sdt_169

Page 1

numero 169 anno 17 marzo 2013

350€

il mensile della strada

de’tenis

www.scarpdetenis.it - www.blogdetenis.it

ventuno Indebitati, la legge non aiuta

Giocatore chi paga il tuo conto? Il governo riconosce che d’azzardo ci si ammala. Ma non c’è un euro in bilancio per curare le ludopatie. Nel 2012 il giro d’affari ha frenato? In realtà, si è avvicinato a 90 miliardi. Ma lo stato incassa meno... Milano Metà della strada Como Ozanam accoglie Torino Dignità in marcia Genova Fiori di Libereso Vicenza Nico nemico di sé Modena Il welfare e la crisi Rimini Nipoti rubati Firenze Sollicianino? Non male Napoli Arnaldo, cronista coraggio Salerno Accanto agli oncologici Catania Cure e Sorriso



editoriali

La radice dei nostri dolori e la medicina delle regole Paolo Brivio

F

unziona che, se uno non è un paperone, quando ha bisogno di un prestito per superare un rovescio imprevisto, allo sportello lo timbrano: «Non bancabile». Funziona che se un piccolo artigiano, o un pugno di giovani scalpitanti con in testa un’ipotesi di impresa, necessitano di credito per dare linfa alla propria intraprendenza, le banche li gelano: «Non offrite adeguate garanzie». Funziona che se uno vuole evitare di soccombere, sotto il peso di debiti anche colpevolmente accumulati, scopre che una legge recente gli consentirebbe di comporre il proprio quadro debitorio, ma il commercialista lo previene: «Norma inapplicabile, mancano i regolamenti». Funziona insomma che la finanza, e la politica che dovrebbe emendarne i danni, se non prevenirli, non mostrino di volere fare tesoro della lezione che un quinquennio di crisi globale ci ha indiRoberto Davanzo scutibilmente ammannito: la deriva speculativa ha soppresso la vocadirettore Caritas Ambrosiana zione sociale, tra gli attori di molteplici sistemi (inclusi quello immobiliare, delle risorse energetiche e delle materie prime alimentari), ma il pianeta pilotato dagli algoritmi di borsa è diventato un luogo meerto che noi italiani siamo proprio pano ospitale per tanti, benché esibisca per pochi i tratti del bengodi. radossali! Simpatici, geniali finché voAdesso dal Brennero a Capo Passero abbiamo un nuovo pargliamo, ma paradossali. lamento e un nuovo governo, e che dio ce li mandi saggi. BasteVendiamo sigarette a chiunque, ricopriamo i rebbe poco – e sono solo due esempi, che scomporrebbero appacchetti con scritte minacciose e terrificanti, facpena la pettinatura della Grande Finanza – per portare a comciamo fronte a patologie infinite connesse al fumo, pimento l’iter della legge sul microcredito, la cui lentezza ma poi accettiamo placidamente che dal mercato Scarp ha lamentato nello scorso numero, e per attuare con del tabacco l’erario incassi un alto gettito fiscale. sagacia la legge sulle crisi di liquidità dei sovraindebitati, fiE qualcosa di analogo accade con il gioco. C’é nora applicata nella miseria di tre-casi-tre, come Scarp riquello clandestino – come peraltro ci sono le sigarette vela su questo numero. Basterebbe un poco che, in realtà, di contrabbando – ma c'é pure il proliferare di luoghi aupresuppone molto: una precisa intenzione politica. torizzatissimi dove farsi spennare in modo legale per colPerché parliamoci chiaro: è vero che bisogna rilantivare l’illusione, sempre affascinante, di far soldi senza faciare la crescita, creare lavoro, stabilizzare la precarietà, re fatica. Farsi spennare e farsi gettare sul lastrico, in mano innovare la produzione, alleggerire le tasse, combattere a usurai senza scrupoli, mandando a monte matrimonio, l’evasione, stimolare i consumi (non inquinando) e sorelazioni, lavoro, casa, oltre al conto in banca... prattutto – ciò che più sta a cuore a Scarp – contrastare La chiamano “ludopatia” e sta assumendo le caratteril’impoverimento dei ceti medi e l’esclusione dei gravi stiche di una devastante dipendenza di massa. Qualcuno prova anche a misurare l’impatto economico che questa emarginati. Ma se si vogliono debellare i dolori socio-ecopassione ha su individui, famiglie e collettività tutta. Pecnomici di cui soffriamo, il quinquennio horribilis dal quacato, però, che di terapie mediche per un virus come quele usciamo ci indica, radicale, la medicina: bisogna ristasto non ce ne siano. Non hanno ancora inventato una bilire il controllo della politica, e della volontà democratica, specie di metadone per attenuare la voglia di giocare sulla speculazione multiforme e sulla finanza autoriferita. d’azzardo. E cosi si tira a campare, nella speranza che il Così, se l’Europa si appresta (pare, speriamo, ci torneremalato di gioco abbia la fortuna di incontrare qualcumo) a varare una Tobin Tax incisiva, e ai nostri politici spetta no come lui, capace di spiegargli come venirne fuori. di legiferare coraggiosamente, magari proprio a partire dal Ah, dimenticavo. Nel frattempo, lo stato non permicrocredito, noi cittadini abbiamo il dovere di informarci con de occasione per rimpinguare le casse sempre esangui tenacia su temi complicati ma cruciali, e persino – in quanto della fiscalità pubblica. Raccoglie risorse: quelle che, consumatori e risparmiatori – di provare ad acquistare e inveverosimilmente, dovrà utilizzare per riparare i danni di stire “etico” (la finanza in sé non va demonizzata, ma bisogna un vizio devastante. scegliere quella animata da intenzioni rispettose dell’interesAllora, non vale la pena di contrastare il fenomeno, se collettivo). Funziona, in definitiva, lo sappiamo da sempre, per impedire che proliferi? L’erario ci rimetterebbe un che chi fa girare i soldi ha un gran potere: e allora noi non po’, ma il saldo sarebbe a vantaggio della collettività. rinunciamo a quello, altrettanto decisivo, di porre limiti e Certo che noi italiani siamo proprio paradossali… regole, e di vigilare che siano buoni per tutti.

Giocatori paradossali

E

.

.


Un sereno soggiorno nel cuore della natura piÚ bella, da oltre mezzo secolo al vostro servizio A Costa Costa Valle Va Valle Imagna Bergamo Imagna, in provincia di Bergamo (950 m s.l.m.) ai piedi del monte Resegone, circondato dal verde e dall’incantevole scenario Prealpi O robie, si trova, in posizione delle Prealpi Orobie splendidamente panoramica e tranquilla, Residence H otel Primula Primula. Hotel il Residence L’hotel, dotato di ampi spazi comuni, sala ristorante interna tipica, sala lettura con caminetto, bar caffetteria, solarium al quarto piano e pineta, vi offre il meglio per le vostre vacanze. Dispone di camere doppie, singole e suite con servizi, TV-sat, cassaforte, telefono diretto, phon, ascensore, biblioteca, servizio lavanderia, SDUUXFFKLHUD ÀVLRWHUDSLVWD H EXV QDYHWWD

Solarium

Residence Hotel Primula

Via XXIV maggio, 104 24030 Costa Valle Imagna Imag (Bergamo) Per informazioni: tel. e fax 035.865.277 cell. 3487814942 info@primulahotel.it www.primulahotel.it

CA R M I N T I STA M PATOR E A LM Ăˆ BG 035541662 R I PRODUZ ION E V I ETATA

33HU OD WHU]D HWj DXWRVXIĂ€FLHQWL H SDU]LDOPHQWH HU OD WHU]D HWj DXWRVXIĂ€FLHQWL H SDU]LDOPHQWH QQRQ DXWRVXIĂ€FLHQWL RQ DXWRVXIĂ€FLHQWL A ssistenza aalla lla pe rsona 24 24 ore ore su su 2244 Assistenza persona

L’hotel è gestito direttamente dalla famiglia Brumana; mamma Pia, che si occupa della cucina vi vizierĂ con i suoi deliziosi manicaretti. Alla reception Sara vi accoglierĂ al vostro arrivo in hotel. Andrea, laureato in scienze infermieristiche, responsabile del servizio di assistenza, sempre a disposizione per qualsiasi vostra necessitĂ . Marta, la piccola di casa, iscritta all’istituto alberghiero, addetta al servizio bar e ad organizzare passeggiate per fa farvi ammirare le bellezze della nostra natura. Il tutto sapientemente diretto da papĂ Mario. Tutta la fa famiglia ed il personale saranno costantemente impegnati perchĂŠ vi sentiate a vostro agio, protetti, in un clima caloroso e sereno.


sommario Fotoreportage

7

Mind the Gap, giocatore p.6

Scarp Italia

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese. Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro

Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 addettostampa@caritasfirenze.it Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarpdenapoli@virgilio.it Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

Giuseppe Marotta: «L’infanzia è un inciampo» p.23

Scarp città Milano L’altra, amara metà della strada p.26 Barba e capelli per tutti: «Apriamo Le Clochard» p.30

Como Violenza sulle donne, nuova struttura di accoglienza p.38

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via Copernico 1, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

L’inchiesta Regina della casa. Appagata o forzata? p.20

L’intervista

Come leggerci

Per contattarci e chiedere di vendere

Il reportage Malati di gioco, chi paga il conto? p.12

Torino Senza dimora, dignità in marcia p.40

Genova Il mondo di Libereso, la bellezza in un fiore p.42

Vicenza Nico nell’Eden, nemico di se stesso p.44

Modena Lo stato sociale ai tempi della crisi p.46

Rimini Alla ricerca dei nipoti rubati p.48

Firenze Solliccianino, meglio che altrove p.50

Napoli Arnaldo Capezzuto, cronista di denuncia p.52

Salerno Oncologici, troppi viaggi della speranza p.54

Catania Il Sorriso e le cure, diritto di tutti p.56

Scarp ventuno Dossier Indebitati: la legge c’è ma non aiuta p.60

Stili Jeans e iPad, l’usato è sicuro e va di moda p.64

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.67

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 17 n. 169 marzo 2013 - costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via Copernico 1, 20125 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi, Paolo Riva Hanno collaborato Aghios, Mr. Armonica, Pasquale Barbella, Andrea Barolini, Damiano Beltrami, Tony Bergarelli, Mario Bernardelli, Simona Brambilla, Antonio Casella, Aldo Cascella, Ausilia Domenica Costanzo,, alvatore Couchoud, Stefania Culurgioni, Ivano Frare, Sissi Geraci, Silvia Giavarotti, Maria Chiara Grandis, Gaetano “Toni” Grieco, Laura Guerra, Stefano Malagoli, Paola Malaspina, Marco Mantoan, Mary, Mirco Mazzoli, Emanuele Merafina, Mr. X, Donatella Murè, Daniela Palumbo, Michele Piastrella, Cinzia Rasi, Melania Rinaldini, Paolo Riva, Cristina Salviati, Salvatore Saraceno, Vito Sciacca, Edoardo Tarallo, Yamada, Marta Zanella Foto di copertina Marco Dal Maso Foto Marco Dal Maso, Romano Siciliani, Mario Negri, Archivio Scarp Disegni Luigi Zetti, Silva Nesi, Elio Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Associato all’Unione Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è Periodica Italiana in vendita dal 10 marzo al 6 aprile 2012.


Mind the Gap, giocatore... Gap. Cioè, in inglese, la fessura, il buco, il divario. Ma anche, in italiano, la sigla che identifica il Gioco d’Azzardo Patologico. E allora “Mind the Gap”, “Attenti al buco”, come hanno sentito ripetere a ogni fermata volte tutti coloro che almeno una volta hanno viaggiato sulla metropolitana di Londra, esortati dagli altoparlanti a fare attenzione al varco che si crea sotto i piedi, all’uscita del vagone, quando la piattaforma è a un passo. “Mind the Gap”: attenti a non cadere nella voragine, che può essere spalancata dal gioco d’azzardo. Nella terribile voragine del Gap finiscono, più o meno consciamente, migliaia di persone ogni anno. L’incapacità di fermarsi, di riconoscere il limite tra divertimento e ossessione, comporta lo sviluppo della dipendenza dal gioco. Quella che inizialmente si può intendere come debolezza, diventa vera e propria patologia. Il Gioco d’azzardo patologico è una malattia del cervello, classificata dall’Oms, connotata come dipendenza patologica “senza sostanza”. L’uomo che si lascia travolgere dal fascino del gioco, resta invischiato nelle sue spire: il percorso di risalita dalla dipendenza, per tornare a essere una persona libera, è spesso una fatica tremenda 6. scarp de’ tenis marzo 2013

L’autore Marco Dal Maso, vicentino, fotografo freelance, viaggia per il mondo dal 2007, documentando nei suoi reportage realtà scomode e difficili, delle quali riporta scenari dal fortissimo impatto emotivo. Ha viaggiato nel sud-est asiatico, tra Thailandia, Laos, Cambogia e Sri Lanka, documentando campi profughi, luoghi di prostituzione, rituali tradizionali legati a popoli millenari. Ha percorso in lungo e in largo la Romania, seguendo le tracce delle famiglie rom, dalle quali riesce a farsi accogliere come un ospite di riguardo. Ha testimoniato lo sciopero dei minatori albanesi di Bulquiza, rinchiusi per settimane a 1400 metri sotto terra, scendendo nel sottosuolo con loro. Ed è autore del fotoreportage “Neofascismo in Italia”, scelto per partecipare a “Visa Pour l’Image Perpignan 2012”, principale festival internazionale di fotogiornalismo


fotoreportage

Gli scatti di Marco Dal Maso, per la mostra “Mind the Gap - Il giocatore”, non mettono in scena solo individui, ma l’insieme di gesti, movenze, sguardi e sentimenti di coloro i quali sono protagonisti di un viaggio all’inferno. Con ritorno assai problematico. Nelle pagine successive, attese,imbambolamenti e imprecazioni, di fronte alle macchinette e ai tabelloni delle scommesse. Poi, la fatica di mettersi in gioco in un altro senso: nei gruppi di auto mutuo aiuto per giocatori marzo 2013 scarp de’ tenis

.7


Mind the Gap, giocatore...

8. scarp de’ tenis marzo 2013


fotoreportage

marzo 2013 scarp de’ tenis

.9



anticamera Aforismi di Merafina BELLA SERATA Abbiamo trascorso una bella serata. Ma non era quella SOLO TU Tu sei nei miei giorni MILANO Per conoscere Milano e dintorni più spendi meno compri

Caro papà Quell’aroma sottile di tabacco dalla pipa di radica solletica l’olfatto quasi inanella l’anima di un mattino di ottobre liquido di pioggia rugginoso di foglie privilegiato da un incontro caro. Io bimba timida gli stivali cavalco gelosi di pozzanghere, le mani ansiose nella tua sicura in quella della mamma, odorosa di talco. Magia di un attimo fumoso di castagne assolato di te. Unico flash di noi al cancello della scuola, torna prezioso istante dentro i cerchi del fumo.

L’isola che non c’è

Angeli terrestri

Ci vorrebbe un po’ di magia In questo mondo che ha dimenticato ci vorrebbe una nave i veri valori, che ci porta via che ha messo da parte onestà e vicinanza, la seconda stella a destra un manipolo di persone direzione giusta per sfuggire tengono aperti i loro cuori, alla banale realtà. credo ancora nell’aiuto La baia delle sirene e nella fratellanza. Per gli altri si prodigano è qui vicino con tanta volontà, le sento cantare, nei terremoti, inondazioni e altre calamità, mi si addormenta il cuore. poi ci sono loro, Il loro chiamare ti rapisce quelli che ascoltano, sono vicini, concreti la loro bellezza ti stordisce, e ti confortano. prigionieri delle loro emozioni. Senza chiedere nulla ti danno una mano, La voglia di restare sai che puoi contare sempre bambini su di loro, così riprendi le tue forze, e di vivere in quell’isola puoi guardare lontano, che non c’è. ritorni a essere felice, Cinzia Rasi

li ringrazi per il loro lavoro. Sono angeli nati sulla terra: i volontari, agli altri donano tanto amore, felici della tua felicità diventano per te cari, riempiono la tua esistenza di vivo calore. Tony Bergarelli

Aida Odoardi marzo 2013 scarp de’ tenis

.11


Azzardo, emergenza sociale. Senza oneri per chi la produce...

MALATI DI GIOCO Chi paga il conto? Lo stato italiano, grazie a un decreto convertito in legge a novembre, finalmente riconosce che di azzardo ci si può ammalare. Le azzardopatie sono inserite tra i Livelli essenziali di assistenza: la sanità pubblica si fa carico delle vittime. Però a bilancio, dal governo, non è stato messo un euro in più. In Svizzera, dove i costi economici del fenomeno sono stati stimati, pagano le aziende del gioco. Da noi è impensabile?

12. scarp de’ tenis marzo 2013

di Francesco Chiavarini Il gioco d’azzardo può diventare una malattia. Dunque, chi ne è vittima deve ricevere le cure del caso. Il principio – difeso da medici, operatori, volontari impegnati da tempo a sanare gli effetti collaterali della passione italiana per la dea bendata –, è stato alla fine riconosciuto anche dallo stato, grazie a un ministro tecnico, il titolare della salute nell’esecutivo Monti, Renato Balduzzi, che con il decreto che porta il suo nome ha introdotto, alla fine di settembre, le ludopatie (più precisamente, azzardopatie) nei Lea (Livelli essenziali di assistenza). Riconoscendo dunque la dipendenza da gioco tra le patologie delle quali deve farsi carico il Sistema sanitario nazionale, cioè la collettività. zione delle nuove malattie. Cifra cospiIl decreto è stato presto convertito in cua, per la quale occorre trovare la colegge e pubblicato sulla Gazzetta Uffipertura finanziaria: cosa non facile, per ciale il 10 novembre 2012: da allora, chi nessun governo, soprattutto in una fase soffre di gioco compulsivo ha gli stessi di recessione economica come quella in diritti a essere curato e assistito, ad cui si trova l’Italia. Non a caso il presiesempio, di un tossicodipendente. dente della Conferenza stato-regioni, il governatore dell’Emilia Romagna, VaTra i 10 e 15 milioni sco Errani, ha già messo le mani avanti. L’introduzione delle azzardopatie tra i «Ogni ulteriore iniziativa di politica Lea è una decisione forte, la più signifisanitaria – ha recentemente dichiarato cativa e gravida di conseguenze, tra tut– deve poggiare su un quadro economite quelle sancite dal provvedimento di co di risorse certo». E, ancora più espliriforma della sanità (peraltro assai ridicitamente, ha aggiunto: «Vanno evitate mensionato, rispetto a come era entrato iniziative unilaterali e annunci oggettiin consiglio dei ministri, nella scorsa vamente irrealizzabili». Tanto per dire estate, a causa delle pressioni delle che tira aria di sbarramento. lobby del gioco, alle quali evidentemenParadossalmente, tuttavia, anche te anche qualche ministro del governo nel caso in cui le buone intenzioni del Monti doveva essere sensibile). Tuttavia, ministro Balduzzi dovessero essere ragtale indicazione rischia di rimanere una gelate dalla dura ragione di bilancio, le semplice dichiarazione di principio. Inazzardopatie potrebbero essere introfatti il provvedimento Balduzzi, per didotte lo stesso tra le malattie risarcibili ventare operativo, deve ancora ricevere dallo stato. I tecnici del ministero della il via libera del ministero dell’economia, sanità, nella stessa relazione tecnica che della Conferenza stato-regioni e delle esamina l’attuazione del decreto Balcommissioni parlamentari sanità di caduzzi, ribadiscono infatti «il principio mera e senato. La strada è tutt’altro che che le persone con ludopatia hanno diin discesa. ritto ad accedere ai servizi territoriali per Una relazione tecnica del Dipartile dipendenze già attivi nell’ambito del mento della programmazione e dell’orSistema sanitario nazionale, per ricevedinamento del servizio sanitario naziore le prestazioni di cui hanno bisogno, nale stima infatti tra i 10 e i 15 milioni di al pari dei soggetti con altre forme di dieuro l’impatto economico dell’introdu-


l’inchiesta Una passione che costa caro 15 mila

stima dell’incremento dei pazienti con azzardopatie rivoltisi ai Sert nell’ultimo anno

10-15 milioni

Fonte: Conagga, SSn, aaMS

gli euro necessari per garantire la copertura dei costi derivanti dall’inserimneto delle azzardopatie nei Lea

pendenze patologiche». Ma specificano anche: «Senza che questo comporti ulteriori oneri, dal momento che le regioni non saranno tenute ad istituire servizi ad hoc». Secondo i tecnici, infatti, «l’aumento dei soggetti che potrebbero rivolgersi ai Sert (i servizi per le tossicodipendenza, ndr) non comporterebbe un aumento dell’offerta dei servizi, e di conseguenza, un incremento di spesa». Riassumendo, dunque, poiché i cosiddetti “ludopatici” (come li chiama il ministero, contro la definizione del mondo accademico e scientifico, che parla di “giocatori d’azzardo patologici”) potranno essere curati dai medici già in servizio nei Sert, e lo stato non dovrà “cacciare” un euro per curare gli addicted dell’azzardo. C’è una nuova malattia, ma esistono già i professionisti che la dovranno trattare: a bilancio non si dovrà mettere risorse aggiuntive.

Utenti al Sert? «Più 10%» Peccato che nella realtà le cose stiano diversamente. Medici e terapisti hanno già lanciato l’allarme. Maurizio Fea, psi-

«

La federazione dei servizi per le dipendenze: “Stimiamo un aumento del 10% degli utenti dei vecchi Sert, 15 mila pazienti in più”

»

chiatra, membro del consiglio direttivo di FeDerSerd (la federazione dei servizi per le dipendenze, i vecchi Sert), ha posto la questione in un incontro al senato con i candidati alle elezioni politiche, avvenuto l’11 febbraio. Dall’inizio dell’anno, per effetto del decreto Balduzzi, nelle sale gioco sono comparsi i cartelli con i numeri di te-

56 miliardi

gli euro giocati dagli italiani nei primi otto mesi del 2012

1%

la porzione degli introiti dei giochi che andrebbero destinati alle cure per coprirne i costi

lefono dei servizi a cui i giocatori possono rivolgersi quando si accorgono di non riuscire più a tenere a bada la frenesia da azzardo. FederSerd ha condotto un’indagine sulle conseguenze che questa misura ha avuto, nel mese di gennaio, su un piccolo campione di servizi. «E in un solo mese – rivela Fea –, nei 52 servizi che abbiamo monitorato, abbiamo registrato 150 nuovi utenti, “malati” di gioco. Se proiettiamo questo dato sugli oltre 500 Sert presenti in Italia e lo estendiamo all’intero anno, possiamo stimare un aumento complessivo di 15 mila nuovi pazienti, che corrisponde a un incremento del 10% circa degli utenti dei Sert. Molto concretamente, questo significa che se dovremo occuparci anche dei giocatori patologici, senza poter assumente né un medico né uno psicoterapeuta in più, dovremo lasciare nella sale di attesa tutti coloro che hanno forme di dipendenza più tradizionali. Senza poi contare che solo la metà dei Sert può contare già su professionisti che si sono preparati ad affrontare le nuove patologie. Con una marzo 2013 scarp de’ tenis

.13


Malati di gioco. Chi paga il conto? battuta, potremmo dire che il ministero vuole fare le nozze con i fichi secchi. Ma come sanno tutte le future spose, normalmente, in casi simili, i risultati lasciano molto a desiderare».

Principio svizzero Si può obiettare che Fea ragioni pro domo sua e che la sua posizione sia in fondo una difesa corporativa. Affermare però che i giocatori patologici sono degli ammalati di cui si deve fare carico il Sistema sanitario nazionale e poi non mettere a bilancio nemmeno un euro appare quantomeno contradditorio. In altri paesi, i costi sanitari delle azzardopatie sono stati calcolati, eccome. E si è anche trovato il modo per coprirli. È il caso della Svizzera, paese per altro tradizionalmente liberale nei confronti del gioco d’azzardo. L’istituto di ricerche economiche dell’Università di Neuchatel, in collaborazione con il Centro studi sul gioco eccessivo di Losanna, ha calcolato che solo i costi medici diretti dei 34.900 giocatori patologici accertati nel paese dei cantoni ammontano a 8,5 milioni di franchi (6,8 milioni di euro). In tali costi sono compresi: l’acquisto dei farmaci, il ricorso alle cure psichiatriche, i ricoveri nei centri specializzati. Per ripagare questa spesa, il governo elvetico ha fatto

una cosa semplicissima: ha battuto cassa presso chi ha prodotto i costi. Da tempo, in Svizzera, lo 0,5% delle entrare del gioco d’azzardo sono destinate alle attività di cura, prevenzione e ricerca sul gioco d’azzardo. «È un principio sacrosanto – commenta Maurizio Fiasco, sociologo e consulente della Consulta nazionale antiusura –. Si caricano sulle imprese le esternalità negative che producono. Questo vale per le aziende inquinanti, che ripagano i danni ambientali. Deve valere anche per le imprese del gioco, che devono essere tenute a risarcire la collettività dei danni sanitari, effetto collaterale delle loro attività. Tale principio, tra l’altro, a maggior ragione dovrebbe valere in Italia, dove le imprese del settore operano in funzione di una concessione rilasciata dallo stato. Invece, paradossalmente, proprio da noi, dove lo stato è interventista, il settore gode di una deregulation maggiore di quella che paesi ben più liberisti hanno concesso». Proprio riprendendo la ricerca svizzera e proiettandola sul territorio italiano, Matteo Iori, presidente del Conagga (Coordinamento nazionale dei gruppi per giocatori d’azzardo), ha provato a stimare l’impatto sanitario e sociale delle cosiddette azzardopatie. «La conclusione alla quale siamo arrivati – spiega

– è che in Italia sarebbe sufficiente destinare l’1% degli introiti del gioco per finanziare almeno le cure». L’idea di vincolare il fatturato annuo del gioco al finanziamento di azioni di prevenzione, assistenza e cura per le vittime dell’azzardo era già stata presentata nella fase di discussione del decreto Balduzzi. In una delle prime bozze di quel provvedimento vi si faceva

Tony si gioca la pensione: «No, non «Quando sto alle macchinette mi sento bene. I problemi arrivano quando finisco i soldi. Ma di Mr X e Vito Sciacca

In Piemonte, negli ultimi anni, i pazienti affetti in forma grave da ludopatia sono quadruplicati. Secondo i dati diffusi a novembre, in occasione del convegno “A che gioco giochiamo”, i giocatori compulsivi presi in carico dai Sert piemontesi sono 950, con una media dei “soggetti a rischio” più alta di quella nazionale (il 6,2% contro il 5,4%). Inoltre emerge un dato preoccupate sui giovani: il 42% di quelli tra i 14 e i 19 anni dichiarano di aver già provato a giocare. È in corso in queste settimane una campagna nelle scuole piemontesi per sensibilizzare i giovani e combattere il gioco d’azzardo patologico: più di 50 incontri, rivolti agli studenti degli istituti secondari di secondo grado, che puntano a far comprendere le conseguenze del gioco compulsivo. E una semplice verità: il banco non perde mai. Con l’aiuto della matematica, lo si può dimostrare in

14. scarp de’ tenis marzo 2013

modo divertente e interattivo. *** Incontriamo Tony (nome di fantasia) in un bar di Porta Susa. Faccia da giocatore, sguardo fisso davanti a sé. «Come ho iniziato? – si chiede – In modo del tutto casuale. Un giorno ero con un amico, lui inserì un euro in una slot vicino al banco e ne vinse venti. Da quel momento ogni volta che andavo al bar anch’io giocavo un euro. Col passare del tempo aumentavo sempre più il numero delle giocate, finché venne il giorno che mi trovai senza il becco di un quattrino. Avevo riscosso la pensione due giorni prima: 1.400 euro. Da allora non mi sono più fermato. Cosa mi ha attirato in questo gioco? Certamente non i colori sgargianti delle macchinette, ma il de-


l’inchiesta

L’analisi

Meno entrate, giochi in frenata? «In realtà il consumo aumenta…»

pure riferimento. Poi il punto era sparito nelle versioni successive del testo. Durante la campagna elettorale, una delle richieste fatte ai candidati dalle realtà non profit che aderiscono alla campagna “Mettiamoci in gioco” riguardava proprio la tassazione a fini di cura degli introiti dovuti all’azzardo di stato. Staremo a vedere che cosa farà il nuovo governo.

.

La crisi frena la passione degli italiani per il gioco d’azzardo? A fine 2012 il Dipartimento del Tesoro ha fatto i conti con entrate e perdite dell’anno appena concluso, derivanti dai settori economici del paese, compreso il gioco d’azzardo. Nel 2012 lo stato avrebbe dunque incassato dalle scommesse autorizzate 800 milioni di euro in meno rispetto al 2011. Segno che gli italiani, con sempre meno soldi in tasca, stanno cominciando a voltare le spalle anche alla dea bendata? «Niente affatto – risponde Maurizio Fiasco, della Consulta nazionale antiusura –. È solo diminuito il margine di guadagno per lo stato, per effetto della defiscalizzazione concessa ai concessionari. In realtà, se si guardano i dati della cosiddetta “raccolta”, che rappresenta quanto effettivamente gli italiani consumano per il gioco, la cifra anche per il 2012 è stata in crescita». Gli unici dati ufficiali certificati dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di stato (Aams) si riferiscono ai primi otto mesi del 2012. In questo periodo, la cosiddetta “raccolta”, cioè appunto il consumo per il gioco, ha raggiunto la cifra di 56 miliardi di euro, 8 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2011. «Quando avremo finalmente i dati definitivi dell’anno, probabilmente toccheremo i 90 miliardi, 10 in più rispetto al 2011». Eppure c’è chi intravede nelle minori entrate per lo stato l’inizio della crisi anche di questo settore economico… «Questo sistema si regge solo se i giocatori continuano ad aumentare e se i giocatori normali diventano compulsivi. A un certo punto si raggiungerà una soglia limite», prevede Fiasco. E a quel punto cominceranno a calare anche i consumi da gioco. Ma il danno sarà fatto: la bolla del gioco esploderà e ci ritroveremo con una popolazione di malati da azzardo che dovremo curare.

smetterò...» c’è chi presta, a certi tassi...» siderio di vincere soldi. Possibilmente tanti». Metti in conto l’eventualità di perdere? Certo. Peccato però che me ne renda conto dopo aver giocato e perso. Quando inizio a giocare, penso solo alla possibile vincita. Da quanto hai questo vizio? Sono ormai un giocatore incallito. Quest’ossessione dura da circa sette anni. Ti è capitato di perdere tutto e trovati in difficoltà con i pagamenti? Tempo fa mi trovai in brutte acque, con molti pagamenti in arretrato anche se, grazie a Dio, non ho una famiglia da mantenere. Poi un amico mi consigliò di fare i pagamenti il giorno stesso in cui percepivo la pensione, da allora sono

più tranquillo, anche se a volte ne salto alcuni... Hai mai pensato di smettere? Ci ho pensato, ma non ce la faccio. Penso sia più forte di me. Hai mai pensato di chiedere aiuto? In molti, tra conoscenti e amici che si sono accorti di come spreco i soldi, mi hanno consigliato di rivolgermi a enti che aiutano persone con questi problemi. Ma non credo di averne bisogno, non ancora almeno. Che, poi, oltretutto quando gioco mi sento bene... É eccitante: i problemi si presentano quando finiscono i contanti. E quando finisci i soldi come fai per campare? Ci sono persone che prestano soldi senza fare domande. Prima o poi tutti i gio-

catori si appoggiano a queste persone. Io ho cominciato col vendere alcuni oggetti d’oro e altre cose di valore. Finiti questi, ho chiesto aiuto a una di queste persone. L’unico problema è che rivogliono i soldi con tassi anche del 4050%. Ne sono uscito a fatica e ho acceso un prestito personale con la mia banca. Prestito di cui, ancora oggi, pago le rate. Come vedi il tuo futuro, continuando in questo modo? Non ci penso, vado avanti mese per mese. O, per meglio dire, pensione per pensione. Arrivando in redazione dopo l’intervista, al telegiornale trasmettevano un servizio su una matricida: aveva ucciso per impossessarsi dell’eredità. Per giocare a quelle stramaledette slot.

