; senza mezzanotte, alla quale partecipano riscaldamento e con il pavimento di cemento grezzo, ma sempre meglio di una baracca. molti fedeli. Ci sono anche famiglie, E quando i soldi per l’affitto non ci sono, con i bambini che spesso si addormenl’estro di Rebecca viene in soccorso: i suoi quadri li vende a poco – 10, 15 euro – tano durante la celebrazione. Queste dove capita. A Scarp ha regalato il disegno che arricchisce il numero di Natale famiglie ci fanno pensare al mistero

del Natale che si vive. La messa termina con il bacio a Gesù Bambino che è un gesto significativo per la gente: vuole esprimere tutta la nostra tenerezza nei confronti del Salvatore». Dietro le grate, nella clausura inaccessibile dall’esterno, le clarisse vivono nella gioia e nella semplicità il loro Natale, con gesti quotidiani: «Dall’inizio di dicembre prepariamo il presepe, anzi, i presepi: uno in ogni angolo, un segno che ricorda chi si attende. Alcuni presepi, maggiormente curati, li realizziamo dove ci ritroviamo più spesso, come in chiesa oppure nel refettorio. C’è poi l’albero, segno di luce e di allegria e, all’esterno della chiesa, una stella cometa, per richiamare coloro che passano. È una festa di famiglia, in cui diamo maggior tempo alle relazioni. Anche se conviviamo tutto l’anno, nelle giornate di festa tra noi suore lasciamo qualche spazio per una maggior convivialità. Ad esempio possiamo parlare durante i pasti nel giorno di Natale e negli otto giorni successivi». Prima di ritornare alla quotidianità ritmata dalla preghiera, dal lavoro e dalla condivisione con le altre monache, suor Chiara Maria lascia un augurio a coloro che trascorreranno il Natale lontano dalla famiglia, per scelta oppure a causa di circostanze avverse: «Auguro di spalancarsi ad accogliere il Signore, perché in Gesù ci si ritrova uniti. Con questo legame di fede abbreviamo le distanze. Nella fede si sa che l’Altro è con te e che, comunque, Dio accoglie tutti. Il mio augurio è di incontrare Dio affidandosi a Lui con tenerezza, con l’atteggiamento del bambino». Sandali ai piedi, suor Chiara Maria scivola con un sorriso sereno nella sua dimensione contemplativa, “altra” rispetto alla frenesia delle giornate di coloro che sono fuori. Eppure così attenta e vicina al pulsare del mondo. (testo raccolto da Barbara Garavaglia)

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dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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La platea degli impoveriti s’allarga. Ma ci sono storie di persone, comunità e aziende, che tracciano sentieri di un futuro sereno. Soprattutto, più giusto

I RIPARTENTI. Maledetta crisi, ti metto alle spalle Famiglie solidali che creano reti di sostegno e occasioni di lavoro per chi l’ha perso. Luoghi di ascolto per superare l’impatto esistenziale della crisi. Operai che credono nella propria fabbrica, sino a comprarsela. Gruppi di acquisto solidale, che rilanciano filiere produttive sfiorite. Storie di rinascita, ai tempi della depressione

dossier a cura di Francesco Chiavarini

Non si tratta di fare dell’ottimismo a buon mercato. Anche perché poi arrivano i numeri (dacci oggi la nostra pena statistica quotidiana) e sembra di stare sotto la bufera del secolo con l’ombrellino acquistato dai bengalesi del metrò. Infatti i dati – gli ultimissimi, inizio dicembre, fonte Eurostat, l’istituto continentale di statistica – dicono che ben 119,6 milioni di europei sono a rischio di povertà o di esclusione sociale: rappresentano il 24,2% della popolazione dell’Unione a 27, erano il 23,4% nel 2010 e il 23,5% nel 2008. Come dire: l’impoverimento è un fantasma che cammina veloce, in tutta l’Europa, e specialmente nei suoi paesi meridionali. Italia, va da sé, compresa: la crisi azzanna economia, produzione, occupazione, consumi, e alla fine l’unico indicatore in sicura crescita è la lunghezza delle file ai centri d’ascolto. Dunque, niente ottimismo scriteriato e, soprattutto, non giustificato dalla realtà delle cose. Però l’ombrellino esiste davvero. E la sua area d’asciutto la ritaglia, netta e rincuorante. In quell’area si possono piantare semi di un futuro diverso, incardinato su modelli economici più inclusivi e su un sistema di protezione sociale più partecipato, e anche per questo sostenibile. Se abbiamo scelto di raccontare storie di “ripartenti”, in questo numero di Scarp, non è soltanto perché si approsno con successo, non solo cadono e si sima il Natale, e la speranza è – come dirialzano, ma sanno tracciare rotte di svire? – un atto dovuto. Piuttosto, abbiamo luppo nuove, più attente alla qualità registrato, nel nostro piccolo, storie di delle relazioni, meno ossessionate dai resistenza “attiva” alla recessione, irrografici delle rendite finanziarie? rate di ragionamenti che aprono scenaCaritas Italiana ha intitolato ai “riri nuovi. Pontificare che la crisi è un partenti” il suo recente Rapporto sulle tempo fecondo, è tirare uno schiaffo in povertà in Italia. Non manca, oggi, chi si faccia a chi la patisce nel portafoglio, apre sentieri di futuro, nella giungla dei nell’umore, nella carne. Ma di sicuro fallimenti. Ripercorrerne il cammino, siamo in un’epoca di trasformazione: e serve anche a vedere dove esso incrocia allora perché rifiutarsi di registrare che altre storie di speranza. Merce da condiesistono cittadini e comunità, associavidere: una nuova fase, di sviluppo più zioni e aziende che non solo galleggiaequilibrato e giusto, nasce anche così.

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14. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013


l’inchiesta

Melvin, stipendiata dal quartiere Famiglie solidali pagano lo stipendio. Lei assiste anziani nella periferia milanese La crisi continua a colpire duro. E la coperta degli aiuti è sempre più corta. Così, in mancanza di un intervento pubblico, talvolta sono le comunità a riorganizzarsi, inventandosi risposte nuove a vecchi bisogni. A Rogoredo (Milano) un gruppo di famiglie è l’esempio di quello che si può fare dal basso, senza aspettare che a tirarti fuori dal tunnel sia qualcun altro: lo Stato, il Comune, la Politica, una Nuova Classe Dirigente, il Governo dei Tecnici o dei

Politici. E via elencando. Non che queste famiglie abbiano la pretesa di dimostrare che del welfare si può fare a meno, così come Grillo cerca di convincerci che si può fare dei partiti. Le famiglie solidali hanno poco a che spartire, con i rottamatori in voga di questi tempi. Con impegno e intelligenza, piuttosto, fanno sperare in una possibilità di ripresa.

Punto di partenza, condivisione Il gruppo di Rogoredo è nato 17 anni fa.

Le famiglie all’inizio si ritrovano per «condividere un cammino di fede comune». Dunque preghiera, cene comunitarie, gite con i bambini. Poi, nel 2010, la crisi economica colpisce anche alcune di loro. «A messa, in oratorio, in parrocchia ci siamo sempre riempiti la bocca di parole impegnative: solidarietà, condivisione. E così quando qualche papà ha perso il lavoro, abbiamo pensato che fosse venuto il momento di dimostrare a noi stessi che sapevamo andicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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I ripartenti. Maledetta crisi, ti metto alle spalle

che essere coerenti con quello che dicevamo di professare», racconta Antonio Contro. Le famiglie decidono allora di autotassarsi. Ognuna, secondo le proprie possibilità, versa un contributo mensile significativo a un fondo di solidarietà che viene ridistribuito a chi ne ha bisogno, sotto forma di piccoli prestiti. È il modello del microcredito. Niente di nuovo. Ma le famiglie non si fermano a questo. «Gli appartenenti al gruppo, fortunatamente, nell’arco di qualche mese si erano rimessi in piedi. Abbiamo allora pensato che sarebbe stato bello continuare l’esperienza. Anzi, chi aveva ritrovato il lavoro, ha voluto contribuire a sua volta al fondo, trasformandosi da beneficiario in donatore. Quindi a un certo punto ci siamo chiesti come potevamo impegnare le risorse raccolte», spiega Antonio.

Paga qualcun altro Ed è qui che entra il gioco il centro di

ascolto della Caritas del territorio. Le volontarie, interpellate dalle famiglie solidali, si ricordano di una giovane mamma boliviana che qualche mese prima aveva chiesto aiuto. Melvin Dolores Torricos Rodiguez, si chiama la donna. Dopo la nascita della bambina, l’anziana che l’aveva assunta come colf e tuttofare, le aveva fatto intendere che non le avrebbe rinnovato il contratto. Così Melvin si era trasferita dal fratello che abitava nel quartiere. Quando poi anche il marito aveva perso il lavoro, aveva bussato alle porte della parrocchia. «Era venuta da noi chiedendo non la carità, ma il lavoro. Quando le famiglie ci hanno chiesto di individuare qualcuno da aiutare, tutte noi abbiamo pensato a lei», ricostruiscono le volontarie. A questo punto della storia ci sono ancora soltanto i benefattori e il potenziale beneficiario. Ma perché questa generosità non diventi soltanto elemosina, serve un’idea. E l’idea le

Laura e Anna, paura di non farcela. Un’insegnante che deve provvedere da sola alla figlia. Un’ex autista senza più stipendio. Il di Enrico Panero

Laura è un’insegnante di lettere di 48 anni che vive con Martina, la figlia adolescente, in un piccolo centro del Torinese. Laura è sola, è una ragazza-madre. Ed è angosciata da questa situazione. Il padre di Martina ha riconosciuto la figlia, andandosene però poco dopo: non contribuisce al mantenimento e alla crescita della figlia. Laura non può contare neanche sulla sua famiglia: l’hanno di fatto emarginata, non condividendo le sue scelte di vita, considerate “poco decorose”, soprattutto in un piccolo centro di provincia, contesto dove i giudizi degli altri e i legami di parentela condizionano molto. Così Laura si è chiusa sempre più in se stessa, ma ciò non fa che accrescere la sua solitudine, le sue angosce, la sua paura di non farcela. «Non so se ho più bisogno di uno psicologo o di un avvocato, ma comunque entrambi sono fuori dalla mia portata: solo i libri di testo di mia figlia mi costano almeno 500 euro – si amareggia Laura –. So che esistono situazioni più critiche della mia, ma credo di avere molto bisogno che qualcuno mi ascolti, con il cuore». Anna invece è una donna separata, che vive con due figli (studenti) a carico. Aveva un contratto per il servizio di scuolabus del paese dove vive, vicino a Torino, ma da qualche mese è cambia-

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to il gestore e il contratto non le è stato rinnovato. Finché è riuscita ha pagato l’affitto, ma ora non ce la fa più e la proprietaria dell’appartamento la minaccia di sfratto. Anna si sfoga: «Ho sempre pagato tutto, ma ora con questa crisi non ho più soldi. Sono disperata, non so come affrontare una situazione più grande di me; mi sento tremendamente sola. Mi sento sempre dire che c’è chi sta peggio e mi dispiace, ma bisogna capire che ogni persona, ogni storia è diversa dall’altra e che non tutte le persone riescono a reagire bene: io non dormo di notte e mi sento impazzire...».

(Stra)ordinaria difficoltà Due storie di “ordinaria difficoltà” quotidiana, che in tempo di crisi diventa “straordinaria”, perché i problemi paiono insormontabili: non si riesce a vedere una via d’uscita, non si sa che fare, a chi rivolgersi, cresce l’angoscia di non farcela. Come le cronache hanno riferito, anche enfatizzando ad arte la questione, molti “impoveriti” si sono spinti


l’inchiesta

famiglie la concepiscono con l’aiuto di una cooperativa sociale. Nelle vecchie case operaie di Rogoredo l’età media è piuttosto alta. Non è difficile per gli operatori della cooperativa trovare anziani che accettino assistenza domestica. Soprattutto se l’assistenza è gratuita, perché a pagare è qualcun altro. Oggi Melvin ha sei anziani da visitare. Va a casa loro, fa loro compagnia, li accompagna ai giardinetti, li porta dal medico. Lo stipendio glielo pagano le famiglie solidali, il contratto regolare che le consente di rinnovare il permesso di soggiorno lo ha sottoscritto con la cooperativa. «Quando me ne vado, le signore mi ringraziano. E questo mi fa molto piacere, mi fa sentire utile», sottolinea Melvin. Sono state probabilmente anche le gratificazioni ricevute a spingerla a investire su di sé. Per professionalizzarsi, Melvin ha deciso di

frequentare un corso per conseguire il titolo di ausiliaria socio assistenziale, che le permetterà ad esempio di lavorare nella case di riposo o nei centri per anziani e portatori di handicap. E proprio grazie ai consigli degli operatori della cooperativa, ha potuto chiedere e ottenere un prestito di duemila euro, che le permetterà di coprire il costo delle lezioni e di sperare in un futuro migliore.

Sei mesi, per ora Risultato? Con una somma pari a circa ottomila euro è stato creato un posto di lavoro per una persona che ne aveva bisogno e offerto un servizio che non c’era agli abitanti del quartiere. Il contratto di Melvin durerà sei mesi. Ma non è detto che non continui oltre, se magari qualche anziano, o qualche suo familiare, nel frattempo deciderà anche di mettere mano al portafoglio...

Di quella badante stimata, gli abitanti del quartiere non si erano dimenticati. Così una rete di famiglie solidali l’ha “assunta”. Con una formula innovativa

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Finché qualcuno ti fa raccontare... clima generale di crisi destabilizza morale e psiche. Per riprendersi, serve una relazione

Mangrovia, prima l’ascolto poi il patto di consulenza Nel 2012 la Caritas di Torino ha avviato un’iniziativa sperimentale per affrontare il problema delle nuove povertà, con lo scopo di “sostenere emotivamente persone adulte non in stato di povertà cronica e conclamata, ma coinvolte in situazioni improvvise e spiazzanti di crisi”. L’iniziativa ha sede a Casa Mangrovia, punto di riferimento di Caritas Torino per la promozione di azioni di sostegno alla vulnerabilità. Il servizio di consulenza, realizzato da professionisti, prevede l’ascolto e la costruzione insieme, operatore sociale e persona in difficoltà, di un progetto di supporto all’autonomia. Spiegano gli operatori di “Mangrovia in ascolto”: «Il nostro lavoro è finalizzato a diminuire lo stato di ansia e ad aumentare la capacità personale di riconoscere i problemi e orientarsi tra le possibili soluzioni, migliorando così l’efficacia delle risposte». Al servizio si può accedere anche via web, mezzo che garantisce alle persone in difficoltà la tutela della propria immagine e della riservatezza rispetto al bisogno, in una situazione in cui la persona stessa non sente sminuita la propria dignità. Dopo alcuni colloqui che servono a valutare l’esistenza di condizioni favorevoli alla “sottoscrizione” di un “patto di consulenza”, il servizio è erogato tramite voucher messi a disposizione della persona che desideri intraprendere un percorso e rispetto alla cui situazione gli operatori ritengono possibile l’efficace conclusione del percorso stesso. INFO qui@mangroviainascolto.net

sino al suicidio. Ma senza arrivare alla contabilità dei gesti estremi, è un dato di fatto che la diffusione del disagio socio-economico abbia generato una meno esplorata, ma non meno inquietante diffusione di forme di disagio esistenziale e psicologico. Laura e Anna, però, sono riuscite a raccontare la loro storia, trovando chi è disposto ad ascoltare e a cercare soluzioni insieme. È il progetto “Mangrovia in ascolto”, servizio della Caritas di Torino per intercettare le nuove povertà: Laura e Anna hanno inviato una mail, hanno ottenuto risposta e ne è scaturita una relazione, che ha dato loro la possibilità di cambiare direzione. «In questo momento difficile per tutti non credevo che sarei stata ascoltata, ma la provvidenza è grande» dice Laura, spiegando che già il semplice ascolto l’ha rasserenata e aiutata a riprendersi. «Mi ero sfiancata da sola, non ce la facevo più. Ora ricomincio a vedere molte cose secondo una luce diversa. Ho anche ricevuto un supporto economico. È un sogno. Dal quale riparto».

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Dieci disoccupati al bar: «Ci compriamo la fabbrica» In pochi mesi la vecchia modelleria Quadrifoglio è andata a rotoli. Ma i dipendenti se la sono presa, investendo le liquidazioni e livellando gli stipendi. E l’azienda va... di Stefania Culurgioni La fabbrica fallisce, e loro se la ricomprano. Sembra un’avventura, un’impresa impossibile, un colpo di testa o un sogno che si avvera grazie a qualche benefattore facoltoso. E invece non è così. È successo a Padova, in un paese di poco più di 12 mila abitanti che si chiama Vigodarzere, dove dieci operai trovatisi all’improvviso senza lavoro hanno raccolto tutti i soldi che avevano e si sono buttati. E non solo galleggiano: dopo due anni cominciano a vedere ricavi. Insieme hanno ri-fondato una modelleria che adesso si chiama D&C e che fa stampi per fonderie. È una storia di ripartenti, di persone over 40 rimaste col muso sull’asfalto, che se la sono vista brutta e che già s’immaginavano un futuro cupo assai: cassa integrazione e poi vita da spiccioli, magari l’aiuto dei vecchi genitori, magari qualche maggio 2010 – spiega Luca –. A giugno lavoro in nero e stagionale, ogni mese gli ex dipendenti si sono ritrovati in un una stretta sulla spesa. La storia ce la bar e si sono detti: cosa facciamo? Poi, racconta il più giovane, Luca Damian, confrontandosi anche con i sindacati, che ha 26 anni ed è stato assunto da pohanno deciso di provarci. Hanno costico come ragioniere insieme a un altro tuito la cooperativa e ad agosto già aveoperaio di origine marocchina, perché vano cominciato a lavorare. In pratica tutti gli altri dieci sono gli stessi che con hanno rilevato l’attività della vecchia la tuta stavano piegati sui macchinari azienda e tutto è ripartito». otto ore al giorno, prima che i titolari Il crollo della vecchia modelleria dell’azienda non la facessero fallire e che Quadrifoglio, così si chiamava, era arriloro se la ricomprassero diventando i vato all’improvviso, anche se le prime nuovi soci fondatori. avvisaglie c’erano da mesi. L’azienda esisteva da 40 anni ma da poco erano subentrati nuovi titolari, la cui gestione Dalle ceneri della chiusura non era delle più felici. «Diciamo che «La modelleria nasce dal fallimento delpensavano ad altro – racconta Luca –, la vecchia ditta, che è stato decretato nel

avevano altri interessi. Più che a far andare bene l’attività, la vedevano come una fonte di guadagno per investire da un’altra parte». Quando il primo fornitore ha fatto istanza perché non gli venivano pagate da mesi le fatture, tutto è cominciato ad andare a rotoli. Intanto gli operai non ricevevano lo stipendio da cinque mesi. E non era proprio vita facile: la maggiorparte di loro ha più di 40 anni, moglie e bambini da mantenere. Alberto, per esempio, ha 38 anni e sei figli, Simone ne ha 40 ma erano 25 anni che lavorava nella modelleria. Alcuni di loro si ricordano di quando, nel Natale 2009, i dipendenti furono chiamati nello stabilimento per ricevere parte della tredicesima e almeno cinque mensilità in arretrato, ma i proprietari non si presentarono. Fu il Tribunale di Padova a decretare, il 20 maggio 2012, il fallimento della ditta. «Gli operai volevano conservare il loro posto di lavoro, ma non sapevano come fare – racconta Luca – e fu grazie al contatto con il sindacato che prese piede l’idea di riavviare l’attività ex novo in

Il teatro educa, anche ad affrontare In un istituto alberghiero di Genova, un progetto che aiuta i giovani a esprimersi. Per non di Paola Malaspina Le immagini si susseguono veloci sullo schermo del computer; in ognuna, vedo gruppi di ragazzi impegnati e contenti, sullo sfondo scuro del palcoscenico. A mostrarmi con orgoglio quest’album fotografico è Fabio Contu, docente dell’istituto alberghiero “Nino Bergese” di Genova, oltreché fondatore

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del Laboratorio Teatro Educazione. Appassionato di teatro da sempre, convinto, anche dopo l’abilitazione all’insegnamento, che la recitazione sarebbe rientrata nella sua vita («i fantasmi tornano sempre», commenta con ironia), Fabio ha deciso, circa dieci anni fa, di attivare un laboratorio teatrale a completo servizio dei ragazzi della sua scuola, un istituto collocato nel ponente cit-


l’inchiesta

forma di cooperativa. I dipendenti hanno sfruttato una legge che permette di costituire una nuova cooperativa, investendo come capitale sociale le liquidazioni della mobilità anticipata. Se la sono fatta dare subito, insomma, e hanno messo insieme un primo fondo di 140 mila euro. Con il curatore fallimentare hanno poi fatto proposta di acquisto di ramo d’azienda e hanno aggiunto un’altra somma grazie all’apporto di due soci finanziatori: CoopFond, il fondo mutualistico di Lega Coop, che è entrata nel capitale sociale con 250 mila euro, e Cfi Cooperazione finanza e impresa, che ha messo altri 250 mila euro. Hanno acquistato i macchinari, il capannone invece è rimasto in affitto. Per finire, si sono appoggiati alla Banca Etica di Padova».

Da operai a cooperatori L’ultima, fondamentale cosa che hanno fatto è stata forse la più rivoluzionaria: si sono abbassati gli stipendi, livellandoseli senza differenze tra chi era responsabile o no. Quindi, se prima c’era chi prendeva tremila euro lordi, ora ci sono 12 operai che prendono tutti 1.800 euro lordi. La ditta funziona su una sorta di autoregolazione interna: esiste il consiglio di amministrazione, esistono un presidente, un responsabile, ma ognuno è consapevole del contributo che dà, e se c’è da prendere una decisione la si prende tutti insieme, perché il voto è a persona, e non dipende dal capitale, diverso, che ciascuno ha investito. Ultimo dato: oggi gli operai della D&C sono riusciti a recupare 25 mila euro. Vedono la luce. E se la vedono, devono ringraziare se stessi.

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le angosce soccombere alle ansie tadino, in una delle zone più fortemente colpite dalla crisi economica e dal disagio sociale. «L’idea di base era ed è basata sulla scuola come luogo del riscatto – spiega –. E il principio del teatro educazione non è tanto quello di far teatro a scuola, quanto di far scuola attraverso il linguaggio del teatro». In altre parole, in uno spazio di creatività libera, ma regolata, come quello

Non ottimista

«O l’economia civile fa sistema, o il paese rimarrà depresso» La crisi non ha prodotto quel cambiamento profondo nel sistema economico che molti auspicavano. A cinque anni dal suo inizio, Luigino Bruni, economista, esponente del Movimento dei Focolari, propugnatore con i suoi libri e la sua attività di ricerca di un modello economico basato sulla valorizzazione delle relazioni umane, descrive uno scenario dai toni foschi. Professor Bruni, siamo ormai al quinto anno di crisi economica. Intravvede ancora il buio fitto? Ancora buio. La crisi con la “c” minuscola, in alcuni paesi è già finita (Stati Uniti, Germania), in altri non è mai arrivata (Cina, Brasile), in altri, invece (Italia, Spagna) sta sprigionando ancora i suoi effetti, ma fra due o tre anni passerà. C’è però anche la Crisi maiuscola, che non è solo una crisi di debito, ma di sistema. Che dipende cioè dall’insostenibilità di un modello economico nato nel dopoguerra e poi sviluppatosi soprattutto negli anni Professore, focolare Ottanta, basato sulla depredazione delle materie prime L’economista Luigino Bruni e del capitale sociale e relazionale. Francamente, da questa seconda crisi non vedo ancora via di uscita, nel breve e medio periodo. A quattro anni dal fallimento delle banche d’affari americane all’origine della deflagrazione, le ricette prevalenti non paiono mettere in discussione il nostro modello economico, ma anzi paiono renderlo ancora più spietato. Come mai? La crisi economica è anche una crisi antropologica. Il capitalismo finanziario, che è il nostro modello economico ancora dominate, è figlio del nichilismo occidentale. Ora a questa visione dell’uomo, centrata sull’io, non se ne è sostituita un’altra perché tutte le grandi narrazioni, ideologiche e religiose, non reggono più. Non abbiamo un’antropologia alternativa e quindi nemmeno un diverso modello di relazioni economiche. Rispetto a quattro anni fa lei è più ottimista o più pessimista? Più pessimista, soprattutto se guardo all’Italia. I quattro anni che abbiamo trascorso sono stati forse i peggiori della nostra storia recente. Ci siamo ritrovati in un paese più diviso, più litigioso, più egoista. La crisi ci ha bloccati, invece di spronaci a migliorare. Francamente vedo un paese depresso, che non ha più alcuna speranza civile, che ha smesso anche di produrre capitale umano, perché non genera più figli. Caritas Italiana ha intitolato il suo rapporto sulla povertà I ripartenti. Lo studio mette in luce anche la voglia di riscatto e la capacità delle comunità di inventare forme nuove di welfare. Non condivide questa fiducia? Vedo segnali di dinamicità nella società civile italiana: dai gruppi di acquisto solidale, alle banche del tempo, alle iniziative di credito etico. Ma sono tante piccole iniziative frammentate tra loro. In mezzo alla crisi, le imprese sociali hanno assunto invece che licenziare. Tuttavia, oggi, con i tagli al welfare, ai bilanci delle pubbliche amministrazioni, anche questo settore rischia la paralisi. L’economia civile, di cui lei è un sostenitore, può essere ancora un modello alternativo? Lo può essere a patto che riesca a fare sistema e a crescere. E lo può fare solo se si allea con il pubblico. Occorre una classe politica che governi questo processo. Oggi in Italia sono ancora in troppi quelli che pensano che saranno la Fiat o la Pirelli a salvare il paese. Io credo invece che il modello per il futuro sia nella Val di Non, dove si è realizzato un mix vincente tra istituzioni locali, impresa e territorio. L’economia di comunità è la specificità italiana, andrebbe salvaguardata e valorizzata. E per farlo serve una nuova classe dirigente. dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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La vita, dal palco In uno spazio di creatività libera, i ragazzi fanno emergere pensieri e paure. Incluse quelle figlie della crisi della quinta teatrale, i ragazzi possono far emergere liberamente loro istanze, idee e impressioni, anche negative, sulla vita e sul mondo che li circonda. Apprendendo, intanto, anche a relazionarsi con il gruppo, in quanto la dinamica di questo lavoro, diversamente da altre materie curriculari, comporta l’assunzione di responsabilità e impegni anche verso gli altri, oltre che verso se stessi. Pur vantando un repertorio ormai decennale di spettacoli (con tanto di repliche e mini-tourné in vari teatri cittadini), il laboratorio di Fabio Contu non vede nel “saggio di fine anno” il suo principale scopo di lavoro: «L’idea di base è invece quella – precisa – di coinvolgere i ragazzi, anche con il supporto di un operatore teatrale, in un progetto di scrittura, adattamento e messa in scena in cui esprimersi liberamente».

“Bio” o scosso, il formaggio torna... Storie di rinascita aziendale. Grazie a tanti amici. A Modena il grana sconfigge il terremoto. di Francesco Chiavarini e Stefano Malagoli Per il terzo anno consecutivo, Massimo Tomasoni, piccolo produttore di formaggio biologico del Bresciano, ha chiuso il bilancio in positivo. Nel frattempo è anche riuscito ad assumere tre nuovi dipendenti, portando a dieci il numero complessivo dei collaboratori. Oggi può dire di essersi lasciato la crisi alle spalle. E guarda con fiducia al futuro. Tomasoni può essere considerato un ripartente, uno di quelli che si è rimboccato le maniche e ce l’ha fatta. Ma nel 2008 punto mi sono trovato con l’acqua alla non lo avrebbe detto. Davanti a lui vedegola. Le banche non mi facevano crediva solo disperazione. E una storia imto e io non riuscivo a pagare i miei forniprenditoriale e familiare centenaria che tori, a loro volta piccoli allevatori, che andava a rotoli. All’epoca il caseificio, non avevano margini per reggere. Allora passato in eredità di generazione in geho pensato di scrivere una mail ai grupnerazione dagli inizi dell’Ottocento, era pi di acquisto solidali che si rifornivano sull’orlo della chiusura. E se è riuscito a da me. Il risultato è stato strabiliante, susalvarsi, è stato solo grazie ai suoi clienti. periore alle aspettative». «Nel 2004, dopo l’euforia iniziale, l’aL’sos lanciato nella rete fu raccolto e gricoltura biologica venne messa al banmoltiplicato. I clienti, circa mille famiglie do dalla grande distribuzione. Quello è distribuite in mezza Lombardia, aderenstato il primo colpo – racconta Tomasoti a circa 85 gruppi di acquisto solidale, ni –. Poi sono arrivati la crisi economica decisero di scommettere sul futuro dele il calo dei consumi alimentari. Gente l’azienda. Qualcuno pagò anticipatacome me, che puntava su prodotti di mente le forme di grana in stagionatura, qualità, è rimasta spiazzata. A un certo

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Segnato dal sisma Andrea Nascimbeni, presidente del caseificio “4 Madonne” di Lesignana di Modena.


l’inchiesta

Così, negli anni, si sono susseguiti temi variegati e importanti: la difficoltà di comunicare, i rapporti tra uomo e donna, l’identità individuale e sociale. E in un tempo di crisi come l’odierno, un’attività del genere si rivela una risorsa importante per i ragazzi, perché – sintetizza Fabio – «nei lavori dei ragazzi si percepisce molta rabbia, ma anche sfiducia verso il futuro e paura che questa crisi possa non finire mai. Così, cerchiamo di affrontare tutto insieme». Il tutto, con risultati ad oggi confortanti, perché i ragazzi portano avanti l’esperienza di anno in anno con crescente entusiasmo. E non mancano le rivelazioni, come Davide Mancini, Petruccio in La bisbetica domata del 2006, che ha scoperto negli anni una vera e propria vocazione attoriale. Quest’anno ha debuttato da professionista in uno spettacolo al Teatro Stabile di Genova. Senza dimenticare la palestra della scuola da cui tutto è iniziato. E che gli ha insegnato a sognarsi un futuro, prima ancora che a recitarlo.

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in forma A Brescia vincono le nuove idee qualcun altro offrì direttamente il denaro a credito senza interesse, altri ancora sottoscrissero una quota del finanziamento concesso a tasso agevolato da una cassa mutua autogestita che nel frattempo si era impegnata nel salvataggio. In pochi mesi furono raccolti 150 mila euro. Esattamente la cifra corrispondente al fido negato dalla banca. Tre anni dopo, la somma è stata interamente restituita, il caseificio e tutta la filiera produttiva sono stati salvati. Insomma, un piccolo pezzo dell’economia di un territorio ha potuto riprendere fiato. Per questo il salvataggio del bio-caseificio Fratelli Tomasoni è diventato un caso da manuale.

