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numero 177 anno 18 dicembre 2013 gennaio 2014

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il mensile della strada

de’tenis

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ventuno Nuovo Isee, più equità

Popolari ma insufficienti e mal gestite Nell’ultimo anno, in Italia, la richiesta di alloggi sociali è aumentata di un quarto. Ma le abitazioni disponibili sono poche. Anche perché molte restano non assegnate. E intanto lievitano gli sfratti Milano Quarto che resiste Como Si può fare Torino Prendo casa Genova Libri parlati, bimbi speciali Vicenza Provai a morire Verona Pane per angeli Rimini Sarà proprio l’uranio? Firenze La città corre insieme Napoli Accogliete col cuore Salerno Usura da prevenire Catania Aiuto appeso a un Filo


ph. uezzo.com reclam.com

Siate egoisti, fate del bene!

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene. Dare una mano a Opera San Francesco significa dedicare una parte di sè e delle proprie risorse a chi ha bisogno di aiuto e può ricambiarci solo con un sorriso o uno sguardo di gratitudine: significa dare speranza e fiducia e, per questo, sentirsi meglio. Viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp n. 456202 Tel. 02.77.122.400

www.operasanfrancesco.it Ringraziamo

Chi sostiene OSF contribuisce a offrire ogni anno 800.000 pasti caldi, 65.000 docce e 37.000 visite mediche a poveri ed emarginati. Da più di 50 anni, con il lavoro di oltre 700 volontari, le donazioni di beni e danaro e i lasciti testamentari, OSF aiuta chi non ha nulla.

Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo. Tutti i giorni.


editoriali

L’opzione che dilegua il nero della depressione Paolo Brivio

È

Natale, d’accordo. Ma si cade in tentazione. La tentazione di vedere tutto nero. E mica per pessimissimo piagnone e congenito. Piuttosto, per realismo iperdocumentato. Basta arrendersi a statistiche e giornali. Prodighi di notizie nefaste sulla nostra sconsolante penisola (mentre il resto dell’Europa e del mondo mostra segnali differenti). La summa del 2013 sembra il festival della geremiade: deboli segnali di ripresa economica contraddetti dal record di disoccupazione, cassa integrazione a livelli mai sperimentati nella storia della repubblica, falcidie senza tregua di aziende piccole medie e grandi, traballamento dei conti del patrio istituto di previdenza (l’Ocse conferma: i precari di oggi saranno i senza-pensione, dunque i poveri di domani), valanga a monte di Roberto Davanzo sfratti pendenti e a valle di illegali quanto disperate occupazioni di cadirettore Caritas Ambrosiana se vuote, proliferare di accessi a centri d’ascolto, mense e dormitori. In questo panorama che più depressivo non si può, la politica nouello della casa è forse l’argomento strana si lambicca in tentennamenti un po’ irritanti. D’accordo che la che ha più stretta attinenza con il coperta finanziaria è corta e il piatto di bilancio piange e via inanelmondo della grave emarginazione, lando luoghi comuni che hanno il sapore pilatesco della giustificaraccontato da una rivista come Scarp. Se zione a prescindere, ma qualcuno dovrebbe spiegare ai milioni di in Italia le persone di cui parliamo venivano nostri concittadini e di residenti ormai poveri assoluti perché nelchiamate “barboni” e in Francia clochard, nel la legge di stabilità si trovano tutti i fondi necessari a un promondo anglosassone la definizione va al cuore del gramma ventennale per la costruzione di navi da guerra, menproblema: homeless, senza casa. Da noi il concetto tre per il varo del reddito di inclusione sociale si rastrellano briviene tradotto con “senza dimora”, che nello slang ciole che consentiranno solamente una sua ristretta speripopolare diventa “senza fissa dimora”. Ma gli esperti, mentazione. Frustrazione: altroché! (l’aveva promesso il giustamente, correggono: si può essere senza “fissa” ministro, ci si era creduto). E tentazione, ancor più acuta dimora per un’esuberanza di abitazioni, al punto che (cui fa argine, nello specifico, la neonata Alleanza contro ci si permette di divere ora qui, ora lì. Le persone di cui la povertà: vedi nell’inserto Ventuno), di alzare bandiera parliamo non hanno il problema di dove decidere di dormire stanotte, dal momento che di dimore non ne hanbianca, al cospetto del nero dei tempi. no... Meno male – vien allora da parafrasare, ricorrendo Dunque, la scelta di dedicare questo numero di Scarpal a un motivetto decaduto – che Francesco c’è. Francetema dell’abitare, alle politiche della casa, allo scandalo desco il papa. Quello che dovrebbe parlare curiale, e invegli innumerevoli appartamenti di edilizia popolare sfitti o ce scrive – nel primo documento dovuto interamente alinutilizzabili per problemi di manutenzione, è in piena sinla sua penna – concetti tipo «finché non si risolveranno tonia con la battaglia di civiltà a favore dei diritti di chi finiradicalmente i problemi dei poveri non si risolveranno i sce per strada. Le organizzazioni europee che si occupaproblemi del mondo e in definitiva nessun problema. La no di grave emarginazione stanno maturando un apinequidad è la radice dei mali sociali». Aggiungendo che proccio eloquente: Housing first, “anzitutto la casa”, a di«la bellezza stessa del Vangelo» trova manifestazione inere che il primo modo per combattere il degrado quivocabile nella «opzione per gli ultimi». esistenziale di chi finisce a vivere sotto i cartoni è proEcco, in questo panorama nereggiante di delusioni e dimuovere meccanismi di housingsociale, per un abitasillusioni, ci soccorre (credenti e laici) lo spirito giovane di un re accompagnato che tolga le persone dalla strada e le anziano pastore. Il suo parlare netto. Ma non astioso, né ideosostenga nel percorso di riacquisizione della dignità. logico. L’attuale sistema economico «uccide», certifica il papa. Qualcuno obietterà con un ritornello ormai stucMa non è ineluttabile. La lotta per «la dignità di ogni persona chevole: non è il momento, non ci sono risorse. Forse umana e il bene comune» è una possibilità sempre aperta. Il è vero. Ma è altrettanto vero che non c’è mai stata un’epropellente per spingerci a raddrizzare strutture, storture, squipoca d’oro, con risorse in abbondanza. E allora, ieri colibri. Non è il momento di cedere alla tentazione. È Natale. me oggi, è un problema di visione della società: quanTempo di luce, nel più nero della notte. Nulla ci garantisce to degrado umano siamo disposti a tollerare? A quanto che tornerà subito giorno. Ma auguriamoci, auguriamocebenessere siamo disposti a rinunciare, pur di assicurare a lo gli uni gli altri, di saper optare per gli ultimi: e sarà un tutti e a ciascuno almeno un tetto sotto cui ripararsi? tempo più radioso per tutti.

