sdt_170

Page 1

numero 170 anno 18 aprile 2013

3 00€

de’tenis

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

il mensile della strada

www.scarpdetenis.it

ventuno Finanza, poco è cambiato

Ho fame

Europa, perché tagli gli aiuti?

La crisi fa lievitare il numero di chi si rivolge a mense, empori solidali, centri di erogazione di pacchi viveri: 3,6 milioni in Italia, 18 nel continente. L’Ue rivede il sistema dei sussidi: scelta intempestiva Milano Beato Fratel Ettore Como Penne nere in prima fila Torino Attaccati al tram Genova Arca di salvezza Vicenza Noi contro le mafie Rimini La valigia del rientro Firenze L’accoglienza non finisce Napoli Testarda creativa Salerno La prigione è lutto Catania La formazione non si tocca


L’ETICA HA MESSO RADICI FORTI NON MANDARE IN FUMO

I TUOI RISPARMI

Da 10 anni hai l’opportunità di investire i tuoi risparmi nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, senza rinunciare alle opportunità di rendimento. Con i fondi comuni di Etica Sgr. I fondi Valori Responsabili promossi da Etica Sgr e gestiti da ANIMA sono distribuiti in tutta Italia da oltre 200 collocatori tra banche, reti di promotori e collocatori online, come Banca Popolare Etica, Gruppo Banca Popolare di Milano, Gruppo Banca popolare dell’Emilia Romagna, Banca Popolare di Sondrio, Casse Rurali Trentine, Banca Popolare dell’Alto Adige, Banca di Piacenza, un ampio numero di Banche di Credito Cooperativo, WeBank e Online Sim. L’elenco completo dei collocatori è disponibile sul sito www.eticasgr.it MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITÀ PROMOZIONALI | I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Prima dell’adesione leggere il Prospetto. Il Prospetto è disponibile presso i collocatori dei fondi e sul sito www.eticasgr.it


editoriali

L’appuntamento di Francesco: in periferia, cioè al centro Paolo Brivio

«N

on dimenticarti dei poveri», gli ha sussurrato l’anziano cardinale che gli sedeva accanto: è stato tanto persuasivo, che lui ha scelto di chiamarsi Francesco. E per fugare ogni dubbio, due giorni dopo, ha confidato ai giornalisti di sognare «una Chiesa povera per i poveri». Confermando poi, con una serie di gesti eloquenti, la direzione che intende imprimere al suo pontificato: prossimità agli ultimi, ai fragili, ai marginali. Da rintracciare in periferia. Precisamente, alla «periferia del cuore»: non avrebbe potuto dirlo con poesia più nitida e più cruda. Scarp – lo sapete, amici lettori – è un giornale che nasce da un organismo ecclesiale, e poi cerca di parlare a tutti e di tutti, scavalcando i recinti dell’appartenenza religiosa. Però alle sue radici (senza sbandierarle: lavorano benissimo sotto terra!) ci tiene, eccome. E come può, cerca di Roberto Davanzo esser degno dei valori che esse impiantano. Nel mondo, nella storia. direttore Caritas Ambrosiana Dunque non poteva non colpirci, l’esordio di un papa che con veemenza si richiama ai poveri. E non poteva non rivangare quesiti scomodi: perché dobbiamo occuparci di chi rimane indietro, e attarda rancamente fa un po’ specie che mentutto il resto della truppa? Perché la comunità civile deve preoccutre Milano, la Lombardia, ma anche l’Iparsi di rimuovere gli ostacoli che precludono l’inclusione degli ultalia tutta si stanno preparando all’Expo timi? Perché la Chiesa deve farne il cuore della propria missio2015, sul tema “Nutrire il pianeta”, in questi anni ne? In breve: che razza di primato e di diritto possono vantare, si debba fare i conti con un’emergenza alimentai poveri, per occupare il centro, essendo titolari – talora, anche re che si manifesta almeno in due modi: l’affollaper propria responsabilità – di periferie desolate? mento crescente nelle mense dei poveri, una riNon abbiamo la dottrina dei teologi, la sapienza degli chiesta alle Caritas parrocchiali – forse mai vista priumanisti, la responsabilità dei legislatori, per risolvere la ma, in queste dimensioni – di generi alimentari. questione in maniera irrevocabile. Ma abbiamo l’espeLa richiesta viene da famiglie che si accontentano rienza del lavoro d’ogni giorno. Per, con, accanto ai povedi risparmiare sulla spesa, accettando una periodica ri. E ci viene il sospetto che quel primato e quel diritto “borsa” di alimenti che ormai ogni centro di ascolto, denon abbiano a che fare con la compensazione di sforrogando un po’ alla propria vocazione, non manca di fortune e torti subiti. Né con la presunzione ideologica nire a quanti bussano alle sue porte. La cosa assume un (smentita dai fatti) che gli uomini sono tra loro uguali. Più profilo ulteriormente scandaloso se si considera che tali semplicemente, il servizio che tutti (chiese, istituzioni, imelargizioni sono rese possibili da un sistema di produzione prese, famiglie, individui) dobbiamo ai poveri, è il servizio alimentare che genera sprechi ed eccedenze: qualche briche dobbiamo a noi stessi: nella condizione del povero si ciola viene miracolosamente recuperata, magari grazie a donazioni fatte con l’illusione di lavare la coscienza di un affaccia, nuda e indifesa, spogliata di ogni possesso e meccanismo (mondiale) iniquo. ogni potere, la dignità essenziale di ogni vita umana. Lo sappiamo bene che un intervento caritativo auIl povero, in altre parole, è l’uomo che non vale per ciò tentico deve prevedere ascolto, orientamento e accomche ha, o per ciò che può. Vale per ciò che è. Per il solo fatpagnamento in vista di un’autonomia della persona e to che è. Ci rivela – come ci rivelano i protagonisti del prodella famiglia in difficoltà. L’aiuto materiale, la consegetto Scarp, ostinati nel loro volersi ricostruire, dopo tante gna dei pacchi hanno senso, solo se sono segno di una cadute – che esiste un valore inviolabile nell’essere al monvicinanza che non può esaurirsi a quel livello. do, anche quando non sembra scaturirne alcun piacere, o Venga allora l'Expo, ma a due condizioni: che i realcuna utilità. Né per sé, né per la collettività. sponsabili degli stati sappiano coniugare le alte rifles«La Chiesa dei poveri»: papa Bergoglio, con questa espressioni che saranno proposte (su politiche agricole, coosione, forse intende invitarci a scavare, nell’umano, ciò che è perazione internazionale, lotta alle speculazioni...) con davvero essenziale, oltre ogni orpello dell’avere e del potere. l’urgenza di una politica dei diritti, prima che della bePer chi crede, in questo centro misterioso si annida il divino. neficienza. E, insieme, che alla lotta alla fame di cibo si E comunque, ognuno può esercitarsi a cercarvi un senso. accompagni quella alle molteplici forme che la “fame” Non è detto che lo si trovi. Ma almeno, curvi sui poveri, al assume nelle nostre città. Fame di pane, ma forse – ancor passo dei poveri, tutti insieme ci scopriamo un po’ più più – di un significato positivo per la propria esistenza. sinceramente, fraternamente uomini.

Fame di diritti

F

.

.


Un sereno soggiorno nel cuore della natura piÚ bella, da oltre mezzo secolo al vostro servizio A Costa Imagna, in provincia di Bergamo Costa Valle Va Valle Imagna Bergamo (950 m s.l.m.) ai piedi del monte Resegone, circondato dal verde e dall’incantevole scenario realpi O robie, si trova, in posizione delle P Prealpi Orobie splendidamente panoramica e tranquilla, esidence H otel PPrimula rimula. il R Residence Hotel L’hotel, dotato di ampi spazi comuni, sala ristorante interna tipica, sala lettura con caminetto, bar caffetteria, solarium al quarto piano e pineta, vi offre il meglio per le vostre vacanze. Dispone di camere doppie, singole e suite con servizi, TV-sat, cassaforte, telefono diretto, phon, ascensore, biblioteca, servizio lavanderia, SDUUXFFKLHUD ÀVLRWHUDSLVWD H EXV QDYHWWD

Solarium

Residence Hotel Primula

Via XXIV maggio, 104 24030 Costa Valle Imagna Imag (Bergamo) Per informazioni: tel. e fax 035.865.277 cell. 3487814942 info@primulahotel.it www.primulahotel.it

CA R M I N T I STA M PATOR E A LM Ăˆ BG 035541662 R I PRODUZ ION E V I ETATA

33HU OD WHU]D HWj DXWRVXIĂ€FLHQWL H SDU]LDOPHQWH HU OD WHU]D HWj DXWRVXIĂ€FLHQWL H SDU]LDOPHQWH QRQ DXWRVXIĂ€FLHQWL QRQ DXWRVXIĂ€FLHQWL A ssistenza aalla lla pe rsona 2244 ore ore su su 2244 Assistenza persona

L’hotel è gestito direttamente dalla famiglia Brumana; mamma Pia, che si occupa della cucina vi vizierĂ con i suoi deliziosi manicaretti. Alla reception Sara vi accoglierĂ al vostro arrivo in hotel. Andrea, laureato in scienze infermieristiche, responsabile del servizio di assistenza, sempre a disposizione per qualsiasi vostra necessitĂ . Marta, la piccola di casa, iscritta all’istituto alberghiero, addetta al servizio bar e ad organizzare farvi ammirare le bellezze della passeggiate per fa nostra natura. Il tutto sapientemente diretto da papĂ Mario. Tutta la ffaamiglia ed il personale saranno costantemente impegnati perchĂŠ vi sentiate a vostro agio, protetti, in un clima caloroso e sereno.


sommario Fotoreportage

7

Genova per loro p.6

Scarp Italia

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

Come leggerci

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via Copernico 1, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 scarp@caritasfirenze.it Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarpdenapoli@virgilio.it Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

L’inchiesta Richiedenti asilo: emergenza grandi sprechi p.20

Il reportage Nel villaggio dagli occhi spenti p.26

Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

Per contattarci e chiedere di vendere

L’inchiesta L’Europa ha fame: perchè tagliare gli aiuti? p.12

L’inchiesta Dopo il rogo non diventi la Città dell’abbandono p.28

Il reportage Parkour, la metropoli non è un autogrill p.32

L’intervista Gassman: «Nel far west dei senza maestri» p.34

Scarp città Milano Fratel Ettore, beato della strada p.36 L’ultimo pastore, il capo dei bambini p.46

Como Emergenza o beneficienza: penne nere in prima fila p.38

Torino Sei povero? Attaccati al tram p.48

Genova Arca di salvezza, in scena la speranza p.50

Vicenza Contro la mafia, un “noi” responsabile p.52

Rimini La valigia del rientro forzato p.54

Firenze L’inverno è finito, l’accoglienza no p.56

Napoli Antonella Cilento, testarda creativa p.58

Salerno Un grido da dentro: «Il carcere è lutto» p.60

Catania La formazione non si tocca p.62

Scarp ventuno Dossier Lustro di crisi, poco è cambiato p.66

Economia Soldi sporchi, così investono le mafie p.72

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.77

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 18 n. 170 marzo 2013 - costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Foto di copertina Romano Siciliani Foto Archivio Scarp Disegni Luigi Zetti, Elio, Silva Nesi Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 7 aprile all’11 maggio 2013.

Errata corrige: sulla copertina dello scorso numero di Scarp è comparso per errore il prezzo di 3,50 euro. In realtà il giornale è stato venduto, come di consueto, a 3 euro. Ce ne scusiamo con i lettori.


Genova per loro L’obiettivo, una volta tanto, non è puntato su di loro. Che scendono stremati da una barca. Che guardano attraverso la recinzione di un centro di accoglienza. Che protestano per l’assenza di risposte alle loro istanze. L’obiettivo, questa volta, lo manovrano loro. E lo dirigono sulla città che li ha accolti. Provando a raccontarla per immagini, con la loro sensibilità di migranti forzati, di aspiranti rifugiati. È stata una gita fotografica, quella che nella scorsa estate ha visto protagonisti poco più di una ventina di giovani stranieri, giunti a Genova in seguito all’emergenza Nord Africa, l’ondata migratoria che nel 2011 ha portato in Italia migliaia di profughi. Un gruppo di studenti universitari ed ex insegnanti, attivi nell’associazione Volontari per l’Auxilium, sulla base di un accordo con le biblioteche civiche del territorio, ha condotto con loro un percorso di valorizzazione, partecipazione e crescita. Corsi di italiano, laboratori, l’accesso alla biblioteca De Amicis: gli ospiti dell’Auxilium hanno familiarizzato con l’informatica, e hanno fatto ricorso a mezzi espressivi come la fotografia. Così il confronto e lo scambio umano e culturale si sono intensificati: ne è nata la galleria di sguardi sulla città, divenuta mostra, di cui vi mostriamo alcuni assaggi in queste pagine. 6. scarp de’ tenis aprile 2013

Gli autori Hanno preso parte al viaggio: Aboubakar Mangassouba, Gary Souleymane, Madou Traore, Augustine Eriagbon, Issa Ousmane, Abdlmaleke Abdelnour, Bara Carambe, Karim Kiabou, Bashe Ahmed Book, Gul Naeem, Hakouru Kamanguilè, Alì Hassan Mohamed, Madou Kamanguilè, Hassega Keita, Mirwais Farid, Saleem Safi, Judi Sharo, Bawer Murad, Alì Muhammadì, Habib Juan Barati, Ibrahima Balde, Noemi Lai, Andrea Gatto, Arianna Barbano, Jacinta Holley, Marta Aurora, Massimo Milella, Manuela Capanna, Daniela Marzano, Michela Benelli, Mamura Grassi


fotoreportage

“Solidarietà a colori”: il racconto per immagini è l’esito di sguardi in cui si mescolano interesse, sorpresa, entusiasmi, incomprensioni. Hanno partecipato al progetto cittadini provenienti da Mali, Niger, Senegal, Etiopia, Nigeria e Somalia: ospiti per mesi della Fondazione Auxilium, oggi molti provano a costruirsi un futuro nel nostro paese. aprile 2013 scarp de’ tenis

.7


Genova per loro

8. scarp de’ tenis aprile 2013


fotoreportage

aprile 2013 scarp de’ tenis

.9



anticamera

Coccolami Coccolami un po’ fallo oggi e non domani fammi stringere le tue mani sento il caldo nelle vene vedo strane le tue scene. Occupi un posto nel mio cuore e credimi non so dirti se è vero amore. Cade la luna cade il sole cade tutto e nessuno si muove.. Cinzia Rasi

La mia casa

Clochard

Ogni casa è un po’ un ospedale dove sono riposte le proprie nevrosi e magagne, legate ad abitudini ed errori psicofisici. Nella mia, o nelle mie, visto che le cambio spesso, avvengono anche miracoli creati dal caso, dall’energia di ciò che faccio e penso e dall’essenza dell’aria pulita, atossica, leggera, quasi paradisiaca… La mia casa è una nuvola rosa e celeste… profumata di idee, sogni, sapori, colori d’alta quota..

Non vaga senza meta mentre va randagio nel freddo inverno. Non chiede mai calore, ogni giorno il suo cielo ha un colore diverso. Va con le suole bucate e col suo vagante passo sorridendo al dileggio per il vestito stracciato. Si lava soltanto quando trova un ruscello, non dice mai grazie. È un angelo libero, senza catene.

Silvia Giavarotti

Gaetano “Tony” Grieco

DAI IL TUO 5 X 1000

PER LA CASA PER LA SALUTE PER IL LAVORO

97331480158 INSERISCI IL NOSTRO CODICE FISCALE NELLA TUA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E

FIRMA PER NOI

ASSOCIAZIONE AMICI DI SCARP DE’ TENIS

IDEE E PROGETTI A FAVORE DEI SENZA DIMORA


L’EUROPA HA FAME. Perché tagliare gli aiuti?

12. scarp de’ tenis aprile 2013


l’inchiesta

La crisi ha fatto lievitare il numero di chi ha bisogno di sussidi, perché non ce la fa ad accedere al cibo: 3,6 milioni in Italia, 18 in Europa. L’Unione però rivede il sistema di erogazione, stanziando un miliardo di euro in meno in sei anni: una scelta intempestiva, contro cui si mobilita la società civile

di Daniela Palumbo Aiuti alimentari: aumenta (drammaticamente) il bisogno, si moltiplicano i canali di risposta, eppure si taglia. L’Europa, che tradizionalmente rappresenta il più importante serbatoio di erogazione di fondi cui attingono tante organizzazioni che assistono persone povere, emarginate, in difficoltà, sembra intenzionata a non tornare indietro, e ad applicare la sforbiciata annunciata nel settore degli aiuti alimentari agli indigenti. Si tratta di un taglio consistente: il 30%. Andrà in vigore, se le cose non cambiano, dall’inizio del 2014. Dopo una inquietante sequenza di anni in cui il numero di chi non ha denaro per comprare da mangiare e deve mettersi in fila per ricevere il pacco alimentare dagli enti caritatevoli, niva impiegato dagli stati membri per o per sedersi alle mense dei poveri, non acquistare materie prime disponibili tra ha fatto che gonfiarsi in tutto il continenle eccedenze alimentari europee. Data la te. Raggiungendo quota 3,6 milioni di scomparsa delle eccedenze alimentari persone in Italia, e 18 nell’intera Europa. dalle riserve comunitarie, oggi il proIl programma europeo di aiuto aligramma prevede che lo stanziamento mentare agli indigenti (il Pead, European europeo sia versato agli stati (secondo le Program for Food Aid for the Most Dediverse richieste di bisogno) e questi usiprived Persons) è nato nel 1987 grazie alno le risorse finanziarie per acquistare l'allora presidente dell'Unione Europea, derrate alimentari da distribuire ai poveJacques Delors. Originariamente, preveri, direttamente sul mercato. deva un finanziamento annuale che veaprile 2013 scarp de’ tenis

.13


L’Europa ha fame. Perché tagliare gli aiuti?

La campagna / 1

Italia privilegiata

Progetto “Air food”, per non mangiare… aria

In questo delicato passaggio l'Europa, tanto per cambiare, si presenta divisa. Paesi come l’Italia, la Francia e la Polonia sono privilegiati dal sistema attuale di ripartizione degli aiuti, che premia chi ha una maggiore distribuzione territoriale delle derrate alimentari. L'Italia gestisce infatti la quota maggiore (il 20%) dei finanziamenti europei per gli aiuti alimentari, mentre il 17% va alla Francia e il 16% alla Polonia. Viceversa, ci sono stati membri che da diversi anni chiedono una riforma strutturale del sistema. «Di fatto l’Unione europea si è piegata al diktat degli stati del nord – riprende Marsico –, di Germania e Svezia soprattutto, che da tempo chiedono una riduzione complessiva dei bilanci di spesa. Ma il problema creatosi sul sistema degli aiuti alimentari dipende anche da un’impostazione diversa delle politiche sociali fra i paesi del nord e quelli dell’Europa del sud. In generale, i paesi del nord privilegiano interventi sociali legati ai redditi minimi di cittadinanza o a misure simili,

Un video sbarazzino, ambientato a Berlino, Parigi e Barcellona. Una colonna musicale easy. Una messa in scena spiazzante, quasi una candid camera. L’iniziativa “The air food project” ha scelto toni lievi per un messaggio pesante: “Diciamo sì agli aiuti alimentari europei”. La campagna è stata lanciata da quattro ong francesi. Sta lievitando a livello europeo (hanno aderito anche il Banco alimentare e altri soggetti italiani). Si può partecipare postando un video in cui si mangia… aria. Contribuendo a sollecitare i decisori politici europei. E firmando una petizione per mantenere gli aiuti alimentari europei ai livelli attuali. INFO www.theairfoodproject.com In Italia, la struttura che gestisce da oltre vent’anni la misura comunitaria degli aiuti agli indigenti è l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura). Essa ogni anno predispone un piano di acquisto e distribuzione di alimenti, sulla base del quale realizza gare d’appalto per acquistare gli alimenti e distribuirli a 254 enti caritativi attivi nel paese, a cui fanno capo 14.747 strutture periferiche di base (mense, comunità di accoglienza, centri di ascolto, luoghi di distribuzione di pacchi e spese alimentari). Gli enti caritativi, a loro volta, fanno richiesta all’Agea per ricevere le derrate alimentari attraverso un’autocertificazione del fabbisogno, che varia secondo il numero delle reti territoriali gestite dagli enti stessi.

Non solo alimenti Nel 2008 il presidente della commissione europea, José Manuel Barroso, al profilarsi della crisi economica decise – con un intervento straordinario – di aumentare il fondo per il Pead, portandolo a 500 milioni di euro l’anno. Nel 2011, la Corte di giustizia europea, su istanza di Germania e Svezia, si è però pronunciata a favore dell’azzeramento dell’incremen-

14. scarp de’ tenis aprile 2013

to, considerato temporaneo, disposto da Barroso. Grazie ai paesi membri che più beneficiano del Pead (l’Italia è capofila), il finanziamento straordinario è stato però mantenuto fino al 2013. Ma a partire dall’inizio del prossimo anno l’Ue renderà esecutive le riforme. Le misure prevedono un pacchetto di finanziamenti da 2,5 miliardi di euro complessivi per il periodo 2014-2020 (per garantire lo stesso livello di aiuti garantito nel 2011, ne servirebbero 3,5 miliardi). Peraltro, secondo la riforma europea, i paesi membri che richiedono i finanziamenti al nuovo fondo dovranno motivare l’istanza con piani governativi sulle strategie di welfare, da concordare in sede europea. Infine, il Programma di aiuti alimentari passerebbe dal capitolo del bilancio agricolo dell’Unione a quello delle politiche sociali: non solo verrà ridotto, dunque, ma non sarà più esclusivamente dedicato agli aiuti alimentari. E dovrà fare spazio ad altre forme d'intervento d’aiuto: per l’alloggio, la salute, l’abbigliamento, l’accoglienza, ecc. «Si tratta di una riforma che avrà conseguenze pesantissime – interviene Francesco Marsico, vicedirettore di Caritas Italiana –. Eppure la crisi economica non solo non è finita, ma deve ancora manifestare gli effetti più nefasti. In Italia, le aree di criticità e di forte bisogno alimentare non sono più concentrate solo al sud o nelle isole, ma si manifestano anche al nord, nei territori industriali dove la disoccupazione dilaga. È in atto un cambiamento di sistema che non ha ancora finito di provocare povertà. Ormai da qualche anno, anche la classe media ha cominciato a chiedere il pacco alimentare…».

il loro welfare è improntato alla promozione umana e non alla distribuzione di aiuti alimentari diretti: quest'ultimo, dal loro punto di vista, è un sistema inefficace nell'ottica della lotta alla povertà». Tale impostazione sarebbe pure avanzata e corretta. Ma resta il fatto che il momento storico attuale è il peggiore per scegliere di passare a riforme che ridimensionano gli stanziamenti, perché le persone che non hanno accesso alla catena alimentare, se non con gli aiuti diretti, sono in aumento: lo dimostra il fatto che le persone che hanno chiesto aiuti alimentari agli enti che si riforniscono tramite Agea sono stati, nel 2012, ben 923 mila in più rispetto al 2010 (con un aumento di circa il 33% in tre anni). E tendenze analoghe si sono registrate anche nei paesi del nord Europa. «La posizione della rete Caritas su questo fronte è chiara – afferma il vicedirettore di Caritas Italiana –. È certo che l'aiuto ali-


l’inchiesta

mentare è una formula semplice ed estrema di aiuto, ma è anche un modo per tenere i contatti con il territorio. Per noi la distribuzione di cibo è un mezzo, uno strumento semplice che ha ragione di essere nelle situazioni estreme. Pensiamo anche noi che il welfare necessiti di altre modalità di intervento, nella prospettiva della promozione dello sviluppo. E certamente le Caritas devono porsi l’obiettivo di utilizzare il mezzo dell’aiuto alimentare entro percorsi che diventino anche di promozione umana; già ora, d’altronde, si tratta spesso di un modo per consolidare situazioni familiari e personali impegnate in percorsi di maggiore autonomia, verso una cittadinanza piena. Oggi però, in Italia, noi possiamo solo sognare un sistema di welfare avanzato come quelli dei paesi del nord Europa. Allora occorre essere realistici: nell’attuale drammatica situazione di crisi economica, assumersi la responsabilità di interrompere gli aiuti alimentari diventa una responsabilità politica pesante, che continueremo a contrastare».

Campagna in atto Attualmente, la riforma dell'Unione europea presenta ancora un margine di cambiamento. E gli enti caritatevoli hanno avanzato proposte concrete, come

Un continente a dispensa vuota 3,5 miliardi gli euro stanziati dall’Ue (fino al 2013) per gli aiuti alimentari; dal 2014 saranno 2,5 miliardi, il taglio è del 30%

3,6 milioni i poveri assistiti in Italia dagli aiuti alimentari fino al 2012; in Europa si stima che siano 18 milioni

60% la quota degli aiuti alimentari distribuiti in Italia finanziata, sino a oggi, dall’Ue; il 40% era finanziato da risorse interne

20% la quota Programma europeo di aiuti alimentari (Pead) destinata all’Italia, maggior beneficiario; seguono Francia (17%) e Polonia (16%)

14.747 le strutture volontarie di base (mense, comunità di accoglienza, luoghi di distribuzione di pacchi e spese alimentari) che operano con alimenti finanziati dagli aiuti Ue, distribuiti dall’agenzia governativa Agea; fanno capo a 254 enti caritativi capofila

8.673 le strutture caritative, diffuse in tutta Italia, assiste gratuitamente dalla Rete Banco Alimentare. La loro attività raggiunge 1.700.000 persone bisognose

esito di un’ampia mobilitazione – avvenuta tramite campagne e appelli – sviluppatasi grazie a ramificate reti continentali, che hanno avuto anche un’incisiva diramazione nazionale. In particolare Associazione Banco Alimentare Roma, Comunità di Sant'Egidio, Federazione nazionale Società San Vincenzo de' Paoli, Fondazione Banco Alimentare e Fondazione Banco delle Opere di Carità hanno sottoscritto un appello – condiviso, anche se non sottoscritto da Caritas Italiana – che sollecita i parlamentari europei italiani a esercitare una forte pressione sul Parlamento europeo per tornare alla quota dei 3,5 miliardi di stanziamento (pur accettando il nuovo piano in cui gli aiuti non sono destinati solo alle derrate alimentari). Una seconda richiesta è diretta ai parlamentari nazionali, perché prevedano nel 2014 una copertura finanziaria di 100 milioni di euro per il Fondo sugli aiuti alimentari alle persone indigenti (previsto dal governo Monti, ma rimasto privo di finanziamento). Questi 100 milioni coprirebbero il disavanzo che si verrebbe a creare in Italia, qualora passasse la riforma europea che prevede la distribuzione dei finanziamenti ad ampio spettro sociale. C’è un’Italia che ha fame: non la si può lasciare senza risposte.

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

..15


L’Europa ha fame. Perché tagliare gli aiuti?

«Abbandonare l’assistenza? Possibile, non in questi tempi» L’Agenzia governativa che gestisce gli aiuti: «Indigenza alimentare a livelli record» Guido Tampieri è il direttore di Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), l’istituzione italiana che gestisce gli aiuti agli indigenti. Opera da oltre vent’anni nel settore. Una lunga esperienza, attesa adesso alla prova del cambiamento. Quali sono le competenze e le azioni di Agea? In qualità di organismo pagatore, Agea gestisce la misura comunitaria degli aiuti agli indigenti. In tale ambito, l’Agenzia ogni anno predispone un piano di acquisto e distribuzione di alimenti, che sottopone al ministero delle politiche agricole alimentari. Sulla base di questo piano, realizza gare d’appalto con procedura comunitaria per acquistare gli alimenti e distribuirli ai 254 enti caritativi capofila che operano nel paese. Oltre a organizzare e pagare materialmente per conto dell’Ue tali alimenti, l’Agea opera controlli (avvalendosi di

Agecontrol, la propria agenzia specializzata) sulla corretta esecuzione delle forniture agli enti caritativi, tramite verifiche sul 100% delle forniture. La distribuzione delle risorse per gli aiuti alimentari segue sistemi diversi tra i paesi. Come si organizza l’Italia? La ripartizione viene effettuata in proporzione alla quantità di persone considerate povere (cioè al di sotto di una determinata soglia di reddito) ricavata dai dati Eurostat. Il criterio, anche se non stima il fabbisogno alimentare vero e proprio, può essere considerato valido. La misura non è obbligatoria, ma volontaria. Molti stati del centro-nord Europa non vi aderiscono, hanno già buoni programmi di protezione sociale nazionale. Vi sono, invece, alcuni stati membri che, pur avendo uno straordinario fabbisogno, non riescono a gestire la misura e lasciano inutilizzate molte risorse loro assegnate. La mancata ade-

sione di alcuni e l’impossibilità di altri di utilizzare le risorse assegnate, fa sì che l’Italia sia il primo utilizzatore della misura: gestisce circa il 20% delle risorse totali. Porzione importante, e credo ben gestita. Nonostante ciò, con i 100 milioni di euro assegnati ogni anno si fa fatica a soddisfare i bisogni dei poveri presenti nel nostro paese. Secondo i nostri dati (ricavati dalla rete di 14.747 strutture volontarie che operano con alimenti forniti da Agea) i bisognosi di aiuto alimentare hanno superato il tetto di 3,6 milioni di persone, di cui il 10% bambini sotto i 5 anni e il 14 % anziani sopra i 65. La riforma prevede, oltre a un taglio economico, il passaggio del programma dal settore della politica agricola a quello della coesione sociale... Passare dal programma di assistenza alimentare ad altre forme di aiuto potrebbe essere una soluzione praticabile in tempi ordinari, non certo ora. L’indi-

In mensa: «Ridurremo le porzioni» In via Ponzio, a Milano, non lasceranno nessuno senza pasto, «l’unico della giornata» di Michele Ambrosini

Sempre più beneficiari. E sempre più italiani. A bussare alla porta di mense e centri d’ascolto, per chiedere un pasto o un pacco, non sono più solo persone ai margini, o famiglie “cronicamente” fragili. Addirittura, secondo Alessandra Tufigno, referente per Caritas Ambrosiana dei 329 centri di ascolto del territorio della diocesi di Milano, «molti operatori hanno la percezione che la realtà sia ancora più dura di quanto risulta dai dati raccolti dalle fonti istituzionali». Un’impressione confermata anche da suor Rossella, che gestisce la mensa di via Ponzio, a Milano, un servizio che sfama ogni giorno feriale tra le 500 e le 600 persone, e la domenica (quando i bambini non possono mangiare alle mense scolastiche) arriva a ospitarne 700. Secondo lei, in mensa il numero degli italiani è aumentato di circa un terzo negli ultimi anni, e sono ancora molti quelli che, pur avendone bisogno, si rifiutano di chiedere aiuto. Non solo perché per al-

16. scarp de’ tenis aprile 2013

cuni frequentare la mensa è una sconfitta personale, ma in alcuni casi anche per paura che gli assistenti sociali intervengano e tolgano l’affidamento dei figli.

Difficile gestire imprevisti Le richieste d’aiuto non riguardano solo il cibo. Alessandra Tufigno evidenzia infatti che, rispetto al passato, sono aumentate anche le richieste per beni materiali, come cibo e vestiti. «Oggi è più difficile gestire gli imprevisti – afferma –; se una famiglia fa fatica ad arrivare a fine mese, quando si trova a dover affrontare una spesa non preventivata esaurisce il budget a disposizione per i generi di prima necessità». Fare fronte alla marea montante di richieste è arduo. E lo sarà ancora di più, quando – dal 2014 – cominceranno a far-


l’inchiesta genza alimentare è giunta nel nostro paese a livelli record. Le risorse attuali sono già inadeguate, malgrado la distribuzione del cibo e, talora, la sua preparazione vengano effettuate gratuitamente da volontari. In base al nuovo dispositivo, che l’Italia comunque è riuscita a ottenere, nonostante la forte avversione di molti paesi del centronord Europa a qualsiasi forma di sostegno comunitario agli indigenti, le risorse assegnate scenderanno del 30%. E quelle destinate all’Italia diminuiranno in misura ancora maggiore, in quanto agli stati che oggi utilizzano la misura su base volontaria si aggiungeranno quelli del centro-nord Europa, che caricheranno sui fondi comunitari parte dei costi di protezione sociale che attualmente sostengono in proprio. Sono i problemi di questa Europa disunita... Per il 2013, quale scenario si profila nella distribuzione degli aiuti? Per il 2013 disponiamo di un budget comunitario quasi uguale a quello 2012. Purtroppo, nel frattempo, anche il numero degli indigenti cresce. La verità, come sostiene il celebre storico Le Goff, è che l’Europa non è ancora una realtà, ma solo una speranza. Anche per questo calano le risorse, e cresce la povertà.

.

si sentire gli effetti della riforma Ue sugli aiuti alimentari. «Pasta, riso e olio ce li fornisce il Banco alimentare – confessa preoccupata suor Rossella –; se loro dovessero avere meno materie prime a disposizione, noi saremmo disposti a ridurre le dosi: l’idea di lasciare qualcuno senza un pasto è infatti fuori discussione. Ma per molti ospiti, quello che mangiano da noi è l’unico pasto della giornata». E non sarà facile spiegare perché diventerà più leggero...

.