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

..15


Malati di gioco. Chi paga il conto?

Cure senza protocolli uniformi. Ogni regione tratta i casi in modo diverso. Sert in prima linea, ma senza fondi. I costi principali cadono sulle famiglie

Drogati d’azzardo, danno per sé. E per tutti di Stefania Culurgioni

Prima di tutto, non chiamatela ludopatia. Ludus (in latino) significa gioco, e il gioco è una cosa che rende felici. È l’azzardo, semmai, che fa male alla salute. Che si insinua nei lati fragili delle persone, dà l’illusione di trarre benefici, distrazioni, momentaneo rilassamento dalla sfida al caso. E invece ti frega. Come le droghe, come il fumo: piano piano diventa la tua scimmia sulla spalla, e non te ne liberi più. Chiamatela, piuttosto, azzardopatia. O dipendenza dal gioco d’azzardo. Una bestia invisibile e subdola che però colpisce sempre più italiani, di ogni età. Operai che si giocano lo stipendio, imprenditori che si mangiano le fabbriche, ragazzini che si bruciano la paghetta, anziani che per non parlare di Lotto, Superenalotdissipano la pensione. Ma anche padri to, lotterie, e di tutta una gamma di opdi famiglia che si rubano i risparmi dei zioni con cui nei bar, nelle tabaccherie, figli. E persino mariti che fregano i soldi in televisione, in internet si vendono dal conto in banca della moglie. Una sogni. Avariati. scimmia di quelle cattive, forse sottovaIl numero dei tossici d’azzardo, inlutata, che provoca danni non solo alfatti, in Italia aumenta, la schiera di l’individuo, ma anche e soprattutto alle quelli che restano in mutande si fa semfamiglie e, di rimando, alla società. E pre più ampia, i casi di familiari dispequindi, alla fine, chi paga? Ovviamente rati che non sanno più che cosa fare per Pantalone, cioè tutti quanti. Noi. fermare il loro caro (molto caro) si moltiplicano. E si moltiplicano anche le vite In aumento i tossici da gioco che a causa di questo vengono irrimeAbbiamo cercato di capire quali sono i diabilmente rovinate, cambiate, modicosti di questa piaga sociale, partendo ficate. Rovinate. da un presupposto: dopo che avete imparato a non chiamarla più ludopatia (sono in molti a dire che è uno strataPiù servizi, stessi costi gemma linguistico coniato dagli stessi Uno dei primi ad accorgersi, in Italia, produttori di slotmachine per deviare che una nuova tipologia di dipendenti le persone dal nodo del problema, e cominciava ad affacciarsi nel suo amcioè che non è il gioco generico a dare bulatorio, fu dieci anni fa Graziano Beldipendenza, ma il fatto di metterci sollio, direttore del servizio dipendenze di), tenete ben presente un’altra cosa: dell’ospedale San Giacomo di Castello stato in tutta questa partita ha un franco Veneto. «Era l’inizio del Duemila ruolo decisamente inquietante e am– racconta – e con una collega psicologa biguo. Perché, se da un lato nel 2003 ha cominciammo a capire che si accostava cercato di regolamentare il settore del a noi un nuovo tipo di utenti. Magari, gioco riconducendolo al suo controllo, inizialmente, ci dicevano che venivano dall’altro ne approfitta per farci cassa. qui perché erano depressi, ma poi capiLe pubblicità dei gratta e vinci sono auvamo il cuore del problema: non riuscimentate, i prodotti da gioco che provano più a smettere di giocare soldi, si mettono vincite milionarie sono semerano rovinati la vita. Ci rendemmo pre più diversificati per attrarre un nuconto che si trattava di una dipendenza, mero sempre più variegato di persone, molto simile a quella per le droghe».

16. scarp de’ tenis marzo 2013

I primi anni, la direzione dell’ospedale non vide di buon occhio la cosa: «Io non chiesi soldi, non chiesi di avere maggiori risorse, non chiesi di avere finanziamenti – spiega Bellio –: sapevo che mi avrebbero detto di stare al mio posto, di continuare a curare le tipologie di dipendenze previste, di limitarmi a quello. Quindi all’inizio non promossi molto la cosa, la gestii da solo, con la mia équipe. Col tempo la direzione ha cominciato a tenere sott’occhio il nostro lavoro, non era più contraria, bensì tollerante. E oggi, a distanza di dieci anni, sono molto orgoglioso di quello che stiamo facendo». Se qualcuno spera o si immagina che questo abbia significato avere un budget maggiore per accogliere gli azzardopatici si sbaglia: l’ambulatorio di


l’inchiesta

Le storie

Chiusa l’azienda dorme in strada, bruciati i soldi per gli studi dei figli

Castelfranco Veneto non ha un euro di più di prima. Semmai qualcosa di meno, visto l’andazzo generale della sanità. «Quello che abbiamo fatto – racconta dunque il direttore – è stato tirare la coperta un po’ di più, diminuendo le ore alle altre tipologie di utenti». Difficile quindi quantificare in cifre precise, ma facile capire il costo di questo nuovo fenomeno sulla società. Visto che non ci sono soldi, si fa quello che si può, ci si arrabatta come capita. Nell’ambulatorio di Castelfranco Veneto, nel 2001 si contarono subito cento utenti giocatori, nel 2012 ne hanno ricevuti ben 130. Gli operatori dedicati al servizio erano cinque e cinque sono rimasti: ci si stringe un po’ con i tempi, insomma. Provando a non trascurare nessuno, vecchi e nuovi addicted.

Mettiamo che hai 50 euro, hai parcheggiato in una sosta a pagamento e quindi sai che dovrai tenerne almeno 3 per pagare il biglietto e ritirare la macchina. Entri in un bar, ti metti a giocare alle slot machine, arrivi a 47 euro giocate. Ti ricordi dell’auto, ma l’impulso è così forte che non ti fermi. Al diavolo la macchina, te li giochi tutti. Oppure mettiamo che hai i soldi contati e sai che l’indomani devi andare dal dentista e qualcosa devi tenere via. Ma ti rechi in un bar e tutti i soldi li fai fuori al lotto. Ecco, non serve spendere grosse cifre per essere un dipendente dal gioco d’azzardo. «Quando il gioco d’azzardo modifica in qualunque modo, anche piccolissimo, una tua abitudine, un tuo programma, una tua decisione – spiega Daniela Capitanucci, presidente di And Varese – allora è già un campanello d’allarme. Stai sicuro che prima o poi ti ritroverai nei guai». E in proposito si raccolgono storie da non credere. Nell’ambulatorio di Castelfranco Veneto è arrivato un signore, qualche tempo fa, con una parabola di vita da far accapponare la pelle. «Aveva due genitori anziani e agiati – spiega Graziano Bellio, il direttore del servizio – era abituato a fare la bella vita, a non preoccuparsi dei soldi, a spendere e spandere. Ha cominciato giocando al casinò, ma quando i suoi genitori sono deceduti, ha perso il controllo. Si è venduto la fabbrica di famiglia, tutti gli appartamenti, ha consumato gli ultimi risparmi alle slot machine, è diventato un senzatetto, ha giocato in tutto più di un milione di euro. È diventato un assistito pubblico». Da Varese invece arriva la triste vicenda di un padre: i nonni avevano messo via, nel corso degli anni, delle piccole somme per i nipoti. Volevano che facessero l’università, ma quei soldi non li avevano messi in banca o in posta, li avevano affidati ai genitori che a loro volta li mettevano in una cassaforte in casa. Quando è arrivato il momento di iscriversi all’università, i ragazzi si sono resi conto che nella cassaforte non c’era più niente: tutto giocato dal padre. I ragazzi all’università non si sono più iscritti: si sono trovati un lavoretto e hanno abbandonato ogni sogno per il futuro.

In Italia c’è la deregulation La verità, però, è una sola. Ce la spiega Daniela Capitanucci, presidente onorario di And (Azzardo e nuove dipendenze) di Varese: «È difficile fare un quadro omogeneo di quanto costano le azzardopatie – spiega – perché in Italia c’è una totale deregulation a causa del fatto che fino a pochi mesi fa il fenomeno non era stato inserito nei Lea, cioè nei livelli essenziali di assistenza. Il decreto Balduzzi intende farlo, ma non è ancora pienamente operativo. E quindi che cosa accade? Che ci sono alcuni servizi sanitari che accolgono i malati d’azzardo gratis, altri che li accolgono ma dietro pagamento di ticket, altri ancora che non li accolgono per niente e altri ancora che li rimandano a privati. Dipende, in pratica, dalla regione in cui ti trovi. Il decreto Balduzzi introduce l’azzardo nei Lea, e fa benissimo. Peccato che non ha

previsto una copertura finanziaria. In tutti i casi, comunque, i costi principali sono quelli sostenuti dalle famiglie». Infatti, quando un giocatore perde il controllo di sé e non riesce più a fermarsi, che cosa succede? Succede che perde il lavoro perché perde la capacità di essere lucido e produttivo, che consuma i risparmi della famiglia, che fa debiti, che perde la casa, che si separa dal coniuge, che incrina le relazioni con i figli e il resto dei parenti. «E questi sono tutti costi da quantificare – continua Daniela Capitanucci –. Nel 2012 sono stati giocati 85 miliardi di euro, nel 2011 erano 79. Ma questi soldi, in che percentuale sono stati spesi da giocatori patologici? Quale impatto hanno avuto sulla società? L’azzardo patologico produce costi per la salute, danni familiari, guasti sulla produttività e il risparmio. Che alla fine paghiamo tutti».

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.17


Malati di gioco. Chi paga il conto?

Lo psichiatra Schiappacasse, a Genova, lotta contro l’azzardo: «Nessuno è predisposto alla dipendenza. E l’idea di “gioco responsabile” è fuorviante»

«Patologico è il sistema, mica chi ci casca...» di Mirco Mazzoli

Esiste il giocatore patologico? «L’espressione nasconde un trucco: è come se dicessimo, a una persona con un tumore a causa dell’amianto, che lo ha sviluppato perché ha i polmoni patologici. È l’amianto il problema, non il polmone». Risponde con convinzione e una certa dose di rabbia Giorgio Schiappacasse, psichiatra primario del Sert Ponente dell’Asl 3 Genovese, tra i principali promotori della lotta all’azzardo legalizzato a Genova: la città conta oltre 60 sale da gioco e 2.100 esercizi commerciali con slot machine, particolarmente diffusi nei quartieri con maggior disagio sociale. «Dire che il problema del giocatore patologico è il suo essere, appunto, patologico, significa creQualche mese fa i Monopoli avviarono dere che sia un predestinato e che la coluna campagna nelle scuole per spiegare pa sia sua, significa pensare che esistano che è bene giocare responsabilmente: in giocatori “normali”, a riparo dal rischio una certa misura, accettare il rischio e di diventare patologici. Il problema è il giocare sarebbe segno di buona intragioco, non la persona. Lo studio scienprendenza, che attrezza alla vita. «Ecco tifico non offre elementi per dire che il nocciolo della questione – continua uno è predisposto e l’altro no: se gioSchiappacasse –, che poi è la stessa prechiamo d’azzardo, siamo tutti ugualsa in giro del bere o fumare responsabilmente esposti al rischio patologia. La mente: chi ha interesse all’affare pretenquestione è che non ce lo vogliamo sende di promuovere anche la prevenzione tir dire: distruggere la categoria del gioe l’educazione. E noi cittadini, famiglie, catore patologico significa rinunciare al servizi territoriali, medici, scuole, agenconcetto del “gioco responsabile”, che fa zie educative, chiese? Dove siamo? Latanto comodo alle imprese dell’azzardo. sciamo fare? La realtà denuncia il nostro E anche allo stato».

Il caffè senza slot, un sito segnala i locali Un sito nato per quelli che pensano che il caffè è più buono se il bar è senza slot: Mauro Vanetti e Pietro Pace sono due trentenni che hanno deciso che è meglio premiare i virtuosi, piuttosto che stigmatizzare chi «magari per necessità o perché costretto dalla criminalità organizzata» ha le macchinette nel proprio locale. E dopo aver lanciato su twitter l’iniziativa #notmycoffee, hanno creato il sito www.senzaslot.it, sul quale chiunque può segnalare i bar che non hanno slot machine. In pochi giorni sono arrivate oltre un centinaio di segnalazioni, un po’ da tutto il nord italia: Milano, Genova, Reggio Emilia, e poi anche Roma e Castellammare di Stabia. «Quello che vogliamo fare rifiutando le macchinette è non contribuire al senso di “normalità” che circonda questo fenomeno – scrivono sul sito Mauro e Pietro –. Anche la caffeina è una sostanza che dà dipendenza, ma è una dipendenza leggera, attorno alla quale si è costruita una cultura positiva che la modera e sorregge. Questo non è possibile con le macchinette, e non vogliamo contribuire a costruire l’illusione che giocarci possa diventare un piccolo vizio innocuo».

18. scarp de’ tenis marzo 2013

enorme debito educativo, nei confronti di noi stessi e dei nostri figli». Quando è iniziato tutto questo? L’aumento delle richieste di aiuto è iniziato circa dieci anni fa. Nascevano allora le prime sale bingo. «Le cause sono remote – commenta il primario del Sert Ponente – e apparentemente scollegate. Una delle più evidenti è la pubblicità. È una droga, né più né meno, una forma di inquinamento mentale da cui è difficile svegliarsi. Con gli ultimi decenni i messaggi si sono fatti sempre meno funzionali e sempre più orientati a stimolare bisogni indotti e, soprattutto, l’idea che tutti possiamo fare la bella vita: ignora i tuoi limiti, ottieni senza meritare, evita la fatica, osa. Tutto è facile e fortunato, almeno nella finzione che ci affascina».


l’inchiesta Quando l’azzardo approda alla pubblicità, inondando i palinsesti televisivi e sponsorizzando le squadre di calcio, il cervello è già andato in pappa da un po’. Negli ultimi anni i Sert genovesi hanno trattato oltre 500 situazioni di persone con problemi “azzardo-correlati”. «Una prima risposta – ricorda Giorgio Schiappacasse – arriva dalle associazioni di autotutela e promozione della salute. Se c’è una particolarità di Genova, rispetto ad altre città metropolitane, è proprio la presenza di una bella rete di autoaiuto: considerando anche altri tipi di dipendenze, contiamo circa 90 gruppi che si riuniscono settimanalmente. Anche nel caso dell’azzardo, i primi ad aver affrontato il problema in questi anni sono le persone e le famiglie colpite».

Tutti insieme contro il gioco Spesso lo stimolo iniziale è venuto dai medici dei Sert, ma presto questi gruppi si sono trasformati in realtà autonome, col nome di “Giocatori anonimi”. «Dobbiamo portare il tema sempre più nel territorio, raggiungere la popolazione, passare dalla cura alla prevenzione. Si tratta di costruire una rete di alleanze, di azioni concrete sul piano locale e sul piano nazionale. Chi lucra sul gioco ci accusa di essere proibizionisti? Si tratta solo di difendere la nostra salute». Asl 3 Genovese e arcidiocesi di Genova si sono trovate d’accordo e, insieme a un gruppo di realtà cattoliche atti-

Vicenza

«Oltre ai gruppi terapeutici servono comunità residenziali» La Caritas diocesana di Vicenza si dà molto da fare, per promuovere nuovi servizi di sostegno e accompagnamento delle persone dipendenti dal gioco d’azzardo. Secondo le segnalazioni degli sportelli Strade (Servizio territoriale di relazione e accompagnamento nella difficoltà economica) e dei centri d’ascolto, infatti, il fenomeno è in netta crescita anche nella provincia veneta: l’aumento delle azzardopatie preoccupa. «È una vera e propria dipendenza – spiega la psicologa Elena Pessato, che rappresenta Caritas al tavolo istituito delle Ulss del territorio –. Una persona che diviene dipendente dal gioco tende a isolarsi, e a comunicare poco con il prossimo. Quello che il governo e le amministrazioni stentano a recepire è il fatto che si tratta di una patologia da cui il soggetto non è in grado di liberarsi senza un aiuto professionale». Occorre quindi predisporre una vera e propria terapia. Nel Vicentino, a muoversi in questo senso è stata per prima la cooperativa Nuova Vita: dal 2001 ha attivato un gruppo terapeutico. La persona dipendente lo frequenta insieme a un familiare, che ha il compito di fare da tutor nel controllo del denaro. «In realtà il problema è anche relazionale e coinvolge da vicino gli affetti – spiega il dottor Alessandro Pilan, responsabile del servizio –. Lo dimostra il fatto che di solito sono sempre i parenti a farsi vivi con il nostro centro. I gruppi terapeutici, che ultimamente sono diventati due, sono per questo multifamiliari. Talvolta, poi, ci capita che il parente frequenti anche da solo, quando la persona in difficoltà non è ancora in grado di riconoscersi in situazione di dipendenza». Al tavolo delle Ulss, dopo il riconoscimento di questa patologia nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), ci si sta organizzando perché gli interventi curativi si possano diffondere in tutto il territorio, anche se non si sa nulla riguardo alla copertura finanziaria. «Oltre a gruppi terapeutici servirebbero anche comunità residenziali – dice Pilan –, soprattutto per giocatori affetti da compulsione accentuata». Finora la cooperativa Nuova Vita ha potuto usufruire solo dell’inserimento in alcuni progetti specifici, ma per far fronte ai costi è stato sempre necessario ricorrere al contributo delle famiglie. Eppure il gioco più praticato è proprio quello che porta allo stato compulsivo, ossia le slot machine. «Rispetto alle droghe o all’alcol il gioco è culturalmente accettato, anzi sostenuto dalla nostra società – conclude Alessandro Pilan –. La diffusione capillare in tutto il territorio è un vero e proprio incentivo a lasciarsi intrappolare. Ci siamo battuti, insieme all’amministrazione comunale di Vicenza, per riuscire a porre qualche limitazione, come la distanza delle sale gioco da scuole e chiese. Sarebbe un messaggio importante, stabilire regole e limitazioni, che non sono una censura, ma un campanello d’allarme, un invito alla riflessione». Cristina Salviati ve nel sociale – tra cui Caritas e Fondazione Auxilium –, hanno dato alle stampe e diffuso un libretto e un opuscolo informativi che si intitolano L’azzardo? Non è un gioco, scaricabili anche dal sito dell’Asl 3. In copertina, Pinocchio si fa abbindolare dal Gatto e dalla Volpe. «Sono quegli uomini d’affari e quei politici – dice senza riserve il primario – che guadagnano su questa dipendenza e che hanno lasciato fare, evitando di legiferare per impedire la diffusione dell’azzardo». Tra le proposte allo studio per il futuro, un bollino di qualità per gli esercizi

commerciali che si liberano dalle macchinette e manifestazioni di piazza. «Dobbiamo prendere sul serio quello che l’Organizzazione mondiale della sanità chiama “approccio di popolazione o di comunità” – conclude Schiappacasse –, secondo il quale tutti devono essere sensibilizzati e informati del rischio. Dobbiamo dare vita a una campagna di informazione e rendere i cittadini consapevoli che su questa partita, e in generale nel nostro modo di partecipare alla società, non possiamo rinunciare al ruolo educativo, perché tutti siamo responsabili verso tutti».

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.19


Più della metà delle donne italiane in età lavorativa è casalinga. La crisi innesca un circuito vizioso, che alimenta povertà

Regina della casa. Appagata o forzata? di Marta Zanella Dici “casalinghe disperate”, e ormai ti immagini un pugno di donne perfette dai capelli ai tacchi, che occupano il tempo scambiandosi torte e pettegolezzi, tuttalpiù assassinando qualche vicino. Ma la realtà italiana è molto lontana dalla nota serie tv americana, anche se ancora non siamo affatto un paese per donne al lavoro. Oggi in Italia, infatti, il 53,5% delle donne in età lavorativa fa la casalinga, e secondo il Rapporto Istat 2012 le donne con un lavoro sono solo il 40,7% dell’intera popolazione femminile. Numeri che raccontano come siamo ancora lontani dalla realtà europea, se è vero che da noi in una coppia su tre la donna – tra i 25 e i 54 anni – non percepisce redditi, mentre in Francia la stessa situazione capita indigenza, o quantomeno di disagio in una coppia su dieci e in Spagna in economico, dell’intero nucleo famigliauna su cinque. Da chi è composta allore? Quali sono le esigenze, le difficoltà, ra questa costellazione di donne esclule storie di questo esercito imponente e se dal mercato del lavoro, e la cui esclusilente? «L’etichetta di casalinga ormai sione contribuisce – spesso in modo desi adatta poco a raggruppare situazioni terminante – a causare la situazione di molto diverse tra loro, e le donne spes-

La temporanea

Alessia: «Niente più laboratorio, adesso vorrei aprire un nido» Una laurea in biotecnologie industriali a indirizzo molecolare. Un lavoro in un laboratorio di citogenetica. E poi l’arrivo di Clara. Ora, se le chiedi cosa fa nella vita, risponde: «Faccio la mamma». Alessia stava lavorando con un assegno di ricerca, rinnovato annualmente, quando rimase incinta della prima bambina. Il suo contratto non prevedeva maternità, così, alla scadenza dell’assegno, restò a casa con la promessa di poter rientrare quando la bimba fosse stata sufficientemente grande, dopo qualche mese. E così fu: dopo un anno la borsa di studio le fu riassegnata. Ma nel 2011 un nuovo test di gravidanza positivo non fu accolto altrettanto bene. «In contemporanea anche l’altra mia collega era rimasta incinta – racconta Alessia –, la mia direttrice si arrabbiò e dichiarò che non ne voleva più sapere di entrambe». Giulia è nata un anno fa, ma questa volta dal laboratorio non sono più arrivate proposte. È a casa, ma la considera una situazione temporanea: «Sono abbastanza contenta di stare con le mie bambine. Credo sia importante per loro avermi vicina ed è importante per me vederle crescere. Ma appena andranno entrambe alla scuola materna, avendo anche molto aiuto a disposizione, tornerei volentieri a lavorare». Vorrebbe cambiare tipo di lavoro, fare qualcosa che non le porti via troppo tempo e sia un’occupazione meno di laboratorio, più “umana”. Vorrebbe aprire un nido famiglia. Vorrebbe: tanti sogni e desideri. Almeno per qualche anno, destinati a restare tali.

20. scarp de’ tenis marzo 2013

so rifiutano di definirsi così», spiega Annalisa Tonarelli, sociologa dell’Università di Firenze, che ha coordinato la ricerca Io lavoro a casa, voluta dall’assessorato al lavoro della provincia di Firenze. I 500 questionari raccolti sono serviti a indagare la vita e le scelte di altrettante donne, soprattutto mogli e madri tra i 18 e i 65 anni, intercettate in centri commerciali, mercati, scuole, giardini, associazioni pubbliche e, ovviamente, anche attraverso il web. «Abbiamo mappato la situazione e identificato quattro tipologie di non lavoratrici – spiega Tonarelli –. Ci sono le grateful housewives, le “appagate”: donne tra i 45 e i 50 anni che hanno scelto di dedicarsi alla vita domestica e ai figli, realizzate e privilegiate, che possono contare


l’inchiesta L’adattata

Agnese: «E mio marito non capiva perché mi stancavo…»

su un reddito familiare piuttosto alto e sull’aiuto dei genitori, del marito e anche di una colf». Le tailored housewives invece sono quelle che in passato lavoravano e che poi si sono “adattate” a occuparsi di casa e figli, ma senza identificarsi con il ruolo tradizionale di casalinga, che sentono come un vestito che rischia di diventare troppo stretto, soprattutto quando i figli crescono e loro vorrebbero tornare a fare altro. Ci sono poi donne per le quali la rinuncia al lavoro è stata obbligata: perché sono state licenziate, o perché è scaduto il contratto. Sono quelle che più hanno pagato per la crisi economica o per una maternità. Si tratta delle “forzate” della casa, le forced housewives, che vivono la dimensione domestica quasi

Non è che le piaccia fare le pulizie, confida mentre passa lo strofinaccio sul pavimento di una casa che non è la sua. Quando ha iniziato, pochi anni fa, a fare la colf, i suoi figli non erano d’accordo: ha dovuto spiegare loro che era un modo per aiutare papà e portare in casa qualche soldo in più. Agnese aveva lavorato, prima di sposarsi. Dopo una scuola professionale e alcuni corsi di specializzazione, era stata assunta in un vivaio. Il lavoro le piaceva, ma il capo proprio no: era uno di quelli che pensava che le dipendenti, oltre al proprio lavoro, dovessero essere disponibili a fare anche altro. Lei era sempre riuscita a mantenere le distanze, ma la situazione diventava ogni giorno più pesante e così, quando a 25 anni si era sposata, aveva lasciato il posto per dedicarsi alla famiglia, che presto aveva iniziato a crescere. «È sempre stata un po’ dura per me fare la casalinga – confida oggi –. Certo, mi è piaciuto stare a casa, fare la mamma e crescere i miei figli. Soprattutto quando erano molto piccoli, mi impegnavano molto, arrivavo alla sera distrutta senza essermi seduta un momento e avendo l’impressione di non aver combinato nulla. Iniziavo a correre al mattino, andavo a letto alla sera e al mattino dopo ricominciavo da capo, tutti i giorni uguali». Suo marito non capiva come fosse possibile «essere stanca senza aver lavorato». Certo, ammette Agnese, il lavoro del marito «è pesante, ma quando rientrava in casa si sedeva sul divano e non si muoveva più. Questa cosa mi è molto pesata». Quando i ragazzi sono cresciuti e ha iniziato la scuola anche la piccola, che oggi ha 11 anni, ad Agnese si è liberato un po’ di tempo. È stato allora che ha provato a fare altro, fuori casa. Ha iniziato a fare la catechista, e tramite le conoscenze dell’oratorio ha saputo di una donna disabile che cercava un aiuto per le pulizie. Quella è stata la prima esperienza: ora lavora per quattro famiglie e porta a casa qualche soldo. Casalinga in casa d’altri: «Mi sono adattata. Forse non è quello che sognavo, ma la situazione ha avuto anche i suoi lati positivi. Certe scelte le cambierei, ma sono cambiata anche io e ho imparato a vedere il meglio in quello che mi si presenta davanti. E non mi posso lamentare».

come una punizione e quando si dichiarano casalinghe lo dicono come fosse qualcosa di cui scusarsi. Le altre obbligate sono le temporary housewives, le “temporanee”, istruite e intorno ai 30 anni di età, che a causa della precarietà del futuro professionale investono nella sfera familiare, come neomamme, in attesa di periodi più favorevoli per rientrare nel mercato del lavoro.

Quasi impossibile rientrare Ma cosa porta alla “casalinghitudine? «La crisi economica incide sicuramente sulla perdita o l’abbandono del lavoro – risponde Tonarelli –. Si instaurano due meccanismi viziosi. Da una parte, il lavoro domestico diventa una strategia di risparmio nelle famiglie con un reddito basso: se resto a casa a occuparmi della gestione familiare, posso risparmiare sulle spese di colf, baby sitter, cibi pronti… D’altra parte, avere uno stipendio in

meno abbassa il reddito familiare e aumenta le situazioni di povertà». Lo confermano anche i dati di Caritas Italiana, secondo cui dal 2009 al 2011, negli anni della crisi, il numero delle casalinghe che si sono rivolte ai centri di ascolto ha registrato un +177%; quasi la metà (il 42,5%) nel 2012 lo ha fatto per problemi economici, e una su cinque per problemi legati alla mancanza di lavoro. E poi c’è la solita, maledetta difficoltà a conciliare lavoro e famiglia, come evidenzia anche l’Istat nel suo ultimo Rapporto annuale: nel 2012 una neomadre su quattro ha lasciato o perso il lavoro che svolgeva quando era incinta. E dopo diventa difficile, quasi impossibile, rientrare: per la perdita di contatto con il mondo del lavoro, per scoraggiamento, perché lo sforzo di coltivare un’occupazione che spesso non ripaga in termini di reddito e soddisfamarzo 2013 scarp de’ tenis

.21


Regina della casa. Appagata o forzata?

Uomini di casa

Casalinghi merce rara, ma Samuele cucina bene… Si alzano la mattina, preparano la prima colazione per tutti, portano i bambini a scuola, fanno il bucato, puliscono casa, fanno la spesa, cucinano la cena. E sono uomini. Ancora merce rara in Italia, i casalinghi, ma il loro numero è in crescita. Secondo i dati Inail riferiti al 2011, gli uomini che hanno versato la quota assicurativa contro gli infortuni domestici sono 19.284, l’1,1% delle persone che si dedicano esclusivamente alla cura di casa e famiglia. Ma il loro numero effettivo pare essere ben più alto: secondo i dati Istat sulle forze lavoro, nel 2011 erano 125 mila gli uomini dediti esclusivamente alle faccende domestiche. Di questi, 46 mila con un’età compresa tra i 35 e i 64 anni, 16 mila sono under 35. In pratica, 72 mila uomini in età lavorativa, un piccolo esercito in crescita: +41% rispetto all’anno precedente. Per molti di loro, probabilmente, in un periodo di forte crisi occupazionale, la scelta è stata “obbligata”, a causa della perdita del posto di lavoro e della mancata possibilità di reinserimento lavorativo. Esiste anche un’associazione, la Asuc (Associazione uomini casalinghi, www.asuc.it), che li rappresenta e conta più di 5 mila iscritti, tra casalinghi a tempo pieno o part time. Samuele è rappresentante di questo nuovo gruppo sociale. È un bell'uomo, 57 anni, alto, imponente: impersonava proprio bene il ruolo di dirigente di una famosa industria del settore dell’abbigliamento. Impersonava: al passato, fino a tre anni fa. Cioè quando la sua azienda ha subìto una battuta d’arresto a causa della crisi e ha iniziato a tagliare posti di lavoro, dagli operai fino ai dirigenti. Sua moglie, Stefania, lavora come caposala in un ospedale e, da sempre, i suoi orari vanno ben oltre i canonici turni degli infermieri. Così, quando Samuele è stato licenziato, hanno cercato di prenderla come un’occasione per rivedere la loro organizzazione familiare. «Abbiamo deciso che avrei potuto provare a prendermi carico della gestione della casa e dei ragazzi che, anche se ormai hanno vent’anni, e uno dei due lavora, vivono ancora con noi e, ovviamente, in casa aiutano ben poco – racconta Samuele –. Non è stato per nulla facile, io fino a quel momento non mi ero quasi mai occupato della casa…». Però ha trovato la forza di ripartire da capo e ha imparato a organizzare la sua giornata in base alla routine, alle pulizie, alla spesa da fare, alle commissioni che sembrano piccole ma riempiono le ore, alla cura dei familiari. «È stata psicologicamente dura all’inizio, in parte perché ero abituato a una vita diversa, più dinamica e apparentemente più produttiva, in parte perché quel primo periodo ha coinciso con il peggioramento della salute di mio padre, che poi è mancato. Molto del mio tempo era occupato per accompagnarlo a fare visite e per accudirlo». Ma ci sono stati anche aspetti più leggeri: «Ho imparato a cucinare, ne vado orgoglioso! Prima sapevo fare a malapena una pasta, ora dò sfogo alla creatività, mi diverto a sperimentare. Mi dicono che sono diventato molto bravo…». Sicuramente non avrebbe fatto questa scelta se non ne fosse stato obbligato, «ma è andata così, ci siamo adattati. E sembra che stiamo andando piuttosto bene».