La casa, prima di tutto

Q

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sommario Il racconto di Natale

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Buon Natale, Babbo Barbone p.6

Scarp Italia L’inchiesta

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

Cerco casa. Mi basta popolare, ma resta un miraggio p.10

L’approfondimento Carceri: Svuotare? Meglio riformare p.18

Il progetto Make-A-Wish, realizziamo desideri p.23

Come leggerci Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

L’intervista Dori Ghezzi: «Vorrei veder sparire le nuovole di Faber» p.26

Speciale L’evento La mia gente, missione compiuta p.29

Scarp città Milano La Quarto Oggiaro che resiste al crimine p.30 La politica dello struzzo lascia i profughi sospesi p.34 La salute mentale? Un diritto, non un lusso p.36

Como

Per contattarci e chiedere di vendere

Dagli scarti nasce inclusione: il riciclo solidale p.40

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 scarp@caritasfirenze.it Redazione Napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

Torino Prendo casa, non quella popolare... p.42

Genova Magici libri parlati per bambini speciali p.44

Vicenza Volli morire sei volte, ora tendo la mano p.46

Verona Ho affettato il pane degli angeli p.49

Rimini Morti sospette, sarà proprio l’uranio? p.50

Firenze Correre insieme? Beneficio per tutti p.52

Salerno L’usura si batte con la prevenzione p.53

Napoli Accogliete col cuore, sarà sempre Natale p.54

Catania Ragazzi dell’Auser, il Filo dell’aiuto p.56

Scarp ventuno Dossier Povertà da battere? Tempo di Alleanza p.60

Economia Tagliando all’Isee, diventerà più equo p.64

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 18 n. 177 dicembre 2013 - gennaio 2014 costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbboNAmeNto SCArP de’ teNIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Disegno di copertina Luigi Zetti Foto Archivio Scarp, Stefano Merlini, Disegni Luigi Zetti, Elio, Silva Nesi, Claudia Ferrari Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Soc. Coop., via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 15 dicembre 2013 al 7 febbraio 2014


Buon Natale, Babbo Barbone di Davide Barzi disegno di Lisalinda Ozenga

Le renne sbandano. La slitta si ribalta. Il sacco dei berretti è scomparso. Santa Claus fa incontri spiacevoli. Si specchia in una pozzanghera. E il vigile lo indirizza alla mensa dei poveri... Davide Barzi Nato a Milano nel 1972, scrittore e sceneggiatore di fumetti, scrive per la testata Nathan Never, cura la serie a fumetti dedicata a Don Camillo ed è al lavoro sul volume Unico indizio le scarpe da tennis, ispirata al brano di Enzo Jannacci che dà il nome alla nostra testata. Tra i suoi libri anche G&G, dedicato a Giorgio Gaber, disegni di Sergio Gerasi, e Le Regine del Terrore, biografia delle creatrici di Diabolik Lisalinda Ozenga Lisalinda Ozenga nasce a Genova nel 1986 e impugna la matita subito dopo il parto. Studia prima grafica pubblicitaria al liceo artistico Paul Klee della sua città, poi scenografia all’Accademia ligustica di Belle arti, infine segue per due anni il corso di fumetto della Genoa Comics Academy. Ha pubblicato per H del sito Horror Magazine, per Knife del sito Nero Cafè, per Tunué e Universitalia. Nessuno sa cosa nasconde nell’armadio

6. scarp de’ tenis dicembre 2013 - gennaio 2014

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asher, Dancer, Prancer, Vixen, Comet, Cupid, Donder e Blitzen; più difficili dei nomi dei sette nani. Tutti si ricordano sempre e solo di Babbo Natale, ma nessuno che memorizzi i nomi delle renne che lo scarrozzavano per il mondo ogni freddo inverno. Da qualche anno, questo loro rimanere in ombra le aveva non poco adombrate: con l’età che avanzava, l’idea di lavorare a cottimo un mese l’anno per poi rimanere disoccupate da gennaio a novembre risultava loro sempre più fastidioso. E sarà stato il gelo nelle ossa, e sarà stata la pioggia battente, e borbotta, e rimugina, e brontola e mugugna, e rumore ossessivo di zoccoli che sbattono nel fango e di campanellini appesi al collo, quella notte di Natale le otto renne si presentavano molto meno concentrae vide l’uomo alla finestra. Il suo sguarte del solito. Fu così che, in prossimità di do però non perse di severità, anzi si fece una curva a gomito, in provincia addirittura sospettoso. Santa Claus saprofonda, su una strada sterrata, a una lutò, cercando di conquistare la fiducia cert’ora della notte tra il ventiquattro e del piccolo. Inattesa, però, arrivò all’eil venticinque dicembre, Dasher e Dansterno la mamma, brandendo una scocer (o erano Vixen e Blitzen? E chi se lo pa. Babbo Natale sfoggiò il suo sorriso ricorda?) scivolarono, portandosi dietro automatico, ma più lei si avvicinava le altre sei. La slitta si ribaltò, e con essa minacciosa e più lui capiva che c’era il destino di colui che la guidava. poco da dialogare. Nonostante i dolori Babbo Natale si alzò da terra, doloin ogni dove per la caduta di qualche rante. Poteva essere passato qualche miora prima, raccolse le residue energie nuto come qualche ora, dall’incidente. e si allontanò di corsa. In quella notte silente e solitaria, solo nero tutto attorno: nessuna illuminazione, nessun passante. Le renne erano abbo Natale arrivò in città. Il sole scomparse. Lui però era un ottimista, ormai splendeva nel cielo, ma altrimenti non avrebbe mai fatto quel non spostava granché i cinque mestiere. Aveva il cappello strappato, gradi sottozero che i termometri indicaquindi cercò il sacco dei berretti di scorvano. Incrociò un signore mattiniero, ta, ma senza successo. Raccolse allora che, complice il fango ghiacciato a terra, da terra più regali possibile, li infilò nel scivolò. Stava per cadere quando Babbo sacco e si avviò a piedi dove la sua busNatale tese la mano per cercare di arresola interiore gli diceva che avrebbe trostare la caduta. Per tutta risposta, il sivato i destinatari di quei doni. gnore ritrasse il braccio che lui aveva cercato di afferrare, cadde e urlò: «Ma vada a lavorare, che io i miei soldi ra l’alba quando arrivò di fronte di pensione me li sono sudati». Si rialzò alla prima abitazione. Villetta su un piano. Amava l’effetto sorpree si allontanò stizzito. sa, così cercò la “sua” finestra, quella con Passò una signora che invece sorrise le luci lampeggianti provenienti dall’ala Babbo Natale. bero. Vide dall’altra parte, al caldo, un «Gentile signora – disse lui – pensi bambino che aspettava fiducioso chissà che un passante prima di lei mi ha da quanto a un metro dal finto abete. maltrattato, non capendo il mio stato, Poteva avere quattro anni, certo aveva ne ha fatto una questione di un euro». una determinazione feroce: in piedi, «Non tema, son cose che succedomani dietro la schiena, come una piccono. La festa si avvicina, tutti hanno la vedetta. D’un tratto spostò lo sguardo fretta e non si accorgono nemmeno