Pescara

Giuseppe e Maria all’Emporio, la spesa fa recuperare autonomia «Giuseppe e Maria, nomi di fantasia. Ma la storia è terribilmente vera. E ha per protagonisti due coniugi di circa 45 anni, con due figli di 17 e 12 anni. E poi c’è un single, Giovanni, altro nome di fantasia, una storia altrettanto complessa. Due parabole in rapida discesa verso la povertà. Addirittura verso la fame. A Pescara, città associata, nel pensiero comune, a un relativo benessere. La vita in una casa popolare a volte è una necessità, che nasce dalla voglia di fare famiglia, nonostante le difficoltà, nonostante la precarietà del lavoro. Però fino a poco tempo fa Giuseppe e Maria se l’erano sempre cavata dignitosamente, senza mai doversi rivolgere alla Caritas diocesana della città adriatica: bastavano le entrate economiche derivanti dall’attività di Giuseppe. Purtroppo, qualche mese fa la piccola azienda dove l’uomo lavorava ha dovuto chiudere: si erano accumulati solo debiti, non c’erano più guadagni. Si sono ritrovati senza stipendio, con una famiglia da portare avanti. Anche Giovanni, 66 anni e una laurea, dopo una vita in cui ha viaggiato molto, lavorando in diversi paesi anche con ruoli di dirigenza, si è ritrovato solo, separato dalla moglie, un figlio con cui non ha rapporti. E a un tratto è rimasto senza soldi, senza un posto dove vivere, con un inizio di Parkinson: una malattia debilitante quanto la solitudine e la vergogna derivanti dall’aver fallito come marito e come genitore. A Pescara l’Emporio della Solidarietà (nella foto: è il terzo nato in Italia, dopo le esperienze di Prato e Roma: oggi nel paese ne esistono una ventina, targati Caritas) offre un supporto a persone avvicinatesi alla Caritas con storie simili a quelle di Maria, Giuseppe e Giovanni. L’intento è sostenere, con un piccolo aiuto di breve periodo, chi cerca un sostegno intelligente, per non cadere nelle sabbie mobili dell’assistenzialismo, cercando di proteggere quella che spesso è una dignità fragile e logorata. Al centro d’ascolto diocesano, Giuseppe e Maria hanno chiesto un lavoro e si sono dimostrati disponibili a fare qualsiasi cosa da subito. La loro disperazione è stata evidente sin dal primo giorno, così come il loro disorientamento di fronte a una situazione completamente nuova, nella quale si erano trovati quasi per caso. La tessera dell’emporio – un piccolo market della solidarietà, allestito nel 2010 dalla Caritas diocesana, rifornito con derrate alimentari e articoli per la casa grazie a raccolte organizzate ad hoc in collaborazione con alcune aziende del territorio, nel quale operano circa 35 persone tra volontari e operatori e al quale nel 2012 sono stati ammessi 115 soggetti (tra cui 30 famiglie) inviati dal centro d’ascolto – consente ai coniugi di fare la spesa in autonomia, scegliendo ciò che è prioritario per la loro famiglia: è stata concessa nell’ambito di un progetto personalizzato di ritorno all’autonomia, avviato insieme ai servizi sociali comunali. Anche Giovanni era smarrito perché non sapeva districarsi in un mondo che non aveva conosciuto se non per sentito dire. E anche lui ha potuto mettere piede all’Emporio. Oggi è tornato a una condizione di autonomia, anche grazie all’aiuto temporaneo ricevuto attraverso il market della solidarietà: una vita sempre densa di fatiche, ma nuovamente capace di una dignità piena. [Corrado De Dominicis]

aprile 2013 scarp de’ tenis

.17


L’Europa ha fame. Perché tagliare gli aiuti?

Declino di vite comuni «Il pacco me lo faccio bastare» Gerardo, Domenica, Concetta: ricevono aiuti dalle parrocchie. E intanto non mollano di Stefania Culurgioni Addio bistecca, bene di lusso. Proprio come lo era nel dopoguerra per la maggiorparte delle famiglie, cresce in Italia il numero di persone che se non ci rinuncia, quanto meno ne dirada il consumo. Lo sa bene Gerardo, 50 anni, due figlie in età scolare, una moglie che lavora part time in una cooperativa di pulizie. «Fosse per me rinuncerei sempre, non ho problemi – dice –, ma per le bambine non va bene. Almeno ogni tanto dobbiamo comprarla. Solo che poi ci sono i libri da comprare, i trasporti da pagare, l’affitto, le tantissime bollette che stiamo trascurando...». Gerardo abita a Cesano Boscone, periferia ovest di Milano, e un tempo aveva un avvenire sereno davanti. «Ho lavorato da quando avevo 15 anni – racconta –, poi ho preso una strada storta e sono finito male. I soldi non mi mancavano ma non bastavano mai, mi sono separato dalla prima moglie, dal 2000 ho una nuova compagna, ho messo su una società di trasporti ma poi ho fatto uno sbaglio, mi hanno dato la sorveglianza e quella cosa mi ha tagliato le gambe. Non potevo più guidare, avevo una ditta intestata a me, debiti per 140 mila euro. Così ho cominciato a fare rapine. Mi sono pagato i debiti così, ma dio di mia moglie non ce la facciamo. poi mi hanno preso e sono stato denIo faccio piccoli traslochi, a volte porto tro. Sono uscito da sei mesi, ho pagato dei mobili al mercatino dell’usato in per i miei reati, ho cambiato testa, ma conto vendita; per il resto, mangiamo ora trovare lavoro è impossibile. Non con il pacco alimentare che ci danno i vedo vie d’uscita, ma non voglio tornavolontari. E viviamo alla giornata». re a commettere reati. Allora a volte mi deprimo, mi prende la testa, devo acI duecento di Cesano cettare che non ho da mangiare. Ma Il pacco di cibi gli arriva dalla parrocchia devo sfamare le ragazze e con lo stipenSan Giovanni Battista di Cesano Bosco-

La campagna / 2

“Oggi offro io”: sprechi no, condivisione sì A Roma mangiare è un’emergenza continua e il fenomeno è in forte aumento, soprattutto tra gli italiani che spesso non hanno il coraggio di varcare l’ingresso di una mensa o la soglia dell’Emporio Caritas. Sono oltre 1.500 i pasti pronti erogati ogni giorno dai centri dell’organismo e 1.700 le persone aiutate ogni settimana con spesa alimentare. La campagna “Oggi offro io” coinvolge tutti, invitando a offrire l’equivalente di un pasto o di una spesa alimentare. INFO www.caritasroma.it

18. scarp de’ tenis aprile 2013

ne. «Siamo volontari che, in nome della nostra fede, dal 1996 aiutiamo i fratelli in difficoltà – racconta il coordinatore. Maurizio Viola –. Funziona così: ci sono una quarantina di famiglie di buona volontà che hanno accettato di autotassarsi una volta al mese. In pratica, ciascuna di loro fa una spesa di 15 euro, ac-

quistando gli alimenti che gli suggeriamo. Poi noi volontari – una quarantina, ciascuno con quattro nuclei familiari da seguire – confezioniamo i pacchi: latte, passate di pomodoro, biscotti secchi, olio, riso, pasta... Una volta al mese li portiamo alle famiglie in difficoltà, che a Cesano sono circa 80, ovvero circa 200 persone. Il mese dopo facciamo lo stesso, ma il pacco lo andiamo a prendere al Banco Alimentare». Le famiglie in difficoltà di Cesano Boscone arrivano a conoscere l’iniziativa grazie al passaparola, al parroco o al diacono, ma anche agli assistenti sociali. «L’ultima arrivata ci è stata mandata dal carcere – continua Viola –; un’altra persona, un ex tossicodipendente in difficoltà, ci è stata segnalata dal Sert».

Una pensione per due Ma nella lista delle persone in crisi ci sono anche quelle che fino a qualche anno fa stavano bene e mai si sarebbero sognate di arrivare a questo punto.


l’inchiesta

La mobilitazione

«L’Europa deve tutelare il diritto all’alimentazione» Anche la Fondazione Banco Alimentare è contraria alla riforma degli aiuti messa in cantiere dall'Unione Europea. L’organizzazione, fondata nel 1989 da don Luigi Giussani, è in pratica una rete di 21 onlus, altrettanti “banchi” regionali. «La nostra rete ha funzione sussidiaria e infrastrutturale – spiega il neodirettore, Andrea Giussani –: si occupa della raccolta di beni alimentari e del recupero delle eccedenze alimentari della produzione agricola e industriale e della loro redistribuzione a strutture caritative che svolgono un’attività assistenziale verso le persone indigenti. Il Banco recupera i prodotti attraverso quattro principali fonti di approvvigionamento: l’Unione Europea (tramite l’Agea), l’industria alimentare, la grande distribuzione organizzata, la ristorazione collettiva. Nel 2012 abbiamo distribuito circa 70 mila tonnellate di alimenti agli enti caritatevoli accreditati con la nostra rete. Degli aiuti erogati, 40 mila erano garantiti dai fondi europei. Se venisse meno questa risorsa, nel 2014 ci troveremo a distribuire poco più di ciò che recuperiamo direttamente attraverso le eccedenze della grande distribuzione e della ristorazione collettiva. Ma non sarà sufficiente». La Fondazione Banco Alimentare aderisce alla Feba (Federazione europea dei banchi alimentari), la quale sta cercando di fare pressione nelle sedi politiche dell’Unione. «Abbiamo capito – sintetizza Giussani – che molti stati del nord Europa hanno un’impostazione culturale profondamente diversa dalla nostra, una concezione della carità e della solidarietà diversa da quella praticata da noi e in genere da gran parte del volontariato italiano. Noi pensiamo che il progetto-Europa abbia un senso solo se essa è solidale al suo interno, dunque si prende cura e si fa carico dei milioni di poveri in maniera collegiale. Ma ci sono posizioni molto diverse. La Germania, ad esempio, si è appellata alla Corte europea per far decadere gli aiuti.

Come Domenica: «Facevo l’agente immobiliare, ho sempre lavorato, prima per imprese poi con un ufficio in Cadorna, a Milano – racconta –. Avevo qualcosa da parte ma poi mia madre si è ammalata di Alzheimer e tutti i risparmi li ho spesi per assisterla. Era troppo giovane per metterla in clinica, le sono stata dietro io... Mio marito fa il posteggiatore per un’azienda di Milano. Ha lavorato in Fiera, poi l’azienda ha perso l’appalto. Ora riceve lo stipendio una volta sì e una no, l’azienda non lo licenzia ma neanche lo fa lavorare, gli è venuta la depressione e per due mesi è rimasto in malattia. In pratica, viviamo con la mia pensione di 600 euro, dobbiamo pagare un affitto, le bollette, e io non ho neanche 5 euro per la spesa.

Molti stati in Europa sono dell’idea che ogni nazione aiuti i propri poveri. E ciò può accadere perché il diritto all’alimentazione non è esplicitato come diritto fondamentale in Europa. Non è un diritto da tutelare». Nonostante ciò, il presidente del Banco Alimentare non è pessimista. «I 2,5 miliardi di euro stanziati dall’Europa fino al 2020 sono più di quello che si temeva in principio. Il nostro lavoro di sensibilizzazione (enti caritatevoli, Agea e Banco Alimentare) è servito. L’obiettivo resta il ripristino del 3,5 miliardi, certamente. Ma credo che lo spazio per migliorare la riforma ci sia. Intanto, qualunque finanziamento europeo sarà erogato a fronte di normative ad hoc degli stati, dunque il nostro lavoro sarà anche proporre interventi legislativi incisivi, in modo che i soldi non vadano sprecati. Al di là della quantità dei finanziamenti saranno infatti importanti le agevolazioni, le facilitazioni, gli sgravi fiscali, gli sviluppi organizzativi a copertura dei fondi. Noi della Rete Banco alimentare pensiamo soprattutto ad agevolazioni fiscali sui trasporti. I nostri costi maggiori sono lì e non ce li paga nessuno». Con il progetto Citycibo, nel 2012 la rete dei banchi ha recuperato un milione di porzioni di pasti freschi dalle mense collettive e dalla grande distribuzione, portati poi alle mense dei poveri. Le eccedenze di produzione recuperate dalle grandi piattaforme della distribuzione vengono invece immagazzinate e poi redistribuite alle strutture convenzionate sotto forma di pacchi alimentari. «La via intrapresa dall’Europa è un risparmio cieco – conclude Giussani –. Perché l’assenza di intervento sociale produce inevitabilmente un clima sociale oppositivo, un disagio che si manifesta in un confronto aspro e in scintille di rivolta sociale. Succede quando le popolazioni raggiungono livelli di impossibilità di sopravvivenza. Siamo certi di essere così lontani da questa realtà?».

Quando ci arriva il pacco alimentare ci aiuta tantissimo e cerchiamo di farcelo bastare. Ma io, a 70 anni, cerco ancora lavoro. Anche per pulire le scale dei condomini, mi andrebbe bene tutto...».

Un giorno aiuterò anch’io Poi c’è la storia di Concetta Scolamacchia, che abita a Cerchiate e riceve il pacco alimentare dalla Caritas di Pero. Ha una vicenda familiare travagliata alle spalle, aveva un padre alcolista e i giudici misero lei e i suoi due fratelli in tre comunità diverse. Ma nella vita non si è mai persa d’animo, si è diplomata e ha sempre lavorato. Prima come assistente alla poltrona di un dentista in via Ripamonti, poi in una grande azienda alla stazione Centrale, per la quale ha

fatto di tutto: magazziniera, vetrinista, banconista, paninara, cassiera... Sempre con contratti di formazione, che regolarmente finivano. Finché, a 46 anni, nessuno glieli ha più rinnovati. A causa dei lavori pesanti che ha fatto, le è venuta un’ernia ombelicale, è stata operata e ora non può più svolgere mansioni faticose, ma ha una figlia di 16 anni da mantenere a scuola e un marito muratore la cui ditta non paga lo stipendio regolarmente. «Ci sono momenti difficili – racconta – come quando devo chiedere alla padrona di casa di aspettare per l’affitto. Ma non mi arrendo. Un giorno le cose andranno meglio, e prometto che quel giorno aiuterò gli altri. Proprio come chi, con i pacchi, sta aiutando me».

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.19


Emergenza grandi sprechi Conclusa l’accoglienza ai rifugiati dal Nord Africa. Allo stato sono costati tanto. Soldi spesso spesi male. Ora settemila sulla strada di Francesco Chiavarini

Nei prossimi mesi, sulle strade d’Italia, ci saranno (o rischiano di esserci) almeno settemila senza tetto in più. Sono i ragazzi scappati tra marzo e settembre del 2011, prima dalla rivoluzione in Tunisia e poi dalla Libia di Gheddafi. Giovani affamati e disperati, che speravano di trovare il loro posto al sole sull’altra sponda del Mediterraneo. Nonostante siano stati nei mesi scorsi riconosciuti come profughi, nel nostro paese ora si apprestano a condividere con migliaia di altri diseredati una vita di stenti. Per i figli delle “Primavere arabe” è la fine dell’italian dream, a dispetto dell’entusiasmo che pure, nel nostro paese, aveva salutato il loro moto di ribellione ai regimi con i quali, sia detto per inciso, avevamo intrattenuto proficui rapporti fino al giorno prima. Lo scorso lenze, i richiedenti asilo in attesa di 28 febbraio è scaduta anche l’ultima una risposta e le famiglie (in toproroga per l’accoglienza dei profughi tale circa tremila persone), tutdel Nord Africa. Da allora gli albergatori ti gli altri non godranno di ale i gestori dei centri di accoglienza non cun ulteriore aiuto. E dunque, ricevono più i contributi dallo stato per molto probabilmente, finirancoprire le spese di vitto e di alloggio deno sulla strada. Poiché quasi gli ospiti. Niente soldi (pubblici), niente tutti quelli che non se ne sono ospitalità. Salvo i più vulnerabili (per i già andati, non hanno nessuna quali tuttavia bisogna ancora trovare le prospettiva di potersela cavare risorse), tutti gli altri, cioè la stragrande da soli. Né in Italia, e nemmeno maggioranza, stanno per essere messi in Francia, Germania o Inghilalla porta, con al più una buonuscita (la terra, dove i loro compagni di chiamano “contributo per l’integrazioviaggio più intraprendenti o più ne”) di 500 euro. Facile immaginare che, fortunati hanno trovato riparo, nel giro di poche settimane, anche quei da amici e parenti. La gestione soldi finiranno e chi li ha ricevuti tornerà della post-emergenza della lunga, lunnel circuito dell’assistenza. Magari in ghissima emergenza Nord Africa (circa coda davanti ai centri di ascolto delle due anni), preoccupa non poco le orgaCaritas o agli assessorati sociali dei conizzazioni non profit più responsabili. muni. Quelle, tra l’altro, che avevano messo in guardia sin dall’inizio dei rischi di una gestione farraginosa, opaca, per di più Gestione farraginosa costosa. Quanti saranno esattamente? I conti so«La nostra linea, dopo aver ospitato, no presto fatti. Dei circa 60 mila profuistruito, formato, orientato al lavoro e ghi arrivati in Italia (non il milione e inserito nelle realtà sociali circostanti mezzo, o i trecentomila vaticinati dai catremila persone, con grande dispiego di tastrofisti, incluso il ministro degli interrisorse umane e anche finanziarie, è ni dell’epoca, Roberto Maroni), alla fine non abbandonare nessuno», assicura di febbraio risultavano nelle strutture Oliviero Forti di Caritas Italiana, la cui (per il 70% alberghi) ancora 10 mila perrete, nelle realtà diocesane, ospita ancosone. Escluse le donne con i minori, i ra alcune centinaia di persone. Quanto soggetti troppo traumatizzati dalle vio-

20. 20. scarp de’ tenis aprile 2013

all’Arci, sta ragionando su una possibile soluzione: «Stiamo valutando se chiedere agli ospiti (circa 500, ndr) un picco-

lo contributo alle spese di vitto e alloggio, che essi stessi potrebbero coprire attingendo proprio dall’assegno per l’integrazione», spiega il presidente nazionale, Filippo Miraglia. Ma è fuor di dubbio che, al di là delle buone intenzioni, anche le organizzazioni con le spalle più solide saranno messe in difficoltà. Potranno far fronte ai casi più drammatici, anche utilizzando risorse proprie. Ma non potranno reggere la situazione troppo a lungo.

Ripensamenti sullo status La verità è che oggi vengono al pettine i nodi di una vicenda iniziata male, e proseguita peggio. Il primo passo falso sono stati i continui ripensamenti del gover-


l’inchiesta no su quale status giuridico riconoscere ai nuovi arrivati. Emblematica la vicenda dei tunisini, che prima ancora dei libici tentarono la traversata: nei primissimi giorni, dopo i loro sbarchi, la linea voluta dal ministro Maroni fu di considerarli alla stregua di comuni immigrati clandestini. Gente da respingere in mare, preferibilmente, e nel caso non vi si riuscisse, da trattenere e rimpatriare. Poi, di fronte al biasimo internazionale, ci ripensò e concesse loro il permesso di soggiorno umanitario, con la nemmeno troppo celata speranza che con quel documento in mano si sarebbero tolti presto di torno, varcando le frontiere con la Francia. Cosa che, in effetti, avvenne, almeno fino a quando l’allora presidente

Nicolas Sarkozy, alle prese con un’imminente campagna elettorale, non decise di chiudere le frontiere. Quando, mesi dopo si presentarono i libici, si ripiombò nella stessa incertezza. Non potendo respingerli, ma non volendo nemmeno accoglierli, il governo decise di temporeggiare. Chiedendo

Caritas lombarde

«Non abbandoniamo i “fragili”, gli altri si misurano con la crisi» L’Emergenza Nord Africa è giunta al termine, ma non l’accoglienza. Almeno non per le Caritas della Lombardia. Alla fine del mese di febbraio, il ministero dell’interno ha chiuso le convezioni con i gestori delle strutture che ospitavano i profughi scappati dalla Libia. Tuttavia, a distanza di due anni dal loro arrivo, parecchi non hanno ancora né lavoro né un altro posto dove andare. «Fuori di qui, finirebbero sulla strada. Non è nel nostro stile abbandonare le persone», sottolinea don Claudio Visconti, direttore della Caritas di Bergamo e delegato regionale delle dieci Caritas lombarde. Si tratta complessivamente di 300 profughi, poco meno di un terzo di quelli accolti dalle strutture Caritas in tutta la regione. Don Visconti li chiama “i fragili”. Sono donne vittime di tratta, mamme con bambini, malati di Aids, giovani che hanno subito violenze, psicologicamente provati. Gente che, lasciata a se stessa, ingrosserebbe le sacche del disagio sociale. Per loro la soluzione è, almeno per il momento, rimanere dove sono. «Non li vogliamo trasformare in assistiti a vita – precisa don Visconti –, ma hanno bisogno di essere accompagnati per un tratto di strada più lungo degli altri». Ecco, gli altri. Che ne é stato di loro? Ovvero circa 500 persone. Giovani, in genere provenienti dall’africa subsahariana, già immigrati in Libia, imbarcatisi, o costretti a imbarcarsi su una nave per l’Italia allo scoppio della guerra. In questi mesi, grazie a volontari e operatori Caritas, sono andati a scuola di italiano, hanno frequentato corsi professionali per imbianchino, cuoco, falegname. «Nonostante i loro sforzi e il nostro sostegno dobbiamo ammettere che solo il 20% ha trovato un lavoro che consente di pagarsi un alloggio – riconosce don Visconti –. Colpa di una crisi economica che rende la vita difficile a tutti, italiani compresi». Tutti gli altri, in qualche modo se la sono cavata da soli. Molti, grazie al titolo di viaggio ottenuto con il permesso di soggiorno, hanno raggiunto parenti e amici in altri paesi d’Europa. «Obiettivo che avevano fin dalla loro partenza, e che solo la mancanza di accordi tra gli stati non ha reso possibile realizzare subito», conclude don Visconti.

loro di presentare domanda di asilo, pur sapendo che la risposta che avrebbero dato le commissioni territoriali, incaricate di esaminare le richiese, sarebbe stata per molti negativa, dal momento che la maggior parte di loro proveniva, in realtà, da paesi, che non erano né in guerra né li perseguitavano, e che in Libia si erano trasferiti per lavoro. E infatti nigeriani, maliani, ghanesi e ivoriani ottennero il diniego, rimanendo con un pugno di mosche in mando. A quel punto, più per evitare tensioni e sommosse che per magnanimità, il governo si decise a concedere, come aveva fatto per i tunisini, il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, come chiedevano dall’inizio della vicenda le principali organizzazioni di volontariato. «Questi contini cambia-

menti di linea delle autorità hanno creato frustrazione e sfiducia negli ospiti – osserva Forti –. Non sapendo se sarebbero rimasti in Italia, molti hanno preferito sedersi e aspettare. In queste condizioni, anche per gli operatori più intenzionati e motivati è stato pressoché impossibile proporre progetti di vita per il futuro. Per non parlare poi dei costi burocratici e finanziari, prodotti dalla scarsa chiarezza. Soldi che si sarebbero potuti risparmiare, se si fosse ragionato da subito con un minimo di buon senso, dando semplicemente alle persone sbarcate il titolo per rimanere nel nostro paese, cercarsi un lavoro o andare all’estero per trovarlo. Come alla fine si è stati costretti a fare».

Per ognuno 46 euro al giorno Ma di peccati originali, l’intera gestione della cosiddetta “Emergenza Nord Afriaprile 2013 scarp de’ tenis

.21


Emergenza grandi sprechi ca” ne ha più d’uno da scontare. L’altro, enorme, è stato il sistema di accoglienza creato in fretta, senza controlli e con partner, in molti casi, improvvisati. Risultato (nonostante i molti e positivi cadi accoglienza intelligente): un enorme spreco di denaro pubblico, finito anche nelle tasche di qualche furbo, come documentato da inchieste giornalistiche. Sull’onda dell’emergenza, le prefetture o gli assessorati regionali della protezione civile hanno accreditato i gestori di strutture di accoglienza che si rendevano disponibili. Nel sistema sono finiti dentro i soggetti più disparati (e impreparati a un delicato lavoro sociale): albergatori in crisi ben lieti di fare il tutto esaurito in bassa stagione, proprietari di agriturismo o di case vacanze abbandonate, fantomatiche cooperative sociali sorte dalla sera alla mattina, più interessate a intascarsi i rimborsi concessi dallo stato che ad accompagnare verso un futuro possibile i loro ospiti. A Roma una cooperativa, pur di ottenere la generosa diaria riconosciuta dalle autorità, aveva fatto passare per

minori non accompagnati decine di stranieri adulti senza tetto, presenti nel nostro paese da anni. Sempre nella capitale, si è scoperto che in alloggi da 35 metri quadrati, gestiti da un’altra cooperativa, vivevano dieci persone: peggio che in carcere. A Napoli si erano proposte, per organizzare corsi d’italiano, associazioni che nessuno aveva mai sentito prima. A Milano sono scoppiate risse tra profughi e senza tetto, costretti a condividere lo stesso camerone in una

Montascale Stannah.

scale, scegli il meglio.

Per le tue

scuola di periferia, riadattata a centro di accoglienza. E sono i casi più eclatanti. «Ogni profugo è costato 46 euro al giorno. In totale, per l’Emergenza Nord Africa lo stato ha speso 1 miliardo 500 milioni di euro», sintetizza Forti. Con molto meno si sarebbero potuti ottenere risultati migliori. Sarebbe basato coinvolgere i comuni e le cooperative del sistema Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che assicurano da anni accoglienza e inserimento lavorativo. Certo, si sarebbe dovuto rinunciare a sventolare davanti all’opinione pubblica lo spauracchio dell’invasione immigrata. Cercare da subito il coinvolgimento di molti più enti locali, nel quadro di un piano straordinario di accoglienza. Si sarebbe dovuto anche chiedere con maggiore autorevolezza all’Europa di assumersi le proprie responsabilità, cominciando in particolare da quei paesi che avevano salutato, e anche incoraggiato e sostenuto, le rivolte sull’altra sponda del Mediterraneo. Ma avremmo avuto bisogno di un altro governo. E probabilmente anche di un altro paese.

.

Siamo gli specialisti dei montascale. Per la tua tranquillità scegli la competenza del n° 1 al mondo, garantita da oltre 500.000 clienti e da più di 16 anni di presenza in Italia. Amiamo il nostro lavoro e con impegno e passione mettiamo a tua disposizione la nostra esperienza.

Progettiamo su misura per te e la tua casa. Per darti il massimo della sicurezza, della praticità d’uso e del design, costruiamo uno a uno i nostri montascale a misura della tua casa e delle tue esigenze.

800-818000 Chiamata gratuita Lun-Sab 8.00/20.00

www.stannah.it

Abbiamo la più ampia gamma di modelli. Solo con noi hai la libertà di scegliere il montascale che più ti piace, tra 7 modelli e 70 diverse combinazioni. Stannah offre soluzioni diverse e personalizzate per tutte le esigenze e tutte le tasche.

Abbiamo una garanzia in più: il servizio! Con Stannah hai un’assistenza certa, veloce ed efficace, in tutta Italia. Dal primo contatto a dopo l’installazione, ci impegniamo a essere sempre al tuo fianco.

Persone di cui fidarsi. Dal 1867.


l’inchiesta

Abbas che fu imbarcato a forza, tornerà a casa da agricoltore La notte che scappò da Tripoli, Maiga Abbas mai avrebbe immaginato che si sarebbe trovato quasi due anni dopo in Italia, in una cascina di Codroipo. Quando le truppe dei ribelli si stavano ormai avvicinando alla capitale, il suo primo pensiero fu semplicemente quello di tonare a casa, in Niger, paese da cui se ne era andato anni prima per cercare un lavoro, emigrando in Ghana e poi nella Libia di Gheddafi. Dove, tra l’altro, aveva trovato un bell’impiego come addetto alla vendita e magazziniere in un negozio di via Primo Settembre, il corso principale della capitale. Ma quando, scoppiata la guerra, arrivò a Misurata, l’ultima città libica prima del confine, venne catturato dall’esercito regolare, richiuso in una prigione con l’accusa di essere un mercenario al servizio dei ribelli, riportato di nuovo a Tripoli e poi imbarcato su una carretta del mare condotta da un capitano «che – racconta – non sapeva nemmeno leggere la bussola». Da quel momento il suo viaggio prese una direzione inaspettata, e iniziò la sua odissea in Italia. Sbarcato a Lampedusa, Abbas è stato assegnato prima a un centro di accoglienza di Campobasso e infine mandato a Seves, dove è stato ospitato negli appartamenti gestiti da una cooperativa sociale nata dalla sera alla mattina, di cui mai nessuno aveva sentito parlare. «Per i primi tre giorni –

ricorda – il proprietario nemmeno ci voleva dare la chiave. Alle 8 di sera chiudeva e riapriva la mattina. Per non parlare del cibo. Avevamo scoperto che il gestore faceva la spesa settimanale per 16 persone con 100 euro». Mentre ne intascava 46 ogni giorni per ognuno di loro. Una bella cresta. Fortunatamente, però, c’erano i volontari della Caritas. Che non solo davano lezioni di italiano ad Abbas, ma si sono presi a cuore il caso e lo hanno aiutato a far valere i propri diritti. Così, in seguito alla sua denuncia, la prefettura ha deciso di chiudere la sedicente comunità; Abbas è stato trasferito in un centro di accoglienza vero, a Desio, gestito dai missionari saveriani. E ha potuto cominciare a pensare al proprio futuro. Qui è nata l’idea di Codroipo (Udine). «Il mio desiderio è sempre stato quello di aprire una fattoria in Niger. Lì la mia famiglia ha delle terre, ma non le sa sfruttare. Così, quando gli operatori della Caritas mi hanno proposto uno stage in un’azienda agricola dove insegnano a coltivare con poca acqua, ho pensato che era la mia occasione». Della vicenda di Abbas, nel frattempo si è interessata anche una ong nigerina. Chissà che Abbas, profugo suo malgrado, non possa davvero tornare a casa. Come aveva sperato di fare quella notte di due anni fa.

Idrissa, tornitor giovane giunto non accompagnato Salerno, storie di integrazione riuscita. Anche grazie alle aziende del Vallo di Diano di Stefania Marino La sveglia per Idrissa suona ogni mattina alle 5.45. Alle 6.45 è già all’incrocio dei semafori a Padula, provincia di Salerno, in attesa del suo collega di lavoro. In piedi, con il suo zainetto sulle spalle, aspetta impaziente di raggiungere la zona industriale di Polla. Idrissa (nella foto) da nove mesi fa il tornitore per una rinomata azienda del Vallo di Diano. Nel 2011 era in Libia. Lavorava come tanti giovani subsahariani, prima di ritrovarsi nel vortice della guerra scoppiata dopo le rivolte della Primavera araba. E quando sbarcò a Lampedusa, ad agosto, minore straniero non accompagnato, per la legge italiana, forse mai avrebbe pensato di poter trovare, dopo tanta sofferenza, la tranquillità di una casa e di un lavoro. La storia italiana di Idrissa e di altri

ragazzi, tutti in fuga dal conflitto libico, approdò a Padula la sera del 13 agosto 2011. Idrissa in Libia aveva iniziato a lavorare come tornitore, così quando l’anno scorso la Caritas di Teggiano-Policastro approntò un progetto di inserimento socio-lavorativo, fu cosa naturale cercare un’azienda dove Idrissa po-

tesse continuare a fare il suo mestiere. Il progetto è stato battezzato “Orme nella sabbia”, per rievocare il cammino migratorio. Sei mesi di tirocini per diventare falegname, fabbro, panettiere, tornitore, agricoltore. Quando i tirocini sono finiti, il datore di lavoro di Idrissa ha premiato la forza di volontà, l’assennatezza e l’impegno del ragazzo che, ormai maggiorenne, ha continuato ogni mattina a raggiungere l’azienda a Polla: dal 1° gennaio ha in tasca un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Idrissa racconta volentieri la sua giornata, la pausa caffè con i colleghi anche se lui di caffè non ne prende, la aprile 2013 scarp de’ tenis

.23


Emergenza grandi sprechi voglia di stare ogni giorno e sempre di più dentro i discorsi in lingua italiana. Ora desidera due cose: prendere la patente e far venire suo fratello in Italia dalla Guinea. Tra i ragazzi accolti a Padula, ce n’è un altro, pure lui minore straniero non accompagnato, fino all’anno scorso, che dopo sei mesi di passione e sacrificio ha ottenuto un contratto di lavoro. Si chiama Mahammadou. A giugno dell’anno scorso ha iniziato a fare il pane, i cornetti e i biscotti in un panificio del paese. I due ragazzi da qualche mese non hanno solo in comune il fatto di avere un lavoro, ma anche la vita sotto lo stesso tetto. Hanno infatti lasciato la struttura di accoglienza dove hanno abitato per un anno e mezzo e dove hanno studiato l‘italiano e si sono trasferiti in una piccola casa nei dintorni. Stanno imparando a vivere da soli, a fare le pulizie, il bucato, a cucinare, a fare la spesa. I loro orari di lavoro sono diversi, ma riescono a incrociarsi la sera per la cena, quando Mahammadou dal forno porta a Idrissa il panino che gli servirà per il pranzo del giorno dopo.

Poco lontano da lì vive un altro ragazzo, Sissoko. Viene dal Mali. Anche lui ha compiuto 18 anni e il suo percorso lavorativo è fatto di natura. Un mondo verde, dove ogni giorno Sissoko si immerge con impegno severo, tra la coltura degli ortaggi, l’allevamento degli animali e il silenzio della campagna.

Zachariah sul muletto A Padula, comune a sud-est della provincia e della Campania, ai confini con la Basilicata, sono rimasti anche altri quattro ragazzi, tutti minori stranieri non accompagnati, tutti impegnati dall’anno scorso in borse lavoro stipulate tra la Caritas diocesana di Teggiano-Policastro e quattro aziende locali. Falaye, sedicenne, della Guinea, impara il mestiere in un’azienda del Vallo di Diano che si occupa di impianti di termoidraulica; Zachariah, proveniente dal Ghana, tra qualche mese compirà 18 anni: ogni mattina raggiunge un’azienda di Padula che si occupa di materiali edili, sale sul muletto, sposta i blocchi di mattoni che devono essere caricati sui camion e quando finisce, non tutti i

giorni, va ad allenarsi. Perché ama giocare a pallone ed è stato notato anche da una squadra locale, che lo vorrebbe in campo. Poi c’è Maliki, 16 anni, anche lui una vita itinerante, iniziata in Mali, continuata in Libia – senza genitori – quando era appena un ragazzino: ora, da circa un anno, respira profumo di legno in una falegnameria a San Pietro al Tanagro. Ed è il mestiere che vorrebbe continuare a fare in Italia. Infine c’è Daniel, anche lui del Ghana, che a settembre prossimo diventerà maggiorenne: la sua borsa lavoro ne sta facendo un fabbro, in un’officina a Buonabitacolo. «Il mio auspicio – riassume don Vincenzo Federico, direttore della Caritas diocesana – è che questi ragazzi continuino il percorso lavorativo intrapreso, sperando che possa confluire in un rapporto di lavoro». Per ora, resta la soddisfazione di una buona pagina di immigrazione e di accoglienza. Anche grazie alla disponibilità di realtà imprenditoriali che, malgrado la particolare congiuntura economica che attanaglia il paese, non si sono tirate indietro. Di questi tempi, non è poco».

.