Il filo di Paglia Il gruppo di acquisto solidale “Filo di Paglia”, uno dei più attivi a Milano, dopo l’operazione Tomasoni ne ha lanciate altre. Ad esempio, pagando in anticipo gli ordini ha consentito a un’azienda agricola

Non pessimista

«Il tunnel dei dati è allarmante, ma germi di un nuovo welfare» La crisi non è finita. E purtroppo non si vede ancora la luce in fondo al tunnel. Eppure cominciano a scorgersi segnali di ripartenza. Forse addirittura il seme di un nuovo modello di stato sociale. A sostenerlo è il vicedirettore di Caritas Italiana, Francesco Marsico. Marsico, avete intitolato il Rapporto 2012 sulle povertà I ripartenti. Un titolo ottimista. Vedete una luce in fondo al tunnel della crisi? Il quadro che emerge dalla lettura dei dati è allarmante. Tra gli utenti dei centri di ascolto aumentano gli italiani, cresce la multiproblematicità delle persone, con storie di vita complesse, di non facile risoluzione, che coinvolgono tutta la famiglia. La fragilità occupazionale è molto evidente e diffusa: rispetto alle tendenze del recente passato, i poveri in Italia sono sempre meno working (lavoratori) e sempre più poor (poveri). Sguardo Caritas Aumentano gli stenti tra anziani e persone in età Francesco Marsico, matura: alle Caritas si rivolgono pensionati e casalinghe, vicedirettore Caritas Italiana ormai è una regola, non più l’eccezione. Siamo, insomma, ancora in mezzo al tunnel. Tuttavia, tra le persone cadute nella povertà di recente e a causa della crisi, si avverte anche una grande volontà di rimettersi in piedi. Sempre di più ci chiedono di essere aiutate a rialzarsi, non soltanto di resistere. Vogliono, insomma, ripartire. Significa che dovranno cambiare anche le modalità e gli strumenti di sostegno fino a oggi immaginate da Caritas e altri organismi di aiuto e assistenza? Quella che stiamo attraversando non è solo una crisi di ciclo economico, ma una crisi di sistema, che sta modificando le strutture sia produttive che sociali. Certamente questi cambiamenti profondi riguardano anche il modello di stato sociale che fino a oggi abbiamo conosciuto. E quindi anche il ruolo di Caritas. In futuro dovremo rinunciare all’idea della centralità dell’intervento pubblico. Meno stato, più società. Non è a sua volta anche questa una vecchia idea? Infatti non si tratta di questo. La centralità dello stato va declinata in modo diverso rispetto al passato. Fino a oggi la centralità dell’ente pubblico ha voluto dire centralità delle risorse. Oggi questa centralità deve significare coordinamento degli interventi sociali pubblici e privati. Nel Rapporto non solo mettete in luce la voglia di riscatto delle persone colpite dalla crisi, ma anche la capacità di mobilitazione delle comunità, che spesso si esprime anche in forme nuove di aiuto. Sta nascendo un welfare alternativo? Penso di sì. Faccio due esempi. Il primo: dall’indagine ministeriale sugli aiuti alimentari è emerso in modo evidente che questa rete di interventi è quasi del tutto sussidiaria. Ciò significa che chi si occupa oggi di affrontare la povertà estrema è quasi sempre un soggetto del privato sociale: parrocchie, onlus, associazioni. Il secondo esempio: la recente ricerca sui senza dimora. Ebbene, la prima mappatura in Italia sulla grave emarginazione, promossa (insieme a noi e Fio.psd) dall’Istituto nazionale di statistica e dal ministero del lavoro, cioè dallo stato, è stata possibile solo grazie a 3.500 ricercatori volontari. Due casi, che mi fanno dire che esiste nella società italiana una grandissima capacità di reazione. E una forte volontà di prendere in mano il futuro del paese. Questo welfare deve suggerire anche un nuovo concetto di sussidiarietà? Esattamente. Fino a oggi abbiamo inteso per sussidiarietà la relazione tra stato e privato sociale. Dobbiamo cominciare a considerare le relazioni tra privato sociale e privato sociale. L’integrazione tra centri di ascolto Caritas, gruppi di mutuo aiuto e gruppi di famiglie solidali è un primo esempio in questa direzione. dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Diocesi di Milano, seconda fase del Fondo Famiglia e Lavoro

La povertà diventa cronica? “Ripartire si può” Nel tempo dei “cronici”, “Ripartire si può”. Lo dice lo slogan della seconda fase del Fondo Famiglia e Lavoro, lanciato dall’arcidiocesi di Milano per aiutare persone, famiglie e anche piccole imprese messe sotto torchio dalla crisi. La prima fase fu annunciata nella notte di Natale di quattro anni fa dal cardinale Dionigi Tettamanzi: ha raccolto ed erogato a 7 mila famiglie del territorio diocesano, selezionate e seguite da Caritas e Acli, ben 13,5 milioni di euro. Ora il nuovo arcivescovo, cardinale Angelo Scola, ha comunicato che – come atto iniziale, ci si augura segua la generosità dei milanesi – la diocesi destinerà un milione di euro, attinti dall’otto per mille, alla nuova stagione del Fondo, che ha l’obiettivo prioritario di aiutare a ritrovare o creare lavoro. Se prima si trattava di resistere, insomma, ora si tratta di ripartire. Sospinti da un’iniziativa che coinvolge diversi soggetti ecclesiali, associativi e di categoria, e si basa su quattro pilastri: la confermata erogazione di un contributo economico a fondo perduto per tamponare le situazioni di estrema emergenza economica; l’orientamento e la riqualificazione professionale; il microcredito per l’avvio di piccole attività economiche; lo start up di nuove imprese. Accanto a nuovi contributi per affrontare spese prioritarie, al fine di evitare l’ulteriore aggravarsi della situazione di

di Imperia, produttrice di carciofi, di superare un brutto momento. E con l’iniziativa “Pesce di Aprile” è riuscita a salvare dagli strozzini piccole cooperative di pescatori della zona dell’Argentario. Queste e altre storie sono anche diventate un racconto teatrale, Fabbrikas, che ha già girato le sale cittadine del circuito alternativo. «Spesso si confondono i Gas con i semplici gruppi di acquisto – spiega Marco Fumagalli del Filo di Paglia –. Ma noi siamo innanzitutto consumatori critici. Il nostro obiettivo è unirci per modificare i rapporti di potere nelle relazioni economiche e favorire forme di produzione attente al lavoro, all’ambiente, al territorio, sperimentare forme di credito nuove, essere soggetti costruttori di un nuovo modello economico». Parole che sembrano un manifesto.

Dopo il sisma, ordini da ogni dove Da un caseificio a un altro. «Grazie a chi ci ha aiutato nell’emergenza e continua a farlo». Chi parla è Andrea Nascimbeni, presidente del caseificio “4 Madon-

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una famiglia, l’iniziativa “Ripartire si può” finanzierà percorsi di formazione mirata (percorsi personalizzati di circa sei mesi, caratterizzati da indennità economica, tirocinio in azienda, affiancamento nella ricerca del lavoro), iniziative di microcredito (fino a 10 mila euro) per soggetti imprenditoriali che non riescono ad avere prestiti dalle banche e, infine, il progetto “Fare impresa insieme”, per accompagnare nella fase d’avvio piccole imprese nascenti o a rischio di chiusura. Della seconda fase del Fondo Famiglia Lavoro possono beneficiare persone prive di occupazione, disoccupate da luglio 2011, che abbiano almeno un figlio a carico e risiedano nel territorio della diocesi di Milano. Il lavoro, in effetti, è il primo problema segnalato dai quasi 17 mila utenti dei centri d’ascolto Caritas (62% delle richieste), come dimostra il Rapporto sulle povertà pubblicato a ottobre dall’organismo diocesano. E spinge moltissimi a ritornare ai centri d’ascolto: se nel 2011 gli utenti sono aumentati del 6% rispetto al 2008, primo anno della crisi, l’aumento ha contraddistinto soprattutto i “cronici”, coloro cioè che si rivolgono per almeno due anni consecutivi alla rete di assistenza Caritas, che sono aumentati di quasi quattro volte in dieci anni e rappresentano circa 40% di chi ha chiesto aiuto nel 2011.

ne” di Lesignana di Modena, gravemente colpito dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio. Il “4 Madonne” è l’unico caseificio dell'intero comprensorio del Parmigiano-Reggiano (province di Modena, Reggio Emilia, Parma, Bologna sinistra Reno e Mantova destra Po) a produrre formaggio in tre stabilimenti: a Lesignana e Medolla (Mo) e Arceto (Re). «A Lesignana – dice Nascimbeni – sono cadute 16 mila forme; tra perdita di prodotto e rottura delle scalere il danno è stato stimato in almeno 5 milioni di euro. A Medolla, dove abbiamo perso tremila forme e hanno subito danni anche le sale di lavorazione del latte, il conto è di 2,5 milioni di euro». Tre mesi dopo il sisma, la cooperativa casearia è però quasi tornata alla normalità, anche se il magazzino interno (capacità: 33 mila forme) è ancora inagibile. Le cento forme di Parmigiano-Reggiano prodotte ogni giorno tra Lesignana e Medolla vengono portate in magazzini esterni presi in affitto. Presto cominceranno i lavori per ricostruire il magazzino per la stagionatura a Medolla.

«Siamo ripartiti in fretta anche grazie alla solidarietà ricevuta da tutta Italia. Tra giugno e luglio – spiega Nascimbeni – abbiamo venduto più di 4.800 forme di Parmigiano-Reggiano “terremotato”. Lo hanno comprato gruppi di acquisto solidale, alpini, associazioni di volontariato, Confcooperative, agricoltori, sindacati, banche, partiti e uomini politici, cral aziendali, grandi imprese, enti pubblici, parrocchie, forze dell’ordine, ma soprattutto tantissimi cittadini. Abbiamo ricevuto oltre 13 mila messaggi di posta elettronica, e a un certo punto abbiamo dovuto smettere di accettare nuovi ordini, per poi riprendere, perché abbiamo dovuto evadere prima quelli in corso. Ci scusiamo anche per non aver potuto rispondere a tutti coloro che ci hanno contattato, ma per noi è stato un periodo davvero impegnativo. Abbiamo ricevuto molte telefonate. Ci hanno chiamato anche da Abruzzo, Marche e Umbria per farci coraggio e per raccontarci le loro esperienze col terremoto. Insomma, la solidarietà ci è stata dimostrata in tanti modi. Tutti fruttuosi».

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L’emergenza casa è a livelli di guardia: oltre 160 mila famiglie non sono in grado di pagare l’affitto. Contromisure? Inesistenti

La repubblica dei sotto sfratto di Ettore Sutti

Inadempienti, senza più fondo 160 mila

le famiglie considerate inadempienti (inacapaci di pagare l’affitto) nel nostro paese nel 2012

410 mila

le famiglie che diventeranno inadempienti nei prossimi tre anni

4.678

i provvedimenti di sfratto emessi a Roma nel 2001 (Torino 2.523, Napoli 1.557 in città e 1.255 in provincia, Milano 1.115 in città e 3.244 in provincia)

87%

FONTE: ANCI, SICET, SUNIA

l’incidenza degli sfratti per morosità sul totale degli sfratti nel 2011

28.641

gli sfratti eseguiti nel 2011

92%

l’entità del taglio al fondo di sostegno agli affitti da parte del governo Monti

24. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013

Una ogni 78. Tante sono le famiglie a rischio di sfratto in Italia. Un dato impressionante, che fa capire quanto sia ampio lo scenario di precarietà in cui si trovano le oltre 160 mila famiglie considerate inadempienti (cioè che non riescono a pagare l’affitto) nel 2012 e le altre 410 mila che secondo il centro studi dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) lo diventeranno nei prossimi tre anni, a meno di clamorosi ripensamenti sulle politiche della casa. Ripensamenti che non sembrano essere tra le priorità del panorama politico, dato che il governo Monti ha tagliato del 92% (sì, avete letto bene, novantadue per cento) il fondo per il sostegno agli affitti. Una misura sicuramente non risolutiva, ma che permetteva a tantissime famiglie di mantenere una casa nonostante le difficoltà. Roma è la capitale degli sfratti per morosità: nel 2011, secondo i dati del ministero dell’interno, sono stati emessi 4.678 provvedimenti, di cui 2.343 con l’intervento dell’ufficiale giudiziario. Spiccano poi i dati di Torino (2.523 sfratti per morosità), Napoli (1.557 in città e 1.255 nel resto della provincia), Milano (1.115 nel capoluogo e 3.244 nel resto della provincia). «La situazione degli sfratti per morosità e il non rifinanziamento del fondo di sostegno agli affitti portano a una situazione di disagio diffusa in tutto il paese – dice Alessandro Bolis, vicesindaco di Carmignano di Brenta, e responsabile nazionale Anci per le politiche per la casa –. Per rispondere alla condizione di sivamente 63.846. Solo 832 i provvediemergenza sono necessari un fondo di menti di sfratto emessi, invece, per neriqualificazione energetica per gli alloggi cessità del locatore e 7.471 quelli per fipopolari (per calmierare i costi delle bolnita locazione. Le richieste di esecuziolette delle utenze a carico degli inquiline presentate all’Ufficiale giudiziario ni), un aumento del patrimonio immosono state 123.914, mentre gli sfratti biliare pubblico, ma soprattutto un soeseguiti 28.641. stegno al fondo per gli affitti e la necessaria proroga degli sfratti per morosità». Secondo alcune stime, la difficoltà Servono alloggi popolari ad arrivare a fine mese, e quindi a paga«La situazione è drammatica – spiega re l’affitto, riguarda l’87% dei casi di Leo Spinelli, segretario generale del Sisfratto, che nel 2011 sono stati complescet (sindacato degli inquilini) della Cisl


l’inchiesta di Milano –, ma è la stessa che si ripropone da alcuni anni a questa parte. Gli sfratti per morosità sono in aumento già da alcuni anni e a Milano e provincia sono 17 mila i provvedimenti di sfratto esecutivi, 10.500 in città e il resto in provincia. A Milano si fanno 4-5 sfratti al giorno e non se ne fanno di più solo perché non c’è abbastanza forza pubblica per eseguirli in sicurezza. La fascia di popolazione colpita si sta allargando sempre più: ai nostri sportelli (solo oggi in quello di via Tadino c’erano 130 persone in attesa) si presenta di tutto, comprese famiglie “insospettabili”, quelle cioè che nonostante abbiano sempre avuto buone entrate, oggi, a causa delle crisi, non possono più a pagare il canone di locazione». Il problema, però, nasce da lontano, dalla madre di tutti i disastri: la ormai famigerata legge 431, che ha sancito la liberalizzazione degli affitti. «La logica che stava dietro alla legge – continua Spinelli – è che il mercato si sarebbe re-

golato da solo. Infatti vediamo cosa sta succedendo... Noi ripetiamo da anni, invece, che sarebbe necessario creare un regime unico delle locazioni a canone agevolato, in base a fasce omogenee. Questo permetterebbe di porre limiti precisi e agevolerebbe l’accesso al mercato degli affitti a buona parte della popolazione che oggi ne è esclusa. E non si tratta di una proposta stalinista: in Francia e in Olanda funziona così». E poi servirebbe davvero un “Piano

Milano

Alberto pronto a occupare, ad Anton restano le pagelle Alberto ha il corpo grosso e lo sguardo gentile. Appena si siede il volto cambia aspetto. Quella che gli si disegna addosso è stanchezza. Mortale. «Ho perso il lavoro a maggio dell’anno scorso – racconta –. Sono un gessista, lavoravo per piccole imprese a Milano e provincia. A cottimo. Sono bravo e veloce: ho sempre guadagnato bene. Poi l’anno scorso le richieste sono iniziate a diminuire. Sempre meno. Poi più niente. Da maggio praticamente non lavoro. Ho provato di tutto. Con un amico mi sono presentato anche ai caporali di Loreto alle 4 del mattino. Ma non ero abbastanza disperato. Non mi hanno mai scelto. Ora da mesi non riesco più a pagare l’affitto». Antonio è sposato e ha due figli: una bimba di 4 e un bimbo di 2 anni e mezzo. «Riusciamo a mangiare grazie ai piccoli lavoretti che mia moglie trova – prosegue Alberto –, ma nulla di più. A ottobre è arrivato l’ufficiale giudiziario e ci ha pignorato quel poco che poteva portar via. La prossima volta arriverà con la polizia per farci sloggiare. Io però non voglio essere cacciato dalla forza pubblica. Non voglio che i miei figli subiscano anche questo. Mi sto organizzando per occupare degli appartamenti Aler sfitti e abbandonati da anni. In tutto siamo dieci famiglie. Lo so, è un reato. Ma cos’altro posso fare?». Anton è un bel signore di 40 anni. È molto orgoglioso della sua bella famiglia: la moglie e i cinque figli, due gemelli che fanno le medie, un bimbo alle elementari e altri due gemellini piccoli. Nonostante siano rumeni («rom rumeni», precisa Anton) parlano tutti l’italiano perfettamente. Anton ha in mano le pagelle dei figli dell’anno scorso: tutte con voti altissimi. Adesso sono quasi due mesi che i figli non frequentano più e ha paura che, una volta raggiunti i 60 giorni di assenza, possano perdere l’anno. Due mesi: da quando Anton e la famiglia vivono in macchina, dopo che hanno perso l’alloggio popolare. «Per oltre dieci anni – riassume l’uomo – sono stato assegnatario di casa popolare a Vigevano. Io ho sempre lavorato nell’edilizia e non ho mai avuto difficoltà a pagare l’affitto. I bambini sono sempre andati a scuola con ottimi profitti e pensavo, ormai, di essere riuscito a conquistare una certa tranquillità». Poi il dramma. «Un amico che non aveva abbastanza garanzie – continua Anton – mi ha chiesto di fargli da garante per il mutuo, dato che avevo una busta paga. Ho accettato. Ma poco dopo l’amico ha smesso di pagare le rate e sono subentrato al suo debito. Figurando come intestario: quindi, ho perso il diritto alla casa popolare. Infatti poco dopo sono stato sfrattato. Ora sono due mesi che viviamo nella nostra macchina. Attorno abbiamo costruito una specie di baracca, ma andare avanti così è dura. Soprattutto per i miei figli, che si erano integrati bene. Io sono pronto ad accettare qualsiasi lavoro per garantire loro un futuro. Qui. In Romania io non torno. La ci sono solo fame e disperazione». Antonio ha già passato i 50 anni, viene dalla Filippine, ma da molti anni vive a Milano con la moglie e i due figli. «Ho sempre fatto il domestico – racconta – e guadagnavo bene. Poi, però, la famiglia per cui lavoravo (il padre era un manager americano) si è trasferita per lavoro in un altro paese e io ho perso il mio impiego. Ho delle ottime referenze, ma il mercato in questo momento è fermo. Ho cercato anche lavoro nelle cooperative e nelle imprese di pulizie, ma dicono che sono troppo qualificato. Senza entrate non sono più riuscito a pagare l’affitto e mi hanno sfrattato. Il figlio più grande l’ho rimandato nelle Filippine, dai miei genitori, ma con mia figlia e mia moglie per un po’ abbiamo dormito in macchina. Poi, per fortuna, ci hanno accolto in un’appartamento di una parrocchia di Milano. Li siamo rimasti un altro po’, finché ho trovato un piccolo lavoro e una sistemazione a Pioltello. Il posto non è granchè, ma è tutto nostro. Sarà un bel Natale...». dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Rimini

Per dormire? La cabina della spiaggia... Cresce il numero delle persone che non hanno un tetto stabile e sicuro, nella capitale del divertimento italiano. Sono oltre 1.400, e 150 tra loro dormono nelle cabine degli stabilimenti balneari, sotto i ponti, molti nei pressi del porto. Tanti gli italiani; le donne e i giovani che hanno perso il lavoro perdono anche il tetto sopra la testa. Ma il problema-casa riguarda tutti. Aarif, tunisino, 45enne, l’ha risolto dormendo in macchina. È a Rimini da dieci anni. Faceva il piastrellista, poi la crisi l’ha lasciato a spasso: pensa di ritornare al suo paese. Invece Olga, ucraina cinquantenne, dorme in casa di amiche, dove paga sei euro a notte. Quando faceva la badante aveva una stanza tutta sua, ma l’ultimo datore di lavoro l’ha licenziata senza preavviso, sostituendola con una polacca. Franco, invece, ha trovato ospitalità per tre mesi in un istituto di suore di Pesaro; ha più di 60 anni e aveva un’attività bene avviata. Anche Luisa non se la passava male, poi il negozio di alimentari è fallito e il suo compagno ha perso il lavoro. Hanno dormito per due anni in un camioncino, ma l’hanno dovuto vendere per pagare i debiti. Adesso li stanno ospitando alcuni amici. Fino a quando risuciranno a resistere? Alberto Coloccioni

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casa” degno di questo nome. «Non ci sono altre vie d’uscita – continua Spinelli –: o si interviene sul reddito delle famiglie, mettendole cioè in condizione di poter contare su entrate tali da potersi muovere sul libero mercato, o si devono mettere a disposizione abitazioni a canone sociale in quantità adeguata. Oggi, a Milano, c’è una lista di attesa di 23 mila famiglie che attendono un al-

loggio, a fronte di un’offerta di circa mille alloggi all’anno. Come si può intuire, non è così che si risolve il problema. Se consideriamo che esiste, solo a Milano, un patrimonio di oltre cinquemila alloggi, tra comunali e dell’Aler, che restano vuoti perché non a norma, appare evidente che l’emergenza casa non è vista da tutti come davvero tale». Se alla carenza di alloggi popolari

aggiungiamo ancora il taglio dei fondi alle regioni per il sostegno agli affitti, in quadro, come si diceva, non fa che diventare più fosco. In Lombardia lo scorso anno sono state evase meno del 20% delle domande di sostegno (1.180 su oltre 7.500 richieste), un’ecatombe. L’emergenza sfratti sta comunque iniziando a colpire anche la provincia, che grazie ai costi minori, alle reti di so-

Tanti senza casa, la chiesa censisce gli Caritas mobilitata, primo caso di accoglienza in una parrocchia: la proposta del vescovo di Cristina Salviati

La storia che in questi giorni vede protagonisti Silvana e Domenico non è di quelle che si sentono raccontare spesso, ma pone comunque profondi interrogativi. Entrambi vicentini, sposati da un quarto di secolo, hanno una figlia di 21 anni, che studia all’università di Padova. Silvana e Domenico hanno un lavoro, ma quella che fino a poco tempo fa era una libera professione di tutto rispetto oggi li rende lavoratori precari. Impiego insicuro, privo di ogni garanzia in caso di malattia o impedimento a svolgere l’attività, pagamenti che non arrivano, tariffe che non rispetta più nessuno. Finora i due coniugi erano riusciti comunque a sbarcare il lunario senza dover dichiarare bancarotta. «Ma i periodi di crisi – racconta Domenico – ti fanno accumulare fatiche, a volte anche qualche debito con la banca o con la finanziaria di turno. E se finora eravamo

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riusciti a sistemare sempre la situazione, ora non ce l’abbiamo fatta più». Il mutuo con la banca e un debito con Equitalia hanno messo in ginocchio i due professionisti, che proprio un mese fa hanno deciso di abbandonare la casa che avevano in affitto nella prima periferia di Vicenza e di dividersi per provare a risistemare la situazione economica. Così Silvana, insieme alla figlia, è tornata a casa dalla madre, mentre Domenico è ospite di un parente. Una famiglia che vorrebbe poter rimanere unita, sotto lo stesso tetto, si vede costretta a dividersi, e per chissà quanto tempo.

La prontezza di Nove Sono decine le famiglie che si rivolgono alla Caritas vicentina, chiedendo aiuto


l’inchiesta stegno parentali e a un accesso al mercato più semplice (almeno nel nord Italia) era stata in qualche modo risparmiata dal fenomeno. Amnche nei centri medio-piccoli oggi la situazione è drammatica, anche perché i comuni non possono contare su un ampio patrimonio di edilizia sociale.

Più reddito o sostegno concreto A questo drammatico panorama, almeno per il momento, non sembra esserci alternativa. «Dobbiamo metterci in mente – conclude Spinelli – che la situazione è solo destinata a peggiorare. E finché non saranno messe in campo politiche serie per la casa, la crisi continuerà a picchiare duro. Da tempo sento fare ragionamenti su housing sociale, patti di futura vendita, case low cost. Tutti progetti che partono dal presupposto di venire incontro alla necessità del ceto medio impoverito. Ma se il ceto medio si impoverisce da qualche anno, allora ormai è povero, e non ha le disponibilità economiche per poter accedere ad altro che una casa popolare o una sistemazione a canone agevolato. Non può certamente permettersi soluzioni leggermente al di sotto dei prezzi di mercato. Dobbiamo partire da questa consapevolezza. Tutti insieme. Non esistono ricette alternative».

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alloggi vuoti di Vicenza inizia a dare frutti per poter rimanere unite, nonostante lo sfratto. Grazie alla prontezza del consiglio pastorale della parrocchia di Nove nel Bassanese, una di esse ha subito trovato accoglienza. «Si tratta – racconta Marino Peron, volontario della parrocchia – di un nucleo di tre persone, padre, madre e figlio. Li abbiamo incontrati a fine novembre per offrire l’appartamento che la parrocchia poteva mettere a disposizione». In questo caso la famiglia non dispone di alcun reddito e la situazione rischia di rimanere invariata a lungo. Si è dovuto quindi fare un accordo con il comune per garantire la copertura delle spese di acqua, luce e gas. «Da tempo – racconta Peron – in consiglio pastorale avevamo cominciato a riflettere sulle parole del Convegno

Napoli

I Ruggiero fanno gli scatoloni, sono destinati a dividersi Gli scatoloni pieni sono già accatastati nel piccolo ingresso dalle pareti color crema; di fianco le buste piene di ricordi di quando i figli erano piccoli. Rimangono da fare le valige con i vestiti adatti all’inverno napoletano, un giorno fa freddo e il giorno dopo meno, e allora bisogna avere a portata di mano cambi di diverso peso. Ormai è certo: la famiglia Ruggiero, padre, madre, due figli adolescenti e uno ancora alle elementari, deve lasciare il piccolo appartamento in cui abita. Sfratto per morosità, che diventerà esecutivo a metà gennaio, subito dopo le feste di Natale. «Le feste... – sospira Antonio, 43 anni, piccolo artigiano del legno –. Non immaginavamo mai di doverle passare traslocando a casa di parenti e di qualche amico, che ci ha offerto un po’ di posto nel suo garage, per mettere le nostre cose, i libri dei ragazzi, i vestiti estivi, qualche mobile...». Patrizia, la madre, da due anni colf a ore per integrare il piccolo e insufficiente reddito del marito, affronta il cambiamento cercando di organizzarsi. Preferisce non parlare, dice solo: «È un dicembre nero». Le origini di Antonio e Patrizia sono modeste e oneste: dopo il matrimonio affittano un appartamento, tre stanze e accessori in una traversa di via Carbonara, strada di collegamento fra il centro e la ferrovia, zona popolare. Non hanno grandi pretese e Antonio, che è bravo con i lavori di ristrutturazione, sistema la casa con i dettagli che piacciono a Patrizia. Arrivano i figli, lo spazio è poco, ma ce la fanno. Poi sopravviene la crisi, i guadagni di Antonio si assottigliano, cominciano ad andare in arretrato con le mensilità dell’affitto. E arriva la sentenza di sfratto. Dopo le feste si appoggeranno a casa della madre di Patrizia, Antonio sta pensando di andare a cercare lavoro nel nord Italia. La storia dei Ruggiero è una delle tante, una delle migliaia relative a famiglie napoletane su cui pesa la sentenza di sfratto esecutivo: 1.557 in città, più altri 1.255 casi in provincia, secondo i dati del ministero dell’interno diffusi da Assocasa. Al centro “La Tenda”, quartiere Sanità, Titti de Marco segue una sessantina di famiglie. «La casa è sempre stato un problema qui, ma nell’ultimo anno assistiamo a tanti passi indietro – spiega –. Si accumulano le mensilità d’affitto arretrate, e quando non ce la si fa più, si torna dalle famiglie d’origine, dove ci si divide il già poco spazio; oppure si prende in affitto un “basso”, uno di quei monolocali affacciati sulla strada, fino a non molto tempo fa destinati agli immigrati. Sono dinamiche di ritorno; ma arretrare significa alzare il livello del conflitto, fra parenti di sangue e acquisiti, fra generazioni, fra italiani e stranieri». Laura Guerra ecclesiale del Nordest, tenutosi ad Aquileia nell’aprile scorso. In particolare ci aveva colpito il punto dove si parlava dei beni della chiesa rimasti inutilizzati. Così abbiamo risistemato un appartamento della parrocchia e l’abbiamo offerto alla Caritas diocesana, non avendo famiglie con questo tipo di difficoltà nel nostro comune».

L’esempio è stato ripreso e rilanciato dal vescovo, monsignor Beniamino Pizziol: «Ho chiesto un inventario dei beni immobili della diocesi – ha detto alla riunione diocesana dei volontari dei centri d’ascolto –, così potremo valutare la situazione, anche strutturale, degli alloggi, e aprire appartamenti e case a chi ne ha bisogno».

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No alla malavita, detto per sempre Il libro di Rosy Canale, che s’è opposta alla ‘ndrangheta. Pagando, lottando di Daniela Palumbo

Scrittura sul femminile La mia ‘ndrangheta, scritto con Rosy Canale, è uscito nell’ottobre 2012: un libro coraggioso, un’opera a quattro mani che ripercorre le vicissitudini e analizza le motivazioni profonde di una donna che si è ribellata alla criminalità organizzata. Emanuela Zuccalà in precedenza ha pubblicato altri libri, tutti con le edizioni Paoline: Risvegliato dai lupi, reportage dalle carceri italiane; Sopravvissuta ad Auschwitz, testimonianza di Liliana Segre. Emanuela ha vinto numerosi premi di giornalismo, e non solo. Fra questi: Enzo Baldoni della provincia di Milano, il Premio giornalistico del Parlamento europeo, il premio Sodalitas – Giornalismo per il sociale, il Benedetta d’Intino, il Mauro Gavinelli, il premio Ucsi. Prossimo libro: Donne che vorresti conoscere, in uscita per L’Ancora del Mediterraneo. Sta inoltre lavorando a un documentario sulle donne saharawi con la fotografa Simona Ghizzoni, intitolato Solo per farti sapere che sono viva. Il suo blog è emanuelazuccala.blogspot.it

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Una volta un'amica le ha detto: «A quest’ora camminavi in Ferrari, tu». Ne è convinta anche lei, Rosy Canale, che ha sfidato la ’ndrangheta, a Reggio Calabria. Gliel’avevano detto chiaramente, che volevano far diventare il suo locale, “Malaluna”, l’ennesima discoteca dove smerciare farina bianca, la cocaina. Lei ha detto NO e una sera del 2004 l’hanno aspettata e l’hanno fatta a pezzi. Letteralmente. Ancora zoppica e ha cicatrici su tutto il corpo. Ma dentro, nel profondo, da dove è uscito quel NO, Rosy Canale è ancora intatta. Oggi, a otto anni di distanza, Rosy fatica a tirare avanti con il lavoro da chef in un ristorante di New York, dove si è dovuta trasferire. Lo sa bene che avrebbe potuto guidare una Ferrari, essere la signora Malaluna con il tacco 13, il codazzo di servi, parecchie banconote da cento pubblici per i morti, non voleva le eseeuro in tasca e la coscienza sporca di quie blindate riservate ai mafiosi. chi traffica in “farina”: lo ha ammesso Rosy vide quella donna, bella e anche nel libro scritto a quattro mani composta nel suo dolore, e capì che era con la giornalista Emanuela Zuccalà, arrivato il momento di vendicarsi. DeLa mia ’ndrangheta, edito dalle Paolicise di andare nelle loro case e prenne, dove Rosy racconta la sua storia. dersi i loro figli, ma non per ucciderli. «Si ricorderanno di me – scrive nel Per dirgli che un’altra vita era possibile. libro – se saprò lasciare un segno imE voleva prendersi anche le donne, perportante nel cuore di chi mi ama, reché aveva capito che potevano essere stando coerente con quella che sono». delle magnifiche complici in quella La coerenza nel suo caso è disobbemissione impossibile che l’aspettava. A dienza, è un NO che continua a irroraSan Luca. re la sua vita, alla ricerca della normaQuando Rosy arrivò nel paesino, lità. Ma anche della giustizia, alla quale tante donne sembravano aspettare sonon si è affidata: ha detto no anche in lo una speranza. Lei parlava nelle scuoquesto caso, non è diventata una testile, ai ragazzi, di futuro. Le prime a cremone di giustizia, non ha voluto blindere in un domani diverso per i propri dare la sua esistenza. figli furono le madri di quei ragazzi; tante di loro, insieme alla “disobbeDisobbedienti a San Luca diente”, fondarono il Movimento di Eppure, non è fuggita senza più guardonne di San Luca. Tutto sembrava darsi indietro. Un giorno, al telegiornapossibile, c’era interesse mediatico e le, era l’agosto del 2007, ha visto i corpi politico. I progetti lievitavano. dei sei ragazzi uccisi a Duisburg, masRosy, successivamente, è stata misacrati dalla ’ndrangheta in Germania, nacciata, ma è andata avanti. Per conin un regolamento di conti. C’era pure cretizzare i progetti, però, occorre la un sedicenne: una mattanza. Qualche coerenza delle istituzioni, dello stato. E giorno dopo, Rosy ha ascoltato al tg le a un certo punto tutto si è fermato. I parole di una donna di San Luca, il paepolitici si sono dileguati, sfilandosi dalsino dell’Aspromonte, il cuore nero delle promesse con poco onore. E la terra la ’ndrangheta calabrese. La donna di San Luca è ricominciata a essere aveva perso un figlio e un fratello a Duiquella che le raccontava la nonna Masburg e chiedeva, con dignità, funerali


l’intervista Coraggio e coerenza Rosy Canale ha sfidato la ’ndrangheta, a Reggio Calabria, pagandone le conseguenze fino in fondo. Ha fondato il Movimento donne di San Luca e continua a lottare

Intimità, e scavo l’anima delle donne

ria: «Chista è na terra amara e maledetta», le diceva sempre. Poi è venuta l’ora di raccontare questa vicenda, amara e maledetta, ma fertile di speranza. Un libro, e le minacce sono ricominciate. Rosy, le “consigliarono” di non pubblicare, eppure lei ha scelto di andare avanti... Non sono il tipo a cui si può tappare la bocca. Se avessi rinunciato alla pubblicazione del libro avrei vanificato la mia disobbedienza di otto anni fa. Se dici no alla malavita, lo devi fare sempre. La paura è rimasta impressa nel suo corpo. Eppure, anni dopo, è tornata in Calabria per dare voce alle donne di San Luca. Non temeva per la sua vita? La paura è un sentimento che non mi appartiene, e lo dico con consapevo-

Emanuela Zuccalà, co-autrice di La mia ’ndrangheta, spiega perché scrive sempre di donne... Innanzitutto, lavoro da sempre per un settimanale femminile, Io donna, del Corriere della Sera, che guarda agli eventi italiani e globali attraverso la sensibilità delle donne. Il secondo motivo è che, sebbene in 125 stati esistano leggi che penalizzano la violenza domestica, e la parità tra uomini e donne sia garantita in 139 paesi, sei donne su dieci, nel mondo, hanno subito violenza fisica e sessuale nel corso della loro vita, quasi sempre dai mariti o da altri familiari. E nella nostra civilissima Italia, ancora troppe donne si vedono costrette a licenziarsi dopo la nascita del primo figlio, perché i servizi non fanno abbastanza per garantire una serena conciliazione tra lavoro e famiglia. Questo potrebbe essere sufficiente. Ma c’è di più: fra donne si crea intimità, e in tempi piuttosto rapidi. E l’intimità permette di raccontare una storia con vera profondità, scavalcando luoghi comuni e discorsi triti, per tentare di restituire un pezzo d’anima dell’interlocutore.

lezza, non con spavalderia. Ho perso tutto in un attimo: il mio locale, i miei sacrifici, la mia vita. Di cosa dovrei aver paura? Ho ricominciato proprio dalle donne di San Luca perché hanno conosciuto il dolore, come me. Oggi mi fa paura il silenzio di un popolo anestetizzato che non si ribella, le istituzioni indifferenti e assenti ai bisogni della gente: la mancanza di esempi e di riferimenti dovrebbero spaventare tutti noi. A che punto è il Movimento delle donne di San Luca? L’associazione è nata con l’intento di costruire opportunità di formazione e primo impiego per le donne e i giovani del paese calabrese. È stata un’esperienza unica e straordinaria. I progetti erano diversi e tutti finalizzati al cambiamento: la ludoteca per i bambini, i laboratori sartoriali e di ricamo, i laboratori di produzione di saponi. Progetti che non sono mai decollati per la totale indifferenza delle istituzioni. Nessuno ha mantenuto la parola. Il futuro? Navighiamo a vista... Cosa resta della Rosy che ha detto no alla criminalità organizzata? Tutto. Sono io, con qualche anno in più, ma sempre la stessa combattente. Quale speranza ha oggi per se stessa e sua figlia? Poter avere una vita serena. Poter essere portatrici di speranza, con la nostra testimonianza di donne della Calabria migliore. Che esiste, ma che non fa notizia. Come descriverebbe la mentalità mafiosa? Non esiste un’unica mentalità mafiosa. Esiste una radice, un gene che poi si sviluppa in varie articolazioni. Si può parlare di ignoranza primitiva, per certi versi, ma anche di smania di riscatto e di delirio di affermazione e di onnipotenza. Si può, però, anche parlare di bisogno e disperazione. Certi territori, martoriati dall’isolamento, dalla disoccupazione, dall’oblio, hanno il microclima perfetto per far crescere bene la malapianta. Il futuro dei giovani calabresi non è roseo, condannati come sono a dover emigrare, per poter vedere realizzati i loro sogni.