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il racconto di Natale delle cose più evidenti». Babbo Natale sorrise, almeno una persona, in quel bizzarro momento, l’aveva capito. «Cosa sarà mai un euro? Piuttosto che spenderlo per il gratta e vinci, lo do volentieri a lei», concluse la signora. Così dicendo, fece cadere una moneta sul palmo della mano annerita dalla melma, stando bene attenta a non toccare la pelle della persona che aveva di fronte con le proprie dita. Rivolse un ultimo sorriso e prima di andarsene concluse il suo pensiero con un materno ma fermo «Mi raccomando, non se lo beva».

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abbo Natale intuì che forse c’era qualcosa che non andava nel suo look. Tentò di guardarsi in una pozzanghera. Abituato a riflettersi nei ghiacci del Polo nord, cercò il proprio volto nell’ammasso di fanghiglia gelata a terra: il cappello era ormai uno straccio, i capelli spettinati mostravano senza pietà la calvizie. La barba era sporca di fango. Il vestito, qui e là strappato, era ricoperto di macchie di pantano. Non insistette più nel cercare il contatto, si accorgeva che non era gradito, glielo dicevano gli sguardi diffidenti e le camminate che si allontanavano da lui come se lui e gli altri fossero poli opposti di una calamita. Passarono le ore, i regali restavano nel sacco, le renne disperse chissà dove, chiedere aiuto diventava impossibile, le persone erano chiuse in casa a festeggiare, quelle che si trovavano all’esterno lo rifuggivano. Chiese aiuto a un vigile urbano. «Non vede che sto lavorando?», gli rispose il vigile in piedi sul bordo di una strada dove non passava nessuno. «Ma… io sono Babbo Natale» «Certo, e io sono i Re Magi. Su, dai, si allontani. Anzi, guardi, dato che tra tre quarti d’ora distribuiscono il pranzo, le conviene andare già ora alla mensa dei poveri, così si risparmia un po’ di coda». Affranto, non trovò nemmeno la forza di rispondere. E in effetti, un certo languorino, quella frastornante mattinata, gliel’aveva anche messo. Si mise in coda, in attesa di un pasto, con poca voglia di dialogo. «Ehi, fratello! Mi chiamo Armando! Lui è Cic – disse una persona con abiti lisi e sporchi (cioè, vestita come lui) indicando il cane meticcio che lo accompagnava –. Prima volta qui?».

«Ehm. no, passo ogni anno per Natale». «Vieni a pranzo una volta l’anno?». «Ma no, passo di qui nel senso che arrivo dal Polo e… uff, lascia perdere».

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i sedettero a una tavolata a mangiare. Ognuno dei presenti raccontò di sé, di quello che era prima di trovarsi nelle necessità di nutrirsi in quel luogo. C’erano ex imprenditori, ex dipendenti, ex mariti, ex qualsiasi cosa. Anche lui, in effetti, era a suo modo un ex: era bastato dare un’immagine di sé diversa e nessuno lo considerava più per quel che era prima. Si accorse di come potesse essere facile e veloce perdere tutto, anche se quel tutto era stato costruito in anni di fatiche. Mentre la malinconia stava prendendo il sopravvento, sentì provenire dall’esterno un rumore ossessivo di zoccoli nel fango e di campanellini appesi al collo. Uscì di corsa, con un sorriso

stampato sul viso e vide Comet, Cupid, e… e… sì, insomma, e le altre sei. La notte di Natale e metà della giornata erano ormai passate, i regali erano ancora quasi tutti da distribuire. Non ce l’avrebbero mai fatta in così poco tempo. Babbo Natale frugò nel sacco dei berretti di scorta, ne diede uno a ognuno dei suoi nuovi amici, si divisero le zone della città e ognuno provvide a un sacco di regali da consegnare. Diverse persone, nel ricevere il dono, si mostravano sospettose, ma sarà stata l’atmosfera natalizia, sarà stata la preoccupazione che ormai era tardi e non accettando il pacco in quel momento non ci sarebbe stata una seconda possibilità, sarà stato il cappello rosso a fare la differenza, i Babbi Natale per un giorno fecero un ottimo lavoro. Con la speranza che non si trattasse solo dell’illusione di un giorno speciale, ma che potesse rappresentare un nuovo inizio.

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anticamera Aforismi di Merafina IL SILENZIO Il silenzio non parla. Le parole non servono. Passaparola... ESSERE Per essere qualcuno bisogna essere se stessi LA SIRENA La Sirena si sentiva sola. Un turista: «Ciao bella mettiamo su famiglia?». «Io sono una sirena, non sono mica un’oca!»

Romanticismo Tu sei la mia fiamma, la passione. Come un fuoco che divampa incendi il mio cuore. Salvatore Saraceno

Il concerto Giostre di stormi… Nuvole fitte di piumaggi danzano nell’azzurro coreografie giocose, virtuosismi gagliardi catturano gli sguardi. È un sollecito gaio di schiamazzi, un concerto di gole di racconti… prima del sonno, prima del riparo dentro gli ispidi ombrelli

Aida Odoardi

Albero di Natale Era un abete ed era appena nato, ma mai e poi mai avrebbe immaginato che mille luci avrebbe un dì indossato. Oh, piccolo abete! La foresta è così lontana! Nella calda casa ti hanno ornato i rami con stelle, dolci e sfere colorate, e or splendi di candele illuminate. Non ricordi già più la tua foresta, ora che intorno a te tutti fan festa. Un angelo dorato sta lassù, in cima a te. Veglia il sonno dei bimbi. Poi viene giù, scivolando tra i rami, e nessun suono o voce nella calda casa ormai si sente più. Che gran prodigio, albero illuminato, hai fatto tu.

Mary dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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CERCO CASA Mi basta popolare, rimane un miraggio La fame di alloggi sociali dilaga. Ma l’offerta è inadeguata. E sporadica

Quest’anno la richiesta di case pubbliche è cresciuta di un quarto rispetto al 2012, l’anno prossimo crescerà ancora di un terzo. Ma la disponibilità di abitazioni continua a essere limitata, a causa di cattiva gestione del patrimonio, assenza di politiche, clientelismi e illegalità. E nel frattempo gli sfratti lievitano...