Dai una mano a chi ti dà una mano. Grazie a Saf Acli puoi mettere in regola subito e a prezzi veramente contenuti chi lavora per te, assistendo le persone che ti sono più care. Numero Verde

Il nostro servizio comprende anche la consulenza e l’orientamento legale e il costante aggiornamento interpretativo in merito a previdenza e fiscalità del rapporto di lavoro domestico. Per informazioni vai su www.safacli.com (clicca su Area lavoro Domestico) oppure chiama il nostro n. verde 800 184 900.

800 184 900 www.safacli.com


ph. uezzo.com reclam.com

Il 5x1000 non ti costa niente. Devolvendo il 5x1000 del tuo reddito a Opera San Francesco, puoi contribuire a offrire ogni anno 800.000 pasti caldi, 63.000 ingressi alle docce e 37.000 visite mediche a donne e uomini

poveri e bisognosi. Da piĂš di 50 anni, con il lavoro di oltre 600 volontari, le donazioni di beni e danaro e i lasciti testamentari, Opera San Francesco assiste e dona una speranza a chi non ha nulla.

Basta indicare il nostro codice nella dichiarazione dei redditi:

97051510150

Viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp n. 456202 Tel. 02.77.122.400

www.operasanfrancesco.it

Ringraziamo:

Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo. Tutti i giorni.


Tarnabod, nord-est dell’Ungheria. La popolazione è al 90% rom. Sforzi e proclami di inclusione. Ma la minoranza è sotto attacco Partito estremista Raduno di Jobbik, il cui cavallo di battaglia è la propaganda “antitzigana”

Nel villaggio dagli occhi spenti di Paolo Riva È una fredda giornata di febbraio e il cielo sopra Tarnabod, un villaggio a 120 chilometri da Budapest, è grigio e colmo di nubi. È cupo e ricco di oscuri presagi, come l’orizzonte che si profila davanti a chi arriva in Ungheria per occuparsi di rom. Il paese, che dal 2010 è governato – con alcune derive autoritarie – dal populista conservatore Viktor Orbán, è negli ultimi anni salito alla ribalta per episodi inquietanti nei confronti di questa minoranza. L’ultimo, in ordine cronologico, è stato l’editoriale scritto da Zsolt Bayer, giornalista e fondatore del partito Fidesz, lo stesso del premier Orbán. A gennaio Bayer, sul quotidiano Magyar Hirlap, ha definito i rom “inadatti a convivere”. «Non sono capaci di vivere tra le persone – ha aggiunto, commentando una rissa in cui alcu«In realtà – riflette Veronika Gulyas, ni degli assalitori erano appunto rom –. corrispondente da Budapest per il Wall Sono animali e si comportano da aniStreet Journal – quella del partito di gomali. Vanno sradicati». Parole pesanti, verno è una linea ambigua. Da un lato che contrastano con alcuni provvediprende provvedimenti volti a promuomenti del governo, che sembrerebbero vere l’inclusione di questa minoranza andare nella direzione opposta. fortemente discriminata, dall’altro fa un Durante il suo semestre di presidencerto tipo di dichiarazioni, pensate per za dell’Ue, infatti, Orbán si vanta di aver guadagnare consensi a destra, in quelapprovato il quadro europeo di coordil’area politica in cui sono molto cresciunamento per l’inclusione dei rom, doti gli estremisti di Jobbik». cumento che stabilisce i principi da seNelle elezioni del 2010, in cui Fidesz guire per le strategie di tutti gli stati e il suo leader Orbán hanno ottenuto la membri. Compresa l’Italia, che si è domaggioranza dei due terzi in parlamentata per la prima volta lo scorso anno di to, Jobbik è passato dal 14,8% delle prequesto importante strumento. cedenti consultazioni europee a oltre il

26. scarp de’ tenis aprile 2013

16%. La lotta alla criminalità “zingara” e la propaganda “anti-zigana” sono stati due dei cavalli di battaglia di questo partito xenofobo, e sono in molti a collegare le sue idee ai casi di violenza contro la comunità rom negli anni passati. Due su tutti. Il primo caso è del febbraio 2010: nel villaggio rom di Tatárszentgyörgy, poco dopo mezzanotte, uno sconosciuto ha lanciato bottiglie molotov su una casa e quando i suoi abitanti hanno cercato di fuggire, l’aggressore ha sparato su di loro, uccidendo un uomo e il figlio di quattro anni. Il secondo caso è avvenuto nell’aprile dell’anno successivo, quando trecento rom sono stati evacuati dopo che, per alcuni giorni, un gruppo paramilitare di estrema destra aveva pattugliato le strade della loro cittadina, Gyöngyöspata.

Facilitare l’incontro Tarnabod è un piccolo centro in mezzo alla campagna nel nord-est del paese, a meno di 50 chilometri da Gyöngyöspa-


il reportage ta. Per raggiungerlo bisogna guidare per un quarto d’ora su un’arteria secondaria e sconnessa. Entrando nell’abitato, alcune strade sono asfaltate, la maggior parte no. Ai margini dell’insediamento, si intravedono i ruderi delle case abbandonate da chi se ne è andato alla ricerca di una vita migliore. Sono state spogliate di tutto: cancelli, porte e finestre, utile legna da bruciare per scaldarsi durante l’inverno. A differenza di Gyöngyöspata, cittadina con una popolazione mista, a Tanabord vivono solo rom. Rappresentano il 90% degli abitanti, che non raggiungono le mille unità e che in sei casi su dieci hanno meno di 18 anni. La regione è una delle più arretrate del paese. Un terzo delle abitazioni è priva di acqua corrente, la disoccupazione è molto elevata, il livello medio di istruzione scarso e i sussidi statali, recentemente tagliati da Orbán, fondamentali per molte famiglie. Soprattutto rom.

Volontà di integrarsi «La povertà estrema in Ungheria molto spesso tocca la comunità rom che, su una popolazione di dieci milioni di abitanti, è stimata tra le 600 mila e le 800 mila persone (non esistono dati ufficiali)». A spiegarlo è Szilárd Lantos, sulla soglia della sede del Servizio di carità ungherese dell’Ordine di Malta, per il quale lavora. È il responsabile di un progetto attivo a Tarnabod dal 2004 e illustra la condizione in cui vivono i rom ungheresi. «Stiamo parlando di una popolazione ormai stanziale – sottolinea Lantos –. Chiarito questo, non possiamo dire che i rom siano esclusi dal sistema di welfare, ma piuttosto che, come altre fasce deboli, faticano ad avere risposte. E poi c’è il capitolo che riguarda la discriminazione, elevata e diffusa nei loro confronti. Se è vero che si sono verificati episodi gravi che hanno fatto parlare in maniera negativa dell’Ungheria anche all'estero, ciò non significa che i rom abbiano paura a uscire in strada nella vita di tutti i giorni. Il nostro ruolo è essere facilitatori dell’incontro tra la maggioranza ungherese e la minoranza rom».

Feantsa

Gli homeless trattati da criminali: «L’Ungheria viola la dignità umana» A metà marzo Viktor Orbán, grazie alla larga maggioranza di cui gode in parlamento il suo partito Fidesz, ha cambiato nuovamente la costituzione ungherese. L’opposizione, per protesta, ha abbandonato l’aula al momento del voto, l’Unione europea ha definito le nuove norme “antidemocratiche” e anche Feantsa, la federazione europea che riunisce gli organismi che si occupano di senza dimora, ha fatto sentire la sua voce. Le modifiche introdotte, infatti, non solo danno maggiori poteri all’esecutivo e riducono le possibilità di intervento della Corte costituzionale, ma limitano anche alcune libertà politiche e civili. Tra queste, quelle degli homeless ungheresi. Gli emendamenti approvati criminalizzano le persone costrette a vivere e dormire per strada, prevedendo nei loro confronti multe e pene detentive. Il governo aveva già provato a introdurre una norma simile tra il 2011 e il 2012, ma il tentativo non aveva avuto successo. Ora è entrato in vigore, in un momento in cui i circa diecimila senza dimora di Budapest e del paese rischiano di crescere vigorosamente, considerato che l’economia magiara è entrata nella seconda recessione in quattro anni e le agenzie di rating hanno da tempo abbassato a “spazzatura” il giudizio sul debito sovrano ungherese. Per Feantsa, cui aderisce anche l’italiana Fio.psd, si tratta di un’operazione «incostituzionale perché viola la dignità umana (...). Quello dei senza dimora è un problema che andrebbe affrontato con un intervento e un’assistenza di tipo sociale, non punendo queste persone». Per tale motivo, continua Feantsa in un comunicato, «la comunità europea e internazionale deve concentrare i propri sforzi per agire contro questo voto e sostenere i valori che stanno alla base dell’Unione Europea». Il premier Orbán non sembra però un politico che si lascia impressionare: a cause delle modifiche costituzionali da lui volute, l’Ue ha già aperto tre procedure di infrazione comunitaria nei confronti dell'Ungheria. Lantos, dopo quasi dieci anni di lavoro a Tanabord, giura sulla «assoluta volontà di queste persone di vivere in case degne di questo nome, di garantire ai loro figli un’istruzione e di trovare un lavoro». E indica un vecchio magazzino, a poca distanza dal centro del villaggio. Dal 2006 è stato riconvertito in un’azienda che ogni anno ricicla 500 tonnellate di materiale elettronico. Dà lavoro a 30 persone e quando ha aperto sono arrivate 150 domande. «È senza scopo di lucro, perché nessun imprenditore verrebbe a investire qui. Ma riusce a stare sul mercato». L’azienda è solo uno dei tasselli dell’intervento condotto a Tarnabod dal Servizio di carità ungherese dell’Ordine di Malta: gli altri sono stati la ristrutturazione di circa una ventina di abitazio-

ni, l’acquisto di un pullmino per collegare il villaggio al centro più vicino, un sostegno per le famiglie affidatarie e i bambini adottati, la riconversione dell’unico pub locale in un luogo per giovani e bambini e, ultime ma non certo per importanza, la riqualificazione della scuola e l’apertura dell’asilo. Il risultato è stato giudicato positivo, il programma è stato replicato in altre dieci comunità ed è stato inserito nel progetto di scambio transnazionale “Pairs” (www.pairs-see.net). Proprio a Tarnabod, a inizio febbraio, sono arrivati in visita 17 organizzazioni europee (per l’Italia il Ceas di Milano, l’Opera Nomadi e il comune di Ferrara) per la conferenza di lancio del progetto. Conclusa la visita al paese, alla fabbrica e ai centri comunitari quello che resta è il commento di un’operatrice sociale, che lavora quotidianamente con i rom nel suo paese d’origine: «Le persone che abitano qui sembrano avere tutti gli occhi spenti...».

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.27


Ora non diventi Città dell’Abbandono Sconforto e tensione, tra lavoratori e nell’indotto della Città della Scienza, eccellenza di Napoli distrutta da un incendio doloso. Ma non manca la volontà di reagire

di Arnaldo Capezzuto Brucia nelle coscienze, la palla di fuoco che ha scheletrito l’unico museo scientifico interattivo italiano: la Città della Scienza di Napoli. In fumo se ne sono andati 12 mila metri quadrati di struttura coperta, strumenti, spazi espositivi, supporti per scoprire, giocare, stare insieme, in gita con la scuola o la domenica con la famiglia. Non rimangono che intelaiature di materiali pesanti bruciati. Chi frequentava la Città, riconosce spazi e suppellettili anneriti: le sedie del bar, le postazioni per i piccoli scienziati, gli strumenti dell’Officina dei piccoli, i disegni del buon mangiare del laboratorio permanente Gnam. Dopo l’incendio, chiaramente doloso, alla Città della Scienza ci siamo andati anche noi di Scarp Napoli, accompagnati dal giornalista Arnaldo Capezzuto, profondo conoscitore dell’anima criC’è chi piange. Chi fissa incredulo quelminale della città: volevamo indagare le maledette lingue di fuoco. C’è chi non nei risvolti di un fatto di cronaca che vuole guardare e con la testa tra le mani, ha scosso il mondo accademico italiacome in un mantra, sussurra : «Svegliano e internazionale. Nel cantiere abtemi... è solo un incubo. Un brutto inbiamo avvertito odore di bruciato, ma cubo. Queste cose non possono accaanche il rumore della gru, segno sonodere». Sono seduti a semicerchio: a tratro di ripartenza. Con le nostre piccole ti i loro volti sono rischiarati dal bagliocronache, andiamo dentro una notizia re del crepitio delle fiamme. che brucia ancora.

Hanno distrutto l’idea di rinascita, un luogo che allenava cervelloni Io non mi chiedo chi è stato a distruggerla, o il motivo: se per soldi, potere, per impossessarsi di quell’area e costruirci qualcos’altro. Io questo non lo so e non ne voglio parlare. Io so solo che distruggendola è come se avessero distrutto l’intera città, non fisicamente certo, ma hanno distrutto l’idea stessa di rinascita della nostra bella città. Sì, perché quegli antichi capannoni che ospitavano il museo scientifico più bello e più visitato d’Europa non erano solo un luogo di divertimento dove portare bambini e ragazzi in gita scolastica per farli svagare un po’ invece di farli stare annoiati in classe, ma un posto pieno di scoperte da fare, dove ci si poteva appassionare alle scoperte della fisica. E lì forse alcuni ragazzi hanno scoperto la passione per lo studio delle scienze, che hanno poi proseguito da grandi. Insomma, un luogo dove far allenare nuovi cervelloni e capire come funzionano alcune cose curiose, come Tecla, il dispositivo che simula i fulmini e le scariche elettriche, o il planetario, che mostrava la magia di costellazioni e pianeti. Tutto questo ora non c’è più: è tutto distrutto e ho visto che è tutto rovine bruciate, cenere, ferri deformati dal fuoco. Una vera cattiveria. Chissà quanto tempo ci vorrà per ricostruire e per vincere su tanta cattiveria. Massimo De Filippis

28. scarp de’ tenis aprile 2013

Sono geologi, biologi, ingegneri, docenti di scienze naturali e della terra, esperti di fisica e matematica, istruttori di laboratori, ricercatori, laureandi, addetti ai progetti formativi modulari con le scuole, stagisti, giovani guide: lavoravano tutti qui, con il compito principale di avvicinare i ragazzi alla scienza. «Avevamo visto crescere questo posto. È come aver perso un parente», raccontano quasi all’unisono. Sono una parte della grande famiglia – oltre 160 dipendenti, più l’indotto – della Città della Scienza. Sembra una veglia religiosa, il tempo è scandito dai loro racconti, per lo più ricordi, aneddoti, curiosità. Non si parla al passato, ma al presente. Non si celebra un funerale, ma una possibile resurrezione. La parola d’ordine è: reagire. Darsi da fa-

Mozziconi d’orgoglio Ecco quel che resta della Città della Scienza, vanto di Napoli, dopo il rogo doloso che l’ha quasi interamente distrutta


l’inchiesta re. Rimboccarsi le maniche. Non è semplice. Anzi. La salita è irta di difficoltà. Loro però ci sono. Le assemblee sono autoconvocate con un sms. Ci si vede al bar e si discute. La rabbia, la tensione, la preoccupazione si sciolgono in una tenue speranza, che non è rassegnazione. Occorre alzare la testa. C’è da soffrire. E pure tanto.

La riflessione

L’ennesimo femminicidio, ma circolano ancora gli onesti

Il futuro fa paura La Città della Scienza non navigava nell’oro. Da dieci mesi i lavoratori non prendevano lo stipendio. Una situazione difficilissima, che non ha impedito, con fatica, di mandare avanti le attività. Ora per una parte dei dipendenti è scattata la cassa integrazione straordinaria. Una parte dei lavoratori dalla Fondazione Idis sono stati dati in prestito a Campania Innovazione, una partecipata della regione, che li impiega appunto nella Città della Scienza. A dicembre, però, scade il contratto e in teoria le unità in prestito dovrebbero ritornare alla traballante Fondazione. Fuori restano i precari, che negli anni hanno sottoscritto contratti atipici. Non hanno diritto a nulla. Per loro non c’è nessun ombrello protettivo. Niente di niente. Il malessere serpeggia e la tensione è palpabile. La preoccupazione di ritrovarsi dopo anni con in mano un pugno di mosche è forte. Per ora hanno redatto un documento e lo hanno indirizzato ai vertici della Città della Scienza, fa-

Quella che è stata la Città della Scienza, orgoglio e vanto di questa nostra tanto bistrattata e vituperata polis, che via via sembra sempre più assomigliare a Calcutta, non c’è più. Napoli: non solo miseria, disagi di ogni sorta, malgoverno, ma da alcune settimane è pure vedova di una splendida struttura, che tutto il mondo ci invidiava. Quando la città era viva, ho avuto la fortuna di conoscerla nel suo pieno splendore; venivo da Roma, in treno, con me decine di persone di ogni parte del mondo: giapponesi, cinesi, australiani, europei, apolidi. Io mi chiedevo: certo vengono a Napoli non solo per osservarne il “folclore”, o per mangiare le squisite sfogliatelle di Attanasio. No, in fondo questa città ha regalato a tutti semplicemente la Storia: la prima ferrovia, il primo acquedotto, la terza metropolitana d’Europa, una delle prime università al mondo – quanti ricordi mi assalgono e mi legano a quegli scranni della Federico II... –. E gli stranieri e migliaia di italiani visitavano Napoli anche perché, in più, c’era lei... Ma questo è il passato. Il presente: la Città della Scienza violata, l’ennesimo femminicidio, bruciata, uccisa da mani che mai sapranno di quali nefandezze si sono macchiate. Camorra? Beghe interne, maestranze sull’orlo di una crisi di nervi? Oppure un neofita Nerone, geloso perché nella sua caput mundi questa meraviglia non c’era? Ipotesi, domande, alle quali la magistratura dovrà rispondere. Onore e soprattutto onere, e l’arduo compito di scoprire la verità su quello che oggi appare come l’ennesimo mistero di napoletana memoria. La gente perbene, quella che oggi è vedova della Città della Scienza, vuole risposte, non alchimie oscure. Per favore trovatele e poi evitate di buttarle nel vaso di Pandora (la birichina questa volta potrebbe decidere di non scoprire quel vaso, e noi non sapremo mai lle verità che ci sono dovute). Si sa: le nostre patrie galere sono piene obsolete, vetuste, ma un posticino, magari il più angusto dove collocare questo fecciume che si è macchiato di un delitto contro l’umanità, lo si può trovare, magari liberando qualche ladro di polli. Questo è quello che si augura la gente onesta, nonostante tutto: nella nostra antica Neapolis, di gente così ancora ne circola. Aldo Cascella aprile 2013 scarp de’ tenis

.29


Ora non diventi Città dell’Abbandono cendo pervenire la loro disponibilità a continuare l’esperienza e contribuire alla rinascita della struttura. Bisogna procedere a piccoli passi. C’è poi l’arcipelago dell’indotto – circa 300 persone – che ruota attorno alla Città della Scienza. Senza considerare chi è cresciuto e vive da sempre a Bagnoli e che ha impiantato attività commerciali all’ombra di quelli che un tempo erano gli impianti dellacciaieria Italsider. «La Città della Scienza era l’unica cosa che avevamo, ora ce l’hanno tolta», spiega da dietro il bancone del suo bar Antonio Russo. Sulla stessa lunghezza d’onda Antonio e Silvana Bellopede, commercianti: «Pochi mesi e saremo costretti a chiudere. Noi tiravamo avanti grazie ai visitatori dei padiglioni del museo; adesso, tempo un paio di settimane e saremo abbandonati». Forse proprio la parola “abbandono” è la più pronunciata. «Guardate com’è ridotta la spiaggia qui dietro – grida scuotendo la testa Antonio –, solo degrado, abusivismo, immondizia. Lasciano così uno degli angoli più belli del mondo. E adesso cosa si fa?».

.

La riflessione / 2

Un disegno criminoso che ferisce i sentimenti di un’intera comunità La mente umana è una parte del nostro organismo che impegna molto gli studiosi della psiche che cercano di capire alcune manifestazioni morbose che riguardano il nostro cervello. Ancora oggi ci sono comportamenti che presentano lati davvero oscuri, questo perché non si riesce a penetrare nei meandri del cervello per capire bene le patologie di chi ha reazioni folli, inspiegabili e di difficile interpretazione. Davvero non riesco a dare una spiegazione plausibile del gesto folle e premeditato, messo in atto e portato a termine poche settimane fa da persone senza scrupoli, che hanno studiato nei minimi particolari un disegno criminoso per ferire i sentimenti e la sensibilità di una città che, nonostante la recessione, cerca di andare avanti con dignità e decoro. La Città della Scienza, una struttura di estese dimensioni che si trova a Bagnoli, è stata incendiata. I padiglioni, con tutto il materiale scientifico, elettronico e archeologico, sono stati dati alle fiamme. Le ceneri e l’odore acre del fumo ci hanno aggredito, in occasione della nostra visita, come orribile e inconfutabile prova di un gesto perverso, nefando, vandalico. Non si conosce ancora il movente del rogo, che ha causato un danno di così notevoli dimensioni: tutto è andato a fuoco, quasi nulla si è salvato. I giudici stanno indagando per fare chiarezza e per punire con una pena esemplare chi ci ha privati di un bene comune che apparteneva alla città. Sergio Gatto

GLI ATTI DI VANDALISMO SONO AGGRESSIONI, E TU SEI LA VITTIMA.

IL VANDALISMO SUI TRENI CI COSTA OGNI ANNO 12 MILIONI DI EURO

NON RESTIAMO A GUARDARE INFO E SEGNALAZIONI NUMERO VERDE 800.500.005 WWW.TRENORD.IT


il ricordo É morto monsignor Nervo, “padre” delle Caritas in Italia

L’esempio di don Giovanni contagioso profeta di carità di Paolo Brivio

S Era nato profugo. Dal 1971 ha guidato la neonata Caritas Italiana. Promuovendo opere di aiuto, ma anche una cultura di giustizia e condivisione

E N’È ANDATO UN AMICO. ANZI, UN PADRE. Il 21 marzo a Sarmeola, provincia di Pado-

va, si è spento monsignor Giovanni Nervo. Aveva 94 anni. Era nato profugo: a Casalpusterlengo (Milano), il 13 dicembre 1918, da una famiglia che la guerra aveva scacciato da Solagna (Vicenza). A 13 anni era entrato nel seminario della diocesi di Padova, da cui sarebbe uscito sacerdote nel 1941. Dal 1945 al 1950 era stato assistente provinciale Acli a Padova, dal 1950 al 1963 cappellano di fabbrica con l’Onarmo (Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai) e dal 1963 al 1965 responsabile nazionale del servizio sociale. Nel 1964, con altri docenti della Scuola di servizio sociale di Padova (da lui istituita nel 1951: uno dei primi esempi nel paese, dal quale sarebbero usciti centinaia di operatori e assistenti sociali), aveva creato un centro di studio e formazione nel settore delle politiche sociali , intitolato a Emanuela Zancan. Ma la svolta della sua vita (non solo privata: fu una delle novità più importanti della storia della chiesa italiana degli ultimi quattro decenni) arrivò il 2 luglio 1971: dopo che papa Paolo VI aveva sciolto la Poa (Pontificia opera di assistenza), la Conferenza episcopale italiana costituì Caritas Italiana e incaricò proprio Nervo di organizzarla, in qualità di presidente. Da quel momento cominciò una storia di passione, di profezia e di organizzazione, che sarebbe durata quindici anni (nel 1986, alla guida della Caritas, gli subentrò don Giuseppe Pasini, suo collaboratore) e che avrebbe incardinato nel tessuto civile, oltre che ecclesiale del paese, quello che ancora oggi è il più noto “marchio” della solidarietà in Italia. La definizione del compito pedagogico dell’organismo (educazione alla giustizia e alla condivisione, non solo pratica di aiuto), l’impianto delle Caritas diocesane in ogni angolo del paese, l’accoglienza e il supporto alle vittime di grandi catastrofi umanitarie (Friuli, Vietnam, Irpinia, Corno d’Africa), le battaglie per riconoscere dignità e far ammettere al servizio civile una generazione di giovani (saranno centomila), la lucida e instancabile opera culturale di promozione del volontariato e della sua natura gratuita: Giovanni Nervo è stato un maestro di carità, un uomo di fede tanto profonda da solidificarsi in opere coraggiose, un innovatore sociale. Scarp, che è nato nella famiglia Caritas, riconosce in lui un padre. Ed è felice di essere cresciuto alla scuola del suo esempio contagioso.

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

..31


Parkour, sport di salti: spazi urbani senza percorsi prestabiliti

La metropoli non è un autogrill di Stefania Culurgioni Se quando scegli una strada all’improvviso ti si piazza davanti un ostacolo che ti impedisce di proseguire – un parapetto, una balaustra, un muro, una scala, un balcone – tu non fermarti e non cambiare percorso. Usalo come punto d’appoggio: prendi la rincorsa, fai leva con le gambe o le braccia, e saltalo. Se ci riesci, ti sei inventato un nuovo modo di vivere la strada. O forse, un nuovo modo di vivere e basta. Si fanno chiamare traceurs, termine francese che significa “tracciatori” ma che, al di là del significato letterale, indica coloro che praticano il parkour. Disciplina inventata appunto in Francia negli anni Novanta, ma che in Italia si è diffusa in questi ultimi anni e affascina sempre più giovani. Parkour: tando il proprio corpo alla strada, ai dal francese “percorso”, con una k al posuoi intralci, alle sue barriere, facendo sto della c, per renderlo più “forte”, più movimenti naturali (ma per i quali ci si aggressivo e più suggestivo. Proprio codeve allenare) che permettono di anme le evoluzioni di chi lo pratica. dare oltre l’ostacolo, saltarlo, superarlo, Il parkour infatti è proprio questo: non farsi fermare. un nuovo sport fatto di salti, capriole, arrampicate e giravolte, il cui scopo è Nuovo linguaggio giovanile spostarsi nel modo più efficiente pos«Siamo di fronte a un nuovo linguaggio sibile in un ambiente metropolitano. In giovanile, che mette il corpo in movipratica, seguendo un percorso in città, mento. Un linguaggio che vuole risechi fa parkour deve superare qualsiasi mantizzare gli spazi urbani – spiega genere di ostacolo vi sia presente, adatMaurizio Ferraresi, professore di socio-

Quattro piccoli rom, rapper e “traceur”: «Così ci sentiamo liberi, contro le barriere» Saltano da una casa all’altra con agilità e destrezza, si muovono tra grossi blocchi di cemento che giacciono vicino alle loro abitazioni, si arrampicano con rapidità sui muri. Sono Hashim, Elvedin, Dino e Ecrem, in arte Brian, Dino, Sefedin e Kalo. Quattro ragazzini rom, appassionati di musica rap e di parkour. Lo scorso anno sono diventati famosi nel panorama rap milanese perché hanno inciso la loro prima canzone hip hop, che racconta la loro vita al campo. Ed è proprio lì, tra case fatiscenti, sporcizia e blocchi di cemento, che hanno iniziato a fare parkour. «Il parkour ci piace perché ci fa saltare e poi perchè è uno sport da maschi – spiegano i quattro piccoli rapper –. È la prima cosa che facciamo quando entriamo al campo, a volte però lo facciamo anche in oratorio». Il parkour è forse un modo per sentirsi più liberi e per superare, anche se solo con dei salti, i limiti e le barriere che i quattro ogni giorno sperimentano, in sieme agli altri rom. La padronanza del corpo permette di acquisire maggiore capacità di stare in relazione con gli altri e con l’ambiente circostante, soprattutto se ostile. E Milano, con i rom, non è che in questi anni sia stata tenerissima...

32. scarp de’ tenis aprile 2013

logia allo Iulm di Milano –, spazi che sono stati pensati e creati per le persone e per le auto, percorsi prestabiliti tra gli edifici, che ci consentono di attraversare la città. Ma certamente non sono fatti per poterci costruire o inventare itinerari alternativi. È come quando entri in un autogrill: devi seguire il corridoio e la direzione obbligata, perché così ti costringono a vedere tutta la merce in esposizione. E solo alla fine trovi l’uscita. Il parkour è la sovversione di questa regola. È la ricerca di nuovi percorsi, di nuovi modi di spostarsi». Le radici di questa disciplina si trovano in Francia, quando negli anni Novanta un ufficiale della marina, Georges Hérbert, ebbe l’idea di sviluppare un


il reportage metodo di allenamento per l’addestramento delle truppe. Il principio alla base del metodo era che il miglior modo per allenare un uomo è farlo esercitare nei movimenti naturali che sa fare, in situazioni che la natura gli presenta e gli richiede. In seguito David Belle, figlio di un pompiere addestrato proprio con il metodo di Hérbert, approfondì la tecnica. Cominciò a sperimentare percorsi e tracciati fin da ragazzino e alla fine divenne talmente bravo che fondò una vera e propria disciplina. Basta cliccare su youtube (il PK si è diffuso in Italia e nel resto del mondo grazie alla rete) per capire che in realtà non si tratta solo di sport, ma di una vera e propria filosofia: «I valori del parkour – racconta in video David Belle – sono importanti per insegnare ai giovani il rispetto di se stessi e la conoscenza dei propri limiti, per poter affrontare i piccoli grandi ostacoli che la vita pone davanti al cammino di ogni essere umano». E così, in Italia, Fiaba (Fondo italiano per l’abbattimento delle barriere architettoniche) ha collaborato con associazioni di PK per mostrare un modo reale, alternativo e intelligente di sfruttare con rispetto gli spazi periferici e abbattere le barriere stesse. Secondo le regole del parkour, il “tracciatore” virtuoso persegue un ascolto dei segnali del suo corpo e cerca di migliorarsi lentamente, senza fretMilanmonkeys in azione Un’esibizione del più importante gruppo meneghino di parkour. InFo www.milanmonkeys.com

Saltatori meneghini

La disciplina dei Milanmonkeys: «Ascolto la testa, supero i limiti» Francesco ha 21 anni e da sei anni pratica il parkour. Se si pensa che la disciplina è arrivata in Italia solo nel 2000, è da considerarsi a tutti gli effetti un veterano. Qualche anno fa, insieme ad altri ragazzi che condividevano la sua passione, ha fondato i Milanmonkeys, la più importante realtà di parkour a Milano. Quando hai iniziato a fare parkour e perché? Ho iniziato a 15 anni. Ero incuriosito dai video in rete e in tv. Quanti ragazzi si allenano nel vostro gruppo? Il nostro gruppo conta circa un centinaio di associati, e quando lo creammo non ci aspettavamo un così rapido incremento del numero di iscritti in così pochi anni. Questo è senza dubbio dovuto al notevole aumento della visibilità del parkour nei media, in particolare in televisione e in internet, che incuriosisce le persone e le porta a informarsi sulla disciplina. Che cos’è per te il parkour? Una disciplina che mi insegna a diventare più forte, rendendomi capace di utilizzare corpo e mente nel migliore dei modi per superare gli ostacoli. Qual è il tuo ricordo più bello legato al parkour? E la cosa più “folle” che hai fatto? Uno dei momenti a cui sono più affezionato sono stati i tre giorni di raduno che abbiamo organizzato a Milano nel 2011: vedere tante persone venire da posti diversi per partecipare a qualcosa di “nostro” è stata una grande emozione. La cosa più folle risale a qualche settimana fa, durante uno dei nostri allenamenti. Ha nevicato tutto il tempo, e abbiamo fatto quadrupedia (un esercizio in cui si procede “a quattro zampe”, ndr) con le mani nella neve: dopo appena due passi già non mi sentivo più le mani. Su youtube, spesso si vedono traceur o aspiranti tali schiantarsi eseguendo salti o altri esercizi. Il rischio di infortuni è elevato? Il rischio di infortuni c’è, come in qualsiasi altra attività sportiva, a qualsiasi livello. Nel parkour però abbiamo una componente emotiva molto forte, che spesso si traduce in paura di farsi male. Se incanalata nella forma giusta, questa può essere una preziosa alleata per progredire con i ritmi giusti, prevenendo movimenti azzardati di cui non siamo sicuri. Nei miei sei anni di allenamento non ho mai avuto infortuni gravi proprio perché ho sempre dato ascolto alla mia testa, e non ho mai agito con incoscienza, superando i miei limiti lentamente, con un allenamento costante. Ti è mai capitato di dover spiegare a un poliziotto o a un passante che non stavi facendo niente di male? Certo. Una volta dover interrompere l’allenamento per spiegare era praticamente una routine. Ora però, merito della maggiore popolarità della disciplina e della costanza nello spiegare cosa facciamo alle persone delle zone in cui ci alleniamo, non capita più spesso come prima. Michele Ambrosini ta. Chi fa PK vive in prima persona l’insicurezza, la paura, il senso di incapacità e la lentezza del progresso ad ogni salto che compie, e impara a superare queste esperienze emotive negative, e ad andare avanti. «È una disciplina affascinante perché raddrizza la vita delle persone, nel senso che incanala le energie e produce una novità – continua il sociologo Mauro Ferraresi –; è un nuovo modo di interpretare la strada, è

una controstrategia per divertirsi con le strutture urbane. Infine, il PK è nemico dei blocchi che la città impone». Ogni appiglio o ostacolo infatti viene vissuto da chi fa PK come un punto di appoggio, da superare in maniera fluida ed efficiente. Questo insegna a non arrendersi mai davanti a un problema, ma al contrario a sfruttarlo per proseguire in modo migliore la marcia verso il proprio obiettivo finale.