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milano Il centro Caritas di via Sammartini compie un anno. Tante storie di sofferenza e di vita di strada. Ma anche parabole di rinascita

Un Rifugio, per non morire in Panda Como Ha trovato Porta Aperta e ha traslocato dalla panca Torino Ciò che distingue Luigi dagli ospiti del dormitorio Genova “Dentro”? Poco spazio e troppo tempo Vicenza Il diario dei ragazzi volontari all’Aquila Modena Alleati per vincere la battaglia con il freddo Rimini Il muro di Palestina che spezza le comunità Firenze Scrive e sceneggia, così spicca il volo Napoli Immigrati, non numeri ma una ricchezza Salerno Noi di Tangram, ragazzi fortunati Catania Cristian giocava a Librino, il posto sbagliato

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di Simona Brambilla Giovanni e Mario appartengono a mondi, generazioni e gruppi sociali differenti. Hanno solo una cosa in comune: hanno toccato il fondo e si sono risollevati dopo aver incontrato volontari e operatori che lavorano al Rifugio Caritas di via Sammartini, struttura di accoglienza di Caritas Ambrosiana, che a dicembre festeggia il suo primo anno di attività. Mario ha circa 70 anni, alcuni mesi fa è stato sfrattato da casa per morosità. Ha una pensione di 400 euro al mese, pochi per pensare di poter pagare un affitto, le spese di casa e quelle per vivere. Sommerso dai debiti, dopo lo sfratto, ha iniziato a dormire in macchina. Il giorno che è stato buttato fuori casa è riuscito a prendere solo una borsa con dentro due o tre vestiti. Mario ha dei figli, con cui però ha rotto ogni rapporto molti anni fa. Piuttosto che chiamarli, ha preferito rifugiarsi nella sua vecchia Fiat tani i tempi in cui voleva soltanto moriPanda. Solo, di notte, con il termometro re nella sua Panda. a -5, malato e infreddolito: in queste conAnche Giovanni condivide la casa dizioni è stato trovato dagli operatori delcon un amico, ma la sua storia ha inizio l’unità mobile di Caritas Ambrosiana lo e intreccio diversi. Giovanni ha 55 anni, scorso gennaio. «Lasciatemi in pace. Laper tutta la vita ha lavorato come portisciatemi morire nella mia Panda. Non naio in un lussuoso stabile nel centro di voglio nulla»: con queste parole si è riMilano. Nella sua guardiola aveva un cuvolto agli operatori. Per lui è stato molto cinotto e un angolo con divano e televidifficile riuscire a farsi aiutare. Non era mai stato in un dormitorio e rifiutava l’idea di andarci.

Giovanni non fa più il solitario Mario è una persona nella norma: ha lavorato per una vita come caporeparto di una grande azienda, è uomo di cultura, ama leggere libri e scrivere poesie. Ritrovarsi in quelle condizioni ed essere costretto ad andare in un dormitorio per lui è stato molto difficile. Ma dopo un lungo percorso di cura e assistenza, lungo il quale è stato sostenuto da operatori e volontari, è riuscito a risollevarsi. Probabilmente, se non fosse stato accolto al Rifugio, sarebbe morto di polmonite, malattia che lo ha colpito più volte, anche durante la sua permanenza al centro. Oggi ha trovato una nuova casa, che condivide con un'altra persona, con cui divide l’affitto. La sicurezza economica e abitativa ancora non è definitva, ma sono lon-


scarpmilano sore. Oltre il corridoio centrale del palazzo, c’era una stanza con letto e bagno: Giovanni, oltre a lavorare, in quello stabile ci viveva. Ma la crisi ha colpito anche lo sfarzoso centro di Milano, così l’amministratore, in accordo con condomini e dirigenti dei prestigiosi uffici ospitati nel palazzo, ha licenziato Giovanni, dando in gestione la portineria a un’impresa di pulizie e affittando la piccola stanza in cui lui dormiva. Da un giorno all’altro Giovanni si è ritrovato senza casa e senza lavoro. E anche solo, perchè la sua famiglia vive lontano e i contatti con il fratello e la sorella sono sempre stati rari. Giovanni viveva per il suo lavoro, anche se negli anni non era riuscito a mettersi da parte molti soldi. Non poteva nemmeno andare in pensione, gli mancano quasi dieci anni di contributi, o chiedere un sussidio. All’improvviso si è ritrovato a dormire su una panchina della stazione Centrale, e proprio lì è stato intercettato dai volontari. Appena entrato nel Rifugio Caritas, la sua situazione ha iniziato lentamente a migliorare. Oltre al percorso di aiuto, in cui è stato affiancato dagli operatori, a Giovanni sono serviti moltissimo i momenti di socialità, che ha condiviso con gli altri ospiti. «Adora giocare a carte, qui invece di cimentarsi nel solitario che faceva quando era in portineria, ha imparato altri giochi e si è divertito moltissimo a sfidare i suoi compagni» racconta Desio De Meo, responsabile del Rifugio.

La struttura

Accoglienza ed emergenza, ospitate più di 280 persone La struttura di via Sammartini 114 è un luogo storico dell’accoglienza milanese. Prima ospitava il rifugio di Fratel Ettore, ricovero precario ma sempre aperto. Dopo la morte del religioso camilliano, il ricovero è stato chiuso per ragioni di sicurezza e a dicembre dello scorso anno Caritas Ambrosiana (con il contributo di Ferrovie Italiane, Fondazione Enel Cuore, Fondazione Cariplo e Fondazione Milan) lo ha riaperto. Dopo importanti lavori di ristrutturazione, il vecchio deposito ferroviario è divenuto un moderno centro di accoglienza maschile: ci sono 64 posti letto, di cui 60 dedicati a un’accoglienza strutturata (da 15 giorni fino a tre mesi) e 4 a disposizione per le emergenze, ovvero per quelle persone, sempre maschi e maggiorenni, che arrivano in piena notte accompagnati dalla polizia o dalle ambulanze. Le persone ospitate sono sia italiane che straniere (nel primo anno si sono registrate presenze di ben 64 nazionalità). In un anno di attività, il Rifugio, gestito dalla cooperativa Farsi Prossimo, ha accolto circa 250 persone, senza contare le emergenze, circa 35 casi. Molte sono le storie a lieto fine che si possono ascoltare: ben 70 sono stati gli ospiti usciti verso sistemazioni più stabili. Più della metà delle persone che hanno lasciato il centro sono riuscite a non tornare sulla strada: alcuni vivono in una casa in condivisione, altri in un pensionato, altri ancora sono tornati in famiglia. «Il nostro obiettivo è cercare di fermare la discesa verso la povertà – spiega Desio De Meo, responsabile della struttura –. Ci vuole pochissimo per finire in strada, ma uscirne da soli è quasi impossibile. Noi cerchiamo di far ripartire queste persone, di ridare loro quella dignità che purtroppo in strada hanno perso». Gli ospiti possono rimanere al Rifugio da 15 giorni fino a 3 mesi; in questo lasso di tempo gli operatori cercano di sollecitare le risorse, in taluni casi nascoste, di queste persone: condizione essenziale per migliorare la propria condizione. Oltre al lavoro degli operatori, è fondamentale anche quello degli oltre 30 volontari: insegnanti, pensionati, studenti e casalinghe ogni giorno si alternano per cercare di ridare un sorriso a chi ha perso tutto.

Alì, designato portinaio Tantissime sono le storie che si sono incrociate in questo primo anno di attività. La maggior parte delle persone accolte appartengono alla categoria dei cosiddetti “nuovi poveri”, uomini che fino a ieri potevano contare su un reddito dignitoso, un lavoro e una casa di proprietà. Mario e Giovanni fanno parte di questa categoria, come loro al Rifugio ci sono moltissimi padri separati, pensionati, piccoli imprenditori o artigiani che da un giorno all’altro si sono ritrovati senza casa, famiglia e lavoro. In via Sammartini ci sono però anche molti immigrati che vengono in Italia in cerca di fortuna, ma spesso finiscono per strada; è il caso di Come a casa La partita alla tv, al Rifugio Caritas, momento di socialità importante

Alì, senegalese, 40 anni. I volontari lo chiamano il “gigante buono” per la sua altezza, oltre 1 metro e 95, e la sua bontà d’animo. Alì è nel Belpaese da anni. Ha fatto tanti lavori, dal parcheggiatore al buttafuori, dal bracciante all’operaio. La crisi però non ha risparmiato neppure lui: i suoi ultimi datori di lavoro sono stati costretti a licenziarlo. Quando è arrivato al Rifugio, ha subito stretto amicizia con ospiti e volontari. Una delle volontarie, saputo che nel suo condominio cercavano un portinaio, ha deciso, in accordo con gli altri inquilini, di candidare Alì per quel posto. Altri dieci erano gli aspiranti, ma l’amministratore, dopo aver letto i curricula e aver sostenuto con loro un colloquio, ha deciso di scegliere Alì. Oggi Alì ha un contratto a tempo indeterminato, con il quale vive dignitosamente e paga l’affitto di una casa. Ogni tanto però torna al Rifugio. A salutare.

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A Villa Pallavicini iniziative per l’integrazione tra i popoli. Molte donne, da decine di paesi: anche la patente è autonomia...

In villa ci si scopre signore milanesi di Sandra Tognarini Una bella villa con le finestre affacciate sul Naviglio e un nobile passato che, all’inizio degli anni Novanta, era diventato un incerto presente di abbandono. All’entrata di Villa Pallavicini, dove la Martesana scorre parallela a via Padova, un gruppo di abitanti del quartiere vide un giorno un cartello “affittasi”. E iniziò a sognare, come per gioco, di dare al palazzo una nuova vita. Nel 1996 cinque cittadini (di cui quattro donne) si fecero promotori di un’associazione culturale che con il tempo ha trasformato i locali della villa in luogo di accoglienza e laboratorio per le iniziative del quartiere. I costi per portare avanti le iniziative dell’associazione sono stati sostenuti, negli anni, dagli stessi cittadini, cui si sono aggiunti contributi della Fondazione Cariplo e del Comune di Milano. Sono stati messi in programma corsi, spettacoli, convegni, presentazioni di libri, incontri pubblici. sera). I soci che collaborano oggi sono Le iniziative di Villa Pallavicini han50, tre per ogni classe, a cui si aggiungono subito una trasformazione con l’auno quattro volontarie che intrattengomento della presenza di stranieri nel no i bambini delle tante donne che frequartiere. Nel 2007, infatti, è partita la quentano la scuola ogni mattina. Gli scuola gratuita di italiano con la collastranieri che frequentano Villa Pallaviciborazione di una ventina di soci; oggi la ni provengono da circa 40 nazioni, ma scuola ha 500 iscritti, 14 classi e 6 livelli soprattutto dall’area del Maghreb e dal di apprendimento della lingua. Le lezioSud America. Alle lezioni di italiano si afni, divise in quadrimestri, si tengono fiancano attività complementari per quattro giorni a settimana (mattina e aiutare i partecipanti a “prendere confidenza” velocemente con le istituzioni e i servizi della città. Vengono quindi orA lezione di italiano ganizzate visite in biblioteca e nel centro Sono sempre di più le persone di Milano per illustrare la funzione delche chiedono di partecipare

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le sedi istituzionali (Palazzo Marino, provincia, polizia, tribunale) e dei servizi al cittadino. Coinvolgendo innanzitutto chi frequenta la scuola per stranieri, sono stati poi attivati altri progetti, tra questi, il comitato “Avanti Insieme”, formato da quindici rappresentanti di diverse nazionalità che, in collaborazione con volontari italiani, propone attività agli abitanti della zona; il Teatro degli Incontri (punto di contatto tra culture, cittadini, operatori sociali e artisti); gli sportelli informativi, tra cui un servizio di conversione di titoli di studio e rientro in formazione; un servizio di tutoring familiare; corsi pre e postparto.

Tanti progetti per le donne Un discorso a parte meritano le tante iniziative in favore delle donne straniere. L’attuazione del progetto è cominciata a giugno, grazie anche a un contributo del comune di Milano. Sono coinvolte circa 40 persone, in gran parte provenienti da Egitto, Algeria e Marocco. Ma ci sono anche donne che arrivano da Sri Lanka, Perù, Canada e India. Risiedono a Milano da qualche anno, vantano un regolare permesso di soggiorno, i figli frequentano la scuola dell’obbligo. Il loro principale obiettivo è l’autonomia economica (anche perchè sono tutte madri di due o più figli e in alcuni casi il padre non vive con loro) e intendono iniziare attività lavorative come la produzione di oggetti artigianali, sartoria e catering. Circa la metà delle donne ha chiesto agli operatori di Villa Pallavicini un aiuto per prendere la patente. Il percorso verso l’autonomia economica di molte donne del gruppo,


scarpmilano tutte di prima immigrazione, è complicato dal fatto che le maghrebine per tradizione sono molto dipendenti dai mariti, oltre a conservare abitudini e comportamenti che rendono difficile anche l’integrazione dei figli con i loro coetanei.

Le donne di Villa Pallavicini Nella foto, si sperimentano i laboratori di cucina etnica

Alla ricerca di un lavoro Per quanto riguarda la patente di guida, due volontarie (di cui una tassista) hanno iniziato i corsi di preparazione all’esame di teoria. Altre si sono offerte di allestire un laboratorio di cucina. Sono poi state programmate visite a laboratori di bigiotteria, sartoria e arte orafa. La cooperativa Laboratorio Procaccini Quattordici metterà intanto a disposizione personale per l’apertura di laboratori di sartoria (creazioni artigianali, abiti da sposa, abiti usati ri-creati). Per quanto riguarda invece il laboratorio di cucina, in questi mesi le donne volontarie e le straniere hanno già sperimentato la vendita a offerta libera di quanto preparato. Gli incassi sono al momento l’unica base di avvio del progetto. Ma a Villa Pallavicini pensano già di produrre un film con la partecipazione di dieci donne che spiegheranno e prepareranno ricette provenienti da tutto il mondo con l’inserimento di tabelle, testi di supporto e i commenti delle altre che frequentano il laboratorio. Il video sarà inserito in un dvd la cui vendita potrà sostenere le attività del gruppo. I volontari e le donne straniere non intendono farsi sfuggire alcuna occasione di promozione dei loro prodotti. In particolare, è stato messo in calendario l’evento “Popolando-MI” che si svolgerà a giugno 2013. La manifestazione, organizzata proprio dall’associazione di Villa Pallavicini, ha visto la partecipazione, in occasione della sua prima edizione, la scorsa estate, di più di tremila visitatori. Gruppi musicali, danzatori e artisti di strada provenienti da tutto il mondo hanno animato una sfilata conclusasi al Parco della Martesana, con un concerto di tre ore. Sono stati allestiti gazebo informativi, mostre, stand gastronomici e banchetti di artigianato etnico. Il prossimo giugno, le donne straniere di Villa Pallavicini avranno a disposizione una tenda tutta per loro dove offrire prodotti, sfilare in abiti tradizionali e incontrare gli ospiti. Un altro passo verso Milano, e verso una reale autonomia.

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Le storie

Qudsia vuole fare incontri, Luz alla ricerca di un impiego Vincendo la loro iniziale timidezza, Qudsia e Luz hanno accettato di incontrare Scarp. Qudsia ha 47 anni, è in Italia da dieci e viene dal Pakistan. Ha una figlia ventunenne che studia per diventare dentista ed è in Italia dall’età di 5 anni. Il primo ad arrivare nel nostro paese, tredici anni fa, è stato il marito: fa il ferroviere. Qudsia è casalinga, ma cerca un lavoro che le permetta di passare del tempo fuori casa e di integrare il reddito famigliare. L’Italia non ha deluso le sue aspettative di integrazione; la donna ritiene che studiare l’italiano, oltre che facilitare la ricerca di lavoro, sia anche un piacere. E un modo per conoscere altre donne come lei. Luz invece ha 31 anni, è in Italia da nove e viene dal Perù. All’inizio voleva sia studiare che lavorare, ma ha avuto difficoltà per ottenere il permesso di soggiorno, che ha ricevuto solo dopo cinque anni, e quindi non ha potuto proseguire gli studi. Conoscere meglio l’italiano le permette di provare a migliorare la sua formazione professionale: per questo si è iscritta a Villa Pallavicini. Luz vive in Italia con la zia e la figlia più piccola. Il marito è rimasto in Perù («Non lo vedo da marzo...») con la figlia più grande, che ha 14 anni. Lo scorso anno Luz è tornata in patria per otto mesi, ma là i soldi non bastavano e così ha deciso di tornare in Italia. «Non so alla fine cosa sarà di me, se ritornerò a casa o penserò a farmi un futuro in Italia. Per il momento mi fermo qui per un po’, per vedere come si mettono le cose – confida Luz –. Nonostante tutto sono ottimista per il futuro, anche se ora non trovo lavoro, nemmeno per mezza giornata...». dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Da gennaio entrerà in vigore il nuovo regolamento comunale: garantisce nuovi spazi e mira a valorizzare gli artisti di strada

La città cambia regole strade aperte all’arte di Simona Brambilla Parlare di artisti di strada significa parlare di una galassia complessa, fatta di singoli e compagnie strutturate, di artisti che vanno solo “a cappello” (l'attività di sollecitare e raccogliere libere offerte dagli spettatori, ndr) e di altri che vanno solo a cachet. È un mondo variegato, fatto di luci, ma non di ombre, di scena, ma non di retroscena. Qua e là le strade di Milano si animano con le esibizioni di mimi, clown, equilibristi, giocolieri e molti altri artisti, ma spesso i loro spettacoli sono ostacolati da disagi organizzativi e burocratici. Per esempio oggi in città non possono esibirsi gruppi di artisti ma solo i singoli, le procedure per prenotare lo spazio in cui fare lo spettacolo sono complesse, i luoghi sono troppo pochi rispetto al numero degli artisti. E non è tutto: in molti vedono l’artista di strada come un mendicante, costretto a esibirsi per guadagnarsi qualche soldo, allo scopo di rendere Milano una città non come un professionista che espriaperta e accogliente per l'arte di strada. me in strada se stesso e la sua arte. Una serie di norme, pensate per miPer cercare di ovviare agli impedigliorare le condizioni generali delle atmenti burocratici e culturali, il comutività artistiche di strada. ne di Milano, in collaborazione con la Fnas – la Federazione nazionale degli Tante le multe per gli artisti artisti di strada – e molte realtà artistiI problemi cui porre rimedio non sono che del territorio, ha approvato lo scorpochi. «Due dei miei allievi tempo fa so settembre un nuovo regolamento, sono stati multati perché si esibivano in due spazi limitrofi», lamenta Maurizio Accattato, clown, attore e direttore della Scuola di arti circensi e teatrali di Milano. Oltre alla scuola, Maurizio, in arte Morris, ha nel curriculum una vasta gamma di spettacoli ed esibizioni che lo hanno portato dal palcoscenico alle strade, ai cortili, alle piazze. «Ho iniziato a fare il clown nei primi anni Ottanta – riepiloga –, ma il debutto come attore nel grande teatro è stato con il premio nobel Dario Fo nel 1986; con lui sono stato in tournée fino al 1991. Durante la mia carriera artistica lo spettacolo più importante che ho realizzato è stato Rientro in scena, rappresentato da persone affette dal morbo di Alzheimer; il progetto più particolare invece è stato I Jangler di Matam, la scuola di clownerie e giocoleria per ragazzini africani, che ho avviato in un villaggio ai confini con la Mauritania».

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Il progetto più ambizioso di Maurizio è però il Milano Clown Festival. Nato nel 2006, è ormai un appuntamento atteso dalla città; in un grande chapiteau colorato, per tre giorni consecuti-

vi si svolgono spettacoli senza interruzione. Ben 30 compagnie, provenienti da tutto il mondo, si esibiscono in oltre 100 show rigorosamente gratuiti, che “esondano” nei teatri, nelle piazze, nelle strade, nei cortili del quartiere Isola. Ospiti straordinari, alcuni tra i più grandi clown del mondo; con il sostegno di 50 volontari clown, il festival attira oltre 10 mila spettatori e oltre 12 mila contatti internet solo nei tre giorni. «Noi “usiamo” tutta la città, da piazza Duomo a via Padova, passando per


scarpmilano corso Garibaldi – continua Maurizio –. La nostra missione è “clownizzare” l’intera Milano». In diversi paesi europei, ad esempio in Francia, sono moltissimi i piccoli festival organizzati e sostenuti dallo stato, e anche le persone che scendono in strada tutti i giorni per guadagnarsi da vivere sono supportati da cittadini e istituzioni. «L’arte di strada è molto importante perché aiuta gli artisti a vivere – continua Maurizio –: in teatro, infatti, bisogna aspettare che lo spettacolo venga scritto. Per strada, invece, il pubblico paga direttamente l’attore. Gli spettacoli devono essere di prima qualità, altrimenti il pubblico se ne va senza lasciare un euro. La rivoluzione che sta avvenendo è quella che vede il teatro uscire dai luoghi a esso deputati, per riprendersi la strada. È il Milano Clown Festival È la grande kermesse dove si esibiscono artisti provenienti da tutto il mondo

futuro: il medesimo fenomeno è già avvenuto in altri paesi europei». Molti degli allievi della scuola di Maurizio, oltre a partecipare al Milano Clown Festival e ad altre rassegne organizzate, lavorano in strada per le vie del centro, tra la gente. «Con il regolamento varato dal comune chi vorrà praticare l’arte di strada sarà avvantaggiato – continua Morris –; la mia speranza è che si valorizzino anche l’arte e gli artisti che, come me e i miei allievi, già operano nel territorio milanese».

Il regolamento

Aumentano le postazioni «Spettacoli anche in periferia» L’arte di strada dovrebbe essere libera espressione e libero scambio di talento ed emozioni, ma spesso, a causa dei molti limiti burocratici e culturali, fa fatica a trovare condizioni per esprimersi. Il comune di Milano ha da poco varato un regolamento che permetterà, si spera, agli artisti di strada di esprimersi ed esibirsi in libertà. Entro fine gennaio, infatti, verrà reso attuativo il provvedimento che apporterà modifiche significative alle attività degli artisti che scelgono la strada come loro palcoscenico. «Il regolamento è uno strumento utile per rendere Milano una città aperta ed accogliente all’arte di strada – spiega il consigliere comunale di Sinistra ecologia e libertà, Luca Gibillini –. Permettiamo, per esempio, a gruppi di artisti di strada di esibirsi in tutta libertà. Sembra assurdo ma, almeno fino a oggi, l’artista di strada poteva esibirsi soltanto da solo. Ma soprattutto abbiamo previsto procedure molto semplici per prenotarsi, spostando la competenza dalla polizia municipale ad altri uffici, inserendo anche l’obbligo, da parte del comune, di rispondere in tempi brevi alle richieste e di dotarsi rapidamente di un portale finalizzato alla prenotazione, ma anche alla visione, da parte dei cittadini, di cosa succede in città». Il regolamento segue alcuni principi cardine: la gratuità da parte degli artisti nella prenotazione (oggi pagano un’occupazione di suolo pubblico), la turnazione degli artisti, la moltiplicazione dei luoghi dove esibirsi. «È prevista una mappatura molto ampia di luoghi dedicati all’arte di strada; si passa dalle antiche 25 postazioni alle nuove 250 circa – continua Gibillini –. Il regolamento istituisce inoltre un tavolo di confronto tra amministrazione e artisti». La sfida lanciata con questo regolamento è riempire la città e le sue strade di arte e cultura. «Vorremmo vedere vive non solo le vie dell’asse centrale, ma anche strade più periferiche e frequentate. La sfida è agli artisti, a cui chiediamo di impegnarsi con la città in questa innovazione. Ma la sfida è anche portare gli artisti fuori dai locali o dalle cantine dove si esibiscono e di provare il palco più impegnativo, che è la strada. Sogno di vedere gruppi di ballo, compagnie teatrali, gruppi di clown, bande musicali che, invece di provare nel loro garage, prenotino gratuitamente un angolo di strada e, con un cappello a terra, si mettano alla prova davanti a un pubblico di passanti...».

Il regolamento varato dal comune di Milano rappresenta quindi un passo in avanti. «È un testo che segna una svolta epocale nella valorizzazione delle arti di strada – spiega Luigi Russo, presidente della Fnas, Federazione nazionale arte di strada –. Un esempio per tutte le metropoli italiane, e europee, poiché l’obiettivo che si pone è di rilanciare l’arte di strada come risorsa della città, non soltanto di risolvere i suoi problemi organizzativi. La città, attraverso questo provvedimento, ha

recuperato molto terreno rispetto al passato. Il regolamento di Milano è nato da una collaborazione intensa tra amministrazione cittadina, Fnas e realtà artistiche del territorio milanese. Il nostro auspicio è che questo rapporto prosegua fino alla fase di messa in opera». Il regolamento non è ancora stato attuato, ma ci sono tutte le premesse perché si possano aprire nuove e inedite opportunità sia per gli artisti che per i cittadini.

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Raccolta abiti usati: nuova livrea per i contenitori Caritas. Che evitano inquinamento, creano lavoro e finanziano solidarietà

Dona Valore con l’usato scegli i cassonetti giusti di Francesco Chiavarini I cassonetti? Mica sono tutti uguali… Si stima che ogni anno i quasi cinque milioni e mezzo di abitanti della diocesi di Milano si disfino di 30 mila tonnellate di abiti usati: una montagna di stoffa, fatta di gonne, cappotti, giacche, passati di taglia o di moda. Una porzione consistente di questa montagna finisce negli apparecchi gialli che si trovano un po’ ovunque nelle piazze, lungo le strade. A un primo sguardo sono indistinguibili gli uni dagli altri. Però recano marchi differenti. E dietro hanno sistemi di raccolta e destinazione dei materiali, e soprattutto delle risorse economiche che ne derivano, tutt’altro che uniformi. Di uguale, in effetti, hanno solo il colore… Caritas Ambrosiana, attraverso le cooperative sociali ad essa legata, dal 1998 recupera ogni anno circa 8 mila tonnellate di materiale. Lo fa attraverso 1.200 cassonetti, posizionati in circa 200 comuni. Applicando uno studio dell’Università di Copenhagen, che ha calcolato i vantaggi ambientali del riciclo dei tessuti, si stima che grazie ai contenitori Caritas solo nel 2011 il territorio della diocesi di Milano abbia prodotto 28.800 tonnellate di anidride carbonica in meno, risparmiato 48 milioni di metri ro: attualmente vi sono impegnati 43 cubi d’acqua, 2.400 tonnellate di fertilavoratori, 29 dei quali con svantaggio, lizzanti e 1.600 di pesticidi. e negli anni sono state centinaia le perIl risparmio di risorse e la riduzione sone che hanno avuto la possibilità di della produzione di inquinanti non è il svolgere percorsi individualizzati di insolo aspetto virtuoso. La valorizzazioserimento lavorativo. ne economica degli abiti salvati dalle discariche consente infatti a Caritas di Riuse, rete che assume aiutare persone in difficoltà. In 14 anni, Ora il progetto entra in una nuova fase. ha distribuito un milione e mezzo di I cassonetti, intanto, cambiano uniforeuro di utili della raccolta, finanziando me: saranno tutti rivestiti con il mar76 progetti sociali in diocesi, a vantagchio “Dona Valore”. Inoltre, si punta, gio di 3.500 beneficiari: donne sole con nei prossimi anni, a raddoppiare il nubambini, anziani, profughi, malati di mero dei cassonetti distribuiti nel terAids… E poiché la raccolta è gestita da ritorio diocesano. L’operazione di ricooperative sociali, essa ha permesso lancio sarà illustrata da una campagna di dare occupazione a soggetti difficildi sensibilizzazione, intitolata, appunmente collocabili nel mercato del lavoto, “I cassonetti non sono tutti uguali”:

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rivolta a cittadini, amministratori pubblici e sacerdoti, anche grazie alla diffusione di 500 mila opuscoli, intende sottolineare i punti di forza e le differenze che distinguono la raccolta Caritas da esperienze analoghe. Essa infatti è l’unica gestita integralmente da organizzazioni onlus (cooperative per statuto finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati) e l’unica che fa rimanere nel territorio le risorse ricavate dalla raccolta (a sostegno di progetti sociali vicini ai cittadini). Le novità riguardano inoltre l’assetto organizzativo. Per potenziare il servizio, le cooperative che lo gestiscono hanno costituito la Rete Riuse (Raccolta indumenti usati solidale ed etica) e hanno aderito al consorzio Conau, che implica il rispetto della normativa ambientale e la piena tracciabilità della raccolta. I soggetti aderenti a Riuse (consorzio Farsi Prossimo, Abad, Di mano in mano solidale, cooperativa sociale Ezio, cooperativa Padre Daniele Badiali, Spazio Aperto, Vesti Solidale) si impegnano ad assumere, l’anno prossimo, altri sei lavoratori. Meno scarti, più assunti: di questi tempi, una scommessa da incoraggiare, ricorrendo ai cassonetti gialli “giusti”…

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Pioltello e Cernusco

Maratona del Naviglio, in corsa con le famiglie Una serata benefica, un riconoscimento tangibile. Il 12 novembre, nel centro di ascolto cittadino per immigrati stranieri di Pioltello, il Lions Club locale e la società Atletica Cernusco sul Naviglio hanno consegnato alle Caritas cittadine di Cernusco e Pioltello i fondi raccolti grazie all’oganizzazione della “Maratona del Naviglio”, importante evento sportivo, giunto alla 16ª edizione, che il 27 maggio aveva visto in gara quasi tremila atleti, tra cui campioni di fama internazionale, come il marocchino Hicham El Barouki e i campioni lombardi Dario Rognoni e Ornella Ferrara. La Maratona del Naviglio è organizzata dalla locale società di atletica con il supporto del Lions Club Cernusco; i fondi raccolti sono interamente devoluti a iniziative di solidarietà e impegno sociale. Quest’anno gli organizzatori, considerando le numerose situazioni di difficoltà presenti nel territorio e i diversi progetti e attività gestiti a sostegno delle famiglie, tra cui anche la diffusione di Scarp de’ Tenis da parte di venditori selezionati in loco, hanno scelto di devolvere i fondi alle Caritas di Pioltello e di Cernusco sul Naviglio. Nel corso della cena, che ha visto anche la partecipazione di don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana e dei rappresentanti delle due amministrazioni comunali, Claudia Conte, in qualità di presidente Lions Club Cernusco, e Adolfo

Rotta, presidente onorario dell’Atletica Cernusco, hanno consegnato (vedi foto) i fondi raccolti ai rappresentanti Caritas; essi saranno destinati al sostegno di persone e famiglie in difficoltà e all’attuazione dei progetti in corso. Nel 2012 sono stati oltre 9.500 i pacchi alimentari distribuiti tra Cernusco e Pioltello e oltre 1.200 le persone ascoltate. L’aumento dei bisogni ha fatto sì che ben 60 famiglie della zona ottenessero l’erogazione di contributi da parte del Fondo Famiglia Lavoro della diocesi di Milano nel periodo 2009-2011 e altre 68 facessero richiesta di una erogazione a fondo perduto per ripianare piccoli debiti a cui non potevano far fronte. Se a questi numeri si aggiungono altre 60 famiglie che hanno usufruito dello sportello di cosulenza legale gratuita e le 160 che hanno ricevuto una donazione di mobili e arredi per la casa, è facile intuire la portata del problema.