10. scarp de’ tenis dicembre 2013 - gennaio 2014

servizi di Alberto Rizzardi e Marta Zanella

Sfratti, occupazioni, patrimoni inutilizzati, cattiva gestione, clientelismi. E una domanda che quasi mai si allinea all’offerta. No, non è il riepilogo di un incubo. È la realtà di tutti giorni, per chi si occupa di case popolari (e, peggio, per chi ci vive, o aspirerebbe a farlo). Edilizia residenziale pubblica: una tra le più controverse realtà del nostro paese. Questione annosa, che la crisi economica in atto, la quale esaspera la fame di alloggi a prezzi accessibili, ha semplicemente acuito. A monte della lunga lista di nodi che caratterizza il settore, c’è un approccio politico e amministrativo incapace di uno sguardo e di misure strutturali. Ai problemi emergenti si danno risposte isolate, che quasi mai risolvono le questioni, come certi rattoppi di catrame su strade tesa nelle graduatorie per l’assegnazioridotte a groviera. E così il confronto con ne di un alloggio popolare sarebbero il resto dell’Europa si fa impietoso. 650 mila, di cui solo una piccola parte L’Italia è infatti agli ultimi posti delriesce a varcare la soglia dell’agognato le classifiche continentali per percenalloggio pubblico. tuale di alloggi sociali calcolata sul totaSecondo Guido Piran, segretario genele delle locazioni: come Spagna, Portorale del Sicet, il sindacato della Cisl degallo e Grecia, il nostro paese è sotto il putato alla questione casa, «la situazio5%, mentre nel resto del continente la ne attuale è frutto di anni di politiche media si aggira attorno al 25%. E in giro sbagliate, anzi, di assenza di politiche, per l’Europa non è raro trovare iniziaticon un nefasto connubio tra potere, five ben più ambiziose: come in Austria, nanza e costruttori. Il welfare abitativo dove agli imprenditori edili è imposto nel nostro paese – sottolinea Piran – è che il 30% del costruito sia destinato alpari a zero. Negli ultimi anni ci sono stal’edilizia sociale. ti solo sparuti stanziamenti di alcune regioni per il fondo sostegno affitti. Invece bisogna fare welfare abitativo e fiL’ultimo è stato Fanfani... nanziarlo, servono misure per abbassaTornando all’Italia, secondo uno studio re gli affitti e misure per allargare di Federcasa, oggi quasi due milioni di l’offerta pubblica, intanto recuperando persone vivono in condizioni di bisogno economico e precarietà abitativa. tutto il recuperabile dal patrimonio abiLa domanda di alloggi popolari è salita tativo nazionale non assegnato; in poquest’anno del 25% rispetto al 2012 e chi mesi si potrebbero rendere disponiper il 2014 si stima un rialzo del 30%. bili 25-30 mila alloggi. Poi si devono liUna domanda di case che non trova riberare le risorse ancora disponibili dei sposte nell’offerta di alloggi di edilizia risparmi ex Gescal (il fondo destinato residenziale pubblica: le persone in atalla costruzione e all’assegnazione di


l’inchiesta la casa in Italia risale al dopoguerra, grazie all’allora ministro del lavoro e della previdenza sociale, Amintore Fanfani. Seguirono nel tempo la legge 167, i Piani di edilizia pubblica (i cosiddetti Peep) e i fondi Gescal, tutti a cavallo tra anni Sessanta e Settanta. Poco altro nei decenni a seguire, soprattutto nulla di risolutivo. Un’assenza di investimenti in politiche abitative da parte statale, con la patata bollente passata a regioni, province e comuni che, alla prese con bilanci sempre più risicati, hanno cercato di affrontare la questione. Anche bene, in alcuni casi, date le scarse risorse a disposizione.

A Torino un fondo “salvasfratti”

case ai lavoratori e loro famiglie, istituito negli anni Sessanta e soppresso, solo nominalmente, alla fine degli anni Novanta) per il recupero edilizio e l’eventuale acquisto di immobili invenduti». Intanto, in giro per l’Italia, si continua a essere sfrattati e la sofferenza abitativa cresce. Nelle grandi città, come nei piccoli centri. Perché se è vero, dando un’occhiata ai dati rilasciati dal ministero dell’interno, che Roma (7.743 sentenze di sfratto), Milano (4.924) e Torino (3.492) guidano nel 2012 la triste classifica in termini assoluti, è altrettanto significativo che siano, invece, Prato,

Lodi e Novara le città con il maggior numero di sfratti in relazione al numero di abitanti con un canone di locazione. A Prato (780 sentenze di sfratto nel 2012) l’avviso raggiunge una famiglia ogni 25; a Lodi (536) una ogni 34; a Novara (802) una ogni 40. La media degli sfratti emessi nel 2012 parla di uno sfratto ogni 371 famiglie residenti (1 ogni 74 famiglie in affitto); nel 2001 c’era uno sfratto ogni 539 famiglie. Di promesse, in proposito, in questi decenni i vari governi ne hanno fatte tante. Di concreto ben poco, se si pensa che l’ultimo vero piano strutturale per

Un esempio su tutti, il comune di Torino, che assieme a Compagnia San Paolo e Fondazione Crt, ha lanciato da poco un fondo “salvasfratti”, finanziato con 1 milione 400 mila euro, destinato a famiglie che hanno smesso di pagare l’affitto ma che sono considerate troppo ricche per rientrare negli stretti criteri per l’assegnazione d’emergenza di un alloggio popolare. In ottobre il ministro per le infrastrutture, Maurizio Lupi, ha presentato una serie di misure, tra cui l’estensione del concetto di “morosità incolpevole”, il rifinanziamento per il biennio 2014-2015 del Fondo affitti e del Fondo morosità incolpevole, con l’istituzione di voucher per l’affitto (in pratica buoni emessi dallo stato, che gli inquilini in comprovata situazione d’indigenza possono utilizzare per proseguire il contratto d’affitto), la riqualificazione di almeno 20-25 mila alloggi esistenti. Il problema principale è che queste misure, secondo stime prudenti, necesdicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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Mi basta popolare, rimane un miraggio siterebbero di investimenti attorno ai 400 milioni di euro subito disponibili. E così nella quotidianità italiana si replicano i problemi di sempre. Tra alloggi sfitti (almeno 30-40 mila), sfratti in aumento, occupazioni abusive (almeno 40 mila, secondo un’indagine condotta nel 2008) e un corposo patrimonio di strutture abbandonate, come ad esempio le caserme, che molti comitati degli inquilini chiedono possano divenire oggetto di riuso sociale e abitativo. Ovunque si viene sfrattati e ovunque si protesta. Si scende in strada a far le barricate per ritardare di qualche giorno gli sfratti, e si occupa. Si organizzano mobilitazioni e cortei. Si potrebbe fare un Giro d’Italia tra le tante realtà che si scontrano ogni giorno con questi problemi: la maglia in questo caso non sarebbe rosa, ma nera, nerissima.