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.33


Nel far west dei senza-maestri Alessandro Gassmann, prima regia: un film in bianco e nero sulle periferie, la violenza per sopravvivere, una generazione digitale in attesa di guide

di Daniela Palumbo

Volevo «raccontare il far west delle periferie, da cui le istituzioni sono assenti. E allora la sopraffazione diventa una risorsa di sopravvivenza. La latitanza dello stato è un’assenza colpevole 34. scarp de’ tenis aprile 2013

»

Alessandro Gassman è un uomo fortunato. Non solo perché, banalmente (ma neppure tanto, di questi tempi) è ricco, bello e famoso. È anche una persona serena, con una storia sentimentale intensa e duratura, un figlio che adora, un lavoro che è anche passione e successo. E lui lo sa. Per questo racconta, senza un filo di retorica: «La prima cosa che faccio quando mi sveglio è ringraziare, perché lo so che ho tanto. E non solo in senso materiale». Ha tanto. Diversamente da Roman, il romeno padre di Nicu – un ragazzo fragile e insicuro –, protagonista di Razza Bastarda, il film in cui Alessandro Gassman ha un doppio ruolo: firma la regia ed è protagonista. Il film è un adattamento della piece teatrale Cuba and his Teddy Bear. Con il titolo Roman e il suo cucciolo, Gassman ha portato nei teatri questo spettacolo per lungo tempo e nel 2011 ha vinto il venza. La latitanza dello stato è un’aspremio Ubu. Razza Bastarda è il titolo senza colpevole. scelto da Gassman per la versione cinematografica, in uscita il 18 aprile. Il protagonista, Roman, è scappato Razza Bastarda: un termine forte... dalla Romania di Ceausescu e arrivato L’ho usato proprio perché io non vorrei clandestinamente in Italia. Spaccia comai più sentire parlare di razza. Qualcaina e vive in un ambiente degradato. cun altro ha dimostrato che non esistoHa un figlio di 18 anni, Nicu, che non ha no le razze umane e il film è il mio momai conosciuto sua madre. Roman lo do per affermarlo. I romeni non sono il ama in modo esagerato, totale, nel beflagello dell’umanità. La maggior parte ne e nel male, con la bestialità di cui è lavora sodo. Poi però bisogna far rispetcapace. Ma vorrebbe che lui avesse un tare le regole, e questo è il punto: le podestino diverso dal suo. Cerca di tenere litiche di integrazione non si affermano Nicu lontano dalla droga, ma non è in a parole, bisogna costruirle sul campo, grado di gestire la crescita e la fragilità di attraverso le regole e i diritti. Invece i noun figlio alla ricerca della sua identità. stri politici hanno raccolto voti sul disagio sociale. È mostruoso che chi nasce in Italia non abbia la cittadinanza. QualGassmann, primo film da regista, in cuno obietterà che per me è facile parbianco e nero. Perché? lare di diritti, vengo da un mondo in cui Perché quando immaginavo il mondo la periferia è lontana. Ma è assurdo proin cui vivevano Roman e Nicu, lo vedevo senza colori. È buio, cupo, dentro e prio il fatto che chi nasce lì, nel far west, fuori di loro. La periferia dove si muove non solo non si sogna di ringraziare Dio Roman è quella di Latina, ma in realtà per la vita che ha, ma si deve attrezzare potrebbe essere qualsiasi luogo: è la pecon la violenza per sopravvivere. Certo riferia del mondo. La stessa, ovunque. che poi diventa un nemico per la soNel film non c’è mai una sirena di policietà... zia, un giudice che indaga, uno straccio di istituzione. È voluto. Volevo raccontaE la speranza, in questo far west? È re il far west delle periferie, da cui le istidifficile vederla... tuzioni sono assenti. E allora la soprafHo fiducia in questi ragazzi. Penso che fazione diventa una risorsa di sopravvici voglia un cambio di maestri, quelli di


testimoni L’artista

Erede di una passione e una professione

oggi non lo sono più. Molti hanno fallito. Dopo la seconda guerra mondiale, per reazione, si ebbe un periodo fertile: quella generazione ha avuto splendidi maestri, da un punto di vista morale e intellettuale. Forse questo nostro tracollo, non solo economico, per ciclicità porterà una generazione consapevole, attrezzata, tesa verso i diritti. Ha un figlio di 14 anni. Come vive il rapporto con questa generazione? Hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Mi rendo conto di quanto la generazione digitale viva i rapporti umani specialmente in rete, perdendo così delle cose... il contatto fisico, la vicinanza di sguardi. Ma non bisogna neppure dare giudizi affrettati. Loro, per esempio, sono molto più informati e consapevoli di noi alla loro età, ma proprio per questo sono spaventati. Hanno bisogno di essere rassicurati, coinvolti nella vita sociale, nella quale vedo che hanno voglia di spendersi. Ma vanno anche alimentati di speranza, di affetto. Toccherà a loro cambiare, là dove noi non siamo riusciti. Io li aspetto con fiducia. Nel libro Sbagliando l’ordine delle cose (edito da Mondadori ndr) lei si è rac-

Opera prima Alessandro Gassman insieme a Giovanni Ansaldo in una scena di Razza Bastarda, esordio alla regia dell’attore romano

contato, fin da giovanissimo. Emerge la figura di un ragazzo fragile, che esprimeva le sue paure attraverso la violenza… Il sopruso, le bugie, la violenza sono cose che mi spaventano e che metto nei lavori dove a condurre sono io. Le conosco bene, perché in parte, da ragazzo, per una sorta di ribellione, le ho praticate. Ma la violenza che avevo dentro io non è la più pericolosa. Sto portando in tournée Riccardo III di Shakespeare, nei teatri (data finale al Teatro di Venezia il 28 aprile, ndr): la sua violenza non è manifesta come quella di Roman, ma è ben più pericolosa, perché è spinta solo dalla sete di potere. Il sopruso mascherato dai bei modi mi fa più paura. Il libro autobiografico è (anche) un ritratto che Gassman figlio traccia di un padre complesso ma amatissimo.

Nato nel febbraio 1965, Alessandro Gassman è il terzo dei quattro figli del grande Vittorio. Giovanissimo, a 17 anni, studia recitazione alla “Bottega Teatrale” di Firenze (fondata dal padre) e inizia con il teatro, una delle sue passioni, trasmessagli dal genitore. Poi si è dedicato al cinema, con tanti titoli, commedie soprattutto; i premi più significativi (David di Donatello, dedicato al padre, Nastro d’Argento e Ciak d’Oro al miglior attore non protagonista) arriveranno con Caos calmo (2008). Intanto è proseguita intensa l’attività sulle scene teatrali: Gassman è attualmente direttore del Teatro Stabile di Venezia (che comprende anche il Verdi di Padova). La sua direzione – fino al 2014 – ha incrementato gli spettacoli diretti ai giovani e la risposta di pubblico non ha disatteso le aspettative, con una media del 20% di spettatori in più

Cosa le manca oggi di suo padre? Intanto capire cosa avrebbe detto del mio lavoro oggi. Mi piacerebbe anche sapere per chi avrebbe votato. Mi manca la sua capacità di farmi ridere. Mio padre era una persona speciale. Ha sempre voluto farci vivere in una famiglia dove bisognava guadagnarsi tutto, non dava mai per scontata la ricchezza. Lui ha vissuto il ventennio fascista e non dimenticava quel periodo. Ha dovuto cambiare il cognome ebreo per sfuggire alle leggi razziali. Io ho ripreso molto da lui. Sono meticoloso e faccio tutto passo dopo passo, senza prendere scorciatoie. Vittorio lo faceva per primo e ce lo diceva sempre: «Se nella vita hai la possibilità di scegliere fra due cose importanti, scegli sempre quella che per essere raggiunta ha bisogno di maggiore sforzo». Oggi avremmo tutti bisogno di maestri come lui. Con un grande cuore.

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.35


milano Avviata la causa di beatificazione del “prete dei barboni”, amico e benefattore dei disperati. Con lui, don Mazzolari e Olivelli

Fratel Ettore, beato della strada Como Emergenza o beneficenza, “penne nere” in prima fila Torino Sei povero? Attaccati al tram Genova Arca di salvezza, in carcere va in scena la speranza Vicenza Contro le mafie un “Noi” responsabile Rimini Gli immigrati e la valigia del rientro forzato Firenze L’inverno è finito, l’accoglienza no Napoli Gente di talento, Antonella testarda creativa Salerno Un grido da “dentro”: «La prigione è lutto» Catania Minori “in obbligo”, la formazione non si tocca

36. scarp de’ tenis aprile 2013

di Marta Zanella L’annuncio è arrivato lo scorso 18 febbraio: fratel Ettore Boschini sarà beato. I vescovi delle dieci diocesi della Lombardia, nell’ultima Conferenza episcopale lombarda, hanno infatti approvato l’avvio dell’iter canonico per l’introduzione alla causa di beatificazione del “prete dei barboni” della stazione Centrale, morto nel 2004. La procedura canonica prevede, come primo passaggio formale in una causa di beatificazione, l’assenso della Conferenza episcopale regionale. Una volta ottenuto questo via libera, il fascicolo può essere presentato alla Congregazione per le cause dei santi per ottenere il “nulla osta”, l’atto in forza del quale la Chiesa locale che promuove la causa, in questo caso la diocesi di Milano, può aprire formalmente il processo di beatificazione. Da quel momento, al candidato agli altari spetta il titolo di “servo di Dio”. rio pubblico di viale Ortles, dove andava Oltre che per Fratel Ettore, a febbraio a dire messa, arrivava a portare provviste l’avvio della causa di beatificazione è ed era capace di scambiare le proprie stato approvato anche per altri nomi noscarpe con quelle di un senza dimora. ti: don Primo Mazzolari, coraggioso preAlla fine del 1978 aprì il suo primo te antifascista, Teresio Olivelli, partigiano “rifugio” in via Sammartini: due stanzocattolico morto nel campo di concenni immensi e bui sotto i binari della statramento di Hersbruck, monsignor Giozione Centrale, che gli furono dati in afvanni Cazzani di Cremona e Carlo Acufitto per poche lire: ne trasformò uno in tis e fra Jean Thierry dell’arcidiocesi di Milano.

Lo pensavano folle Che fosse un po’ folle, lo pensavano in tanti. Non poteva sembrare del tutto normale, in effetti, uno che girava per Milano su una Uno bianca con una statua di gesso della Madonna fissata sul tettuccio, indosso una veste nera con una grande croce rossa. Eppure uno così sarà proclamato beato. Perché santa è stata la vita di fratel Ettore Boschini, religioso camilliano che per decenni si è preso cura dei senza dimora della stazione Centrale di Milano. Nato nel 1928 a Riverbella, in provincia di Mantova, dopo una gioventù un po’ scapestrata aveva cambiato vita diventando sacerdote nell’ordine dei Camilliani. A Milano arrivò negli anni Settanta e qui divenne presto il “prete dei barboni”: i primi incontri con gli uomini della strada avvennero al dormito-

L’amico degli ultimi Una bella immagine di Fratel Ettore Boschini in mezzo ai poveri che ha tanto amato


scarpmilano Il ricordo

Abito nero capelli di quarzo, Medio Evo piovuto a Milano Ecco come la penna di Piero Colaprico, prestigioso cronista di Repubblica e affermato romanziere, ricordava il sacerdote camilliano su Scarp de’ tenis, immediatamente dopo la sua scomparsa, nel settembre 2004.

dormitorio, con un altare per la messa e una schiera di letti, nell’altro allestì una mensa per garantire a tutti un piatto caldo. In quel suo primo, ormai famosissimo rifugio ospitò tutta l’umanità dolente che la Milano da bere di quegli anni stava ignorando: senza dimora, immigrati, anziani soli e senza assistenza, malati psichiatrici, tossici e malati di Aids. Fratel Ettore non diceva sempre la cosa opportuna al momento giusto: era capace di piombare in piazza Duomo e mettersi a predicare, irrompere come una furia in un consiglio comunale o a una cena di beneficienza con il rosario in mano. Sembrava quasi fuori dal tempo, con la sua generosa dedizione e la sua incrollabile fiducia nella Provvidenza. Ma faceva davvero del bene, agli “ultimi” della fila.

.

Oggi si parla tanto di clonazione, ma clonare uno come fratel Ettore sarebbe un’opera impossibile. Aveva coraggio, aveva gambe e, con il rosario in mano, non lo fermava nulla. Ai suoi funerali c’erano tremila persone, e nessuno s’è stupito che scorressero le lacrime, che i fedeli, quelli che lo vogliono già santo, andassero a toccare la Madonna di gesso sul tettuccio della Uno bianca, sicuri che quella statua l’Ettore l’aveva toccata tante volte con le sue mani nodose, e tante volte, pregando, aveva piegato la testa con i capelli grigi e ispidi come quarzo. Faceva del bene – e lo faceva sul serio – agli “ultimi” della lista, ai barbùn. E uno così, resta impresso nel cuore delle persone, anche di chi, per fortuna, ha sofferto poco. Nella sua vita perennemente in salita lo hanno derubato, accoltellato, l’hanno deriso, ha subito incendi e furti nelle comunità che via via è riuscito ad aprire, cominciando da quella famosissima sotto la stazione Centrale, in via Sammartini, nell’ormai lontano 1978. Ma non è mai crollato, si fidava ciecamente della voce che diceva di sentire dentro: «A grandi grazie di Dio fanno da contrappeso grandi croci», spiegava, senza mai aggiungere che era malato da quindici anni e più, e s’era sottoposto a tante operazioni. L’abito talare nero, con la croce rossa, gli stava addosso come un sacco, era la sua divisa da “facchino di Dio”: notte e giorno, lo si poteva vedere da solo che scaricava cassette di frutta o pasta da servire nelle sue mense, o medicare qualcuno ferito e senza documenti. E ora che fratel Ettore non c’è più, diventa chiaro che se n’è andato un uomo che sembrava piovuto a Milano dal Medio Evo dei “poverelli”, della fede totale nella Provvidenza, nel Dio che provvede e sostiene le imprese impossibili. In Duomo lanciava ai fedeli pacchi di rosari di plastica, come fossero caramelle. E in Arcivescovado si ricordano ancora di quella volta che era piombato nel primo pomeriggio, chiedendo del cardinal Martini. «Sta riposando», gli avevano risposto. E allora lui aveva ribattuto: «Allora mi riposo anch’io», e s’era steso davanti alla porta, piombando in un sonno profondo. Sapeva che Martini non l’avrebbe mai scacciato: era infatti lo stesso Martini che, in incognito, andava a riempire i piatti dei barbùn accolti da quell’irripetibile religioso. Una notte di neve, era la metà degli anni Ottanta, aveva invitato anche il cronista: «Vieni fratello, ti farò vedere una cosa formidabile contro l’Aids», disse. Cominciò, a tarda sera, un viaggio nelle strade ghiacciate e deserte della periferia nord, in tre sul sedile anteriore di un furgone. Cosa aveva in mente fratel Ettore? Avanzò per primo lungo una scala buia, nel cortile di una cascina, poi si spalancò davanti a noi una grande stanza, piena di brandine, letti e paraventi. Alcuni giovani magrissimi erano attaccati alle flebo, altri parevano agonizzare, erano più pallidi delle lenzuola di carta che li avvolgevano: «Sono poveri malati di Aids», disse, e corse ad accarezzarne uno. Intorno a quell’ospedale da campo, si muovevano alcuni clochard, barbe e capelli lunghi, scarpe da tennis sfondate. Erano loro a fare da infermieri: «Capisci, fratello? Gli ultimi – tuonò fratel Ettore – aiutano quelli che sono ancora più ultimi». Piero Colaprico

aprile 2013 scarp de’ tenis

.37


Regione Toscana

mostra-convegno internazionale

terrafutura buone pratiche di vita, di governo e d’impresa

Firenze - Fortezza da Basso

17/19 maggio 2013 abitare

2004-20 13

X edizione | ingresso libero

produrre

coltivare

Dieci anni dopo: oltre la crisi, per una nuova Europa

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

agire

governare

www.terrafutura.it Relazioni istituzionali e programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica tel. 049 7399726 - 055 2638745 email fondazione@bancaetica.org

Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale tel. 049 8726599 email segreteria@adescoop.it

Relazioni istituzionali e programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica tel. 049 7399726 - 055 2638745 email fondazione@bancaetica.org

Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale tel. 049 8726599 email segreteria@adescoop.it

www.terrafutura.it


scarpmilano

Gli EttorE di oGGi. Corda, da quarant’anni al servizio dei “poveracci”

Francesco fedele alla sua fissa Non è uno che la fa breve, quando racconta. Gli piace ricordare nomi, date, luoghi. Gli piace spiegare com’è andata. D’altronde, a 78 anni – «compiuti proprio ieri» e portati benissimo – ha sulle spalle un bel po’ di storia della “Milano dei barbùn” da raccontare. Ma stavolta gli chiediamo di raccontarci la sua, di storia: come è arrivato a dedicarsi ai «poveracci di questa città», perché ci si sia dedicato con tanta fedeltà per oltre quarant’anni. E allora lui si schermisce e cerca di parlare d’altro. Francesco Corda è un uomo dolce, dal sorriso largo, gli occhiali tondi e i (pochi) capelli bianchi. Ed è un amico storico di Scarp: è infatti il fondatore dell’associazione “Effatà-Apriti!”, legata alla parrocchia di San Luca in Città Studi, che si occupa fin dagli anni Ottanta dei senza dimora che ruotano nei dintorni di piazza Leonardo, davanti al Politecnico.

re altre persone: «L’idea non era solo di dare un pasto, ma di creare occasioni per stare insieme in un clima amichevole, e far sapere loro che c’erano persone a cui importava la loro vita, e che volevano poter essere di aiuto, oltre l’occasionale piatto da mangiare». Così nacquero le prime cene, nell’ottobre del 1984, organizzate da quello che prese il nome di Gruppo Emmaus.

Tutto nacque nel 1968 «L’inizio di tutto risale al 1968, quando mi sono trasferito in questa parte della città, in via Teodosio. Una delle prime cose che ho fatto è stato guardarmi intorno, alla ricerca di qualche attività di aiuto ai poveri con cui collaborare – si sbottona un po’ Corda –. Ho sempre avuto un po’ la fissa dei poveracci, fin da piccolo, quando sono rimasto orfano e in tanti si sono presi cura di me. Sì, è nata così: sentivo il dovere di restituire un po’ della cura che avevo ricevuto...». Nato e cresciuto in Sardegna con i fratelli e gli zii, lì ha studiato ed è divenuto perito chimico. Il servizio militare l’ha portato a Milano, da dove non è più ripartito. Quando è arrivato in Città Studi stava lavorando come ricercatore alla Montecatini, era riuscito a frequentare una laurea serale che gli aveva dato il titolo di ingegnere chimico e aveva alle spalle un’esperienza di volontariato con gli anziani soli dell’Istituto Palazzolo. «Alla chiesa di San Pio X, da poco tempo avevano incominciato a organizzare una cena per i senza dimora il martedì sera: erano i primi anni della “Cena dell’Amicizia”, e anche se non era la mia parrocchia dal 1969 iniziai a fare il volontario lì. Sono stati anni vivaci, i Settanta: organizzavamo le cene, si facevano raccolta fondi e autofinanziamento, poi cominciai a partecipare alle prime Commissioni grave emarginazione di Caritas Ambrosiana – rievoca Corda –. Partecipavano i rappresentanti di chi si occupava di senza dimora all’epoca: noi, Ermanno Azzali, c’era Fratel Ettore». Ma la storia di Francesco Corda prende un’altra piega nel 1984, «quando

Il padre di Effatà Francesco Corda, parla con un ospite di una delle cene del martedì sera

nella mia parrocchia di San Luca organizzarono degli incontri culturali sul tema “Ripartire dagli ultimi”».

All’inizio fu una cena Con il coadiutore del tempo, don Paolo Visentin, e qualche altro parrocchiano, pensò che valesse la pena provare a “unire le forze” di chi voleva impegnarsi nel campo del sociale e del gruppo giovani – allora molto numeroso –, impegnato in una vivace attività culturale. Una ventina di quei giovani accettarono la sfida e pensarono di proporre qualcosa agli uomini che allora si accampavano per dormire in piazza Leonardo. Scelsero di proposito di organizzare una cena per loro il martedì, la stessa sera in cui già la “Cena dell’Amicizia” apriva le sue porte, per poter intercettare e segui-

Il cui cammino si è dipanato fino a che, nel 1991, ne è scaturita un’associazione, con il nome “Effatà-Apriti”. Alle prime cene, trent’anni fa, partecipavano setto o otto senza dimora, ma con il tempo il numero degli amici è cresciuto, e oggi sono una trentina le persone che presenziano regolarmente alla cena del martedì. La storia più recente racconta di altri passi in avanti: un’accoglienza notturna per quattro ospiti, nuovi locali belli e luminosi, amici accompagnati all’autonomia e alloggi indipendenti, un centro diurno. È una storia che oggi è scritta da tante persone, ognuno con il suo piccolo o grande impegno. Ma che ha una trama feconda anche perché è intrecciata alla vita di un’uomo dolce, e sempre fedele al suo impegno di quarant’anni fa.

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.39


Renato, 48 anni e 1.500 pecore: parla il gaì, lingua segreta delle valli, e aspetta che da Milano se ne vadano i grattacieli

L’ultimo pastore, il capo dei bambini di Maria Chiara Grandis È il racconto di un sogno L’ultimo pastore, il film di Marco Bonfanti sul nomade bergamasco Renato Zucchelli. Doppio sogno, in verità: quello di Zucchelli, che a 8 anni scriveva alla maestra di preferire la natura ai grattacieli. E quello del regista, 33enne milanese (nel curriculum due “corti”, uno dei quali costato 6 euro e selezionato al Festival del cinema di Cannes), che dopo aver portato il suo primo lungometraggio a tutti i maggiori festival internazionali di cinema, dagli Stati Uniti agli Emirati arabi, ora ha trovato anche un distributore: l’Istituto Luce Cinecittà. A Milano è stato il cinema Mexico a ospitare l’anteprima del film, all’inizio di marzo. Assente proprio lui, l’ultimo pastore. Perché Renato, 48 anni, non ama parlare in pubblico e all’italiano preferisce il dialetto delle valli. A raccontare la sua storia, al pubblico in sala, c’era il regito da leone”. «Da lui ho imparato tansta. E dopo la proiezione, Marco Bontissimo – sorride Bonfanti –. Prima di fanti racconta a Scarp il tema che da tutto che se inseguiamo i nostri sogni sempre lo affascina e lo ispira: l’inconcon determinazione possiamo realiztro fra tradizione e modernità. zarli, come è successo a Renato, che è «Un giorno mi hanno detto che a riuscito a riempire la sua esistenza faMilano si aggiravano pecore al pascolo. cendo quello che davvero voleva. Io lo Così dopo mesi di ricerche ho finalvedo sorridere, è felice». mente trovato Renato. Quando l’ho viEppure non è semplice, la vita di un sto ho capito subito che avrei voluto fapastore nomade nell’anno di grazia re un film sulla sua storia – ricorda Bon2013. Soprattutto alle porte di una mefanti –. L’ho tempestato di telefonate, tropoli, dove il cemento ogni giorno ruma lui niente. Alla centesima ha accetba centimetri ai prati e le pecore hantato, ma solo quando gli ho spiegato ciò no sempre meno erba da brucare. Un che volevo fare: raccontare una fiaba». problema, sul quale Marco e Renato si sono capiti subito. «Quando ho interviRenato. il capo dei bambini stato i bambini della chiesa di corso Renato Zucchelli vive in provincia di Ventidue marzo mi hanno detto che Milano con la moglie e i quattro figli. non sapevano nemmeno cosa signifi“Allevatore”, sta scritto sulla sua carta di casse essere un pastore. Qualcuno penidentità alla voce professione; “pastosava addirittura che esistesse solo nel re”, ha preferito per il biglietto da visita. presepe. In quel momento mi sono Il mestiere se lo è scelto a 17 anni, nodetto: ma se portassimo gli animali nostante il parere contrario della mamproprio nel cuore della grande città e ma. Lo fa come una volta, spostando il facessimo vedere ai bimbi cosa sono? suo gregge di 1.500 pecore in base alle All’inizio Renato era convinto che non stagioni: in estate le porta al pascolo ce l’avrei mai fatta. Poi è diventata annelle malghe delle Orobie, dove l’erba che la sua missione». è tenera e verde, e torna nella pianura E nel centro di Milano, in piazza del milanese quando sulle Alpi arriva il Duomo, il gregge di Zucchelli ci è arrifreddo, a costo di attraversare circonvato davvero. Era il 1° ottobre 2011 e vallazioni e tangenziali. Il suo motto? tutti i milanesi ricordano la loro piazza “Meglio un giorno da pecora, che cen-

40. scarp de’ tenis aprile 2013

invasa dai belati e dai campanelli di oltre 700 ovini, che neanche il rumore del traffico è riuscito a coprire. «Quel giorno Renato era felice di incontrare i bambini delle scuole: italiani, marocchini, cinesi, indiani – spiega il regista –. Lui è il capo dei bambini, perché vede le cose come loro. Data la stazza, potremmo definirlo un gigante buono, ed è l’opposto di quello che si potrebbe immaginare. Prima di tutto è dolce e non burbero e poi, anche se so che non bisognerebbe mai buttarla in politica, io immaginavo che avrei incontrato un leghista. Invece no. Un esempio? Renato tiene molto all’integrazione razziale, come sta avvenendo a Milano, dove fra l’altro è lui a vendere gli animali ai kebabbari della città».

Gregge metropolitano Renato Zucchelli, protagonista di L’ultimo pastore, mentre guida le sue pecore per le vie di Milano. A destra, in alpeggio


scarpmilano Una Milano più umana Il film non è un documentario, tiene a dire Marco Bonfanti, anche se racconta una storia vera. «Renato Zucchelli è come lo vediamo, nessun altro avrebbe potuto interpretare il suo ruolo – sottolinea –. La sceneggiatura l’ha solo aiutato a tirare fuori pensieri ed emozioni che non aveva mai condiviso pubblicamente». Zucchelli non solo è uno degli ultimi pastori nomadi del nostro paese, ma è anche fra le ultime persone a conoscere il gaì, l’antica lingua segreta dei pastori delle valli. Il suo è un mondo che sta scomparendo e che lui difende in silenzio con il lavoro quotidiano: la sveglia all’alba e la compagnia del cane alla guida del gregge e con Bubu, immaginario amico a quattro zampe del socio Piero Lombardi. Anche i figli sono partecipi dell’attività della famiglia, come la moglie Lucia, che non solo amministra i conti, ma è la figura che tiene unito il mondo fiabesco di Renato con la realtà. «A volte mi sembra quasi sia lei la protagonista del film», riflette Bonfanti, che fra i suoi maestri cita Giorgio Diritti, di cui proprio il cinema Mexico ospitò a lungo Il vento fa il suo giro, e prima ancora Ermanno Olmi. «Siamo tutti suoi figli – dice Marco, che dall’autore dell’Albero degli zoccoli ha ricevuto una lettera di complimenti. Altri sono arrivati dalla Cina, dall’artista dissiden-

Il film

Piccolo capolavoro indipendente, dopo i festival nelle sale italiane Scritto e diretto da Marco Bonfanti, l'ultimo pastore si è conquistato la fama di un piccolo capolavoro in tutto il mondo: dal Dubai International Film Festival a quello di Torino, passando per il Portland International Film Festival negli Stati Uniti. Il film è stato prodotto da due etichette indipendenti milanesi: la Gagarin di Franco Bocca Gelsi (già distintasi in passato per lavori dal contenuto sociale, come Fame chimica e Fuga dal call center) e Zagora di Anna Godano, realtà che sperimenta nuovi linguaggi. Il sostengo e patrocinio della Lombardia Film Commission e del comune di Milano hanno permesso la realizzazione della scena finale in piazza Duomo, dove hanno transitato oltre 700 pecore. Hanno sostenuto il progetto anche Unes Supermercati, Sorgenia, Milano Serravalle, CoopLombardia, provincia di Bergamo, Wwf, Slow Food, Kyoto Club, Unesco e Onu hanno dato il loro patrocinio. Dal mese scorso L’ultimo pastore è distribuito nelle sale italiane da Istituto Luce Cinecittà: dopo la Lombardia, dal 7 maggio sarà in 17 sale nel Lazio. Il calendario delle proiezioni è sul sito ufficiale www.lultimopastore.it.

te Ai Weiwei. Mi ha detto che, grazie alla natura, ho riconquistato un luogo deumanizzato, come è oggi il centro di Milano». Il film è stato girato tre anni fa, quando la crisi economica in Italia era solo agli inizi. «Con le mie pecore io ce la farò, diceva Renato», ricorda oggi Bonfanti, mentre le fabbriche chiudono e anche i top manager annaspano.

Ce la fa, il pastore, nonostante tutte le difficoltà che il mestiere comporta. «Perché Renato non lascia Milano per la montagna? Perché lui è un sognatore, non molla – conclude il regista –. Anzi, cerca sempre di migliorare il mondo che lo circonda. Quando glielo ho chiesto, mi ha detto che sono i grattacieli a doversene andare, non le sue pecore. Lui la pensa così».

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.41


PcOfficina recupera computer e sviluppa software libero. Laboratorio aperto a tutti. E impegnato in progetti sociali

L’arte del trashware nell’Officina solidale di Simona Brambilla È uno spazio dedicato alla condivisione di saperi informatici, alla nobile arte del trashware (riciclo-recupero di materiale informatico), al software libero. È la PcOfficina, uno spazio aperto circa una decina di anni fa a Milano. «PcOfficina nasce dalla comune idea di alcune persone, desiderose di condividere l’affascinante quanto nobile pratica del trashware – spiega Fabio Rocca, responsabile di PcOfficina –. Il progetto è nato all’interno dell'incubatore di imprese creative giovanili ConnAction, nel quale abbiamo avviato il primo laboratorio, sviluppatosi anno dopo anno in quello che PcOfficina è oggi, cioè un’associazione di promozione sociale». La pratica del trashware ha lo scopo di recuperare vecchi hardware, computer diversi, e di dar loro nuova mettendo insieme anche pezzi di vita. Ma non è l’unica attività svolta

nella PcOffina. Parallelamente al recupero e al riutilizzo di materiale informatico ritenuto, spesso erroneamente, inutile e obsoleto, PcOfficina sviluppa infattia nche anche un’attività di promozione del software libero e dei sistemi Gnu-Linux che, ad oggi, proprio per la loro versatilità, sono gli unici capaci di “far resuscitare” dei computer altrimenti destinati alle discariche, con gravi pericoli ambientali. «L’unione tra l’anima trashware e

!$

( )% %# $!

%!'-

(%"!()!

''!+

&& $ $ $ ! "$ "!& &&

(( ! # $& ( "! & && $

%

!" $& ) % & &$"

" !

&" !" &

!" ' !

&$"' $

') ""%$

%' %'

+ "

*(! *'! + " %' % ' ! '! $ %') ""!)! (! $ ' %' $,% "" ( $%) $! % " ((!% $! %'&% ! ""% " "" ))% ! !" $%

' !

( )) # '


scarpmilano Il progetto

Pc al Beccaria? Sopravvissuti! I ragazzi difficili fanno progressi

quella open source ci ha permesso di diventare un piccolo ma attivissimo punto di riferimento cittadino per realizzare qualcosa di funzionale, slegato dai meri diktat commerciali, che impongono di comprare e buttare, invitando tutti a prendere coscienza dei propri strumenti, scegliendo noi cosa sia meglio per la nostra crescita intellettuale. In tutto questo si inserisce anche il vero collante che unisce tutte le attività di PcOfficina: creare aggregazione. Che questo avvenga sotto forma di semplici (interminabili) chiacchierate davanti a una birra, o organizzando un corso di informatica a prezzi popolari, poco importa: da noi al centro c'è sempre la persona, poi le cose».

Luogo dove ci si sporca le mani

PcOfficina in questi anni ha sviluppato moltissimi progetti. Nel 2010 ne è stato avviato uno molto importante con il carcere minorile Beccaria, che ha permesso ad alcuni giovani detenuti di conseguire l’Ecdl, la patente europea per il computer. «Il progetto con il Beccaria ci ha visti coinvolti per la parte tecnica – spiega Fabio Rocca –. Siamo stati contattati da un educatore all’interno del carcere minorile, che ci ha illustrato come sia problematico mantenere attivo il laboratorio poichè, come spesso accade in contesti “difficili”, i computer vengono “cannibalizzati” per gli usi più strani: dal recuperare fili e cavi per sistemare altri dispositivi elettrici al puro vandalismo messo in pratica dai soggetti più “inquieti”, ragazzi che alle spalle hanno problemi gravissimi. Avendo noi a disposizoone un parco macchine piuttosto ampio, siamo riusciti a fornire loro una decina di computer funzionanti». Nonostante questi inconvenienti, che spesso capitano con ragazzi difficili e che hanno commesso reati, il computer forniti dalla PcOfficina sono stati ben preservati e anzi hanno permesso ad alcuni di fare importanti passi in avanti nel loro iter formativo. Il carcere Beccaria, attraverso quel laboratorio, ha voluto ribadire di essere un luogo prettamente educativo, non solo punitivo. «A distanza di qualche mese abbiamo anche avuto feedback sul fatto che il parco macchine è comunque rimasto abbastanza intatto, e i pc continuino a essere utilizzati... – conclude Fabio Rocca –. A parte qualche sostituzione di mouse e tastiere, il laboratorio continua a essere fruibile; l’educatore ci ha anche riferito che due ragazzi hanno conseguito con successo l’Ecdl, ovvero la patente europea del computer, e questo ci ha rallegrati, poichè siamo stati parte diretta della loro formazione. Un risultato che ci rende veramente fieri».