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storie di via brambilla Fine dei fondi per i profughi dalla Libia. Ma lui avrà un’altra chance...

Capodanno post-emergenza, George non finirà in strada di Paolo Riva

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UELLO CHE STA PER ARRIVARE PER GEORGE SARÀ UN CAPODANNO STRANO.

In teoria, il 31 dicembre per lui dovrebbe essere l'ultimo giorno di permanenza in via Brambilla. Mentre alla Casa della Carità tutti saranno intenti a festeggiare l'arrivo del 2013 con la consueta festa in auditorium, lui dovrebbe fare i bagagli e trovarsi una nuova dimora. Nel bel mezzo dell'inverno e dell'emergenza freddo, quando centri di accoglienza e dormitori raggiungono la capienza massima. E, soprattutto, senza uno stipendio sul quale contare. Eppure la legge prevede che le cose debbano andare così. George, infatti, viene dalla Nigeria, ha abbandonato il suo paese natale dopo che alcuni membri della sua famiglia l’avevano aggredito e minacciato di morte per questioni legate all'eredità del padre e, dal 2008 ha vissuto in Libia, dove ha trovato una compagna con la quale ha avuto un figlio, fino allo scoppio della guerra, quando gli altri componenti della sua famiglia sono stati uccisi e lui è scappato in Italia, attraversando il Mediterraneo. È sbarcato a Lampedusa, è stato portato in un Cara, uno dei centri di accoglienza per richiedenti asilo al sud, e poi, a febbraio, è arrivato a Milano, alla Casa della carità, all'interno del progetto Ena, insieme ad altri cinque ragazzi. L'Emergenza Nord Africa (questo il significato dell'acronimo) si andrà però a concludere proprio il 31 dicembre prossimo. Il Ministero dell’Interno smetterà di erogare i fondi previsti per il piano di emergenza e, di conseguenza, i comuni di pagare una retta per ciascun ospite alle strutture di accoglienza: per molti il rischio di rimanere in strada è concreto. I profughi provenienti dalla Libia che, come George, nel 2011 sono stati inseriti nel piano Ena sono, infatti, 24mila. Molti di questi, secondo l’Arci il 60% del totale, si sono visti negare lo status di rifugiato e, in alcuni casi, hanno abbandonato le strutture di accoglienza alle quali erano stati destinati. Di conseguenza, potrebbero non venire nemmeno a conoscenza della possibilità, decisa a ottobre dal governo, di fare esaminare per una seconda volta la loro domanda, nella speranza di ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria. Non è il caso di George, fortunatamente. Innanzitutto, perché la sua sofferta storia personale ha convinto la Commissione territoriale a concedergli un permesso di soggiorno per motivi umanitari. E poi perché la sua ospitalità alla Casa della Carità è stata davvero molto positiva: ha studiato italiano con attenzione e profitto, ha stretto buoni legami con gli altri ospiti, mettendosi spesso a disposizione, e ora gli educatori pensano di prolungare il suo periodo in via Brambilla, nonostante il venir meno del contributo pubblico dal primo gennaio. I buoni propositi per il nuovo anno sono tanti, e George comincerà cercandosi un lavoro.

Nigeriano, ha una storia costellata di lutti e fughe. Ora il permesso di soggiorno, poi la ricerca del lavoro

www.casadellacarita.org

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Tetraedro

Tetraedro


latitudine como La struttura di prima accoglienza di Caritas Como compie dieci anni

Filippo ha trovato Porta Aperta e ha traslocato dalla panca di Salvatore Couchoud

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TORIA DI FILIPPO, E PRETESTO PER “FESTEGGIARE” IL DECENNALE DI “PORTA APERTA”, strut-

tura di primissima accoglienza dei servizi Caritas di Como. Filippo è uno di quelli che da una panca metallica è passato a un letto vero in una casa vera e che ormai ha memoria delle pregresse esperienze di strada solo in qualche sporadico incubo notturno. Quando Filippo arrivò a Como dalla Calabria natìa, quattro anni fa, tutto quello che sapeva era che in questa città da qualche parte doveva esserci un lago e che la Svizzera non era poi così lontana. Senza lavoro, senza soldi, senza un posto dove stare e con i documenti scaduti, con il suo zainetto a tracolla contenente un asciugamano, due paia di mutande e qualcuna in più di calzettoni, jeans di ricambio e due paia di scarpe – gli sembra di ricordare –, il primo quesito che gli si affacciò alla mente, sceso alla stazione ferroviaria di San Giovanni, fu: e adesso dove vado? A “Porta Aperta”, gli fu consigliato da un solerte e premuroso viandante a cui si era rivolto e che, a occhio e croce, a giudicare dall’abito non proprio griffato e dall’aspetto non da copertina, doveva trovarsi nelle medesime sue condizioni. E a Porta Aperta Filippo andò, trovando già in mattinata –accanto all’ascolto che in questi casi è di prammatica, ma che sul piano psicologico assume una valenza formidabile per chi da tempo ha smesso di parlare financo a se stesso – una serie di vantaggi concreti e immediati che andiamo succintamente a elencare: un buono settimanale per il pasto di mezzodì, un altro per la doccia, un recapito per ricevere la corrispondenza, l’assicurazione che si farebbe fatto il possibile per i suoi documenti scaduti, un ambulatorio disponibile per eventuali esigenze medico-sanitarie, un telefono per inoltrare chiamate nazionali e urbane, l’assistenza legale in caso di necessità, il rifornimento di vestiario e l’aiuto nella ricerca di un’occupazione, stabile o precaria a quel punto importava davvero assai poco. Ma la cosa fondamentale che Filippo capì quel giorno era che, da quel momento in avanti, “Porta Aperta” non lo avrebbe mai più abbandonato. Nè lui nè i tanti altri “viandanti” che hanno bussato alla porta dell’associazione. Di strada ne ha fatta, da quel giorno, al punto da essere tornato a una vita decorosa e “normale”, e tutto ciò nel volgere di un solo quadriennio, che può essere considerato un arco temporale lungo o breve, a seconda dei punti di vista, ma quello che conta è che sia passato. Senza il soccorso di “Porta Aperta”, su questo non ha dubbi, sarebbe ancora lì, ad addormentarsi contando gli astri o rimirando le forme irregolari e mutevoli delle nubi. E insieme a lui tanti altri ancora come lui, che hanno attaccato il sacco a pelo al chiodo anche, o forse soprattutto, grazie al servizio d’accoglienza voluto dalla Caritas di Como e al contributo che vi dedicano i suoi numerosi e indaffaratissimi volontari.

Ci ha messo quattro anni per lasciare la strada. Ma se ce l’ha fatta, è grazie agli indaffarati volontari dell’associazione

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torino Educatore in un dormitorio comunale. Da mesi senza stipendio. «Difficilissimo tirare avanti. Ma non voglio cambiare lavoro»

Ciò che distingue Luigi dagli ospiti di Giovanni Coniglio Nello scorso numero di Scarp de’ tenis (numero 166) avevamo raccolto in un’intervista il grido d’allarme del vicepresidente della cooperativa Parella, che denunciava la difficile situazione in cui si trovano gli operatori dei dormitori, i quali, a causa dei ritardi nei pagamenti da parte del comune di Torino, non ricevono lo stipendio da ben cinque mesi. Una condizione che, purtroppo, non riguarda solamente i lavoratori di questa cooperativa, e che per molti sta diventando insostenibile. Addirittura, drammatica per alcuni. Sino al punto che si assottiglia sempre più la distanza tra l’operatore e l’ospite del dormitorio. Con la grande differenza che il primo dovrebbe essere di supporto al secondo... La cronaca, in questi tempi di crisi, riporta uno stillicidio quotidiano di posti di

Il racconto

«A Opportunanda sono rinato, ora faccio pure il volontario» Il mio contatto con un centro diurno risale al dicembre 2010, quando sono finito per strada. Per circa un mese sono andato a fare la prima colazione dalle suore di via Nizza tutte le mattine; poi, su invito di un amico, ho incominciato a frequentare anche il centro diurno di Opportunanda e infine quello pomeridiano della Bartolomeo & C. Nel giro di qualche mese ho iniziato a fare il volontario a Opportunanda, trascorrendoci tutta la mattina. Era per me un modo per impiegare il tempo, per stare al caldo e per conoscere nuove persone. Di sicuro le persone nel centro diurno non mancano, ogni mattina ne passano circa duecento che poi, verso la fine della mattinata, intorno alle 11, si riducono a 30-40. Non si può instaurare un rapporto con tutti, ma diviene naturale averlo con gli altri volontari, i responsabili dell’associazione e l’operatore. Opportunanda si è impegnata per seguirmi nelle varie tappe del mio percorso: gli operatori dell’associazione hanno preso contatti con l’assistente sociale e gli operatori degli altri servizi. Insomma: ero circondato... La “vita” di un centro diurno in cui passano molte persone è senza dubbio movimentata: occorre avere molta pazienza, saper sopportare la prepotenza e la maleducazione che alcune persone dimostrano. Credo inoltre che sia importante che in un centro diurno possano confluire vari progetti, che ci siano luoghi idonei per attività e momenti di socialità. Del resto, dopo che ho iniziato a fare il volontario a Opportunanda, ho frequentato il loro laboratorio della carta, ho fatto parte del progetto Scarp de’ Tenis e ho partecipato a molte feste e gite che l’associazione ha organizzato. Insomma, il centro diurno è di fatto un contenitore in cui ho potuto trovare molte cose per me utili. Massimiliano Giaconella

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lavoro e categorie in crisi. Tuttavia, per la peculiarità dei temi di cui si occupa Scarp e per la profonda convinzione che abbiamo, circa l’importanza che nei dormitori gli ospiti possano continuare a trovare personale qualificato e motivato, in questo numero vogliamo ancora dare voce al problema dei lavoratori dei dormitori. In una sera di inizio novembre, poco prima che cominci il suo turno notturno, incontriamo in un dormitorio Luigi (nome di fantasia), operatore di 45 anni, che da dieci lavora nello stesso dormitorio gestito dalla cooperativa Parella. «Prima di parlare della mia situazione – esordisce –, tengo a sottolineare che il ritardo dei pagamenti da parte del comune ha fatto sì che nelle


scarptorino Prossima apertura

Centro diurno: i “desiderata” di chi conosce l’argomento...

strutture inizi a mancare tutta una serie di forniture che garantivamo ai nostri ospiti. Ad esempio non ci sono più lamette, schiuma da barba, detersivo per i vestiti. Ed è persino difficile garantire i cambi di lenzuola. Questo è assurdo soprattutto sul versante educativo, oltre che, naturalmente, per il rispetto per le persone. Qui da noi gli ospiti devono provvedere al riordino e alla pulizia della stanza, una pratica utile in un’ottica di una nuova indipendenza abitativa. Ma come possiamo invitarli a pulire, se non possiamo fornire prodotti o garantire i cambi di lenzuola?». Qual è la tua situazione oggi? Abbiamo garantito che la struttura rimanesse aperta e funzionante e non abbiamo chiuso un giorno, malgrado

Voluto fortemente dall’arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia, nella centralissima via Giolitti, al numero 40, a Torino aprirà presto un nuovo centro diurno per persone in difficoltà e senza dimora. I centri diurni, come del resto le mense, i dormitori, i bagni municipali, appartengono a quel genere di luoghi che molti di noi di Scarp de’ tenis, nostro malgrado, conosciamo bene. Ci è venuto spontaneo pertanto discutere tra noi della redazione di questa nuova apertura. E le righe che seguiranno sono una sintesi di quanto emerso nella discussione. Tutti noi sappiamo che nei centri diurni non mancano momenti di tensione ed episodi di violenza, riteniamo pertanto che ci debbano essere regole precise e chiare per tutti (fondamentale il divieto di introdurre all’interno alcol e droghe in genere), sulla cui osservanza dovranno monitorare operatori qualificati. Le regole tuttavia non sono sufficienti per prevenire episodi violenti; occorre che vi siano attività strutturate, affinché le persone si sentano occupate, non cedano alla noia che spesso è causa di frustrazione e irritabilità. Occorre poi tener presente che il gioco delle carte, così come quello degli scacchi o altri giochi da tavola, possono diventare anche pretesto di litigi e diatribe. Pertanto auspichiamo che i locali siano predisposti anche per ospitare attività più costruttive, la prima delle quali secondo noi dovrebbe essere un laboratorio di informatica. Imparare a usare il computer è una necessità, così come poter accedere a internet con una certa facilità. Internet è uno strumento che anche chi si trova in mezzo alla strada ha necessità di utilizzare, per mantenersi in contatto con famigliari o amici e soprattutto per cercare lavoro. Altra attività molto utile sarebbe poi quella di sartoria e lavanderia, poiché i vestiti stando per strada si logorano in fretta e non è facile reperirne di nuovi, così come a volte si è costretti a buttarli perché rotti o troppo sporchi. Anche la cura della persona è un aspetto fondamentale e quindi auspichiamo che vi sia la presenza di bagni e docce adeguati. La vita di strada porta a contrarre spesso malattie e “malanni di stagione”: sarebbe molto utile poter trovare all’interno del futuro centro diurno personale medico o sanitario qualificato. Altrettanto utile sarebbe poter incontrare operatori sociali, educatori e assistenti sociali; insomma, personale qualificato che svolga un lavoro efficace di accoglienza e accompagnamento delle persone. Infine, segnaliamo quanto messo in luce da Nemesi che, nella nostra discussione, ha fatto emergere come sarebbe importante che in un futuro centro diurno ci fosse maggior attenzione nei confronti delle donne. Per una donna è importante avere spazi protetti dove potersi sentire a proprio agio e riuscire a comunicare il proprio disagio. Aghios

non venissimo pagati. Gli ospiti capiscono le nostre difficoltà, si dimostrano comprensivi e, a volte, sembra che riducano la conflittualità proprio per venirci incontro. Inoltre il fatto che alcuni di noi si trovano in una grave ristrettezza economica, con le giuste proporzioni, ci accomuna. Un esempio per tutti: io non abito in città, ma in una valle del torinese. Ebbene per alcuni giorni non sono potuto venire a lavora-

re, perché non avevo i soldi per fare benzina. Una situazione che molti dei nostri ospiti ben conoscono. Come riesci ad andare avanti? Io ho quattro figli, avuti da due donne diverse. A due di loro devo dare 100 euro a testa al mese, in più pago 430 euro d’affitto. In tutto, al mese, devo poter quindi garantire 630 euro. Il mio stipendio, quando lo ricevevo, era di poco dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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scarptorino superiore ai mille euro, così mi rimanevano circa 400 euro per tutto il resto. Quindi, se già con lo stipendio mi rimaneva davvero poco, oggi per me la situazione sta diventando insostenibile. Per andare avanti ho aumentato i miei turni di notte: nei giorni liberi (e nel diurno) sono costretto a fare qualche lavoretto in nero. Ho sempre fatto qualcosa per arrotondare, ma oggi sono costretto a farlo per sopravvivere. E comunque a fine mese quello che mi rimane è di poco superiore a quanto i nostri utenti prendono con i sussidi. Una situazione complicata... Quello che mi salva e che, di fatto, mi distingue dagli ospiti sono soprattutto le reti sociali su cui posso ancora contare e che loro hanno perduto. In questo periodo, per esempio, ero ovviamente in ritardo con il pagamento dell’affitto, ma la comprensione del mio padrone di casa, che è un amico di famiglia, e l’aiuto dei miei fratelli mi hanno permesso di cavarmela. Così come se non avessi avuto mia madre che mi guardava i figli non so come avrei fatto, con i costi che hanno baby sitter e asili. Certo ho una compagna, che lavora part time, e anche lei, nei fine settimana, arrotonda nelle pizzerie. Hai mai pensato di cambiare lavoro? Il panorama delle cooperative sociali non è tanto roseo. Ho pensato di cercare qualche cosa di più vicino a casa mia per risparmiare almeno su prezzo della benzina, ma ci sono una serie di elementi che mi trattengono, anche se non so ancora per quanto. Innanzitutto io amo il mio lavoro, mi piace lavorare con gli adulti in difficoltà; in secondo luogo mi piace la mia cooperativa. Si tratta di una piccola realtà, in totale siamo circa 40 persone e ci conosciamo tutti. Qui ci lavoro da oltre dieci anni e devo dire che in alcuni momenti miei personali di difficoltà, in passato, tutti mi sono stati vicini e mi hanno supportato. Questo senso di appartenza e di vicinanza vale molto di più di qualche centinaio di euro. Ma per quanto potrai andare avanti? In realtà non potrei già più andare avanti, per cui mi risulta impossibile fare qualsiasi previsione.

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Opportunanda

L’esperienza di Giacomina: «La fatica e la sfida di cambiare» «L’apertura di un nuovo centro diurno destinato ad accogliere senza dimora e persone in difficoltà rappresenta un’opportunità per tutti coloro che vivono sulla strada, ma anche un’importante sfida per chi sarà chiamato a gestirlo». Giacomina Tagliaferri è una delle fondatrici di Opportunanda, associazione nata nel 1995 dall’iniziativa di operatori e utenti del dormitorio di via Marsigli, la quale da anni gestisce un centro diurno per senza dimora. «L’attività del nostro centro – racconta – è iniziata nel 2000 in via Sant’Anselmo, in un’ex vineria, due piccoli locali in affitto. Poco dopo, data la grande affluenza di utenti, ci siamo trasferiti in uno spazio più adeguato, che abbiamo trovato sempre nella medesima via, al civico 28. Il centro per due anni è stato aperto tutto il giorno e riuscivamo a distribuire anche cibo e generi di conforto». Oggi come è gestito il centro diurno? È aperto dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 12. Nel pomeriggio sono attivi laboratori che variano in base alle richieste degli utenti. È presente sempre un operatore (educatore o assistente sociale), coaudivato da volontari. Come vi approcciate agli ospiti? Noi cerchiamo soprattutto il dialogo, per capire il vissuto reale di ogni persona. Solo attraverso la conoscenza è possibile rendersi conto di quale tipo d’aiuto possiamo offrire. Una volta comprese le reali esigenze di ognuno, cerchiamo di mettere in campo percorsi per riabilitare le persone, cercando di non cadere mai in una logica assistenzialistica. Le situazioni sono differenti, le storie delle persone non sono tutte uguali, quindi anche i percorsi per uscire dalla strada possono e devono essere diversi. Quali sono le difficoltà maggiori a lavorare con persone in difficoltà? Nascono proprio dal fatto che si ha a che fare con persone in stato di disagio. All’impossibilità di garantire risposte sempre adeguate bisogna aggiungere le difficoltà ben più grande, che queste persone affrontano nel tentare di cambiare vita. Noi le aiutiamo a credere che sia possibile farlo. In ogni caso, per dare una mano non basta la buona volontà; per stare a contatto con persone in difficoltà bisogna liberarsi da ogni preconcetto, non mettendo barriere, ma facendo sì che il rapporto sia il più libero possibile da pregiudizi, evitando di imporre il proprio punto di vista. Inoltre è fondamentale riconosce che vi sono diritti che vanno garantiti a tutti. Ti piace ancora svolgere questa attività ? Mi piace molto. Perché con le persone che tutti i giorni incontriamo al centro diurno il rapporto è più libero dagli schemi che spesso condizionano le relazioni con le persone cosiddette “normali”. La nostra società è molto materialista, mentre con le persone che si rivolgono a noi i rapporti sono più genuini. E poi qui ho imparato a vedere le persone non come appartenenti a una categoria (tossici, alcolizzati, senza dimora), ma come individui, ciascuno ricco di sfaccettature che lo rendono unico e particolare. Come vorresti che fosse un nuovo centro diurno? Un luogo davvero accogliente, dove si può essere ascoltati con facilità e semplicità. Mi piacerebbe che fosse non un’attività svolta in un’ottica “caritatevole” o buonista, ma dove si possano costruire relazioni vere e Frank positive, su cui costruire un futuro davvero diverso.

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genova Sandro Bonvissuto racconta la vita claustrofobica in una cella di prigione. Un romanzo che però, alla fine, non nega speranza

«C’è poco spazio e troppo tempo» di Paola Malaspina

Il sogno (incubo?) La luce sfolgorante abbaglia la mia mente. Spicco il volo mi allontano dal raggio potente. Guardo giù in basso vedo le tracce del mio passato insieme a quelle facce tanto care. Mi sembra di ricordare. Le orme poi seguono il recente scie buie e nere. Non v’è più tempo. La vita corre con impeto come il vento. È l’ora di fermarsi, giunto è il momento. Cala la palpebra e copre l’occhio stanco. Il freddo ferro batte sul cappello di marmo. NOOOOOOO..... Un urlo agghiacciante. Apro gli occhi sudato e tremante. Grazie Dio sono solo un sognante. Mr X

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“Fuori magari c’era poco tempo ma tanto spazio, Lì invece era il contrario. C’era tanto tempo ma poco spazio. Ed era quello il cortocircuito che ti faceva impazzire. Venti ore al giorno dentro tre metri per due in quattro persone”. Sono nitide e feroci le parole con cui lo scrittore Sandro Bonvissuto descrive la condizione claustrofobica di chi si trova a vivere all’interno di un istituto carcerario. Ed è proprio la vita dietro le sbarre il tema del primo dei tre episodi che compongono Dentro, romanzo d’esordio di Bonvissuto, edito da Einaudi. Personaggio atipico nel panorama degli autori nazionali, di lui si dice che sia “piombato nella letteratura un po’ per caso”: in realtà, da questa casualità solo apparente, nasce una scrittura in cui si rincorrono memorie sospese e intuizioni lancinanti, ma, soprattutto, si sente il richiamo forte e nitido della storia (esse rigorosamente minuscola). ze, ognuno potesse identificarsi. Penso che oggi, purtroppo, finire in carceSandro, il romanzo ha un re sia un’eventualità non protagonista di cui non si così improbabile. Fatta ecconosce molto: né il nocezione per una minoranme, né le ragioni che za, che commette gravi l’hanno portato in carcecrimini moralmente conre. Perché questa scelta? dannati dalla collettività e In realtà, io volevo creare un dai detenuti stessi, la magpersonaggio con un suo pergior parte della popolaziocorso di vita in cui, a prescinne carceraria è composta dere dalle singole esperien-

Strutture sovraffollate: emergenza in Liguria In Liguria operano attualmente sette penitenziari. Sovraffollati. Al 31 ottobre, nella case circondariali della regione si registrava la presenza di 1.924 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 1.088 posti. Tra i detenuti, 95 sono le donne, 1.107 gli stranieri, 1.047 i condannati definitivi. Lavorano solo in 423, di cui 56 donne (fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Il Rapporto on line sulle carceri italiane della “Associazione Antigone – Per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, in un anno (da marzo 2011 a marzo 2012) ha annotato nel carcere di Marassi, a Genova, “2 morti per cause naturali, 1 morto per inalazione di gas, 1 suicidio e 17 tentativi di suicidio, più di 200 casi di autolesionismo, 3 evasioni durante i permessi premio, frequenti scioperi della fame”. In carcere portano il proprio contributo diverse associazioni di volontariato o cooperative sociali, alcune delle quali si coordinano nella Conferenza regionale volontariato giustizia Liguria. Nelle carceri liguri sono inoltre attive le redazioni del giornale Area di servizio – Carcere e territorio, gestite dalla cooperativa sociale Il Biscione.


scarpgenova da persone arrivate nell’istituto loro malgrado, per condizioni di disagio sociale ed economico che non hanno potuto combattere. Nell’episodio dedicato al carcere, Il giardino delle arance amare, sono diversi gli aspetti “disumani” della condizione di vita che descrivi. Quali ti interessa di più sottolineare? Tra le pagine del libro ci sono molti episodi che si possono isolare per farne una singola narrazione sulla condizione di un detenuto. Tra questi, ovviamente, c’è quello che racconta la fame di spazio, come elemento che segna un tragico ribaltamento rispetto alle condizioni di chi vive, libero, fuori dall’istituzione. Ma mi viene in mente anche un altro passaggio, in cui descrivo il tentativo, da parte di tre compagni di cella, di costruire una sorta di decalogo delle condizioni di vita all’interno della cella stessa. Questo decalogo, a metà tra il tragico e il comico, esprime, di fatto, una grande necessità, cioè potersi dare delle regole, anche tra persone che hanno sbagliato e perso la loro libertà. Il romanzo si basa su una costruzione a ritroso: nel primo episodio conosciamo il protagonista adulto, nella cella di un carcere, mentre nell’ultimo lo vediamo bambino, alle prese con la sua bici in una bella giornata d’estate. Perché questo progressivo “alleggerimento” di atmosfera? La scelta di raccontare a ritroso non è nata subito, ma mi è stata proposta dalle editor della casa editrice. Ho capito che questa scelta funzionava e aveva un significato preciso; nel primo episodio cerco di denunciare un’ingiustizia, sulla base dell’idea che le attuali pene detentive poco possano contribuire al riscatto e alla riabilitazione delle persone. Andando avanti, volevo lasciare aperta una speranza. O meglio, parlando d’infanzia, volevo lasciare al lettore la speranza di avere una speranza. È un dono importante, che non si può negare a nessuno, tantomeno a chi oggi si trova a vivere dietro le sbarre.

Profughi in biblioteca

Hanno imparato l’italiano e fotografato la loro nuova città Questa è la bella storia dell’incontro tra una grande biblioteca di Genova ed una ventina di giovani profughi accolti dalla Fondazione Auxilium a seguito dell’emergenza Nord Africa, nel marzo 2011. Ed è anche una bella storia di volontariato, che sperimenta una soluzione al problema di stranieri analfabeti nella propria lingua ma che entro sei mesi, per legge, devono dimostrare di possedere i rudimenti dell’italiano. Qualche mese fa, in cerca di un modo per far centrare questo obiettivo anche al gruppo di giovani e giovanissimi profughi, i “Volontari per l’Auxilium” hanno trovato una disponibilità nella biblioteca De Amicis, che è “la biblioteca” per l’infanzia a Genova: nell’ex Magazzino del Cotone, sul mare del Porto Antico, la De Amicis raccoglie migliaia di volumi per i più piccoli e le loro famiglie, ma in realtà è una risorsa aperta a molte altre tipologie di lettori: studenti, gruppi di lettura, ricercatori. Il collegamento sembra promettente: quale luogo è più adatto per imparare a leggere e scrivere, per di più in una nuova lingua, della biblioteca dei piccoli, con i suoi testi intuitivi e illustrati, dalla primissima infanzia in su? Si avvia così il progetto “Solidarietà a colori”: Auxilium impegna i volontari e un operatore come coordinatore, la biblioteca mette a disposizione la passione di una ragazza in servizio civile, i libri, i film della sua mediateca, l’uso di internet. Settimana dopo settimana, dalla comunicazione a gesti si arriva all’essenziale per capire e farsi capire, a riconoscere segni e suoni. E capita che, con la pratica dell’italiano, cresca anche la sensazione di far parte di una società che accoglie: Genova, a poco a poco, diventa una mappa interiore, fatta di esperienze, persone, luoghi, relazioni. Così, alla fine del percorso, il gruppo esce in strada e fotografa la città, per vedere che effetto fa, ora che possono darle un nome. Ne nasce una mostra, “Viaggia con noi”, che la De Amicis espone in questi giorni e fino al 31 dicembre. Il Bigo, la vetrina con attrezzature da lavoro, la persona senza dimora seduta con i suoi sacchetti a ridosso della chiesa, il gatto in centro città, il fiore bianco mai visto e i palazzi con persiane che ricordano il Medio Oriente: fotogrammi che svelano come un incontro forzato con una città casuale possa trasformarsi nella speranza di un nuova prospettiva. Mirco Mazzoli

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Il carcere non riabilita Tutti i sette penitenziari liguri sono sovraffollati. A destra la copertina di Dentro, ultima fatica di Sandro Bonvissuto dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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vicenza Campo di lavoro per giovani, con la Caritas, all’Aquila ferita dal sisma. Testimonianze da uno dramma tutt’altro che superato

Soli e precari, nel dopo-terremoto di Francesca Girardi Certe esperienze ti formano. Specie se rilette a distanza. Pubblichiamo il diario di un gruppo di ragazzi vicentini che con la Caritas, la scorsa estate, hanno prestato servizio come volontari all’Aquila, nell’oratorio dei Salesiani. Dopo aver giocato con i bambini, dedicavano la serata a parlare con cittadini, con la Caritas del luogo, con il giornalista-testimone Giustino Parisse, incontrando gruppi e comunità per capire cosa non ha funzionato, perché la zona colpita dal sisma non riesce a risollevarsi. E come da lontano si può continuare ad aiutare. Provvisorietà e rassegnazione. Sono le parole che più ricorrono nei discorsi e nello sguardo degli aquilani, nei muri ancora puntellati dopo tre anni dal sisma di quel tragico 6 aprile 2009. Quello che abbiamo trovato all’Aquila non è una città ritorimposta, spiegano i referenti Caritas del nata alla sua vivacità storica e culturale, capoluogo abruzzese, a cominciare da non sono case né intese come costrudon Bruno Tarantino: «Siamo stati zioni né sentite come tali da chi abita espropriati della nostra città. I posti di negli alloggi costruiti prontamente dal blocco, i divieti di poter ritornare nelle governo Berlusconi. La politica adottata nostre case ci hanno impedito di manimmediatamente dopo il sisma ha divitenere quel legame che ogni individuo so la popolazione aquilana tra gli alberdovrebbe avere il diritto di sentire con la ghi lungo la costa e le tendopoli costruisua città, diritto che ci è stato sottratto te vicino ai paesi. In seguito, per favoriper di più impedendoci di decidere core il ritorno nel capoluogo abruzzese, me e quando ricostruire». sono stati chiamati soprattutto i nuclei familiari composti da quattro-cinque persone, a cui sono state consegnate le dimore dei progetti Case (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili, che hanno costituito le cosiddette new town). Questo ha comportato l’esclusione di persone sole. Oggi, infatti, ancora 280 persone vivono nella caserma della Guardia di Finanza e circa 130 alloggiano lungo la costa.