22. scarp de’ tenis marzo 2013

zioni sembra non valere la pena. «È proprio sulle “temporanee” che vale la pena soffermarsi – avverte la sociologa fiorentina –. Sono giovani donne istruite che rifiutano di definirsi casalinghe, che danno per scontati la parità di genere, il lavoro delle donne, la divisione dei ruoli in casa, e abbassano la guardia. Invece la parità si rivela un’illusione, e la loro disinvoltura nell’accettare la dipendenza economica da partner molto orientati alla professione e poco coinvolti nella gestione della casa e dei figli diventa un problema gravissimo».

Un senso di inutilità Diventa addirittura un problema culturale, perché si rischia di fare passi indietro nella parità di genere, «di trasmettere ai figli e alle figlie un modello culturale in cui la donna è dipendente e di passare il concetto che c’è qualcuno che fa per loro: e anche questa è una grave forma di impoverimento». Un problema anche dal punto di vista psicologico: «L’espressione casalinga disperata forse è abusata, ma allude a una condizione innegabile di scontentezza, di frustrazione, di solitudine, di perdita di identità. E di un senso di inutilità sociale». Infine, si prospetta un problema economico, per l’individuo che dipende dal partner, «e soprattutto in una prospettiva sociale – conclude Annalisa Tonarelli –. Tollerare questa situazione perpetua infatti la crisi in cui viviamo. L’unico modo che abbiamo di uscirne è investire sul lavoro, perché solo aumentando la quota di lavoratori che sopportano le spese di uno stato è possibile garantire più benessere a tutti. Il bacino del lavoro femminile è quello che oggi va potenziato. Più donne lavorano, più un paese diventa ricco».

.


l’intervista Giuseppe Marotta racconta Napoli con gli occhi di un bimbo, cresciuto nel sistema della camorra. Che solo le donne possono cambiare

L’infanzia è un inciampo di Daniela Palumbo

Poeta e copywriter, oggi romanziere Giuseppe Marotta è nato a Pompei nel 1966. Laureato in scienze politiche, ha lavorato come copywriter per alcuni anni, per poi trasferirsi in provincia di Varese, dove oggi lavora come ufficiale giudiziario al tribunale di Rho. Scrive da sempre, racconti e poesie, che hanno vinto numerosi premi (Premio di poesia Città di Rivoli 2002; Premio Luigi Antonelli 2004; Premio Città del Noce 2003; Premio Mario Luzi 2006). E i bambini osservano muti è il suo primo romanzo

Per sopravvivere a Napoli e dintorni bisogna avere la cazzimma. E meglio sarebbe se, almeno una volta nella vita, ci s’impregnasse del fiéto acido del carcere. Don Furore lo avrebbe voluto così, il figlio, Antonio. Con la cazzimma – quel tanto di brutalità e cinismo che ti permette di sparare a una persona come se fosse il tronco dell’albero che fin da piccoli ci si abitua a mirare come un bersaglio umano. E con un profilo da vero uomo, che almeno una volta nella vita è passato dint’ ’e cancèlle della prigione. Ma Antonio Cafuro non è così. Ha paura del carcere e del padre. E non ha abbastanza cazzimma. Se non con la moglie – che picchia a sangue tutti i giorni – perché è l’unica che ha il coraggio di sfidare don Furore. Remì è la sua? Qui nasce Remì, il ragazzino di 10 No. Io però ho vissuto in una famiglia anni, protagonista del romanzo di Giudove la violenza era sottopelle. Mio paseppe Marotta (esordiente con Corbacdre poteva sempre esplodere in scatti di cio), E i bambini osservano muti. rabbia violenti. Quando ho scritto il liRemì osserva e ascolta, registra e tabro e ho pensato al personaggio di Remì ce. Nulla gli è nascosto. Non si parla a ho ricordato il clima difficile di casa mia, misura di bambino, in certi posti. Lui la rabbia inesplosa che sentivo come conosce il mestiere del nonno e come una minaccia quando c’era mio padre. arrivano i soldi in casa, sa degli ammazMa non era un camorrista. La mia inzamenti e della cazzimma che il padre fanzia è stata diversa, per fortuna, da non ha. Non conosce altro della vita, quella del protagonista del mio libro. non sa che il mondo non finisce nel Poi ho fatto l’Università a Napoli e anquartiere dove comanda don Furore a che se sei lontano da certe realtà ti ci risuon di mazzate e sparatorie. Però sa trovi a contatto quotidianamente. Perche il nonno confida nella sua, di cazché prima o poi assisterai a un omicizimma, e per questo lo porta a sparare dio, a una sparatoria, saprai che qualai tronchi degli alberi. È una vita già decuno che era scomparso è stato cisa. Un destino già compiuto. Come ritrovato morto nel vicolo o nella piazza. accade spesso nei vicoli dove comanda la camorra. E i bambini? I bambini a Napoli, e nella Campania feudo della camorra, quando nascono Marotta, poi però accade qualcosa... in quartieri come quello dove cresce Ho voluto riavvolgere il nastro e dare ai bambini come Remì la possibilità di riRemì, fanno a gara a chi conosce più scattarsi, volevo dare una speranza perboss. Io li ho sentiti più di una volta ché sono nato a Pompei e conosco la elencare la vicinanza con il capo di querealtà di chi vive in certi posti. E la realtà sto o l’altro quartiere. Più ne conosci e è che i bambini come Remì non hanno più ti senti importante. Il modello a cui scampo, quasi mai. aspirano è lì a due passi. L’infanzia è un inciampo, una perdita di tempo, se non impari il più presto possibile a essere Lei è emigrato a Varese, dove lavora come gli adulti che hai vicino. come ufficiale giudiziario. L’infanzia di marzo 2013 scarp de’ tenis

.23


L’infanzia è un inciampo

Il libro. Remì contro Furore Remì ha dieci anni. Ha un’infanzia apparentemente normale, ma nella terra martoriata dalle guerre di camorra essere bambini pare impossibile. Il nonno, don Furore, è il boss di una potente banda: la moglie e il figlio di don Furore si uniscono alla schiera del popolo che lo teme e lo serve; soltanto la madre di Remì riesce a tenergli testa. Il bambino si ritrova al centro di un mondo feroce, dove è sempre più difficile distinguere ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ma a un certo punto deve scegliere da che parte stare. Ed ecco che per difendere la mamma in pericolo, il piccolo protagonista si trova a combattere una battaglia che lo porterà a mettere in discussione tutto quello in cui credeva. E i bambini osservano muti Corbaccio, pagine 223 – euro 14.90

E allora come può crescere Remì? La sola persona che tiene testa a don Furore, è la nuora. La madre di Remì. Io credo che solo le donne, per amore dei propri figli, possono sperare di cambiare quel mondo, quella mentalità, così radicata fin dall’infanzia. Non a caso sono le madri che, per dare una speranza di vita diversa ai figli, rischiano la vita e collaborano con la giustizia. L’ultima è stata Giuseppina Pesce. Lea Garofalo purtroppo l’hanno uccisa. Ma altre ne verranno. La salvezza, per come la vedo io, può venire dalle donne, in quei contesti. Remì sarebbe diventato probabilmente come il nonno, ma quando questo gli vuole uccidere la madre perché è scappata con un altro uomo e dice di volersi riprendere il figlio, allora Remì sa subito da che parte stare. E comincia a dubitare che quel sistema di violenza sia giustificato. Appunto. La giustizia. Che significato ha, dove la violenza è un valore? La giustizia è quella di don Furore. Fuori da casa sua c’è la fila, perché è lui che dispone e rende il maltolto. Le persone

che vengono derubate non vanno alla polizia, vanno dai capicamorra a chiedere se possono restituire il motorino, la macchina, e sono disposti a pagare. Se una ragazza resta incinta e il ragazzo


l’intervista

Milano

Vittima del racket, ha denunciato: i panini di Loreno sono tornati “Bentornato Loreno”. Uno striscione firmato dagli studenti di fisica e appeso alla cancellata di via Celoria 16 ha accolto a settembre Loreno Tetti (nella foto), proprietario di un camioncino di panini che circa un anno fa ha avuto il coraggio di denunciare chi gli chiedeva il pizzo. Proprio per questo coraggio, il suo camion è stato dato alle fiamme nella notte tra il 17 e il 18 luglio. Il giorno in cui Loreno ha aperto il suo nuovo baracchino, che sta pagando grazie agli aiuti di parenti ed amici, c’erano moltissime persone a mostrargli solidarietà. In primis tanti studenti, della Statale e del Politecnico. «I ragazzi dell’università, miei clienti da tempo, hanno fatto per me una raccolta di firme per farmi sentire che erano in tanti ad essermi vicini – ha spiegato Loreno –. Gli studenti hanno anche organizzato per me due grandi feste, una nel cortile della facoltà di fisica e una in quello di biologia. In queste feste ho cucinato le salamelle per tutti e i ragazzi hanno deciso di regalarmi l’intero incasso, per contribuire a pagare le spese del nuovo furgoncino».

non la vuole sposare, la madre va da don Furore che sistema tutto, e l’indomani il ragazzo chiede scusa e si sposa. Lei salva Remì, che riesce a fuggire con la madre. Andarsene è l’unica speranza? Credo di sì. È un territorio troppo compromesso. Attenzione, la malavita organizzata è anche al nord, a Milano in particolare. Ma è diversa, non fa rumore e fa pochi morti. La differenza fra Napoli e Milano è che a Napoli non si nascondono. Perché la violenza è un atteggiamento che è praticato come un valore. Ma è diventato inestirpabile, perché in quei territori mancano le istituzioni, lo stato. Con il tempo i boss si sono completamente sostituiti alle istituzioni. Oggi la camorra è uguale agli anni Settanta, quando si parlava di morti ammazzati ogni giorno. Solo che non se ne parla più, è subentrata la normalizzazione. Il territorio se lo sono spartito i boss, con la benedizione silenziosa di tutti. Remì si salva ma il finale è spiazzante. Sembra che non riesca a liberarsi della violenza... È una salvezza con la condizionale. È difficile, dopo la vita che gli è toccata, rinascere senza macchie. Remì (e ogni minore che vive immerso nella violenza) la porta con sé, sempre. La può rielaborare e decidere di rifiutarla. Ma dalla violenza non ci si salva mai del tutto.

.

Fin qui gli studenti. Ma per sostenere Loreno si sono mossi anche importanti personalità milanesi. Due tra tutti: Nando Dalla Chiesa e David Gentili, presidente della commissione antimafia del consiglio comunale. «Dalla Chiesa, quando è venuto, ha tenuto lezioni agli studenti sulla mafia e sulle ramificazioni della criminalità organizzata nel Nord Italia», prosegue Tetti. E il giorno della riapertura hanno voluto essere presenti, e dare tutto il loro appoggio, anche due assessori del comune di Milano, Pierfrancesco Maran e Marco Granelli. Chi invece non ha sostenuto per nulla Loreno sono stati tanti suoi colleghi, spesso anche loro vittime degli ’ndranghetisti. «Circa un anno fa si sono presentati davanti al furgoncino dei personaggi che con forte accento calabrese mi hanno consigliato vivamente di offrire un contributo. “Questa zona è nostra e qui comandiamo noi. Se vuoi rimanere devi pagare. Qui pagano tutti e devi pagare anche tu: 800 euro al mese”, mi hanno detto. Io, però, non avevo abbastanza soldi: quando va bene, riesco a guadagnare circa mille euro al mese. Quindi ho ringraziato, ma ho continuato a non pagare. Da quel momento in poi sono venuti altre tre o quattro volte, fino a quando, un giorno, mi hanno tagliato le gomme». Classici metodi da intimidazione mafiosa, ma gli ‘ndranghetisti non si aspettavano che Loreno li denunciasse. E tanto meno che la questione facesse così scalpore. «Un giorno, esasperato dalle continue minacce e dai vandalismi, ho fermato una pattuglia della polizia locale e ho fatto la denuncia. Tramite il numero di targa sono stati individuati e da lì è iniziata l’indagine – continua Tetti –. Dopo qualche tempo, mi ha chiamato il giudice per il processo ed è stata in quell’occasione che i miei colleghi hanno preferito far finta di nulla, non confermando la mia versione dei fatti. Su 22 proprietari di camioncini, l’unico a dire le cose come stanno veramente sono stato io. Capisco la paura, anch’io ce l’ho, ma non si può far finta di nulla. Eppure è andata così. Nessuno aveva visto o sentito nulla. Una settimana più tardi mi hanno bruciato il camion». Per non lasciare solo Loreno e proteggere il chiosco, oggi sono impegnate a rotazione tre pattuglie, con agenti sia in divisa sia in borghese. L’assessore alla sicurezza del comune di Milano, Marco Granelli, ha ribadito l’impegno dell’amministrazione «Per cercare di non lasciare solo chi ha avuto il coraggio di denunciare la situazione e per presidiare zone a rischio d’infiltrazione mafiosa». Oltre a Città Studi, anche le zone dei Navigli e corso Como (densamente animate dalla movida notturna) fanno più gola alla criminalità organizzata. Granelli lo sa e rilancia: «Anche in quelle zone abbiamo fatto e stiamo facendo molto. Continueremo su questa strada, senza farci intimidire». Simona Brambilla marzo 2013 scarp de’ tenis

.25


milano Avelina, Giovanna e Beatrice: sole, malate, spesso vittime di violenza, le donne homeless vivono un disagio più profondo

L’altra, amara metà della strada Como Casa Ozanam accoglie le vittime di violenza Torino Senza dimora, marcia e dialogo con le istituzioni Genova Il mondo di Libereso, la bellezza in un fiore Vicenza Nemico di sé stesso, Nico è andato nell’Eden Modena Cambiare lo stato sociale ai tempi della crisi Rimini Nonne argentine in ricerca dei nipoti “rubati” Firenze Detenuto al Solliccianino: «Meglio che altre prigioni» Napoli Gente di talento, Arnaldo cronista coraggioso Salerno Malati oncologici, troppi viaggi della speranza Catania Cure e sorriso per i poveri, la salute diritto di tutti

26. scarp de’ tenis marzo 2013

di Simona Brambilla Sono donne sole, con i figli lontani, vittime di violenza o con storie di dipendenze alle spalle. Sono donne che per un motivo o per l’altro non hanno una propria dimora: alcune finiscono in strada, altre trovano soluzioni di emergenza presso amici, strutture o parenti. Avelina, per esempio. È stata accolta con i figli in uno degli appartamenti di terza accoglienza gestiti da un’associazione milanese. La sua è la storia di una fuga da un piccolo comune del Veneto in cui viveva da anni, dopo essere arrivata in Italia dalla Romania. Avelina era riuscita ad integrarsi bene nel contesto sociale e lavorativo, svolgeva attività di sostegno scolastico a bambini disabili. Anche i suoi figli frequentavano la scuola con successo e soddisfazione, ma nessuno sapeva del dramma di questa famiglia, un dramma fatto di violenze subite silenziosamente e con paura, na a ritrovarsi sulla strada e a dover da 15 anni, per mano di un marito e paadattarsi alla durissima vita del dormidre padrone. Avelina con fatica è riuscitorio pubblico. I suoi unici punti di rifeta a rompere la prigione in cui era rinchiusa: ha denunciato ed è scappata a Milano. Dove è stata accolta in un appartamento di terza accoglienza, al quale, malgrado tutto, lei e i figli sono riusciti ad adattarsi. Il processo a carico del marito non ha avuto gli esiti che Avelina si aspettava. Così lei e i ragazzi, per paura di essere rintracciati dall’uomo, hanno deciso di scappare ancora, di raggiungere un’altra grande città, di affrontare nuovamente una situazione di estrema precarietà. Essere senza dimora, per loro significa essere senza radici. E non riuscire a ricostruirle perché costretti a scappare.

Giovanna sembra stare meglio Ma le donne a volte sulla strada finiscono davvero, senza più un luogo dove poter riporre le proprie cose e senza un tetto sopra la testa. È il caso di Giovanna, donna italiana di 60 anni, con una buona famiglia alle spalle. Figlia unica, ha dedicato tutta la sua vita ai genitori, che avevano una piccola attività in proprio. La loro morte, la difficoltà di sostenere da sola l’attività e la mancanza di una rete famigliare e amicale allargata, hanno portata in breve tempo Giovan-


scarpmilano rimento sono diventate le assistenti sociali, dalle quali però, orgogliosamente, rifiutava ogni proposta alternativa alla strada: caparbiamente chiedeva e pretendeva una casa sua, anche se di poche pretese. Questa dignità non è riuscita a proteggerla e la sua salute psicofisica ne ha risentito, rendendo difficile il suo reinserimento. Nonostante tutto, oggi sembra stare meglio e aver trovato un suo fragile equilibrio, pur continuando nella sua vita precaria.

Insieme alla Cena dell’amicizia Queste sono due delle tante storie di vita incontrate durante il percorso del Progetto Oikia, negli anni 2011 e 2012. Nato dall’associazione Aclidonne, in collaborazione con la provincia di Milano, il progetto ha organizzato accoglienza, ascolto, colloqui individuali e laboratori di gruppo rivolti a donne che si trovano in situazioni di difficoltà e disagio. Ma il panorama dei servizi milanesi, pur nella carenza generalizzata di azioni di sostegno delle donne in difficoltà, offre comunque esempi fattivi di sostegno. Una struttura di tipo residenziale è il centro notturno femminile di Cena

Il fenomeno

«Ferite e traumi più complessi, pochi i servizi specifici» Sono oltre 6.200 le donne in strada (il 13,1% del totale delle persone senza dimora) secondo i dati del primo censimento svolto dall’Istat, dal ministero del welfare, da Caritas Italiana e da Fio.psd sulla popolazione homeless italiana. Le donne senza dimora sono spesso ancora più invisibili degli uomini che vivono in strada, perché difficilmente chiedono aiuto per se stesse, e comunque riescono quasi sempre a trovare sistemazioni di fortuna, finendo in strada solo quando la loro situazione personale e familiare arriva a precipitare. I servizi a loro disposizione inoltre scarseggiano, soprattutto quelli che cercano di accompagnarle in un percorso di reinserimento. «L'accoglienza femminile è concentrata sulla protezione dei minori, come nel caso delle comunità cosiddette “madre-bambino”, o sull’assistenza delle donne straniere – conferma Andrea Gazziero, psicologo dell’associazione Cena dell’Amicizia, coordinatore lombardo di Fio.psd –. A Milano negli ultimi anni sono stati aperti spazi per le donne, ma non sufficienti, soprattutto quando si cerca di supportarle in un percorso di reinserimento sociale e lavorativo». Cena dell'Amicizia ha aperto nel 2002 una casa di accoglienza per otto donne senza dimora e sole. Un servizio realizzato per rispondere a una domanda pressoché inevasa, nel territorio milanese. «Sono pochi anche i servizi in grado semplicemente di intercettare il problema – continua Gazziero –, e non parliamo di quelli che si ripromettono di svolgere un lavoro di accompagnamento verso il reinserimento sociale, oltre la risposta all'emergenza. Le donne finiscono in strada in numero minore rispetto agli uomini, ma quando ciò accade la caduta risulta essere più rapida e la complessità delle ferite e dei traumi maggiore». Negli ultimi cinque anni, le donne accolte presso il centro notturno sono state in tutto 60, ma solo tre sono passate realmente dalla strada. Anche i dati del censimento nazionale confermano quanto detto da Gazziero. L’83,6% delle donne senza dimora ha vissuto almeno uno dei seguenti eventi rilevanti: separazione dal coniuge (70,2%) o dai figli (40%), perdita di un lavoro stabile (55%), entrambi gli eventi (26,7%). Per quanto riguarda la salute, il 25,6% ha dichiarato di stare male o molto male. Maltrattamenti, isolamento e precarietà sono infatti le situazioni lamentate dalle utenti del Progetto Oikia, che tra 2011 e 2012 è stato svolto da provincia di Milano e Aclidonne, tramite azioni di ascolto, accoglienza e accompagnamento a favore di donne adulte e anziane, italiane e straniere, in un’ottica di prevenzione del disagio. «C’è bisogno di luoghi accoglienti e loro specificamente destinati, in cui le donne possano ritrovarsi insieme senza sentirsi giudicate ed etichettate – conclude Adriana De Benedittis, presidente dell’associazione Oikia onlus, nata in seguito al progetto –. In questi luoghi non solo le donne riescono a esprimere liberamente i propri bisogni, ma anche a ritrovare le energie per ricominciare».

dell’Amicizia onlus. Tale struttura prevede lunghe accoglienze, per un numero limitato di posti letto. Le storie che si sentono nella comunità della “Cena” non sono diverse da quelle raccontate. Le donne spesso non hanno una posto dove stare, ma rispetto agli uomini finiscono a vivere in strada con meno facilità, forse perché, essendo madri, cercano di resistere il più possibile per i figli, anche in condizioni socio-economiche e relazionali difficili, o forse perché sem-

plicemente lottano di più. Beatrice ha 57 anni ed è alcolista da almeno trent’anni. Lei una piccola casetta tutta sua ce l’aveva, ma a causa della dipendenza da alcol e psicofarmaci nei fatti era una prigione, più che una casa. Era un luogo dove lei ha tentato ripetutamente il suicidio e da dove ogni volta veniva salvata dagli operatori del 118, da lei stessa chiamati in un barlume di lucidità. Nella comunità di Cena dell’Amicimarzo 2013 scarp de’ tenis

.27



scarpmilano zia è arrivata dopo uno dei tanti tentativi di togliersi la vita ed è rimasta per ben due anni. Beatrice ha tre figli grandi e alcuni nipotini: quando l’hanno minacciata di non farle più vedere i nipoti se non si disintossicava, dentro di lei qualcosa è cambiato. Beatrice da quel momento non ha mai più bevuto un goccio d’alcol. Oggi, dopo anni di lotta contro la sua dipendenza, è stata reintegrata al lavoro e fa la segretaria in un noto ospedale milanese. Non solo: è riuscita a riallacciare i rapporti con figli e nipoti, e vive in un appartamento di terza accoglienza messo a disposizione da Cena dell’Amicizia. È grazie all’amore per i figli e i nipotini che ha trovato la forza per risollevarsi e costruirsi, nella nuova casa, una dimora fissa e sicura.

Tante si perdono in strada Purtroppo la forza che hanno avuto Beatrice, Giovanna e Avelina, non è da tutti. Le storie infatti non sempre finiscono con un lieto fine come quelle di queste tre donne. Le motivazioni possono essere le più disparate: dai problemi psichiatrici, alle dipendenze, alla

semplice mancanza di forza. Chiara, per esempio, non ce l’ha fatta: non è riuscita a risolvere tutti i suoi problemi, ha abbandonato il centro notturno di Cena dell’Amicizia ed è tornata sulla strada. Prima di essere segnalata dalle educatrici dal comune di Milano, Chiara, una quarantenne siciliana, passava le sue giornate tra case abusive, baracche, dormitori pubblici. E, quando non trovava nulla, in strada o in stazione. Arri-

Montascale Stannah.

scale, scegli il meglio.

Per le tue

vata al centro, all’inizio era molto restia, in particolare perché non voleva lasciare il suo amato cagnolino, compagno di vita di strada; dopo averlo affidato a un uomo di fiducia, solo per qualche tempo è riuscita a vivere in comunità. Chiara frequentava sia il centro diurno che il notturno e tramite le educatrici è riuscita ad essere inserita al Celav – Servizio di mediazione al lavoro del comune di Milano. Chiara però, a causa del sua carattere burrascoso, ha avuto ripetuti scontri con l’educatore a cui era stata assegnata. Inoltre si sentiva insoddisfatta, affermava di non ricevere ciò di cui, secondo lei, avrebbe davvero avuto bisogno. Più volte ripresa dalle educatrici perché non riesciva a gestire i soldi del sussidio in modo adeguato, senza sperperarli nelle macchinette dei bar, un giorno Chiara ha deciso di mollare e tornare alla vecchia vita, forse per sentirsi più libera. O forse perché non aveva abbastanza forza per rimanere: uscita dal centro notturno e sparita nel nulla, forse è tornata in Sicilia. Non tutte, anzi poche storie di strada hano davvero un lieto fine.

.

Siamo gli specialisti dei montascale. Per la tua tranquillità scegli la competenza del n° 1 al mondo, garantita da oltre 500.000 clienti e da più di 16 anni di presenza in Italia. Amiamo il nostro lavoro e con impegno e passione mettiamo a tua disposizione la nostra esperienza.

Progettiamo su misura per te e la tua casa. Per darti il massimo della sicurezza, della praticità d’uso e del design, costruiamo uno a uno i nostri montascale a misura della tua casa e delle tue esigenze.

800-818000 Chiamata gratuita Lun-Sab 8.00/20.00

www.stannah.it

Abbiamo la più ampia gamma di modelli. Solo con noi hai la libertà di scegliere il montascale che più ti piace, tra 7 modelli e 70 diverse combinazioni. Stannah offre soluzioni diverse e personalizzate per tutte le esigenze e tutte le tasche.

Abbiamo una garanzia in più: il servizio! Con Stannah hai un’assistenza certa, veloce ed efficace, in tutta Italia. Dal primo contatto a dopo l’installazione, ci impegniamo a essere sempre al tuo fianco.

Persone di cui fidarsi. Dal 1867.


Tagli gratuiti a senza dimora e prezzi abbordabili per persone in difficoltà. Esperienza già fatta in Centrale, ora c’è un progetto più ambizioso...

Barba e capelli per tutti: «Apriamo “Le clochard”» di Maria Chiara Grandis «Corso Vittorio Emanuele, ore 11. Alessandro Marcolin, domicilio al binario 7 alla stazione di Lambrate, si fa dare una sistemata alla barba prima di tornare in strada. In questo show room targato “Benessere capelli”, catena di saloni di bellezza, prosegue il progetto inziato nel 2011 alla stazione centrale, quando ogni lunedì del mese i parrucchieri, sostenuti dai City angels, hanno rifatto il look a 800 senza tetto. Con un nuovo taglio di capelli, alcuni di loro sono riusciti perfino a trovare un lavoro regolare come barista, magazziniere, oppure impiegato in azienda. Ecco perché i parrucchieri di “Benessere capelli” e i City angels ora hanno un nuovo sogno: ampliare il progetto, fino a creare il primo salone solidale, Le clochard. Ma l’idea è ferma su carta dal 2009, perché nessuna delle istituzioni a cui si sono rivolti è interessata a contribuire. «Non sta in giù in un lavabo scomodo – dice chiediamo soldi ma uno spazio – spiega Labanti –. Altro esempio? All’inizio reMario Furlan, fondatore e anima dei galavamo loro lo shampoo da portare City angels in città –. Ci siamo rivolti a via, ma nel tempo abbiamo capito che comune, provincia e regione, ma nesnon serviva. Dove l’avrebbero utilizzasuno al momento ci sostiene. Anche se to, per strada? Allora abbiamo pensato penseremmo noi a tutto: dagli arredi aldi offrire i prodotti a un’associazione l’organizzazione». che si occupa di assistenza ai senza dimora. Ma si capisce che sono cose che Un parrucchiere per homeless andrebbero gestite meglio; se il comuL’idea è organizzare Le clochard come ne ci garantisse una struttura, sarebbe una banca del tempo. «Vorremmo che tutto più facile. Senza contare che abfosse un vero e proprio negozio di parbiamo già trovato aziende disposte a rucchieri professionisti – spiega Fabriinvestire nell’allestimento del negozio zio Labanti, amministratore delegato di e che perciò potremmo iniziare anche Benessere capelli –. Milano ad esempio domani mattina». ne conta circa 7 mila e se ognuno dedicasse anche solo 3 ore all’anno al progetto il servizio sarebbe garantito 24 ore su 24. Il tutto poi sarebbe gestito via web: chi vuole partecipare comunica la disponibilità al sito gestito dai City angels. Semplice, no?». Le clochard è la naturale evoluzione dell’attività svolta in stazione centrale. «Lì era una cosa accampata, lavavamo con l’acqua fredda, ad esempio. Ecco perché per noi è importante realizzare questo negozio, proprio perché vogliamo dare dignità ai senza dimora, anche nel lavaggio e in altri dettagli: vogliamo usare acqua calda, fare sedere i nostri ospiti e non lavare i capelli a te-

30. scarp de’ tenis marzo 2013

Pensionati a basso reddito Nel progetto Le clochard, pensato quattro anni fa, è prevista anche la gestione degli accessi al salone, censendo tutti coloro che usufruirebbero del servizio per verificare che siano bisognosi. Un appuntamento ogni due mesi potrebbe essere il numero di entrate consentite a ognuno, per garantire a tutti la possibilità di un taglio e uno shampoo. Tuttavia, aspettando una risposta che non arriva, la situazione sociale si è aggravata. E così Labanti e Furlan hanno pensato già all’evoluzione del loro parrucchiere solidale. «Prima di tutto, sarebbe un modo per aiutare i senza dimora che in città sono sempre più numerosi, ma oggi la crisi accresce anche un’altra importante area di bisogno, cioè gli anziani a basso reddito. Magari prendono 500 euro al mese di pensione e, come stiamo già facendo nello show room di corso Vittorio Emanuele, vorremo dare anche a loro la possibilità di fare la piega o il colore senza spendere troppo – racconta Labanti –. Il nostro obiettivo è aprire cinque giorni alla settimana: due per i senza tetto, tre per i pensionati a basso reddito, due per il pubblico. In questo caso l’incasso, che potrebbe essere un’offerta libera, sarebbe integralmente devoluto per sostenere l’attività». Grazie ai tagli gratuiti ai senza tetto alla stazione centrale, Fabrizio Labanti è stato fra vincitori del premio “Il campione 2013”, dedicato ai campioni di solidarietà a Milano. Ma non chiamatelo “parrucchiere degli ultimi”... «Se queste persone sono considerate “ultime”, lo sono solo sul versante delle opportunità, perché non si parte mai tutti dallo stesso punto. E questa è un po’ la realta


scarpmilano che abbiamo cercato di modificare e che vorremmo continuare a fare in modo più sistematico. Per quanto riguarda i senza dimora, nessuno pensa mai al look. Invece noi vogliamo offrire loro, e in generale a chi è in difficoltà, la possibilità di avere una nuova immagine, proprio perché tutti i giorni lavoriamo con chi spende un capitale per aver un aspetto curato. Lo sappiamo, è inutile girarci intorno: la nostra società è basata sull’immagine e se la tua è bella, sei considerato buono e meritevole di un posto di lavoro decente e di condurre una vita di un certo tipo. Questo va al di là dei contenuti, che ovvimente non possiamo mettere noi, però poter dare alle persone un’immagine sana e curata offre loro la possibilità di porsi in modo positivo di fronte agli interlocutori. Tutto questo rappresenta una chance per reinserirsi». L’idea è stata apprezzata dai senza tetto di Milano e proprio per questo gli organizzatori chiedono sostegno per proseguire. «Gli homeless hanno reagito fin troppo bene alla nostra proposta – è il bilancio degli organizzatori –. Abbia-

mo dovuto smettere di tagliare i capelli in stazione perché si sono verificati anche episodi di calche e spintoni. Ecco perché è fondamentale riuscire a ottenere uno spazio che possa essere tenuto sotto controllo – precisa Labanti, che ricorda come questa attività abbia dato

soddisfazione anche al suo staff –. Ci ha reso felici pure dal punto di vista professionale, anche se sembra strano. Non possiamo dimenticare l’entusiasmo di chi si guardava allo specchio, con finalmente la barba in ordine e i capelli puliti...».