Nelle scuole, con i bambini Si preparano i computer per il progetto DoudouLinux, dedicato ai piccoli

La PcOffina è infatti un luogo aperto a tutti coloro che vogliono approfondire il rapporto con il computer e con il mondo degli strumenti informatici. Non solo. In PcOfficina vengono organizzate attività con le scuole, con associazioni territoriali e anche con le carceri. «Cosa importante, però è sottolineare che qui ci si sporca le mani: spesso accade che veniamo scambiati per un’alternativa ai negozi di riparazione o di assistenza informatica – ha sottolineato Rocca –. Niente di più lontano: chi viene da noi è messo in condizioni di agire lui stesso per la risoluzione del problema, spronandolo a fare altrettanto con chi viene dopo o con amici e vicini, in modo da innescare una vera circolazione dei saperi informatici. Questo ci porta a trovare un reale affiatamento con altre associazioni culturali o impegnate nel sociale, o con realtà scolastiche, che sposano l’idea di aprile 2013 scarp de’ tenis

.43


Vesti Solidale

I computer, dopo i cassonetti: tutela ambientale, vantaggio sociale Pc, monitor, neon, batterie, cavi elettrici, frigoriferi. Queste e molte altre apparecchiature ogni giorno diventano rifiuti elettronici, che si accumulano sempre più nelle discariche cittadine e inquinano pericolosamente l’ambiente. Da qualche anno la cooperativa sociale Vesti Solidale di Cinisello Balsamo ha avviato un progetto finalizzato al recupero di questi materiali, impiegando in questo lavoro persone svantaggiate. Vesti Solidale, cooperativa sociale che fa parte del consorzio Farsi Prossimo, dal 1998 opera senza fine di lucro nell’ambito dei servizi alla persona, ambientali e sociali, privilegiando le opportunità di lavoro per persone portatrici di un disagio fisico o psichico. Non solo: in cooperativa lavorano anche persone il cui passato è stato contrassegnato da una reclusione in carcere o da gravi dipendenze da alcol e droga. «E recentemente, in collaborazione con il Fondo Famiglia Lavoro della diocesi di Milano, abbiamo deciso di dare una possibilità lavorativa anche a padri separati, che sempre più spesso si trovano soli, senza una casa e un lavoro», precisa Carmine Guanci, responsabile del settore sviluppo e innovazione, nonché presidente della cooperativa». Alla Vesti Solidale, la cui storia è cominciata – come indica il nome – con la gestione dei cassonetti degli indumenti usati, sei persone svantaggiate si occupano della raccolta di apparecchiature elettroniche provenienti prevalentemente da attività produttive del territorio lombardo. «Le macchine non più utilizzabili vengono smontate dai nostri dipendenti e i pezzi ricavati (ad esempio schede elettroniche, alluminio o rame) vengono poi mandati negli impianti di smaltimento finale, in Italia o all’estero – continua Guanci –. Se invece le macchine sono ancora adeguate, vengono risistemate e re-immesse nel mercato». Il servizio che Vesti Solidale offre, denominato Retech, è attivo nell’intero territorio lombardo, ma grazie alla collaborazione con altre cooperative sarà presto replicato in diverse regioni. È stato stimato che la vita media di un computer è di circa quattro anni. Il riutilizzo delle apparecchiature elettroniche a fine vita, il recupero di componenti ancora funzionanti o comunque riutilizzabili, il rinvenimento di materie prime attraverso il disassemblaggio delle apparecchiature e il corretto smaltimento delle parti non recuperabili rappresentano quindi importanti fattori di salvaguardia dell’ambiente e di promozione di modelli di consumo eco-sostenibili. Vesti Solidale, per svolgere questi servizi, dispone di un impianto autorizzato con procedura ordinaria dalla provincia di Milano per lo stoccaggio e il trattamento dei Raee (Raccolta differenziata e recupero di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche). La cooperativa è inoltre in possesso della certificazione Iso 9001 e della certificazione ambientale Iso 14001: garantisce quindi il pieno rispetto delle norme inerenti il trattamento di questo tipo di rifiuti. Oltre a ciò, è socia del consorzio Certo (Consorzio nazionale eco-trattamento rifiuto tecnologico), che raggruppa gli operatori del settore che rispettano le linee guida Cei 308-2, ed è certificata Ecotech. Rispetto dell’ambiente e reinserimento sociale delle persone svantaggiate: sono le due stelle polari dell’azione di Vesti Solidale. Si tratta di soluzioni a problemi emergenti, ma anche di un modo concreto per far avanzare una nuova economia, in cui le istanze sociali ed ecologiche non siano cenerentole, ma protagoniste.

44. scarp de’ tenis aprile 2013

un apprendimento sereno, per allargare le conoscenze comuni. Tendenzialmente, le persone che vengono da noi in officina rimangono sorprese nel capire che anche l’informatica può essere divertente, aggregante e solidale».

Tanti progetti in tutto il mondo Nella sede della PcOfficina, situata in via don Minzoni 11 a Milano, oltre ad accogliere le persone ogni giovedì sera, dalle 20 alle 24, si studiano, elaborano e scrivono progetti volti a ridurre il digital divide sia in Italia che nel mondo. Warri per esempio è un progetto di e-learning, che prevede l’invio di cinque pc in Nigeria: diventeranno uno strumento per l’alfabetizzazione informatica. Altra iniziativa riguarda il rifacimento degli uffici del Naga di Milano, un’associazione di volontariato che promuove e tutela i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti, senza dimora: PcOfficina ha fornito al Naga una decina di pc che garantiscono il buon funzionamento degli uffici. «Abbiamo tanti, forse troppi progetti – continua sorridendo Fabio Rocca –. Il più significativo, al momento, vede al centro l’apprendimento dei piccoli; si basa sull’adozione di DoudouLinux, sistema operativo costruito sulle esigenze dei bambini, che definisce una serie di livelli di apprendimento attraverso programmi e giochi educativi, impostabili dai genitori a seconda delle fasi di crescita. Tutto ciò non richiede pc ultramoderni o strumenti di ultima generazione: DoudouLinux si può infatti utilizzare tranquillamente con i computer di dieci anni fa, quelli che magari noi adulti abbiamo abbandonato in cantina o lasciato sugli scaffali a prenedere polvere. Il tutto, con un occhio alla sicurezza su internet, grazie a un programma di parental control che filtra le ricerche, escludendo i siti con contenuti violenti o non adatti ai minori». In cantiere c’è anche un progetto con la scuola primaria Gabbro (“Sorelle Agazzi”) di Milano, nella quale si sta avviando un “ripopolamento” dei computer dell’aula di informatica, potenziandoli o sistemandoli a costo zero (importante, in tempi di crisi). La PcOfficina, insomma, non si ferma mai. L’informatica aperta a tutti: una missione che non conosce pause.

.


Tetraedro


latitudine como Gli alpini sono tra le più attive associazioni di volontariato comasche

Emergenza o beneficenza, “penne nere” in prima fila di Salvatore Couchoud

S

ONO PIÙ DI TRECENTO LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO che operano nel territo-

rio della provincia di Como, catalogate nel database del Csv (Centro servizi volontariato, consultabile al sito www.csv.como.it). L’elemento che le accomuna e che poco sorprende, considerati i tempi di vacche magre che stiamo vivendo, è costituito dall’impegno solerte e irriducibile sul fronte dell’emergenza e dell’assistenza ai più bisognosi, che in teoria dovrebbe essere meno scontato di quel che appare: se infatti nel caso della Croce Rossa Italiana, dell’Ozanam e della Caritas il sostegno agli emarginati rientra tra le finalità, per così dire, “statutarie” dell’organizzazione, non altrettanto si può dire per gli “amici del biliardo”, le bocciofile o gli amanti del bridge, che pure svolgono un ruolo di primo piano nella dura lotta alla crisi, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, dalla colletta tra i soci alla vendita di dolciumi fatti in casa. Tra queste associazioni ve n’è una che a Como non smette mai di stupire, anche perché non si tratta di un ente benefico, quanto di un soggetto derivato da un corpo militare. Sono gli alpini della locale sezione Ana, sempre in prima linea tutte le volte che c’è da sgobbare, nel senso fisico e muscolare del termine. Se occorre montare la tensostruttura per senza dimora a Sant’Abbondio o l’arredo per la vendita di beneficenza del Broletto, per esempio, ecco piombare sulla scena un commando di ultrasessantenni invasati che, in quattro e quattr’otto, completano l’allestimento, dando parecchi punti anche a qualche giovane collaboratore più baldanzoso a parole che a fatti. Ma non solo. «In occasione del sisma che ha colpito l’Emilia nel 2012 – spiega il presidente della sezione comasca dell’Associazione nazionale alpini, Enrico Gaffuri, quasi scusandosi per la “modestia” della cifra raccolta –, i settemila iscritti alla sezione lariana hanno donato 50 mila euro e messo in azione una serie di interventi strutturali, logistici e di trasporto a favore delle popolazioni colpite». A chi ritenesse che la funzione degli alpini sia limitata all’uso memorialistico del passato o alla semplice convivialità dei raduni tra reduci, ricordiamo che il corpo svolge un fondamentale servizio di protezione civile avanzata, sfruttato a diverse riprese anche nel territorio, ed è attivissimo nelle iniziative di solidarietà, dalla Giornata contro il cancro al Banco Alimentare. Ci sarà un motivo, se a Como le “penne nere” sono tanto amate e popolari...

Se c’è da montare una tenda o allestire un mercatino, ecco piombare un commando di ultrasessantenni invasati...

.

46. scarp de’ tenis aprile 2013


Tetraedro


torino Cresce il numero di persone che viaggiano senza biglietto. Qualcuno se ne approfitta. Ma molti non ce la fanno a pagare

Sei povero? Attaccati al tram di Mr X Il bus si ferma, sto per entrare, quando una mano mi prende per un braccio, la persona collegata al braccio mi dice di non entrare che ci sono i controllori, lo guardo e riconosco un amico, Pietro. Ci fermiamo ad aspettare il prossimo, sperando che i controllori non ci siano. Chiacchierando gli dico che è capitato come il cacio sui maccheroni, perché sono stato appunto incaricato da Scarp di fare un servizio sulla rete urbana dei trasporti e i suoi passeggeri, specialmente coloro che non hanno i mezzi per comprare il biglietto. «Sono costretto a viaggiare senza biglietto – racconta Pietro –. Sono ormai da 18 mesi senza lavoro e le mie risorse finanziarie si sono esaurite. Da circa otto mesi mi sposto su mezzi pubblici senza tagliando e sono sempre all’erta; i controllori mi hanno già multato molte volte. Resta il fatto che se non ho i soldi per il biglietto, non li ho nemmeno per pagaper altro inservibile e da rottamare, ed re le multe...». essendo co-proprietario con i miei quattro fratelli di una cascina, non posPerchè non fai l’abbonamento per diso usufruire del sussidio e dell’abbonasoccupati? mento per il trasporto. Quindi viaggianEssendo intestatario di una macchina,

La testimonianza

«Disabile, viaggio sicuro. Ma c’è chi deve mangiare...» Sale il controllore e come di incanto le persone affollate vicino alle porte si volatilizzano. Io rimango impassibile, sicuro del mio abbonamento per disabili che prevede anche un accompagnatore; in più di un’occasione l’ho usato per “salvare” qualche passeggero sprovvisto di biglietto. Del resto, malgrado qualcuno ne approfitti, molti proprio non ce la fanno più a pagare il biglietto. Tra andata e ritorno si arriva a tre euro. Molte persone, quindi, tra comprare un chilo di pane o pagare i mezzi pubblici, scelgono la prima opzione. Probabilmente anche le due signore che hanno iniziato a strillare come aquile contro il controllore sono in questa situazione. Urlano come matte e una parte con un calcio dritto allo stinco. A questo punto interviene il collega del controllore che, a debita distanza, chiama per radio le forze dell’ordine. Ne ho la nausea di queste scene: donne giovani o anziane con i volti rossi dalla vergogna che si umiliano per pochi euro che non possono pagare. E poi penso ai senza dimora, ai molti che ho conosciuto collaborando con Scarp, uomini e donne di ogni età, che vivono alla giornata e per cui trovare pochi euro è un’impresa e non li possono certo spendere per un biglietto. E poi penso a me, invalido al 100% per una malattia che mi porto dietro da una vita, che mi spaventa. Ma “grazie” alla quale oggi posso viaggiare tranquillo. Aghios

48. scarp de’ tenis aprile 2013

do, per cercare lavoro o altro, sono obbligato a rischiare la multa. L’incontro con i controllori è una situazione che cerco di evitare scendendo dal mezzo, ma quando vengo “beccato”, credimi, è molto imbarazzante: mi sembra di essere come un bambino che viene ripreso per qualche marachella, non è certo piacevole per un uomo di 45 anni. Ci sono molte altre persone nella tua situazione? A decine, al punto che oramai riesco a individuare chi è senza biglietto. Credimi, siamo tantissimi, sia italiani che stranieri. Ci sono stati problemi con le multe che non hai potuto pagare? Per adesso non ho ricevuto solleciti però, sapendo che ho preso circa una ventina di multe, quando riceverò i bol-


scarptorino

Quando salgo «sul tram riesco subito a capire chi viaggia senza biglietto come me. Quando ti prendono è molto imbarazzante

»

lettini per pagare proprio non saprò come fare, a meno che nel frattempo riesca a trovare un lavoro. Chissà quante storie incredibili hai incontrato nel tuo peregrinare sui mezzi pubblici torinesi... Ricordo, con piacere, quella volta che non notai un paio di controllori salire. Me ne accorsi troppo tardi, quando ormai il bus era ripartito. Uno dei controllori mi chiese il biglietto e io feci un sorriso mimando con dei gesti che ne ero privo. Stavo per tirare fuori i documenti per essere multato, quando, con mia grande sorpresa, mi fece cenno di lasciar stare e continuò i controlli. Apprezzai molto quel gesto, mi fece sentire bene. Quando scendemmo ci salutammo, sempre con cenni, senza dire una parola. Fu una bella cosa».

.

L’analisi

Molti rinunciano all’auto, ma il numero di corse è diminuito Un buon modo per avere una chiave di lettura dell’anima di una città è salire su un mezzo pubblico e farsi scarrozzare un po’ in giro. Perché gli autobus e i tram hanno una caratteristica che li rende molto adatti all’osservazione degli altri: prima o poi ci passano tutti. Se escludiamo i pochi eletti che si spostano dividendosi tra vetture guidate da compassati autisti e altri mezzi altrettanto elitari, e i troppi derelitti che di spostarsi hanno ormai perduto la motivazione e la voglia, tutto il resto della popolazione prima o poi si finisce per incontrarla. Tuttavia negli ultimi tempi anche in questo ambito sono intervenuti mutamenti che altro non sono che lo specchio dell’attuale momento sociale: già a un rapido sguardo alla maggior parte dei passeggeri, si nota un generale aspetto dimesso, verrebbe da dire in tono minore, rispetto ad anni passati. Sempre più spesso capita di incrociare donne e uomini in evidente stato di povertà e l’impressione generale che ne sortisce è quella di una città che è andata progressivamente perdendo la sua connotazione di polo produttivo, per sostituirla con un’identità non ben definita e incerta. A un osservatore appena un po’ attento riesce difficile non notare l’espressione dei passeggeri specie quando, credendosi non guardati, lasciano vagare i loro pensieri mentre osservano la città scorrere al di là del finestrino. Conformemente ai dati nazionali, anche a Torino il numero delle persone che fanno uso dei mezzi pubblici è aumentato, dato confermato anche da impressioni raccolte da alcuni autisti interpellati. Segno evidente che sempre di più sono coloro che, pur possedendo mezzi di locomozione propri, a causa del ridotto budget familiare, dell’aumento dei carburanti, della diffusione in città delle zone a traffico limitato e dalla quasi totalità, almeno nelle zone centrali, di aree di sosta a pagamento, preferiscono lasciare l’auto a casa. A fronte di ciò la rete di trasporti urbani assume una rilevanza sempre maggiore per quanto concerne la mobilità cittadina; tuttavia dalla fine del 2010 il numero dei passaggi di molte linee è stato ridotto. Il ridimensionamento, presentato alla clientela come ottimizzazione delle risorse, è stato realizzato in seguito a un’indagine effettuata in collaborazione con il Politecnico di Torino, tesa a valutare l’effettivo utilizzo di bus e tram nelle varie fasce orarie. Un provvedimento che è stato percepito da gran parte della clientela come un mero espediente volto a ridurre i costi di gestione, d’altro canto è di dominio pubblico che il comune di Torino, che di Gtt (gruppo torinese trasporti) è proprietario, è da tempo intenzionato a vendere a privati il 49% delle quote di proprietà. Una manovra voluta in parte per ottemperare all’ultimo decreto sulle liberalizzazioni (che impone l’abbandono dell’affidamento dei servizi in house e che ha fissato entro il 31 dicembre 2012 il termine per mettere a gara perlomeno il 40% della proprietà della società pubblica), ma soprattutto per ridurre il pesante deficit (circa 5 miliardi di euro) accumulato dal capoluogo torinese anche in conseguenza dello svolgimento dei Giochi olimpici. Vito Sciacca

aprile 2013 scarp de’ tenis

.49


genova Una sala teatrale dentro il carcere di Marassi: primo caso in Italia. Ospiterà le produzioni di Teatro Necessario e Scatenati

Arca di salvezza, in scena la speranza di Paola Malaspina La notizia è di quelle che fanno sperare bene, anzi troppo. Quasi si esita a dirla a voce alta, per paura di essere smentiti all’istante. Di certo, la costruzione di un teatro dentro a un carcere è un evento che colpisce. E colpisce tanto più se la struttura in questione è quella di Marassi, a Genova, carcere maschile tristemente noto per il sovraffollamento (circa 800 detenuti in 450 posti) e le condizioni di vita difficili. Eppure, la notizia è vera e ufficiale: la riportano i giornali, la confermano gli addetti ai lavori e a la racconta, al telefono, Cecilia Averame, voce della cooperativa sociale “Il Biscione”, che a Marassi opera da anni con il giornale Area di Servizio – Carcere e territorio. È dunque in arrivo un teatro vero e proprio, con platea di 200 posti: verrà realizzato all’interno della casa circondariale, grazie al lavoro congiunto dei deCecilia Averame, un po’ emozionata –, tenuti, del corpo di polizia della Mof perché qui in carcere lavoriamo giorno (Manutenzione straordinaria fabbricaper giorno su piccoli obiettivi». ti) e di una ditta edile. I lavori, già iniziaE il risultato pare grande davvero, se ti, dovrebbero concludersi entro fine si pensa alla difficoltà di portare dentro 2013 e la struttura si chiamerà “Teatro al carcere qualunque cosa, a partire dadell’Arca”, di buon auspicio per una rigli oggetti di uso più comune, anche partenza comune. una semplice chiavetta usb, proibita dai «É un grande risultato – commenta regolamenti dell’istituto. Ma il “Teatro

Rappresentazioni ma non soltanto E una porta aperta sul mondo esterno Il Teatro dell’Arca, il cui progetto prevede un palco di 12 x 10 x 9 metri e una platea di 200 posti, sarà la prima struttura teatrale realizzata all’interno di un carcere italiano. Il progetto è curato dagli architetti genovesi Paolo Bandini e Vittorio Grattarola (autore dei testi del comico Maurizio Crozza) e prevede una realizzazione interamente in legno, con chiara ispirazione al teatro elisabettiano. L’ampiezza dello spazio dedicato al teatro è di tutto rispetto: 400 metri quadrati. La sala è edificata vicino a una porta carraia, per poter ospitare compagnie e spettatori (scolaresche, soprattutto) in arrivo dall’esterno. L’attività del Teatro Necessario e della compagnia degli Scatenati è assai intensa: 15 mila sono stati gli spettatori che, dal 2006 a oggi, hanno seguito le loro produzioni. I due sodalizi si sono resi promotori di produzioni teatrali, ma anche di altre opportunità culturali: mostre, letture, incontri. A queste destinazioni plurali risponderà anche il nuovo spazio del Teatro dell’Arca, che si propone di diventare un centro culturale polivalente all’interno della casa circondariale genovese.

50. scarp de’ tenis aprile 2013

dell’Arca” arriva soprattutto a coronamento di un lungo lavoro da parte del “Teatro Necessario”, associazione di operatori culturali, insegnanti e artisti che, dal 2005, cerca di portare a Marassi la ricchezza del teatro e dell’arte in generale. In otto anni, il coinvolgimento dei detenuti è stato intenso: più di cento ospiti della struttura, sino a oggi, riuniti nella compagnia “Gli Scatenati”, hanno lavorato a cinque produzioni, poi in scena sui palchi genovesi: l’ultima, un’originale rilettura di Romeo e Giulietta, ha registrato in poche serate al Teatro della Tosse il record di 4.500 spettatori.

La cultura si fa lavoro «La costruzione dell’Arca è soprattutto elemento di speranza – spiega Stefano

Teatro tra le sbarre Ecco come sarà la nuova sala teatrale del carcere di Marassi


scarpgenova Porto dei Piccoli

Bimbi dall’ospedale al porto, il mare conduce oltre la malattia

Baldacci, regista di Teatro Necessario – e ha un forte valore simbolico per persone che vanno considerate non solo detenuti, ma anche artisti. Abbiamo scelto il nome “Teatro dell’Arca” per dare l’idea di un mezzo di salvezza. Con quest’Arca la cultura diventa lavoro e volano di rilancio in un contesto difficile». L’augurio è che il progetto vada in porto e l’Arca diventi il meritatissimo palco del “Teatro necessario”. La vita del carcere, i suoi duri regolamenti, le storie dei suoi ospiti lasciano poco spazio per sperare; intanto, però, i detenuti, insieme agli operatori carcerari, hanno già abbattuto un muro e dato il via ai lavori. E in questa “demolizione per ricostruire” la speranza che pareva persa, si edificano anche possibilità per il futuro, oltre le sbarre di una cella.

.

«Dalle corsie dell’ospedale pediatrico alle banchine dei porti». Così Gloria Camurati riassume il percorso del “Porto dei Piccoli”, onlus da lei voluta e fondata nel 2005, per avvicinare i bambini in ospedale e le loro famiglie alla cultura del mare, attraverso un percorso di gioco e conoscenza, guidato da operatori e volontari. Nella città di Genova, legata alla tradizione del porto, ma anche a un importante istituto pediatrico, il “Giannina Gaslini”, il mare non poteva che essere presentato ai piccoli come luogo di divertimento e scoperta, risorsa preziosa in un momento difficile come quello della malattia. «D’altronde – prosegue Gloria – amo il mare da sempre: mai percepito come insidia o pericolo, sempre come veicolo di sensazioni e conoscenza, che nella storia ha portato lontano cose, persone e cultura. Con i bambini sono stata per anni nel mio percorso di insegnante, alcuni con problemi, tutti con bisogni». Proprio sui bisogni dei bambini in trattamento pediatrico sono incentrate le molteplici attività del “Porto dei piccoli”: l’associazione è attiva a Genova nelle unità del Gaslini e nelle strutture pediatriche degli ospedali di Savona, Sanremo, Imperia e La Spezia. Dal 2011, inoltre, opera anche fuori dall’ospedale, attraverso il progetto “Il mare a casa tua”, che porta svago e sostegno ai bambini in terapia domiciliare. A tutti, ospedalizzati e non, il “Porto dei Piccoli” offre una gamma variegata di attività e proposte, sempre in accordo con medici, operatori sanitari e – naturalmente – con le famiglie: animazioni, intrattenimenti, ma anche spettacoli teatrali e giochi di gruppo a tema marino, cercano di portare conforto ai piccoli pazienti, aiutandoli a superare angosce e timori attraverso l’esplorazione, ludica o virtuale, di un mondo sconosciuto come il mare. “Pesci da palcoscenico”, “Giorgino e l’ambulatorio sottomarino”, “La danza del mare”; “Messaggio in bottiglia”: sono solo alcuni dei nomi di personaggi e attività che volontari e operatori, con il loro bagaglio di impegno e fantasia, sono riusciti a progettare e realizzare. Una proposta che ha preso molto campo negli ultimi anni è quella delle “Esplorazioni”, esperienze di “evasione educativa” realizzate in esterno, con l’intento di offrire un momento di condivisione e incontro a bambini degenti e famiglie: insieme agli educatori del “Porto dei piccoli”, si possono scoprire i mestieri portuali dell’ormeggiatore o del pilota, visitare un’imbarcazione o l’Acquario della città, partire, in caso di bella giornata, alla scoperta dell’area di Portofino a bordo di un gommone. Il tutto senza costi per le famiglie, in un clima rilassato e disteso, in cui pare di poter dimenticare la realtà della malattia, cui è esposto, a volte duramente, anche un mondo, come quello dell’infanzia, che si vorrebbe immune da ogni sofferenza. Tra chi resta e chi parte, lasciando questa “strana avventura” del ricovero ospedaliero, uno su tutti, il piccolo Giorgio, chiede di poter portare a casa con sé un pesce con cui ha giocato nei giorni della degenza: è un personaggio del fumetto inventato con “Il porto dei piccoli”. Un piccolo pesce azzurro che, insieme a tanti altri piccoli pesci come lui, cerca un posto per nuotare, libero e sano, in mezzo al mare. aprile 2013 scarp de’ tenis

.51


vicenza Dopo i campi di lavoro nelle terre confiscate alle cosche, hanno deciso di fondare il presidio di Libera Alto Vicentino

Contro la mafia un “Noi” responsabile di Paolo Meneghini Se a volte vien da pensare che il male non dorme mai, possiamo pur dire che anche il bene non se ne sta a sonnecchiare. Infatti accanto agli episodi di corruzione, estorsione, frode finanziaria o ambientale di cui leggiamo spesso nelle cronache, crescono e si propagano le esperienze di chi vuole contrastare le pratiche del malaffare. Ne è un esempio il presidio di Libera AltoVicentino “Emanuela Sansone”: un gruppo di giovani che hanno scelto di riunirsi sotto la bandiera dell’associazione di don Luigi Ciotti per promuovere gli ideali di giustizia, legalità, solidarietà in un territorio apparentemente lontano dall’area di influenza mafiosa. L’esperienza è nata dall’impegno nei campi di lavoro di Libera (sulle terre confiscate alle mafie in Puglia, Calabria e Campania), che hanno coinvolto alcudi incontri e percorsi sui temi della leni di questi giovani dall’estate 2010. Dogalità e del senso civico, perché la mapo essere tornati a casa hanno cercato fia non è un problema degli altri, ma ci il modo di dare continuità all’impegno riguarda tutti. Perché la legalità non nelle proprie città, nei propri paesi, cosoffre solo al sud a causa del pizzo, di stituendo dapprima un gruppo informinacce e omicidi, ma ogni volta che male e successivamente l’attuale presiin nome del profitto si sfruttano le perdio. L’attività oggi si concretizza con il sone e si distrugge l’ambiente, ogni volsostegno, anche economico, alle coota che si cerca un modo per non pagaperative con cui i “presidianti” sono rire le tasse, ogni volta che si fa finta di masti in contatto, e nella promozione non vedere, ogni volta che i favori pren-

52. scarp de’ tenis aprile 2013

dono il posto dei diritti. «Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici – afferma Graziana, una ragazza del presidio, citando Rita Atria, diciassettenne testimone di giustizia suicida dopo la strage di Via D’Amelio–. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci».

Primo: fare memoria In queste parole è racchiuso il fondamentale compito di un presidio, sia che esso operi nel nord o nel sud Italia. Fare memoria è fondamentale per essere vicini alle vittime e ai loro famigliari, per trasformare il loro vissuto in una risorsa permanente di coraggio, di speranza, di dignità. E accanto al ricordo


scarpvicenza

Innanzitutto «bisogna farsi

La storia

un profondo esame di coscienza, perchè la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di porci e comportarci

»

I Genovese, casa e vita in fumo: «Più sobri, avremo nuovi ricordi» Aristide Genovese è un attore vicentino, a cui quest’estate è successa una cosa tremenda. Era agosto e con la famiglia – moglie e due ragazze di 11 e 13 anni – era a messa, quando qualcuno è venuto a cercarli dicendo che la loro casa stava andando a fuoco. L’incendio, generato secondo i pompieri dal led acceso della televisione, si è portato via tutto quello che c’era in sala e nelle camere. Tutti i vestiti, gli oggetti, i libri, le fotografie, i ricordi. Tutta una vita si potrebbe dire, dal punto di vista della memoria.«La casa è su due piani – racconta Aristide –. Il fuoco ha devastato tutto quello che c’era al primo piano. Il resto, la cucina e un bagnetto al piano terra, è stato spazzato via dai pompieri». I quali sono stati bravissimi, hanno domato l’incendio e salvato gli altri appartamenti; ma per fermare la furia del fuoco, hanno allagato tutto e spaccato quello che rimaneva in piedi, obbligati a farlo perché le fiamme non avessero la meglio.

Con la moglie, Aristide è rimasto a guardare lo sfascio della propria casa, e con lei ha poi preso una decisione: invece di andarsene e ricominciare da un’altra parte, sono rimasti, convinti di dover risistemare quell’abitazione che negli anni era costata tanti sacrifici. «Quando ho comprato la casa – racconta ancora l’attore – avevo vent’anni, la forza e la determinazione c’è l’impegno, che si esprime nelle di quell’età credevo fosse scomparsa. Invece era lì, uno spirito combattivo scuole, nel giornalismo, nello sport e come assopito, ma in attesa di tornare ad agire». All’inizio, dopo il rogo, nell’attività politica, intesa nel senso la famiglia Genovese ha abitato in una tenda. Dopo qualche settimana più alto del termine, come cura del “bequalcuno ha prestato loro un camper, nel quale sono rimasti. Sempre lì, ne comune”, a difesa dei diritti, della a lavorare, a rimettere a posto. E gli amici? «Non hanno capito niente cultura, della democrazia. Perché quel o quasi. Dicevano: “Se hai bisogno di qualcosa, chiama”. Ma io non potevo nostro modo sbagliato di comportarci telefonare, non avendo più né telefono né cellulare. Invece si è fatta non è radicato in un’etnia, né ha viva la comunità del posto. Persone che conoscevo appena una connotazione regionale arrivavano a casa, s’infilavano i guanti, e mi chiedevano cosa ben precisa, ma è dentro di potevano fare. Qualcuno portava da mangiare, oppure da noi e solo un “Noi” corvestire. Ho imparato ad accettare qualsiasi cosa. Quando responsabile, capace di Ma la mia solitudine ormai non hai più niente, non stai lì a chiederti se quella sviluppare una cultura è mia amica! camicia, quel paio di pantaloni ti piacciono oppure no. sociale che dia pari E mi sveglio ogni mattina Li prendi e basta. Ora siamo più poveri, ma ricchi di opportunità a tutti, col sorriso. un’esperienza che ci ha cambiato». può cambiarlo. Poi la sento arrivare… Da pochi giorni il Mai un giorno diverso dall’altro. La parte più difficile riguarda le due figlie. Marito e presidio altovicentino Manco oggi. porta anche il nome di moglie, stretti nel patto di ricostruire e ridare vita alla loro Ivano, Malinconia, fuga. “Emanuela Sansone”, casa, hanno rafforzato la loro unione. Ma le ragazze, Eh sì, fuga. prima donna vittima di soprattutto la più grande, fanno ancora i conti con il trauma Basta malinconia. mafia di cui si conosca il subito. «Sono in un’età in cui ci si vorrebbe mimetizzare Basta rovinarmi nome, uccisa a Palermo il nel branco, non essere diversi – osserva Aristide –: questa ogni momento. 27 dicembre 1896. La matragedia le ha sconvolte. Non devo sottovalutare lo shock Decido io. dre della vittima collaborò subito quando tutti e quattro abbiamo assistito al rogo della Quindi basta, con la giustizia e la scelta fatnostra vita familiare, in fumo davanti ai nostri occhi. È la mi hai rovinato. ta dal presidio vicentino vuopreoccupazione maggiore, e richiede tutto il nostro impegno». Ora vai le essere «un segno per ricorOggi, a distanza di mesi, la casa dei Genovese è un po’ come per la tua strada. dare il ruolo delle donne una grande stanza d’albergo: «Siamo tornati ad abitare tra le E spero che non trovi nella lotta alla criminalità nostre mura; c’è l’essenziale, ma non le cose che fanno di nessun altro organizzata, sia come testiun’abitazione la tua casa, piena di calore, di personalità, di da rovinare… moni forti e coraggiose per storia vissuta. Siamo decisi a riprenderci anche questa Addio le loro famiglie, sia per la soparte. Vorrà dire che avremo nuovi ricordi, nuovi oggetti cietà civile. Alle loro vite e alle importanti. All’insegna di una sobrietà che siamo stati Ivano Frare vite dei figli che hanno lasciato, costretti a imparare, ma che ci piace e ci rende diversi». va il nostro grazie». Cristina Salviati

Solitudine

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.53


rimini La crisi lacera le famiglie immigrate: molti uomini fanno tornare in patria moglie e figli, in attesa di ritrovare lavoro

La valigia del rientro forzato di Angela De Rubeis Valigia in mano, si parte. Gli stranieri, prime vittime della crisi, abbandonano il nostro paese? Stando ai numeri, non sembrerebbe così. Prendiamo la provincia di Rimini: al primo gennaio 2011 si registrava la presenza di 33.113 stranieri residenti e al primo gennaio dell’anno dopo se ne contavano 34.901, con un saldo positivo di 1.788 unità. Stando agli ultimi numeri diffusi dall’ufficio statistico della provincia di Rimini, un calo si può però segnalare: quello dell’incremento di residenti stranieri da un anno all’altro. Tra il 2010 e il 2011 si sono registrate 2.564 persone in più e dal 2011 al 2012, come detto, “solo” 1.788. Un saldo negativo di 776 unità. Resta il fatto che, nel corso del 2011, ben 700 persone hanno lasciato la provincia: 630 verso altre regioni d’Italia e 70 verso altri stati. Basta per spiegare quelnea al centro d’ascolto della Caritas di lo che sta succedendo? Per leggere nei via Madonna della Scala, a Rimini, racnumeri quello che quotidianamente ci conta infatti una storia diversa, una tenviene raccontato dalle persone che indenza, una serie di problemi dei quali le contriamo per strada, forse dovremo atpersone (e non i numeri) parlano con lei tendere le rilevazioni statistiche del 2013 e con gli altri operatori. «Nell’ultimo ano forse del 2014. Suor Elsa, in prima lino – racconta suor Elsa – sono state tan-

A Rimini il 10% dei residenti è straniero molti sono nati e hanno sempre vissuto qui Al 1° gennaio 2012, su 332.070 residenti in provincia di Rimini il 10,5% (34.901) era composto da stranieri. Una popolazione maggiormente femminile: 55,1%, contro il 44,9% di maschi, e con un’età media relativamente bassa, ovvero 33,9 anni (32,2 gli uomini, 35,3 le donne). La classe di età più rappresentata, tra gli stranieri nel Riminese, è quella che oscilla tra i 30 e i 39 anni (24%), seguita dal segmento 0-17 anni (19,7%) e da quello 18-29 anni (19,5%), mentre solo il 18,9% stanno tra i 40 e i 49 anni e il 14,3% tra i 50 e i 64 anni. Nel 2011, nei 27 comuni della provincia sono entrati 5.498 nuovi residenti, di cui il 43% di nazionalità straniera. In uscita, invece, 3.761 persone, di cui il 20,5% straniere. Il 75% dei residenti stranieri si concentra nei cinque comuni di costa (Bellaria, Misano, Cattolica, Rimini, Riccione), il 57,9% nei soli comuni di Rimini e Riccione. Dei 34.901 presenti, inoltre, il 25,4% è arrivato in provincia negli ultimi due anni e il 32,5% vi risiede da più di cinque. Un dato interessante è quello relativo al movimento interno degli stranieri. Stando ai numeri pubblicati nell’ultimo Osservatorio demografico della provincia di Rimini, infatti, il 36% dei residenti arriva da un altra regione italiana. Il 14,9% (5.201) è nato in Italia, l’85,1% è nato all’estero, il 10% è residente in provincia dalla nascita. L’Albania è il paese più rappresentato in questa graduatoria, con il 29,5% dei nati in Italia, seguita da Marocco (9,3%), Cina (9,2%) e Romania (7,9%).