È necessario, però, fare una distinzione tra coloro che abitavano nel centro dell’Aquila e quelli che invece erano in periferia: la maggior parte di questi ultimi, infatti, è rimasta nel proprio paese e da un anno può partecipare alla ricostruzione degli edifici. Nel centro storico della città, invece, la situazione è più che desolante, per alcune case perfino peggiore a causa degli agenti atmosferici che sono stati liberi di operare durante i molti mesi trascorsi. Fatta eccezione per corso Vittorio Emanuele II, il corso principale, riaperto da poco, a stento partono le ricostruzioni delle case, i cui ex residenti si sono spostati in quella che una volta era la loro seconda casa o nelle cosiddette new town. E qui la condizione che paradossalmente accomuna tanti aquilani è la solitudine. Quella che stanno vivendo è una sorta di alienazione individuale,

Espropriati della città Gli anziani che vivono in queste condizioni sono costretti alla rassegnazione di non poter nemmeno morire nella propria casa. E la rassegnazione è proprio una condizione desolante, e ci ha colpiti durante il campo “Domani è già qui” della Caritas di Vicenza: un domani che invece è ancora fermo. Rassegnazione

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Non dimentichiamo Foto di gruppo per alcuni partecipanti al campo di Caritas Vicenza all’Aquila


scarpvicenza anche a causa della mancanza di centri d’aggregazione. Uno degli handicap più forti delle new town è, infatti, l’assenza di servizi e di luoghi d’incontro. Qui Paola, i cui occhi ci colpiscono ancora prima delle sue parole, occhi che sembrano guardare verso un altro luogo, ci dice: «La precarietà è divenuta un’esperienza quotidiana, alimentata dall’impossibilità di sentire nostra una casa in cui non puoi piantare un chiodo, una casa in cui non puoi ospitare un amico per più di tre giorni, perché questo è il tempo di preavviso che ti danno per poter lasciare l’alloggio».

Il racconto

L’umanità, meravigliosa moltitudine

Irrompe l’irrazionalità A Onna abbiamo incontrato Giovanni, che ci ha raccontato: «Per cercare il mio vicino, non vado a bussare alla porta che c’è ora di fianco alla mia… Spesso mi ritrovo a cercarlo davanti alle rovine della sua vecchia casa, dove c’è ancora il suo orticello». A Onna la logica urbanistica adottata ha peraltro favorito la ricostruzione della comunità, aiutata anche dal governo tedesco, che ha finanziato, tra i vari progetti, la realizzazione di “Casa Onna”, centro d’aggregazione gestito da cittadini come il giornalista Giustino Parisse e i suoi amici. Sono uomini che hanno vissuto gravi lutti e portano con sé il ricordo e i sensi di colpa di quei momenti. «Quando c’è stata la scossa più forte – racconta Paolo – un pezzo di casa è crollato sulla mia auto, facendo scattare l’allarme: in quel momento la prima preoccupazione è stata riuscire a spegnerlo, per paura che potesse svegliare i vicini». Ed è così che va in quei brevi e terrificanti attimi, l’irrazionalità che irrompe, senza riuscire e capire… Per poi un giorno svegliarsi ed essere schiacciati dal silenzio. E un altro domani, magari, riuscire ad alzarsi. Questi sono gli uomini e le donne che vogliono ricostruire il proprio paese sulle tradizioni e i valori che hanno fondato Onna. Ricostruire, per non dimenticare anche gli anziani portatori della storia del paesino, che rappresentavano un punto di riferimento per tutti, compresi i più giovani. A noi, che siamo stati lì per un po’ di tempo, non resta invece che continuare a ricordare e a parlare di questo popolo e di questa terra, che da media e politica sembrano essere stati accantonati. Almeno noi, non dimentichiamo.

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Un venerdì, alle 20.30, mi reco in piazza Castello a Vicenza, dove la Croce Rossa con i suoi mezzi e i suoi volontari distribuiscono alimenti e vestiti ai bisognosi (nella foto sopra). Arrivando lì con qualche minuto di anticipo rispetto all’unità di strada, mi siedo sugli scalini di un palazzo ad aspettare. Nell’attesa osservo la piazza deserta, eccetto la presenza di Davide e Gregorio, due senza tetto a quell’ora un po’ alticci. Arriva il mezzo della Croce Rossa, gli operatori scendono e si preparano a distribuire i beni. Davide dà loro il benvenuto con parolacce rivolte a una volontaria. All’improvviso, inaspettatamente, da tutte le strade che si congiungono a piazza Castello sbucano molte persone; sono italiani, come me, si muovono verso il mezzo della Croce Rossa, e in pochissimo tempo la piazza si popola. Con dignità aspettano il loro turno e con ancor maggiore dignità ritirano gli alimenti e i vestiti. Ricevuto anch’io il mio pacco, prendo la bicicletta per ritornare a casa – la mia casa, che da qualche mese è il dormitorio della Caritas diocesana di Vicenza – e percorro la via centrale della città, corso Palladio. Pedalando, all’altezza di corso Fogazzaro, vengo attirato dalla musica, dal vocio, dal clima spensierato che proviene da un wine bar. E qua, nella mia mente, scatta un flash: mi sovviene di quando, una dozzina di anni fa, io, allora promotore finanziario, e i miei amici e amiche, tutti avvocati o praticanti avvocati, con i nostri vestiti griffati, con gli orologi Rolex o Cartier al polso, con le Mercedes e le Audi parcheggiate poco lontano, eravamo in quel bar con calici di Franciacorta in mano, conversando amabilmente, quando due senza tetto, maleodoranti e vestiti di luridi cenci, ci passarono accanto. Uno dei due inciampò e sfiorò una delle mie amiche, rompendo la serena atmosfera del nostro happy hour. Il “nullasaccente” griffato Cartier: ricordo i commenti di noi tutti, rivolti ai due senza tetto luridi e maleodoranti, rei ai nostri occhi di essere entrati senza invito nel nostro mondo dorato, tutto esteriorità, povero di autenticità. Rei, con la loro presenza, di farci aprire gli occhi sull’umanità. Occhi che noi non volevamo aprire; occhi che, per quanto mi riguarda, solo da poche settimane ho consapevolmente deciso di aprire. Perché non si può vivere sempre con gli occhi chiusi, in un’oscurità progettata, costruita e rinforzata giorno dopo giorno dal nostro ego. Non si può, non si deve. E alla fine non voglio più appartenere a un’umanità costituita solo dal mio ego. L’umanità è una meravigliosa moltitudine. Dario Garolla dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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modena A Modena undici tra istituzioni e associazioni firmano un protocollo per aiutare i senza dimora nei rigidi mesi invernali

Alleati per vincere la guerra del freddo di Roberto Pivetti

Ricordi Mi piace immaginarla ancora lì, con il solito scialle ricamato sulle spalle, a lucidare le due macchinine a pedali rosse. Che festa per noi bambini, con cinquanta lire risparmiate comprarvi dei sogni da Tota Germana. Il suo negozio polveroso a noi appariva un mondo diverso, pieno di colori, e delle storie che raccontava. Nemesi

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Nei mesi invernali, quando arriva il gelo e le temperature padane scendono in picchiata, soprattutto nelle ore serali e notturne, a Modena si attiva un’ampia rete di solidarietà che coinvolge 11 istituzioni, enti e associazioni che operano nel settore della prevenzione del disagio sociale. Per garantire, dal punto di vista operativo, l’attività del gruppo tecnico, già impegnato anche negli scorsi anni, a fine ottobre è stato siglato un protocollo che ha l’obiettivo di tutelare la vita delle persone senza dimora o senza un’adeguata collocazione in alloggio nel periodo invernale, durante il quale le rigide temperature possono arrecare gravi danni. Il protocollo, valido fino al 31 marzo 2013, arriva dopo che già da diversi anni in città è attivo il progetto “Emergenza freddo”. Destinatari sono tutti i cittadini, italiani e stranieri, che non hanno un luogo idoneo dove passare la notte, con particolare attenzione a coloro che hanno patologie sanitarie già stabilizzate, legate alAssistenza per tutti la stagione rigida, e che necessitano, per Gli obiettivi del protocollo sono moltela guarigione, non del ricovero ospedaplici: fornire accoglienza residenziale liero, ma di un periodo di accoglienza temporanea per convalescenza, orgatemporanea presso una struttura socionizzare l’accoglienza straordinaria in assistenziale. casi di freddo particolarmente intenso,

Con neve o gelo, accoglienza straordinaria L’accoglienza straordinaria, prevista dal comune di Modena e dai firmatari del protocollo, è un intervento emergenziale per garantire la sopravvivenza delle persone senza dimora o in situazione di disagio abitativo, e si attiva in momenti della stagione invernale caratterizzati da una particolare rigidità del clima. In presenza di forti nevicate o di temperature eccezionalmente basse, si rende necessario dare riparo a un numero di persone più consistente di quelle aiutate solitamente in inverno, che vivono in casolari abbandonati o in luoghi non sufficienti a garantire un adeguato riparo. L’utenza potrà essere ospitata in polisportive o parrocchie, luoghi individuati come centri d’accoglienza temporanei da un’ordinanza dell’assessorato alle politiche sociali, sanitarie e abitative. La gestione dell’accoglienza, relativa alle sole ore notturne (21-7.30), prevede pernottamento ed eventuale colazione e sarà coordinata dal gruppo comunale di Protezione civile, coadiuvato dai volontari delle altre associazioni. Anche in questo caso l’inserimento di ospiti sarà disposto dall’assessorato alle politiche sociali, sanitarie e abitative del comune. Gli ospiti dovranno raggiungere il centro d’accoglienza autonomamente (casi specifici di difficoltà di trasporto sanno valutati individualmente). Il presidio delle strutture sarà garantito attraverso i volontari delle associazioni aderenti all’intesa e da eventuali forze aggiuntive, da attivare attraverso il coinvolgimento di altre associazioni, polisportive, parrocchie o singoli.


scarpmodena assicurare il monitoraggio costante della situazione e del fenomeno in città. «Lo scorso anno – spiega l’assessore alle politiche sociali, sanitarie e abitative del comune di Modena, Francesca Maletti – le persone accolte sono state 47 e si teme che quest’anno, a causa del perdurare della situazione di crisi economica e dell’aumento della disoccupazione, i casi possano aumentare». L’accoglienza residenziale temporanea per convalescenza si attua invece presso il centro di accoglienza gestito dall’associazione Porta Aperta per gli uomini e presso quello della Confraternita di Misericordia per le donne; le due strutture nel periodo invernale mettono a disposizione rispettivamente quattro e tre posti aggiuntivi, rispetto a quelli previsti negli accordi e convenzioni

za) dai medici dei pronto soccorso. A tale scopo, un operatore del comune sarà sempre reperibile telefonicamente, dalle 8 alle 22, per segnalazioni e per la valutazione di inserimenti in emergenza. L’accoglienza non potrà avvenire direttamente su decisione delle strutture o ad accesso diretto; al contrario, è sempre previsto un raccordo con i referenti del comune, per una valutazione congiunta della situazione.

Enti e associazioni insieme L’accoglienza per i primi sette giorni è a carico delle associazioni, mentre il centro stranieri o il servizio sociale del comune provvedono all’erogazione di contributi necessari a far fronte a bisogni urgenti e importanti, come le spese per i farmaci.

“Angeli” nella notte Una delle ronde in azione alla stazione di Modena

concordati per il resto dell’anno. In caso di necessità e per brevi periodi è prevista inoltre la collocazione in albergo o presso affittacamere. Gli inserimenti avvengono tramite segnalazione degli operatori del comune per le situazioni con particolari fragilità sanitaria, che necessitano di un luogo idoneo per la ripresa delle normali condizioni psicofisiche. La condizione sanitaria è certificata (con specificati i tempi di convalescen-

I firmatari del protocollo, dunque le realtà impegnate nelle attività, sono stati l’assessorato alle politiche sociali, l’Azienda Usl attraverso il nuovo ospedale civile Sant’Agostino-Estense di Baggiovara, l’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico, il centro d’ascolto dell’arcidiocesi di Modena e Nonantola, le associazioni Porta Aperta, Confraternita di misericordia, gruppo comunale Protezione civile, Croce Blu, Croce rossa italiana, Agesci e Vivere sicuri.

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Le attività

Ronde, ascolto a monitoraggio L’attività di monitoraggio costante, con uscite serali nei luoghi della città dove più presenti sono le persone senza dimora, durante i mesi di dicembre e gennaio (e per ogni sera in cui la temperatura scende sotto i 5 gradi), è garantita da volontari delle associazioni Croce Blu, gruppo comunale di Protezione civile, Croce Rossa Italiana, Agesci, Confraternita di Misericordia e Vivere sicuri ed è coordinata da un referente della Croce Blu. Il centro d’ascolto della Caritas diocesana dell’arcidiocesi di ModenaNonantola si impegna invece a ricevere le persone in difficoltà, garantendo loro, in base alla valutazione della situazione, la distribuzione di sacchi a pelo o coperte e vestiti pesanti. Porta Aperta, invece, mette a disposizione l’attività dei medici dell’ambulatorio e provvede alla distribuzione dei farmaci, mentre la Protezione civile si occupa del ritiro e dello stoccaggio dei beni alimentari, resi disponibili gratuitamente dalla grande distribuzione e dai discount. Le uscite, durante le quali vengono anche distribuiti generi di conforto come alimenti, bevande calde e coperte, si svolgono dalle 22.30 a dopo la mezzanotte e riguardano prevalentemente le zone della stazione ferroviaria, del cimitero di San Cataldo, il centro storico e il parco Novi Sad. Le associazioni impegnate hanno concordato fra loro un calendario settimanale che assicura la copertura del servizio una sera fissa della settimana per ogni associazione, mentre il sabato sarà gestito a rotazione. Le attività di monitoraggio consentiranno poi di conoscere la reale dimensione del fenomeno, di avere un quadro aggiornato dei bisogni e delle condizioni delle persone senza dimora e di stimare le potenziali richieste di accoglienza. dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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rimini Duecento italiani in Palestina con la Tavola della Pace. Diario da una terra dove oppressi e oppressori vivono tutti in prigione

Il muro che spezza irrazionale serpeggia di Stefano Rossini

Tre borse Tre borse vaganti in mente un pensiero: vorrei sapere chi sono. Tre borse in giro. Se cerco una cosa sicuramente è nella borsa che non è con me. Cerchi di recuperare i documenti passano due o tre giorni. Sei contento quando hai il documento e il bagaglio non è stato buttato, ti senti fortunato. Un amico ti chiama per un lavoro durante le feste fino a qui niente di male ma i vestiti puliti sono in un’altra borsa e in quale devi indovinare. Farai il giro dei dormitori, e passeranno due giorni. Quando avrai i vestiti puliti, occorrerà capire come fare per arrivare: Il lavoro è a Riva del Garda e da Torino sono molti i soldi per il biglietto da trovare. Se non ce la fai rimarrai chi sei: Mister tre borse vaganti! Tre borse che non si incontrano mai. Ce n’è da camminare, hai da fare! Gheorghe Mateciuc

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Mohamed Ameera è in piedi sul tetto di un edificio nuovo del paese di Ni’lin, in Palestina, a 25 chilometri da Ramallah. Mentre con la mano indica i cinque insediamenti israeliani che circondano il villaggio e poi i campi di olivi che si estendono per centinai di metri prima di essere improvvisamente interrotti da un muro di alti lastroni di cemento e filo spinato, dice: «Di quante orecchie c’è bisogno, per ascoltare questa storia? Di quante mani abbiamo bisogno per scrivere ciò che accade in Palestina, e quanti occhi la devono vedere, prima di capire?». Il muro è un vallo, come quello costruito dai romani per tenere lontani i barbari, e non si trova ai confini di un impero, ma a metà strada tra il villaggio palestinese e quelli israeliani, e a un primo sguardo non si capisce se debba difendere questi ultimi dagli attacchi, o rinchiudere i e la gola bruciano, tutti si allontanano. palestinesi nel loro piccolo appezzaDurante il ritorno, Mohamed mostra gli mento di terra. Probabilmente entramolivi bruciati. «Quando un lacrimogeno be le cose. colpisce il tronco prende subito fuoco. Sanno che sono la nostra unica risorsa». Il muro che rinchiude tutti Ni’lin, martedì 30 ottobre, è il quarto giorno della missione in Medio Oriente Betlemme, città assediata della Tavola della Pace. Mi trovo tra i 212 La città della Natività è stata, per sette volontari, rappresentanti di enti e semgiorni, il campo base della missione. plici cittadini italiani venuti una settiBetlemme è forse il luogo che meglio mana in Palestina per conoscere e testiesemplifica lo scontro tra le due cultumoniare quello che succede in questa re. Qui il muro è a ridosso delle case, e terra. Terra Santa per molti, ma quello stringe la città fino a soffocarla. Di conche si vede ha poco di santità: ci sono sguenza, chi vi abita vive in una grande divisione, intolleranza, segregazione. prigione a cielo aperto. Mohamed ha perso 67 olivi al di là Il check point dei militari israeliani del muro. Insieme ad Hassan Monsa, si trova tra due alte torri di guardia, nel portavoce di Palestine Youth for Peace & punto in cui la strada che viene da GeJustice, associazione che si oppone al rusalemme svolta per entrare nel paese. muro con manifestazioni pacifiche, Ogni giorno, negli orari di punta, si Mohamed ci accompagna attraverso gli creano lunghe file in entrambi i sensi. I olivi, fino al muro stesso. A ridosso delsoldati, mitra alla mano, fermano e la grande costruzione, la risposta dei controllano i documenti. E chi non ha militari israeliani è immediata. Tre solpermessi particolari, di lavoro o di sadati osservano la situazione, una piccolute, non esce. I tempi per recarsi al lala delegazione della Marcia della Pace di voro si gonfiano a dismisura. Fino a che 40 persone – tra cui ragazzi e anziani – ci si licenzia. cammina guardandosi attorno sconLa disoccupazione nei territori è al certata. I soldati rientrano nella torre di 17%, la povertà affligge il 22% della poguardia e subito partono due colpi di polazione e più del 55% fatica ad avere gas lacrimogeno. Il primo cade lontano, cibo tutti i giorni (dati Ocha, l’Ufficio il secondo in mezzo alla folla. Gli occhi delle Nazioni Unite per il coordina-


scarprimini mento delle relazioni umanitarie nei territori occupati della Palestina). Attorno al muro se ne ha un assaggio. Si affollano persone che vendono souvenir, ma c’è anche chi propone strade alternative, per evitare il check point. Nel campo profughi di Aida, a Betlemme, proprio a ridosso del muro, le cose si fanno ancora più angoscianti. Per i cinquemila profughi la giornata è fatta di noia e attesa. La disoccupazione arriva al 70%. Chi può ha una bottega, o fa il tassista, o cerca il lavoro fuori. Ma uscire è complicato. L’inedia della quotidianità schiaccia ogni iniziativa, trovare un’opportunità è già un primo passo. Come Malek, 15 anni, che studia fuori dal campo, in una scuola privata e spera di poter fare medicina seguendo le orme del fratello ora in Egitto. Ma la sua è una famiglia fortunata. Per gli altri la possibilità di uscire non c’è, e l’unico sguardo sull’esterno è il centro Alrowwad, che organizza corsi di inglese e di musica, e svolge attività con i ragazzi e le ragazze. Qui ha sede anche un laboratorio di giochi del ludobus, il furgone itinerante gestito dall’associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini. E il muro, che gira in modo irrazionale attorno a Betlemme, spezzando e confondendo, non si ferma ancora. Il nuovo tratto è già in previsione, approvato da Israele un anno fa, e taglierà gran parte della vallata di Dayr Kirmizan, devastando una zona suggestiva e ricca di oliveti, facendo perdere le terre alla metà dei palestinesi che vive qui.

Vita da reclusi Il muro costruito dagli israeliani, visto dal lato dei palestinesi (foto di Francesco Cavalli)

L’iniziativa

Tavola della pace in Palestina, la voce degli attivisti riminesi Tra gli organizzatori della missione della tavola della Pace in Palestina c’è stato anche il riccionese Mario Galasso, vicepresidente del coordinamento nazionale enti locali per la pace, nonché assessore provinciale alle politiche sociali di Rimini. In missione ci è andato come privato cittadino, non in veste ufficiale. Ma ricapitola: «Le persone con cui siamo entrati in contatto sono davvero eroi della resistenza dello stato palestinese. Ma in parte mi piace pensare che siamo eroi anche noi, che abbiamo rotto l’embargo. Molte nostre amministrazioni non volevano che venissimo qua a buttare via i soldi, per usare il loro linguaggio. Ma noi pensiamo che non ci sarà pace nelle nostre città finché non ci sarà pace nel mondo e nello stato palestinese». Tra i volontari che hanno raggiunto Israele e Palestina anche Francesco Cavalli, riminese, membro del direttivo del coordinamento promotore e responsabile dell’ufficio stampa e della comunicazione della marcia. «Il valore dell’iniziativa – ha spiegato – è raccontare un impegno, quello per la pace, che anzitutto si costruisce nel quotidiano».

In marcia fino a Gerico Andando avanti la situazione non cambia. Che sia Ramallah, Gerico o il campo di At Tuwani – villaggio palestinese vicino ad Hebron –, in cui per fare qualunque cosa occorre chiedere il permesso alle autorità israeliane che sistematicamente te lo negano e che distruggono le nuove costruzioni, ovunque c’è una situazione che vede da un lato oppressi e dall’altro oppressori, in cui nascono scontri e tentativi di resistenza. Ma le differenze sfumano pre-

sto: palestinesi e israeliani vivono entrambi in prigione, circondati da muri. L’incubo della sicurezza è infatti il grande Moloch di Israele. Bestia combattuta con muri, controlli, permessi e vessazioni. A cominciare da Gerusalemme, città cardine di questa terra, che racchiude tutti i paradossi e le violenze di questo strano e nuovo stato. Arrivati a questo punto, il problema non è più cosa fanno israeliani e palestinesi, ma cosa fa la comunità internazionale. Dal 1991 al 2010 sono stati spesi 12 trilioni di dollari per sostenere il processo di pace. Di fronte a questa aberrazione, ogni cosa sembra inutile. Ma si può provare a fare tanto. Alla fine della missione, molti enti e rappresentanti hanno scambiato indirizzi e numeri con palestinesi per organizzare mercatini, continuare i rapporti e pensare a come collaborare. Altri ancora, come la piccola delegazione di studenti del liceo Bertolucci di Parma, vuole raccontare, far conoscere a tutti quello che succede qui e lo scarto che c’è tra le notizie e la realtà. Tutti insieme hanno fatto un gesto simbolico: la marcia della pace. Venerdì 2 novembre, nel deserto, dal monastero di San Giorgio in Koziba fino alla città di Gerico, nella depressione più profonda della terra, quasi 500 metri, come a dire: siamo nel punto più basso. Possiamo solo risalire.

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firenze Autopresentazione di un narratore versatile, che approda a Scarp: l’arte di scrivere, dai racconti del terrore ai fumetti

«Scrivo e sceneggio, così spicco il volo» di Pier Luigi Lolli

Piove Piove. La natura riarsa beve con ansia queste stille divine. Tutto è sommerso nel silente sudario, unico suono il frusciante stormir delle fronde, il leggero frusciare dell’acqua. Tutto tace. Placata l’arsura, la natura risorge fulgente di vita novella. Risorgi anche tu, anima mia; l’ansia e il dolor, che da sempre consumano le piccole fiammelle, si acquietino alfine nella pace silente, della Terra novella. Pier Luigi Lolli

A partire da questo mese entra nella squadra di Scarp Firenze Pier Luigi, un amico che abbiamo incontrato al centro diurno Casa Elios; la sua prima vera apparizione su queste pagine, con una poesia, risale all’inizio della scorsa estate, ma ospitando un suo scritto in questo spazio gli diamo il benvenuto ufficiale. Riportiamo di seguito alcuni estratti da un suo lavoro autobiografico, che possono essere presi come una specie di presentazione, e le sue poesie. Dovendo narrare la mia esperienza con la scrittura… beh, probabilmente non basterebbe un papiro, invece sono costretto a farlo in poche righe, per cui vedrò di essere conciso e sintetico. Iniziai a scrivere i miei primi racconti del terrore nel 1992. Ed è dal 1995 che partecipo a premi e concorsi, dove quasi sempre mi sono classua metrica, la canzone un’altra. Nel sificato, nella sezione degli inediti, quasenso che, quando si scrive una poesia, si mai in quella degli editi. Beh, questo è che sia in rima o no, si deve fare in moovvio. Non potrebbe essere diversado che i versi corrano, come le parole mente. Ma, dopo un riconoscimento stesse, dritti al cuore di chi legge, per far come poeta insigne ottenuto nel 2003, sì che ogni lettore s’immedesimi nello ho ricevuto tempo fa una proposta di stato d’animo del poeta. pubblicazione da parte di una casa ediQuando si scrive una canzone, il tetrice di Vicenza che non ho accettato, sto deve essere scritto in modo tale da perché le condizioni non erano vantaggiose. Ma il punto clou di questo racCreatività solidale conto vuol essere l’arte di scrivere. Sì, Alcune ceramiche di Casa Elios perché ciascuno scrittore cerca, quando costruisce una storia o una lirica, di rappresentare qualcosa che, più o meno elaborato, fa parte del suo pensiero. Un pensiero fa parte di una sensazione o di uno stato d’animo in cui l’artista in quel preciso momento si trova. Certamente, chi scrive non può né deve dire che sa scrivere o che scrive bene. Nessuno lo deve dire. Scrivete quello che vi viene dal cuore, non dal cervello e, se siete validi, prima o poi troverete chi vi promuove. Se, invece, siete presuntuosi e vi considerate i migliori beh, fidatevi, non ditelo mai a nessuno, perché in tal caso sarete sempre i peggiori.

La metrica Ogni poesia deve avere una metrica. Così come le canzoni, ma la poesia ha una

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scarpfirenze far sì che la cadenza, ritmica o sincopata, rispetti la caduca di ogni singola parola. E da qui viene fuori la metrica, secondo cui ogni parola o sillaba produce un suono: cioè la cosiddetta nota. Le poesie sono, o almeno dovrebbero essere, il mio punto forte. È un po’ come dire che ogni poesia è un volo che fa il poeta e, di slancio o di getto, sciorina versi, come se spiccasse un balzo, quindi un volo. È un po’ come dire che ogni stella non tramonta mai, ma splende sempre, fino a quando diventa rossa, cade e, quindi, muore. E subito dopo ne nasce un’altra e via di scorrendo.

Il fumetto Un’altra mia indefessa passione è il fumetto. Nel 1985 iniziai a sceneggiare e disegnare le mie prime tavole. I personaggi che ho orchestrato sono complessivamente dieci, fra cui Pedro, un cavallo sognatore, Piper Paper, un papero investigatore, Super Panzo, un uomo possente con la faccia d’un cane, che, quando trangugia hamburger, si trasforma in un supereroe. Poi c’è Billy il disoccupato, uno sfigato che cerca, in compagnia di un inseparabile gatto, di trovar lavoro. E poi tutti gli altri. Chi disegna fumetti deve riuscire a esprimere non solo se stesso ma le sensazioni e gli stati d’animo dei personaggi, per riuscire a esprimere i propri, per lanciare dei messaggi. Questo non è poco ma è sicuro.

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L’iniziativa

Le ceramiche di Casa Elios sui banchi del Mercato Solidale Casa Elios è un centro diurno integrato dell’associazione Solidarietà Caritas onlus di Firenze, per persone sieropositive emarginate o a rischio di emarginazione. Tra le attività che vi si svolgono c’è il laboratorio di ceramica che, insieme a quello di sartoria, fornisce il materiale per i mercati solidali e un laboratorio teatrale. Roberta Marchiani, che ha scritto l’articolo, è la responsabile della struttura. *** È così che una stoffa che ci è stata donata si può trasformare in una borsa, in un grembiule o ancora in una tenda fatta di tanti piccoli pezzi di recupero. Il nostro laboratorio di sartoria è in grado anche di creare costumi che verranno messi a disposizione per il nostro laboratorio di teatro (al quale partecipa anche il nostro amico Pierluigi, di cui potete leggere qui a fianco) e bellissimi costumi di carnevale. Le mani che vi lavorano sono mani che hanno sperimentato il disagio, la sofferenza, la malattia, ma che hanno conservato forti le capacità creative e manuali. Da altre mani, quelle degli ospiti e delle persone che li affiancano, operatori e volontari, che insieme passano le ore della giornata nel laboratorio di ceramica, l’argilla prende forma e diventa altro: una statua, un vaso, uno stemma di una squadra di calcio, un elefantino, una coccinella. Viene preso tempo, un tempo che serve per far asciugare l’argilla. Poi i manufatti sono pronti per essere decorati. Il bello dei colori che vengono usati per la ceramica, bellissime polveri di tante tonalità, è che non sai mai quello che stai facendo, perché il colore nella cottura si trasforma e non sai come diventerà. È solo nel momento in cui esce dal forno che puoi apprezzare il risultato finale. È bello quando qualche altra struttura della Caritas ci commissiona lavori; ci sentiamo utili e sperimentiamo nuove tecniche. C’è chi ci ha chiesto targhe da appendere, servizi di piatti, immagini sacre per abbellire le cappelline, addirittura piani decorati per comodini. Ci siamo sperimentati anche nel fare bomboniere per matrimoni o comunioni. Poi capita che finalmente riusciamo anche a mostrare al di fuori del nostro centro tutto quello che realizziamo, in occasione di mostre, eventi o semplici mercatini ai quali siamo invitati. Una di queste occasioni è il “Mercato Solidale” che da qualche anno è organizzato dal comune di Firenze. È un evento che permette a tutte le associazioni, al mondo del volontariato, ai soggetti della cooperazione internazionale, al commercio equo e agli operatori degli stili di vita sostenibili, presenti nel territorio della città, di mostrare il proprio operato. Così per qualche giorno ci trasformiamo in venditori, qualcuno si occupa dell’allestimento dello stand, qualcuno distribuisce materiale informativo, altri si fermano a parlare dei nostri laboratori e di come gli oggetti che vendiamo vengono realizzati. È bello poter avere del tempo per raccontare i nostri progetti alle persone che incontriamo. Le condizioni spesso sono precarie, le ore da coprire sono molte, ma l’entusiasmo ci fa superare il freddo, la pioggia, la stanchezza. Tutto il gruppo lavora insieme: ospiti, operatori, ragazzi del servizio civile, tirocinanti. E tanti volontari, che spesso coprono i turni più stancanti. È bello condividere questo tempo con le altre associazioni: si fanno nuove amicizie, si parla, ci si aiuta, ci si confronta, si conosce il lavoro degli altri. Quest’anno il “Mercato Solidale” si svolgerà dal 10 al 22 dicembre, in piazza Santa Maria Novella, tutti i giorni dalle 10 alle 20. Vi aspettiamo per mostrarvi i nostri lavori e per scambiare insieme qualche chiacchiera. dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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napoli In Campania oltre 190 mila stranieri regolari: tanti i lavoratori del comparto agricolo, ma anche commercianti e imprenditori

Non sono numeri, ma una ricchezza di Laura Guerra e Massimo de Filippis

Mattino Ho udito stamani un gaio cinguettio: un piccolo passero era sul davanzale; le sue note gentili mi hanno rasserenato. Piccola, fragile, indifesa creatura, fremente di vita. Tu inviti al concerto della nostra esistenza. Pier Luigi Lolli

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Non sono numeri, anche se si tratta di numeri. Noi di Scarp siamo andati alla presentazione del ventiduesimo Dossier immigrazione, realizzato da Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes e presentato, a Napoli, nel salone delle conferenze del palazzo arcivescovile. Sono intervenuti l’arcivescovo, cardinale Crescenzio Sepe, e varie personalità importanti in città. «I popoli nel passato, trasmigrando da un paese all’altro – ha detto l’arcivescovo – hanno creato cultura. Noi oggi come cristiani non possiamo non offrire accoglienza. Si tratta di persone che si spostano per diversi motivi: religiosi, economici, politici. Se li accogliamo, l’umanità cresce e si crea un mondo migliore. Se li respingiamo, creiamo condizioni di conflitto che non solo danneggiano loro, ma anche tutti noi». Il cardinale ha poi voluto sottolineaminicana 2,3%, Bulgaria 1,9%, Perù re la ricchezza di tradizioni e di valori 1,8%. che gli immigrati portano nella nostra E poi ci sono le cifre riferite agli strasocietà; di fronte alle migrazioni la Chienieri in età da lavoro (20-64 anni), che sa di Napoli ha sempre aperto le sue rappresentano l’82,7% del totale delle porte: «Napoli è, e sempre sarà, una prresenze, con una fortissima compocittà di accoglienza e l’invito e l’augurio nente femminile; infatti in città le donè che si possa rispettare e amare semne che lavorano come baby sitter e colf pre quanti decidono di venire nella noe badanti sono tantissime. «I ragazzi stra città, attivando percorsi di ospitasotto i 18 anni sono per il 54% di origine lità e di integrazione». srilankese, cinese e filippina e questo si-

Gli srilankesi i più numerosi I numeri sono stati presentati e spiegati dal caporedattore per la Campania del Dossier, Giancamillo Trani. Gli stranieri presenti a Napoli, e conteggiati grazie alla collaborazione con la Caritas diocesana di Napoli e l’ufficio anagrafe del comune di Napoli, sono 38.640, per il 59,2% donne e per il 40,8% uomini. Il 40,6% sono europei (il 15,6% arrivano dai paesi dell’Unione europea, il 25% da quelli esterni all’Ue), il 39,7% vengono dall’Asia, l’11,3% dall’Africa, l’8,3% dal continente americano . Se cammini per le strade di Napoli lo vedi, che srilankesi, ucraini e cinesi sono più numerosi di rumeni e polacchi; infatti queste sono le cifre relative alle nazionalità: Sri Lanka 22,3%, Ucraina 18,9%, Cina 7,8%, Romania 5,1%, Filippine 4,6%, Polonia 4,1%, Capo Verde 2,3%, Repubblica Do-

Uomini, non statistiche Immigrati al centro d’ascolto di Caritas Napoli


scarpnapoli L’intervento

Problemi di densità, ma creano cultura

gnifica – ha spiegato ancora Giancamillo Trani – che rispetto agli anni scorsi il numero degli asiatici sta aumentando in maniera significativa».