.


Spread people Spread people. Quelli che salgono e scendono. Quelli che è più facile scendere e restarci. Quelli che avevano un’identità economica e ora sono un disavanzo sociale. Spread, differenziale economico. Ora differenziale di vita, che ti segue come un’ombra. Anche quando l’ombra non l’hai più e ti senti “inesistente”. Allo spread non c’è fine. Per Edison (Albania) che sogna ancora le nuvole colorate. Per Amin, nato con una voglia di ghiaccio in una straordinaria notte di neve in Libano. Per Ivano, che ha girato sulle quattro ruote tutta l’Europa e ora, su quattro ruote, sta fermo in “strade senza sbocco”, vive uno strano amore per una donna e un cane. Perchè la strada è aperta a tutti. Se ti piace la strada. Perchè in Italia per arrivare, da piccoli clandestini, ci vogliono le scarpe nuove. Così dicono le ingenue madri dei fuggitivi albanesi. Non sanno che poi le belle scarpe se te le togli, la strada se le inghiotte e ti restano scarpe vecchie. Perchè si può pensare, per tappare i buchi dell’anima, di farsi fare un “buco” nel corpo e vendere un pezzo di sé. Per disperazione e soldi. Perchè vivere in un istituto, non è libertà. Quella è fuori, anche tra i binari di una stazione e negli occhi di un’altra vita vagabonda. Spread people: gente senza nemici. Raccontiamo, in queste pagine, la storia di tre di loro. Oggi costretti a frequentare le strade di Milano, per effetto (anche) dei rovesci della crisi. Spread people: hanno scoperto che la strada è aperta a tutti. Ma vorrebbero provare a risalire

32. scarp de’ tenis marzo 2013

testi di Donatella Murè foto di Donatella Murè e Mario Negri


scarpmilano

Ivano alto e magro. Professione ex autista, oggi attaccato a tanti citofoni che gli rifiutano un lavoro qualunque. Residenza: una vecchia auto con ampio bagagliaio-armadio. Freddo dentro e freddo fuori. Stato civile: separato con un figlio. Ora: innamorato ancora, con timidezza, aldilà di una staccionata precaria. Una donna e un cane. D’inverno un fuoco che ti sporca le mani e non ti scalda le ossa. Che dopo i 50, cominciano a piangere. Ivano: quando il superenalotto della vita ti ha premiato al contrario. Segni particolari, ora: un sorriso, al racconto di qualcuno che sa ancora aspettarti per quel che poco che resta

Amin nato in una magica notte di neve in Libano. Fortunato. Sfortunato. A fasi alterne. Una “voglia” sul collo. Professione: ex vincitore di lotteria per fuggire dalla guerra, ex vendemmiatore, ex panettiere, ex manovale, ex piccolo imprenditore, ex commerciante, ex giocatore d’azzardo, ex scommettitore, con vincita, del casinò di Sanremo. Stato civile: innamorato di un dolce paese ricco di melograni e pieno di guerra. Di una madre, figlia dei caldi deserti, marchiata a pelle da una strana voglia di ghiaccio. Che lui ha ereditato, nascendo in una notte di neve. Ora: famiglia italiana di nome “Pane Quotidiano”, che fà da testimone di nozze all’unione con una nuova compagna italo-polacca. Non vuole più “lottare” per vivere, ma solo vivere. Segni particolari: amare ancora gli aerei, dopo essere scampato a un bombardamento dal cielo. Aspettare che solo neve, e non morte, cada sulla sua terra e nascano tanti Amin liberi dalle guerre sporche.

Edison giovane e determinato. Professione: ex emigrante bambino, ex falso orfano albanese, ex passeggero dei gommoni della speranza. Attualmente, aspirante scrittore, raccoglitore di storie. Ovunque, sempre. Degli altri, di chi come lui ha bisogno, ancora. Stato civile: legato alla sua povera madre albanese che sapeva bene che in Italia è ben accetto chi ha le scarpe nuove. E una crociera dei disperati pagata con un debito che non ti abbandona mai. Segni particolari, ora: voglia di studiare, di lavorare, realizzare un sogno. Sa che non basteranno scarpe nuove per una vita diversa, ma continua a sognare le nuvole colorate, come quando era un “piccolo profugo”

marzo 2013 scarp de’ tenis

.33


Il presidente del parlamento europeo, Martin Schulz, ospite del centro di accoglienza Caritas per persone senza dimora di via Sammartini

«Rispetto è dignità», l’Europa visita il Rifugio di Simona Brambilla Dari Tjupa viene dall’Estonia, ha 31 anni, ed è apolide, privo cioè di cittadinanza. Da 13 anni aspetta che il governo italiano certifichi questa sua condizione, ma nel frattempo non può lavorare. Oggi, in attesa che il ministero degli esteri velocizzi le pratiche, è ospite del Rifugio Caritas di via Sammartini 114. E, venerdi 8 febbraio, è stato tra coloro che hanno dato il benvenuto al presidente del parlamento europeo, il tedesco Martin Schulz, in città per una serie di impegni istituzionali. «Fino a poco tempo fa vivevo con la mia famiglia in una casa e contemporaneamente frequentavo la Bocconi. Mia madre è poi stata costretta a chiudere la sua attività commerciale e in poco tempo è arrivato lo sfratto – ha raccontato Dari a Schultz–. Mi sono ritrovato così a dormire nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Linate, ma poi sono stato preso in carico dai servizi Caritas e sono arriIl Rifugio gestito da Caritas è un rivato qui al Rifugio». covero notturno per senza dimora, che Ad accoglierlo il presidente dell’asoffre 64 posti letto a uomini sia italiani semblea di Strasburgo, oltre a Dari vi che stranieri in condizione di grave dierano don Roberto Davanzo, direttore sagio sociale. «Oggi produciamo nuovi di Caritas Ambrosiana, Desio De Meo, poveri, l’idea dell’homeless per scelta è responsabile del Rifugio, Jorge Nuño uno stereotipo – ha spiegato Desio De Mayer, segretario generale di Caritas Meo –. Ci sono problemi di fondo che Europa, e i rappresentanti di tutti gli engenerano emarginazione: la disoccupati e gli organismi (Fondazione Cariplo, zione, le famiglie separate, le aziende Fondazione Enel Cuore, Trenitalia) che che falliscono. Il processo di impoverisupportano l’iniziativa sociale. mento è rapidissimo. La parola che voIn via Sammartini Il presidente del parlamento europeo Martin Schulz (a sinistra) con il direttore di Caritas Ambrosiana, don Roberto Davanzo

gliamo dire qui è dignità: non basta una coperta, bisogna darsi da fare di più». Il presidente Schulz davanti alle parole di De Meo e di Dari, ha messo in luce il punto di partenza che a suo parere potrebbe portare a un’inversione di rotta: «Riconoscere che nella nostra società non c’è giustizia è il modo migliore per fermare la macchina che produce povertà», ha spiegato. Schulz si è detto inoltre felice di aver fatto visita al Rifugio: «Devo dire che questo impegno sociale è un monito a noi uomini politici, perchè la dignità inizia con il rispetto e il rispetto inizia nella vita quotidiana, e senza rispetto non è possibile neanche la carità».

La città dei diecimila invisibili Nel suo intervento, che ha preceduto le parole di Schulz, il direttore di Caritas Ambrosiana ha illustrato la situazione della grave emarginazione a Milano. Secondo una recente indagine, in città ci sono circa 10 mila senza dimora. «I posti letto nelle strutture di accoglienza sono 3 mila, le mense per i poveri gestite dai religiosi ogni giorno distribuiscono 4 mila pasti: il problema non è solo dare un tetto e un pasto caldo, ma accompagnare le persone verso un cammino di reinserimento sociale», ha affermato don Davanzo. Un sollecito importante per il Presidente Schulz è arrivato anche da Jorge Nuño Mayer, che ha sottolineato come «i fondi strutturali devono avere un ruolo prioritario nello sviluppo di politiche sociali in Europa, che bisogna combattere la povertà dei bambini e delle famiglie e che le organizzazioni sociali devono essere integrate con le politiche sociali dei paesi Ue».

.

34. scarp de’ tenis marzo 2013


scarpmilano

La collaborazione

Teatro di Milano, arte e solidarietà. Ci siamo anche noi... Sempre più spesso a Milano, e in molti territori, Scarp si propone anche soggetto di promozione culturale. Ultimo esempio, in ordine di tempo, è la collaborazione con il “Teatro di Milano”, il nuovo palcoscenico della danza, inaugurato a Milano (nell’ex sala Orione in via Fezzan 11, angolo via Caterina da Forlì) lo scorso 3 febbraio. Grazie alla sensibilità sociale dei promotori della nuova iniziativa artistica, i venditori di Scarp saranno ospiti stabili della sala (nella foto, una delle prime presenze) e potranno vendere la rivista agli spettatori, seguendo il nutrito cartellone degli appuntamenti di balletto e opera lirica che il Teatro di Milano ha compilato fino all’estate. Dal restauro della sede del cinema teatro Orione (di proprietà del Piccolo Cottolengo Don Orione, la nota struttura socioassistenziale che accoglie persone gravemente disabili) nasce dunque un nuovo teatro, che prende il nome della città che lo ospita: Teatro di Milano. Una scelta in controtendenza e per questo coraggiosa: nel capoluogo lombardo, infatti, nell’ultimo anno tre sale teatrali hanno calato definitivamente il sipario.

Ma, come spiega il direttore, Marco Daverio: «La nostra scelta, oltre ad avere una valenza culturale e artistica, ha un valore sociale: fare cultura, oggi, significa contribuire alla tenuta della coesione sociale delle comunità. E poi abbiamo delle proposte specifiche: le porte della sala, durante alcune prove, saranno aperte agli ospiti del Cottolengo. Inoltre, sono previsti spettacoli di beneficenza e iniziative di utilità sociale e solidale. In questa ottica, la collaborazione con il mensile di strada Scarp de’ tenis la consideriamo un tassello importante del nostro progetto». Nel teatro trova una sede stabile il Balletto di Milano, che da diversi anni rappresenta un'eccellenza artistica nel mondo della danza. Fondata dal maestro Aldo Masella e diretta dal maestro Carlo Pesta, la compagnia ha un nucleo stabile di 18 danzatori, provenienti dalle migliori scuole e accademie di ballo. Molti grandi artisti e coreografi hanno collaborato con la compagnia; fra questi, Carla Fracci, Oriella Dorella e Luciana Savignano. [d.p.] . www.teatrodimilano.it

%(

,.!&&)(!

- .) ),! )'!(% ),!

!(!,!(.)& /-% $! %) $%() )--%(% ),!)#, "%! %),#%) % -)&%-.% ! ),*) % &&) !& &&!..) % %& ()

- .) )'!(%

%! !( )-!

$ (-)(-

!, . % &&!..) %( /! $ ,&!- 1( 0)/, 3 +/!/-% $! ,!#% ! ),!)#, "% -)&%-.% ! ),*) % &&) !&

&& $ $ $ ! "$ "!& &&

(( ! # $& ( "! & && $

%

!" $& ) % & &$"

" !

&"

!" ' !

..% -/ (1)(% % ,!& 3 %.$ % " %) $%() )--%(% ,% ( ),.!&&%.% &&!..) % %& ()

' ,.! 2

!" &

&$"' $

),! ),!

),!

!(!,!(.)& /-% $! %) $%() )--%(% ),!)#, "%! %),#%) % -)&%-.% ! ),*) % &&) !& &&!..) % %& ()


storie di via brambilla I ragazzi della Biblioteca del Confine incontrano i coetanei italiani

Zillur confuso sulle ragazze, Pap proiettato sulle scuole di Paolo Riva

«I

O NON CAPISCO, A CASA MIA, SE ESCO CON UNA RAGAZZA, poi devo sposarla e pagare la dote...», afferma Zillur confuso, ripensando al paese d’origine, il Bangladesh, lasciato poco meno di due anni fa. È in auto con Pap, altro giovane ospite, senegalese, della Casa della carità, e Cecilia Trotto, responsabile della Biblioteca del Confine della fondazione di via Brambilla. Discutono di ragazze insieme a Concita De Gregorio, ex direttrice dell’Unità, ora firma di punta di Repubblica. È il 5 febbraio e stanno andando al liceo Volta per la prima serata della Società di lettura, che quest’anno inizia con un incontro dedicato al libro della giornalista, Malamore. Esercizi di resistenza al dolore. Si parlerà di violenza di genere e diritti delle donne. L'iniziativa, portata avanti dal 2008 dalla Biblioteca del Confine in collaborazione con l'istituto milanese, è una proposta di lettura, personale e di gruppo, che studenti del liceo e ospiti della Casa loro coetanei svolgono con docenti, operatori e volontari, per preparare l’incontro pubblico con l’autore dell’opera. Per questa edizione, i testi scelti, oltre a Malamore, sono Mare al mattino di Margaret Mazzantini, La gatta di Varsavia di Slavenka Drakulic, che ispirerà uno spettacolo teatrale, e La mia guerra all’indifferenza di Jean Sélim Kanaan. In particolare, i ragazzi della Casa stanno portando avanti un lavoro, più semplice e adatto alla loro conoscenza della lingua italiana, su uno dei quattro libri: Mare al mattino. Il volume parla del delicato tema del viaggio dei migranti, che questi neomaggiorenni hanno vissuto sulla loro pelle e che ora stanno rivivendo, accompagnati dagli educatori e dal personale della Biblioteca, nelle pagine di Margaret Mazzantini. La Società di lettura, però, non offre solo lo spunto per riflettere su temi importanti e la possibilità di dialogare a tu per tu con autori come Concita De Gregorio. È anche, o forse soprattutto, un’occasione di incontro tra giovani con esperienze diverse. «È uno dei tanti ponti che la Biblioteca cerca di costruire tra la Casa e la città», spiega Cecilia. Già dallo scorso anno, infatti, gli studenti del Volta e alcuni giovanissimi ospiti della fondazione si sono incontrati più volte. I ragazzi del liceo provengono da diverse classi, mentre il gruppo della Casa è composto da Zillur, Pap e altri tre ragazzi egiziani, arrivati in Italia nel 2011. Tutti insieme sono usciti a mangiare una pizza, si sono visti un sabato per una partita di calcio e sono andati al cinema a vedere La bicicletta verde. E così sono nate le prime simpatie, le prime amicizie e anche qualche “cotta”. Il più lesto è stato un ragazzo egiziano, di religione copta, che ha subito regalato a una delle studentesse una collana con un crocifisso, gettandola nel dubbio di indossarla oppure no al successivo incontro. Pap, invece, ora che deve scegliere a quale corso professionale iscriversi, ha trovato un prezioso aiuto in Luca. I due ragazzi sono andati a visitare le possibili scuole, hanno raccolto i documenti richiesti e compilato i moduli necessari. Insieme, si cresce e si sceglie meglio.

Uno dal Bangladesh, l’altro dal Senegal. Escono coi ragazzi del liceo Volta. Nascono “cotte” e collaborazioni nel quotidiano

www.casadellacarita.org

.

36. scarp de’ tenis marzo 2013


Tetraedro


latitudine como A Casa Ozanam un appartamento protetto, per affrontare emergenze

Violenza sulle donne, nuova struttura di accoglienza di Salvatore Couchoud

L

A PAROLA D’ORDINE È “PIANIFICARE L’ASSISTENZA”, dissolvendo gli sprechi senza ridur-

re la disponibilità a intervenire nella lotta alla grave emarginazione. Sopravvivendo ai tagli ai finanziamenti degli enti pubblici (tradotto in moneta corrente) ed evitando di abbassare la soglia di attenzione. L’idea, semplice da formulare ma di ardua applicazione, sta trovando a Como una sua concretizzazione, proiettando interessanti sviluppi nel breve periodo. Correva infatti l’anno 2010, quando tra la provincia di Como e la “Piccola Casa Ozanam” di via Napoleona veniva avviato un percorso di collaborazione che ha già procurato reciproche gratificazioni, consentendo all’una la ristrutturazione dei locali della storica sede cittadina rifugio dei senza dimora, ora dormitorio comunale a tutti gli effetti, e all’altra di individuare le chiavi per estendere il proprio raggio d’azione ad altri soggetti in stato di difficoltà che, come le donne sottoposte a maltrattamenti, rappresentano un aspetto non meno grave dell’onda lunga del disagio sociale. «Impegnata da anni sul fronte della prevenzione e del contrasto ai fenomeni di violenza sulle donne – ha dichiarato l’assessore provinciale ai servizi sociali, Simona Saladini –, la provincia ha dovuto far fronte all’esigenza di localizzare una struttura da destinare a quelle donne che in precedenza, in assenza di soluzioni alternative, dovevano essere ospedalizzate, con notevoli aggravi di costi per l’ente e scarsa risevatezze per donne già duramente provate. La disponibilità dall’Ozanam, da sempre in prima fila anche in questo latta, ha facilitato la risoluzione del problema, individuando una struttura di seconda accoglienza». Si è giunti per questa via alla firma di una convenzione per la concessione di un monolocale da dedicare alla pronta accoglienza per donne vittime di violenze, per mezzo della quale l’ente provinciale, attraverso un contributo di 50 mila euro, che garantiranno all’Ozanam di completare i lavori di allestimento di uno spazio al piano terreno da riservare alle donne senza dimora, otterrà in comodato d’uso, per cinque anni, un locale nella struttura di via Cosenza, che garantirà una permanenza di cinque giorni alla donna gravata da molestie e percosse. Tempo sufficiente alle forze dell’ordine per operare le dovute indagini, e per poi indirizzare la malcapitata in ulteriori sistemazioni. Che non si sia in presenza di un fenomeno passeggero o di lieve entità è documentato dalle cifre: dai 380 casi del 2007, quando l’amministrazione provinciale istituì il primo “Tavolo per i maltrattamenti”, si è passati ai 1.200 del 2012, con una tendenza al costante rialzo. Altro dato significativo è la scarsissima incidenza sul dato di cittadini immigrati, quasi inesistente in verità, a dimostrazione che il fenome intessa, in massima parte, le famiglie italiane.

In netto aumento le denunce per violenza sulle donne: si è passati dai 380 casi del 2007 agli oltre 1.200 dello scorso anno

.

38. scarp de’ tenis marzo 2013


Tetraedro


torino

Senza dimora, dignità in marcia Homeless in corteo a febbraio, richieste concrete al comune

di Vito Sciacca Il cielo è terso, ma basta sostare all’ombra qualche minuto perché il gelo entri nelle ossa. Eppure proprio qui, davanti all’associazione “San Vincenzo” di via Nizza, sono in parecchi a sostare ogni mattina. Con qualunque tempo. Sostano, in fila, per una tazza di caffelatte, di mattino presto; sostano, in fila, per qualche vestito usato, per un paio di scarpe che rimpiazzino quelle sfondate da mesi di passi senza meta per le vie della città indifferente. Sostavano, fino a qualche tempo fa, per un sacchetto di panini alle sei d’ogni sera, una delle poche possibilità di non andare a dormire digiuni, quando tutte le mense sono chiuse. Questa mattina, 13 febbraio, il freddo è lo stesso. Tutto il resto è differente: diverse le espressioni degli uomini e donne raccolti lì davanti. Sguardi, parole, gesti diversi, perché queste persone, oggi, non sono qui per chiedere. Sono qui per ottenere di uscire dall’ombra, di vedere riconosciuti i loro diritti, di non essere più considerati postulanti cui elargire una Questo sconosciuto, qualche carità, ma soggetti che rivendicano il diritto a un lavoro, a una casa, a Lavoro. una vita decorosa. Molti, tra loro, sono Mi hai abbandonato sulla strada da relativamente poco temsenza pietà, po: da quando la casa e l’impiego sono ora ti cerco, svaniti, mandando in pezzi le loro vite.

Lavoro

Un corteo silenzioso Il corteo sfila per il centro della città, diretto verso il municipio, dove è previsto un incontro con l’assessore alle politiche sociali. È un corteo strano: silenzioso, avanza ordinato, senza risate, senza slogan. Dignitoso, verrebbe da dire. In certi momenti è impossibile non pensare al “Quarto stato” di Pelizza da Volpedo. C’è anche qualcos’altro che rende questa manifestazione differente da altre: è la prima dimostrazione di senza dimora nata spontaneamente, senza intermediazioni di chicchessia. Ideata, organizzata e posta in essere solo e unicamente da loro, con le sole loro forze. Per cominciare a non essere più “invisibili”, ma cittadini come tutti. Davanti al municipio il corteo si ar-

40. scarp de’ tenis marzo 2013

ti bramo, ti aspetto. Non arrivi, forse penso, per dispetto, ma perché, sconosciuto? Un tempo mi sorridevi, ti cercavo e ovunque ti trovavo. Cosa mi vuoi dire? Sto cercando di capire, comunque io son qui, aspetto un segno torna se credi che io son degno! Mister X

resta, una delegazione va a colloquio con l’assessore, i rimanenti restano a presidio, qualcuno affigge uno striscione. Davanti al palazzo comunale è presente un nutrito cordone di polizia, ma è superfluo: c’è un’atmosfera tranquilla, quasi inattesa da parte di persone che vivono ogni giorno come una battaglia per la sopravvivenza.

In attesa di risposte All’uscita della delegazione si forma un capannello, tutti vogliono sapere. Ne approfitto per leggere il testo delle istanze presentate: riduzione dei tempi per la concessione della residenza anagrafica (essenziale per l’ottenimento dei diritti sanitari e per entrare nelle liste di attesa della case popolari), ripri-


scarptorino stino dell’emergenza abitativa, canale prioritario per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare a chi vive in strada, ospitalità permanente nei dormitori (oggi, dopo trenta giorni occorre rimettersi in lista, e quasi sempre si passa un mese in strada prima del prossimo turno), presidio medico nelle strutture d’accoglienza, finanziamento di progetti di reinserimento lavorativi. L’assessore si è impegnato ad analizzare le richieste e dopo venti giorni avrebbe informato il comitato organizzatore in merito ai provvedimenti che saranno intrapresi in proposito. Certamente questo non è stato che un inizio, ma un buon inizio. Già si parla della prossima manifestazione, davanti al palazzo della Regione.

L’intervista

Salvatore e Michele felici: «Interlocutori delle istituzioni»

.

Per le vie del centro Due belImmagini dalla manifestazione organizzata dai senza dimora di Torino nel capoluogo piemontese lo scorso 13 febbraio. L’iniziativa è stata organizzata da un neocostituito “Comitato spontaneo dei senza dimora”

Salvatore Capizza e Michele Montuori sono due dei promotori del “Comitato spontaneo dei senza dimora”. Salvatore è in strada da ottobre; perso il lavoro, non è riuscito a mantenere la casa. Come è nata l’idea del comitato? Diventare senza dimora ci ha fatto rendere conto di tanti problemi che la gente che ha una vita regolare neppure immagina: dormire, mangiare, cose assolutamente normali diventano complicatissime. Abbiamo creduto che queste situazioni andassero divulgate: si deve sapere come molte persone sono costrette a vivere. Il vostro comitato autogestito è un caso unico in Italia. Sentite di avere fatto qualcosa di speciale? É stato un momento immenso e bellissimo. Quasi come tornare a vivere. Spero che succeda lo stesso in molte altre città, che i senza dimora possano diventare interlocutori diretti delle istituzioni. Come valutate l’incontro con l’assessore al welfare e alle politiche sociali Elide Tisi? Ci è parso esserci un sincero interessamento. Ci ha ascoltato con attenzione e si è impegnata a risponderci in venti giorni. Vedremo anche se alcune richieste non sono di competenza del comune ma della regione. E quindi? E quindi andremo in regione, sperando di trovare la stessa disponibilità che abbiamo trovato in comune. Quando avete organizzato il corteo avete espresso il desiderio di non avere accanto personaggi politici e rappresentanti dei centri sociali; qui in città alcuni di essi pongono in atto iniziative di resistenza agli sfratti e occupazioni a fine abitativo di immobili sfitti. Non avete valutato la possibilità di cooperare? Ognuno è libero di adottare i metodi che preferisce. Noi abbiamo scelto di trattare direttamente con le istituzioni, correttamente, senza mettere in atto azioni di forza o illegali. Piuttosto preferisco rivolgermi agli altri nella nostra situazione, per dir loro di manifestare senza paure o imbarazzi: essere senza casa non è nè un reato né una vergogna, ma una situazione dalla quale si può uscire insieme. marzo 2013 scarp de’ tenis

.41


genova Sulle alture di Sanremo vive Guglielmi, botanico e pensatore. Si formò con Calvino (padre), guarda con occhio critico la sua terra

Il mondo di Libereso, la bellezza in un fiore di Paola Malaspina Mi accoglie al limitare del piccolo cancello con un gesto rapido della mano, mentre io, emozionata, sono ancora lì a contemplare il nome scritto sull’etichetta del campanello: «Vieni dentro, vieni a vedere il giardino», dice con la sua inflessione musicale e spigolosa, così ligure, da rivierasco. Non ci siamo mai conosciuti, se non per telefono, ma il nostro incontro non può che iniziare in giardino, nella minuscola “giungla”, con tanto di serra tropicale e stagno, sulla strada che, da Sanremo, porta alla frazione scrittore e alla sua famiglia è legata una collinare di San Romolo. parte importante della vita di Libereso, Incuriosita, non mi faccio pregare; perché con Calvino, e soprattutto col mi ritrovo, così, in mezzo a una vegetapadre di lui, Mario, botanico di fama zione fittissima, tra alberi da frutta dalinternazionale e direttore della Staziol’aspetto noto e arbusti esotici sconone floristica sperimentale di Sanremo, sciuti, tenuti in vita grazie alle cure del Libereso trascorre, come apprendista, mio vivace e canuto accompagnatore: gli anni della giovinezza, quelli in cui Libereso Guglielmi, sanremasco da matura la passione di una vita. L’amosempre, 88 anni, di cui la maggior parre per il giardino, che dalla Riviera lo te spesi per le piante. porterà in giro per il mondo, tra Inghilterra, Caraibi e Indonesia, sempre alla Da Calvino al giro del mondo scoperta della bellezza insita in una Tra alberi di avocado, cactus e altre mesingola pianta, in un singolo fiore. raviglie, dimentico di essere ai confini della città, nella fitta schiera di case di un quartiere collinare, duramente colAnni difficili tra i fiori e la guerra pito dall’edificazione degli anni SesIl periodo trascorso con la famiglia Calsanta; mi trovo in uno di quegli scenavino appartiene a una fase difficile di ri tristemente narrati da Italo Calvino questa storia, per i suoi protagonisti e nel suo romanzo La speculazione ediper il paese in generale. Mi colpiscono lizia. E non a caso, proprio al grande la lucidità, la limpidezza, persino il senso dell’umorismo con cui Libereso riesce, appoggiato al suo bastone, in un angolo del giardino, a raccontarmela. Nato nel 1925 da una famiglia di idee pacifiste (il padre è uno studioso di esperanto, da cui viene il nome Libereso che significa appunto “uomo libero”), nel 1940 vince una borsa di studio per andare a lavorare a Villa Meridiana, alla Stazione floristica diretta da Mario Calvino. Lì acquisisce una grande preparazione botanica, ma deve anche misurarsi con un mestiere duro e difficile, specie per un ragazzo giovane: «Il lavoro era tanto e non mancava mai. Mario era severo, mi controllava dalla

42. scarp de’ tenis marzo 2013

finestra. A volte, mi capitava di bisticciare con lui, perché gli rispondevo, gli tenevo anche testa. Ma erano discussioni che finivano com’erano cominciate, perché io vedevo in lui il mio maestro, e lui sapeva di potersi fidare». E Italo? «Italo era del 1927, aveva due anni meno di me. Era un ragazzo

anche lui, ma così timido... Me lo ricordo che stava lì sempre a scrivere su dei quadernini. Io lavoravo, giocavo con gli altri ragazzi. Gli dicevo: tu scrivi, scrivi sempre. Ma non hai già scritto abbastanza? Ma si vede che doveva scrivere ancora, era il suo destino». Nel frattempo, l’Italia entra in guerra. Il lavoro a Villa Meridiana continua, però fuori imperversa il conflitto: Italo,


scarpgenova nel 1944, si arruola come partigiano e i suoi genitori subiscono per tre volte l’arresto e una simulata fucilazione, riuscendone, comunque, miracolosamente salvi. «È stato tutto terribile – ricorda ancora Libereso, assorto – e Mario non si sarebbe mai più ripreso. Italo dalle montagne è tornato, ma tutti sapevamo che nulla sarebbe ricominciato come prima».

In giro per il mondo La fine del conflitto non porta, infatti, molta fortuna a Villa Meridiana: mentre Italo, trasferendosi a Torino, porta avanti il progetto di diventare scrittore, il padre Mario, di lì a pochi anni, muore. «Io come potevo fare? – prosegue Libereso – Mario era il mio maestro e senza di lui io non mi raccapezzavo, non mi trovavo più. Tutto stava cambiando e, come la storia ha mostrato, non in bene». Una forza della natura Due belle immagini di Libereso Guglielmi pensatore, agronomo e giardiniere

I mutamenti cui Libereso allude sono quelli dell’immediato dopoguerra, del boom economico e del ribaltamento di forze politiche; in Riviera, la cultura della sperimentazione botanica viene presto sostituita da un’idea di ricerca a servizio delle coltivazioni intensive, per incrementarne la produttività. Sono gli anni delle serre, delle grandi colture floreali, in cui la classe emergente

Il pensiero

Il giardino, diritto per tutti: «Non lo curi, è lui che cura te» Tra corsi, laboratori, incontri in scuole e associazioni locali, di certo Libereso Guglielmi si sta prendendo dalla sua città natale, Sanremo, il riconoscimento che gli spettava. Ma, più che la “gloria”, a lui, che ama definirsi “giardiniere senza guanti”, interessa sensibilizzare i giovani, lasciare un messaggio importante. «Quando vedo i ragazzi che si avvicinano alle piante sono contento – spiega – e vedo che loro se la cavano benone, col verde. Io dico sempre: prendi una pianta, anche una sola, ma fanne il tuo capolavoro». Ma come possono avvicinarsi al giardino? E perché è così importante che lo facciano? Siamo nella serra, Libereso rigira tra le mani una piantina di tabacco di cui, nonostante le mie resistenze, sta per farmi dono. «Il giardino è uno dei pochi luoghi in cui tutti gli uomini sono uguali. Ma non è solo questo. È che io lo vedo come un diritto. Tutti gli uomini dovrebbero possederlo e, se non ce l’hanno, cercare di crearne uno. Non sei tu che curi il giardino, è lui che cura te. Dopo, quando sei triste o hai pensieri, puoi venire qui, e pensare, guardare i fiori. E se i fiori non ci sono, pensare a quelli che ci saranno». La mia pianta di tabacco ora è dentro casa, l’ho tolta dal davanzale per via della neve di febbraio. Ne osservo stupita i getti di verde nuovo, le foglie che si aprono dal fusto. È il mio personale estratto di giardino; lì ritrovo il messaggio di Libereso, lì riscopro la sua idea di giardino come luogo di cura di se stessi e di altri esseri viventi, la cui esistenza si sostiene con forza e inattesa bellezza.

dei floricoltori vuole trasformare Sanremo nella “capitale dei fiori”. «Mario era orientato invece sulla frutta, mi insegnava a raccogliere gli avocado da quei grandi alberi che aveva portato da Cuba e dal Messico – mi spiega Libereso –, diceva sempre che nelle piante c’è cibo per tutti. Loro, però, non hanno voluto ascoltarlo». Così, in questo scenario ostile, il giovane giardiniere matura la difficile decisione di andarsene: prima a Napoli e poi in Inghilterra, dove completa la sua formazione, diventando un botanico stimato e famoso. Da lì, con la moglie inglese, Sheila, che ancor oggi gli sorride accanto, spicca il volo per il mondo: Africa, Asia, Sud America, tutti i continenti sono buoni per andare a coltivare un giardino. Con la Riviera sempre nel cuore.