54. scarp de’ tenis aprile 2013

Sempre «più difficile rimanere in Italia senza una casa di proprietà e senza lavoro. Ma sono pochi ad andarsene

»

te le persone che mi hanno detto di non riuscire più a farcela con le spese quotidiane e che hanno deciso di lasciare l’Italia per rientrare al paese d’origine. Anche recentemente, almeno tre sono le famiglie tornate a casa». Suor Elsa, cosa sta succedendo? Non possiamo generalizzare. Non ho dati certi sui quali appoggiarmi, ma ho il lavoro di tutti i giorni e i volti delle persone che vengono a raccontarmi le loro storie e i loro problemi. Chi torna a casa? Posso raccontare di una famiglia peruviana con tre figli. La mamma era in Italia da sette anni. Me la ricordo appena arrivata, una ragazzina. Poi ha conosciuto suo marito e insieme hanno messo su una famiglia. Lui faceva l’imbianchino. Sono stati bene. E adesso? Lui ha perso il lavoro, non pagano l’affitto da otto mesi e sono indietro anche con le bollette. Allora ha deciso di mandare la famiglia a casa: la moglie e i tre figli (uno doveva ancora nascere) perché non riusciva a mantenerli. Nel corso degli anni sono riusciti a mandare in Perù


scarprimini dei soldi e a costruire una casa. Una casa che adesso è salvezza. Il marito-padre è ancora qui? Ci ha provato a rimanere. Ha cercato un altro lavoro. Ha imbiancato un albergo, un ristorante e qualche appartamento, ma non c’è stato verso di trovare altro. Il 22 dicembre è tornato in Perù a vedere la famiglia e il figlio appena nato e si è reso conto che in Perù ci sono possibilità di lavoro per uno come lui. Per cui ha deciso di ritornare in maniera definitiva. Ha incontrato altre famiglie nella stessa situazione? Sì, in pochissimo tempo altre due famiglie: una marocchina, l’altra tunisina. Troppo poco lavoro, in Italia: hanno deciso di mandare le mogli e i figli al paese di origine, dove possono vivere con i genitori. Nei loro paesi è forte il welfare familiare e la rete parentale funziona ancora benissimo. E chi rimane, gli uomini, come riescono a sopravvivere? Mi hanno detto: «Noi siamo uomini e ci arrangiamo». Vengono da noi, alcuni dormono in macchina, o alla Capanna di Betlemme. Mi è capitato di indirizzarli verso Forlì, Cesena, Ancona e Fano. Anche lì ci sono luoghi dove possono essere accolti. Girano un po’. Sopravvivono. Ma lei, suor Elsa, come li consiglia? In fondo queste persone hanno figli nati in Italia, con un futuro davanti... I casi sono tutti diversi. Diciamo che nemmeno in Italia le cose vanno bene. Per prima cosa chiedo se nei loro paesi hanno una casa di proprietà, oppure qualcuno che li possa aiutare. Se qui in

Italia hanno una situazione che non si può recuperare, insieme valutiamo il ritorno a casa. Ma è veramente difficile, perchè significa dover ricominciare tutto daccapo. E per i figli che, spesso, non hanno mai visto il paese d’origine, essendo nati e cresciuti qui, è ancora più dura. Ci ragioniamo insieme e cerchiamo strade percorribili.

La storia

Sow, la famiglia si divide «I figli però sono italiani...» Con la valigia in mano vive anche Samba Gallo Sow. Anzi, la valigia il senegalese l’ha preparata alla moglie e a due dei quattro figli. In Italia dal 1978, il signor Sow ha lavorato per la stessa azienda – settore abbigliamento – dal 1982. «Adesso sono in mobilità da diversi mesi – racconta sconsolato –, la mia azienda è fallita e io ho 55 anni. Penso a chi potrà prendermi a lavorare alla mia età, e la vedo male...». Il periodo di crisi economica ha spinto Samba Gallo a prendere una decisione dura ma necessaria: dividere la sua famiglia. «Io e i miei figli grandi, 17 e 19 anni, rimarremo in Italia. Loro stanno terminando un ciclo di studi e spero che

Sono solo le famiglie ad andarsene? No. Anche le badanti stanno iniziando a sentire i morsi della crisi. Proprio tra qualche giorno se ne va una donna che è in Italia da tantissimi anni. Mi ha chiesto se si poteva fermare qualche notte a dormire in Caritas, perché il pullman per la Romania si mette in strada sabato. Valigia in mano, si parte...

.

si apra per loro la possibilità di trovare anche un lavoro. Ma mia moglie e i miei due figli più piccoli, di un anno e mezzo e 8 anni, torneranno a casa». E lui? Cosa capiterà al signor Sow? «Non ho ancora gettato la spugna – dice ancora – e rimarrò in Italia per almeno altri sei mesi, per vedere se ci sono i margini per trovare un nuovo lavoro. Poi mi inventerò qualcosa. In Senegal ci sono margini di crescita. Loro vanno avanti, noi andiamo indietro. Non avrei mai pensato che potesse succedere. Ma sta capitando». Un’altra opportunità è cominciare a fare la spola tra Italia e Senegal per avviare un business che mantenga l’intera famiglia. Nonostante tutto, nonostante il nero dei pensieri, a Samba Gallo rimane la voglia di farcela. E una consapevolezza: «Tutti i miei figli hanno la cittadinanza italiana – conclude –. Loro possono decidere cosa fare. Sono liberi di pensare a un futuro diverso. In qualsiasi paese scelgano di vivere. Possono farlo». aprile 2013 scarp de’ tenis

.55


firenze Bilancio dell’ospitalità dei senza dimora durante la stagione fredda. Ora il tentativo è non lasciare a se stessi i più fragili

L’inverno è finito, l’accoglienza no di Veronica Guida

Dopo di lei Travolgente come il mare in tempesta, pericoloso come il profondo del mare, forte e resistente come le onde che si infrangono contro gli scogli, fragile come l’acqua che si disperde ogni volta che sbatte contro le pareti. L’amore è un sentimento così forte che riesce a mettere ordine: in cinquant’anni di vita dopo di lei fu il caos… Aghios

56. scarp de’ tenis aprile 2013

La vita in strada è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ogni anno tante persone muoiono di stenti o di freddo nelle città ricche del nord del mondo, e Firenze non fa eccezione. Basti pensare che l’ultimo caso di morte per freddo risale ad appena un anno fa. Era la notte del 18 gennaio 2012, quando Sergio Gargani, un senzatetto fiorentino di 73 anni, venne trovato morto in via dei Confini a Campi Bisenzio. Vivere per strada, contrariamente a quanto spesso si pensa, non è quasi mai una scelta. Al contrario, spesso è la conseguenza di una difficile storia personale: errori e disgrazie, malattie e delusioni, fanno scivolare lentamente in un baratro dal quale, poi, è sempre più difficile risalire. Certo, c’è chi “rifiuta” di essere aiutato, chi nella vita ha imparato a contare solo sulle proprie forze e ha un comprensibile scetticismo nel fidarsi del prossimo. Ma c’è anche chi di 200 persone, delle quali 26 di naziol’aiuto lo cerca, e improvvisamente si nalità italiana. A fine marzo, vi si trovarende conto di ritrovarsi senza una rete vano circa 70 ospiti in condizioni di sociale in grado di supportarlo. Così, da emergenza abitativa. La struttura viene gestita dalla Cariun giorno all’altro, ci si ritrova senza casa, a vivere per strada in condizione di vul- tas grazie a una convenzione stipulata nerabilità, in cui si è costretti a dipende- con il comune di Firenze: così come avre da tutti, anche solo per i bisogni più viene all’albergo popolare “Fioretta Mazelementari, e si è esposti ad aggressioni, zei” di via della Chiesa, agli ospiti viene umiliazioni, al timore di essere cacciato chiesto un contributo simbolico di un perché indesiderato. Non ultimo, alle euro a notte, scelta discutibile ma che non ha condizionato l’affluenza, come basse temperature dell’inverno. Tutto questo può essere causa di sempre molto numerosa. Va detto che grande infelicità e di un profondo senso spesso questo piccolo scoglio viene sudi rassegnazione. Ma una società che vo- perato grazie al contributo delle associaglia definirsi “civile” non può permettere zioni sparse nel territorio fiorentino, che il perpetrarsi di un simile dramma. La di- non fanno mai mancare la propria colgnità e il rispetto, insieme all’aiuto ma- laborazione. Alle abituali difficoltà della teriale, dovrebbero essere garantiti a tut- stagione invernale, quest’anno se n’è te le persone in condizioni di emergenza però aggiunta un’altra. L’apertura della abitativa, per portare sollievo e favorire il “Foresteria Pertini” ha infatti dovuto suraggiungimento dell’autonomia. bire uno slittamento, da metà novembre al 17 dicembre, a causa di un ritardo nei lavori di ristrutturazione. Strutture tutte piene La Caritas di Firenze si occupa poi di Per queste ragioni, da molti anni la Caritas diocesana di Firenze mette a dispo- gestire l’accoglienza di donne sole, nella sizione un servizio di accoglienza inver- struttura di via Gioberti di proprietà dei nale, per ospitare i più bisognosi duran- Salesiani. Aperta dal 16 novembre, quete le notti del periodo più freddo dell’an- sta struttura ha accolto più di 30 donne, no. Al 6 marzo, nella “Foresteria Pertini” tra cui 4 italiane. È probabile che, così codi Sorgane, la struttura adibita all’“acco- me per la Foresteria Pertini, la chiusura glienza uomini”, sono state ospitate più venga posticipata ai primi di aprile, dato


scarpfirenze I centri

Un lavoro di rete

il prolungarsi dei rigori invernali e il fatto che l’abituale chiusura, fissata per la fine di marzo, quest’anno coincide con il giorno di Pasqua. Tuttavia, resta un grave problema da risolvere: dove finiranno gli ospiti delle strutture dopo la chiusura? Se ne sta occupando, in queste settimane di fine inverno, il gruppo tecnico di monitoraggio del progetto “Accoglienza invernale 2012-2013”: i soggetti gestori, infatti, hanno valutato le situazioni più critiche, ragionando sulle persone in carico ai servizi sociali, sulle più anziane e quelle in precarie condizioni di salute.

Garantire il diritto all’abitazione La speranza è che, grazie alla costante collaborazione con le altre strutture facenti parte del progetto (Albergo popolare e la Foresteria Fuligno) si riesca a garantire la necessaria continuità all’accoglienza almeno dei soggetti più fragili. Data la limitatezza dei posti a dipsosizione, anche in inverno sono frequenti i “passaggi” dalla Foresteria Pertini all’Albergo popolare e viceversa, motivati da valutazioni relative ai singoli percorsi progettuali, naturalmente in collaborazione coi servizi sociali di riferimento. E se, senza dubbio, è impossibile ac-

cogliere tutte le persone in stato di emergenza abitativa, anche quest’anno l’“accoglienza invernale” ha permesso a molti di superare l’inverno più agevolmente, di avere un pasto caldo e non esser costretti a dormire per strada al freddo. Gli ultimi dati Istat riferiscono che i senza dimora in Italia sono quasi 50mila, e molti di più i soggetti in situazione di precarietà abitativa. Si tratta di un’ampia platea di emarginati, per la quale gli interventi risolutivi, di reinserimento, sono ancora insufficienti. In un rapporto del 2012, l’European committee of social rights ha per esempio denunciato la violazione, da parte del nostro paese, dell’articolo 31 comma 2 della Carta sociale europea, che recita: «Per garantire l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, le parti s’impegnano a prendere misure destinate a prevenire e ridurre lo status di “senza tetto”, in vista di eliminarlo gradualmente». La Caritas di Firenze si sta impegnando davvero, ma purtroppo le istituzioni italiane, a tutti i livelli, non sembrano fare altrettanto. Perseverate nell'amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto angeli senza saperlo". (Ebrei 13,1-2).

.

Da anni la città di Firenze si va distinguendo per una forte propensione all’aiuto delle persone in stato di marginalità. Naturalmente la Foresteria Pertini e la struttura Caritas Gioberti confermano questa positiva tendenza. In questi centri, grazie alla collaborazione tra operatori e volontari, dalle 18.30 alle 9 del giorno seguente gli ospiti si sentono accolti come in una grande famiglia: si tratta di cittadini italiani e immigrati, maggiorenni, residenti o non, in stato di emergenza abitativa. L’accoglienza è anche un modo per superare l’isolamento: nei centri possono nascere rapporti di amicizia che aiutano a riscoprire la fiducia in se stessi e negli altri, a non sentirsi più “invisibili”. Non viene, però, garantita soltanto l’accoglienza notturna. Dalle 19.30, infatti, viene offerta la cena, che consiste in un pasto completo, mentre al mattino, dalle 7,30 fino alla chiusura, viene offerta la prima colazione. Vengono inoltre messi a disposizione i servizi igienici, con fornitura del materiale necessario per l’igiene personale: bagnoschiuma, shampoo, sapone, schiuma da barba, rasoi monouso e via dicendo. Per accedere ai centri Caritas, bisogna rivolgersi agli sportelli del centro d’ascolto di via Faentina, aperti il martedì e il giovedì per gli italiani, lunedì, mercoledì e venerdì per gli stranieri, ben più numerosi. Ogni ospite può rimanere nella stessa struttura per un massimo di quindici notti consecutive, ma anche in questo caso, coordinandosi con il lavoro dell’Albergo Popolare, i gestori si fanno in quattro affinchè nessuno resti per strada, favorendo i “passaggi” da una struttura all’altra per non abbandonare nessuno. aprile 2013 scarp de’ tenis

.57


napoli GENTE DI TALENTO 3. Ideatrice di una scuola di scrittura attiva da vent’anni, la Cilento non ha mai tradito la vocazione...

Antonella, testarda creativa di Domenico Capuozzo La scrittrice Antonella Cilento è tornata a Scarp in occasione del ventesimo compleanno della sua scuola di scrittura, che si chiama “la Lineascritta”. Ogni anno tante persone di tutte le età frequentano i suoi corsi e imparano i trucchi per scrivere cose interessanti. Antonella ci ha raccontato che aveva 22 anni, quando ha cominciato a insegnare scrittura creativa, e non ha mai interrotto questa attività, anche se ha incontrato molte difficoltà; a Napoli, anche se hai una buona idea, è difficile creare un progetto che resiste per tanto tempo. Eppure in vent’anni Antonella ha insegnato a scrivere a tante persone, alcune di queste (Bruno Galluccio, Giusi Marchetta, Rossella Milone, Viola Rispoli, Edoardo Savarese, Massimiliano Virgilio) hanno poi pubblicato per case editrici

L’incontro/1

Colomba in un giorno di sole, ma proprio non è il paradiso Entra in redazione che fuori c’è il sole e subito hai l’impressione che ne abbia portato un po’ dentro la stanza. Pelle chiara, occhi di cielo, sorriso facile, immediato, è un simpatico animaletto. Un uccello, ecco: dietro gli occhialini c’è l’azzurro immenso di una colomba; la colomba bianca di Noè, che va a trovar nuove terre e torna per dirti che ci sono e se non puoi andare a cercarle te le porta lei. Scrivere non è sedersi alla scrivania e prendere la penna, è accomodarsi al posto di guida e tuffarsi dentro al foglio bianco. È lì, da quell’altra parte, che accadono le cose. Antonella Cilento lo sa e lo fa con cognizione di causa: ha letto, ha studiato con impegno tale, che ora può insegnarlo agli altri. I suoi corsi di scrittura continuano da vent’anni. Scrivere dodici libri non è cosa da poco e non è frutto di un’improvvisazione nella quale non crede. Alla colomba di Noè posso solo essere grato, per questo ramoscello d’ulivo portato nella redazione di Scarp in una bella mattinata baciata dal sole di Napoli. Napoli che, come dice la stessa Antonella, Non è il Paradiso. Così aveva anche intitolato un suo libro. Io ho scritto che certo, non è il Paradiso, ma neanche il completo inferno. È la vita, con i suoi tanti problemi, le sue poche soddisfazioni, con i suoi amori, odi, piaceri, dispiaceri, sole, pioggia, giorno, notte, estati luminose e inverni dolorosi anche per l’anima. E poi il paradiso in terra non esiste, ce lo ha comunicato la nascita con il suo primo pianto che, dicono i sapienti, è segno di salute. Dopo però non si può fare più, ti insegnano che è maleducazione, devi parlare soffuso, non mai alzar la voce, non fissare mai la gente, poco gesticolare, l’istinto trattenuto, mai lasciarsi andare. Quel neonato contento di strillare è diventato un uomo, pronto a tutto, persino a stare zitto se un “superiore” glielo ordina. Ecco, non sarà un completo inferno, ma proprio non è il paradiso. Bruno Limone

58. scarp de’ tenis aprile 2013

importanti. Parlandoci di queste cose, si è capito che Antonella è molto orgogliosa dell’obiettivo che è riuscita a realizzare, cioè creare una scuola unica nel sud Italia. In questi anni, con molti sforzi e sacrifici personali, coinvolgendo gli istituti di cultura tedesca, francese e spagnola presenti a Napoli, ha inoltre realizzato un’altra iniziativa importante: si intitola “Strane Coppie” ed è un ciclo di incontri in cui due scrittori contemporanei presentano due classici della letteratura europea. La rassegna di quest’anno, apertasi a gennaio, propone per il 12 aprile un incontro intitolato “La lingua del teatro”: si parlerà di due opere di Gerog Buchner e di Annibale Ruccello, presentate dal filosofo Aldo FasulIncontro con la scrittrice Antonella Cilento con i collaboratori di Scarp Napoli


scarpnapoli L’incontro/2

In bilico tra istinto e tecnica fu catturata da “Gli Occhiali”

lo e dal compositore e musicologo Roberto De Simone. Il 18 aprile, alle 18, all’istituto Cervantes, gli scrittori Bruno Arpaia e Raffaele Manica parleranno invece del Gioco del mondo di Julio Cortàzar e di Corporale di Paolo Volponi in un incontro intitolato “Ulisse Oggi”. Giovedì 16 maggio, ancora, si parlerà di due diari: I quaderni di Malte Laurids Brigge dello scrittore tedesco Rilke e Una donna di Sibilla Aleramo; questi libri saranno commentati da due scrittrici, Anna Maria Carpi e Laura Bosio. La rassegna si chiuderà il 30 maggio all’Istituto francese, con Enzo Moscato e Domenico Scarpa, che analizzeranno I fantasmi del cappellaio di Georges Simenon e La donna della domenica di Fruttero e Lucentini.

.

Antonella è una ragazza nata per scrivere. Colpiscono la sua solarità, il suo sorriso, la sua simpatia. Ma la sua dote principale è la determinazione. È testarda, crede fermamente in quello che fa. Ci crede così tanto che ha rifiutato, in passato, il cosiddetto posto sicuro: avrebbe potuto fare l’insegnante, ha preferito scegliere la scrittura full time. Lei deve viaggiare, guardare, osservare, captare; come un’artista, una cantante, una musicista. Osservando la realtà trova ispirazione per scrivere, ma non solo. Legge molto e la sua casa è stracolma di libri. Più si legge e più la scrittura diventa raffinata; ha cominciato così da ragazzina. Aveva 13 anni, suo padre si accorse che scriveva bene, probabilmente già pensava che sarebbe stata la strada professionale della figlia. Gli regalò un Meridiano, con i racconti di grandi scrittori italiani. Antonella fu catturata da Gli occhiali di Anna Maria Ortese. Colpo di fulmine: si specchiò in quella storia, si riconobbe, ne fu rapita. Leggere e scrivere storie in cui riconoscersi era la sua strada: il papà aveva ragione. Infatti ha pubblicato dodici libri e ha scritto molto di più: la scrittura è un lavoro artigianale e occorre allenamento, non si può scrivere bene e raccontare belle storie scrivendo ogni tanto. Bisogna scrivere tutti i giorni. E anche leggere. Ce lo ha detto Antonella nel nostro ultimo incontro, confermando una cosa che avevo pensato già la prima volta che l’avevamo incontrata: scrivere è la sua vita. Noi della redazione napoletana le abbiamo fatto alcune domande, per conoscerla più a fondo, per far luce sul suo essere interiore. E lei è stata felice di risponderci, ha colloquiato con noi in un’atmosfera semplice ma profonda. Difficilmente si può incontrare una persona così soddisfatta del suo lavoro. Ha sottolineato l’importanza per ognuno di noi di leggere e scrivere. Un’esigenza naturale e vitale; l’aspetto professionale viene dopo. Si può e si deve scrivere anche svolgendo un altro lavoro. È un modo per esternare emozioni, sentimenti, conflitti, traumi e pensieri belli. Arricchirsi dentro, con una lettura, è un piacere, una gioia che non tutti conoscono e riescono a comprendere. Qualche tempo fa c’era una pubblicità che invitava alla lettura. Un uomo altissimo, messo a confronto con un altro basso di statura, che posto su una pila di libri lo superava in altezza. Quando leggi apri la mente, inizi a ragionare e a comportarti diversamente, entrando in una nuova armonia e in un equilibrio con se stessi e con gli altri. In più la lettura è una vera palestra per la mente. Un esercizio quotidiano, che conduce a scrivere ad alti livelli. Tutto questo Antonella lo sa bene e lo ha fatto suo. Lei insegna scrittura creativa e scrive libri. Romanzi. Ci ha spiegato che si può scrivere d’istinto, ma per poter pubblicare bisogna conoscere delle tecniche. Insomma, non si improvvisa. Un romanzo può avere spunti diversi. Emozioni, sensazioni, storie vissute, momenti difficili, periodi storici. Dalla situazione reale si deve passare per trasformazioni narrative che possono essere fantastiche, inventate e inserite in situazioni reali, in un innesto che solo l’autore conosce. Solo chi scrive sa che cosa c’è di realmente accaduto e cosa invece è del tutto immaginato nelle sue pagine; il lettore ne deve essere così conquistato, da avere voglia di arrivare all’ultima pagina. Un romanzo è una storia inventata e può trasmettere un insegnamento maggiore di una storia vera. Di questo Antonella Cilento, scrittrice, è fermamente convinta. Giuseppe Del Giudice aprile 2013 scarp de’ tenis

.59


salerno Lettera di nove detenuti della casa circondariale di Fuorni. Spazi, igiene, salute, relazioni: condizioni di vita inumane

Un grido da dentro: «Il carcere è lutto» di Angelo Pierri Una «situazione insostenibile», che «mette in gioco l’onore dell’Italia». Così si è espresso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sul problema del degrado delle carceri e delle case circondariali del nostro paese. Parole dure, che mettono in evidenza una grave piaga. La mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro stato a realizzare un sistema rispettoso dell’articolo 27 della Costituzione, riguardante la funzione rieducativa della pena e il senso di umanità che deve caratterizzarla. Il sovraffollamento, le condizioni di vita degradanti, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo, sintomo di un’inaccettabile sofferenza esistenziale, confermano che lo stato italiano non riesce a realizzare un buon sistema carcerario. Sono circa 60 mila i detenuti italiani, rinchiusi in carceri sempre più bestiali, nonostante la buona volontà di molti direttori e operatori. Non fa eccezione la casa circondariale di Salerno, sita nel quartiere periferico di Fuorni, che versa anch’essa in una condizione di pesante degrado. A Salerno i detenuti sono 550, mentre la capienza massima del penitenziario è stimata in 280 posti. quere di nuovo, con maggiore ostinazione: la società non offre nulla agli ex Piccolo inferno quotidiano detenuti. «Sovraffollamento, ozio forzato, manLa lettera non ha toni accusatori, ma canza di igiene, di medicinali e di gesti rassegnati. Punto per punto i detenuti d’affetto». Così si sono espressi, in una illustrano le lacune della struttura penilettera scritta al quotidiano La Città di tenziaria salernitana. In primis il soSalerno, nove detenuti della casa cirvraffollamento: in celle di 28 metri quacondariale di Fuorni. Più che un grido drati i detenuti vivono in 8, costretti a di ribellione, è la necessità di sensibiliztrascorrere 22 ore al giorno, a svegliarsi zare l’opinione pubblica sulla propria alle 6 del mattino per poter mantenere condizione. I detenuti Michele Petrosiun minimo di igiene personale ed esseno D’Auria, Carmine Desiderio, Matteo re tutti pronti per l’ora d’aria. Attilio, Andrea Principale, Vincenzo Soglia, Alfredo Faiella, Antonio Noschese e Salvatore Bruno sono i firmatari di un’aDifficile restare umani mara denuncia. Lamentano dignità vioI detenuti spiegano che con un tavolo di lata e diritti calpestati, elementi che non due metri quadrati per consumare il ha altro effetto che incattivire il detenupranzo e la cena in otto persone, bisoto. Chi esce da un carcere italiano, fatta gna creare sensi unici alternati per posalva qualche eccezione, sta peggio di ter scendere dal letto. L’attenzione cade prima, sia dal punto di vista psicologico poi sull’ozio forzato («O stai sul letto, o che fisico. Anche se non si vorrebbe, in stai sul letto: non hai altre possibilità») e molti casi si è dunque costretti a delinsulla mancanza di igiene, con un bagno

60. scarp de’ tenis aprile 2013

di circa 2 metri quadrati con lavabo e water. Per il bidet i carcerati sono dotati da una bacinella di plastica, mancano pure la doccia e l’acqua calda (solo doccia fredda, una volta alla settimana). Poi si passa alle cure mediche molto approssimative. Non meglio i rapporti con la polizia penitenziaria, con le dovute e umane eccezioni. Scrivono ancora i carcerati: «È vietato accarezzare una mamma, prendere per mano un figlio. Non è possibile farsi portare una caramella o una bottiglia d’acqua o qualsiasi altra cosa che aiuti i nostri cari a trascorrere il tempo dell’attesa prima dell’ora di colloquio». Poi l’attenzione si sposta sulla vita in gruppo: la sezione dei detenuti è dotata di una stanza che viene usata per la perquisizione ogni sei o sette giorni; la stan-

Struttura al limite L’ingresso del carcere di Salerno: i detenuti vivono una situazione insostenibile


scarpsalerno za per lo svago è munita solo di un calcio balilla, un tavolo da ping pong, un tavolo, quattro sgabelli e un mazzo di carte. La lettera termina con una frase drammatica: «Si dice che il carcere è lutto, perché uccide la voglia di vivere».

In crescita i suicidi Ed è proprio questo che porta troppe persone, rinchiuse nelle carceri italiane, al suicidio. Il comune di Salerno si sta attivando, con un Garante per i diritti dei detenuti; inoltre l’amministrazione comunale sta cercando di creare un’area attrezzata esterna al carcere, per i familiari dei detenuti in attesa di colloquio. Altra importante iniziativa è “Oltre il cancello”, progetto della Caritas diocesana, finalizzato all’ascolto e al sostegno di detenuti con problemi di dipendenza, o che hanno commesso reati collegati alla dipendenza. Nell’ambito di questo progetto, da qualche mese vengono effettuati incontri di gruppo, in cui i carcerati si raccontano: si lavora sulle motivazioni e sulle scelte di recupero e i partecipanti vengono indirizzati nelle comunità di disintossicazione. I volontari del progetto due volte a settimana tengono colloqui individuali a chi ne fa richiesta, operano l’ascolto in base ai bisogni esternati dai detenuti e si attivano per creare una rete di sostegno. È una piccola iniziativa. Ma indica che arrendersi, a una situazione tanto drammatica, non è la sola scelta.

.

La sentenza

A Fuorni detta legge il degrado, lo stato risarcirà un detenuto Una sentenza importante, la prima in Italia nel suo genere, che fa giurisprudenza e dunque può inaugurare un nuovo corso nella tutela dei diritti del detenuto nel nostro paese. Il giudice di pace Andrea Torre, con sentenza del 31 maggio 2012 passata in giudicato, ha condannato il ministero della giustizia al risarcimento di mille euro (una cifra irrisoria, ma straordinariamente importante per il suo valore simbolico) nei confronti del detenuto Massimo Fattoruso, che aveva denunciato le condizioni di grave degrado, contrarie alle normative europee e alla dignità dell’uomo, che ha dovuto sopportare nel periodo in cui era stato rinchiuso nella casa circondariale di Fuorni, a Salerno. Il detenuto è stato assistito dagli avvocati Gaetano e Michele Sessa, del foro di Nocera Inferiore. Tra le testimonianze rilasciate da Fattoruso, che hanno portato alla condanna dello stato, vi sono le seguenti: «Una cella che può ospitare tre persone, invece ne accoglie otto»; «scarseggiano i medicinali e solo due volte a settimana è possibile prenotare la visita medica»; «nella stessa cella ci sono detenuti sani fisicamente e detenuti affetti da epatiti o Aids»; «non esistono corsi che possano garantire il reinserimento in un futuro lavoro, né corsi di studio o altre attività»; «la vita si riduce a venti ore al giorno chiusi in cella». Inoltre, secondo la testimonianza di altri detenuti, si dorme per sei mesi nelle stesse lenzuola e i “ristretti” devono pulirsi da soli la propria cella, comprando di tasca loro detersivi e carta igienica. Quella del giudice Torre è una sentenza storica: finora le condanne contro l’Italia per le situazioni di degrado in cui versano le carceri erano arrivate solo dall’Unione Europea. Ora invece per la prima volta un giudice di pace condanna lo stato; ciò significa che d’ora in poi qualunque detenuto, almeno in teoria, potrà appellarsi a un giudice territoriale e dunque, farsi assistere da un avvocato e ottenere un risarcimento, nel caso la sua denuncia sia comprovata dai fatti. «Si tratta di un traguardo importante non solo per il nostro studio dal punto di vista professionale – hanno detto gli avvocati Gaetano e Michele Sessa –, ma soprattutto dal punto di vista etico e morale per l’intera società. La motivazione della condanna sta proprio nel sovraffollamento della prigione: il tribunale ha ritenuto esistenti e fondate le pessime condizioni evidenziate dal detenuto. Questa sentenza potrebbe aprire la strada a numerosi ricorsi. La situazione in cui si vive a Fuorni è a dir poco vergognosa e lesiva della dignità della persona, pur se colpevole di un qualsiasi tipo di reato». Intanto, altri casi lesivi della dignità della persona, riguardanti detenuti del carcere di Fuorni, stanno per finire alla Corte europea di Strasburgo. Tra tali casi, quello di un 58enne salernitano, condannato a un mese e mezzo di carcere, che aveva chiesto un differimento della pena per poter curare un carcinoma alla prostrata in una struttura specializzata (in cui doveva effettuare chemio e radioterapia); la richiesta non fu accolta, così l’uomo ha visto aggravarsi la malattia e oggi non può più essere operato. Altro caso grave, finito già a Strasburgo, quello di un 46enne affetto da cardiopatia ischemica, che ha visto aggravarsi le proprie condizioni di salute, dopo che arbitrariamente in carcere gli fu sostituito un importante farmaco, che avrebbe dovuto prendere ogni otto ore. Michele Piastrella aprile 2013 scarp de’ tenis

.61


catania La regione cancella i corsi professionali per minori in obbligo di istruzione: un errore che pregiudica delicati percorsi educativi

La formazione non si tocca! di Marco Pappalardo A volte per leggerezza si rischiano di perdere di vista le questioni importanti. Altre volte è la voglia di protagonismo che non permette una visione chiara della realtà, poiché si è nascosti da se stessi. Capita pure in molti casi che si faccia di tutta l’erba un fascio o che si elimini il buono insieme a ciò che non va. In certe situazioni c’è pure la voglia di spettacolarizzare tutto, oppure intervengono i cattivi consiglieri. Così all’inizio di marzo è successo che, in una “spettacolare” conferenza stampa a Palermo, il presidente della regione Sicilia, Rosario Crocetta, come se stesse parlando di banalità, ha affermato che dall’anno prossimo la Sicilia non avrà più i corsi professionali per minori in obbligo di istruzione e formazione. Che faranno questi ragazzi in età scolare? Secondo il presidente, andranno a scuola come tutti gli altri e frequenteranno persino il ginnasio, in modo da toglierli dal ghetto, mentre operatori e insegnanti faranno altro. Sarà un modo per no tutti uguali. Inoltre è interessante norisparmiare, e quando si parla di rispartare che alcuni di questi falsi enti per anmio tutti applaudono. Ma come si fa a ni sono stati legati e politici parlamenmettere sullo stesso piano il giusto tetto tari regionali. da porre agli stipendi “fantasiosi” dei dirigenti con il taglio della formazione La reazione dei salesiani professionale in obbligo scolastico? Il mondo salesiano, che da anni opera Nessun popolo cresce investendo in questo settore scommettendo sull’esui dirigenti regionali, sicuramente creducazione globale del ragazzo e sulla sce facendolo sull’istruzione dei giovapossibilità di fargli vedere un futuro mini, offrendo opportunità per il lavoro. gliore, tenuto conto che chi accede ai Che in Sicilia ci siano stati e ci sono corsi dopo le scuole medie di solito prosprechi in questo ambito è vero, così coviene da situazioni familiari difficili, a me è vero che molti di questi enti sono volte affidato direttamente dal Tribunafantasma. Ma ciò non vuol dire che siale per i Minori, ha preso posizioni subito dopo l’annuncio di Crocetta. «La politica siciliana – si legge in un comunicato –, con il suo braccio amministrativo, ad oggi è l’unico soggetto che Inizia questo mese una piccola rassegna delle parrocchie dove viene diffuso dequalifica l’impegno professionale Scarp de’ Tenis. Ora vi parlerò della parrocchia Santa Maria del Rosario profuso dalla missione educativa saledi Nesima Inferiore, a Catania. Questa chiesa si trova in una zona piuttosto siana e inficia la qualità dei risultati che periferica della città, è una struttura piccolina, ma al contempo è grande come si potrebbero raggiungere con un sistemanifestazione della fede; infatti, quando si entra si avverte il contatto con ma che garantisca formazione e qualità lo spirito, palpabile attraverso il raccoglimento dei fedeli e l’atmosfera che di servizio ai ragazzi e ai giovani che ne si respira. Don Aldo Mignemi è il parroco “carismatico”, semplice e affabile, hanno diritto. I costi della formazione di buon umore; ti prende per mano e ti conduce verso l’incontro con Gesù, in obbligo di istruzione non sono quelattraverso il rito dell’adorazione eucaristica. Chi vi mette a conoscenza di tutto li dichiarati dal presidente. La politica di ciò, ha vissuto un’esperienza spirituale emozionante e indimenticabile. questa regione non permette ai minori Attraverso questo rito ha vissuto l’incontro con la Parola. di questa terra, di programmare loro un Tony Bergarelli futuro, avviandosi al mondo del lavoro».