Una moltitudine da integrare «Gli immigrati sono tanti – ha detto il direttore della Caritas di Napoli, don Enzo Cozzolino – e devono essere considerati una risorsa, non un problema. La verità è che dobbiamo cominciare a lavorare sulle famiglie, che rappresentano il luogo più importante per la formazione dell’uomo. Il resto verrà da solo». Eppure non sono numeri, noi venditori di Scarp lo sappiamo bene; camminiamo tanto e giriamo in città, ci guardiamo intorno. Vediamo ad esempio che ci sono sempre più negozi stranieri, i cinesi aprono sempre più attività, ma anche gli altri; gli immigrati non stanno con le mani in mano.

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Noi redattori di strada abbiamo partecipato alla conferenza stampa di presentazione del Dossier immigrazione, il tema era l’immigrazione non tanto da un punto di vista concettuale, ma statistico. All’ingresso ci hanno dato del materiale informativo: una mappa della situazione degli immigrati, con dati che riguardano la città di Napoli e l’intera regione. A una prima lettura, si potrebbe essere assaliti da una forte preoccupazione. Il numero degli immigrati aumenta sempre di più. Il problema principale per me è di spazio, cioè di densità di popolazione; i chilometri quadrati sono sempre gli stessi, si rischia un sovraffollamento con ripercussioni sull’ordine pubblico. Il cardinale Sepe però ha affermato che guardare allo straniero come elemento di disturbo è antiumano e anticristiano. Verissimo. Il suo pensiero mi trova pienamente d’accordo. La presenza dei migranti rappresenta un arricchimento culturale. Giuseppe Del Giudice

L’intervento/2

Napoli e la Campania pullulano, e i bambini sono meglio di noi “Non sono numeri”. Questo ha detto il nostro cardinale Sepe presentando il Dossier di Caritas e Migrantes per la Campania nel 2012 Per me, napoletano, venditore di Scarp de’ tenis e pratico della vita di strada, non c’è niente di più vero. Le cifre e le percentuali non mi sorprendono; è logico che Napoli e Salerno, città di mare e di commerci, siano le più frequentate; e che il Casertano con le sue terre richiami molta mano d’opera. Non sorprende nemmeno che la Campania sia al primo posto nel sud, con ben 193 mila presenze regolari. Napoli pullula di negozi grandi e piccoli, di imprese piccole e grandi, che impiegano anche operai del posto. No, non sono numeri; sono uomini volenterosi e donne attive e capaci. Africani che fuggono da guerre crudeli e dittatori sanguinari e donne dell’est europeo che hanno scoperto, non senza un po’ d’ironia, che tanti italiani avevano bisogno di essere badati da una badante: non per niente le donne arrivano al 55% del totale delle presenze. E poi sempre più asiatici, che piano piano, zitti zitti, ci portano la loro civiltà: cinesi che ci sorridono con le loro mercanzie low cost, e cingalesi, che ci stupiscono con il loro garbo e con la grazia dei loro piccolissimi bambini: scriccioli e libellule, che diventeranno uomini e donne. E proprio per loro che voglio spendere una parola forte. È giusto che i bimbi nati in Italia, i cosiddetti immigrati di seconda generazione, si scrollino di dosso quest’etichetta razzista e nascano e crescano davvero come cittadini italiani. I bambini sono meglio di noi, non fanno differenze di razza, colore e provenienza, anzi la diversità allarga la loro mente. I leghisti stanno lassù a combattere con la nebbia che ci vuole nascondere; noi siamo solari, campani: marinai campagnoli, facciamo tutto alla luce del sole. E i figli so piezz’ ‘e core, ben vengano. Domenico Capuozzo dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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scarpnapoli

La biblioteca di Giuliano ha premiato il nostro progetto editoriale e sociale. Un incoraggiamento a non mollare

Al premio Minerva c’è gloria anche per Scarp di Sergio Gatto to di discorsi molto significativi li faceva Ricevere un riconoscimento speciale dal premio letterario Minerva, inemozionare. Anche io e il mio collega detto quest’anno nella biblioteca comunale di Giugliano, un paese che si trova alla Aldo abbiamo preso la parola, racconperiferia di Napoli, ha suscitato in me una sorpresa inaspettata. Siamo andati a ritando al pubblico la nostra storia e la tirarlo insieme al mio collega Aldo, tutta l’équipe di Scarp de’ tenis e il presidente nostra esperienza nella redazione di della cooperativa “La Locomotiva”, Danilo Tuccillo, che da tanti anni porta avanti il Scarp, dove abbiamo trovato riparo e progetto Scarp con dedizione, determinazione e competenza, operando a favore di sostegno. chi nell’arco della vita ha subito un disagio. La rivista mensile scritta dagli utenti che Il Premio letterario Minerva è ormai lavorano alla redazione di Napoli, aiutati dalle operatrici e dal coordinatore che ci seun appuntamento culturale consolidague lungo questo percorso, è meritevole di tale attenzione, perché anno dopo anno to, cosa difficile in una città di periferia è migliorata nei contenuti, suscitando l’interesse anche di chi dimostrava un falso come Giugliano; l’associazione che lo scetticismo. promuove si dà da fare tutto l’anno per La biblioteca comunale di Giugliausando il giornale come strumento di promuovere la lettura e la scrittura sono, dove si è svolta la cerimonia di predignità delle persone». prattutto fra i ragazzi, nelle scuole. E somiazione, nonostante avesse una sala no stati proprio i ragazzi del liceo Cartesemplice, con tante sedie schierate a deUn riconoscimento importante sio, con i giurati, a premiare quest’anno stra e a sinistra, con la riproduzione di Dopo la responsabile della biblioteca si Pino Cacucci con Nessuno può portarti un falco che dominava l’intera sala, mi sono alternati il presidente della “Locoun fiore (Feltrinelli); secondo classificaha dato la sensazione di trovarmi in un motiva”, Danilo Tuccillo, il coordinatore to Giorgio Fontana con Per legge supeposto già conosciuto. Luca Rossi, l’educatrice Rosa D’Aniello riore (Sellerio); terza Laura Pariani con Il senso civico dei partecipanti, il cae la giornalista Laura Guerra. Ognuno La valle delle donne lupo (Einaudi). rattere familiare ed amichevole, che da parlava del ruolo che aveva all’interno Ricevere il riconoscimento speciale subito è stato evidenziato da un comdel progetto, senza trascurare le finalità. per noi è stata una bella soddisfazione. portamento ineccepibile, mi fatto senOsservavo l’attenzione che si accresceva Sono contento di aver partecipato. tire subito a mio agio, e ho avuto la sentra i presenti, quando l’approfondimensazione di partecipare a un evento importante per noi. Oltre al presidente della Locomotiva e alla direzione della rivista, c’era il mio amico Aldo, anch’egli venditore di Scarp. L’organizzatrice e presidente dell’associazione culturale Minerva, la signora Bianca Granata, ha spiegato perché hanno voluto dare questo premio speciale proprio a noi. «Ci piace dare questo riconoscimento all’esperienza della Locomotiva e di Scarp de’ tenis perché il lavoro che fanno è bello e importante, offrendo aiuto e sostegno alle persone che sono in momenti di forte difficoltà e di disagio; nel nostro piccolo, cerchiamo di fare cultura in provincia e nel Menzione speciale L’équipe di Scarp Napoli premiata a Giugliano nostro cammino ci riconosciamo nel lavoro di recupero che fa questo progetto,

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salerno Una struttura che accoglie ed educa, una città stimolante: la disabilità non limita. Se solo fosse più facile trovare lavoro...

Noi di Tangram, ragazzi fortunati dei ragazzi del centro Tangram La disabilità a Salerno non è considerata un aspetto negativo, grazie alle iniziative a favore dell’integrazione svolte nel territorio, come quelle garantite dal nostro centro. Ma andiamo per ordine e iniziamo a presentarci. Siamo i ragazzi del Tangram, un centro polifunzionale gestito dalla cooperativa “Il Villaggio di Esteban”, e vogliamo farvi conoscere la nostra città, guardata attraverso i nostri occhi. Salerno è una città molto organizzata, ricca di eventi e manifestazioni che ci permettono di stare insieme agli altri. Basti pensare ai nostri amici della Salernitana calcio, che proprio qualche giorno fa ci hanno dato la possibilità di andare allo stadio gratis, per vedere la loro partita, tutti insieme. Ovviamente non è sempre così semplice. Per quanto riguarda le opportunità lavorative, per noi non è sempre possibile frequentare un corso per un futuro inserimento nel mondo del lavoro: secondo noi il problema è che ci sono poche opportunità e tanti ragazzi. In realtà noi sappiamo fare non poHo ascoltato per la prima volta la storia di Franco Leo che cose: cucire, scrivere al computer, la settimana scorsa, durante la presentazione della seconda ristampa realizzare oggettini, ma anche coltivadel suo meraviglioso libro, Dio parla al mondo attraverso un disabile. re e fare lavoretti di artigianato. La magDopo aver ascoltato la sua splendida testimonianza, piena di speranza, gior parte di queste cose le abbiamo ho deciso di acquistare il suo libro, nonostante, da utente di Scarp, non imparate al centro che frequentiamo mi trovo certo in buone condizioni economiche. Dieci euro per me sono tanti, da anni, che per noi è diventato una vema vi assicuro che non potevano essere spesi meglio. Franco è una persona ra scuola. magnifica: pieno di fede, nel libro spiega quanto Cristo e la sua croce gli siano vicini, e gli consentano non solo di accettare la sua difficile condizione, ma di farla diventare un punto di forza. Attività per tutti i gusti È grazie alla fede che Franco trova la forza per essere sempre di ottimo Varie sono le attività che vengono svolumore. È una persona incredibilmente allegra, e con il suo entusiasmo te all’interno del centro Tangram, nel trascina e contagia tutti. Ma il cristianesimo non rappresenta la sua unica quale sono presenti quotidianamente “fede”. Sulla sua sedia a rotelle è stampata l’altra sua passione: il Napoli. La ragazzi e ragazze con una diversa disasua stanza è tappezzata dei poster dei campioni della sua squadra del cuore, bilità: il tutto funziona grazie al lavoro e, ovviamente, è tutta dipinta di azzurro. Negli ultimi anni Franco non è stato degli operatori e dei tanti volontari, bene; in ospedale le sue condizioni erano considerate critiche, ma ancora una presenti ogni giorno. Le attività e i lavolta si è ripreso alla grande, al punto da scrivere una nuova versione del suo boratori variano dalla sartoria alla pitlibro. Franco ha anche tanti amici, come Chiara e Matteo, volontari che si tura, dal giornalino al teatro, dalla danprendono cura di lui e vanno continuamente a trovarlo. Questi due giovani za al tennis, dal teatro allo shiatsu. fungono anche da interpreti: Franco, infatti, riesce ad emettere un suono La redazione del nostro giornalino per volta, così lettera per lettera le sue parole vengono decodificate dai suoi è composta da un capo e un vicediretgiovani interpreti. Ma il suo linguaggio è quello delle emozioni, che riesce a tore e loro hanno compiti ben precisi. suscitare in chi lo ascolta, e probabilmente non avrebbe neanche bisogno di Gli argomenti sono molto interessanti, interpreti! E le stesse magiche emozioni traspaiono dai suoi quadri, che ha ma bisogna anche rispettare le date di esposto al pubblico nel corso della presentazione. Non disabile, ma multiabile. scadenza, per permettere la pubblicaAntonio Minutolo zione degli articoli.

Il racconto

Comprare il libro mi è costato, ma ho scoperto una vita magnifica

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Il personaggio

Storia e arte di Franco Leo, disabile dal cuore di guerriero La tetraparesi spastica è una forma di paralisi cerebrale che colpisce sia gli arti inferiori che superiori. Chi ne è affetto è costretto su una sedie a rotelle, e dipende completamente dalle persone che gli stanno accanto. Una situazione gravosa per chi la vive in prima persona, e anche per i parenti, che conducono una vita difficile, fatta di continui sacrifici per la persona che si ama, la cura della quale non è delegabile a nessuno. Certo, si chiede aiuto. Ma molte volte è la società che non dà uno sguardo, che ignora queste voci fragili, che chiedono una mano, tappandosi le orecchie con colpevole indifferenza. Eppure molte di queste famiglie trovano la forza per andare avanti, proprio grazie al coraggio dei parenti diversamente abili. Ci sono state storie entrate nella leggenda e storie di altre persone coraggiose, i cui nomi rimangono sconosciuti. Quello di Franco Leo (nella foto a lato) ricorda un po’ quello di Riccardo Cuor di Leone, perché a suo modo anch’egli é un cavaliere, anch’egli é un leone. La sua storia inizia a Battipaglia il 2 maggio 1969. Franco non possiede il controllo delle braccia e delle gambe ed é affetto da disturbi del linguaggio. Sono poche le persone in grado di capirlo. Eppure, ragazzo, non si dà per vinto, e combatte ancora oggi la sua battaglia contro le limitazioni derivanti dalla sua condizione. Coloro che hanno avuto la fortuna di conoscere Franco di persona, l’hanno definito un genio. Qualcun altro potrebbe definirlo un eroe, che guarda al futuro con una speranza, da comunicare a quanti gli stanno attorno. Proprio lui fra tanti, si fa strada in questo mondo e lo fa attraverso un computer. Con un apposito apparecchio é in grado di pigiare alcune lettere e di muovere il cursore di un mouse. In questo modo é in grado di creare capolavori d’arte digitale, attraverso il programma Cad, e alla stessa maniera ha scritto un libro, Dio parla al mondo attraverso un disabile, che, giunto alla seconda ristampa, é stato presentato il 14 novembre nella cappella del Santo Rosario, a Salerno. Con il ricavato di questo libro, Franco è intenzionato a compiere un ulteriore passo avanti: comprare un pulmino dotato di pedana elettrica, che faciliterebbe notevolmente il lavoro di chi si occupa di lui. Difatti, non potendo muoversi ed essendo costretto su una sedia a rotelle, la madre é obbligata a sollevarlo in spalla per adagiarlo sul vecchio pulmino, sprovvisto di pedana automatica. Ma sua madre è anziana e non ce la fa più a sollevarlo… la pedana elettrica è assolutamente necessaria. Il ricavato della prima ristampa era stato invece devoluto alle Missioni Saveriane in Africa. E questo ci permette di conoscere ancora meglio Franco Leo, un sognatore, così lo definiremo, uno di quelli che si attiva affinché i sogni non siano destinati a rimanere tali; un uomo che sa volare in alto e vedere cose che noi possiamo soltanto immaginare o, magari, provare a percepire attraverso le sue parole e attraverso la sua arte. E sono queste storie, conosciute e sconosciute, che dovrebbero essere insegnate, poiché rappresentano una lezione di vita, per coloro che in questo mondo pensano solo a sé stessi. Attraverso queste storie capiamo che la luce si nasconde dietro qualsiasi porta, basta solo trovare il coraggio di aprire quella porta e attraversare la soglia che ci intimorisce, per divenire anche noi un po’ cavalieri coraggiosi di questo mondo pieno di paure e problemi. Angelo Pierri

Il tennis ci piace tanto e speriamo di poterlo sempre praticare con il nostro maestro Michele: grazie a questo sport stiamo in movimento, possiamo giocare e passare qualche ora all’area aperta. Sarebbe bello poter praticare anche altri sport. Quello però che ci rende più felici sono le recite, che ci permettono di dimostrare ai nostri familiari e ai nostri amici quello che sappiamo fare, e inoltre è un nostro modo per dire grazie agli operatori che fanno tanto per noi. Non meno importanti sono le uscite organizzate: infatti, spesso andiamo a mangiare la pizza, o vediamo un film al cinema o ancora ci si organizza per un pranzo al parco, nelle belle giornate.

Siamo ragazzi fortunati In particolar modo, la settimana più bella è quella che trascorriamo in un villaggio turistico, nel periodo estivo: lì ci divertiamo in spiaggia, balliamo e cantiamo fino a tarda sera. Grazie a questi momenti, tra di noi si sono create delle vere amicizie; non neghiamo che a volte si litiga, ma come dicono quasi sempre i nostri operatori: «I litigi sono la dimostrazione del bene che ci vogliamo». Insomma ci reputiamo ragazzi davvero fortunati, perchè possiamo trascorrore giornate ricche di entusiasmo e armonia, grazie alle persone che sono insieme a noi quotidianamente; forse un lavoretto o più attività sportive ci farebbero stare ancora meglio, ma non intendiamo certamente lamentarci. Ci fa soffrire guardare la televisione e venire a sapere le storie dei falsi invalidi, perché loro non devono certamente far fatica a spostarsi, non devono costringere i loro genitori ad accompagnarli a fare delle commissioni, anche le più piccole e semplici: vi assicuriamo che non è un dono da poco essere autonomi nella società di oggi. Quindi, se potete godere di questo privilegio, non lo sprecate per qualche euro.

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dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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catania Il Palazzo del cemento, a Librino, teatro di un grave incidente. Degrado colposo, in una periferia non priva di potenzialità

Cristian giocava nel posto sbagliato di Gabriella Virgillito

Degrado, reale e simbolico Il buco nel Palazzo di cemento, a Librino, da cui è caduto il piccolo Cristian. A destra, sporcizia e macerie sotto l’edificio, grande “incompiuta” del quartiere, già tempio dello spaccio, da qualche mese oggetto di un’approssimativa messa in sicurezza

62. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013

É una tranquilla domenica di novembre, l’aria è ancora mite, l’inverno da queste parti tarda sempre ad arrivare. Sono circa le sei del pomeriggio e un gruppo di ragazzini gioca a nascondino per i cortili del quartiere. Anche Cristian, 12 anni, corre tra loro. Il centro per minori Talità Kum la domenica è chiuso e per i piccoli non esiste altra possibilità che giocare per strada. Non ci sono, infatti, altri luoghi di ritrovo o altre strutture dedicate a loro. Ma fin qui tutto normale, o quasi. Il problema è che il luogo dove si svolge la scena è un quartiere satellite della periferia di Catania: Librino, quartiere abbandonato dalle istituzioni, dove si è costretti a vivere nel degrado e nell’incuria. Ed è per questo che il gioco di Cristian finisce con una brutta caduta all’interno di un buco nel pavimento del “Palazzo di cemento”. L’edificio, simbolo dell’abbandono di questo quartiere di Catania, è stato sgomda del genere: «È un fatto grave che un berato nell’aprile scorso dalle famiglie edificio cittadino venga lasciato in conche vi abitavano abusivamente, e mudizioni di così importante pericolosità – rato per volere del comune. Si è deciso, ha dichiarato Giuliana Gianino, reponinfatti, che questo fosse l’unico modo sabile del centro Talità Kum, che si troper risolvere il problema dello spaccio va a pochi passi dal Palazzo di cemendi droga che da anni si svolgeva all’into –; più volte gli abitanti del quartiere e terno del “palazzaccio”. Dopo questo innoi operatori del centro avevamo setervento, però, nulla si è più fatto per gnalato il problema all’amministrazioporre in sicurezza l’edificio, ormai ridotne cittadina, ma senza successo». to un cumulo di macerie e detriti. L’assessore alle politiche sociali del Il palazzo di cemento, da centrale dello spaccio, si è dunque trasformato nel parco giochi dei bambini del quartiere, che nonostante i richiami dei genitori e degli operatori del Talità Kum, riuscivano sempre a introdursi all’interno dello stabile, peraltro abbastanza facilmente accessibile, esponendosi ai pericoli di un luogo malsano e fatiscente.

Cristian ha rischiato grosso Sono passati pochi mesi. Ed è stato subito dramma. Cristian, cadendo da circa tre metri, ha riportato un grave trauma cranico e diverse fratture, che hanno reso necessario l’immediato ricovero nel reparto di rianimazione di uno degli ospedali cittadini. Dopo la caduta, il bimbo è rimasto per ore in coma farmacologico, ma per fortuna si è salvato. Rimane lo sconcerto per una vicen-


scarpcatania Il progetto

Randagi, non più un problema: addestrati, si rivelano utili

comune di Catania, Carlo Pennisi, ha difeso l’amministrazione, giustificando la mancanza di interventi adeguati con la drammatica situazione delle casse comunali, che non avrebbe consentito di acquistare il cemento necessario per tappare il “buco”. Adesso, dopo la vicenda occorsa a Cristian, quel famigerato buco è stato finalmente tappato e il Palazzo di cemento transennato. Ma Librino rimane il simbolo della trascuratezza in cui troppo spesso versano i quartieri periferici del nostro paese. Eppure, per chi lo conosce, Librino, non è solo il luogo del degrado, ma è anche un posto ricco di fermenti, di potenzialità, un posto da dove è possibile partire per cambiare in meglio la nostra città. Potenzialità finora purtroppo non valorizzate, quelle del quartiere Librino di Catania.

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”Triage” è il nome di un interessante progetto sociale, nato da pochi mesi in alcune località della Sicilia orientale. Protagonisti, i cani randagi. Le associazioni di volontariato che stanno portando avanti il progetto sono tre: Zampa amica, Mi fido di te e La vita a sei zampe. I cani vengono addestrati per importanti finalità, tra cui il tenere compagnia agli anziani e ai disabili, la pet terapy con i bambini, l’addestramento a cercare e trovare le persone che si smarriscono nei boschi. «É un progetto a scopo sociale, interamente finanziato dalle nostre associazioni – spiega Giampaolo Pizzimento, vicepresidente di Zampa amica –. Accogliamo i randagi abbandonati o dispersi, in ricoveri di proprietà dei soci, e prima di iniziarne l’addestramento, avvalendoci anche di un supporto veterinario, ci occupiamo di controllare e recuperare lo stato di salute e il benessere psico-fisico degli animali, non sempre in condizioni ottimali, a causa degli abbandoni o dei maltrattamenti subiti». Gli addestratori sono tutti volontari ma di provata esperienza; al momento sono 27 i cani in addestramento. Le attività sono riconosciute dall’Ucis, la federazione che disciplina l’impegno delle unità cinofile italiane per il soccorso. Le modalità di addestramento sono molteplici, e vengono scelte in base al carattere e all’attitudine dell’animale, così che possa svolgere l’attività che gli è più consona. «Tutti i cani vengono educati – tiene a sottolineare Pizzimento –, ma quelli che alla fine non verranno ritenuti idonei a svolgere il servizio, saranno donati a privati o posti in adozione. Vorremmo ampliare il progetto coinvolgendo altre comunità di cinofili; a tale scopo sono stati avviati contatti con comunità sensibili ai temi del recupero e del reinserimento dei randagi». È un progetto importante, grazie al quale i randagi non rappresentano più un problema per la collettività, bensì diventano un’utilità sociale e un valore aggiunto: quando si instaura un rapporto tra uomo e cane, si viene a creare un reciproco benessere. Sissi Geraci

Poeta “invisibile”

A Tony il premio “Labisi”: «Come un lampo nel buio» Permettete che mi presenti: sono Tony Bergarelli, alcuni di voi mi conoscono grazie alle mie poesie apparse sui numeri precedenti di Scarp de’ Tenis, altri perché, essendo una persona senza dimora, ho l’opportunità di vendere il mensile nelle parrocchie della mia città, altri ancora perché hanno condiviso con me situazioni di disagio sociale. Con tutti voi, ma anche con altri che ancora non mi conoscono, voglio condividere (in spirito cristiano) una notizia che ha suscitato in me tanta gioia: quella di aver ricevuto un premio per una composizione poetica. Il poeta “invisibile” (come amo definirmi) a un tratto ha preso forma e consistenza, ritornando per un attimo nel mondo dei “normali”. Il premio di poesia 2012 “Carlo Labisi” mi è stato assegnato il 9 novembre per la poesia “Guardaci”, composta in occasione della mostra fotografica “Poveri Noi”, tenutasi a Catania a giugno alla libreria Feltrinelli. A chiusura di questa mia comunicazione dirò che questo premio è stato per me come “un lampo nel buio”, perché, come recita la mia ultima poesia, scritta in occasione della Giornata mondiale di lotta alla povertà, “siamo in balia del buio sovrano, un senza dimora è come se non fosse mai nato”. Tony Bergarelli dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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poesie di strada

Sete e Respiro Si muore di sete… Sto morendo di sete sto soffocando mi manca il respiro… Due cose sono certe: si muore di sete e mancanza di fiato… Il demonio ci sta portando via l’acqua, la coca cola e l’ossigeno… per prendere fiato… il mio corpo è triste; anzi disperato! Silvia Giavarotti

Arrivederci Quella primavera finestra Arrivederci primavera, poiché il grigiore ha coperto i vivaci colori della natura allietandoci della frescura di un leggero venticello che a ognuno di noi, nel cuore, ha portato il sereno, ha portato il bello. Arrivederci estate, che mi fai ricordare con gioia quella meravigliosa giornata quando nella dolce melodia del cinguettio degli uccellini ai piedi di quella cascata dolcemente ti ho amata. Sotto la pioggia vi dico arrivederci, mentre cammino per la via con nel cuore una profonda nostalgia. Mr Armonica

Note di natale Eco di voci antiche sempre nuove quell’allegro vagare dei discorsi in festa… di melodie nostalgiche amabili trascorsi care, struggenti note di Natale. Corollario di pace percettibile essenza di poesia. Gioia di bimbi intorno a piene mani nell’aria lieta del fumo di castagne dello zucchero a velo. Passi affrettati nelle vie quindi la casa con le sue certezze e il sapere amaro delle assenze. Aida Odoardi

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Una finestra ferrata riesce e dividere la mia vita, può essere attraversata dalla mia fantasia, una fantasia disperata per il rimpianto di avere ucciso i tuoi desideri e il mio futuro. Rileggo pagine e pagine del mio passato, che rimane nel mio presente. Questa finestra ferrata ne testimonia la realtà. Ricerco, nell’ottimismo, la strada che rimane e, forse, una speranza recuperata mi distoglie dal buio della sera. Stasera, dopo tutto il tempo perduto, guardando attraverso la “solita” finestra ferrata vedo un panorama diverso che mi colpiscee. Lontano vedo una stella che sembra parlarmi, ma fatico a sentire le sue parole. Pian piano si fa sempre più chiara e, come in una fiaba, le sue parole si trasformano in canto melodioso. Rimango ipnotizzato e fissando, a occhi chiusi, la “mia stella” la voglia di rispondere si fa forte e necessaria. All’improvviso si illumina ancora più, il suo bagliore mi fa rabbrividire perché vedo un viso stupendo e rigoglioso che mi sorride e senza una parola svanisce. Era lei…mia madre, la stella che mi ha sempre seguito. Ciao mamma a domani. Domenico Casale


ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Tobin tax: da undici quale viviamo, come l’agenda paesi Ue un primo sì alla tassa per il buon vivere, come sulle transazioni finanziarie. In arrivo l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. un freno alla speculazione finanziaria? Ventuno è la nostra di Andrea Barolini idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e ventunostili Operatori sociali o l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno. imprenditori del bene? Colloquio con

Stefano Zamagni, per capire il futuro del terzo settore nel nostro paese

21 di Francesco Chiavarini

ventunostorie Vado dal dentista. A Bucarest... Il boom del turismo dentale. Meno costi, ma anche meno qualità e meno garanzie

di Giovanna Mariani

ventunorighe Guerre, tra mercati e debolezze politiche

di Paolo Beccegato Caritas Italiana

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21ventunodossier Undici paesi Ue (Italia compresa) hanno accettato di prendere parte a una cooperazione rafforzata per introdurre la Tobin tax

La crisi pagata da chi l’ha prodotta dossier a cura di Andrea Barolini

Non sarà la panacea di tutti i mali. Ma la tassa sulle transazioni finanziarie ha in sè elementi innovativi e positivi. Dovrà essere accompagnata da riforme su vasta scala, da troppo tempo chiuse nei cassetti dei commissari Ue e dei governi nazionali, e senza le quali rischia di essere vana. Ma le sue potenzialità sono rilevanti, per arginare gli effetti peggiori della speculazione finanziaria e rendere disponibili capitali con i quali finanziare il rilancio delle economie reali

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Gli effetti della Tobin

Finalmente un freno alla speculazione La notizia, per una volta, è forse più in cosa non è successo, piuttosto che in ciò che è accaduto. Partiamo, in ogni caso, dalla seconda parte: il 9 ottobre la campagna internazionale per l’adozione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf, entrata nel gergo giornalistico come Tobin tax) ha raggiunto il suo primo grande successo. Undici paesi membri dell’Unione europea (Germania, Francia, Austria, Belgio, Portogallo, Slovenia, Grecia, Slovacchia, Estonia, Spagna e Italia) hanno accettato di prendere parte a una “cooperazione rafforzata” per introdurre la tassa. Lo strumento utilizzato indica che non è stato possibile ottenere l’unanimità nel consesso comunitario (è nota, ad esempio, la netta contrarietà del Regno Unito, che vuole salvaguardare la propria piazza finanziaria). Ma dimostra anche la volontà di alcuni paesi di non perdere più tempo. velli record è anzi sceso. Perfino sensiE, soprattutto, di non volere dar credito bilmente. Restano vive però – sempliai detrattori del provvedimento, che da cemente perché ancora non c’è stato tempo parlano in termini catamodo di verificare gli effetti strofici delle conseguenze della tassa alla prova dei della Ttf. fatti – le altre (a volte feVeniamo dunque al roci) critiche che hanprimo punto, ovvero a no accompagnato ciò che non è successo. l’annuncio della cooDi terribili “risposte” dei perazione rafforzata. mercati, fin qui, non se In particolare il fatto ne è infatti vista l’ombra. che la tassa sarà in graPrendiamo l’Italia: nelle do di raccogliere un gettiprime settimane successive to limitato, il fatto che darà alla notizia dell’imminente introun “colpo” alle piazze finanziarie duzione della tassa, il famigerato delle nazioni che la applicheranno, il spread (il differenziale tra i nostri titoli fatto che saranno i piccoli risparmiatodi stato e quelli più sicuri in Europa, ovri a pagarla. vero quelli tedeschi, misura della fiduRiguardo al primo punto, valgono cia nel paese) lungi dallo schizzare a lile previsioni dello stesso governo, che


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con una stima estremamente cauta ha parlato di un gettito pari a un miliardo di euro. Quanto alla paventata “fuga” degli operatori verso piazze esenti dalla tassa, basti ricordare che quando il governo inglese impose una tassa straordinaria sui bonus dei banchieri si prospettò la stessa conseguenza (il sindaco di Londra, Boris Johnson, aveva addiritttura incautamente previsto la partenza di almeno novemila dipendenti di compagnie finanziarie): ma poi l’esodo non si è mai verificato. Quanto al terzo punto, ovvero i dubbi su chi sarà colpito realmente dall’imposta, è sufficiente ricordare che il prelievo sarà applicato (salvo sconvolgimenti decisi dai singoli governi) su ciascuna transazione: e se dunque è vero che anche il piccolo risparmiatore dovrà pagare la piccola quota richiesta, chi davvero dovrà rinunciare a cifre altissime sarà chi movimenta grandi capitali e chi ama effettuare numerose transazioni. In una parola, gli speculatori: è il caso ad esempio di chi sfrutta il cosiddetto high frequency trading, ovvero i sistemi informatici basati su complessi algoritmi che consentono di effettuare

migliaia di transazioni al minuto, in grado di generare potenzialmente veri e propri terremoti nei mercati. Si potrà colpire dunque quel sistema finanziario che ha dato prova di saper mettere a rischio la tenuta dell’economia mondiale (la crisi che stiamo vivendo, generata proprio dalla bulimia della finanza, ne costituisce la prova più lampante) e che non è riuscito a dare alcun valore aggiunto al benessere delle collettività.