Tornare a casa «A ben guardare, sarebbe stato meglio non puntare tutto, sui fiori». È una frase che riassume bene una complicata vicenda di declino, per la floricoltura: serre abbandonate e terreni incolti ab-

bondano sulle colline di una città ormai lontana dall’essere la “capitale dei fiori”. Con il passare degli anni, la concorrenza (olandese prima e africana poi) con la produzione massiva di fiori a bassissimo costo ha duramente colpito il mercato, lasciando l’Italia ai margini. «Eppure vedere i terreni incolti è uno scempio – incalza Libereso – perché il clima qui è buono, la terra è fertile e, a usarla bene, ci si potrebbe ricavare frutta e verdura. Sai quante famiglie si potrebbero aiutare? Basterebbe dare a ognuno un fazzoletto di terra». Un progetto del tutto condivisibile, ma difficile da realizzare perché quei fazzoletti di terra, a venderli, danno invece un facile realizzo agli immobiliaristi; nemmeno la crisi ferma gli imprenditori del mattone in Riviera. Sapendo tutto questo, perché Libereso è voluto tornare? «Tu sei sanremasca? – mi chiede, con l’accento inconfondibile di chi lo è. Scuoto la testa lentamente – Io qui ci son nato. E sentivo che avevo ancora qualcosa da dire».

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.43


vicenza Ricordo di un ragazzo ai margini: si era risollevato dalla sedia a rotelle, non mollava mai. Ma è morto in una cantina

Nico nell’Eden, nemico di se stesso di Carlo Mantoan Dopo tanti anni, quasi quaranta, affiorano i ricordi del passato. Avevo 22 anni, abitavo a Montagnana, ma lavoravo a Padova. Il mio primo vero lavoro nella ferramenta Caltarossa. Tornavo a casa in treno la sera, e in stazione c’erano molti ragazzi che vivevano una vita ai margini. Tra loro, Nico, un giovane con le gambe rovinate da un incidente stradale. Camminava a fatica con le stampelle, ma gli era andata già bene così. I medici, dopo la frattura alla spina dorsale, avevano predetto che non si sarebbe mai più alzato dalla sedia a rotelle, invece con la fisioterapia e grazie alla sua forza di volontà, Nico aveva avuto la meglio sui dottori. Una sera, incuriosito, mi sono avvicinato a lui, e gli ho dato 300 lire, come facevano tutti. Così ho iniziato a conoscerlo bene: trent’anni e due lauree, in medicina e in legge, figlio di un industriale romano che possedeva ben tre stabilimenti. Nico, nome d’arte affibbiato nei gruppi anarchici frequentati durante il 1968, quando aveva rinunciato alle rendite e all’eredità paterna. Anche ora, Quanto poco per sentire così sciancato, rifiutava ogni aiuto da casa. Eppure, tutti i mesi il padre gli le farfalle nello stomaco. mandava un assegno, e tutti i mesi NiE ti chiedi cos’è? co lo rimandava al mittente, già era peIeri non c’erano sante per lui accettare la pensione d’inMa ieri non c’eri manco te. validità che gli veniva amministrata da Te con quegli occhioni un prete. talmente azzurri Durante l’anno che aveva passato in clinica, dopo l’incidente, aveva fatto che il cielo non riuscirebbe largo uso di morfina, fino a diventarne a copiarteli. dipendente, e ci dava dentro anche con E non li può copiare. l’alcol. Tossico e alcolizzato, ma sempre Perché in quegli occhi lucido. Almeno, io non l’ho mai visto azzurri sogno “fuori di testa”; anzi, Nico aveva una nuotarci e andarci memoria di ferro e si ricordava sempre di tutto e di tutti. sempre più

Stellozza

Dormiva come Diogene In stazione arrivava accompagnato da alcuni volontari, che lo sedevano su una panchina. Suonava la chitarra, oppure disegnava, e prima di tornare a “casa” lasciava tutto in custodia, nella guardiola della Polfer. Quando mi raccontò la sua storia ho riconosciuto in lui un eroe, mai visto una lacrima nei suoi occhi, piuttosto rabbia, coraggio. Una domenica decisi

44. scarp de’ tenis marzo 2013

in profondità. Dio ha fatto un altro capolavoro. Non avevo mai visto nulla di così perfetto per perdersi dentro. E solo Dio sa quanto vorrei perdermi e non trovarmi più.

Ivano Frare

di passare la giornata intera con lui. Nico mi raccontò molte cose del padre padrone, ricco e stupido, il cui potere era unicamente il denaro. Nico invece era figlio della strada, il suo mondo era la gente che lo conosceva e gli voleva bene per quello che era. Mi raccontò che dormiva in uno scantinato, «come Diogene nella botte di legno», scherzava, ma non mi disse mai dove si trovava la sua casa. La nostra amicizia durò tre anni, ogni sera Nico mi sorrideva, poi mi ripeteva: «Fai come me, non mollare mai. Come un guerriero combatti ogni giorno la tua battaglia, anche se non sai quanto durerà». Quando lasciai il lavoro nella ferra-


scarpvicenza Testimonianza

Mario in una gabbia dorata: «Mi vedo libero di essere me»

menta di Padova, rimasi molto male, non avrei più visto Nico. Due o tre mesi dopo, ero a Padova e incontrai un amico che mi raccontò che Nico se ne era andato, l’avevano trovato morto nel suo scantinato, solo come un cane: in un diario erano raccontate le sue giornate, aveva scritto tanto. In una scatola di latta furono ritrovati tanti soldi, li voleva lasciare ai poveri. Ci rimasi male, ma poi capii che proprio quel mondo solitario lo aveva accompagnato nel suo vero Eden, che aveva tanto desiderato. Nico che non amava la ricchezza e la chiamava stupidità umana aveva vinto la sua battaglia e annientato il suo grande nemico. Se stesso.

.

E noi. Siamo solo polvere di stelle, e ci ritroviamo rinchiusi in questa gabbia dorata. Che per alcuni aspetti siamo anche fortunati ad averla, ma nella fortuna c’è sempre qualcosa che non torna. Come ci si sente a vivere qua? Non ci si sente. Sì, per carità, sei protetto, hai un rifugio dalla strada, ma è come se mi avessero anestetizzato. La vita sembra sfuggirmi di mano. Non mi sento utile. Mi sento facente parte di nulla. Le giornate trascorrono lente, scandite dalle solite cose, i soliti posti, i soliti rituali: l’Albergo Cittadino, il Mezzanino, il bar all’angolo, ovunque capiti. E solo. Se mi guardassi indietro, c’è una moltitudine di cose che non rifarei, eccetto una, che invece rifarei in mille vite successive, fino a non avere più forza di farla: in qualsiasi vita futura, lei sarà uno dei miei pochi non-rimpianti, l’unica persona a cui abbia realmente tenuto. E, sai, avrei fatto in modo di diventare padre, almeno mi sarebbe rimasto qualcosa di lei. Me la ricordo bene, lei. Abita spesso i miei pensieri. Ho sempre avuto un rapporto difficile con i soldi. L’alcol e il gioco hanno sempre condizionato la mia vita. E tutte la volte mi dico: questa è quella buona, vedrai che ce la faccio. Mi chiedo spesso se mai uscirò da qui. A volte ho la sensazione di lottare contro i mulini a vento, con il carattere che ho. Autodistruzione. Ho poca considerazione della vita in generale. Della mia in particolare. Se dovessi scegliere le parole per descrivermi in futuro, userei “sano e libero”. Libero nella mia testa, in tutto e per tutto, libero di essere Mario. Allora, da Mario libero, mi potrei occupare di me, e mi sentirei parte di qualcosa. Mario Bernardelli

Testimonianza

«Ero dentro un’isola sperduta, come riconoscere un amico?» Ci sono voluti anni per riuscire a vedersi in un futuro. Un futuro che prima non vedevo possibile. Un futuro che consisteva nel pensare a come riuscire a procurarmi la “roba” per il giorno dopo. Più in là, non vedevo un futuro per me. Gli amici erano un alito di vento; c’erano, poi non c’erano più. Appena non ti rimaneva più niente da offrire, svanivano nel nulla. Amici, già, bel termine, amici. Ma come riconoscere un amico vero? Mi sono isolato, ho abbandonato le sostanze, ho lasciato dietro di me gli amici, perché nulla è vero, é tutto vestito da secondi fini. Subdoli. Ora, da solo, osservo la gente che si dà da fare per fumare una canna o farsi una dose, e mi chiedo come ho potuto essere anch’io così. A pensarci, però, essere così mi piaceva, mi faceva sentire bene, potente, considerato. Non ero solo, ma dentro ero in un’isola sperduta, in un mare di sale. Ora non sto bene, scegliere di essere solo è pesante e snervante, ma tengo duro. Il mio futuro è sempre meno offuscato, più limpido, più sereno. Tra un paio di settimane o mesi, non so quando, quando sarò pronto, mi guarderò in giro e troverò nuovi amici, magari più veri, magari anche una ragazza, non sarebbe male. Ora, dinanzi a me vedo un futuro fatto di sogni, e ogni giorno che passa questi sogni si concretizzano dinanzi a me. La realtà che mi aspetta non sarà rose e fiori, dovrò combattere, ma spero, anzi devo uscirne vittorioso. In questi giorni mi capita di camminare per strade scure, poi alzo gli occhi, vedo una scintilla, e il cielo prende fuoco. Edoardo Tarallo marzo 2013 scarp de’ tenis

.45


modena Redditi, lavoro, famiglie, esclusione sociale: come va cambiato il nostro welfare? La riflessione dalla fondazione “Gorrieri”

Lo stato sociale ai tempi della crisi di Stefano Malagoli Una due giorni di lavoro, su un tema impegnativo: “Redditi, lavoro e famiglie. Disuguaglianze e politiche redistributive al tempo della crisi”. È stato il tema del convegno nazionale promosso a Modena dalla Fondazione per gli studi sociali “Ermanno Gorrieri”, al quale è intervenuta anche la modenese Maria Cecilia Guerra (foto sotto), sottosegretario alle politiche sociali del governo Monti. La sua riflessione ha preso le mosse dalla constatazione della marginalità strutturale delle politiche sociali nel nostro paese. «Noi – ha spiegato – siamo immersi in un contesto nel quale l’idea del sociale è ricondotta al privato, al livello familiare, al fai da te. Così è prevalentemente per la cura ordinaria di bambini, anziani, disabili, e anche per il contrasto della povertà. lo stato verso le regioni: manca un diseNon c’è infatti solo la famiglia, ma angno e non c’è corrispondenza tra finanche qualche altro soggetto sul quale ziamenti, obiettivi e monitoraggio dei scaricare il sociale, ad esempio il terzo progetti. È un modello debolissimo, con settore e il volontariato; esperienze e un finanziamento non dedicato, in cui realtà bellissime e del tutto positive, ovnon sono identificati gli obiettivi e dove viamente, ma sulle cui spalle non posnon c’è monitoraggio: una situazione siamo mettere responsabilità collettive obiettivamente difficile». e quindi, per definizione, prevalenteRilevate le criticità maggiori del simente pubbliche. Con questo non vostema delle politiche sociali, Maria Ceglio dire che il servizio debba essere fatcilia Guerra ha però posto l’accento su to dal pubblico; sarebbe contraddire il una svolta positiva: «In questo contesto principio di sussidiarietà. Intendo affergiudico con molto favore il fatto che mare che la responsabilità deve essere nell’ultima legge di stabilità sono stati pubblica, incardinata cioè sul diritto di previsti 500 milioni di cittadinanza». euro, intangibili, per il sociale. È il segno di una I limiti inversione di tendenza, del federalismo ma non è ancora una Per chiarire ulteriorpolitica sociale compiumente il concetto di ta, perché si tratta di un frammentazione e marfondo che io non possoa ginalità delle politiche ancorare a obiettivi di sociali in Italia, l’ex sotservizio certi e verificatosegretario ha spiegato bili, che restino cioè sul l’attuale sistema. «Il proterritorio e qui vengano cesso di riforma del corealizzati. Si tratta cosiddetto federalismo (la munque di un segnale, riforma del titolo V della anche se si tratta di fondi temporanei, Costituzione) – ha detto ancora Cecilia per i quali rimane l’incertezza dei fiGuerra –, prevede il finanziamento per nanziamenti; oggi ci sono le risorse, ma la spesa sociale dal livello centrale verso domani? Il rischio è che quanto vien degli enti periferici. Tutto però finisce nel stinato a progetti significativi (penso alfinanziamento generale, indistinto, del-

46. scarp de’ tenis marzo 2013

la legge sul volontariato, alle associazioni di promozione sociale) deve essere rifinanziato di anno in anno. E ciò, alla fine, espone tutti questi progetti al rischio di perdersi». Un passaggio è stato dedicato anche al cosiddetto “secondo welfare”. «Un’espressione che quando la sento mi fa entrare in fibrillazione, perché questo “secondo w e l f a r e” non esiste, in assenza del primo, e noi il primo lo abbiamo molto zoppicante. L’intero sistema del welfare io lo vedo invece all’insegna di una grande integrazione: se però il welfare aziendale (la ditta che si fa il suo fondo integrativo, il suo asilo nido…) si sostituisce a quello pubblico, io ho paura, perché ci dimentichiamo che noi proprio da lì veniamo (la sanità solo per chi se la poteva permettere, ad esempio…) e lì non possiamo né vogliamo tornare. Nella misura in cui questo welfare è integrativo, ben venga, ma quando invece intacca quello che dovrebbe essere del pubblico, allora ho seri dubbi, perché vuol dire che solo i forti ce la fanno. E gli altri ?».


scarpmodena Far pagare meno a chi ha meno In materia di politiche per la famiglia, l’ex viceministro ha contestato le affermazioni secondo le quali non ci sono stati interventi significativi nel settore. «Non è del tutto vero – ha detto –, perché si è agito ad esempio sulle agevolazioni fiscali. È bene ricordarlo, perché il sostegno per quella via è cresciuto e si sono consolidate visioni positive, come quella per cui trattare tutti allo stesso modo sarebbe profondamente ingiusto: quindi le detrazioni fiscali calano con l’aumento del reddito familiare e giustamente si introducono differenze per chi ha più figli. Il sistema di accesso ai servizi si basa sulle differenti condizioni economiche, e se queste sono definite male, allora abbiamo fatto una grossa ingiustizia». A proposito invece delle agevolazioni fiscali, Cecilia Guerra ha asserito che «esse servono a dare maggiore libertà alle famiglie, ma occorre aver presente che dare soldi o agevolazioni premia dal punto di vista elettorale molto più della costruzione dei servizi sul territorio. Dal punto di vista politico, occorre infatti tener presente che è meno visibile, rispetto alle agevolazioni fiscali, il lavoro che passa attraverso la costruzione di servizi a livello locale, sul territorio. Anche perché i meriti, in questo caso, vanno ai comuni, non certo allo stato». In conclusione del suo articolato intervento, Maria Cecilia Guerra ha proposto una visione di welfare state disegnando «una società non da intendere come assistenzialista, ma piuttosto con una idea di welfare che investe la programmazione della società nel suo complesso, quindi l’organizzazione dei tempi di lavoro, la possibilità data alle persone di accedere al loro progetto di vita, la possibilità di avere a disposizione servizi di cura». Ma su questi temi c’è ancora molta strada da percorrere.

Fondazione Gorrieri

Parti eguali tra diseguali, una lezione sempre attuale Le disuguaglianze di reddito tra grande recessione e politiche di austerità, gli effetti distributivi delle politiche di austerità dell’Italia nel contesto internazionale, i redditi dei lavoratori e le disuguaglianze nel mercato del lavoro. Ma anche le disuguaglianze di genere tra lavoro e pensione e le storie di ordinaria disoccupazione, oltre alle prospettive di riforma del lavoro. Sono questi i temi affrontati nella due giorni modenese, organizzata dalla fondazione “Gorrieri”, che ha messo a tema anche approfondimenti sulle politiche di sostegno delle responsabilità familiari, con un confronto tra Italia ed Europa, sul fisco e la famiglia alla prova dell’equità, sul “nuovo Isee” tra universalismo e selettività, su politiche familiari e servizi nel territorio, sulla famiglia in relazione al “secondo welfare”, infine sulle povertà e le politiche sociali, con l’esperienza trentina del “reddito di garanzia” e la sua valutazione. I vari temi sono stati affrontati da studiosi, responsabili di aree dei ministeri che si occupano di politiche sociali e docenti universitari. Dopo il convegno, nei primi mesi del 2013 la fondazione “Ermanno Gorrieri” propone un ciclo di incontri formativi sulle disuguaglianze, dedicato all’emarginazione sociale e alle molte dimensioni della povertà, con lo scopo di capire come impostare politiche attive per il sostegno alla fuoriuscita dalla condizione di indigenza. «Chi ha avuto la forza e la pazienza di assistere alle nostre intense giornate di lavoro – ha affermato il presidente della fondazione, Luciano Guerzoni (nella foto) – ha percepito che continuiamo a dare voce alle parole e al pensiero del modenese Ermanno Gorrieri (parlamentare ed ex ministro del lavoro), che denunciava la marginalità delle politiche sociali e delle politiche di contrasto delle diseguaglianze. A quarant’anni dall’uscita del primo volume di ricerca socio-economica scritto dal politico modenese La giungla retributiva (Il Mulino, 1972) e a dieci dall’ultimo, Parti uguali tra disuguali. Povertà, disuguaglianza e politiche redistributive nell’Italia di oggi (Il Mulino, 2002), noi continuiamo a occuparci di questi temi e ad avere come valore di riferimento una società più equa e giusta, in cui si riducano le disuguaglianze che Gorrieri definiva ingiuste e intollerabili. Alla base ci sono problemi estremamente complessi dal punto di vista anche solo della conoscenza, che vanno affrontati con fatica, competenza e impegno: questa è la missione della nostra Fondazione e su questo continua il nostro impegno».

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.47


rimini

Alla ricerca dei nipoti rubati Aperte in Italia, grazie alle “Nonne”, le indagini sui bambini scomparsi durante la dittatura argentina: tanti adottati all’estero A San Marino tante presenze Nella Repubblica di San Marino – la cui bandiera condivide i colori, azzurro e bianco, di quella del paese sudamericano – l’Argentina vanta una piccola ma coesa comunità. Ara San Marino è l’Associazione residenti argentini a San Marino, nata nel 2008 con l’idea di riunire gli immigrati argentini e i sammarinesi d’Argentina. Ha all’attivo numerose attività. Tra le tante, sicuramente la più importante è quella di riunirsi in occasione delle feste tradizionali, come la Festa nazionale, il 25 maggio, o come la Vigilia di Natale. Non da meno l’istituzione di corsi di spagnolo, indirizzati soprattutto ai figli nati fuori dall’Argentina. La pagina facebook del gruppo è costantemente aggiornata.

di Melania Rinaldini «Centosei nipoti sono stati ritrovati da Abuelas de Plaza de Mayo. Ne mancano 394: alcuni di loro potrebbero oggi trovarsi in Italia». È questo il messaggio del volantino che circola dall’autunno scorso nelle principali città italiane, soprattutto nella capitale. Ma quale storia raccontano quelle poche parole? È la storia recente dell’Argentina, con il dramma della dittatura (1976-1983), della repressione nel sangue dei dissidenti e del fenomeno dei desaparecidos. Si stima che oltre trentamila persone furono torturate, uccise e nascoste dalle forze armate che nel marzo 1976 rovesciarono il governo costituzionale. Ma un trattamento diverso veniva riservato ai bambini non ancora nati: la madre incinta veniva tenuta in vita fino al parto, il bambino poi rientrava nella lista delle adozioni di regime, se fortunato, altrimenti ucciso anch’egli. I neonati rappresentavano un affare per ricevuto due nomination per il Nobel la dittatura: venivano venduti a coppie per la pace (nel 2008 e nel 2010). sterili vicine al regime o adottati da Nell’Argentina della dittatura sono membri delle forze armate. stati circa 500 i giovani spariti da neonati; le Abuelas ne hanno trovati finora 107, l’ultimo a ottobre 2012. Ora le donUn’intera generazione in crisi ne di Plaza de Mayo cercano questi fiQuesti frammenti di storia recente gli e nipoti, ormai trentenni, anche in spesso ci sfuggono, eppure un’intera geItalia (primo paese straniero al quale si nerazione di trentenni argentini vive estende la ricerca), con il sostegno deluna crisi identitaria molto forte. Il movimento Abuelas de Plaza de Mayo (le “Nonne di piazza di Maggio”) è il movimento civico che ha dato la spinta fondamentale per suscitare l’interesse dell’opinione pubblica mondiale. La costituzione del gruppo fu spontanea, nel 1977, quando madri e nonne cominciarono a riunirsi a Plaza de Mayo, Buenos Aires; all’inizio erano 12, sono diventate migliaia, il loro messaggio è ora transnazionale. Tanto che il movimento ha

La presenza dell’Emilia Romagna a Santa Fè A Santa Fè, importante città argentina, ha sede dagli anni Ottanta l’Associazione Emilia Romagna, ente senza fini di lucro per mantenere e sviluppare la cultura emiliano-romagnola, favorire i rapporti tra i nativi e i discendenti dell’Emilia Romagna e la regione d’origine, contribuire alla diffusione della lingua e della cultura italiana. È possibile scrivere una e-mail all’indirizzo emiliaromagnasantafe@gmail.com o visitare la pagina facebook “Emilia Romagna de Santa Fè”.

48. scarp de’ tenis marzo 2013


scarprimini Argentini a Rimini

Pablo, italiano di ritorno: «Disoccupato, ma non mollo»

l’ambasciata della repubblica Argentina in Italia (sezione Diritti umani e rete per l’identità), oltre che di numerose realtà del terzo settore (Libera contro le mafie, 24marzo.it, Amnesty International, per citarne alcune).

La Rete per l’identità L’obiettivo di Rete per l’identità Italia è collaborare con le Abuelas e con la Conadi (Comisión nacional por el derecho a la identidad) nella ricerca dei giovani desaparecidos che vivono oggi, forse anche in Italia, con una falsa identità. I giovani volontari di Progetto Sur, con il supporto di due noti psicologi (anch’essi italo-argentini), Rosa Maria Cusmai e Giorgio Corrente, hanno attivato un numero telefonico e un contatto mail ad hoc (335.5866777 – dubbio@retexi.it). I funzionari di Ambasciata e consolati

Che il flusso migratorio di argentini e italoargentini verso l’Italia abbia avuto il culmine a fine anni Sessanta è ormai noto. Tuttora la comunità argentina è numerosa, anche se non tra le prime per presenza nel nostro paese. In provincia di Rimini, al 1 gennaio 2012 si contavano 122 presenze. Pablo Peruzzi è un 27enne italo-argentino, nato a Buenos Aires e venuto in Italia per la prima volta dieci anni fa: «Avevo 17 anni, ero piccolo – racconta – ma mi sono trovato subito bene; la prima città in cui abbiamo abitato è stata Taranto, poi mio padre ricevette una proposta di lavoro a Savignano e ci spostammo qui». Quali sono le tue origini italiane? Mio padre è nato ad Alberobello (Bari), poi a 13 anni è emigrato con la famiglia in Argentina. Ha vissuto lì per 40 anni, poi siamo venuti in Italia in cerca di fortuna. Italo-argentino: come ci si sente ad avere due cittadinanze, sei sempre straniero in patria? No, in Argentina ci sentivamo argentini, anche se io e mio padre non abbiamo dimenticato le nostre origini. Mia madre invece è argentina. Per me prevale la parte italiana però, non mi sono mai sentito straniero in Italia, fin dall’inizio mi sono sentito italiano. Come tutti ho vissuto anche momenti difficili, ma il fatto di essere venuto qui con i miei genitori sicuramente mi ha aiutato a inserirmi e trovarmi bene. E vivi gli stessi problemi dei tuoi coetanei in Italia… Sì. Purtroppo al momento sono disoccupato, come la maggior parte dei miei coetanei. Questo nonostante abbia già esperienza di lavoro come impiegato amministrativo e consulente assicurativo e parli correntemente lo spagnolo, oltre all’italiano. Ho abbandonato gli studi universitari in economia e management per mancanza di fondi, ma non mollo: il mio obiettivo è riprenderli e concluderli. L’Argentina in questo momento è in crescita, mentre l’Europa vive una profonda recessione: non hai mai pensato di tornare o di avere maggiori possibilità in Sud America? No. L’Argentina non è un paese stabile a livello economico, da un momento all’altro può accadere qualcosa. Qui anche se c’è la recessione vedo maggiori probabilità di ripresa. Dovessi andar via dall’Italia, sceglierei comunque un paese europeo. Cosa conservi dell’Argentina, cosa ti manca? Conservo l’accento, le tradizioni e parte della mia famiglia. Quella sì, mi manca...

garantiscono l’aiuto per chiarire la propria situazione a tutti coloro vi si rivolgeranno: tutte le informazioni saranno trattate nella più assoluta confidenzialità. Inoltre, i consolati argentini di Roma e Milano hanno i materiali necessari a fare i prelievi di dna (con l’aiuto di infermieri volontari). Sul sito del nostro ministero degli esteri è disponibile un modulo per la richiesta di accesso ai propri dati personali: la Farnesina intende fare chiarezza sul periodo storico fra il 1976 e il

1983, per ricostruire la verità, assicurare alla giustizia i colpevoli di crimini contro l’umanità, tener vivo il ricordo delle vittime e facilitare il processo di riconciliazione. L’iniziativa è stata resa possibile grazie al relativo accordo con l’Argentina, che consente la trasmissione da parte italiana alle autorità argentine di copia delle documentazioni presenti nei propri archivi diplomatici e consolari, relative ai cittadini italiani, doppi cittadini e cittadini di origine italiana vittime del regime militare.

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.49


firenze

Solliccianino, meglio che altrove Voci “da dentro”: alcuni dicono che il carcere fiorentino dove sono detenuti i tossicodipendenti sia inadeguato. Ma in altri istituti si vive molto peggio...

La casa circondariale a custodia attenuata “Mario Gozzini” si trova a fianco dell’istituto di pena “Sollicciano”, a Firenze; per questo è anche nota come “Solliccianino”. Al “Solliccianino” sono ospitati i detenuti con problemi di tossicodipendenza, per una capienza di 50 persone. Uno di loro ha scritto un articolo per noi. In questo istituto vi è una fascia ristretta di persone, che mostrano e manifestano il proprio malcontento per quanto riguarda la vivibilità. Spesso e volentieri si lamentano perché il vitto non è di loro gradimento, o per tutta una serie di situazioni che andremo a trattare nel corso di questa mia narrazione. Ad esempio le varie attività come scuola, sala computer, palestra, corsi di formazione, calcetto, calcio balilla, non sono particolarmente apprezzate. Gli stessi insegnanti e collaboratori delle varie attività vengono scherniti, Pensiero dolce e frustrante e talvolta non sono rispettati, perché per tutte quelle persone magari le argomentazioni che trattano che desiderano formarsi non suscitano interesse. Le educatrici vengono giudicate in una famiglia. malo modo, accusate di non svolgere La sogni, la desideri, bene il loro operato, con la conseguenti farebbe raggiungere za di comportamenti poco consoni alla completezza, l’educazione che converrebbe adottare ma subito ti rendi conto nei confronti di chi, malgrado gli scarsi che i tuoi sogni mezzi a disposizione, sta cercando di si sono interrotti condurci verso la retta via. ancora prima di iniziare. Tutto questo malumore può essere causato da un colloquio avuto in ritardo, oppure dalla negazione di un permesso, o semplicemente perché si vieRiflettiamo, ne richiamati all’ordine, dovendo freCi stupiamo, quentare obbligatoriamente le varie attutti i nostri sogni tività messe a disposizione. Emergono problemi anche quando ci viene impovengono frantumati. sta qualche regola, come quella di manInvochiamo giare insieme nel refettorio. una tregua

Pensiero di famiglia

Riflettiamo

Brutto posto ma non si sta male Vi sono dentro l’istituto fasce diverse di persone: c’è chi, come me, ha avuto diverse esperienze in altri istituti, e pensa che qui al “Gozzini” si stia piuttosto bene; e poi c’è chi la pensa in maniera

50. scarp de’ tenis marzo 2013

con il mondo! Continuare a credere che i sogni diverranno realtà.

Aghios

completamente opposta. Premetto che quanto sto per menzionare non vuole essere oggetto di contrasto verso chi non è d’accordo con me, volendo aggiungere che io rispetto le idee altrui anche quando non le condivido, e quindi auspico che si adotti lo stesso metro per le mie opinioni. Inoltre vorrei aggiungere, a scanso di equivoci e maldicenze, che quanto sto per dire non ha secondi fini, e non vuole essere una sviolinata per accaparrarmi qualcosa a danno della classe alla quale io per primo appartengo, quella dei detenuti. Quindi confermo e sottoscrivo che apparterrò sempre ad essa, fino a libertà avvenuta, e aggiungo di voler esprimere liberamente e sinceramente il mio pensiero


scarpfirenze al riguardo. A suffragio di chi, come me, crede che qui al Gozzini si sta bene, posso umilmente riportare la mia esperienza, tutt’altro che positiva, di permanenza in altri istituti.

Sollicciano “principale”

Vitto pessimo, celle orribili

Il carcere principale di Sollicciano (vicino al quale si trova la casa circondariale per tossicodipendenti di cui parla l’articolo in queste pagine), come la maggior parte degli istituti carcerari italiani, soffre di una grave condizione di affollamento. La capienza prevista è di 447 persone; al momento della visita dei membri dell’associazione Antigone che si occupa dei diritti dei detenuti, a maggio 2012 vi “risiedevano” 1.021 detenuti (dato in lieve decremento rispetto al dicembre del 2011 quando erano arrivati a essere quasi 1.050). In occasione di una successiva visita all’istituto (ottobre 2012), Antigone ha potuto riscontrare un decremento del numero dei carcerati presenti (mille), che ha interessato la sezione maschile (898) ma non quella femminile (102). Rispetto al totale dei detenuti presenti, gli stranieri sono intorno al 65%: circa 660 detenuti di nazionalità diversa da quella italiana. In calo i casi di autolesionismo: nel 2011 si sono registrati 231 casi (333 nel 2008), mentre nel 2011 c’è stato un solo suicidio, ma sono in netto aumento i tentati suicidi (dai 25 del 2008 ai 40 del 2011). In aumento anche i casi di sciopero della fame: sono stati 139 (93 relativi a stranieri) nel 2011, erano stati 134 nel 2008. www.associazioneantigone.it

Iniziamo dalla parola “vitto”. Che tutto potevi chiamarlo fuorché vitto, perché preparato per centinaia e a volte migliaia di persone, quindi vi lascio immaginare cosa poteva arrivare in cella. Già. Quelle stesse celle in cui eri costretto a restare per ventidue ore al giorno, condividendo quello spazio strettissimo insieme a un numero di persone esagerato rispetto alla capienza effettiva. Dovevi fare a turno anche per mangiare o per andare al bagno. Le uniche attività che potevi svolgere erano quella di sedersi a turno al tavolino, per fare una partita a carte con qualche compagno di sventura, o, sempre su quel tavolino, scrivere una triste lettera ai propri cari. Quegli stessi cari che quando, settimanalmente, arrivava il tanto atteso dì del colloquio, dovevano fare ore e ore di fila e interminabili anticamere per potersi ricongiungere a te. Per non parlare poi degli agenti di custodia, che se gli facevi una banale richiesta ti mandavano a quel paese o, se inasprivi un po’ il tono della voce, entravano in cella e...