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Non assegnati. Ma riscaldati... L’Azienda lombarda dell’edilizia residenziale soddisfa il 4% delle richieste di case popolari. Eppure ci sono 4 mila alloggi sfitti o “lastrati”. Che generano costi... Quando, nel luglio scorso, il governatore lombardo Roberto Maroni annunciò che Aler, l’azienda regionale che gestisce il patrimonio di alloggi pubblici, aveva – solo a Milano – un buco di bilancio di 80 milioni di euro, poi accertato a 120, sembrò che il capitolo “case popolari” nel capoluogo milanese si fosse rivelato un problema inaspettato e sorprendente. Quello dei disastrati conti di Aler, invece, è solo uno dei molti problemi che compongono il quadro a tinte fosche dell’emergenza abitativa in Lombardia, e a Milano in particolare. I numeri dicono che in tutta la regione, nell’ultimo bando ormai in scadenza, erano circa 55 mila le famiglie in lista d’attesa per una casa popolare. A Milano città sono oltre 22 mila, l’84% delle quali ha un reddito Isee inferiore ai 14 mila eusolo 1.600 in tutto il territorio regionale ro. Cifre che raccontano solo una parte gli alloggi popolari sfitti e in riassegnadella realtà e non considerano chi non zione, cioè effettivamente disponibili può rientrare nemmeno nella lista d’atper le 55 mila domande in lista d’attesa. tesa, non avendo i requisiti di residenCe ne sono poi 6 mila catalogati come za, ad esempio, oppure di reddito, ma “sfitti e da ristrutturare” o destinati alla che comunque non riesce a sostenere i vendita e 2.300 occupati abusivamente. prezzi del mercato privato. «Abbiamo stimato che l’edilizia pubbliL’edilizia pubblica annaspa e non ca a Milano riesca a soddisfare solo il 4% riesce a dare risposte neanche lontanadelle richieste di case popolari, eppure mente adeguate. Eppure Aler gestisce in realtà ci sono oltre 4 mila case sfitte o un patrimonio di circa 110 mila alloggi “lastrate” (cioè sbarrate per renderle di sua proprietà, più altri 53 mila di proinaccessibili, ndr), spesso con i sanitari prietà comunali. Ma non tutto questo rotti per renderle inagibili – è quanto patrimonio è utilizzato. denuncia il sindacato di base Asia, Associazione inquilini e abitanti –. Ma queste case, seppur sfitte, sono riscalSoddisfatte il 4% delle richieste date: un costo di circa 800-900 euro alSecondo i dati (riferiti al 2012) della Dil’anno per ogni alloggio, un totale di olrezione generale casa e housing sociale tre tre milioni di euro di spreco all’andi regione Lombardia, risultano essere

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no». Che non sono noccioline, per un’azienda che ha una falla da cui continua a imbarcare acqua. «Arriviamo da vent’anni di cattiva gestione e consulenze quantomeno fantasiose – continuano da Asia –. Ora cercano di scaricare la responsabilità sulle famiglie che non pagano. Ma non è la morosità che ha generato tutto questo».

Le morosità non sono tutte uguali Se la «malagestione di Aler» è una delle cause di questa falla, su cui concordano sindacati e opposizioni in regione, anche la morosità è comunque un problema non indifferente, dato che è cresciuta del 30% dal 2009, cioè da quando sono stati rivisti al rialzo i canoni da affitto, proprio mentre esplodeva la crisi. «C’è però una morosità colpevole, di chi può pagare e non lo fa, e qui si deve intervenire come la legge prevede, e una incolpevole, a causa di una caduta del reddito per la crisi economica o la perdita del lavoro – precisa Onorio Rosati, consigliere regionale Pd in Lombardia – e in questo caso è invece necessario che vengano messi in campo strumenti di intervento alla persona, come un fondo sociale o la rateizzazione del debito».


l’inchiesta

Emergenza diffusa 2 milioni persone che vivono in condizioni di bisogno economico e precarietà abitativa in Italia

650 mila persone che sarebbero in attesa nelle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio popolare

7.743 sentenze di sfratto nel 2012 a Roma, poi Milano (4.924) e Torino (3.492)

1 ogni 25 famiglie a Prato con sfratto pendente: record in Italia del maggior numero di sfratti (780 sentenze nel 2012) in relazione al numero di abitanti in affitto

30-40 mila alloggi popolari sfitti, secondo le stime, nel nostro paese

40 mila occupazioni abusive di case popolari in Italia secondo le stime

5% percentuale di alloggi sociali in Italia, la media europea è del 25%. In Austria il 30% del costruito per legge è destinato all’edilizia sociale.

Ma se tutto questo è il pantano dell’edilizia pubblica, per chi si deve arrangiare nel mercato privato va anche peggio. A Milano – secondo i dati del Sunia – sono 18 mila gli sfratti in esecuzione, di cui 12 mila per morosità e altri 1.450 per altri debiti. Il dato più allarmante è che dal 2011 al 2012 gli sfratti per morosità sono raddoppiati. «Il 90% di questi sfratti riguarda famiglie del vecchio ceto medio milanese, che fino a cinque anni fa avevano una casa in affitto di una compagnia assicurativa o un ente previdenziale, e un posto di lavoro tranquillo – spiega Stefano Chiappelli, segretario generale lombardo del Sunia, il sindacato della casa della Cgil –. Poi sono successe due cose: anzitutto è stato quasi completamente dismesso il patrimonio immobiliare assicurativo, e allora chi aveva dei risparmi da parte si è comprato la casa, gli altri hanno tentato un affitto ai prezzi di mercato e non ce