La campagna zerozerocinque Ancora, sarà possibile per la prima volta tentare di porre un freno alla crescita esasperata (ed esasperante) dei prodotti derivati, ovvero di quegli strumenti nati con l’obiettivo di garantire una copertura a chi investe e che invece si sono trasformati in pericolose macchine speculative. «Si tratta di transazioni assai poco utili all’economia reale, aumentate vertiginosamente negli ultimi tempi. Tra il 2000 e il 2009 i derivati Otc (over the counter, ovvero quelli non scambiati su piattaforme ufficiali, ndr) sono aumentati del 642%, mentre il prodotto interno lordo è aumentato solo del 26%», spiega Leonardo Becchetti,

professore di economia all’università Tor Vergata di Roma. Impossibile credere che una mole così ingente di scambi sia attribuibile alla sola necessità di copertura del rischio negli investimenti. Per questo, conclude il docente, «la riduzione di queste operazioni è uno degli obiettivi della tassa sulle transazioni». Con ciò non si vuole sostenere che la Ttf sia la panacea di tutti i mali. Al contrario, essa dovrà essere accompagnata da una vasta serie di riforme che restano da troppo tempo nei cassetti dei commissari europei e dei ministri dei paesi membri. La tassa sulle transazioni, tuttavia, consentirà di rastrellare capitali importanti, grazie ai quali si potrebbero finanziare, finalmente, operazioni finalizzate al rilancio delle economie reali. Di certo, i rischi sono in agguato. Basti pensare, ad esempio, alla prospettiva delineata nei mesi scorsi dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che ha suggerito di destinare gli introiti alla creazione di un fondo ad hoc per il salvataggio delle banche. Il che significherebbe far uscire i capitali dalla porta e farli rientrare dalla finestra – o, meglio, dadicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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L’allarme

Il governo Monti “salva” banche e derivati? Mentre questo numero di Scarp va in stampa, la campagna italiana che si è battuta per l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie è in allarme. Notizie apparse sulla stampa nella seconda metà di ottobre hanno parlato infatti di una volontà di modificare la natura stessa del prelievo fiscale sulle transazioni finanziarie da parte di Palazzo Chigi. Il governo Monti starebbe infatti valutando la possibilità di “salvare” le banche, cancellando la Ttf per quanto riguarda i prodotti derivati. Il che significherebbe, in sostanza, tre cose: anzitutto rinunciare a una parte cospicua di introiti; in secondo luogo, evitare di colpire alcuni tra gli elementi che più mettono a rischio la tenuta del sistema (è noto che i derivati sono tra i responsabili della crisi attuale); da ultimo, concedere l’ennesimo regalo alle banche, lasciando pagare la tassa solo ai piccoli risparmiatori. Se le indiscrezioni fossero confermate, la tassa sulle transazioni sarebbe semplicemente distrutta. Sarebbe infatti limitato fortemente uno dei suoi elementi principali: la capacità di arginare speculazioni. E qualcuno, c’è da scommetterci, spiegherà con piglio accademico che si è trattato di un provvedimento inutile. La prima reazione è stata affidata il 22 ottobre a un ordine del giorno del Pd sulla legge di stabilità, relativo proprio alla Tobin tax: si chiede di “non esentare nessuno dal pagamento della tassa, soprattutto per quanto riguarda i derivati”. Il testo è stato approvato quasi all’unanimità (433 favorevoli, 6 contrari, 8 astenuti). Nonostante il parere incredibilmente contrario del governo...

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gli sportelli – degli istituti di credito. «Continueremo, con ancora più forza, la nostra attività di sensibilizzazione della cittadinanza e di pressione sulle istituzioni per vigilare sulle modalità di applicazione della tassa – ha spiegato in proposito Andrea Baranes, portavoce della campagna Zerozerocinque, che da anni si batte per

la Ttf –. La dimensione della finanza è tale per cui anche un’imposta dello 0,05% permetterebbe di generare ogni anno risorse significative, che chiediamo al governo italiano di utilizzare per sostenere il welfare nel nostro paese e per onorare i nostri impegni a livello internazionale in tema di cooperazione allo sviluppo e contra-

La finanza al servizio di se stessa

Un cavo sotto l’oceano, affari in nanosecondi Potrà sembrare strano, ma per comprendere quanta strada si debba ancora fare per imporre al mondo della finanza un funzionamento al servizio dell’economia reale, e non di se stessa, sarebbe utile fare un tuffo nell’oceano. Sul fondo dell’Atlantico è un cavo per il trasferimento di dati ad altissima velocità. E fin qui nulla di strano: siamo nell’epoca dell’informatizzazione... Ciò che colpisce, però, è che la Hibernia Atlantic, società statunitense che gestisce il collegamento, abbia avviato il progetto di posa di un nuovo cavo, per la modica cifra di 300 milioni di dollari. Il nuovo sistema collegherà i mercati finanziari di Londra e New York, e sarà in grado di veicolare ordini di acquisto e vendita in soli 59,6 millesimi di secondo. La velocità attuale è 64,8 millesimi. Avete cavigore dovrà essere prima ratificato dai pito bene: 300 milioni di dollari per guagoverni dei paesi membri. Così come dedagnare 5,2 millesimi di secondo. Possivono ancora essere approvate le regole bile? Possibile, perché quei pochi attimi che consentirebbero alla European Secu«possono significare milioni di dollari rities and Markets Authority di bloccare per chi utilizzerà i nostri cavi», ha spiegale compravendite di prodotti considerato all’agenzia Bloomberg Joseph Hilt, diti troppo rischiosi. rigente di Hibernia. Eccola la speculazioUn altro capitolo delle riforme nell’ane: iper-tecnologica, sofisticata, capace genda comunitaria riguarda la possibile di muovere menti e strumenti tra i più unione bancaria. Pochi mesi fa, il reavanzati del pianeta. Eppure vulnerabile, sponsabile del gruppo di esperti europei a patto che ci sia una volontà politica, diffusa, di contrastarne l’avanzata. Condiincaricati di valutare la questione ha prozione che, finora, solo in rarissimi casi posto di separare le attività di investment sembra essersi verificata. banking (banca d’affari) da quelle retail Prendiamo i derivati: alla fine dello (principalmente i depositi dei piccoli riscorso mese di settembre la commissiosparmiatori), sulla falsariga di quanto ne affari economici e monetari dell’Eucontenuto nella riforma della finanza roparlamento ha adottato un rapporto, americana (il Dodd-Frank Act). Ciò conscritto dal deputato tedesco Markus Fersentirebbe, almeno sulla carta, di miniber, che prevede una “riorganizzazione” mizzare le ricadute di eventuali nuove del mercato di tali strumenti finanziari. crisi, “isolando” le banche d’affari da L’obiettivo è duplice: ridurre gli scambi quelle che raccolgono il risparmio delle over the counter e ridurre la speculazione persone comuni. soprattutto sui contratti futures (attraverAncora, è in fase di approvazione una so i quali si può ritardare un acquisto, riforma del cosiddetto high frequency “giocando” sullo scostamento di prezzo trading, ovvero lo sfruttamento di comche si può verificare nel frattempo), in plessi algoritmi computerizzati per effetparticolare per quanto riguarda le matetuare migliaia di transazioni al secondo, rie prime. Tutto ciò, però, per entrare in sfruttando le piccolissime oscillazioni di


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sto dei cambiamenti climatici». I governi avranno, inoltre, la possibilità di sfruttare il gettito per alleggerire le manovre di austerity: sia perché in tal modo si riuscirebbe a far “respirare” cittadini e imprese, restituendo magari un po’ di slancio ai consumi e agli investimenti, sia perché – diciamolo francamente – la

miccia della crisi attuale è stata accesa dai comportamenti riprovevoli di banche, fondi di investimento e grandi compagnie finanziarie. Al loro precipitare i governi hanno risposto con una mano tesa. E piena di denaro pubblico (dunque di proprietà della collettività). Subito dopo, hanno chiesto a noi cittadini di rimpinguare le

loro casse prosciugate. Se la tassa sulle transazioni sarà in grado di far pagare, almeno in parte, quel mondo che ci ha messi in ginocchio, e riuscirà al contempo a far tornare qualcosa nelle tasche dei cittadini (in termini monetari, sociali o occupazionali), avrà assolto appieno al suo compito.

prezzo. Si tratta di un’altra pratica speculativa che, date le quantità di capitali in ballo, è in grado di modificare il corso dei listini. Per questo si chiede che i computer siano impostati in modo da far passare almeno mezzo secondo tra l’attivazione di un’offerta di acquisto o di vendita e la sua successiva modifica.

somma lettera morta. Da tempo i parlamentari europei hanno insistito sulla necessità di imporre un reporting “paese per paese”, chiedendo cioè a tutte le multinazionali del vecchio continente di specificare ogni attività effettuata in ciascuna giurisdizione. Eppure i governi tentennano. Nel frattempo, i tax haven sorridono. Nel libro Le isole del tesoro, il giornalista inglese Nicholas Shaxson ha indicato in seimila miliardi di dollari la spaventosa cifra relativa ai capitali sottratti in tutto il mondo dai paradisi fiscali. Il solo Regno Unito perde ogni anno circa 20 miliardi di sterline. E attenzione: il libro sottolinea che non dobbiamo prendercela unicamente con i soliti noti. Jersey, Cayman o Liechtenstein sono solo la punta dell’iceberg: nel mirino del giornalista ci sono infatti anche Irlanda, Hong Kong, Lussemburgo, Paesi Bassi, Ghana, lo stesso Regno Unito e, naturalmente, la Svizzera. D’altra parte, uno studio pubblicato dall’associazione Tax Justice Network ha indicato in almeno 21 mila miliardi di dollari il valore complessivo degli asset finanziari detenuti presso i paradisi fiscali di tutto il mondo. «Si tratta di qualcosa come la somma del valore di due economie come Stati Uniti e Giappone», ha sottolineato la ong, che ha specificato come la cifra possa essere perfino sottostimata. Per capire di cosa stiamo parlando è sufficiente un piccolo “giochino”. Immaginiamo che questi capitali, nascosti al fisco dei paesi di origine da chi li possie-

de, garantiscano ai proprietari un rendimento medio anche piuttosto basso. Poniamo un 3% annuo. E ammettiamo che fosse possibile tassare tale rendita da capitale al 30%. Bene, in questo modo si potrebbe generare un flusso fiscale complessivo compreso tra i 190 e i 280 miliardi di dollari. Ovvero il doppio di tutti gli aiuti allo sviluppo versati ogni anno dai paesi ricchi dell’Ocse. E allora, perché mai i governi preferiscano continuare a innalzare l’età pensionabile, tagliare i fondi destinati alla scuola, alla sanità e alla ricerca, congelare gli stipendi dei dipendenti pubblici, imporre tasse sulla casa e incrementare l’Iva anziché – prima di tutto, o almeno contemporaneamente! – concordare un piano congiunto per recuperare almeno parte di questi capitali? Non sarà che si preferisce colpire chi è più scoperto, anziché i veri responsabili della crisi? O, peggio, non sarà che si vuole salvaguardare a ogni costo il modello di “sviluppo” attuale, nonostante abbia mostrato in tutto e per tutto il proprio fallimento? I governi sono al corrente del fatto che rintracciare i flussi di denaro verso i paradisi fiscali non sarebbe poi così difficile, visto che la maggior parte di essi è gestito da sole tre banche, le svizzere Ubs e Credit Suisse e l’americana Goldman Sachs? E, soprattutto, governi e parlamentari sono coscienti del fatto che solo rispondendo a queste domande potrebbero cominciare a colmare, almeno in parte, l’enorme deficit di credibilità che hanno accumulato nel corso di decenni?

I proclami del G20, lettera morta Ciò su cui invece sembra che ci si sia quasi completamente fermati è la questione dell’evasione fiscale. Il 29 settembre 2009, il direttore generale del colosso francese Bnp Paribas annunciò l’uscita del gruppo da tutti i territori presenti nella lista grigia dell’Ocse, che aveva censito le giurisdizioni “non cooperative”, ovvero i paradisi fiscali. A distanza di tre anni, però, non solo le promesse appaiono disattese, ma a rileggere la cronaca di quei giorni la sensazione è quella di una presa in giro: le banche non hanno affatto abbandonato i paradisi. Al contrario, hanno rafforzato la loro presenza: proprio mentre i governi di tutto il mondo occidentale stanno chiedendo ai cittadini enormi sacrifici, gli istituti di credito si guardano infatti bene dall’abbandonare i “buchi neri” della finanza globale. Secondo un rapporto di Ccfd - Terre Solidaire (Banques et Paradis Fiscaux, luglio 2012), Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole controllano oggi 513 filiali nei tax havens, mentre due anni fa la cifra non superava le 494 unità. I proclami del G20 di Londra, quando per la prima volta si puntò con decisione il dito contro i paradisi, sono rimasti in-

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21ventunostili La crisi morde anche il terzo settore: la spiazzante analisi di Stefano Zamagni, già presidente dell’Agenzia per le Onlus

«Largo all’impresa (sociale)» di Francesco Chiavarini

profit? «LaIl non politica lo colpisce, non per cattiveria, ma per deformazione culturale

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Snobbato da un governo che «ritiene di non valorizzarlo». Tradito dai politici, che «quando si è trattato di difenderne la causa sono spariti». Il terzo settore, secondo Stefano Zamagni, economista, consulente di Benedetto XVI per l’enciclica Caritas in veritate, ex presidente della soppressa Agenzia per le Onlus, si trova in una «situazione di crollo». Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Zamagni scommette che sulle ceneri del vecchio edificio ne sorgerà uno migliore. Che ospiterà non più semplici operatori sociali, ma creativi imprenditori del bene. Professor Zamagni, il terzo settore ha dimostrato di sapere tenere botta alla crisi. Secondo il Censis, la parte più simile all’impresa, le cooperative sociali, hanno aumentato il numero dei lavoratori (+17,3%) nell’ultimo triennio. Tagli al welfare e inasprimenti fiscali possono invalidare questa capacità di reazione? Il terzo settore ha una funzione anticiclica. Nelle fasi in cui la crisi colpisce l’economia è ovvio che aumentino i bisogni sociali. E se aumenta quest’area, il terzo settore ha maggiore peso. Tuttavia, l’attuale governo non ritiene di valorizzare


imprese sociali La partecipazione sotto la scure della spending review

Il governo taglia le rappresentanze, si consulterà con se stesso… Correva l’anno 2006 e l’allora ministro per lo sviluppo economico Bersani, insieme alle prime liberalizzazioni, aveva previsto, con il decreto legge 223, il “contenimento della spesa per commissioni, comitati e altri organismi” di cui la pubblica amministrazione si era dotata. Quella norma non ebbe molto successo, tanto che la legge finanziaria 2012 ha introdotto l’esplicito divieto, per le amministrazioni pubbliche, di istituire comitati, commissioni, consigli e altri organismi collegiali. Ma evidentemente anche questo proposito non si è rivelato efficace. Il governo Monti, con il decreto legge 95 (cosiddetto spending review, convertito in legge ad agosto) ha dunque cancellato tutti gli organismi collegiali operanti presso i ministeri. Si prevede che “a decorrere dalla data di scadenza (…) le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell’ambito delle quali operano”. Durante il

questa funzione. Ma è grave che non lo facciano neppure le forze politiche. Se i partiti avessero detto al governo che il terzo settore va rafforzato, l’esecutivo si sarebbe comportato diversamente. Purtroppo dobbiamo riconoscere di essere stati traditi dalla politica. Il governo ha fatto di tutto per togliere ossigeno, ma maggioranza e minoranza glielo hanno concesso. È un errore tragico. Il tempo, che è galantuomo, lo farà capire a tutti. Da dove nasce questo errore di valutazione? Alla base c’è una concezione della società

dibattito parlamentare sono state parzialmente recepite le proteste provenienti soprattutto dalla società civile: dall’abolizione si sono salvati l’Osservatorio nazionale per volontariato e associazionismo, quello per infanzia e adolescenza, il Comitato nazionale di parità, la Rete nazionale di consigliere e consiglieri di parità. Tutto il resto non c’è più, ad esempio (per citare organismi che hanno sempre visto attivamente partecipe Caritas Italiana) la Commissione di indagine sull’esclusione sociale, la Consulta nazionale del servizio civile e la Consulta delle associazioni per la lotta contro l’Aids. Si è preferito buttare il bambino insieme all’acqua sporca: invece di eliminare gettoni di presenza, compensi e rimborsi esagerati, si è abolita la funzione di consultazione, vitale per un’amministrazione pubblica che voglia monitorare l’efficacia del proprio operato e recepire le istanze che si producono fuori dal palazzo. Vorrà dire che da oggi lo stato… si consulterà con se stesso. [d.c.]

basata solo su stato e mercato. Un modello dicotomico, che impedisce di comprendere che una società evolve se si regge anche su un terzo pilastro: il terzo settore, appunto, che è poi la società civile organizzata. Poiché la cultura prevalente è ancora bipolare, non tripolare, quando sopraggiunge una fase di crisi si puntellano stato e mercato e si ignora il terzo pilastro, perché si ritiene che se ne possa fare a meno. Governo e politica non stanno colpendo il terzo settore per cattiveria o irrazionalità, ma per deformazione culturale. Che non consente loro di cogliere le specificità del nostro genius loci. Non si

può continuare ad andare a rimorchio di altre tradizioni di pensiero e di altre matrici culturali. Del prevalere di questa concezione è responsabile anche il terzo settore? Certo, una responsabilità ce l’ha, perché fino ad anni recentissimi ha preferito coltivare un rapporto preferenziale con le pubbliche amministrazioni, invece di affermare la propria identità e autonomia. Fino a che è durata la stagione delle vacche grasse e le amministrazioni hanno erogato convenzioni e bandito gare di appalto, il sistema ha funzionato. Ora che dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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di civiltà. È triste che non se ne percepisca rilevanza e urgenza.

gli enti pubblici non possono garantire le stesse risorse, tutto precipita. Poiché il terzo settore ha preferito vivere sotto l’ala protettrice del pubblico, ora è in difficoltà a protestare; se alza la voce, gli si potrà rimproverare di averlo fatto troppo tardi. Già dieci anni fa scrivevo che i soldi pubblici sarebbero stati una droga per il non profit, perché lo avrebbero reso dipendente. È sempre successo nella storia, purtroppo non lo si è voluto capire. In questa fase, tuttavia, non è facile trovare altre risorse. L’Istituto italiano delle donazioni ha definito il 2011 l’anno nero per il fund raising delle realtà non profit italiane. Un’organizzazione su tre ha visto diminuire le offerte liberali di cittadini e imprese. Dove attingere, allora? Le donazioni sono importanti. Ma la questione è rifondarsi sul modello dell’economia civile. I soggetti del terzo settore non sono portatori di acqua, non sono servi utili, sono imprenditori che operano senza il fine del lucro. Questo ragionamento lo dovrebbero capire anzitutto i cattolici, perché è stata la chiesa a inventare il terzo settore produttivo, addirittura nel Medioevo. Tutti i grandi ordini religiosi hanno fatto cose meravigliose – ospedali, scuole, ospizi – senza ricevere un soldo dallo stato, solo grazie alla loro intelligenza. Il primo imprenditore sociale è stato san Francesco. In epoca moderna, sono arrivati i vari don Gnocchi. Ed erano cattolici i fondatori di casse rurali, di mutue… Una lunga tradizione, che va recuperata. Trovo invece preoccupante che alcuni soggetti del terzo settore non vogliano sentir parlare di imprenditoria sociale. Essere imprenditori permette anche di attirare le donazioni dei privati: la gente è disponibile a dare i propri soldi se è convita che non saranno male utilizzati. La regola aurea della donazione è che i soldi non vanno a chi è nel bisogno, ma a chi dimostra di soddisfare i bisogni. Se raccolgo 100 euro e ne trattengo 70 per le spese dell’organizzazione, come posso pretendere che la gente mi affidi il suo denaro? Il terzo settore ha goduto in Italia di un regime fiscale favorevole. Il governo sull’aumento dell’Iva per le cooperative ha fatto parziale marcia indietro. Resta aperta la questione Imu. Si

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Teorico del terzo settore Il professor Stefano Zamagni, economista, docente a Bologna, consulente di papa Benedetto XVI per l’enciclica Caritas in veritate

dice che è l’Europa a volere un’armonizzazione. Difendere il sistema vuol dire proteggere privilegi? Aumentare l’Iva sarebbe stata una vergogna. E infatti si è deciso di tornare in parte indietro. Invece sull’Imu si continua a fare confusione. La distinzione tra commerciale e non commerciale poggia su presupposti sbagliati. L’Italia ha inventato il modello di terzo settore produttivo. Il mondo anglosassone, invece, ha sempre preferito il modello del terzo settore redistributivo. Considerare commerciale ogni attività economica che consiste “nell’offerta di beni e servizi al mercato”, come recitano le circolari europee, significa dunque fare violenza alla verità dei fatti. Perché mai l’Italia deve subire passivamente la giurisprudenza europea, che non vede – quindi non comprende – il non profit produttivo? Si tratta di intavolare, con pazienza ma con determinazione, un negoziato ad alto livello con gli organi europei, per spiegare la specificità italiana: l’Ue non è stata voluta per deprimere le identità nazionali. Ciò che si deve esigere dal non profit produttivo sono due cose. Primo, che alla base del suo agire non vi sia il fine lucrativo, dunque che non vi sia redistribuzione di utili a vantaggio di chi vi opera. Secondo, che si dimostri di produrre valore aggiunto “sociale” (Vas), cioè utilità sociale; Onlus – acronimo da me coniato nel 1997 – significa infatti “Organizzazione non lucrativa di utilità sociale”. Si tratta di una battaglia

Quali sono i provvedimenti più controproducenti assunti dal governo nei confronti del terzo settore? Purtroppo diversi. Non ha reso ordinaria le legge sul 5 per mille, non ha consentito alle imprese sociali di avere gli stessi sgravi fiscali delle cooperative sociali, non ha permesso alle cooperative sociali di accedere al fondo di garanzia aperto alle piccole medie imprese. Poi ha chiuso l’Agenzia del terzo settore, anziché dare vita a un’Autorità di settore, della cui necessità tutti ora si rendono conto. Inoltre, non si è voluto trasformare la bozza (già pronta) di riforma del Libro primo, Titolo quinto del codice civile. Non si è predisposto il regolamento per consentire alle Onlus l’emissione di titoli di solidarietà (possibile dal 1997!). E così via. La chiusura dell’Agenzia: scelta che lei, da presidente, ha duramente contestato… Come si poteva accettarlo? Passare le funzioni al ministero, dunque al governo, vuol dire impedire alle onlus di avere una voce terza, autonoma e indipendente. L’ultima Conferenza del volontariato, all’Aquila, non ha dato i risultati attesi, a detta di tutti. Non poteva che essere così. Da anni il volontariato attende la riforma della “sua” legge, che è ancora quella del 1991! Una parte dell’opinione pubblica, il mondo cattolico in particolare, ha auspicato che la crisi potesse essere l’occasione per ripensare il modello economico. Speranza svanita? Rispondo con Sant’Ambrogio: “Felice il crollo se la ricostruzione farà più bello l’edificio”. Ora è evidente che il terzo settore è nella situazione del crollo. Sia a causa della crisi, sia perché non viene valorizzato. Cioè, letteralmente, non gli si dà valore. Ma da questo crollo inizierà una nuova fase. E allora la crisi non sarà passata invano. Però bisogna avere il coraggio di trasformare gli operatori sociali, oggi meri esecutori, in imprenditori sociali, cioè in soggetti creativi, liberi. I cattolici hanno una lunga tradizione in proposito. Sono in grado di raccogliere la sfida, se recuperano la memoria di quello che sono stati e che possono essere.

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21ventunostorie Lo confermano le ricerche: gli italiani, in tempo di crisi, rinunciano al dentista. O percorrono vie alternative...

Vado dal dentista. A Bucarest!

Sono 5 mila? O 50 mila? In ogni caso, molti sono gli italiani che, complice la crisi, fanno rotta su Croazia, Romania o Ungheria per le cure odontoiatriche. Ma i dentisti italiani avvertono: «Occhio agli inganni: il prezzo non è tutto» Non è più la “paura” a tenere lontani gli italiani dagli ambulatori dentistici. Non è più solo la paura di stendersi sul lettino, sotto la luce fredda e con l’immagine del medico pronto a controllarti i denti. Non è più la paura, ma il portafoglio. Lo dicono i dati forniti dall’Associazione nazionale dei dentisti, che già nel 2010 aveva registrato 2,5 milioni di visite in meno e per l’anno 2011 prevedeva una ulteriore flessione del 46% nei ricavi professionali. Lo dicono i dati dell’Osservatorio sanità di UniSalute, la compagnia del gruppo Unipol specializzata in assistenza e assicurazione sanitaria, che ha evidenziato come gli italiani sopra i 30 anni evitino in particolare di andare dal dentista, soprattutto per via dei costi. Ci vanno, in molti casi, solo se costretti, quando sono preda di un forte dolore. La ricerca fornisce un altro dato interessante: 8 italiani su 10 conoscono

molto bene le voci di costo di alcune delle più comuni prestazioni dentistiche. I prezzi per la cura di una carie, così come per pulizia ed estrazione di un dente, sono infatti ben noti. Ulteriore conferma del fatto che gli italiani ritengano le spese dentistiche ormai insostenibili arriva quando, interrogati sulle visite mediche a cui rinuncerebbero a causa di possibili costi, il 35% indica le proprio cure odontoiatriche. E così, nella spirale della crisi, l’improvvisa necessità di farsi curare una carie o, peggio ancora, di dover subire l’applicazione di apparecchi protesici, può trasformarsi in un incubo. Il solo pensiero di oltrepassare la soglia di uno studio dentistico evoca il timore di dover affrontare costi troppo elevati, col deprecabile risultato che alcuni (forse molti) preferiscono rimandare negli anni interventi essenziali, rischiando, alla fine, significative conseguenze. E così, in caso

di necessità di cure odontoiatriche e alla ricerca di un possibile risparmio economico, in tanti (ma i numeri non sono definibili) hanno ceduto e cedono al richiamo del mito dei denti a basso prezzo. E raggiungono i paesi dell’Europa dell’est, nella speranza di ritrovare il sorriso perduto.

Il boom con Internet Propagandato da internet, dal passaparola e facilitato dalla difusione dei voli low cost, spesso con formula all inclusive, che associa alla proposta di cure e trattamenti di qualità la promessa di una piacevole vacanza, il boom del turismo dentale è iniziato già sul finire degli anni Novanta, inizialmente dal Triveneto verso la Croazia; oggi, grazie ai prezzi concorrenziali, appare come un fenomeno consolidato. Campagne di comunicazione non puntuali e redatte, spesso, in un improdicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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Welfare Italia e Consorzio Farsi Prossimo

Viale Jenner, la terza via possibile: cure di qualità rapporto di fiducia, a prezzi ridotti Quattro studi dentistici e sette ambulatori, con tariffe fino al 30% più basse della media del mercato. È l’offerta del nuovo poliambulatorio a prezzi calmierati, inaugurato in viale Jenner 73 a Milano. L’iniziativa è di Welfare Italia Servizi, ed è gestita a Milano dal Consorzio Farsi Prossimo salute, emanazione del sistema di cooperative legato a Caritas Ambrosiana. L’obiettivo dell’iniziativa è offrire risposte sanitarie di qualità, a prezzi contenuti rispetto agli altri soggetti privati e in tempi più rapidi rispetto alla sanità pubblica. Una scelta resa possibile dalla gestione, completamente in mano alle cooperative.

Non solo: il Consorzio Farsi Prossimo salute onlus si impegna a creare un fondo di solidarietà, che da la possibilità a soggetti e famiglie in difficoltà, pertanto considerati “non solventi”, di accedere in forma gratuita e anonima a tutte le prestazioni erogate dal poliambulatorio. Tra i pazienti ordinari, chi vuole può contribuire con una piccola quota (5 euro) al finanziamento delle cure gratuite per persone povere, attraverso la sottoscrizione di una Carta Salute che garantirà al sottoscrittore uno sconto del 20% su tutte le prestazioni del poliambulatorio; il Consorzio Farsi Prossimo

babile italiano, tendono a evidenziare il fenomeno d’un crescente esodo di cittadini occidentali, che soprattutto dal nord Italia (ma anche dall’Austria, Francia, Germania e Inghilterra) attraversano le frontiere per recarsi in Croazia, Slovenia, Serbia, Ungheria, Romania o Polonia, allo scopo di rimettersi a posto i denti a tempo di record. A reclutare clienti non sarebbe, solo,

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salute onlus raddoppierà questo contributo, contribuendo così ad alimentare il Fondo di Solidarietà. «Secondo l’Istat, il 56,8% degli italiani si rivolge a uno specialista privato anche per prestazioni sanitarie che sarebbero coperte dal sistema sanitario nazionale – dicono dal Consorzio Farsi Prossimo –. La tendenza a pagare di tasca propria, pur di ottenere una visita in tempi ragionevoli e da un medico fidato, riguarda tutte le specialità mediche della cosiddetta sanità leggera ed è andata aumentando nell’ultimo decennio. La conseguenza è che gli italiani spendono in media di più dei francesi, dei tedeschi, degli inglesi, ad esempio quando hanno bisogno di un dentista, di un ortopedico, di un oculista, di un cardiologo». Tale tendenza è però meno facilmente sostenibile in tempi di crisi economica. La proposta di Welfare Italia vuole dunque rappresentare «una terza via, capace di recuperare il meglio della tradizione mutualistica da cui proviene la lunga storia del movimento cooperativo». Il centro di viale Jenner, aperto da poco più di un anno, offre prestazioni in odontoiatria, cardiologia, ginecologia, medicina fisica e riabilitazione, fisioterapia, oculistica, dermatologia, psichiatria, logopedia, medicina sportiva. Nella struttura sono presenti quattro studi dentistici (al primo piano) e sette ambulatori (al secondo), in una superficie complessiva di 550 metri quadrati. Il personale è composto da medici specialisti, un manager operativo, un’infermiera, due addette alla reception, due assistenti alla poltrona, due addette alle pulizie e un impiegato amministrativo. Il centro è aperto da lunedì a venerdì ore 8.30-20; sabato 9-13. Welfare Italia Servizi è una società nata nel 2009, partecipata da Consorzio Cgm, Intesa Sanpaolo e Banco Popolare, con l’obiettivo di aprire in franchising, con operatori provenienti per lo più dal mondo cooperativo, centri specialistici nell’ambito della sanità leggera, cercando di coniugare la logica d’impresa con quella cooperativa e mutualistica delle imprese sociali a rete diffusa, radicate nei territori: da qui, la possibilità di fornire servizi di qualità a prezzo contenuto. INFO www.welfareitalia.com

l’offerta di prezzi scontatissimi ma, anche, la decantata alta professionalità dei dentisti d’oltre confine, gli studi moderni dotati di tecnologie di ultima generazione, nonché il rispetto dei tempi clinici e fisiologici (molto brevi) delle cure svolte sulla base di programmi concordati in precedenza ed eseguite, sempre, entro la data stabilita. Il notevole abbattimento dei prezzi, nei paesi dell’est, è

dovuto al reddito medio pro capite, al costo della vita, dei servizi e della manodopera, significativamente inferiori a quelli italiani; è un dato di fatto che i professionisti di casa nostra subiscono rilevanti costi di gestione degli studi, delle utenze e, non da ultimo, un pesante regime fiscale. È d’obbligo ricordare inoltre che, in Italia, le strutture sanitarie sono soggette a severe normative in-


turismo dentale

ternazionali. In ogni caso, ammonterebbe a circa 50 mila pazienti, secondo i dati elaborati dall’associazione Codacons, l’esodo che ogni anno si verifica dall’Italia verso studi dentistici dell’est; un cospicuo business, promosso da una miriade d’informazioni non sempre corrispondenti alla realtà, sulle quali occorre fare chiarezza. Non di rado, infatti, coloro che già hanno affrontato quest’esperienza denunciano trattamenti terapeutici eseguiti in condizione igieniche insufficienti e conseguenti gravi complicazioni, anche irreversibili.