Struttura al limite Al carcere “Sollicciano” di Firenze è allarme sovraffollamento

Capienza superata del doppio, in crescita i tentati suicidi

Inoltre, se facevi richiesta per avere un colloquio con educatori, psicologi, o per le visite mediche, dovevi attendere tempi inaccettabili. Quando stavi male e la sera passava il carrello con le varie terapie, vi era sempre un’unica pillola, la stessa per tutti i mali: sia per il mal di stomaco sia per la febbre; qualsiasi fosse il male di cui soffrissi, vi era soltanto quell’unica medicina.

Difficile rimanere tranquilli E veniamo alle indecenti condizioni igienico sanitarie: celle fatiscenti che cadevano a pezzi, muri che puzzavano di muffa, lavabi e wc che avevano perdite di liquidi, letti a castello innalzati fino al quarto piano. Per l’ultimo era un’impresa salire e scendere per fare i propri bisogni, e doveva subire la puzza di muffa del muro del solaio. Le docce nei reparti erano fatiscenti: ne potevi usufruire una o due volte a settimana, con tempi limitati, poiché vi era l’agente a sollecitarti se impiegavi più di cinque minuti. Spesso e volentieri l’acqua era gelida. Per sopperire a queste pessime condizioni igienico-sanitarie, dovevamo arrangiarci con mezzi rudimentali: ad esempio buste della nettezza urbana sistemate al suolo, sedicenti docce per lavarci nel resto della settimana e salvaguardarci da infezioni o malattie

della pelle (come la scabbia). Non vi dico poi le difficoltà per lavare e asciugare qualsiasi indumento personale. Un altro argomento che vorrei trattare è quello della tossicodipendenza. Io stesso sono stato tossicodipendente e, quindi, credo di poter fungere da portavoce non solo del mio pensiero, ma anche di quello di altri. I consumatori di sostanze dovrebbero essere consapevoli di avere dei problemi caratteriali. Nel corso della vita, ad esempio, abbiamo preteso che ogni nostra richiesta venisse soddisfatta seduta stante. Vogliamo sempre tutto e subito e se non ci viene concesso rapidamente, ci adiriamo, o magari cerchiamo di ottenerlo con la forza. Affronto questo tema in quanto io stesso ho dovuto fare i conti con questo errato modo di essere. Per mia fortuna ci sono anche state persone che mi hanno insegnato che nella vita, alla base di tutto, ci sono i tempi nel chiedere, le modalità per farlo, e che il nostro interlocutore può anche respingere una nostra richiesta, e bisogna saperlo accettare. Del resto nella vita dobbiamo sudare per raggiungere i nostri obbiettivi, potendo contare solo sulle nostre forze. In conclusione, credo che se stiamo bene con noi stessi, stiamo bene con gli altri, indipendentemente dal luogo in cui ci troviamo.

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.51


napoli GENTE DI TALENTO 2. Capezzuto, cronista di razza dei misfatti di camorra. Notizie dalla strada e impegno civile: incontro a Scarp

Arnaldo che osserva, curioso e coraggioso di Laura Guerra È un moto perpetuo di parole che fluiscono, accompagnate da un ampio gesticolare delle braccia. Arnaldo Capezzuto, cronista, fondatore del giornale online La Domenica Settimanale, con il quale fa parte del circuito di stampa di base e di resistenza civile I Siciliani Giovani (testata ripresa dall’esperienza di I Siciliani, promossa da Pippo Fava), firma un blog sul Fatto quotidiano ed è uno dei nove autori del volume Il Casalese, libro-inchiesta che documenta la carriera politica di Nicola Cosentino e gli intrecci opachi tra la camorra e la costruzione del consentestimoniano gli scatti che abbiamo fatso nei territori confinanti fra le province to quando è venuto a raccontarci del di Napoli e Caserta. suo talento in redazione. A rivederle soArnaldo Capezzuto ha un parlare no tutte mosse; le parole prendono il appassionato e non sta mai fermo. Lo sopravvento e il racconto cattura l’at-

Critica la sua città. Perché la vorrebbe migliore Arnaldo è un tipo divertente ed estroverso. Si vede dal suo racconto e da come vive la sua vita e la sua professione fra i vicoli di questa città. Arnaldo è giornalista, non lavora chiuso dentro una redazione, ma sta per strada e per questo ha capito subito come siamo, anche se siamo tanti e siamo tutti diversi e ognuno ha la sua piccola storia. È un uomo innamorato, non solo della moglie Luisa, che fa la giornalista come lui. È innamorato del suo mestiere, della sua città, che critica molto nei suoi articoli perché la vorrebbe migliore. Per la sua bambina che accompagna all’asilo tutte le mattine e per il suo bambino, che arriverà in primavera. È innamorato delle sue origini popolari e del quartiere dove è cresciuto, si vede che è orgoglioso delle sue origini, questo si capisce da come parla dei suoi genitori. Arnaldo è stato con noi una mattinata sana (in napoletano significa “intera”, però in questo caso significa anche pulita e utile) e ci ha raccontato tantissime cose: come fa il suo lavoro per strada, come gira sui mezzi pubblici, a piedi o con il suo scooter. Arnaldo è un cronista di strada e per strada non sempre si fanno incontri buoni. Lui si difende con la penna e con la legge; non mi è sembrata una persona timida e se ha paura non lo fa vedere. Il tempo con lui è volato e quando se n’è andato ci ha lasciato la voglia di invitarlo ancora: succede solo con le persone più speciali. Tutti i nostri ospiti sono speciali, ma Arnaldo ha qualcosa in più. É un uomo non tanto alto e di corporatura esile ma fa grandi cose, non si fa intimidire dalle persone potenti, né quelle perbene (le autorità) né quelle per male (i camorristi). E poi ha un grande talento, parla in modo semplice, si fa capire da tutti, anche da chi come me non ha studiato abbastanza. Ho capito che incontra persone importanti e scrive cose importanti, ma l’importante per me è che ce le ha dette in modo semplice e divertente. Antonio Casella

52. scarp de’ tenis marzo 2013

tenzione di tutti i redattori di strada, che lo ascoltano interessati e divertiti.

Raccontare sempre tutto Arnaldo è un cronista di cronaca nera; ha seguito e segue soprattutto gli omicidi di camorra e quando arriva sulla scena del delitto osserva e memorizza quel che vede. Ce lo ha ripetuto più volte: osservare e memorizzare, senza taccuino, penna o fotocamera; solo appunti mentali, mettersi zitto zitto in un angolo e osservare per capire. E in quelle circostanze gli tocca stare fermo per forza... Giornalista che si va a cercare le notizie per strada, si è trovato molto a suo agio fra noi che la strada la conosciamo e la raccontiamo; ci conosceva già ma ha voluto saperne di più, con la curio-

Voci di strada Arnaldo Capezzuto, secondo ospite della galleria “Gente di talento”, secondo da sinistra in piedi, con la redazione di Scarp Napoli


scarpnapoli sità genuina che lo accompagna nel mestiere ogni giorno. La stessa che ci ha messo quando ha raccontato l’omicidio di Annalisa Durante, l’adolescente uccisa per errore un sabato sera del 2004 nel rione Forcella durante una sparatoria fra famiglie camorriste che si contendevano il controllo dello spaccio. Le sue cronache puntuali e ben fatte non si sono fermate all’emotività mediatica del momento, ma hanno dato conto, sul quotidiano Napolipiù, anche del processo che vedeva imputato Salvatore Giuliano, poi condannato a 24 anni per omicidio. Nel corso del processo Arnaldo Capezzuto fu minacciato di morte dai genitori dell’accusato, lui li ha denunciati e lo scorso autunno sono stati condannati a più di due anni di carcere per intimidazioni. Tale processo ha creato un precedente, offrendo ai giornalisti garanzie di libertà più ampie.

Bravo, ma precario La storia di Arnaldo è la storia di un giornalista di razza, che ingiusti criteri di selezione relegano nella categoria dei giornalisti precari; è stata raccontata in tv in una bella puntata di Lucarelli Racconta, dedicata all’impegno dei cronisti che lavorano nei territori inquinati da mafia, camorra e ’ndrangheta. Dalla visione collettiva del programma ci è scattata la curiosità di invitarlo. Ed è stato un incontro ricco, denso di emozioni: emozioni forti e pulite, divertite.

.

L’incontro

Quel che i camorristi non possono Ancora un ospite nella redazione di Scarp: é venuto a trovarci Arnaldo Capezzuto (a fianco), giornalista da sempre impegnato sul fronte della denuncia della camorra. «Da tantissimi anni mi nutro di giornali e di pizze – ha attaccato –. Mamma mi diceva: “Con tutti i soldi spesi per giornali e libri, avresti potuto comprare un attico a Posillipo”. Ma quando lo diceva, gli occhi neri si illuminavano». All’incontro eravamo quasi tutti presenti, unico assente Bruno, nostro compagno di lavoro. Ho notato l’assenza, perché sono certo che anche lui sarebbe posto ad Arnaldo domande interessanti. L’impatto con l’ospite è stato diretto: si è presentato, ci siamo presentati senza inutili e prolissi convenevoli. Chi mi conosce sa benissimo che non sono uso regalare le captatio benevolentie, le finte adulazioni. Quello che dico è solo frutto della mia sincerità, a volte alquanto “aspra”. Arnaldo è un giornalista che reputo di frontiera, lo si vede spesso in televisione, non certo per le solite vanitose comparsate, ma piuttosto per parlare seriamente del suo splendido lavoro, splendido e purtroppo pericoloso. Arnaldo si interessa dell’universo camorra e sappiamo bene quale prezzo sia stato pagato da alcuni giornalisti. Uccisi solo perché raccontavano le “scomode verità”. Ebbene, nonostante sia sposato e padre di una bambina, e in attesa di un altro figlio che arriverà con la primavera, Arnaldo non si è fatto fermare da pericoli e minacce, che pure non sottovaluta: si impegna per rimuovere il lerciume che ammorba la nostra splendida città. Ma è proprio il suo ruolo di papà a dargli coraggio. Non può lasciare, dice, che il suo futuro e quello di sua figlia e di altri bambini venga deciso da farabutti spesso vestiti con abiti eleganti. I camorristi, possono pensare di avere tutto: soldi, super-attici, macchine, barche, donne vistose sempre a disposizione. No. Non è vero che hanno tutto. Non possono frequentare persone perbene, non possono intavolare una discussione dove non si parli di droghe e affari sporchi. Non possono intrattenere un giornalista, semmai se possono gli sparano; non possono divertirsi ascoltando un grande pizzaiolo, come abbiamo fatto noi nel primo incontro di “Gente di talento”. Non possono ascoltare e vedere all’opera un grande fotografo che con solo tre utensili si inventa storie incredibili, emozioni allo stato puro. Noi, che camorristi non siamo, noi che vendiamo Scarp di fronte alle chiese e che spesso abbiamo difficoltà a racimolare soldi per l’affitto e per il provvedere a noi stessi, noi che ci accontentiamo di bere un caffè con un compagno di lavoro: noi, possiamo fare questi incontri così belli. L’incontro con Arnaldo ha arricchito, le mie, le nostre conoscenze. Starò sempre dalla parte della legalità, della giustizia, della verità, prerogative del vivere civile, ideali spesso considerati “supporti inutili”, che invece sono valori di cui andare fieri. Arnaldo ha dimostrato di avere questi valori, gli sono stati lasciati in eredità, lui li trasmetterà alla sua bambina. Grazie Arnaldo, non mollare, sii fiero di ciò che fai, la gente onesta ti apprezzerà. Noi lo abbiamo fatto e lo faremo ancora; se ti occorre un nostro aiuto, noi ci saremo. Aldo Cascella marzo 2013 scarp de’ tenis

.53


salerno Sono migliaia i malati campani che si rivolgono a ospedali del centro-nord. L’associazione Angela Serra offre aiuti nel territorio

Oncologici, troppi viaggi della speranza di Michele Piastrella Ogni anno in provincia di Salerno vengono diagnosticati 4.600 nuovi casi di tumore maligno. Nel salernitano il cancro è la seconda causa di decesso, dopo le malattie del sistema cardio-circolatorio. Migliaia di famiglie ogni anno vivono il dramma di una diagnosi insidiosa; parliamo di “famiglie”, non di singoli “pazienti”, in quanto la cura del male coinvolge e sconvolge lo stile di vita del paziente, ma anche dei suoi familiari. Accanto alle gravi sofferenze fisiche sopportate dagli ammalati e ai fastidi procurati loro dalle chemio e radio-terapie, pazienti e caregiver (portatori di cure) devono infatti affrontare grandi stress, procurati dall’angoscia riguardo al decorso della malattia, dalla necessità di un diverso regime alimentare, dal continuo pensiero di dover ricorrere a medicinali e terapie. Inevitabilmente, ad ammalarsi sono anche i caregiver, che nonostante il nome avrebbero anch’esdella regione Campania è doppia: accasi bisogno di attenzioni. de cioè che gli ospedali campani non efMa a Salerno, come in tutto il mezfettuano quelle prestazioni, così perdozogiorno d’Italia, si vive anche un’altra no incassi e affrontano disavanzi di biemergenza, che appesantisce la già lancio, mentre le prestazioni medicoscarsa qualità della vita delle famiglie in sanitarie effettuate negli ospedali cui è presente un ammalato di tumore. toscani o emiliani pesano comunque sulle casse della regione Campania. Si è calcolato che i “viaggi della speTroppi i viaggi della speranza ranza”, che migliaia di campani com«Un grave problema – sintetizza Arturo piono, abbiano un costo di ben 70 miIannelli, presidente della sezione salerlioni di euro annui. Eppure, ci sono ottinitana dell’associazione “Angela Serra” mi centri di cura anche in Campania, di per la ricerca sul cancro – è la migraziocui tuttavia i pazienti spesso non si fidane dei pazienti oncologici salernitani e no, a causa della cattiva nomea circa lo delle loro famiglie verso strutture ospestato delle strutture medico-sanitarie daliere del centro-nord Italia. Ciò genedella nostra regione. ra un incredibile stato di stress nei paL’associazione Angela Serra, sezione zienti e nei loro familiari, costi econo“Luana Basile” di Salerno, ha istituito un mici che pesano su di loro, per quanto servizio di telefono oncologico. Infatti, il riguarda vitto e alloggio, e sulla regione primo problema per chi si ammala di Campania, per quanto riguarda le spetumore (e per i suoi caregiver) è la manse ospedaliere». canza di informazioni a disposizione Il sistema funziona nel modo secirca il medico o la struttura a cui rivolguente: le prestazioni ospedaliere sono gersi. Bisogna aggiungere che spesso chi gratuite per i cittadini italiani, ma vensi ammala consulta più di un medico gono pagate dalle regioni di apparteper confermare la diagnosi. E spesso, nenza. Per cui, se un campano si cura in soprattutto nei casi di tumori più rari, si una struttura sanitaria pubblica cambrancola nel buio. pana, la regione pagherà i costi delle Così l’associazione ha costituito il prestazioni mediche effettuate; ma se “Telefono oncologico” (che risponde ai un campano si cura in Toscana o in numeri di telefono 089.333885 e Emilia-Romagna, la perdita per le casse

54. scarp de’ tenis marzo 2013

089.2095257, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12.30, martedì e giovedì anche dalle 16 alle 19). Chi risponde è in grado di fonire tutti i dati utili ad ammalati e famiglie: i medici migliori da consultare, le strutture sanitarie operanti nel territorio provinciale e regionale. Attraverso il telefono oncologico si riceve anche un supporto psicologico.

Supporto anche alle donne Ma non solo. L’associazione ha attivato anche un supporto psicologico per le donne che necessitano di controlli o terapie relative a tumori alla mammella: volontari e psicologi dell’associazione accompagnano le donne alla “Breast unit” dell’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno, facendo


scarpsalerno loro compagnia nella sala d’attesa, sostenendole psicologicamente e moralmente. Supporto psicologico che l’associazione vorrebbe ora estendere anche agli altri casi di tumore.

Cambiare gli stili di vita L’Associazione Angela Serra si occupa, inoltre, di prevenzione nelle scuole, attraverso la diffusione di corretti stili di vita. Per combattere il tumore, in tutte le sue forme, c’è bisogno di un impegno su più fronti: miglioramento della qualità delle cure e delle strutture ospedaliere, accessibilità alle informazioni riguardo a medici e luoghi di cura, sostegno terapeutico (fisico e psicologico), una sempre più incisiva attività di prevenzione e sensibilizzazione; la rimozione dei fattori inquinanti (atmosferici o alimentari). A questo si aggiunge un fattore importantissimo: la grave carenza di fondi messi a disposizione dal governo per la ricerca medico-scientifica, che lascia in una situazione di stallo il progresso delle cure, dei farmaci e delle terapie. E non si può evitare di pensare agli ammalati non più guaribili, che con termine orribile vengono spesso definiti “terminali”, neanche fossero treni in arrivo su binari “morti”. Solo con uno sforzo congiunto dei vari attori sociali, il cancro può essere sconfitto. E la sua cura umanizzata.

.

La testimonianza

Quando una figlia si ammala «Come farò a dirglielo?» Il nemico più insidioso, più subdolo, più spietato e misterioso, quello che fa più paura a tutti: il cancro è entrato anche nella mia famiglia. Non c’è quasi più famiglia, ormai, che non viva questo male così diabolico e ignobile. È un male che non risparmia nessuno, bambini, anziani, uomini, donne, ricchi, poveri, analfabeti, dotti. Neppure una giovane sposa, con tanti desideri e sogni da realizzare, con tanta voglia di maternità, e di invecchiare accanto all’uomo che ha scelto come compagno di vita. La malattia è arrivata in punta di piedi, all’inizio qualche doloretto qua e là, poi si è manifestata in tutta la sua malvagità. Ha lasciato i familiari senza fiato, sperduti, sopraffatti; subito all’angoscia si è sostituita la rabbia, che ha scatenato tante domande che, purtroppo, non hanno ricevuto risposta, e tante amare riflessioni: perché ha colpito proprio noi? Qual è l’origine del male? A nulla sono finora valsi gli sforzi congiunti di scienziati e ricercatori, medici e specialisti. Lo stato è responsabile, perché non investe abbastanza nella ricerca, permette la fuga all’estero dei “cervelli” e non ha a cuore la salute e la sorte dei suoi cittadini. È certamente comprensibile lo smarrimento quando la malattia colpisce una persona cara: forse sollecita anche meccanismi d’identificazione, attivando le nostre paure di ammalarci e morire. Quando si è in difficoltà non ci si sente all’altezza, quindi si è spinti a cercare dagli altri suggerimenti su come tentare di risolvere in qualche modo la situazione, ci si rifugia in una specie di autodifesa colpevolizzando anche il medico. Ci si ripete: «Ha sbagliato diagnosi, ne troverò un altro, un vero luminare». Internet appare subito il migliore alleato, si cercano i siti da cui sapere tutto sulla malattia, sul suo decorso, sui centri specializzati, anche quelli sperimentali. Ci si impegna ad affrontare tutte le spese, sacrificando tutto quello che si possiede, pur di aiutare la propria diletta figlia. Si è così presi dal proprio progetto, che passa in secondo ordine addirittura la persona malata, che è ancora ignara della diagnosi. Già, bisogna comunicare a una figlia la terribile notizia, quello che tu stesso rifiuti di accettare. E allora pensi a cosa fare, a come tornare a casa e dire a tua figlia che bisogna fare ulteriori indagini per scoprire la causa dei dolori che la tormentano, che deve essere ricoverata subito, che non si può aspettare. Devi nascondere il tuo tormento, sopprimere la voglia di piangere e di urlare, perché la tua esperienza di vita ti suggerisce tutto sul percorso della terribile malattia. Bisogna mantenere il segreto, e servirsi di bugie in modo che tua figlia non perda la speranza, o bisogna rivelare tutto? Nella mente c’è un continuo alternarsi di pensieri: a volte propendi per la prima soluzione, perché il tarlo della depressione renderebbe la tua cara più fragile e indifesa. Desideri, quindi, proteggerla e farle vivere il decorso della malattia nel modo più sereno possibile. Altre volte ti chiedi: «Chi sono io per nascondere ad una persona la sua aspettativa di vita?». La vita è responsabilità e presa di coscienza di cosa ci accade, non solo gioia vacua e inconsapevole. La malattia corrode pian piano anche chi sta accanto al malato: è dura per il malato ma anche per chi lo ama. Chi sceglie di tacere, giusto o sbagliato che sia, sceglie ciò che crede più opportuno. L’importante, penso, è che la famiglia sappia stare vicino all’ammalato con amore e determinazione, per curare le ferite che si creano anche nel cuore. Pasquale Barbella marzo 2013 scarp de’ tenis

.55


catania A Ognina, nelle casette azzurre, poliambulatorio gratuito per indigenti e foresteria per i parenti dei ricoverati in ospedale

Il Sorriso e le cure, diritto di tutti di Sissi Geraci “La Casa del Sorriso”, un sogno che finalmente si realizza. È il sogno di don Mario Torracca, parroco della chiesa di S. Maria delle Grazie in Carruba di Ognina, che ci accoglie gioioso e ci porta a visitare le cinque casette azzurro cielo attigue alla parrocchia. Fino a cinque anni fa, le casette giacevano in stato di abbandono e inutilizzate; oggi, dopo la ristrutturazione, sono state trasformate nella “Casa del Sorriso”, poliambulatorio per indigenti e foresteria che ospiterà i parenti dei ricoverati nel vicino ospedale Cannizzaro. Le case hanno una superficie di 250 metri quadrati, più 230 di cortile e spazi a verde. «Avevo questo sogno fin dalla mia adolescenza – spiega don Mario –; terminato il liceo, mi ero iscritto alla facoltà di medicina, desideravo diventare medico per aiutare i fratelli più bisognosi. Oggi, oltre a essere un uomo di chiesa, sono medico

Laura e la tetraplegia, c’è un domicilio protetto La tetraplegia è un grave disturbo del movimento caratterizzato dalla progressiva o immediata perdita di sensibilità e mobilità degli arti (sia inferiori che superiori). L’incapacità di muovere o coordinare gli arti può essere totale o parziale, in base alla gravità del trauma subito. La tetraplegia può essere causata da una malattia o da un incidente. Quest’ultimo è il caso di Laura Salafia, la studentessa di Sortino protagonista il 1° luglio 2010 di un drammatico episodio di cronaca: mentre percorreva come sua consuetudine piazza Dante per arrivare alla facoltà di lettere e filosofia a Catania per frequentare una lezione, rimase colpita da un proiettile sparato da un uomo. All’inizio si pensò che non ce la facesse, ma poi fu data la notizia che Laura era sopravvissuta, ma era rimasta paralizzata. Da allora si sono mobilitate le associazione di volontariato dando il loro sostegno morale, così come il comune di Catania. Quest’ultimo, insieme all’Asp, ha lavorato in questi mesi con discrezione e concretezza per dare a Laura e ad altre due persone con gli stessi problemi un aiuto significativo. Il sostegno prevede un “domicilio protetto”, concesso in comodato d’uso gratuito, dove verranno realizzati interventi di tipo socio-assistenziale (abbattimento delle barriere archittetoniche, assistenza domiciliare), sanitario (infermieristico, medico riabilitativo) e di prossimità (ovvero servizi forniti da soggetti del volontariato) che garantiscono il supporto e le cure necessari. Sarà fondamentale l’addestramento dei caregiver, ovvero le persone che presteranno assistenza ai destinatari del progetto. Quello che sta per realizzarsi è un progetto che darà un segno positivo al mondo della disabilità, perché si cominciano non solo a vedere, ma anche a risolvere tutti gli ostacoli che impediscono una vita agevole ai disabili, partendo dalle loro abitazioni. Aumentare il livello di autonomia dà speranza, per far vivere ai disabili in modo sereno la propria vita. Grazia Di Stefano

56. scarp de’ tenis marzo 2013

cardiologo, i miei fedeli lo sanno e capita che dopo la confessione, qualcuno mi chieda pure un consulto...».

Un luogo di incontro e di cura La peculiarità di questa struttura, inaugurata in dicembre, risiede proprio nella destinazione: gli spazi funzioneranno come poliambulatorio medico, affiancato da una foresteria dove ospitare i parenti dei ricoverati nel vicino ospedale Cannizzaro. Del poliambulatorio potranno fruire le persone indigenti che non possono pagare cure e visite mediche, come pure gli anziani soli che devono affrontare una terapia. Il poliambulatorio entrerà in funzione a breve, gestito da medici e infermieri volontari.

Le chiavi della salute Don Mario Torracca, sacerdote e cardiologo, davanti alla “Casa del sorriso, la struttura di cui ha voluto la realizzazione a Ognina


scarpcatania La foresteria, invece, ospiterà una quindicina di posti letto riservati ai parenti dei malati ricoverati in ospedale che non possono permettersi le spese di un albergo. L’ospitalità sarà gratuita e chi vorrà potrà lasciare un’offerta. Le persone potranno facilmente venire a conoscenza di questa opportunità, giacché don Mario è anche il cappellano dell’ospedale Cannizzaro, dove si reca ogni giorno a celebrare la messa. Della “Casa del Sorriso” si occupano più di venti volontari, operativa è anche la “Squadra della Solidarietà”, che da sei anni ogni venerdì sera va a distribuire i pasti ai senza dimora che vivono in città. Nella “Casa del Sorriso” c’è pure uno spazio adibito a mensa, proprio con l’obiettivo di servire un pasto giornaliero agli indigenti. «Il sogno si è realizzato – conclude don Mario – grazie alla diocesi di Catania, che ci ha supportato per il disbrigo delle pratiche burocratiche necessarie ad aprire la struttura e, soprattutto, grazie ai fondi e al progetto messi insieme dal Lions Club “Acitrezza Verga”. Senza dimenticare il contributo dei tanti fedeli che fin dall’inizio, con le loro offerte, ci hanno permesso di far partire i lavori e che sicuramente continueranno ad aiutarci». Si, affinché il sogno realizzato possa continuare.

.

Il corso

Volontario? Chi non si dilegua di fronte alla sofferenza “Insieme per aiutare il prossimo” è stato il tema del corso di formazione per volontari organizzato dalla Caritas diocesana catanese. Ai quattro incontri, tenuti dalla pedagogista Emanuela Consoli e dallo psicologo Giuseppe Fusari, ha preso parte un nutrito gruppo di persone, costituito, principalmente, da over 50. Volontari si diventa, non esiste una ricetta: occorre assumersi l’impegno di dedicare parte del proprio tempo e delle proprie competenze in favore dell’altro. Il volontario non è un eroe, piuttosto un uomo con le sue fragilità, che però non si dilegua davanti alla sofferenza. Durante il corso sono state presentate anche le “opere segno” della Caritas: mensa, dormitori, unità e redazione di strada di Scarp. Numerose sono state le testimonianze di coppie, famiglie, gruppi e individui che da anni vi si dedicano. Sia Emanuela Consoli che Giuseppe Fusari hanno spiegato come sia fondamentale mettersi a pari livello delle persone da aiutare. Non si può accompagnare qualcuno da una posizione di superiorità, piuttosto occorre accogliere il dolore dell’altro senza giudicare, cercando solo di capire quale sia la soluzione più adeguata. A tale proposito è importante l’ascolto. Non a caso la Caritas punta molto sul suo “centro di ascolto”: sapere ascoltare significa abbracciare le paure, i malesseri, ma anche la personalità dell’individuo che si ha di fronte. Non è facile relazionarsi con chi è sopraffatto da una vita di stenti e solitudine, ma non bisogna mollare, poiché dietro quel muro vi è un’estrema necessità di essere accettati. Ausilia Domenica Costanzo

La proposta

La cittadella giudiziaria? «Facciamola a Librino!» Nella sala adunanze del Tar di Catania, il 24 gennaio scorso, il comitato civico “Cittadella della giustizia a Catania” ha presentato il proprio punto di vista circa realizzazione della cosiddetta “Cittadella giudiziaria”. Il tema dell’incontro è stata la prospettiva, che sta maturando in città, di trasferire alcuni uffici del comune e quelli giudiziari nell’ex palazzo delle poste di viale Africa, edificio del centro dove risiedevano molti senza dimora, sgomberato qualche mese fa. Emanuele Bonomo, portavoce del comitato, ha invece proposto come sede degli uffici il quartiere Librino, periferia degradata di Catania. Secondo il master plan del centro urbano di Librino, gli uffici comunali, qualora fossero ubicati nel quartiere, avrebbero disponibili superfici per 29.600 metri quadrati, gli uffici giudiziari 23.900, il Tar 10.400, l’Avvocatura distrettuale e le commissioni tributarie 3.080. Inoltre si potrebbe prevedere una struttura ricettiva da 11.600 metri quadrati e un centro polifunzionale di 4 mila, oltre a verde attrezzato e parcheggi pubblici. Bonomo, oltre a sottolineare che la scelta di Librino comporterebbe anche lo snellimento del traffico cittadino, ha evidenziato che a oggi l’unica opposizione a questa soluzione è rappresentata dagli avvocati, i quali hanno manifestato le loro difficoltà ad abbandonare il centro della città per spostarsi in periferia. Ma un progetto diverso porterebbe a Librino sviluppo economico, culturale e sociale, trasformandolo da quartiere-dormitorio in tessuto urbano pulsante! Ausilia Domenica Costanzo marzo 2013 scarp de’ tenis

.57


poesie di strada

Da giovane Da giovane volevo essere un ragazzo poiché detestavo il mondo femminile frivolo e superficiale. Ero sempre in jeans spesso macchiati di colori e molto magra, efficiente giorno e notte nonostante l’arte non offra mai benessere immediato e sicurezza. Adesso mi sono rassegnata. È bello essere donna ma è meglio conservare un certo spirito battagliero e sportivo tenendo presente che la società è statica, prepotente e maschilista e tende a boicottare l’arte soprattutto femminile perché la teme e, spesso, la ritiene scomoda o pungente, o troppo vivace e poco tecnica. Queste sarebbero virtù e la critica le rispolvera alla morte dell’artista, esaltandone poi la vita e le opere. Meglio troppo tardi che mai!