Sale l’affitto, Giorgio e famiglia sotto sfratto «Per una casa del comune passeranno mesi» Quando otto anni fa arrivarono in questa casa, in un quartiere della periferia di Milano, erano già degli equilibristi dell’affitto. Avevano calcolato tutto in maniera precisa, ed erano consapevoli che sarebbero rimasti a galla al prezzo di molti sacrifici. Giorgio aveva un posto da dipendente, la moglie un part time, e nonostante gli straordinari sul lavoro a metà mese diventava già difficile fare la spesa. Ma in qualche modo si faceva. Fino a quattro anni fa, quando la ditta per cui Giorgio lavorava chiuse, e per lui iniziò la giostra dei cambi di lavoro. Qualche anno da trasportatore, sul camion anche di notte, sei mesi di disoccupazione, infine la scelta di cercare di farcela da autonomo, come agente di commercio. «È andata sempre peggio, ce la siamo cavata perché fortunatamente abbiamo sempre avuto l’aiuto di mio suocero. Siamo riusciti a pagare, stringendo i denti, fino a quest’autunno quando, in fase di scadenza del contratto, la proprietaria ci ha comunicato che ci avrebbe alzato l’affitto – racconta Giorgio oggi –. Non ce l’avremmo fatta e non abbiamo firmato il nuovo contratto. Ora siamo sotto sfratto per fine locazione. Ma da qui dove possiamo andare? Non si trova niente a meno di mille euro». Lo sfratto non è ancora esecutivo, l’udienza è rimandata a fine gennaio: hanno avuto una proroga di tre mesi solo perché il loro bambino è invalido al 100%. Hanno fatto domanda per una casa d’emergenza al comune di Milano e anche la richiesta per una casa popolare, ma passeranno molti mesi prima di avere una risposta. «E non ho nemmeno la speranze di ottenere qualcosa – confida Giorgio –, anche se non riesco a immaginare un’altra soluzione. Cerco di portare a casa più soldi possibile, ma non vedo alternative, non so cosa fare. Spero che abbiano un briciolo di cuore...».

la stanno facendo. Poi il perdurare della crisi economica, la perdita del lavoro, la cassa integrazione hanno dato il colpo di grazia».

E pensare che, a fronte di questa fame di case, Milano ha un patrimonio enorme di alloggi e di altri spazi non residenziali praticamente vuoti. Secondo una ricerca del Sunia, sono più di 80 mila le case, tra pubbliche e private, inutilizzabili e non affittate. A giugno la vicesindaco di Milano e assessore all’urbanistica Ada De Cesaris aveva espresso l’intenzione di favorire la conversione di uffici vuoti in residenze a medio-basso costo. Anche secondo l’assessore regionale alla casa e housing sociale, Paola Bulbarelli, il mercato privato va in qualche modo coinvolto per dare una risposta: «Dobbiamo studiare fondi di garanzia che tutelino davvero i privati nei confronti degli inquilini, allora qualcosa si potrebbe smuovere. Inoltre in Lombardia ci sono più di 70 mila alloggi invenduti: anche questi devono fare parte della risposta. Studieremo azioni di housing sociale». La soluzione è tutta da pensare.

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Mi basta popolare, rimane un miraggio

Nella città eterna si registra un indice di sofferenza abitativa altissimo: dilagano le morosità, 29 mila famiglie in attesa di alloggio dal comune

Roma capitale. Di sfratti e altri disagi Secondo i dati del ministero dell’interno, nel 2012 Roma è stata, in Italia, la città con il maggior numero di sfratti in termini assoluti: 7.743 sentenze di sfratto emesse (di cui 6.191 per morosità), 5.438 richieste di esecuzione e 2.407 sfratti eseguiti. Vuol dire, a conti fatti, uno sfratto ogni 222 famiglie residenti e uno ogni 44 famiglie in affitto. Un indice di sofferenza abitativa altissimo, che ha subito un incremento rispetto ai precedenti due anni. Ma c’è anche un altro numero: 5.378, ovvero le persone che abitano in un alloggio Ater (l’azienda territoriale dell’edilizia residenziale) senza averne diritto, togliendo speranze e opportunità alle oltre 29 mila persone in attesa di un alloggio nella zio Marino, che la volontà di rispondemaxigraduatoria comunale. re alla questione abitativa l’aveva già Da giugno sindaco di Roma è Igna-

esplicitata con chiarezza nel suo programma elettorale. «Anche a Roma siamo ormai a livelli d’allarme – afferma Daniele Ozzimo, assessore alla casa ed emergenza abitativa nella giunta capitolina – e a darci il senso dell’emergenza sono le ragioni che stanno dietro la perdita della casa. Gli sfratti emessi per morosità hanno raggiunto il picco dal 2008 in poi con l’esplodere della crisi, che ha esasperato un contesto già com-

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l’inchiesta plesso: l’aumento dei prezzi e la disoccupazione hanno trascinato in questa emergenza anche fasce sociali storicamente estranee al problema, che ora vivono questa condizione inaspettata con rabbia e frustrazione». Secondo Massimo Pasquini dell’Unione Inquilini Roma «serve, tra le altre cose, chiedere subito la riconvocazione della Commissione graduazione sfratti e, attraverso quella, iniziare a ricevere le domande delle famiglie che hanno diritto alla graduazione, anche se con sfratto per morosità. Occorre mettere mano al patrimonio inutilizzato di demanio civile e militare con piani di recupero. È il momento di rifare un piano regolatore che determini le modalità di recupero e riuso dell’immenso patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato. Bisogna farla finita con il finto social housing, un immenso regalo ai costruttori, che in barba alle leggi chiedono di costruire alloggi sociali ma poi ci mettono chi dicono loro e fanno pagare quanto vogliono loro».

Il costo dei residence A sei mesi dalla salita al Campidoglio della nuova giunta di centrosinistra cosa è stato fatto? «Circa trent’anni fa – spiega l’assessore Ozzimo – per dare una risposta immediata alle famiglie in emergenza, si decise di ospitarle in centri di assistenza abitativa temporanea, i cosiddetti residence: strutture private, dove vivono attualmente 1.376 famiglie, per le quali il comune paga circa 35 milioni di euro d’affitto all’anno, più di 2 mila euro a nucleo. Oltre all’enorme dispendio di risorse, c’è un problema di vivibilità dovuto non solo alle esigue dimensioni degli appartamenti (20-30 metri quadrati), ma anche alla pesante concentrazione del disagio sociale in una stessa struttura. La giunta, in settembre, ha approvato una delibera per superare questo modello assistenziale e attuare politiche per l’integrazione e l’emancipazione dei nuclei familiari: l’amministrazione metterà a disposizione delle famiglie ospitate un buono casa per accompagnarle, attraverso il pagamento dell’affitto, nel mercato privato». Per le famiglie realmente prive di reddito è stato poi avviato un percorso nel quale alla soluzione abitativa, comunque più decorosa dell’attuale, sarà affiancato un intervento di assistenza