Meno qualità e garanzie Non condivide i dati Codacons il dottor Valerio Brucoli, presidente del Cao (Commissione albo odontoiatri) di Milano, il quale afferma: «Una stima più attendibile calcola che, per risparmiare sulle cure, ogni anno non più di 5 mila persone si rivolgono ai dentisti dei paesi dell’est Europa e il saldo fra contenti e scontenti è nettamente in perdita. Premesso che il vero rispar-

Prezzi contenuti, ma cure di qualità Sopra e nella pagina a fianco, immagini del Poliambulatorio di viale Jenner, promosso da Welfare Italia e gestito da Consorzio Farsi Prossimo salute

te, insieme alle cooperative sociali di Caritas Ambrosiana; esso offre, a prezzi calmierati, prestazioni nell’ambito delle principali specializzazioni sanitarie (tra cui in primo luogo quelle odontoiatriche) e si avvale della collaborazione di medici altamente qualificati che operano negli ospedali di Milano e dell’hinterland. «Nel nostro centro – spiega Guanci – offriamo, in tempi rapidi, prestazioni di qualità a costi più bassi di quelli sul mercato, fino al 30%. La visita è importante ed esige la giusta attenzione per mettere a fuoco il paziente, con tutte le sue problematiche. Riguardo alla parte polispecialistica, si può dire che la visita standard (cardiologica, oculistica, fisiatrica, ginecologica etc.), fatta da medici con pluriennale esperienza, dura non meno di 40 minuti, è molto approfondita e non consente possibilità di errore. Le cure dentali sono particolari e non consentono una comunicazione standard del prezzo; nella normalità dei casi, un preventivo generico non viene rispettato, perché gli interventi sono co-

I dentisti: «L’offerta delle cliniche dell’est promette improbabili pacchetti che abbinano la terapia al turismo: una catena di montaggio che nulla ha a che vedere con la qualità» mio sta nella giusta prevenzione, l’offerta delle cure odontoiatriche, nell’Europa orientale, promette improbabili pacchetti che abbinano la terapia al viaggio turistico: una sorta di catena di montaggio che nulla ha a che vedere con la qualità delle cure e le garanzie assicurate dagli studi dentistici italiani. Non tutti gli impianti hanno il medesimo prezzo, la cura è qualcosa di più complesso del solo costo dei materiali e delle prestazioni». Brucoli tiene molto al concetto della qualità della cura: «Non possiamo sottovalutare il rischio che, dopo un intervento, emergano complicazioni. In uno studio di fiducia, il dentista è facilmente raggiungibile e risponde sempre del proprio operato, mentre nel caso di un dentista residente all’estero il paziente può essere costretto a un ulteriore viaggio con l’aggravio di nuovi costi e, nel peggiore dei casi, a una complicata causa di risarcimento». Soprattutto, sta a cuore al dottor

Brucoli l’importanza del rapporto fiduciario che deve instaurarsi tra medico e paziente: «Ciò che fa la differenza è il fatto che il tuo dentista ti conosce. L’opzione terapeutica non si può valutare in termini di mera convenienza economica. Nel momento di crisi, si attivano energie che derivano da un rapporto di fiducia. La richiesta della gente, in realtà, più che il mero risparmio è l’umanizzazione delle cure».

Un rapporto di fiducia A proposito del valore della relazione di fiducia medico-paziente, un parere che conta è quello di Carmine Guanci, presidente della cooperativa sociale Vesti Solidale (che dal 1998, promossa da Caritas Ambrosiana, aiuta soggetti svantaggiati e fragili a inserirsi nel mondo del lavoro e a reintegrarsi nella società), ma anche tra i promotori del Poliambulatorio di viale Jenner. Il Poliambulatorio è esito di un progetto di Consorzio Farsi Prossimo salu-

sì specifici da non consentire la definizione di un prezzo univoco. Si può dire quanto costa un’otturazione, non quanto costa un impianto, perché bisogna considerare l’estrazione del dente precedente, la rigenerazione ossea, la tipologia d’impianto fatta proprio su quel dente, e questo fa oscillare significativamente il prezzo. Il successo degli interventi d’impiantologia è legato al rispetto dei tempi biologici, che non possono essere previsti dopo una prima visita e i controlli devono essere eseguiti almeno una volta all’anno. Ovvio che il rapporto, costruito nel tempo con il proprio odontoiatra, debba essere di assoluta fiducia». Sta qui, la differenza fra le cure dentali tradizionali e quelle low cost: nel confronto quotidiano con la realtà, nel modo di concepire la professione medica di chi antepone il rapporto con il paziente al guadagno personale, nella certezza delle prestazioni erogate a costi adeguati.

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ventun righe di Paolo Beccegato Caritas Italiana

Guerre, tra mercati e debolezze politiche A partire dal 2006, il numero complessivo di conflitti armati, che dopo la fine della Guerra fredda era andato scemando, è tornato di nuovo a crescere: nel 2011 sono state 20 le guerre ad alta intensità combattute nel mondo, in riferimento a 14 paesi. Lo testimonia il recente rapporto “Mercati di guerra”, pubblicato da Caritas Italiana (Il Mulino). La guerra evolve rapidamente e assume forme indefinite, latenti e mimetizzate, che rendono difficile l’intervento di pace. Negli ultimi anni, uno dei fattori scatenanti delle nuove situazioni di conflitto risiede nella difficoltà degli stati nazionali a gestire l’impatto sociale della crisi economico-finanziaria, tramite politiche di sostegno sociale e redistribuzione delle risorse: è aumentato il grado di vulnerabilità sociale e si sono deteriorate le condizioni di vita di un gran numero di persone. Un altro aspetto caratteristico delle nuove forme di conflitto armato, risiede nel fatto che la violenza prolungata in tante aree “dimenticate” ha portato il bilancio delle vittime civili a livelli insopportabili, mentre persino il numero dei disastri naturali è quasi raddoppiato in vent’anni e la malnutrizione è tornata a crescere in modo preoccupante, superando il miliardo di vittime. A fronte di tali situazioni, si registra una fase di grande debolezza politica delle istituzioni internazionali: le Nazioni Unite sembrano essere diventate un’agenzia globale di aiuti, più che il forum politico universale che dovrebbe regolare le relazioni tra paesi e garantire il rispetto del diritto internazionale. Quella che ci attende, allora, è una sfida culturale: far nascere una fase nuova nelle relazioni internazionali, sulla base di quel tipo di coscienza che, in alcuni momenti della storia, come nel secondo dopoguerra, appariva diffusa tanto nell’opinione pubblica quanto nella comunità politica. Un’idea di solidarietà umana: l’idea che la gente abbia diritto a non soffrire e che l’altro non è entità astratta, ma persona reale, in carne e ossa. Il mio prossimo.

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lo scaffale

Le dritte di Yamada Sferragliando sotto la città, seduta sopra un seggiolino freddo del metrò,ho pensato a una delle scene più magiche del cinema (complice l’ascolto di Because the Night di Patti Smith). Questa scena è Claudia, Patagoniafamosissima anche perché, dal 1988, riluce nelle notti disegni Alaska, per per Asperger esplorare... televisive annunciando Fuori orario, il programma in cui enrico ghezzi (lo scrivo in minuscolo, come fa lui) Claudia Ferraris, George Meegan, propone film che mai altrove si vedrebbero, introdotti nostra ufficiale di marina, da un suo commento fuori-sincro che, da solo, vale collaboratrice, insegna scienze l’attesa della trasmissione. Tornando a bomba, è firma questo libro marittime per bambini in Giappone. Tra “la scena” surreale e sognante de L’Atalante, film Asperger, il 1977 e il 1983, che Jean Vigo iniziò a girare nel novembre del 1933 la sindrome ha compiuto in sui canali della rete fluviale francese. imparentata con 2.425 giorni la più Il regista sopravvisse pochi giorni alla “prima”, l’autismo. Un libro lunga camminata al cinema Colisée di Parigi, il 12 settembre 1934: morì a fumetti, del quale ininterrotta Claudia ha curato di tutti i tempi, di tubercolosi a 29 anni, riuscendo a vedere poco dei disegni e testi; attraversando travagli che segnarono la pellicola. I personaggi erano quattro storie, l’immenso tre, anzi quattro, anzi cinquantacinque: L’Atalante in cui le immagini continente (la chiatta); i due sposini Jean (comandante dell’Atasono preponderanti americano, lante) e Juliette (ragazza di campagna che lascia tutto rispetto al testo, dalla Patagonia con racconti lievi all’Alaska. Aveva per sposare e seguire Jean); père Jules (interpretato da e ambientazioni solo uno zaino ben Michel Simon, l’attore francese più famoso all’epoca), molto diverse fra attrezzato e prezioso tuttofare ex giramondo, pieno di tatuaggi, loro, avendo un paio di scarpe risorse e ricordi; il giovane mozzo; i cinquanta (!) gatti sempre cura da ginnastica. di père Jules, avvezzi alla navigazione e alla vita sulla di evidenziare Trentamila i dettagli, che per chilometri a piedi chiatta. i bambini Asperger con un buon Vita che, sulle prime, è una novità assoluta per sono fondamentali motivo: il gusto Juliette, che diventa inquilina di questa “casa” (quella nella comprensione antico di esplorare. dell’amore coniugale) viaggiante, anche se imbrigliata della storia. in un itinerario tracciato dalla compagnia per cui George Meegan Claudia Ferraris La grande lavora Jean. Il ripetersi degli scali (senza scendere mai) L’uovo del mare camminata mette a repentaglio l’umore di Juliette, che riesce a e altre storie per (Dalla Patagonia strappare la promessa a Jean di portarla a terra a diverbambini Asperger all'Alaska tirsi, qualche volta. Forse la pensava diversa, questa edizioni Erikson in sette anni) sua nuova vita, e la spensieratezza del divertimento in pagine 81 Mursia, pagine 472 euro 13,50 euro 19 città le viene balenata da un giovane ambulante che la corteggia, una sera che Jean l’aveva portata a ballare. Allontanato il corteggiatore, la vita su l’Atalante riprende come sempre. Arrivati a Parigi, all’ennesimo rifiuto di vedere la città, Juliette litiga con Jean e scende dalla chiatta, volatilizzandosi. La scena fatata arriva adesso: Jean, ostinatamente, rimette in moto la chiatta verso lo scalo successivo e verso quello dopo ancora, ma il cuore e la ragione sono devastati dall’assenza di Juliette. È la disperazione che gli riporta alla mente un detto popolare pronunciato da lei: se terrai gli occhi aperti sott’acqua, vedrai la donna che ami. La sua follia gli fa prendere un secchio e, senza indugi, ci tuffa la testa: non vedrà nulla. Allora dalla prua della chiatta, spicca un salto nel canale. Annaspa, sgrana gli occhi nel buio dell’acqua fonda e vischiosa del fiume, e lì, con indosso l’abito nuziale e un sorriso, ha la visione di Juliette. «Fare vedere l’amore dentro le immagini: la più bella sovrimpressione della storia del cinema: un tentativo ingenuo, semplice, commoventissimo e geniale di dare l’amore dentro le immagini stesse» (enrico ghezzi). Scelgo la bellezza di questo film per augurare a tutti noi di scorgere e riconoscere, anche solo per un attimo, la magia che fa andare avanti a fare, dire, imparare e ricordare. L’Atalante di Jean Vigo (1934) - dvd

L’orrore della dittatura argentina La storia di Laura Bonaparte, che ha visto scomparire tra il 1975 e il 1977, in Argentina, due figlie e un figlio, con i rispettivi coniugi, e il padre dei suoi figli. Sequestrati e uccisi dai dittatori argentini. Laura e il figlio maggiore si sono salvati, in esilio in Messico. Tornata in Argentina, Laura reclama verità e giustizia per i desaparecidos e diventa una delle madri de Plaza de Majo, anche in forza della solidarietà ricevuta da Amnesty International. Claude Mary Una voce argentina contro l’impunità 24 Marzo onlus, pagine 176 euro 15


Scarp de’ tenis

Miriguarda

“I giorni con Zigulì”, premio a una penna del nostro mensile

di Emma Neri

Acqua, petrolio, beni alimentari: dietro le guerre i mercati di risorse

Stefania Culurgioni ha vinto il premio giornalistico Benedetta D’Intino, per un articolo pubblicato sul nostro mensile Scarp de’ tenis, dal titolo Sabbia e Rabbia, i giorni con Zigulì. Lo scritto racconta il legame amore e dolore fra un padre e un figlio disabile, diventato un libro, divenuto a sua volta caso editoriale. Questa la motivazione del premio: “Premiamo Sabbia e rabbia per il coraggio, il rigore e la sensibilità intellettuale con cui Stefania Culurgioni ha descritto l’amore e il tormento, l’appartenenza e l’impotenza, la gioia e la rabbia di uno dei legami più forti che si possa sperimentare: quello tra padre e figlio”. INFO www.scarpdetenis.it

è stato presentato a metà novembre Mercati di guerra, quarto rapporto sui conflitti “dimenticati”, realizzato da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana e Il Regno, edito da Il Mulino. Il rapporto mette a fuoco la dimensione economicofinanziaria che determina situazioni di tensione politica, le quali sfociano nella conflittualità armata. Secondo il rapporto, dal 2010 al 2011 il numero totale di conflitti nel mondo è passato da 370 a 388, tornando ad aumentare dopo diversi anni di calo. La disponibilità di risorse è divenuto il fattore scatenante di nuovi conflitti internazionali e interni. I numeri sono eloquenti: 145 nazioni nel mondo devono condividere le proprie risorse idriche con altri paesi e utilizzano bacini idrici internazionali. Negli ultimi cinquant’anni, la condivisione forzata dei bacini ha prodotto 37 conflitti violenti. Oltre cinquanta paesi, nei prossimi anni, potrebbero entrare in dispute violente causate dalla gestione di laghi, fiumi, dighe e acque sotterranee. Negli ultimi cinque-sei anni, il prezzo reale del cibo è raddoppiato. Anche il prezzo reale del petrolio è oggi quasi il doppio rispetto al 1982 e supera di più del 150% il livello di inizio millennio. Secondo il rapporto, la principale causa degli aumenti di prezzo risiede proprio nel ruolo giocato dagli speculatori e dai mercati finanziari mondiali. La crisi alimentare esplosa nel 2008 e l’aumento del prezzo dei prodotti alimentari in tutto il mondo hanno inoltre contribuito all’esplodere di vari conflitti, comprese le “primavere arabe”, considerando la guerra civile in Costa d’Avorio, concretizzandosi in scontri e rivolte ad Haiti, in Camerun, Mauritania, Mozambico, Senegal, Uzbekistan, Yemen, Bolivia, Indonesia, Giordania, Cambogia, Cina, Vietnam, India e Pakistan. Infine, il rsottolinea come i media siano latitanti nel racconto della maggioranza dei conflitti; l’87,9% delle notizie date in proposito, infatti, riguarda esclusivamente le guerre note. INFO www.caritasitaliana.it

Milano

Bollani-Grandi, note solidali per i bimbi con i genitori in carcere La raffinata fusione fra il jazz di Stefano Bollani e la voce calda e rock di Irene Grandi (nella foto), a favore di Bambini-senzasbarre: il 18 dicembre, al Teatro della Luna, i due artisti saranno in concerto per l’associazione onlus da dieci anni impegnata in Italia in ambito penitenziario, nei processi di sostegno psicopedagogico alla genitorialità in carcere, con un’attenzione particolare ai figli, colpiti dall’esperienza di detenzione di uno o entrambi i genitori. È l’unica tappa milanese della tourné nazionale dei due artisti: può essere un regalo

di Natale alternativo e originale. INFO www.bambinisenzasbarre.org.

MIlano

In cascina i corsi dell’Università della Sostenibilità Dall’esperienza della rivista Valori, dell’associazione Economia e Sostenibilità e di Cascina Cuccagna nasce l’Università della Sostenibilità, progetto formativo rivolto a chi intende comprendere i meccanismi dell’economia e della finanza nelle pratiche prevalenti e nelle versioni

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solidali ed etiche. Dieci corsi tematici in Cascina, e una metodologia basata sull’interazione. Si parte a febbraio con un corso per principianti: “Basi per una comprensione critica ell’economia”. INFO info@corsivalori.it


caleidoscopio Milano

La prosa cantata di Giulio Casale, schegge di disagio Il 18 e 19 dicembre il cantautore e attore Giulio Casale sarà al teatro Alle Colonne con il nuovo allestimento La Febbre, spettacolo di prosa cantata che vede protagonisti i brani del suo ultimo album Dalla parte del torto e monologhi originali scritti per l’occasione, con la collaborazione drammaturgica di Francesca Bartellini, regista dello spettacolo. Giulio Casale racconta l’esistenza di uomini e donne soli, isolati e talvolta persi, dando voce a queste anime, silenziose presenze. Tanti i personaggi che si incontrano in scena, diversi gli angoli visuali e le sfumature di quel disagio sociale che sempre con maggiore evidenza segna e ferisce la nostra società. INFO www.teatroallecolonne.it

Como

Bart, laboratorio che fa riscoprire la pratica del baratto In città, via Tommaso Grossi 18, nasce “Bart!”, progetto per bambini e famiglie che si propone di promuovere la cultura del baratto e dello scambio, sia per educare alla gratuità sia per rimettere in circolo oggetti, impedendo che siano considerati troppo presto dei rifiuti. Secondo lo spirito di Bart (che dà vita a un laboratorio ogni terzo sabato del mese), barattare non è solo una strategia per difendersi dalla crisi economica; ritornare allo scambio (prima forma di economia) significa sperimentare una nuova dimensione economica, che metta al centro i reali bisogni delle persone, e incamminarsi lungo una strada che esca dalla logica del consumismo usa e getta. Bart! è realizzato dall’associazione Famiglie in Cammino, in collaborazione con le associazioni L’isola che c’è e Battito d’ali, con il contributo della regione Lombardia e il supporto di comune

Ricette d’Alex

Dal canapé al pollo, menù per il cenone buono anche per le nostre tasche... Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti e alberghi apprendendo l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp. Ma i suoi consigli di cucina sono sempre molto preziosi. È Natale e tutti ci domandiamo cosa preparare per il cenone. Quest’anno, data la crisi, accontentiamoci di un cenone sobrio e simpatico, che possa far bene sia alla salute che alle nostre tasche. Antipasti Mini canapé mille foglie Pizzette (vari gusti) Olive farcite Salumi Primo piatto Consommé Royal Cannelloni ricotta e spinaci Secondo piatto Petti di pollo Regina Dolce Panettone Mini Canape mille foglie. Stendete una pasta sfoglia cruda. Con un pennello ungetela, tagliatela a rombi di 5-6 centimetri; su ogni rombo, al centro, posate un pezzetto di acciuga e un cappero, spolverate di origano, non salate. Passate in forno a 180 gradi per 15 minuti. Con la stessa pasta sfoglia potete fare anche pizzette a vostro gusto. Consommé Royal. Buon brodo di carne servito in tazze con crostini di pane tostati in forno su pochissimo olio di oliva. Cannelloni ricotta e spinaci (ingredienti per 3 cannelloni). Sbollentare 500 grammi di spinaci congelati. In una terrina amalgamate gli spinaci, due uova, 50 grammi di grana grattugiato, due ricottine fresche, un pizzico di noce moscata. Stendete pasta da lasagne fresca con l'impasto appena preparato e confezionate i cannelloni. In una teglia da forno versate un quarto di litro di besciamella liquida. Posate allineati nella teglia i cannelloni, copriteli con altra besciamella. Cuoceteli in forno a 180 gradi per 20 minuti. Petti di pollo Regina. Prendete sei mezzi petti di pollo ben battuti. Rosolateli dopo averli leggermente infarinati, sfumateli con mezzo bicchiere di vino bianco, aggiungete tre cucchiai di panna da cucina, prezzemolo tritato quanto basta, due cucchiai di aceto balsamico, cuocete a fuoco lento. Serviteli ben caldi, accompagnati con patate al vapore.

di Como e Opera Don Guanella. INFO formazione@lisolachece.org

Genova

Maglia e uncinetto, un sabato al mese “Intrecci” con gli anziani Ogni secondo sabato del mese – dalle

14.30 alle 17.30 – presso “Mcafèmentelocale” di Palazzo Ducale si svolgeranno incontri aperti al pubblico, denominati “Knit Cafè”, per lavorare insieme a maglia e uncinetto, scambiandosi idee, chiacchierando e sorseggiando tè e caffè. L’iniziativa dell’associazione Intrecci Urbani è dicembre 2012 - gennaio 2013 scarp de’ tenis

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cinque domande a... Marcello Fois di Danilo Angelelli

Storie di galeotti, adottate da scrittori Dodici incontri. Di quelli che restano. E non solo perché sono diventati un libro, ma perché hanno messo in circolo emozioni, fatto affiorare ricordi preziosi, tentato di rielaborare pezzi di vissuto che fanno male. Dodici scrittori sardi hanno incontrato altrettanti detenuti del carcere di Isili, in provincia di Cagliari. Ognuno dei detenuti ha scelto un narratore di professione al quale raccontare il proprio percorso. È il progetto Adotta una storia, che ha dato vita al libro La cella di Gaudí. Storie di galeotti e di scrittori (Arkadia editore). I proventi del libro permetteranno a uno o più bambini, figli di questi Firme sarde I racconti di uomini ora privi di libertà, di studiare. Si resta in La cella di Gaudí. Sardegna anche nella prefazione del volume, firmata da Storie di galeotti Marcello Fois. e di scrittori Cosa l’ha spinta a aderire al progetto Adotta una storia? sono firmati Lo trovo in linea con le cose che più mi piacciono di dagli scrittori sardi questo mestiere: ricordare che la letteratura è veicolo Salvatore Bandinu, non solo accademico, ma anche sociale. Inoltre qui i Michela Capone, narratori si sono davvero messi al servizio di chi ha una Giampaolo Cassitta, Fabrizio Fenu, storia da raccontare. E alla fine di ogni racconto, a Michele Pio Ledda, porre il sigillo, ci sono le impressioni del detenuto dopo Paolo Maccioni, l’incontro e la lettura della sua storia. Savina Dolores Che riflessione vorrebbe suscitasse, il libro, in chi lo Massa, Nicolò leggerà? Migheli, Anthony I detenuti incontrati sono di diverse nazionalità. La Muroni, Claudia maggior parte di loro ha condanne sotto i quattro anni. Musio, Pietro Picciau Si tratta soprattutto di povera gente, che non aveva gli e Gianni Zanata. Il prefatore è strumenti per concepire una reazione alle difficoltà Marcello Fois della vita diversa da quella che ha avuto: l’incontro (a sinistra), con lo scrittore può rappresentare l’incontro con una 26 libri scritti finora, cultura che, se fosse avvenuto prima, li avrebbe salvati. Vorrei però che il libro suggerisse l’ultimo dei quali, che le faccende degli uomini sono drammaticamente identiche, a prescindere dalla l’epico Nel tempo provenienza, dal destino che ci porta in un posto o in un altro. Vorrei si riflettesse sul di mezzo, è stato fatto che la diversità è molto più rara che l’adesione. C’è chi pensa che l’Italia sia finalista occupata da stranieri. Invece è occupata da uomini che vengono si da un “altrove”, al Premio Strega e al Premio ma hanno i nostri stessi snodi, gli stessi sentimenti. Per quanto riguarda una riflessione Campiello 2012 sul sistema carcerario, la situazione di Isili è un esempio positivo, nel tormentato panorama italiano: si tratta di una colonia penale agricola; lì si impara a coltivare la terra e ad allevare animali. In questo gioco di relazioni con gli scrittori, che scoperta hanno fatto i detenuti? I protagonisti delle storie si rileggono in terza persona. Si percepiscono “altro”, quando si rivedono come storia. Si riconoscono uomini, non detenuti. E non si sentono giudicati. È giusto che paghino, ma raccontarsi, trovando ragioni invece che giustificandosi, è un’occasione per riprendere in mano la vita nel modo giusto. Ritrovarsi nella potenza di alcune parole può dunque aiutare a riflettere con lucidità, a trovare speranza? Questo, in assoluto, dovrebbe essere il compito della letteratura. Noi dovremmo ricominciare a riscoprire il peso reale delle parole che usiamo. Abbiamo trascorso un periodo in cui il nostro vocabolario si è trasformato in una sorta di avvenimento fonico, era più importante il tono con cui la parola veniva detta. Il progetto Adotta una storia tenta di recuperare il valore della parola. Dal punto di vista letterario, ci dice che le storie si trovano dappertutto. Quelle raccolte in La cella di Gaudí hanno la particolarità che non sarebbero mai esistite, se qualcuno non si fosse preso la briga di raccontarle.

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caleidoscopio nata per mettere in comunicazione giovani e anziani, ma è aperta a tutti coloro che vorranno partecipare, in una logica di incontro tra generazioni. INFO intrecciurbani@comune.genova.it

Vicenza

“Otto lacci di vita”: reading e recensioni, Scarp al teatro Astra Il reading della Notte dei senza dimora, realizzato il 17 ottobre a Vicenza, diventa uno spettacolo. È stato infatti inserito nella rassegna di spettacoli del teatro Astra di Vicenza. “8 storie - 8 lacci di vita, reading di racconti senza tetto”: così si intitolerà lo spettacolo, che sarà curato dai protagonisti di Scarp a Vicenza, giornalisti e persone senza dimora. Il progetto ha l’obiettivo di dare voce alle storie dei cosiddetti “invisibili” che abitano la città veneta. I protagonisti di questa avventura autobiografica e teatrale, tra lettori e scrittori di testi, sono Fiore Visintin, Guido Pollini, Carlo Mantoan, Mario Martin Diaz Rodriguez, Cristina Salviati, Stefano Ferrio, Paola Rossi e Roberta Rossi. Ma il Teatro Astra ha chiesto anche alla squadra vicentina di Scarp di recensire gli spettacoli del cartellone del teatro; le recensioni verranno pubblicate di volta in volta sul sito di Astra. INFO www.teatroastra.it

Catania

Centro antiviolenza Galatea, autonomia per donne e minori

Pillole senza dimora

Il Centro antiviolenza Galatea propone percorsi di uscita dalla violenza ponendo al centro i desideri, la libertà e l’autonomia di scelta delle donne. A ogni donna che contatta il Cav sono garantiti anonimato, riservatezza e gratuità dei servizi offerti, ma anche la possibilità di essere accolte in case protette. Le donne potranno contare sulla presenza di operatrici qualificate: psicologhe, avvocatesse e assistenti sociali, che lavorano in équipe per rispondere alla complessità dei bisogni di tutte. Il Centro antiviolenza Galatea garantisce alle donne e ai minori assistenza 24 ore su 24. INFO centrogalatea@virgilio.it

Anche dove si vive meglio si rischia di restare senza casa La Caritas di Bolzano lancia l’allarme sul rischio-povertà che si sta inasprendo (anche) nelle regioni più ricche e avanzate del paese. In particolare, si alza il numero dei senza dimora nelle città principali del Trentino Alto Adige: in primis a Bolzano, che pure è la città dove si vive meglio, secondo l’analisi annuale del Sole 24 Ore. In tutta la provincia di Bolzano si contano circa 500 persone senza dimora, ma si concentrano soprattutto nei centri principali. Secondo il rapporto di Caritas Bolzano, il rischio povertà negli ultimi anni si è diffuso e finiscono sulla strada le persone che non ce la fanno a pagare un affitto e vengono sfrattate. Caritas Bolzano registra anche l’aumento dell’impoverimento tra persone anziane con la pensione minima. www.caritas.bz.it

Catania

Viaggio nella storia dei libri, orgoglio dell’identità siciliana Fino al 31 dicembre, nella biblioteca regionale Giambattista Caruso, sarà aperta la mostra “Viaggio nella storia del libro. Visite guidate e laboratori didattici”. La mostra si propone di avvicinare la popolazione scolastica, i turisti, gli amanti del libro e i collezionisti al mondo del libro, dai volumi del Medioevo a quelli dell’età industriale. La ricca e storica Biblioteca di Catania, con questa iniziativa, vuole

mostrare tutte le forme che nel tempo ha assunto il libro, dal codice miniato alle grandi opere tematiche del diciottesimo secolo (atlanti geografici, erbari, atlanti anatomici, atlanti stellari). Infine, vuole promuovere sviluppo e orgoglio dell’identità attraverso i tesori della cultura siciliana.

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

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street of america Emblema del degrado di periferia. Culla della scalata presidenziale...

Obama, adesso ricordati dei poveri diavoli di Roseland! di Damiano Beltrami da New York

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Chicago abbandonata Proprio a Roseland, quartiere della metropoli dell’Illinois, il presidente mosse i suoi primi passi, come community organizer

INQUANT’ANNI FA ROSELAND ERA UNA VIVACE ZONA DI CHICAGO dove abitavano migliaia di ope-

rai: lavoravano in acciaierie e aziende manifatturiere. Ma quegli stabilimenti hanno chiuso e l’area è divenuta una delle peggiori della città: disoccupazione, dispersione scolastica, omicidi. Tra case cadenti e volti torvi, si respira abbandono. «Il quartiere era brutto quando ero ragazzo e non ha fatto che peggiorare – racconta Steve Gates, trentenne educatore di adolescenti a rischio –. Una rete di pessime condizioni economiche, influenze sociali distruttive e miopi decisioni personali sembra avvolgere questo quartiere e rendere quasi impossibile fuggirne». La storia di Roseland potrebbe essere una tra le tante della periferia americana, invece è speciale: qui ha avuto origine l’impegno politico del presidente Barack Obama. Fresco di laurea alla Columbia University, lavorò a Roseland come community organizer, figura intermedia tra l’educatore e il politico di zona. Al tempo il quartiere era già precipitato nel degrado: bambini gattonavano in strada per evitare pallottole vaganti, c’erano faide tra gang e poche auto della polizia. Quando lasciò l’incarico per specializzarsi in legge all’università di Harvard Obama lo fece, disse, per acquisire il tipo di competenze che gli avrebbero consentito di affrontare i problemi di queste comunità in modo nuovo, più efficace. Nel 2007, da candidato alla presidenza, Obama pose come nodo centrale del suo programma la miseria urbana. Disse di voler sradicare la povertà dagli Stati Uniti: «Insieme possiamo dimezzarla nell’arco di dieci anni». Oltre alle tradizionali ricette democratiche – tra cui alzare i salari minimi e migliorare l’accesso all’istruzione – voleva mettere in campo un sistema innovativo. Ad Anacostia, sobborgo malconcio di Washington D.C., Obama presentò un piano modellato su quello dell’organizzazione Harlem Children Zone. Fondata da Geoffrey Canada, questa organizzazione è sorta ad Harlem (New York) e ai bambini poveri fornisce non solo scuole di qualità, ma anche doposcuola, corsi per genitori, una clinica, un mercato di cibo fresco per capire l’importanza dell’alimentazione, sportelli di consulenze famigliare e molto altro. «Quando sarò presidente – disse Obama – voglio replicare il modello di Harlem Children Zone. Quanto ci costerà? Serviranno alcuni miliardi di dollari all’anno. Ma li troveremo». Poi le cose sono andate diversamente. Il piano “Quartiere promesso” si è ridotto a un dettaglio sepolto nel budget del ministero dell’istruzione. Invece di diversi miliardi di dollari all’anno, l’investimento complessivo è stato di circa 100 milioni. Così la povertà, durante il primo mandato di Obama, non si è ridotta neppure un po’. La giustificazione dell’amministrazione è stata l’eccezionalità di una crisi economica terribile, ma adesso che l’economia pare sui binari giusti, e Obama è stato rieletto, molti a Roseland sperano che si ricordi dei poveri diavoli che lo hanno motivato a scalare la presidenza.

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82. scarp de’ tenis dicembre 2012 - gennaio 2013


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