Silvia Giavarotti

58. scarp de’ tenis marzo 2013

Una stella Voglia di respirare

Dal suo gruppo famigliare una cerbiatta si era smarrita, uno stormo di gabbiani in volo vedendola così graziosa, avvolgendola in un telo l’avevano rapita per poi portarla in alto nel cielo fino a perdersi nell’azzurro più intenso dell’universo, e sotto il cielo terso scendeva la sera che accendeva tutte le stelle del firmamento e io andavo in cerca della stella più luminosa, la stella più bella, e trovandola mi accorgevo che quella stella aveva un volto, osservandola mi accorgevo che la stella più luminosa, la stella più bella aveva il volto di Marinella. Mr Armonica

Elementi della natura Noi umani abbiamo bisogno di comprendere di più la natura. Anch’essa è amore, ci fa comprendere che anche noi umani facciamo parte del suo ambiente. Gli esseri umani poco alla volta la divorano con il loro progresso. Ma tu umano fermati un momento. Senti l’aria che respiri, senti il suo odore. Hai visto la terra madre delle piante e dei fiumi… Onorala. Non dimenticare il cielo così immenso, guarda. Salvatore Saraceno

La verità è una luce in una stanza buia, segnale sottile in cui credere, vedere nel mistero un’altra esistenza. La mente umana ha osato sfidare Colui, bontà infinita, capace di grandi opere: dall’universo di stelle alla natura del creato. Ricchezza, guerre, droga, potere, miseria, nullità, mali di stupida follia da togliere il respiro, nel tormento la speranza di un mondo più giusto.. Gaetano Tony Grieco

Marzo Marzo scompiglia le nubi e le muta in monti di cangiante seta. Fa crollare quei monti che scioglie in scrosci di pioggia su timide viole. Accende all’improvviso il Sole che getta manciate d’oro su campi lucenti. Marzo cavalca il vento, risponde ai canti degli uccelli, e soffia dal suo flauto effluvi azzurri e argentei. Marzo stende tappeti verdi sulla terra nera, e libera dal gelo i rivi. Fa tremare di piacere il cuore, e un canto sgorga improvviso: è Primavera. Mary


ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Gli italiani vanno quale viviamo, come l’agenda in rosso. Causa debiti. E pensare per il buon vivere, come che per uscire dalle maglie l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. del sovraindebitamento ci sarebbe Ventuno è la nostra una legge nuova. Però mancano idea di economia. Con qualche proposta per i regolamenti di attuazione. Così agire contro l’ingiustizia e ne hanno usufruito solo in tre... l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno. di Andrea Barolini

21 ventunostili Crisi e consumi, anche i vestiti firmati e la tecnologia ora si vendono di seconda mano

di Maria Chiara Grandis

ventunorighe Prestito collettivo per l’housing sociale

di Dario Bolis Direttore relazioni esterne Fondazione Cariplo

marzo 2013 scarp de’ tenis

.59


21ventunodossier Una norma nuova. Voluta per superare i “fallimenti” individuali da sovraindebitamento. Ma senza regolamenti non funziona...

Indebitati, la legge c’è ma non aiuta dossier a cura di Andrea Barolini

Storie all’italiana. Dal gennaio 2012 una legge dello stato prevede il concordato anti-sovrindebitamento: vi possono accedere piccoli imprenditori, famiglie e individui. Ma mancano i regolamenti attuativi. E non si valorizza l’esperienza di realtà non profit e sportelli antiusura. Così la norma è stata utilizzata solo in tre casi…

60. scarp de’ tenis febbraio 2013

Solo tre ricorsi

Crisi di liquidità? Vorrei (comporre) ma non posso... Sommersi dai debiti. Gli italiani – individui e famiglie – annaspano, sempre più lontani dalla loro fama di risparmiatori virtuosi. La crisi finanziaria ed economica ha esacerbato il fenomeno, che però già da tempo aveva assunto dimensioni preoccupanti. Per cause note: crescita esponenziale del ricorso al credito al consumo (spesso per acquistare beni dei quali si è stati sostanzialmente “convinti” di avere bisogno, pur essendo evidentemente superflui); diffusione del gioco d’azzardo, iper-pubblicizzato nelle sue molteplici declinazioni; disoccupazione, prequidità” di debitori cui non si possono carietà, povertà dilagante. O una disgraapplicare le procedure “tradizionali”. zia che non si è riusciti a fronteggiare. Ovvero coloro che, tecnicamente, non Meno note, invece, sono le possibili sopossono fallire, perché non è loro appliluzioni. L’Italia dei sovraindebitati – non cabile la legge fallimentare: piccoli imsolamente imprenditori, ma anche prenditori (che non raggiungono i misemplici consumatori – avrebbe infatti nimi previsti), famiglie, professionisti. a disposizione un’ancora di salvataggio. Successivamente, la legge 3 è stata moIl condizionale è d’obbligo, perché la dificata e integrata da un decreto legge legge che dovrebbe agevolare le proce(il numero 179) emanato dal governo dure di superamento della condizione Monti a ottobre e convertito in legge ordi sovraindebitamento (fino ad arrivare dinaria a dicembre: esso, oltre a modifia quella che in linguaggio giuridico si care alcuni aspetti della procedura, ne chiama “esdebitazione”) esiste. Ma è orha esteso l'applicazione al sovraindebimai da tempo incagliata nelle fitte matamento del “consumatore”, ampliando glie della burocrazia. fortemente la platea dei (teorici) beneficiari. Teorici. Perché il problema, sin da gennaio 2012, è che i ministeri compeLa legge e il decreto tenti non hanno emanato i regolamenFacciamo un passo indietro. Tornando ti attuativi, rendendo impossibile (o a gennaio dell’anno scorso, quando il quasi) il ricorso alle tutele previste dalla parlamento approvò la legge 3/2012, che introduceva una nuova tipologia di legge stessa. «Stando alla documentaconcordato, finalizzata a comporre zione ministeriale che ha accompagnaquelle che vengono definite “crisi di lito la conversione in legge del decreto –


debiti

Mani legate La legge sui fallimenti individuali per ora resta senza efficacia

La norma

Accordo con i creditori a patto che non ci sia colpa La legge 3/2012 introduce, anche per soggetti diversi da quelli ai quali si applica la normativa da tempo vigente sui fallimenti, la possibilità di ricorrere a una sorta di concordato. La norma fa esplicito riferimento al “debitore, persona fisica, che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. Ciò, al fine “di evitare inutili collassi economici con la frequente impossibilità di soddisfacimento dei creditori ma, soprattutto, con il ricorso al mercato dell’usura e, quindi, al crimine organizzato”. Si punta dunque a un accordo con i creditori, sulla base di un piano di ristrutturazione dei debiti (che può prevedere, in alcuni casi, una moratoria dei pagamenti). Il “concordato” deve essere accettato da almeno il 60% dei creditori e prevede il coinvolgimento di “organismi di composizione” che presentino “carattere pubblico”. Secondo gli esperti, ci si riferisce a professionisti (avvocati, commercialisti, notai) che dovranno essere “iscritti in apposito registro”. Sarà il giudice ad assegnare la pratica a uno di tali soggetti, e successivamente a ratificare il piano di ristrutturazione del debito, basandosi su un “giudizio di meritevolezza della condotta del debitore”, ovvero sulla ragionevole prospettiva che l’indebitato rispetti l’impegno a effettuare i pagamenti. Conterà, infine, anche la mancanza di colpa nell’aver prodotto il sovraindebitamento stesso.

La legge 3 introduce un nuovo tipo di concordato. Ma senza i regolamenti attuativi, è pressochè imposibile accedere alle procedure di sostegno

spiega l’avvocato Paola Moreschini – solamente tre persone in tutta Italia (!) hanno potuto finora avvalersi della nuova normativa. Le informazioni del ministero possono essere incomplete, poiché è complesso censire presso i tribunali simili dati. Ma è chiaro che la legge finora di fatto non ha avuto applicazione».

Organismi pubblici Non si tratta, tuttavia, dell’unico problema. A prescindere dalla sua non-attuazione, il testo di legge è stato fortemente criticato. Esso infatti incarica non meglio identificati “organismi di composizione” di affrontare le crisi finanziarie dei cittadini sovraindebitati. «Nella prima versione del testo – sottolinea Donata Monti, presidente di Pro.Seguo, associazione che da anni si batte contro l’esclusione da sovraindebitamento – si era parlato anche di organismi privatistici, ma nelle modifiche successive si sottolinea il “carattere pubblico” che devono avere gli organismi di composizione. Ciò taglia fuori realtà come i centri di ascolto, le fondazioni antiusura o le Caritas, che da molto tempo si occupano della questione». Si perde così la possibilità di sfruttafebbraio 2013 scarp de’ tenis

.61


ventunodossier

re un’esperienza consolidata, fatta di rapporti con il territorio e conoscenza dei tanti problemi che ruotano attorno alle situazioni di crisi finanziaria delle famiglie. E capace di accompagnare i debitori nel complesso percorso verso l’esdebitazione. Il motivo di tale esclusione? «Sembra che il legislatore conosca poco la materia. Ma sono pesati anche i pregiudizi e la forza delle lobby», aggiunge Donata Monti. Avvocati, commercialisti e notai, essendo inseriti in elenchi pubblici in quanto appartenenti a ordini professionali, potrebbero infatti essere i principali “destinatari” della norma. La composizione delle crisi debitorie familiari potrebbe divenire di fatto un loro “monopolio”. «D’altronde le parti sociali si

sono mosse in grave ritardo, così non hanno avuto modo di incidere a sufficienza», conclude Monti. Intanto alcune procure “intraprendenti” hanno cominciato ad applicare la legge secondo la loro interpretazione. Il 25 settembre 2012 il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha individuato in due professionisti gli “organismi di composizione” della crisi debitoria (all’epoca non erano ancora intervenute le modifiche del decreto legge 179, che indicano esplicitamente la necessità di iscrizione di tali organismi in “apposito registro”). Un modo per evitare di perdere tempo, e consentire ai cittadini di cominciare a usufruire di un salvagente che per ora è solo un miraggio

Famiglie in condizione di deprivazione Il dato va calcolato ogni 100 famiglie resid

.

Dati Cgia

L’Italia che va in rosso, Roma e Milano record

fonte: CGIA Mestre

Le famiglie italiane sono sempre più indebitate. Complici la crisi, le cattive abitudini, il ricorso sfrenato al credito al consumo e l’offerta ammaliante di prestiti facili da finanziarie e banche, dal 2002 al 2012 l’esposizione complessiva pro capite degli indebitati, nei confronti dei soli istituti di credito, è salita di quasi il 140%, passando dai circa 8.300 euro del 31 dicembre del 2001 ai quasi 20 mila euro della italiane verso le banche dal 2002 Tabella - L’esposizione delle famiglie ad oggi, nelle 10 provincie presentano l’indebitamento medio più fine di ottobre dello scorso anno. Dati allarmanti e insostenibili, che stannoche mettenalto do in ginocchio un numero crescente di Provincia Debiti al Debiti al Differenza Variazione in persone. «L’avvento dell’euro – spiega 31/12/2001 31/10/2012 % Giuseppe Bortolussi, segretario della Roma 11.491 29.353 + 17.862 + 155,4% Cgia di Mestre, che ha pubblicato poche Milano 10.901 28.472 + 17.571 + 161,2% settimane fa i dati – ha contribuito a far Lodi 10.325 28.351 + 18.026 + 174,6% scendere i tassi di interesse praticati dalMonza Brianza 10.901 28.332 + 17.431 + 159,9% le banche nella prima parte del decennio scorso. Tra il 1991 ed il 2001, infatti, Prato 12.245 26.516 + 14.271 + 116,5% il costo imposto dagli istituti di credito Varese 9.276 26.416 + 17.139 + 184,8 sui prestiti era pari all’11,2%, mentre Como 9.922 25.887 + 15.965 + 160,9 successivamente è sceso al 5,5%». Bergamo 9.590 25.099 + 15.509 + 161,7 Quello che avrebbe potuto costituiTrento 11.344 24.715 + 13.371 + 117,9 re un vantaggio, è stato però trasformato dagli italiani in un boomerang: lo Treviso 10.818 24.527 + 13.709 + 126,7 specchietto per le allodole di rate meno Fonte: CGIA Mestre Esposizione delle famiglie italiane verso le banche dal 2002 a oggi, esose ha infatti invogliato a incremennelle dieci provincie che presentano l’indebitamento medio più alto tare l’esposizione debitoria, piuttosto che ad aumentare i risparmi. A pagare il conto più caro, spiega anpresentano un debito nei confronti delpersino superiore: +161,2%). cora la Cgia, sono le famiglie che abitale banche pari a 29.353 euro (in crescita D’altra parte, l’Istat (Noi Italia, edino nelle due più grandi aree metropolidi oltre il 155% rispetto a dieci anni fa). zione 2012) sottolinea che il 15,7% deltane del paese. Il “rosso” più preoccuAl secondo posto, gli abitanti della prole famiglie (ovvero 9,6 milioni di indivipante è infatti quello registrato dai resivincia di Milano, che arrivano a 28.351 dui) vive in una situazione di disagio denti della provincia di Roma, che euro (con un aumento nel decennio economico. L’istituto di statistica fa rife-

62. scarp de’ tenis marzo 2013


debiti

Da Vicenza a Pozzuoli

e per regione (anno 2010 – denti)

fonte: Noi Italia, 2012, Istat

Le Caritas accompagnano: «Educazione e ristrutturazione»

rimento a un “indicatore sintetico di deprivazione”, che rappresenta la quota di famiglie che affermano di riscontrare almeno tre circostanze tra: non riuscire a sostenere spese impreviste; essere in arretrato nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, ecc.); non potersi permettere una settimana di ferie all’anno, un pasto adeguato (proteico) almeno ogni due giorni, un riscaldamento adeguato della propria abitazione, l’acquisto di una lavatrice, o di un televisore a colori, o di un telefono, o di un’automobile. Le situazioni più difficili affliggono il Mezzogiorno, dove le famiglie “deprivate” sono il 25,8% di quelle residenti, contro il 9,6% di quelle del nord-ovest, il 10% di quelle del nord est e il 13,8% di quelle del centro. Le situazioni più gravi si registrano tra le famiglie residenti in Sicilia (31,8%), Campania (29,5), Calabria (23,2) e Puglia (23,1). E in quest’area di deprivazione, facile pensare che si annidino anche molti indebitati.

.

Agli sportelli Caritas bussano da tempo. Sempre più numerosi. Da nord a sud, il popolo dei sovraindebitati si rivolge a strutture di accoglienza, ascolto, aiuto finanziario, psicologico e tecnico, per uscire dal circolo vizioso in cui cade chi è andato ben oltre le spese che le sue entrate gli avrebbero concesso. A Pozzuoli, nel 2006 è nato il progetto Liberi: «Grazie a esperti commercialisti, bancari e avvocati, forniamo aiuto concreto a persone esposte nei confronti, ad esempio, di banche o società finanziarie – racconta Domenica Centola, responsabile dello Sportello antiusura della Caritas diocesana –. È difficile da credere, ma esistono soggetti che hanno contratto debiti con sei, sette, perfino dieci soggetti: come possono le finanziarie continuare a erogare denaro a chi risulta già così esposto? È assurdo! Per non parlare delle maledette carte di credito revolving (che prevedono un rimborso rateale, a tassi spesso altissimi, ndr)…». Lo sportello campano – che ha aiutato un centinaio di famiglie a ristrutturare i propri debiti, con un intervento finanziario medio pari a 15 mila euro, in collaborazione con l’Ambulatorio antiusura di Roma, associazione attiva dal 1996 – sarà presto affiancato dalla Fondazione Paulus, nuova struttura riconosciuta dalle autorità pubbliche e che, con il sostegno di Banca Etica, potrà contare su fondi propri. «Ma continueremo a occuparci anche di prevenzione e di sostegno legale a chi cade nelle giogo degli strozzini», aggiunge Centola.

Per ragioni legittime A Vicenza lavora il “Servizio Strade”, progetto di microcredito etico-sociale nato nel 2006: «Abbiamo di fronte una nuova povertà – spiega Stefano Osti, coordinatore del servizio –. Non più circoscritta ai disoccupati, bensì allargata a chi ha un lavoro e percepisce reddito, ma complice la crisi non è in grado di onorare i propri impegni». “Strade” può contare su tredici centri di ascolto con 150 volontari qualificati, che ricevono una formazione ad hoc prima di operare. «Dal 2009 ci siamo resi conto che il solo strumento del microcredito non bastava e abbiamo predisposto un fondo straordinario di solidarietà, rimasto attivo per due anni, alimentato dalla diocesi, da donazioni di privati, aziende e alcuni soggetti bancari. Abbiamo ascoltato 2.200 persone, ed erogato 923 mila euro». La Caritas vicentina ha poi avviato un programma di “Sostegno di vicinanza”, attraverso il quale si chiede alle famiglie agiate di aiutare nuclei in difficoltà: un modo per risolvere i problemi dei sovraindebitati che, al contempo, costituisce anche un potente collante sociale.

La fondazione antiusura di Tempio Pausania Dal 1998 opera invece a Tempio Pausania la Fondazione antiusura Santi Simplicio e Antonio, riconosciuta a livello ministeriale dal 2001, i cui servizi abbracciano oggi l’intera Sardegna. «Gestiamo fondi del Tesoro per aiutare le famiglie che non hanno più accesso al credito ordinario, magari perché protestate», racconta la responsabile, Alessandra Cossu. La struttura ha aiutato centinaia di persone, garantendo fino a 20 mila euro procapite per risanare le posizioni debitorie: «Si tratta spesso di persone che si sono esposte per ragioni legittime, dall’acquisto di un mezzo di trasporto alla ristrutturazione di una casa. A loro garantiamo un sostegno tecnico per la ristrutturazione del debito, trattando direttamente con i creditori. E cerchiamo di insegnare come comportarsi in futuro per non ripetere gli stessi errori». Un sostegno concreto, non solo finanziario: in molti casi, un aiuto insostituibile. marzo 2013 scarp de’ tenis

.63


21ventunostili Negozi, con prodotti anche firmati e di alta qualità, che trattano articoli usati. Dai vestiti alla tecnologia. Due storie milanesi

Jeans e iPad, l’usato è sicuro e va di moda di Maria Chiara Grandis

Nel quadrilatero della moda, anche i capi griffati si concedono il “second hand”. Nella boutique di Michela si trova di tutto. E si può anche portare ciò che emerge, dopo aver svuotato l’armadio. L’invenduto? In solidarietà

64. scarp de’ tenis marzo 2013

Si chiamano mercatini, ma alcuni sono diventati boutique. Dell'usato, sì, ma di qualità. Come i negozi che gestisce Michela De Palma, trentenne milanese con una laurea in scienze politiche e una passione: la moda, che coltiva seguendo le orme di mamma. In città gestisce tre negozi con il marchio MI79 – Mercatino Michela: uno in via della Spiga (quadrilatero della moda), uno vicino al Palazzo di giustizia, il terzo in viale Regina Giovanna. «Mia mamma li ha aperti nel 1982 ma la sua prima collezione di capi firmati risale appunto al 1979, quando ha iniziato l’attività nel salotto di casa con le amiche», racconta la giovane. Nelle sue boutique ci sono abiti griffati per donna, uomo e bimbi, oggetti di antiquariato e design. «La nostra clientela è molto varia – spiega Michela –. C'è quella storica che ci segue da trent'anni, signore che cambiano spesso abbigliamento per lavoro. Così portano qui i capi usati per unadue stagioni, per acquistare qualcos'altro, magari proprio da noi. E poi ci sono tantissimi giovani che oggi si accostano all'usato e al vintage senza puzza sotto il naso, come invece accadeva anni fa».

Qualità, a prezzo contenuto Michela De Palma con la madre, che vent’anni fa ebbe l’idea dei mercatini-boutique degli abiti usati

Il meccanismo è quello del conto vendita: il pagamento avviene dopo che la vendita del prodotto è avvenuta e in questo caso al cliente va il 50% del netto. Un esempio? Un paio di jeans firmati che costano 300 euro viene valutato circa 100: al proprietario andranno 50 euro. MI79 – Mercatino Michela segue le stagioni, ora si ritira l’abbigliamento primaverile. «I capi devono essere in perfetto stato. Capita che li si prenda lo stesso, anche un po’ usurati, solo se sono un classico, come la giacca di Chanel, ma in ogni caso il prezzo si abbassa – precisa Michela –. Le scarpe, invece, per motivi igienici, non devono essere mai state indossate. Un buon esempio sono i regali non graditi, quelli per i quali non capita


commerci equi Il mercato delle pulci

Il sabato? Alla Fiera di Sinigaglia Usato per tutte le tasche? Naturalmente al mercatino delle pulci. Il più antico di Milano è la Fiera di Sinigaglia (foto sotto), che si tiene ogni sabato sui Navigli. Le sue origini risalgano al 1800 e le bancarelle, che incuriosiscono anche i turisti, offrono ogni genere di merci usate e pure nuove: dall’abbigliamento e accessori agli oggetti per la casa.

l'occasione d'uso purché recenti, massimo due anni di modellatura. Per il vintage invece, che spesso prestiamo per set fotografici o film, si va dagli anni Settanta in giù. In questo caso l’ideale sono i capi firmati più richiesti al momento: Pucci, Ungaro, Pierre Cardin e l'intramontabile Hermes». Caratteristica delle boutique MI79 è che l’invenduto va in beneficienza. «Sia donando gli abiti, sia devolvendo il ricavato di vendite ad hoc. A volte sono gli stessi clienti a chiedere di regalare ciò che ci portano, così ogni settimana da ognuno dei nostri negozi esce un bel saccone che viene ritirato dalle associazioni di volontariato, dalle Dame di San Vincezo al don Orione – afferma Michela –. Lo faceva mamma, continuo a farlo io».

Crisi e consumi Da un paio di anni MI79 – Mercatino Michela ha visto un aumento del 20% del fatturato. Ma secondo Michela non è la crisi la sola variabile a influenzare il suo lavoro. «Sento dire che questo mercato sta crescendo, in realtà sta cambiando – riflette –. Senz'altro in un momento di difficoltà economica ha meno senso spendere cifre folli per comprare abiti. E tante persone perciò, pur non avendo cambiato il budget di spesa dedicato ai vestiti, vengono da noi solo per poterne acquistare di più alla stessa cifra. Quindi non si tratta di spendere meno, ma di cambiare mentalità». A crescere è anche il numero di persone che apprezzano l'usato, mercato

che oggi non stupisce più come anni fa, quando era consuetudine solo in metropoli come Londra, Parigi e New York. «Milano sta reagendo molto bene alle nostre proposte, ormai è assolutamente pronta. Quello che stupisce ancora gli scettici invece è la qualità della merce che si trova qui. Noi poi facciamo le vetrine, che cambiamo spesso anche ispirandoci ai film, collezioniamo libri di moda che contengono i capi che abbiamo in negozio, intercettiamo le tendenze, ragioniamo sui brand emergenti... Chi viene qui si affida un po’ anche alla fortuna: prima c’è il colpo di fulmine, poi però l'abito deve essere della taglia giusta. E soprattutto, chi ci sceglie ha tanta voglia di chiacchierare e di scambiare consigli». Per il futuro Michela ha un sogno: «Con mamma pensiamo al museo della moda, da realizzare nel nostro magazzino di 400 metri quadri in zona Washington. Ogni tanto passano stilisti e designer a dare un'occhiata e rimangono ore a frugare tra le collezioni che abbiamo accumulato negli anni. È un pezzo di storia».

Non solo vestiti L'elettronica è un altro settore in crescita nel mercato dell'usato. Ne sa qualcosa Francesco Liconti, che a Milano da 15 anni gestisce Cash Converters in viale Vittorio Veneto, uno dei 500 negozi dell’omonima catena nata in Australia negli anni Ottanta e ora diventata internazionale. Più di un milione di euro il fatturato annuo, in crescita del 7-10% negli ul-

timi tre. «La nostra tipoligia di clienti è trasversale, come da McDonald's – sorride Liconti –. Chi compra è attento ai soldi e al risparmio. Chi vende vuole sfruttare l’oggetto di valore che ha in casa e non usa. Sanno anche che rivendere ha un’importanza ecologica, e spesso consigliamo dove rottamare la merce se non possiamo comprarla». Novemila le persone hanno venduto a Liconti, negli ultimi sei mesi: spesso con il ricavato hanno comprato qualcosa scegliendo fra cd musicali, videcamere digitali, tv, pc, ma anche penne, orologi e biciclette. «Il prodotto deve essere perfettamente funzionante e avere un mercato – prosegue Liconti –. Non compro macchine fotografiche con la pellicola, non siamo collezionisti. Scelgo l'iPad e non il palmare. Per il resto, paghiamo in contanti e subito: la cifra varia dal 25% al 50% del prezzo del prodotto nuovo, in base a come si presenta l'oggetto, a quanti ne ho, a quanti ne vendo...». C'è qualcuno che da Cash Converters passa ogni giorno, magari per cambiare il videogioco acquistato nuovo a 30 euro con uno usato a metà prezzo. «Valutano, cercano le novità – conclude Liconti –. Prima o poi tutto qui si vende, niente resta sugli scaffali».

.

marzo 2013 scarp de’ tenis

.65


ventun righe di Dario Bolis direttore Relazioni Esterne Fondazione Cariplo

Prestito collettivo per l’housing sociale Fare solidarietà prestando, per una buona ca(u)sa. A donare ci pensa Fondazione Cariplo. Parliamo di housing sociale, strutture che servono ad aiutare chi è in difficoltà, o addirittura chi un tetto sopra la testa non se lo può permettere. Fondazione Cariplo è impegnata in questo ambito, due esempi su tutti: “Maison du monde” in viale Padova e il Rifugio Caritas, in via Sammartini, a Milano. La Fondazione opera con risorse proprie e coinvolgendo altri attori, come nel caso dello stabile di via Padova, per il quale la Fondazione Vismara ha deciso di investire a sua volta, a testimonianza che si può rendere doppiamente virtuosi i patrimoni privati. Ora Fondazione Cariplo sperimenterà un modello di crowdfunding, il prestito collettivo di cui si parla tanto, sviluppato attraverso la piattaforma Terzo Valore di Banca Prossima (www.terzovalore.com). Una novità assoluta per l’Italia, che può rispondere a diverse esigenze e raggiungere una sintesi utile per tutti. In che modo? Una persona può scegliere di prestare i propri risparmi per realizzare un progetto concreto, che successivamente può monitorare, fino a vederlo realizzato. L’obiettivo della prima iniziativa di crowdfunding è sostenere nuove iniziative di housing sociale attraverso risorse private, con la garanzia al prestatore fornita da Banca Prossima, che offre un paracadute a chi finanzia, nel caso l’organizzazione a cui si sono prestati i soldi risulti insolvente (le statistiche dicono però che gli enti non profit sono molto più rigorosi di altri nel restituire a chi fa loro credito). Fondazione Cariplo selezionerà progetti di housing sociale attraverso bandi, destinando loro le proprie erogazioni; per coprire la parte residuale di costi che non sono coperti dal contributo Cariplo, interviene la piattaforma di Terzo Valore: nei prossimi mesi si potranno trovare sul web i progetti e decidere di finanziarli. Realizzato l’intervento, i soldi torneranno alla persona che ha creduto nella buona azione. Un modello che potrà essere esteso a progetti di altra natura.

66. scarp de’ tenis marzo 2013


lo scaffale

Le dritte di Yamada

()"%

9mlgja NYja

D MDLAEG :9J 9 KAFAKLJ9

Ha il colore dei fiori di pesco questo librino D MDLAEG :9J uscito a inizio d’anno e scritto da Michèle Halberstadt, 9 KAFAKLJ9 scrittrice, giornalista e sceneggiatrice francese, ma anche attrice con Godard e produttrice di This Must Racconti noir La primavera Be The Place di Paolo Sorrentino. Appena l’ho lumato – araba si fa dalla via di street art tante culture dopo aver intravisto la trama – l’ho comprato, questo minuscolo libriccino rosa: la foto di una ragazza con Urban Cairo è un Sofia Corben è la basco e kilt attraversa come una freccia la copertina, reportage narrativo tassista che ha un quasi a uscire dalla dimensione della storia raccontata sulla rivoluzione blog seguitissimo ed entrare nel mondo per trovare il suo posto. egiziana e i suoi (www.psicotaxi.it) risvolti artistici, dove racconta Questo accade nella trama, che ha come numi una stagione Milano vista da un tutelari i bellissimi versi di Claude Nougaro (Une petite espressiva durante taxi, ma è anche fille en pleurs / Dans une ville en pluie): una ragazzina la quale il Cairo uno dei 22 autori di dodici anni è così triste e sola, che ha deciso di farla ha ripreso il suo che hanno scritto finita. ruolo di centro L’ultimo bar culturale del a sinistra, libro «Ho dodici anni e questa sera sarò morta». Così mondo arabo. di racconti noir, comincia il libro. La petite svuota di pastiglie l’armaIl racconto di Elisa grotteschi e pulp dietto dei medicinali, le prende con cinque bicchieri Pierandrei, che narrano la via stracolmi d’acqua ed esce di casa per arrivare a scuola. giornalista italiana più multiculturale Ha stimato che dovrebbe cominciare a star male esperta di media e di Milano: arti visive arabe, via Padova. La a metà mattina, e così avviene: s’addormenta sul tratteggia momenti periferia descritta banco durante l’ora di scienze, e la portano in infermedel vissuto da chi la vive e ria. La madre, ancora scocciata per un litigio avvenuto quotidiano la conosce bene. con la Nostra la sera prima, arriva dopo un’ora per nella capitale A produrre il libro condurla a casa. Qui, una frase detta dalla petite alla tra gennaio 2011 è Ligera Edizioni. e giugno 2012, Un romanzo corale, signora delle pulizie insospettisce dapprima la stessa e con essi la ambientato in via femme de ménage e, a ruota, la madre, che chiama crescita di forme Padova, dove si il dottore di famiglia a cui la protagonista dirà tutto, espressive condivide tutto, prima di perdere conoscenza, contenta che il suo di dissenso. anche la piano stia riuscendo. disperazione. Elisa Pierandrei «Stavolta ci siamo. Ogni cosa tornerà al suo posto. Urban Cairo 22 autori Loro qui. Io laggiù. Sento la sveglia sul comodino. Edizioni Informant L’ultimo bar È l’ultimo ricordo che ho». Da qui, il flash back: inqua2,99 euro a sinistra driamo la petite nel rapporto di sudditanza con la Ligera edizioni sorella maggiore e con i suoi genitori, come li percepi12 euro sce, l’idea che si è fatta della loro vita insieme, tesa a investire sulle figlie. E poi il bellissimo legame col nonno, l’unico che le voglia davvero bene e creda che lei sia il suo sole: il capitolo che racconta del bene che si vogliono nonno e nipote è bellissimo. Non voglio svelare troppo, ma è proprio un buon libro che si legge d’un fiato. «Perché l’ho preso?», mi sono chiesta. Perché è un libro sulla solitudine, sull’impantanamento interiore che sfianca, dopo la morte di una persona cara; perché racconta del senso di isolamento dai compagni che un adolescente può provare se a scuola non si sente (e non ha voglia di sentirsi) come gli altri. E poi ancora per la scoperta che si può essere bravi in qualcosa (che conta poco agli occhi della famiglia), e perché si può dar vita, su un diario, a un alter-ego che diventi allo stesso tempo confidente e versione meno sfigata di sé. Per il dolore nella distanza che la petite mette tra sé e il mondo, e per la sua sensibilità che usmerà i profumi del maggio francese del ’68, facendoli entrare nella sua piccola stanza di ragazzina, incoraggiandosi così a smezzare la distanza dalle parole e le possibilità di «vivere tutte le vite di cui possiamo disporre in una sola esistenza». E anche perché la petite è un’appassionata della radio, la musica e le canzoni, come sono stata e sono io, ancora. La petite di Michèle Halberstadt (L’Orma editore, 2013)

!"#$%&'!"#$#%&#

!"#$%&'''''!"#$#%&#

.