Una chiesa piccolina, ma grande nella fede

62. scarp de’ tenis aprile 2013


scarppalermo Forse certi politici, alcuni dei quali si sentono salvatori della patria, dovrebbero conoscere di più e dal di dentro la realtà della formazione professionale. «Troverebbero ragazzi felici, ben accolti, capaci di relazionarsi, strappati ai contesti mafiosi, semplici, affettuosi, formati e con una cultura di base significativa. Gli stessi dovrebbero pure guardare indietro, leggere e studiare la storia, per vedere che per anni i corsi di formazione hanno “sfornato” meccanici, tecnici specializzati, parrucchieri, sarti,

elettricisti, tipografi, esperti in computer, operai per tante industrie o imprese locali e estere. Soprattutto, hanno “formato” donne e uomini di speranza, buoni cristiani e onesti cittadini, che ancora oggi si commuovono e piangono quando sentono parlare di Don Bosco, dei salesiani, delle suore, degli insegnati laici. E questo non perché siano nostalgici, ma poiché non ci si dimentica di chi ti ha ridato la vita o ti si è preso cura di te come una famiglia, pensando al futuro per te e solo per te».

.

Il caso

Mille rifugiati lasciati a se stessi, non mancano storie d’integrazione In Sicilia, teatro dei drammatici sbarchi di migliaia di immigrati all’epoca dell’emergenza Nord Africa, nel 2011, sono quasi mille i rifugiati che resteranno senza ospitalità, abbandonati a loro stessi, senza vitto né alloggio. Orazio Micalizzi è il presidente di Xenagos, fondazione che si occupa di progetti per l’integrazione degli immigrati. «L’ingente somma stanziata dal governo in questi due anni – spiega –, è stata utilizzata principalmente per la fornitura di vitto e alloggio, senza prospettive di integrazione, formazione e inserimento lavorativo. Di questi ultimi progetti, messi in atto solo in alcuni centri, se ne è occupato il terzo settore. Lo stato avrebbe potuto mantenere attiva la rete di accoglienza, nell’eventualità di nuovi futuri arrivi ed emergenze, ma soprattutto per completare percorsi di inserimento lavorativo avviati, e corsi di studio ancora in atto». Invece si è deciso per la chiusura dei centri, stanziando una “buonuscita” di 500 euro per ciascuno degli ospiti ancora presenti; chi l’ha accettata ha dovuto lasciare il centro, ma molti non intendono andarsene, essendo ancora in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato politico, utile anche per poter lasciare l’Italia e scegliere se tornare nel proprio paese o cercare fortuna altrove. Il 2 marzo una circolare dal ministero dell’interno ha peraltro prolungato di sei mesi l’accoglienza nei centri, ma solo per le persone “vulnerabili” (diversamente abili, donne con bambini, minori, disagiati mentali). La situazione, anche in Sicilia, al momento è confusa; le migliaia di persone che hanno lasciato i centri di accoglienza non hanno più diritto all’assistenza, senza vitto né alloggio non si sa dove andranno a finire, né come camperanno. Ma nel marasma generale, qualche storia a lieto fine c’è. Come quella di un ingegnere informatico arrivato con la famiglia dalla Libia: ora sono ospiti in una casa che potranno permettersi in affitto, dato che lui, entro breve, inizierà a lavorare per alcune aziende locali. E altre storie: «Un ragazzo del Ciad – racconta Lella Pennisi, responsabile di due centri di accoglienza in provincia di Catania – ha ottenuto l’asilo politico, ma ha deciso di rimanere per completare un corso di mediatore culturale, e continuare il servizio che da circa sei mesi svolge in una cooperativa, regolarmente retribuito. Un connazionale lavora come custode di una struttura. Un giovane indiano è stato assunto da una ditta di torrefazione che gli dà pure l’alloggio. Anche due ragazzi del Burkina Faso hanno trovato occupazione: uno è ospitato da un’azienda agricola per la quale opera, l’altro lavora in un’associazione animalista, la cui presidente gli ha trovato una piccola casa in affitto». Sissi Geraci

Crisi e stili di vita: sobrietà è solidarietà Le regole del mercato ci impongono uno stile di vita frenetico, basato sulla volontà di possedere e di accumulare. I beni di consumo sono usati non per la loro effettiva utilità, ma come strumenti di conferma personale e sociale, da un uomo sempre più insicuro e instabile. Gli stili di vita complessivi da cui siamo circondati sono diventati insostenibili, non solo per coloro che da sempre sono esclusi da modelli di vita consumistici, ma anche per la collettività. L’area sociale di quelli che fino a ieri chiamavamo “poveri” si è allargata fino a comprendere tante famiglie che prima della crisi non avevano problemi. La sfida, oggi, allora è assumere decisioni coraggiose, essere consapevoli che le nostre scelte di consumo determinano la qualità della nostra vita e di quella degli altri. Sulla base di queste convinzioni, dagli operatori che gestiscono il servizio di microcredito della Caritas diocesana di Catania è nata l’idea di un corso rivolto alla comunità intera, un percorso di informazione che aiuta a riflettere sul proprio stile di consumo. Il corso si intitola “Uso responsabile del denaro, crisi, stili di vita, sobrietà e solidarietà”. Il primo obiettivo è accrescere la conoscenza del consumo critico, a partire dall’analisi della propria situazione economica e dalla capacità personale di organizzare il bilancio familiare; inoltre si intende fornire strumenti che aiutino le famiglie a spendere con consapevolezza il denaro. Tema portante degli incontri è stato la riscoperta della sobrietà come valore, e prima ancora come esperienza di vita. Non un banale “spendere meno”, quindi, ma un modo di stare nel mondo, liberi dall’attaccamento alle cose, che imprigiona. Sobrietà diventa allora sinonimo di uso responsabile delle risorse e capacità di scelta. Non privazione, ma liberazione dal superfluo; quindi, maggiore libertà. Gabriella Virgillito

aprile 2013 scarp de’ tenis

.63



ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier La crisi compie quale viviamo, come l’agenda cinque anni. Dallo scoppio della per il buon vivere, come bulimia finanziaria a oggi, cosa è l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. davvero cambiato? Sono state varate Ventuno è la nostra nuove regole? Intanto falliscono le idea di economia. Con qualche proposta per imprese, patiscono i risparmiatori. Ma agire contro l’ingiustizia e le banche hanno visto accrescere l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno. il loro patrimonio...

di Andrea Barolini

21 ventunoeconomia Dove investono i mafiosi? In quali settori? A quanto ammonta il patrimonio delle organizzazioni criminali? I dati del dossier curato da Transcrime

di Stefano Lampertico

ventunorighe Essendo Stato

di Chiara Pelizzoni

aprile 2013 scarp de’ tenis

.65


21ventunodossier Cinque anni dal crack finanziario globale. Gli stati han salvato le banche. Ma hanno saputo fare leggi per evitare nuove bolle?

Lustro di crisi, poco è cambiato dossier a cura di Andrea Barolini

Dallo scoppio della tempesta finanziaria, che ha indebolito, Tra speculazione e riforme inevase soprattutto in Europa, anche l’economia reale, gli stati del continente hanno versato alle banche più di Ormai è noto a tutti che la crisi è stata provocata, in gran parte, dalla bulimia speculativa della finanza (in particolare delle banche) e di alcuni setto1.600 miliardi di euro. ri economici (su tutti, quello immobiliare). Per rendersi conto di quanto il comUna cifra astronomica, parto finanziario sia in grado di provocare con i propri comportamenti veri e propri terremoti nelle economie reali, e dunque nelle vite di ciascuno di noi, vapari al 13% del Pil le la pena di ricordare qualche dato relativo alla crisi della Grecia. comunitario. Tale Non tutti sanno, infatti che il paese che ormai da anni fa tremare l’intera Unione europea rappresenta solamente l’1,9% del Pil dell’Eurozona. E il suo demassa di capitali bito pubblico non va oltre il 3,6% del totale degli aderenti alla moneta unica. Se pubblici è stata messa sommiamo, poi, anche Irlanda e Portogallo, scopriamo che il Pil e il debito potrebbe essere bloccato, ad esempio, in gioco per evitare complessivi dei tre paesi arrivano, riattraverso un intervento della Banca fallimenti a catena, che spettivamente, solo al 5,4% e al 7,8% centrale europea, che potrebbe acquidell’area-euro. stare direttamente i buoni del Tesoro, avrebbero travolto aumentando in tal modo la domanda diversi paesi e milioni e limitando la crescita dei rendimenti. Speculatori sempre in agguato Tale prerogativa, però, non è prevista La ragione per la quale, nonostante nudi risparmiatori. Ma meri così limitati, la crisi di questi tre nel mandato dell’Eurotower, che si troi soldi non arrivano a stati ha portato l’Ue sull’orlo del baratro va perciò con le mani legate. è da ricercare prevalentemente nella Per cercare di arginare tale impedifamiglie e imprese. mancanza di strumenti, da parte delle mento, la Bce ha concesso maxi-preE l’accordo “Basilea III” istituzioni nazionali e internazionali, stiti alle banche (ne ha facoltà) a un per combattere il problema. tasso di interesse bassissimo, chiedennon obbliga la finanza Il meccanismo è semplice: quando do loro, in cambio, di riaprire i rubia rivedere radicalmente un paese entra in una fase di difficoltà, netti del credito. Ma solamente una gli investitori pretendono tassi di intepiccola parte di quanto incassato dai suoi atteggiamenti ressi più elevati per acquistare i suoi tigli istituti finanziari è stato destinato

La ricerca del profitto e quel passo oltre le regole

toli di stato. Il che aggrava le condizioni del bilancio pubblico, rende i paesi ancora meno sicuri e provoca nuovi aumenti dei tassi. Un circolo vizioso, che

66. scarp de’ tenis aprile 2013

davvero a cittadini e imprese, facendo sfumare in buona parte le speranze del governatore Mario Draghi. Ecco perché riformare il sistema finanzia-


crisi economica

rio – sia nel suo funzionamento, sia per quanto riguarda i meccanismo di contrasto delle speculazioni – costituisce il solo e unico modo per scongiurare una nuova crisi come quella che stiamo vivendo dal 2008. Di parole, in questo senso, ne sono state spese moltissime, e sebbene numerosi governi abbiano a più riprese promesso giri di vite epocali, è evidente che i cambiamenti realizzati per “mettere in sicurezza il sistema” siano di fatto ancora pochi. Uno sguardo alle condizioni attuali del settore bancario è, in questo senso, rivelatore.

Ancora troppo grandi per fallire Gli istituti di credito, in particolare le banche d’affari, hanno adottato negli anni i comportamenti più spregiudicati. Sono ormai note a tutti le ragioni del crollo più clamoroso, quello del colosso statunitense Lehman Brothers. Ciò che non tutti sanno, invece, è che la banca è fallita nel settembre 2008 e oggi, sei anni dopo, i liquidatori sono ancora al lavoro per “smantellarla”. Ovvero per venire a capo delle centinaia di migliaia di ramificazioni dei suoi investimenti, in tutto il mondo. Aggiungiamo qualche altro ele-

mento al ragionamento. Alle banche, dall’inizio della crisi, gli stati europei hanno versato qualcosa come 1.600 miliardi euro (il 13% del Pil comunitario). Quell’enorme massa di capitali pubblici è stata messa in gioco dai governi per evitare una serie di fallimenti a catena che avrebbero minacciato la tenuta dell’intero sistema. Una preoccupazione fondata, perché la crescita delle dimensioni degli istituti di credito, negli ultimi anni, è stata talmente mostruosa da rendere impensabile un loro default. Solamente in Europa, e solamente dal 2002 al 2008, il valore degli asset in mano alle banche è passato da 25 mila miliardi a 45 mila miliardi di euro. Ovvero il 350% del prodotto interno lordo totale dell’Ue (una banca come Bnp Paribas è arrivata a valere tanto quanto il Pil della Francia). Abbiamo dunque avuto a che fare con «la più grossa bolla speculativa della storia», ha commentato Andrew Haldane, dirigente di Bank of England. È anche per questo che le grandi banche, oggi, possono finanziarsi a tassi di interesse molto più bassi rispetto a quelli chiesti ai cittadini e alle imprese. Il motivo è evidente: la storia recente inse-

gna che i colossi finanziari europei saranno sempre salvati dagli stati (ovvero dai cittadini, che pagano in ultima istanza il prezzo di nazionalizzazioni, garanzie e ricapitalizzazioni). Mentre una piccola impresa può fallire con più facilità, e per questo dovrà accettare di corrispondere interessi molto più alti per ottenere credito. Ecco cosa vuol dire – concretamente – essere too big to fail, troppo grandi per fallire.

Le riforme? Parziali e inattive Per tutto ciò, è proprio nei confronti degli istituti finanziari che ci si aspettava, ragionevolmente, l’ondata di riforme più profonda. Le banche centrali, riunite nel Comitato di Basilea, hanno messo a punto una nuova regolamentazione – la cosiddetta Basilea III – che però non ha centrato il cuore del problema. La norma punta infatti a rafforzare il capitale e la liquidità delle banche. Nella speranza che queste ultime siano maggiormente in grado, in futuro, di fronteggiare autonomamente nuove crisi, senza dover ricorrere di nuovo ad aiuti pubblici. Ma si tratta di ben poca cosa, viste le cifre in ballo: «Nessun accantonamento di capitale sarà aprile 2013 scarp de’ tenis

.67


ventunodossier

L’Ue ha dato via libera all’introduzione di un’unione bancaria europa, che dovrebbe consentire di varare un meccanismo unico di supervisione sugli istituti di credito. Basterà?

grafico 1. Gli asset delle banche negli Usa e in Europa in valori assoluti (a sinistra) e in percentuale sul Prodotto interno lordo (a destra)

mai sufficiente in questo senso, perché la ricerca sfrenata del profitto condurrà sempre le banche a fare un passo al di là delle regole», ha aggiunto ancora Haldane. Appare meno stringente, invece, la critica che da tempo viene mossa alla Basilea III dal mondo bancario: secondo gli istituti di credito imporre accantonamenti di capitale equivale a chiudere ancor di più i rubinetti del credito a cittadini ed imprese. A tale osservazione si potrebbe rispondere facilmente chiedendo alle

grafico 2. La crescita delle dimensioni delle banche dal 2001 al 2011

banche di cominciare a limitare gli stipendi dei propri dirigenti, o a tagliare di netto i bonus (che, tra l’altro, spesso

68. scarp de’ tenis aprile 2013

incitano i trader a raggiungere risultati operativi nel breve periodo e “ad ogni costo”). I banchieri, in ogni caso, dovranno accantonare quanto imposto dalle nuove regole, ma non per questo rinunceranno al “casinò finanziario”. La Basilea III, in questo senso, cambierà dunque poco o niente. E c’è poi da aggiungere un’ulteriore considerazione, tanto banale quanto interessante, sollevata da Philippe Trainar, dirigente del gruppo Scor, sulle colonne del quotidiano economico francese Les Echos: se davvero fosse sufficiente adottare le nuove regole in materia di capitalizzazione per scongiurare ogni pericolo, perché mai esse non furono introdotte dieci o venti anni fa? «La verità – prosegue Trainar – è che anche il sistema della finanza pubblica è finito nel vortice della crisi». Basti pensare alla fine che hanno fatto istituti statali o parastatali come gli americani Fannie Mae e Freddie Mac, la franco-belga Dexia o alcune Landesbanken tedesche. Tutte gestite, direttamente o indirettamente, da amministratori pubblici o regolatori – da coloro cioè che hanno imposto le regole al sistema globale – e che però hanno, di fatto, adottato gli stessi comportamenti spregiudicati dei colossi privati del settore, finendo per questo sull’orlo del baratro. Ancora, tra le “soluzioni” che hanno ricevuto almeno una prima appro-


crisi economica

grafico 3. I prestiti (a sinistra) e gli asset in possesso delle banche (a destra): le grandi banche, pur controllando la stragrande maggioranza degli asset, prestano a cittadini e imprese molto meno, rispetto alle concorrenti medio-piccole vazione ufficiale dall’Ue va ricordata quella che nello scorso dicembre ha dato il via libera all’introduzione di un’unione bancaria europea, che dovrebbe consentire di introdurre un unico meccanismo di supervisione sugli istituti di credito del Vecchio Continente. Ma il progetto sarà operativo solamente nel 2014. Inoltre, il primo consiglio Ecofin dello scorso gennaio è parso arenarsi di fronte al compito di definire con precisione le caratteristiche e i poteri di tale nuovo strumento di controllo.

Proposte efficaci Se la Basilea III, dunque, suscita parecchie perplessità su più fronti, l’unione bancaria è ancora solo futuribile e la Bce ha le mani legate, più interessante potrebbe essere la proposta di imporre ai banchieri la pubblicazione di una “guida allo smantellamento”. Ovvero di quell’insieme di passaggi da percorrere obbligatoriamente in caso di default, per evitare di trascinare con sé il sistema intero. Un vero e proprio “testamento”, che potrebbe limitare i problemi anche per i creditori di un istituto fallito. A patto però che le banche dicano la verità e, in secondo luogo, che nel momento dell’attuazione della “guida” non ci siano sorprese: se una banca ha attività legate ai paradisi fiscali, ad esempio, perché mai dovrebbe auto-denunciarle nel proprio “testamento” pubblico?

Più chiara e puntuale sarebbe una riforma di cui si parla da tempo, ma che è ancora lontana dall’essere adottata a livello comunitario: la riproposizione del Glass Steagall Act, legge americana approvata dall’amministrazione Roosvelt nel 1933 (a quattro anni dall’esplosione della peggiore crisi finanziaria del secolo scorso). La norma disponeva, semplicemente, ed efficacemente, la separazione tra ban-

che d’investimento e banche retail, rendendo così i risparmi dei cittadini al sicuro dalle attività spericolate dell’alta finanza. Solamente Regno Unito e Francia, però, si sono mosse seriamente in questo senso. Mentre a Bruxelles sembra prevalere la volontà di isolare solamente le attività a più alto tasso di rischio. Il pericolo, insomma, è di andare incontro all’ennesimo accordo al ribasso...

.

Se la finanza partecipa ai costi della crisi...

Tassa sulle transazioni l’Europa accelera Nei mesi scorsi abbiamo assistito ad alcuni passaggi cruciali per quanto riguarda l’iter di introduzione, in Italia come in Europa, di una tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), comunemente indicata col nome Tobin tax. Una premessa: quando parliamo di imposta sulle transazioni, dobbiamo distinguere in modo netto tra la tassa che dovrà essere introdotta a livello comunitario e quella che è entrata in vigore recentemente in Italia. La prima resta ancora un progetto, avanzato da 11 paesi dell’Unione europea che hanno deciso di utilizzare lo strumento della cooperazione rafforzata (un modo per aggirare la mancanza di unanimità tra i Ventisette): per la Ttf europea, però, un passo avanti importante si è registrato il 14 febbraio, quando la Commissione di Bruxelles ha presentato ufficialmente il testo della direttiva con mento da parte dei paesi membri della quale si chiede ai paesi aderenti alla l’Ue: la Commissione, in sostanza, detta cooperazione – Germania, Francia, Augli obiettivi; spetta poi a ciascun parlastria, Belgio, Portogallo, Slovenia, Grecia, mento l’approvazione di una norma che Slovacchia, Estonia, Spagna e Italia – di vada incontro a ciò che la direttiva stessa rendere operativo il progetto. impone. Di tempo, perciò, dovrà passarIl meccanismo della direttiva prevene ancora parecchio (l’Italia, ad esempio, de necessariamente un atto di recepirecepisce di norma le direttive una volta aprile 2013 scarp de’ tenis

.69


l’anno, nel mese di gennaio, attraverso la cosiddetta “legge comunitaria”). Ciò che ha suscitato una reazione decisamente positiva è stato però il contenuto del testo emanato da Bruxelles: l’organismo esecutivo dell’Ue sottolinea infatti, a chiare lettere, che tra gli obiettivi principali della misura c’è quello di far partecipare in modo giusto il mondo della finanza ai costi della crisi. La Commissione, insomma, sembra cogliere appieno le ragioni dei tanti attivisti che in tutta Europa, da anni, si battono per l’introduzione della tassa: far pagare la crisi ha contribuito a generarla con i suoi comportamenti scellerati, e trovare al contempo un argine a quella che viene definita ormai, anche da organismi internazionali, la “finanza casinò”.

Gli allarmi delle banche? Infondati Quanto alle modalità attraverso le quali la tassa dovrà essere applicata, la Commissione europea si richiama all’utilizzo di un “principio di emissione” dei titoli oggetto di tassazione, che aggiunto al “principio di residenza” di chi effettua la transizione, evita il rischio di fughe di capitali e scongiura l'inefficacia di una norma applicata solo a un ristretto numero di stati. Tradotto, significa che un titolo emesso in Germania potrà essere tassato anche se la sua compravendita dovesse essere effettuata al di fuori degli undici paesi che applicano la Ttf. Inoltre, le indicazioni europee prevedono una base imponibile molto ampia, con poche esenzioni. Essa include, ad esempio, l'applicazione della tassa anche ai fondi pensione: elemento che permetterà una stabilizzazione nel lungo periodo, scongiurando attività speculative sul breve termine. Proprio la tassazione dei fondi pensione, invece, non è stata introdotta nella tassa che il governo Monti aveva approvato con la legge di stabilità 2013, e che è entrata in vigore il 1° marzo. Si tratta di una norma che precede l’approvazione della cooperazione rafforzata, e che dunque dovrà essere modificata secondo quanto richiesto da Bruxelles. Fortunatamente, c’è da dire, perché secondo numerosi osservatori, la Ttf in salsa italiana appare molto più annacquata, rispetto a quella che dovrebbe venire alla luce in Europa.

70. scarp de’ tenis aprile 2013

Essa si applica infatti ai trasferimenti di proprietà di azioni e strumenti finanziari partecipativi, alle operazioni su derivati e altri valori mobiliari, nonché all’high frequency trading (il trading ad alta frequenza effettuato non da operatori di borsa, ma da complessi algoritmi gestiti da computer, che sfruttano le piccole oscillazioni per speculare). L’imposta italiana (pari allo 0,12% del valore della transazione) colpisce però solo chi acquista azioni di società con capitalizzazione superiore ai 500 milioni di euro e con sede in Italia. Si tratta, dunque, di una tassa circoscritta di fatto alle sole “big” quotate a Milano (una settantina di aziende). Per di più, le operazioni su titoli derivati – quelle a maggior tasso di rischio per il sistema – saranno tassate solamente a partire dal 1° luglio prossimo. Ma non è tutto: la normativa del governo Monti prevede anche che l’imposta deb-

ba essere calcolata su quello che viene definito il “netto delle posizioni in chiusura di giornata”. Il che, tradotto dal linguaggio tecnico, significa che se si acquistano cento titoli e se ne rivendono altrettanti entro la stessa giornata, anche con intenti puramente speculativi, si evita di incorrere nella Tobin Tax: la si paga solamente se si trattiene un numero di azioni maggiore rispetto a quello iniziale. Il compromesso adottato dal governo Monti, insomma, appare davvero poco incisivo. È utile, però, pur considerando tutto quando detto finora, fare un primissimo bilancio del suo impatto sulla borsa. I detrattori della tassa, infatti, sostengono a gran voce i rischi legati

all’adozione di una norma in un solo paese (così come in un ristretto gruppo di stati). Gli operatori – spiegano gli scettici – non farebbero altro che scappare in altre piazze, meno esose dal punto di vista fiscale. Eppure, nei primi giorni di scambi a Piazza Affari, la Ttf non ha determinato alcun effetto, né in termini di volumi di scambio, né secondo il giudizio degli operatori di borsa. Si potrebbe obiettare che proprio le caratteristiche particolarmente poco “dure” della tassa italiana possano essere alla base del mancato impatto sulla borsa. Un altro paese europeo, però, ha introdotto prima di noi una Ttf, e non “edulcorata” come la nostra. Si tratta della Francia, esempio che consente di valutare con maggiore obiettività le reali conseguenze del prelievo fiscale su una piazza finanziaria. Un recente studio effettuato da Leonardo Becchetti, docente all’università Tor Vergata di Roma, ha esaminato infatti i titoli quotati alla Borsa di Parigi da quando la tassa è stata introdotta – il 1° agosto scorso – a oggi. I risultati evidenziati nel rapporto parlano di un calo del 25% della volatilità intraday (ovvero delle oscillazioni di ciascuna singola sessione, il che indica una maggiore stabilità del mercato, a tutto vantaggio degli investitori non speculatori). Anche il volume delle transazioni è sceso del 25%, ma l’impatto sui prezzi degli asset, così come quello sulla liquidità, sono risultati semplicemente nulli. Sono dunque infondati – ha concluso il docente – gli allarmi lanciati dalle banche e dai gestori di patrimoni mobiliari. La nuova imposta – prosegue il paper firmato da Becchetti – rende inoltre molto costoso il trading ad alta frequenza (high frequency trading), il che genera un effetto benefico limitando le attività speculative. Ciò, è facilmente prevedibile, non basterà a convincere la lobby dei contrari, rappresentata soprattutto da banche, società di intermediazione mobiliare e fondi di investimento. Ma è certamente utile per comprendere, al di là delle grida d’allarme, la realtà dei fatti.

.



21ventunoeconomia In un rapporto Transcrime - Università Cattolica, il quadro dell’attività economica delle organizzazioni criminali

Soldi sporchi, così investono le mafie Le attività illegali arrivano ad avere un valore superiore ai 30 miliardi di euro, ovvero l’1’7% della ricchezza nazionale. Gli utili vengono reimpiegati da organizzazioni ramificate: ecco dove, in quali settori, con quali modelli societari operano a cura di Stefano Lampertico dati e tabelle Rapporto “Gli investimenti delle mafie” – Università Cattolica – Transcrime Un quadro esaustivo. E allo stesso tempo preoccupante. Che conferma quanta strada sia ancora da compiere, in tema di lotta alla mafia. I dati e numeri che ne emergono generano insieme stupore e rabbia. E tratteggiano il quadro di un paese in cui le mafie sono diffuse. Un paese che vede sottratto al proprio Pil l’1,7% (più di 25 miliardi di euro): risorse destinate ad attività illegali. Il rapporto Gli investimenti delle mafie, redatto da Università Cattolica – Centro Transcrime, giunge a coronamento di un ambizioso progetto di studio sugli investimenti della criminalità organizzata nell’economia globalizzata, ideato e finanziato dal “Programma operativo nazionale sicurezza per lo sviluppo – Obiettivo convergenza 2007-2013”, cofinanziato dall’Unione europea e gestito dal ministero dell’interno. L’iniziativa aveva l'obiettivo di analizzare gli investimenti delle mafie nell’economia legale. Per rea-

72. scarp de’ tenis aprile 2013

lizzarlo è stato necessario capire dove operano le mafie italiane, quanto ricavano dalla gestione delle attività illegali e quali sono le modalità di investimento preferite nell’economia legale. Ne presentiamo una sintesi, con i dati più significativi.

Dove operano le mafie in Italia? Per conoscere come le organizzazioni mafiose si distribuiscono nel territorio italiano è stato creato l’indice di presenza mafiosa (Ipm). Esso misura sinteticamente dove e chi, tra le organizzazioni criminali mafiose, opera nel territorio nazionale. Le mappe sono su base comunale e distinguono tra Cosa Nostra, camorra, ’ndrangheta, criminalità organizzata pugliese e altre organizzazioni criminali mafiose italiane. L’Ipm, oltre a confermare il forte controllo criminale nelle aree di tradizionale insediamento, ha riscontrato una forte presenza mafio-

sa in alcune zone del nord-ovest e del centro Italia. A livello regionale, Lazio, Liguria, Piemonte, Basilicata e Lombardia fanno infatti registrare una marcata presenza di organizzazioni criminali. A livello provinciale, Roma si colloca in tredicesima posizione, Imperia in sedicesima, Torino è ventesima e Milano ventiseiesima. L’analisi si è concentrata sui ricavi delle più importanti attività illegali, attribuite anche (ma non solo) alle organizzazioni mafiose: sfruttamento sessuale, traffico illecito di armi da fuoco, droghe, contraffazione, gioco d’azzardo, traffico illecito di rifiuti, traffico illecito di tabacco, usura ed estorsioni. In valori assoluti, le attività illegali analizzate forniscono ricavi che variano tra un minimo di 17,7 e un massimo di 33,7 miliardi di euro. In percentuale e in media, come si diceva, i ricavi illegali corrispondono all’1,7% del Pil nazionale (25,7 miliardi


affari illegali mappa 1. Dove sono le mafie in Italia

fiose è stato pari a 19.987 beni (immobili, mobili e aziende). La quota più rilevante degli investimenti mafiosi, infatti, è destinata all’acquisto di immobili (52,3% sul totale dei beni confiscati). Seguono i mobili registrati (20,6%), altri beni mobili (18,4%) e aziende e titoli societari (8,7%). L’investimento in immobili sembra essere quello privilegiato, ma anche quello più esposto al rischio di essere identificato e confiscato. Tra i beni immobili su cui le organizzazioni mafiose hanno investito spiccano le abitazioni (42,4%), seguite dai terreni (25,6%). Tra le abitazioni, i maggiori investimenti riguardano gli appartamenti (33,8%) che prevalgono nettamente su altri tipi di insediamenti abitativi (abitazioni indipendenti e ville). Per quanto riguarda i terreni, si tratta soprattutto di terreni agricoli, che si concentrano quasi esclusivamente nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Sicilia, Campania e Calabria).

Immobili al Sud, aziende al Nord grafico 1. Ricavi medi per attività illegale (valori in miliardi di euro)

di euro) e a circa 427 euro per abitante nel 2010. Le droghe generano i maggiori ricavi (in media 7,7 miliardi di euro), seguiti da estorsioni (4,7 miliardi), sfruttamento sessuale (4,6) e contraffazione (4,5). Solo una quota delle attività illegali finisce alle organizzazioni mafiose (tra il 32% e il 51%). In linea con i risultati della letteratura scientifica, solo una parte delle attività illegali analizzate è infatti stata considerata controllata dalle organizzazioni mafiose (ad eccezione delle estorsioni, in quanto tipiche esclusivamente di tali organizzazioni). I risultati hanno rivelato che i ricavi annuali delle mafie variano tra un minimo di 8,3 e un massimo di 13 miliardi di euro, pari al 32% e 51% dei ricavi illegali totali. In media, le estorsioni forniscono il 45% di questo importo, seguite dalle droghe (23%), usura (10%), contraffazione e sfruttamento sessuale (8% ciascuna). A livello nazionale, camorra e ’ndran-

gheta conseguono quasi il 70% dei ricavi delle organizzazioni mafiose. Cosa Nostra realizza il 18% dei ricavi. A differenza delle altre organizzazioni, che ottengono una parte consistente dei propri ricavi nella regione di origine, quelli della ’ndrangheta provengono dalla Calabria per il 23%, dal Piemonte per il 21%, e poi da Lombardia (16%), Emilia- Romagna (8%), Lazio (7,7%) e Liguria (5,7%).

Il patrimonio delle mafie Tra il 1983 e il 2011 il patrimonio confiscato alle organizzazioni criminali ma-

Nelle regioni del sud (ad eccezione della Puglia) esiste una maggiore propensione all’investimento in immobili. In questo settore, il Piemonte ha una quota di gran lunga inferiore alle altre regioni (meno del 20%), mentre Lombardia e Lazio si attestano attorno al 50%. L’incidenza degli investimenti in aziende tende ad essere superiore in Campania, Lombardia e Lazio (con quote intorno al 10%). Tra gli investimenti in imprese, le società a responsabilità limitata sono quelle di gran lunga preferite (46,6%), seguite a distanza dalle imprese individuali (25,8%), dalle società in accomandita semplice (14,5%) e dalle società in nome collettivo (8,8%). Al contrario, le società per azioni sono presenti in misura ridotta (2%). La preferenza per la forma delle srl si spiega soprattutto con la facilità di costituzione (si richiede un capitale sociale di appena 10.000 euro) e con il vantaggio dettato dalla limitazione delle responsabilità patrimoniali. I settori di attività economica privilegiati sembrano essere quelli a bassa tecnologia. Spiccano, in particolare, i settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio (29,4%) e delle costruzioni (28,8%). Seguono più distanziati gli alberghi e i ristoranti (10,5%) e le attività immobiliari (8,9%). aprile 2013 scarp de’ tenis

.73


ventunoeconomia

grafico 2. Settore delle imprese confiscate alle mafia per tipologia di organizzazioni mafiose ( 1983-2012)

Negli ultimi anni ha suscitato molta attenzione il tema della presenza delle mafie in aree geografiche non tradizionali. In effeti l’espansione degli investimenti criminali c’è stata a nord, ma non in modo omogeneo. Si osservano concentrazioni nelle regioni del nord ovest (Lombardia e Piemonte in primis), mentre gli investimenti sono molto meno presenti nelle regioni del nord est e in quelle del centro (ad esclusione del Lazio).

L'analisi degli investimenti Lo studio si sofferma sulla motivazione che sta all'origine degli investimenti delle mafie. E i fattori economici appaiono un fattore secondario nel guidare gli investimenti in immobili, mentre sembrano avere una maggiore importanza per l’acquisizione di immobili a uso personale. Sembrano dunque avere incidenza motivazioni simboliche e di status, avvertite dai singoli membri delle organizzazioni criminali, o questioni di opportunità, più che autentiche logiche di interesse economico. I beni immobili, sia per uso personale che per investimento, tendono a essere concentrati in aree dove le mafie hanno un maggiore radicamento territoriale. Questo sembra confermare il fatto che

74. scarp de’ tenis aprile 2013

grafico 3. Percentuale di aziende confiscate per tipologia di organizzazioni mafiose ( 1983-2011)

la possibilità di controllare e garantire il proprio investimento è cruciale per guidare le scelte delle organizzazioni mafiose nell’acquisizione di immobili. E si tratta di una strategia comune a tutte le organizzazioni mafiose. In generale sono riscontrabili solo lievi differenze tra le diverse organizzazioni mafiose. In particolare, dai dati emerge come tutte le mafie hanno una forte tendenza a investire nelle zone di origine, anche se alcune organizzazioni (camorra e ’ndrangheta) appaiono leggermente più “aperte” verso nuovi territori. Anche per quello che riguarda la composizione per tipo dei beni attribuibili alle diverse organizzazioni mafiose, le differenze appaiono minime.