La storia

Teresa stanca di promesse: «Mi passano tutti davanti...» Teresa vive da cinque anni in un alloggio popolare a Torpignattara, periferia di Roma, assieme al compagno Massimiliano e alle due figlie di 5 e 15 anni. Quarantenne, Teresa lavora, saltuariamente. Massimiliano, invece, il suo lavoro l’ha perso all’improvviso mesi fa. E così, da una situazione di tranquillità domestica, si è arrivati all’impossibilità di pagare l’affitto, alla sentenza di sfratto e a un conto corrente che ospita oggi appena 21 euro. Teresa e la sua famiglia avrebbero già dovuto lasciare casa lo scorso 31 marzo, giorno di Pasqua, ma, con i poliziotti già sull’uscio, riuscirono a ottenere un prolungamento fino a novembre proprio per la presenza delle figlie. Mesi di rabbia, frustrazione e stanchezza, che non scalfiscono, però, la sua determinazione. «Di promesse in questi mesi il comune ne ha fatte tante – confidava proprio a novembre –. Mi hanno promesso un posto in un residence a 35 chilometri da dove abitiamo ora. Come faccio a portare le mie figlie a scuola con la macchina che nel frattempo si è rotta? Vorrebbe dire sradicarle dal contesto in cui sono cresciute e stanno studiando. Ma in tutti i casi, quando sembra avvicinarsi la soluzione, l’esito è sempre la stesso: c’è un fax con il nome di altre persone per l’assegnazione di quell’alloggio». E qui Teresa si fa dura: «A Roma c’è qualcuno che sta occupando la mia casa senza averne diritto. Il comune sa benissimo chi sta negli alloggi, sa chi li occupa senza averne diritto, sa quali sono i loro redditi. Io sono al posto 150 in graduatoria, ho il punteggio massimo, ma ogni volta che sono in predicato di ottenere un alloggio, c’è sempre qualcuno che, non si sa come, mi passa davanti. Sono stufa». A pochi giorni dallo sfratto, la svolta temporanea: anche per Teresa e la sua famiglia hanno trovato una piccola mansarda in un residence a una quindicina di chilometri da dove abitava prima, ed entro un anno il comune si è impegnato a darle un alloggio popolare. La battaglia continua.

sociale. Nel contempo è stata attivato una task force per il recupero di alloggi popolari illecitamente occupati. «Stiamo, inoltre, lavorando a un nuovo piano di costruzione di case popolari – continua Ozzimo –, con il quale contiamo di realizzare circa 4 mila alloggi e sostenere progetti di rigenerazione urbana, autocostruzione e autorecupero del patrimonio pubblico inutilizzato». Per quanto riguarda, invece, il riuso sociale e abitativo di strutture militari dismesse, come caserme e forti, Ozzimo conferma che è allo studio un tavolo di confronto con il ministero della difesa per capire quali aree potranno essere utilizzate.

Blocco per i nuclei in difficoltà Questo nel futuro, si spera prossimo. Il presente, invece, parla ancora di storie di sfratti. Le proteste non si contano in città e a novembre sono arrivate anche

sul tappeto rosso del Festival del Cinema. In molti, dagli inquilini allo stesso sindaco Marino, perorano la causa della proroga o il blocco degli sfratti almeno per i nuclei più in difficoltà, con anziani, disabili o minori a carico. Nulla di risolutivo, s’intende, ma il futuro può partire da qui. «Una proposta di assoluto buonsenso – conclude Ozzimo –, finalizzata anche a guadagnare tempo prezioso per predisporre quella pluralità di strumenti d’intervento, a partire dalle proposte avanzate dal governo, come il fondo per le morosità incolpevoli, quello per gli affitti e il fondo di garanzia per i proprietari degli immobili. Ma queste misure devono essere adeguatamente finanziate, altrimenti avranno un effetto irrisorio. E le amministrazioni locali, chiamate a dare risposte urgenti, hanno invece bisogno di risorse e strumenti adeguati».

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Mi basta popolare, rimane un miraggio

Graziano, dopo la strada un tetto fatto di relazioni Un infarto, un lavoro perso. Con la compagna, notti nelle stazioni. Poi il dormitorio. E Scarp. Trampolini di ripartenza. Verso una casa popolare, grazie a un donatore...

di Mirco Mazzoli e Stefano Neri Da quindici giorni Graziano ha una casa tutta nuova, popolare, sulle alture di Genova. «È proprio bella – dice –, rifatta completamente. La devo solo arredare. Pian piano». Per Graziano la casa è proprio la buona conclusione di una bella storia, che prima, però, gli ha riservato schiaffi micidiali. «Avevo un buon lavoro come magazziniere e guadagnavo bene. Poi mi sono fatto tentare da un’altra offerta e poco dopo sono stato colto da infarto, restando in coma per un certo tempo. Quando mi sono ripreso, non avevo più un sostegno. Tanja, la mia compagna, all’epoca non lavorava e io non potevo più affrontare il costo dell’affitto. Eravamo soli. Così arrivò il giorno in cui ci hanno messo fuori di casa». Graziano e Tanja trovarono la disponibilità di un conoscente, che ricoverò parte dei loro beni, vestiti, cose di tutti i freddo». Poi la svolta: a Tanja venne ofgiorni. Lasciate le cose al sicuro, loro si ferto un impiego come badante e così, accomodarono in strada. «Furono quatinsieme, ecco un lavoro e una stanza. tro mesi durissimi – rievoca Graziano –, Graziano, a sua volta, incontrò la Fonsoprattutto le notti, passate nei pressi dazione Auxilium. delle stazioni. Ricordo soprattutto il

Firenze. «Sfratti, mannaia sugli anziani» Lo sfratto non risparmia nessuno. Sono stati momenti di apprensione e angoscia quelli vissuti di recente nella sede del Sunia di Firenze per le sorti di un anziano signore. Ugo, 86 anni, fiorentino, vedovo, residente in zona San Jacopino, colpito da sfratto per morosità dal febbraio scorso, perché impossibilitato, a causa della bassa pensione e del peggiorare delle condizioni di salute, a corrispondere un affitto mensile di 500 euro. Qualche settimana fa si è visto recapitare il preavviso di rilascio dell’immobile, l’anticamera dello sgombero con la forza pubblica. Il Sunia da tempo sta seguendo il caso di Ugo che, però, pur avendo fatto domanda per il bando case popolari del 2012, ha ottenendo soltanto 5 punti (un’inezia) perché ancora non era sotto sfratto. «Mentre Ugo, piangente, mostrava agli operatori l’avviso di sgombero – racconta l’avvocato del Sunia, Emanuele Rindori – ha accusato un mancamento con convulsioni. Stramazzato al suolo, ha perso subito conoscenza». I soccorritori del 118 ci hanno messo un’ora a stabilizzare l’anziano per trasferirlo in ospedale dove, fortunatamente, si è poi ripreso. «Solo qualche settimana fa avevamo denunciato lo stress psico-fisico, il senso di vergogna e di mancanza di adeguati sostegni subiti soprattutto dagli anziani – spiega il segretario del Sunia, Simone Porzio –. Stiamo assistendo a una vera e propria mattanza ai danni di migliaia di famiglie lasciate a farsi la guerra tra loro, mentre politica e istituzioni continuano a sottovalutare quella che sta è diventata una vera e propria, drammatica emergenza».