In Bmw al cuore del mondo rom Il libro è la storia di un viaggio verso la Romania compiuto da Antonio Moresco e Giovanni Giovannetti, editore e fotografo, sulla vecchia Bmw di Dimitru, uno zingaro sgomberato da una fabbrica dismessa e abbandonata dove lui e altri rom si erano rifugiati. Grazie a quel viaggio, l’autore si avvicina sempre più al mondo rom: un universo contraddittorio e complesso. Vite emarginate, che perdono anche la dignità, ed esistenze povere, ma dignitose. Antonio Moresco Zingari di merda Edizioni Effigie 15 euro


Street art

Milano

Sos a Napoli, addio agli stencil di strada creati da Zilda

Lo slogan è provocatorio: “Cosa me ne faccio del teatro?”. Eppure, per ora, la scommessa di aprire un teatro in tempo di crisi, e in un quartiere (il Gratosoglio) che ha ben altri problemi che non decidere se andare a teatro o al cinema, sembra vinta. PimOff, e la sua direttrice artistica, Barbara Toma,

è stato strappato da ignoti lo stencil di Zilda in vico Costantinopoli, nei pressi di piazza Bellini. Analoga sorte per Tentazione di Eva, il poster dalle dimensioni umane realizzato dallo street art francese nel cortile della basilica di Santa Chiara, ridotto a brandelli e imbrattato con vernice grigia. Lo denuncia S.O.S. Patrimonio Napoli, la pagina facebook dedicata al degrado urbano del capoluogo campano. Gli stencil erano stati realizzati nel 2012 dall’artista francese Zilda ed erano diventati un cult per gli amanti della street art. Oggi non ci sono più, forse neppure per vandalismo ma per fare posto a opere di tinteggiatura dei muri. Annunciazione – opera, realizzata nel 2012, sul muro di cortina che chiude vico Costantinopoli, nei pressi di piazza Bellini – nonostante l’usura e l’esposizione agli agenti atmosferici era ancora in gran parte visibile. L’autore francese, originario di Rennes, realizza i suoi disegni con la tecnica dello stencil e “rilegge” soggetti mitologici, letterari e storici famosi. Fuori dagli schemi, lontano dai riflettori delle mostre e delle esposizioni, il giovane artista si è innamorato di Napoli e ha regalato alla città famose opere su muro: appunto la Tentazione di Eva nel cortile della basilica di Santa Chiara (cancellato da ignoti), l’Annunciazione (stessa fine) e altre lungo la Pedamentina e sui tetti delle abitazioni lungo corso Vittorio Emanuele, tra cui l’Angelo ferito. INFO facebook/SOS-Patrimonio-Napoli

PimOff, al Gratosoglio teatro “abbordabile” con temi sociali

esplorano territori non consueti: il teatro di ricerca, anche duro, con tematiche sociali come l’eutanasia e la violenza, o la danza, etnica e coreografica, il tutto a prezzi modesti per avvicinare il teatro alle persone. Prossimo spettacolo il 9, 10 e 11 marzo con Lucido, vincitore del premio Ubu 2011, uno dei più prestigiosi del teatro italiano, testi dell’argentino Rafael Spregelburd per la regia di Milena Costanzo e Roberto Rustioni. La commedia moderna è ambientata a Buenos Aires, dove le vicende di una strana famiglia toccano temi universali. Al centro dell’intricata trama c’è il ritorno a casa, dopo anni, di Lucrezia, che da bambina ha donato un rene al fratello Luca, lei ora ha il marito in ospedale, in attesa di trapianto, e sembra intenzionata a rivendicare la restituzione dell'organo. Quello di Spregelburd è un humour nero, fatto di dialoghi ingegnosi e capace di indagare nell’animo umano con dolcezza. Lucido fa ridere pur trattando temi niente affatto divertenti. INFO www.pimoff.it

Milano

La mamma ti vuol bene, progetto per parlare con gli “orfani bianchi” Tutti i mercoledì dalle 15, Cascina Cuccagna apre le porte al progetto (già segnalato in un servizio da Scarp) “La mamma ti vuole bene!”. Si tratta

68. scarp de’ tenis marzo 2013

di un servizio gratuito a sostegno della genitorialità a distanza attraverso la comunicazione on line. Curato dall’Associazione donne romene in Italia (Adri), “La mamma ti vuole bene!” (“Te iubeste mama!”) è un progetto di comunicazione audiovisiva rivolto a mamme e più in generale genitori che si trovano in Italia per lavoro e per i loro figli in Romania. Lo scopo è molteplice: prevenire e diminuire il numero di omicidi, suicidi e casi sociali tra i bambini rimasti in Romania (gli “orfani bianchi”); migliorare la vita psichico-emozionale di bambini, mamme e genitori; mantenere i legami con la madrepatria. La responsabile del progetto è Silvia Dumitrache. INFO adri_milano@live.it

Milano

Il laboratorio di stiro e cucito. Taivè lancia il servizio a domicilio Devi fare il cambio di stagione e hai bisogno di una mano per dare una rinfrescata al tuo guardaroba? Vuoi accorciare i pantaloni nuovi? Oggi si può risolvere il problema con una semplice telefonata. Grazie alle donne del laboratorio “Taivè”, che verranno direttamente a domicilio. La cooperativa Taivè assicura servizio di qualità (tutte le lavoratrici hanno seguito corsi di formazione specifici), prezzo equo (il costo orario è pari a quello di mercato). Inoltre, le donne sono regolarmente assunte da una cooperativa del circuito della Caritas Ambrosiana, che, oltre a garantire per loro, paga contributi previdenziali e assicurativi. “Et voilà!” è dunque il nuovo servizio di stiro e piccola sartoria a domicilio per Milano proposto dal laboratorio Taivè, voluto da Caritas Ambrosiana per offrire un’occasione formativa e di lavoro a donne kosovare, macedoni e romene conosciute nei campi rom di via Novara e Triboniano. Sono 18 le donne rom coinvolte nel progetto: hanno seguito un percorso di formazione, che alternava lezioni di italiano a lezioni pratiche di piccola sartoria e faccende domestiche, e in seguito hanno messo in pratica le conoscenze acquisite all’interno del laboratorio, dove hanno


caleidoscopio Miriguarda di Emma Neri

Nuovo sito internet per Scarp La strada “social”: vieni a visitarci!

la possibilità di lavorare, affiancate da maestre di cucito volontarie. In seguito è nata la cooperativa di lavoro, che ora diversifica i servizi. INFO 02.26822423

Genova

Sonorità dal mondo per accendere la contaminazione

Sul web ci siamo ormai da tempo. Ma adesso con una veste moderna e con strumenti nuovi! è infatti on line la nuova versione di www.scarpdetenis.it, sito di informazioni e cultura “ai margini”, vetrina (ma non solo) della nostra rivista. L’indirizzo resta lo stesso, ma il sito internet è stato completamente rinnovato: oltre a contenuti più ricchi e a una nuova veste grafica, presenta una più spiccata connessione con i social network, con la precisa volontà di allargare la cerchia di amici, sostenitori, lettori. E di condurre con loro un proficuo dialogo sui temi della lotta alla povertà e della promozione di una cultura di solidarietà. Il sito presenta alcune voci tematiche (dedicate ai 17 anni di storia del giornale di strada, al progetto sociale, ai protagonisti della scrittura e delle vendite, alle sedi locali) e notizie in primo piano, tratte dai contenuti del mensile, dalla rubrica “Radio Scarp” (in onda ogni giorno su Radio Marconi), ma anche da altre fonti giornalistiche e web. Si propone dunque come dinamico interfaccia di un progetto sociale che ha la propria anima nelle persone senza dimora, o reduci da vicende di esclusione, marginalità e povertà. Venite a trovarci numerosi! Essere amici di Scarp significa anche “navigare” nell’homelessness, per provare a superarla. INFO www.scarpdetenis.it

Fino al 20 aprile a Villa Bombrini, a Cornigliano, proseguono le suggestioni sonore, ritmiche e visive della rassegna musicale dal titolo “Suoni, Parole, Ritmi dal mondo”. Villla Bombrini diventa un caleidoscopio di sonorità e visioni: l’accattivante improvvisazione jazzistica, le ammalianti melodie di sapore mediterraneo, l’incontro di ritmo, corpo e virtuosismo, i brevi e immaginifici universi creati da fotogrammi in movimento, tutto in tono jazzistico. Ma non solo, il percorso di suoni dal mondo si arricchisce quest’anno di nuovi generi, regalando un percorso musicale che spazia dalle melodie mediterranee e arabe ai ritmi del Sud America, senza dimenticare il naturale talento genovese nel fare musica. La rassegna si propone di accendere la contaminazione culturale nel territorio ligure. INFO www.percornigliano.it

Vicenza

Come rendere inoffensivi i cyberbulli I “nativi digitali” sono alle prese con il cyberbullismo, più pericoloso del bullismo classico perché colpisce senza rumore, nel silenzio di un cellulare o di un computer. Save The Children ha indagato il fenomeno con una ricerca Ipsos e ha scoperto che per il 72% di adolescenti e giovanissimi italiani è il fenomeno sociale più pericoloso. I social network sono la modalità d’attacco preferita dal cyberbullo (61%), che colpisce la vittima diffondendo foto e immagini denigratorie (59%) o creando gruppi “contro” (57%). Save The Children ha preparato un’applicazione per insegnare come difendersi. INFO www.savethechildren.it

Le storie di Scarp raccontate in teatro dai protagonisti Dopo la notte dei senza dimora, il 16 ottobre scorso, durante la quale la redazione di Scarp Vicenza fece le cose in grande, organizzando un palco ricco di eventi e letture dal vivo, il teatro Astra ha deciso di iniziare a collaborare con Scarp e mettere in cartellone uno marzo 2013 scarp de’ tenis

.69


quattro domande a... Giorgio Diritti di Danilo Angelelli

«Ricchi e globali, ma non sappiamo condividere» È il regista delle belle sorprese, Giorgio Diritti. Il suo film d’esordio, del 2005, Il vento fa il suo giro, ha partecipato a oltre 60 festival ed è stato programmato ininterrottamente per quasi due anni in un cinema di Milano. Il secondo lungometraggio, L’uomo che verrà, ha fatto incetta di premi raccontando l’impatto della guerra negli anni Quaranta su una comunità di contadini dell’Appennino emiliano. Se ci si fa agganciare dalle sue opere, esse diventano un’esperienza straordinaria di approfondimento, scoperta, conoscenza. Un cammino dentro noi stessi. Con il film in uscita il 28 marzo, Un giorno devi andare, Diritti ci porta in Amazzonia. Attraverso il viaggio della protagonista – Augusta (Jasmine Trinca), giovane donna italiana che, a causa di dolorose vicende familiari, mette in discussione le certezze della propria esistenza – compiamo un viaggio dell’anima. Della nostra anima.

L’altro, un tesoro Dopo i successi di critica (e pure di pubblico) arrisi a Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà, il regista bolognese Giorgio Diritti (sopra) propone, da fine marzo, Un giorno devi andare. Il viaggio verso le missioni dell’Amazzonia, svolto dalla protagonista in compagnia di una suora, è in realtà un profondo viaggio interiore (a fianco, un’immagine di scena)

Augusta accompagna suor Franca nella missione presso i villaggi indios. Cosa ci insegnano? Abbiamo davvero smarrito il senso della comunità? Il progresso è collegato a scale sociali. La ricchezza aumenta le differenze, il senso di comunità è facile che si perda. Il mondo è sempre più globalizzato, ma non sappiamo condividere né la quotidianità né l’interiorità, spesso assoggettata a ritmi di vita innaturali. Il film ci interroga sul valore della vita, di una vita condivisa, sulla consapevolezza che l’altro è un tesoro da scoprire. Ma è anche una riflessione sul rapporto tra ricchezza e povertà. Il grande paradosso della società attuale è che si assiste a un’ostentata violenza nell’esposizione della ricchezza, e non si riesce a garantire il minimo a tutti. È una sconfitta per il mondo intero. Io credo nella meritocrazia, ma si può avere più di altri solo quando tutti hanno un piatto pieno, quando c’è un senso forte di bene comune. In che misura la ricerca di senso di Augusta riguarda tutti noi? Il film è uno specchio: il percorso di Augusta può far scoprire suggestioni utili a ridefinire le priorità. La felicità non è solo una gioia superficiale, ma deve esprimere un rapporto con l’altro che significa scambio autentico. Che spazio ha, oggi, l’esigenza di spiritualità, sottolineata anche nel film? L’esigenza di spiritualità fa comunque parte della vita. Credo sia una bellissima avventura vivere attraversando questo travaglio, sia nella relazione con gli altri che nell’isolamento. Io mi sento un uomo sempre in ricerca. Con sensazioni fortissime di spiritualità, ma anche di vuoto. Credo che questa alternanza appartenga alla dimensione propria dell’uomo. Un giorno devi andare è stato ispirato anche da un missionario italiano del Pime. Lei però, pur facendo emergere la purezza di motivazioni di suor Franca e padre Mirko, li descrive incapaci di uscire da uno sguardo “missionario”, connotato non proprio positivamente… Nella mia tensione c’è la volontà di interrogarsi su come certe volte uno schema che si segue diventi più forte dell’autenticità. In alcuni casi forse anche la Chiesa ha assecondato la mentalità dell’uomo bianco portatore di verità. Invece uno sguardo più aperto fa scorgere meglio quanto alcune comunità siano in maniera naturale molto vicine al cristianesimo e incarnino parte del messaggio di Cristo. Spero che il film nel suo piccolo muova dibattiti, faccia interrogare su come ciascuno, a partire dall’incontro con l’altro, possa dare un contributo perché la società sia più uguale. Più santa, in un certo senso.

70. scarp de’ tenis marzo 2013


caleidoscopio spettacolo dedicato ai senza dimora, in particolare alle persone che collaborano con la redazione di Vicenza. «Faremo un reading con i racconti scritti dai nostri collaboratori senza dimora – ha spiegato Cristina Salviati, responsabile della redazione cittadina –; si terrà al Polo giovani B55 in contrà Barche 55, venerdì 22 marzo». L’appuntamento con “8 storie, 8 lacci di vita” è inserito nella rassegna del teatro Astra dal titolo “Fatti di vita”. Lo spettacolo è previsto alle ore 19, ed è gratuito. INFO www.teatroastra.it

Vicenza

Pellicole “verdi”, i grandi temi di “Film Ambiente” Fino al 16 giugno continua la rassegna itinerante di cinema ambientale, intitolata “Film ambiente”. La kermesse coinvolge oltre una trentina di realtà sociali e culturali di 14 comuni della provincia di Vicenza e propone pellicole che parlano di ambiente, decrescita felice, diritti, beni comuni, stili di vita alternativi, coltivazione biologica e commercio equo e solidale. Film, incontri, dibattiti ed eventi per parlare di beni comuni e ambiente. L’ingresso è gratuito. E il 19 maggio, a Brendola, insieme alle iniziative e al film “L’uomo che piantava gli alberi”, ci sarà un venditore di Scarp... INFO filmambiente.wordpress.com

Napoli

Gli psicologi cercano volontari per aiutare le vittime di camorra Occorre un esercito di psicologi per dare forza ai familiari di vittime innocenti di camorra, che diventano sempre di più. E così l’ordine degli psicologi della regione Campania cerca volontari per implementare il protocollo d’intesa stipulato con la Fondazione Polis, per sostiene i familiari di vittime innocenti di camorra. Attualmente sono già trenta gli psicologi disponibili, ma è un numero non sufficiente a rispondere delle tante richieste di aiuto che arrivano dal territorio. La presa in carico dei familiari è infatti volontaria e gratuita. INFO segreteria@ordpsicamp.it

Palermo

AddioPizzo, imprenditore sociale dell’anno L’associazione palermitana “AddioPizzo” ha vinto il premio Social Entrepreneur of the Year 2013, indetto dalla Schwab Foundation, organizzazione internazionale con sede a Ginevra. AddioPizzo è stato premiato per il suo approccio innovativo e il potenziale impatto a livello mondiale. Il premio ha l’intento di incoraggiare una nuova generazione di imprenditori, valorizzare esempi virtuosi di imprenditoria sociale e promuovere un modello di impresa capace di

Ricette d’Alex

Risotto al vino e parmigiano Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti e alberghi apprendendo l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp. Ricetta semplice semplice ma gustosissima. Occorre innanzitutto una piccola cipolla bianca, che va battuta e fatta rosolare con del burro in una casseruola da risotto: attenzione a non bruciarla! Aggiungete 70 grammi di riso a porzione, rimestate il riso a fuoco lento 2-3 minuti, innaffiate il tutto con vino bianco secco e completate la cottura con la graduale aggiunta di brodo di carne, mantecate il riso con un po’ di burro e grana. Accompagnate il piatto con un buon vino bianco.

coniugare business e finalità sociali. AddioPizzo nasce dal basso, grazie a un movimento spontaneo di cittadini palermitani. Da anni la strategia si è articolata in diversi ambiti d’azione: progetti nelle scuole, iniziative nelle strade, organizzazione di eventi culturali, promozione di un circuito di economia fondato sulla legalità. INFO www.addiopizzo.org

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

marzo 2013 scarp de’ tenis

.71


street of america Homeless con madre e sorelle, salvata dalla pittura: “corto” da Oscar

Inocente dal ponte dei suicidi al palcoscenico delle star di Damiano Beltrami da New York

Q

A lieto fine Il documentario Inocente di Sean e Andrea Fine racconta le vicende di Inocente Izucar. Nella notte del 24 febbraio, a Los Angeles, è stato premiato agli Oscar come miglior cortometraggio documentario. Nella foto, Inocente tra i due registi sul palco della Notte degli Oscar

UANDO HA SAPUTO DELLA NOMINATION ERA COSÌ ENTUSIASTA che alla notte degli Oscar, che l’a-

vrebbe poi vista trionfare, voleva portare il suo coniglio. Parrebbe il capriccio di qualche star viziata di Hollywood, ma Inocente Izucar, protagonista di un documentario trasmesso quest’estate su Mtv negli Stati Uniti e poi approdato alla 85ª edizione degli Academy Awards, è tutt’altro che una ragazzina con i grilli per la testa. Dopo che il padre è stato arrestato con l’accusa di violenza domestica, lei, le sorelle e la madre hanno perso la casa. Da quel momento hanno tentato di sopravvivere nelle strade della periferia di San Diego. «Non avere una casa vuol dire non avere un posto sicuro in cui andare – racconta Inocente, trattenendo a stento le lacrime –. Anche se senzatetto, ero una ragazza come le altre. Mi piaceva saltare nelle pozzanghere e disegnare fiori. A scuola non dicevo nulla della mia situazione, altrimenti mi avrebbero preso in giro a vita». A un certo punto le condizioni della famiglia si sono fatte così disperate che la madre di Inocente aveva deciso di buttarsi dal ponte del Coronado, a San Diego, con tutti i figli. Proprio all’ultimo, quando il macabro piano era quasi completato, Inocente è riuscita a convincere la mamma a cambiare idea. La svolta positiva che da tempo attendeva, per Inocente è arrivata attraverso l’arte, al ritmo di pennellate su tela capaci di rischiarare con colori sgargianti e toni caldi una vita in salita. È appunto la storia che racconta il documentario Inocente, di Sean e Andrea Fine, approdato alla cerimonia di Los Angeles e addirittura vincitrice della statuetta come miglior cortometraggio documentario. Appassionata al disegno fin da piccola, Inocente a 12 anni è stata segnalata all’associazione senza scopo di lucro Arts (A Reason To Survive) che usa l’arte come terapia. La ragazzina ha cominciato con la fotografia e più avanti ha scelto la pittura. Con tempere e pennelli, Inocente ha dipinto e dipinto, impegnandosi a fondo. «Mi sono detta – spiega –, che nella vita volevo essere un’artista. E che se non lo fossi diventata avrei non solo deluso gli altri, che hanno creduto in me, ma avrei deluso soprattutto me stessa». La sua storia, apparsa in un giornale locale, ha attirato l’attenzione dei registi Sean e Andrea Fine, già noti per il documentario War/Dance sui bambini ugandesi provati dalla guerra nel loro paese, film che era stato nominato per un Oscar nel 2007. I Fine hanno ripreso e seguito la vita di Inocente per 24 mesi, dai 15 ai 17 anni. Recentemente la ragazza ha presentato la sua prima mostra di pittura a New York. È stata un successo: la maggior parte dei quadri sono stati venduti. Il che le ha permesso di affittare un appartamentino a Chula Vista in California e abbandonare finalmente la vita di strada. «Quando dipingo mi sento felice, è un bel modo per trascorrere il tempo – commenta –. Il fatto che il documentario sia stato premiato rende la mia storia nota a un pubblico più ampio. Spero quindi che possa essere un esempio positivo per ragazzini che hanno vissuto o stanno vivendo situazioni simili alla mia».

.

72. scarp de’ tenis marzo 2013


relazione sociale Scarp 2012: 105 venditori, 70 autori, inserimenti abitativi e lavorativi

Avanti spediti (e in tanti!) nonostante la crisi ma significativo contesto di relazioScarp de’ tenis ha cammini, che consente a chi non può più nato in lungo e in largo, per le strade rientrare nel mondo del lavoro di esdella penisola, anche nel 2012. Nosere accompagnato alla pensione, nostante la crisi, che rende obiettivapotendo però contribuire al proprio mente difficile a molte persone percorso attraverso un guadagno di“stanziare” 3 euro per l’acquisto delgnitoso; altri invece sono entrati nel la rivista, i dati diffusione si sono conprogetto più recentemente. Per tutti fermati positivi, sostanzialmente in vale l’attenzione a costruire, insieme, linea con l’anno precedente. un percorso capace di porsi obiettivi Ciò ha consentito di confermare, anzi di allargare le dimensioni dell’inNon solo vendita Attività di redazione a Catania tervento sociale che è connesso all’attività giornalistica e diffusionale. Anzitutto, Scarp ha raggiunto una diffusione stabile in 13 territori della penisola: oltre che a Milano, è presente a Como, Bergamo, Torino, Genova, Verona, Vicenza, Modena, Rimini, Firenze, Napoli, Salerno e Catania. Nei territori Scarp ha, come partner del progetto, soggetti sociali di die di lavorare per raggiungerli, ma anversa natura: Caritas diocesane, cooche di saper aspettare e rispettare i perative, associazioni, fondazioni. tempi giusti, a volte lunghi, con alti e Di conseguenza, è aumentata anbassi, passi avanti e ricadute. che la platea dei “beneficiari” del progetto: non solo venditori della rivista, ma anche persone che (sempre Casa e lavoro provenendo da vicende personali di Oltre ai venditori, nel 2012 altre perhomelessness e grave emarginazione) sone (circa 70: almeno 10 a Milano, collaborano all’attività giornalistica. intorno ai 60 nelle altre città) hanno collaborato con poesie, racconti, testimonianze, articoli, fotografie e diVenditori, sopra quota 100! segni, pubblicati sulla rivista. Si tratNel 2012 (dati aggiornati a dicembre) ta sempre di persone in difficoltà, sono stati 105 i venditori che hanno provenienti da vicende di grave lavorato per Scarp a livello nazionaemarginazione, a cui è riconosciuto le (46 a Milano, 11 a Napoli, il resto un compenso economico, sotto fordistribuiti nelle altre città). Alcuni soma di diritti d’autore, oltre a un supno a Scarp da più tempo, anche molporto sociale. ti anni: Scarp è per loro un piccolo

Facce da Scarp

Piccoli passi, tra conquiste e desideri Alessandro (Milano). A Rovigo il padre aveva acquistato un albergo. E lui fin da bambino aveva appreso il mestiere: anche grazie agli studi, è arrivato ad aprire un suo albergo. Ha viaggiato in Europa e Africa, per attività di import export. Ha condotto una vita da benestante; poi, per un affare finito male, ha perso tutto. Arrivato a Milano, ha trovato accoglienza in una struttura comunale e ha conosciuto Scarp: si è proposto come venditore, tiene una piccola rubrica di cucina. E si sta rimettendo in sesto: attende una casa popolare, sogna di partire per nuovi viaggi. Salvatore (Como). È arrivato a Como dal 2008, da Torino, dove era stato chiuso il giornale in cui lavorava. Primo venditore “lariano” di Scarp, in poco tempo ha iniziato a scrivere articoli sulla situazione delle persone senza dimora nella zona del capoluogo lombardo. Dal 2010 collabora con Il Settimanale della diocesi, dal 2011 riesce a sostenere le spese di un piccolo appartamento. Dal 2012 ha una “borsa lavoro” in una piccola biblioteca dei comuni sul lago. Per il 2013 progetta di espandere la vendita di Scarp anche nelle parrocchie della provincia di Sondrio, parte della diocesi di Como. Guido (Vicenza). Ha circa 60 anni, ed è seguito dal Sert per problemi di alcolismo. Scrive e vende per Scarp, vive nell’Albergo cittadino del comune. Avrebbe la tendenza a “lasciarsi andare” ma, come lui stesso ammette, Scarp lo aiuta a farsi forza. Così ha cominciato a cimentarsi (e molto bene!) come attore (continua a pagina 74) marzo 2013 scarp de’ tenis

.73


relazione sociale

Attualmente 2 venditori seguiti dalla redazione milanese abitano in alloggi gestiti dall’associazione Amici di Scarp de’ Tenis. In collaborazione con la Fondazione San Carlo di Milano (che gestisce alloggi di edilizia residenziale pubblica), si sta cercando di aumentare il numero di appartamenti in gestione da parte dell’associazione. Altri venditori, seguiti dalle sedi locali di Scarp, hanno lasciato dormitori e strutture di accoglienza, avendo raggiunto un grado di autonomia che consente loro di vivere in affitto, da soli o in convivenza, in un appartamento. Altri ancora, soprattutto a Milano, hanno ottenuto una casa popolare. Quanto ai percorsi di reinserimento lavorativo, grazie in particolare a una collaborazione con Fondazione San Carlo e altre realtà pubbliche e private cittadine, a Milano sono state avviate 5 borse lavoro per venditori di Scarp (di cui 2 terminate con un contratto di lavoro a tempo indeterminato; nel 2011 erano state 3, di cui 2 andate a buon fine). Attraverso l’associazione Amici di Scarp de’ Tenis, di cui sono soci i venditori del giornale di strada, sono state svolte alcune attività saltuarie di volantinaggio, piccoli sgomberi e di pulizie, che permettono, attraverso il pagamento con voucher, sia di assicurare piccoli guadagni sia, ad alcune persone da tempo fuori dal mondo del lavoro, di “misurarsi” con un’attività lavorativa, per quanto non continuativa. Infine, grazie a un progetto dell’Area Rom di Caritas Ambrosiana, che ha visto, dopo un percorso formativo, l’avvio di un laboratorio di stireria e sartoria per donne rom, 6 venditrici rumene di Scarp sono state inserite in tale attività. Le loro famiglie hanno avuto l’assegnazione di un alloggio popolare nel 2011 e oggi 2 di loro hanno un lavoro con contratto regolare. Nelle altre sedi locali si stanno avviando forme di inserimento lavorativo dei venditori. Numerose, nel 2012,sono state le segnalazioni da parte del territorio (dai servizi Caritas Ambrosiana, dai centri di ascolto, dai servizi sociali pubblici e da altre realtà territoriali,

74. scarp de’ tenis marzo 2013

ma anche attraverso il “passaparola”) di persone da inserire nel progetto. Lo stesso avviene anche nelle redazioni esterne: man mano che il

negli spettacoli Letture di storie, organizzati da Scarp, scritti dalla redazione e proposti in diversi luoghi del territorio. Antonio (Genova). Sessantenne, è stato uno dei primi venditori di Scarp. Il lavoro gli è stato utile sia economicamente sia da un punto di vista relazionale. È stato molto aiutato anche nelle parrocchie e, dall’anno scorso, ha finalmente ottenuto l’assegnazione di una casa tutta sua. Franco (Rimini). Il primo venditore di Scarp a Rimini. Il suo può dirsi un percorso compiuto. Difficile da convincere e chiuso di carattere, ha trovato in Scarp un modo per esprimersi e far conoscere la sua storia. Adesso è lui stesso a leggere la lettera di presentazione dal pulpito della chiesa e adora la sua pettorina: è orgogliosissimo quando tutti ormai lo riconoscono come “Franco Scarp”.

Fedelissima Una storica venditrice di Milano

progetto si consolida, il turn over di venditori e persone aiutate si fa più intenso.

Parrocchie? Quasi mille... Gli operatori con incarichi professionali impegnati nelle sedi di Scarp nel 2012 erano 40 in tutta Italia (14 a Milano): giornalisti, operatori socio-pastorali (educatori, assistenti sociali), amministrativi. Quanto alla diffusione, nel 2012 sono state distribuite quasi 150mila copie della rivista a livello nazionale, tramite la vendita nelle parrocchie, in strada, in altri luoghi (mercati, supermercati, aziende, feste, eventi); gli abbonamenti erano 325 a fine 2012. Da questi ultimi i venditori non hanno ricavi diretti, ma essi servono a consolidare il progetto (soprattutto nei territori non raggiunti dalla vendita di strada) e le azioni di accompagnamento sociale a favore dei venditori stessi. Per quanto riguarda la copertura territoriale della diocesi di Milano, il giornale è stato distribuito con periodicità variabili in 316 parrocchie, mentre ne ha raggiunte circa 900 in tutta Italia.

.

Kalu (Firenze). Nigeriano cinquantenne, grazie a una “borsa lavoro” del comune, ha iniziato a lavorare come venditore per Scarp. Da novembre a marzo ora lavora in un centro di accoglienza invernale facendo le pulizie; quando può, vende ancora Scarp la domenica mattina. Aldo (Napoli). Sessantenne, è a Scarp da circa 15 mesi. Quando è arrivato dormiva al Centro di accoglienza comunale, dopo aver perso il lavoro. Ha fatto studi classici, frequentato la facoltà di lettere e filosofia, scrive benissimo, è un ottimo venditore. Da Scarp ha tratto grande beneficio. Adesso, finalmente, ha una stanza che condivide con altri colleghi. Ed è molto felice perché, nei ritagli di tempo, può dedicarsi anche alla cucina. Ovviamente è bravissimo anche come cuoco… Grazia (Catania). Proveniva da una situazione di segregazione familiare, da cui la conseguente “fuga”. Dopo un periodo di permanenza al dormitorio, si è iscritta a scuola e ha conseguito il diploma di maturità: tutto ciò, anche grazie all’attivissima collaborazione con la redazione catanese di Scarp e con Telestrada. Autrice di reportage fotografici, alcuni apparsi sul giornale, altri tramutatisi in mostre che hanno riscosso un buon successo di pubblico, è riuscita a diplomarsi ed è tornata in famiglia.



Ferro Comunicazionedesign

P remio Ethic Ethic Award Award Premio pe iniziative a d elevato elevato contenuto contenuto etico. etico. perr iniziative ad

lla a solidarietà solidarietà h ha au una na c carta piÚ arta iin np iÚ Se paghi la tua spesa alla Coop con car ta Equa dai un contributo corrispondente all’1% del valore della spesa a un fondo gestito da Caritas Ambrosiana, che ser ve ad aiutare persone bisognose. Coop raddoppia il tuo contributo. 8Q JHVWR GL VROLGDULHWj VHPSOLFH PD HI ¿FDFH Richiedi carta Equa nei supermercati e ipermercati di Coop Lombardia

Per maggiori informazioni: numero verde

800.990.000


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.