Riciclaggio e consenso sociale In generale, i motivi di investimento in altri settori sono vari. L’investimento delle organizzazioni mafiose in aziende risponde per esempio a una pluralità di

Le motivazioni? Riciclaggio, controllo del territorio e consenso sociale

motivi: la massimizzazione del profitto economico, l’esigenza di riciclare o occultare le attività criminali, il controllo del territorio, il consenso sociale, altre ragioni di ordine culturale e personale. Tali motivi influenzano sia la scelta dei territori e dei settori economici, sia le modalità di gestione economico-finanziaria, sia le modalità di infiltrazione e controllo. La redditività non è il primo obiettivo. Le mafie investono nelle aree geografiche e nei settori economici che meglio rispondono alle esigenze di controllo del territorio e di massimizzazione del consenso sociale, mentre appare meno influente la redditività del settore. Le aziende delle organizzazioni mafiose si concentrano in settori caratterizzati da un basso grado di apertura verso l’estero, da un basso livello tecnologico, da alta intensità di manodopera: sono imprese medio-piccole, segnate da forte deregolamentazione, alta specificità territoriale e alto coinvolgimento di risorse pubbliche. I settori che meglio rispondono a tali caratteristiche sono quelli tradizionali: costruzioni, estrazioni e cave, alberghi e ristoranti; mentre le attività commerciali, pur essendo consistenti da un punto di vista numerico, non mostrano una concentrazione di investimenti delle mafie superiore rispetto ad altri.


affari illegali

mappa 2. La mafia nelle aziende (tasso di azeinde confiscate ogni mille registrate. Province italiane 1983-2012)

grafico 4. Le mafie al Nord (analisi per numero di beni confiscati)

Non tutti i territori sono uguali e nemmeno le organizzazioni mafiose si comportano allo stesso modo. Le aziende confiscate a Cosa Nostra, per la maggior parte in Sicilia, si concentrano nelle costruzioni o in settori complementari; quelle della camorra mostrano una maggiore diffusione sul territorio e una maggiore variabilità settoriale, con anche estrazioni, cave (cruciali sia per l’edilizia che per lo smaltimento illegale di rifiuti) e particolari attività commerciali (per esempio alimentari, abbigliamento, fiori e piante). Gli investimenti della ’ndrangheta come detto puntano anche al nord, con Milano e Lecco prime pro-

mappa 3. Gli investimenti in immobili (beni immobili confiscati considerati come investimento. Province italiane 1983-2012)

vince dopo Reggio Calabria per numero di aziende confiscate, e alcune attività (come bar e ristoranti) preferite da alcune cosche rispetto all’edilizia o al commercio. Al nord l’analisi mostra una situazione “fluida”, caratterizzata anche dalla presenza di imprenditori locali non affiliati a una particolare organizzazione o collegati contemporaneamente a più clan; si registrano inoltre casi di joint venture tra organizzazioni diverse per il controllo e la gestione di uno stesso settore dell’economia legittima. Le aziende delle organizzazioni mafiose analizzate mostrano una “profittabilità” in linea con le concorrenti “legali” del settore, o spesso addirittura peggiore, per colpa di una gestione inefficiente e nonostante l’utilizzo di espedienti tipici della prassi mafiosa, come le intimidazioni verso personale, concorrenti, fornitori e la manipolazione degli appalti pubblici. Le modalità di gestione economico-finanziaria delle aziende delle or-

La ’ndrangheta al nord. Lecco, per aziende confiscate, seconda solo a Reggio Calabria

ganizzazioni criminali rispondono quindi più a obiettivi di riciclaggio e di occultamento delle attività criminali che alla massimizzazione del profitto. L’utilizzo da parte delle organizzazioni mafiose delle società per scopi di riciclaggio è evidente anche dall’analisi dello stato patrimoniale: l’ampia disponibilità di risorse da mercati illeciti, infatti, consente di finanziare le aziende senza dover ricorrere all’indebitamento bancario, assente nella maggior parte dei casi analizzati; la necessità di avere risorse pronte all’uso risulta spesso nell’impiego delle fonti, sottoforma di denaro circolante, crediti commerciali e altre attività correnti. L’ultimo dato. La forma giuridica più diffusa tra le aziende a partecipazione mafiosa è la società a responsabilità limitata, ritenuta il miglior compromesso tra l’agilità di costituzione e gestione e le esigenze di occultamento dell’identità criminale (grazie alla frammentazione del capitale tra più soggetti diversi). A quest’ultimo obiettivo risponde anche l’utilizzo di prestanome, scelti principalmente nella stretta cerchia famigliare e parentale, e l’utilizzo di complesse strutture di controllo societario, caratterizzate da partecipazioni incrociate e schemi “a scatole cinesi”.

.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.75


ventun righe di Chiara Pelizzoni

Essendo Stato Paolo Borsellino. Essendo Stato. E non servirebbe aggiungere altro, al titolo della commemorazione del magistrato siciliano, andata in scena a metà marzo a Brescia, grazie alla volontà di un sodalizio milanese, la cooperativa Muse Solidali, che in inverno aveva già proposto lo spettacolo al Palazzo di Giustizia del capoluogo lombardo. Non ci sarebbe nulla da aggiungere. Se non che sul palco della Camera di Commercio c'erano otto persone, e nessuna era un attore. Se non che in sala c'erano 600 persone, tra cui tanti giovani e studenti, tutte presenti per non dimenticare. La morte struggente di un eroe, in un racconto che parte dagli ultimi istanti di vita di Borsellino, per ricostruirne il tragico destino. Sul palco, una compagnia di magistrati e avvocati del tribunale di Milano: Oscar Magi, presidente della quarta sezione penale, regista (il testo è una riduzione dello stesso Magi dall’opera di Riccardo Cappuccio) e interprete di Borsellino; i magistrati Lucio Nardi, voce narrante, e Illio Mannucci Pacini (in scena impersona Giovanni Falcone); quattro avvocati (Monica Cavassa, Luciana Greco, Maria Bambino e Barbara Medagliana) e una giornalista (Marika Orlandi), coro e voce di una terra di Sicilia affascinante e crudele, luogo di colori e profumi ma anche di tragedie. Nella sala bresciana, e ci si augura in molte altre sale, il silenzio di un’Italia che non dimentica e che cerca giustizia. L’ostinazione civile del pubblico, l’impegno e l’emozione dei colleghi di Borsellino in scena. Perché le mafie continuano a fare affari, oggi diversamente, ma oggi non meno di prima. Nella memoria, che nutre coscienza, si rintraccia l’antidoto. Il carburante della resistenza e della reazione. Essendo Stato: provando a essere un’Italia più pulita.

76. scarp de’ tenis aprile 2013


lo scaffale

Le dritte di Yamada “Magia è arte di controllare eventi usando poteri soprannaturali”: dall’Almanacco del Mago che legge sempre Vaclav. Annuso l’aria e ci siamo quasi: tra poco i semi che si I tunisini, La giustizia sono formati nel segreto del buio e dell’inverno gridealla prova a misura della libertà di bambino ranno alla luce che ce l’hanno fatta. E... due semi sono anche i protagonisti del libro che ho letto e mi ha Un reportage Antonio, giovane rapito: in lingua originale Vaclav&Lena, in italiano narrato in prima generoso, per Cose da salvare in caso di incendio, esordio – con fuopersona sulla aiutare l’amico riuscita di colombe dal cilindro – per Haley Tanner, transizione tunisina Bassanio a dopo la rivoluzione sposare Porzia, 29enne scrittrice nuiorchese, ex insegnante d’inglese del 2011. L’autrice chiede un prestito in una scuola per bimbi stranieri di Brooklyn, nonché ha realizzato un a Shylock, fan devota di Salinger e della sua immensa bravura nel collage variegato mercante avido prendere sul serio gli adolescenti e le loro inquietudini. di interviste – e meschino. Proprio a Brooklyn prende vita la trama del studenti, lavoratori, All’improvviso intellettuali –, nel Antonio cade romanzo che vede Vaclav e Lena, entrambi di cinque quale tratteggia in disgrazia e anni e emigrati dalla Russia, diventare migliori amici, questioni sociali sembra destinato condividere un sogno e rimanerci attaccati per sopravcruciali, come la a una triste sorte. vivere alle brutture che il destino serba a uno dei due. concezione Un giudice, Vaclav abita in una piccola casa, con suo padre, della donna dentro in tribunale, dovrà la società, le decidere il suo Oleg, e sua mamma, Rasia, un personaggio che si è scelte politiche, futuro... La potenza guadagnato molto spazio nel racconto: un po’ (tanto) il dialogo tra le della storia narrata in carne, volitiva, cucina il borsch quasi sempre, parla religioni. Tutti da Shakespeare solo in inglese a Vaclav, e ha a disposizione le poche ore aspetti di una è adattata che vanno da dopo il lavoro a prima di cena per “platrasformazione per i piccoli, profonda della accompagnata da smarlo come argilla” e insegnargli che “è importante società tunisina, una scheda che fare i compiti, cenare tutti insieme, non drogarsi, non che non è arrivata aiuta la riflessione rubare, non essere pigri, non imbrogliare la gente”. a una sintesi finale sul tema Vaclav l’ascolta, fa quello che può: è riflessivo e ed è tutt’ora in appassionato di magia, sicuro che diventerà un grande grande fermento. W. Shakespeare Il Mercante mago –Vaclav il Magnifico – e farà tanti numeri meraIlaria Guidantoni di Venezia vigliosi che, per il momento, sono solo nella sua testa, Chiacchiere, edito da Sironi scomposti nei minimi dettagli delle molte liste che stila datteri e the rid. a cura di Kim mettendo nero su bianco quello che serve per ogni Albeggi Edizioni Se-sil, illustrato da spettacolo: dal sarcofago egizio (e come costruirlo), al 198 pagine Kim Hyon-rye 12 euro 14,90 euro cilindro, alla “perseveranza per raggiungere questi obiettivi nonostante tutti gli ostacoli possibili e immaginabili”. Quella di fare le liste e procedere a piccoli passi è un modalità che “contagia” pure Lena, che collabora agli elenchi con disegni bellissimi. Lei crede che la magia trasfiguri le sue angosce: non sa nulla del suo passato e dei suoi genitori, e al momento abita con la zia Ekaterina, che non perde occasione di dimenticarsi di lei. Di fatto Lena, dopo la scuola, vive con Vaclav il resto della giornata (fino all’immancabile borsch di Rasia) e spetta a lei sigillare con la ceralacca l’ennesimo elenco che faranno e metterlo nella scatola della magia, dove ce ne sono già tanti altri. Lena sarà l’“incantevole Lena”, l’assistente di Vaclav, perché “senza assistente non c’è mago”. Nel libro, il primo incontro tra Vaclav e Lena è proprio potente. Allora ho preso una sedia dai ricordi e mi sono seduta sul pontile di Coney Island, uno dei posti più belli di New York, malinconico e struggente – con la ruota e le montagne russe, antidiluviane e spiaggiate lì – e li ho visti arrivare di corsa, pazzi di gioia per essersi trovati, con Lena che guardava l’oceano (mai visto prima) ipnotizzata, pensando che “avevano colorato il mondo”. Da quel punto lì gli vuoi bene, e li seguiresti ovunque. Cose da salvare in caso di incendio di Haley Tanner, Tea

.

I soldi dei contribuenti? Alle banche Come malafinanza e cattivo capitalismo si mangiano i soldi dei risparmiatori: ovvero tutti noi. Il libro di Gianni Dragoni è un’analisi documentata di come il sistema della finanza abbia una grande e grave responsabilità nella crisi economica che stiamo attraversando. Dragoni non risparmia nessuno. Perché i governi, sottolinea l’autore, inviato del Sole 24 Ore, non salvano i disoccupati dalla crisi. Ma le banche. Da leggere. Gianni Dragoni Banchieri & Compari ed. Chiarelettere 176 pagine 15 euro


Pillole senza dimora

Miriguarda

Dati terribili sugli homeless a New York, sono più che nella Grande Depressione Boom dei senzatetto a New York. Nei mesi più freddi hanno dormito nei centri di assistenza anche 50 mila persone a notte. Le associazioni che si prendono cura degli homeless dicono che non è solo NY, ma che si tratta di un trend nazionale. Il dato che fa più paura è l’aumento del numero delle famiglie senza una casa permanente: nella Grande Mela, a gennaio del 2013 sono state registrate 11.984 famiglie senzatetto, un incremento del 18% rispetto al 2012. A preoccupare sono soprattutto i 21 mila bambini, l’1% dei giovani della città, che hanno dormito in gennaio nei centri di assistenza: si tratta di un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. «New York sta fronteggiando una crisi di senzatetto peggiore di quella dei tempi della Grande Depressione», ha commentato Mary Brosnahan, presidente della Coalition for the Homeless.

Campania, raddoppiato il numero di chi chiede aiuto ai centri d’ascolto

Formazione per avvocati e operatori che assistono le persone senza dimora Gli sportelli di avvocati e psicologi di strada di Padova, insieme alle associazioni Granello di Senape, Psicologo di strada e La Strada Giusta, organizzano incontri di aggiornamento e formazione per avvocati, praticanti, psicologi tirocinanti e operatori del sociale che lavorano con le persone senza dimora e per i senza dimora. Il 18 aprile, alle 18, il tema sarà “Il diritto alla residenza”; il 16 maggio, sempre alle 18, si farà luce su “La persona senza dimora: identità negata e stigma sociale”. Gli incontri si terranno al Centro servizi volontariato di via Gradenigo 10, zona Portello. L’ordine degli avvocati di Padova riconosce crediti formativi. Info: padova@avvocatodistrada.it

68. scarp de’ tenis aprile 2013

di Emma Neri

In quattro anni il numero di persone che si rivolgono ai centri d’ascolto delle Caritas diocesane della Campania per chiedere cibo, vestiti, medicine e un posto dove dormire è raddoppiato: si è passati dai 4 mila utenti del 2008 agli 8.504 del 2012. Per la prima volta il numero di italiani, che ha raggiunto il 56% del totale, ha superato quello dei migranti. Sono questi i dati di maggior rilievo espressi dal Dossier Caritas 2012, presentato nella sede arcivescovile di Napoli. I dati sono stati raccolti nelle 17 diocesi della regione, provenienti da 37 centri d’ascolto. Fotografano una realtà sempre più drammatica. Colpisce soprattutto l’aumento delle presenze di italiani nelle strutture Caritas: il 10% in più rispetto al 2011, il 30% se si risale ad appena tre anni fa. In Campania c’è un progressivo livellamento verso il basso delle condizioni di vita. A chiedere assistenza sono sempre più le famiglie, costrette a vivere in dimore di fortuna, talvolta senza servizi, che non hanno neppure i soldi necessari a vestire i figli. Il rapporto evidenzia che in famiglia vive il 71% di chi chiede aiuto alla Caritas: la metà sono sposati, quasi tutti hanno una dimora. Le classi di età più rappresentate sono quelle che vanno dai 34 ai 44 anni (28%) e dai 45 ai 54 (26%): si tratta di persone rimaste senza lavoro ancora giovani ma considerate già vecchie per il mercato del lavoro. In Campania in cinque anni si sono persi circa 200 mila posti di lavoro, il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto la soglia record del 40%, solo due donne su dieci hanno un’occupazione e il Pil procapite che ammonta a 16 mila euro annui è inferiore di un terzo alla media nazionale e il più basso d’Italia. Unico dato positivo nel Rapporto: l’aumento dei volontari che mettono a disposizione gratuitamente tempo e lavoro nei centri d’ascolto.

Milano

Gli scatti di Wall, fotografo-pittore della vita moderna Fino al 9 giugno al Pac (Padiglione arte contemporanea di via Palestro 14) c’è la prima retrospettiva italiana del fotografo canadese Jeff Wall. Si tratta di 42 opere, che documentano il percorso creativo di uno fra gli artisti contemporanei più innovativi. Le sue composizioni sono costruite in studio e pianificate in ogni dettaglio con giorni, a volte settimane, di prove e shooting. Anche se le scene rappresentate sembrano afferrate dalla realtà e dalla quotidianità, l’artista interviene digitalmente su molte delle sue creazioni. Le opere di Wall esplorano campi diversi, dai temi sociali a quelli politici: la violenza urbana, il razzismo, la povertà, le tensioni sociali, la storia sono tutti soggetti che l’artista osserva e

rappresenta con precisione e profondità, un approccio molto simile ai pittori dell’Ottocento. Alcuni lo hanno addirittura definito “pittore della vita moderna”, citando la definizione che Charles Baudelaire aveva dato agli artisti del suo tempo. INFO www.facebook.com/pacmilano

Genova

Turismo dei disabili, la Liguria sperimenta le Bandiere Lilla Dopo le bandiere blu, verdi e arancioni, che premiano i comuni virtuosi nel


caleidoscopio campo dell’ambiente, arriva un nuovo riconoscimento che riguarda i disabili. La “Bandiera Lilla” avrà il compito di certificare un nuovo tipo di servizio nel settore del turismo, ossia l’attenzione che i comuni liguri dedicano alle persone disabili. La Liguria farà da apripista in Italia, certificando i comuni che rispetteranno i parametri definiti dal protocollo “Bandiera Lilla”, il quale si concentra sull’esistenza di strumenti, iniziative e informazioni a favore del turismo disabile, con un’attenzione particolare alle infrastrutture e all’accessibilità delle strutture turistiche. L’obiettivo è assegnare la prima “Bandiera Lilla” ai comuni della Liguria meritevoli alla fine della estate imminente.

Genova

Il Coro delle badanti (anziani inclusi) prepara un concerto Fino al 10 giugno, tutti i lunedì alle 15, a Villa Piaggio in corso Firenze 24, ci sono gli incontri canori denominati “Il coro delle badanti”, perché dedicati ad assistenti domestiche e anziani da loro accuditi. Per stimolare culture e generazioni. Gli incontri sono gratuiti. L’iniziativa, nata da un’idea di Carla Peirolero, è a cura di Chance Eventi - Suq Genova, in collaborazione con Associazione Anziani Oggi, nell’ambito del progetto “Età libera”, e punta ad allestire uno spettacolo che si terrà il 17 giugno al Porto Antico, nell’ambito della 15ª edizione del Suq. Gli incontri, a ingresso libero, si svolgono i lunedì fino al 10 giugno (ore 15-17). INFO tel. 010.5702715 +

.

Torino

Culture indigene di Pace, per una società cooperante Dal 26 al 28 aprile avrà luogo la seconda edizione dell’incontro internazionale “Culture indigene di pace. Ri-educarsi alla partnership”. Si tratta di tre giorni di conferenze

e workshop con ospiti nazionali e internazionali, per evidenziare il valore educativo del dono materno in una nuova visione della società, che sappia proporre la cooperazione, invece del dominio. Ri-donare alla nostra società contemporanea una forma simile a quella di un ventre materno e insegnare che la vita non è solo appropriazione e sfruttamento, ma anche cura, reciprocità e nutrimento: questo il fil rouge del convegno, che è organizzato dall’associazione culturale Laima, con il patrocinio degli assessorati alle pari opportunità e alle politiche educative del comune di Torino. INFO www.associazionelaima.it

Vicenza

Le domandine di Alice, racconti dalle donne “dentro” L’associazione Presenza Donna invita alla rassegna “In punta di penna: per un’immersione nel mondo femminile fra letteratura, spiritualità e attualità”. Proprio con attenzione a questi aspetti la rassegna ospiterà la presentazione del libro “Alice nel paese delle domandine”, una raccolta di racconti che arriva dalle donne in carcere, curata da Monica Sarsini, in virtù di un progetto promosso dalla Caritas di Vicenza. Appuntamento per la presentazione lunedì 15 aprile (ore 20.30, Contrà San Francesco Vecchio 20). INFO info@presdonna.it

Napoli

Sportello legale, aiuto gratuito per il diritto alla salute Apre a Napoli il primo sportello di tutela legale gratuito, rivolto alle persone in difficoltà che abbiano

On Il coraggio di Monica, che non vuole clienti rovinati dal gioco A Cremona, una signora di mezza età, cliente del bar, si piega per raccogliere da terra la spina della slot machine e infilarla nella presa della corrente. Ma la padrona del bar, Monica Pavesi, le dice che le macchinette non si possono più usare, sono fuori uso, per sempre. Monica Pavesi ha un bar tabaccheria in via Mantova, a Cremona. Non ne poteva più, ha raccontato lei stessa, di vedere le persone rovinarsi per la smania di vincere, di fare il botto. Nel suo bar le slot erano due: una mattina le ha staccate per sempre. Pur rimettendoci parecchio, perché le macchinette dove italiani e stranieri cercano la fortuna al videopoker, incassavano 40-50 mila euro al mese e il 6% (ovvero 1.500 euro ogni quindici giorni) andavano a lei.

Off Europei, cittadini ma infelici: lavoro e casa mal si conciliano Il 2013 sarà pure l’Anno europeo dei cittadini, ma sembra che sia l’anno sbagliato: complice la crisi economica, i sondaggi segnalano un calo del 20% nel livello di felicità e di ottimismo degli europei. Forse non c’era bisogno di sondaggi per capirlo ma, immancabile, è arrivata anche la fotografia della felicità media del cittadino europeo medio. È stata scattata da Eurofound, che ha dedicato grande attenzione al tema della conciliazione tra lavoro e famiglia e ai nuovi tipi di famiglia. Le difficoltà sono tante: solo due terzi dei genitori single intervistati hanno un lavoro. E come si conciliano lavoro e famiglia? Il 53% dice di tornare a casa troppo stanco per occuparsi di casa e figli. E, neppure a dirlo, solo oltre il 60% dei danesi, finlandesi e svedesi dichiara di poter variare a piacimento l’ora in cui inizia e finisce di lavorare.

aprile 2013 scarp de’ tenis

.69


tre domande a... Angela Finocchiaro di Danilo Angelelli

«I giovani? Vanno stimolati, hanno “Il sole dentro”» Il suo sorriso incredulo e arguto irradia palcoscenici, schermi televisivi e cinematografici. Lo ha messo al servizio, questo sorriso, anche di un film uscito a novembre e ora disponibile in dvd. È Il sole dentro, opera di Paolo Bianchini in cui si intrecciano due viaggi: quello vero di Yaguine e Fodè, due adolescenti della Guinea Conakry morti assiderati, nel 1999, nel vano del carrello di un aereo diretto a Bruxelles, dove si erano nascosti per andare a consegnare una lettera che avevano scritto per i “responsabili dell’Europa” in cui chiedevano maggiore attenzione per l’Africa; e il viaggio verosimile di Thabo, africano, e Rocco, italiano, con quest’ultimo ad accompagnare il primo Viaggi paralleli Angela Finocchiaro che torna nel suo paese perché cacciato, vittima in un’immagine di scena di del misconosciuto mercato dei calciatori bambini, Il sole dentro, oggi dalla squadra che lo aveva fatto arrivare in Italia. A riproposto in dvd. fare da trait d’union tra le due storie, che pur Il regista Paolo Bianchini proposte con montaggio incrociato avvengono a ha scelto una struttura distanza di dieci anni, Angela Finocchiaro, nel film narrativa complessa soprannominata mister “Pasta e fagioli”, che invece (le vicende di due coppie in Africa cerca di dare una speranza ai più giovani. di ragazzi, intrecciate pur svolgendosi Che cosa ha significato per lei partecipare a Il a dieci anni di distanza) sole dentro? per parlare delle Quando Bianchini, che è anche ambasciatore prevaricazioni che, Unicef, me lo ha proposto, mi parlava di un progetto in varie forme, i paesi sociale che è iniziato prima e continua dopo il film. a economia avanzata È stata un’occasione di aderire a qualcosa di esercitano su quelli poveri, importante, di ampio, che ha in sé tanto ossigeno. e sulle loro giovani Ho sentito una forte responsabilità nel girare questo generazioni film. L’impegno un attore ce lo deve mettere sempre, è ovvio, ma in questo caso ci si sente un testimone, si ha il terrore di rovinare qualcosa di grande, che ti fa sentire piccolo. Ma poi ci si butta – ci si deve buttare –, perché il pubblico sarà sensibilizzato riguardo a certi temi. A più di un anno da quando abbiamo girato, posso dire che il film non è stata una performance, ma un grande regalo che la vita mi ha fatto. Avere il proprio nome sulla locandina, mettere la propria faccia in un film così, significa necessariamente sposarne la causa? Certo! Ma come si fa a non sentirsi coinvolti quando si viene a conoscenza di certe storie, quando si vede da vicino la quotidianità di certi popoli, o ancora quando si lavora con un regista come Bianchini, una persona che vive valori precisi? Come si fa a non sposare la causa di un film – e di un progetto – che ci spinge a chiedere cosa stiamo combinando, come stiamo vivendo, quali sono le cose che ci fanno felici? Sono state organizzate molte proiezioni per le scuole. Quali le reazioni dei giovani davanti a scene come quella dei piccoli africani che la sera si ritrovano per studiare all’aeroporto di Conakry perché solo lì c’è la luce? L’esito è stato esaltante. So di ragazzi che non parlano molto con i genitori, eppure tornati a casa, dopo aver visto il film, lo hanno raccontato per filo e per segno. Mi collego a questo per raccontare un’esperienza personale. Qualche anno fa sono andata in Tanzania come ambasciatrice Unicef. Ho portato con me anche mia figlia, allora sedicenne. Abbiamo visto tra l’altro delle scuole senza banchi, dove dentro a una classe possono esserci cento bambini. Per mia figlia è stata un’esperienza forte. Lì ho visto di lei cose meravigliose: capacità di adattamento, curiosità, voglia di raccontare la sua esperienza appena tornati a casa. I giovani vanno stimolati. È un impegno che dobbiamo prenderci tutti.

70. scarp de’ tenis aprile 2013


caleidoscopio necessità di un primo orientamento o di una consulenza per questioni legali, in particolar modo in materia sanitaria. Si tratta di un’iniziativa del gruppo di imprese sociali Gesco, promossa in collaborazione con lo studio legale Galgano. Lo sportello funziona lunedì e giovedì dalle 10 alle 13 in via Giuseppe De Blasiis 7. L’obiettivo è promuovere una concezione della salute come bene imprescindibile, e prevenire qualsiasi forma di discriminazione nell’accesso al sistema dei servizi sanitari, sia pubblici che privati. L’iniziativa, nel concreto, intende contrastare le attività, pubbliche o private, che metteno a repentaglio la salute delle persone, attraverso azioni legali di risarcimento nei casi di incidenti dovuti a malasanità. INFO tel. 081.7872037

Salerno

Giornata della famiglia con messa dedicata alla violenza sulle donne Domenica 28 aprile a Salerno è in programma la Festa diocesana della famiglia; per l’occasione si terrà una giornata di formazione e celebrazione presso il seminario metropolitano dedicato a Giovanni Paolo II, a Pontecagnano. In tale contesto, l’arcivescovo di Salerno, monsignor Luigi Moretti, celebrerà una messa dedicata alle donne vittime di violenza. È la prima volta che un tema così delicato viene posto al centro della Giornata della famiglia: ciò avviene

anche perché la maggior parte delle violenze perpetrate ai danni delle donne salernitane (e non solo) avvengono all’interno delle mura domestiche. Di tali violenze si fa carico la sezione salernitana del Cif (Centro italiano femminile), che opera attraverso uno specifico sportello antiviolenza, attivo presso la sede della Caritas diocesana di Salerno. Una delegazione del Cif sarà presente alla funzione religiosa. INFO www.caritassalerno.it

Il lavoro potrà essere svolto sotto forma di spot pubblicitario, fumetto o sequenza telematica di fumetti, elaborazione grafica, pittorica o scultorea, composizione in poesia o prosa. Gli elaborati riportanti i nomi, le classi e le scuole frequentate dagli autori, dovranno pervenire all’istituto comprensivo “Parini” di Catania. La premiazione dei vincitori avverrà il 6 ottobre, in occasione della Giornata regionale per la donazione degli organi. INFO www.aetnanet.org

Catania

Catania

Lavori artistici sulla donazione d’organi, premio per le scuole

La città corre per solidarietà con i bimbi in ospedale

Scade il 25 aprile il termine per partecipare al concorso provinciale – premio regionale “Nicholas Green”, da assegnare agli studenti delle scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado, per lo svolgimento di lavori sul tema della solidarietà, e in particolare della donazione degli organi per fini di trapianto terapeutico. Il tema del concorso, unico per i diversi ordini e gradi di scuola, è il seguente: “Quale atto d’amore è il poter restituire dignità a una vita? Oltre all’uomo, che poco può per il suo destino se non cercare di rimediare, può l’Amore! La donazione degli organi appartiene alla civiltà che fa grande una società”.

Domenica 14 aprile, alle 10, appuntamento in piazza dell’Università, a Catania. Da lì partirà “Corri Catania”, camminata (anche) di solidarietà: quattro chilometri a passo libero, per vivere una domenica all’insegna del benessere, del divertimento e – appunto – della solidarietà. Ogni anno, grazie ai proventi della vendita del pettorale e della maglietta ufficiale, viene promosso e realizzato un progetto di solidarietà, che rappresenta il filo conduttore della manifestazione. Quest’anno Corri Catania sosterrà “Scuola in ospedale”, progetto per i bambini ricoverati all’ospedale Garibaldi-Nesima. INFO www.corricatania.it

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

aprile 2013 scarp de’ tenis

.71


street of america Alan, ritorno amaro negli States. Finché ha capovolto la sua storia...

Dalle sbronze alla fattoria, rinascono i veterani homeless di Damiano Beltrami da New York

I

In posa a Vetville Alan Beaty (nella foto di Miles Cary) con uno dei cavalli allevati nella fattoria nel Tennessee dove ospita altri veterani dalle guerre contemporanee il cui rientro è stato segnato da varie forme di disagio

N IRAQ, ALAN BEATY È SOPRAVVISSUTO ALL’ESPLOSIONE DI TRE BOMBE e ha visto un amico mori-

re tra le sue braccia. Per lui il momento più difficile della guerra è stato tornare alla sua fattoria di Oneida, un paesino di 3.600 anime nel Tennessee orientale. Poi, quando era quasi senza speranza, ha creato Vetville. Ma andiamo con ordine. Dopo quattro anni in Iraq, uno come sergente dei marines e tre come contractor per imprese di sicurezza private, per Beaty il ritorno è stato amaro. Ad aspettarlo c’erano solo la sua cascina tra le montagne, la sua terra e i suoi cavalli. La moglie non lo aveva atteso, e la sua tranquillità psicologica era svanita con lei. «Ero nel casolare, nel fienile o nella stalla, ma era come se non lo fossi – racconta oggi il giovane ex militare –. Quei giorni nel deserto e tra le case divelte dai colpi di mortaio mi avevano trasformato. Laggiù in Iraq mi sentivo parte di qualcosa di grande. Avevo una missione. Quando sono tornato, invece, quel senso di servizio per il mio paese era sfumato. Non sapevo più che diavolo fare». Depresso e assalito dall’incubo del migliore amico morto in modo orribile, Beaty per qualche tempo si è lasciato andare alle sbronze, l’unica cosa che gli dava l’illusione di allentare un poco il suo isolamento. In quel periodo ha considerato tutte le opzioni, inclusa quella estrema, che schermandosi dietro al gergo militare chiama il check-out. A un certo punto, però, con l’aiuto del padre Keith, reduce di un’altra guerra, quella del Vietnam, Beaty ha capovolto la sua storia personale e ne ha raddrizzate tante altre. Con un gesto semplice. Ha aperto le porte della sua fattoria a tutti i veterani senza dimora e disperati che vogliono stare per qualche tempo in un luogo familiare e tranquillo per rimettersi in carreggiata. E loro sono arrivati. Prima erano vecchi commilitoni di Beaty. Poi, con il passaparola, davanti alla cascina hanno cominciato a presentarsi perfetti sconosciuti. «Non sanno dove andare e con chi parlare – racconta il trentanovenne Beaty –. La maggior parte sono senzatetto o alcolizzati. Vogliono trascorrere le loro giornate con gente che ha vissuto la guerra come loro. Sono ragazzi che hanno combattuto per davvero, e si rispettano. Facciamo tutto insieme: ci alziamo insieme, lavoriamo la terra insieme, mangiamo insieme, galoppiamo per le montagne insieme». Molti si fermano per sei mesi o un anno. Beaty e suo padre li aiutano a riprendersi e a trovare un lavoro. La fattoria – che sta per diventare un’associazione senza scopo di lucro con tutti i crismi ed è stata soprannominata dalla stampa americana Vetville – ha il pregio dell’informalità: «Qui non ci si siede in cerchio tipo alcolisti anonimi, qui si fanno cose pratiche che presentano delle sfide – spiega Beaty–. Per esempio imparare a cavalcare è una bella sfida. All’inizio c’è il timore del rapporto con l’animale. Ma poi, quando si vince quella paura, si acquista fiducia in se stessi. E ci si sente di nuovo vivi». Proprio quello che questi ragazzi cercano, nella fattoria dei veterani.

.

72. scarp de’ tenis aprile 2013


Ferro Comunicazionedesign

P Premio remio Ethic Ethic Award Award pe perr iniziative iniziative a ad d elevato elevato contenuto contenuto etico. etico.

lla a solidarietà solidarietà h ha au una na c carta piÚ arta iin np iÚ Se paghi la tua spesa alla Coop con car ta Equa dai un contributo corrispondente all’1% del valore della spesa a un fondo gestito da Caritas Ambrosiana, che ser ve ad aiutare persone bisognose. Coop raddoppia il tuo contributo. 8Q JHVWR GL VROLGDULHWj VHPSOLFH PD HI ¿FDFH Richiedi carta Equa nei supermercati e ipermercati di Coop Lombardia

Per maggiori informazioni: numero verde

800.990.000



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.