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«E lì è ripartita la mia storia. Mi hanno dato un posto in mensa e in dormitorio, mi hanno aiutato a far domanda di pensione di invalidità e mi hanno proposto persino un lavoro: Scarp de’ tenis. Scarp mi ha proprio aiutato tanto». È a questo punto che la parola “casa” inizia a ricostruirsi nella mente di Graziano e le sue fondamenta poggiano su nuove, significative relazioni. «Il periodo che ho passato in dormitorio è stato per me molto importante e, spero di non essere frainteso, quasi mi spiace essermene andato perché lì ho ritrovato una famiglia: non esagero. Però sono anche contento, non solo per la mia


l’inchiesta

Torino

Antonio e le bollette, un calvario: «Ma non sono moroso colpevole»

nuova casa, ma perché lascio il posto a un’altra persona che spero possa avere la mia stessa fortuna».

Pensione o arredamento? Da una parte la “casa-dormitorio”, dunque, e dall’altra la “casa-Scarp”. «Vivo la vendita del giornale proprio come un lavoro, che per di più mi ha messo in relazione con tanta gente, che mi aspetta e mi rispetta, come in una famiglia. Ho incrementato le mie vendite, il guadagno mensile è buono e me lo sono messo via. Pian piano». Graziano spiega di non aver vizi costosi – un latte macchiato al bar, ogni

Antonio abita in una casa Atc, l’agenzia pubblica della casa, dal 2006. Fino a tre anni fa aveva un lavoro, che, seppur modesto, gli consentiva di pagare bollette e utenze. Poi, però, il lavoro lo ha perso e da allora è iniziato il suo calvario. Pagare l’affitto e il riscaldamento in ritardo, oppure non pagarlo per niente, è divenuta la norma. «Non si tratta di una questione di volontà – spiega –: il fatto è che qui a Torino, come altrove, a 50 anni suonati un lavoro non lo trovi proprio. Già fanno fatica i giovani, figurarsi io. In più le spese sono aumentate: tra affitto e riscaldamento ogni mese sono 200 euro. E poi ci sono la luce, il gas… Pagare diventa impossibile. Per il riscaldamento talvolta chiedo aiuto a un’associazione di volontariato, però dover domandare aiuto per mantenersi è imbarazzante. Per l’affitto chiedo, invece, il contributo regionale. Il problema è che da un paio d’anni per accedervi è necessario avere pagato almeno una quota minima di 480 euro entro la fine dell’anno. Se questo non avviene la morosità viene automaticamente considerata come colpevole e se non si paga l’intero importo scatta lo sfratto. É una cosa che non mi fa dormire la notte. Vivere con la preoccupazione di non riuscire a pagare e rischiare di perdere la casa è tremendo». Attualmente Antonio sta lavorando grazie all’attivazione di una borsa lavoro. Si tratta di appena 400 euro al mese, vanno bene per il presente, ma non lasciano ben sperare per il futuro. «Cosa farò – si chiede Antonio – quando a dicembre la borsa lavoro si concluderà? La mia speranza è che la struttura presso cui lavoro decida di assumermi, magari anche solo con un part time, ma a tutt’oggi non mi è stato ancora detto nulla. Vivo giorno per giorno, cercando di tenere duro...».

tanto – e che, quando non è occupato, ama starsene in biblioteca. «Così in questi anni ho messo da parte un po’ di soldi per quando ce ne sarebbe stato bisogno. Mentre pensavo di spendere questi risparmi per arredare la casa nuova, l’Inps mi ha comunicato che con la stessa cifra avrei potuto riscattare la mia pensione di anzianità. E quindi che fare? La pensione subito e la casa vuota? E come avrei potuto abitare un appartamento vuoto?». E qui sta la conclusione della storia, con la sua morale. «Una persona – con-

fida Graziano –, proprio un lettore di Scarp, di una parrocchia in cui vado a vendere, si è informato sulla mia situazione, ha verificato, ha parlato con gli operatori di Auxilium e si è offerto di saldare per me la somma con l’Inps, senza neppure chiedere di essere rimborsata in futuro. Ora sto cercando di convincerla ad accettare una restituzione, nel tempo». Così Graziano potrà arredare la sua casa, il risultato delle relazioni che attraversano di nuovo la sua vita. La casa di Graziano è davvero “popolare”.

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Amnistia? Indulto? Per rendere vivibili le carceri sovraffollate, dicono gli operatori sociali, bisogna cambiare leggi e pene

Svuotare? Meglio riformare Il Chiaroscuro del carcere Si intitola così la mostra fotografica da cui sono tratte le immagini di queste pagine. È stata esposta nel quarto raggio del carcere milanese di San Vittore, dove sono state scattate dall’avvocato Alessandro Bastianello. La Camera penale di Milano con questo progetto, realizzato con l’Associazione nazionale magistrati di Milano, ha voluto rappresentare il percorso del detenuto che varca la soglia del carcere. Scopo dell’iniziativa è non solo mostrare e condividere la realtà carceraria propria di ciascuna città, ma anche raccogliere fondi per finanziare un laboratorio audiovisivo e fotografico per favorire i percorsi trattamentali dei detenuti; a tal fine è possibile ordinare una o più copie delle fotografie realizzate versando una donazione. Le foto sono visionabili al sito della camera di penale di Milano www.camerapenalemilano.it Prenotazioni all’indirizzo sede@camerapenalemilano.it La donazione – valore minimo 100 euro – va fatta a mezzo di bonifico bancario IT15M0100501773000000002027 causale “Progetto Carcere”. Alessandro Bastianello 50 anni, avvocato penalista, ha la passione per la fotografia. Ha fatto parte del Consiglio direttivo della Camera penale dal 2006 all’ottobre di quest'anno.

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di Paolo Riva ed Ettore Sutti Violazione dei diritti umani. È il reato contestato all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha concesso un anno di tempo per trovare soluzioni concrete al problema del sovraffollamento nelle nostre carceri. Entro maggio prossimo, l’Italia deve risolvere il problema del sovraffollamento carceraio (65.891 detenuti, a fronte di una capienza di 47.668), oltre a introdurre un sistema di risarcimento per i detenuti che ne sono rimasti vittime. «Una buona società dipende anche dalle proprie capacità rieducative – spiega Ileana Montagnini, esperta dell’area carcere e giustizia di Caritas Ambrosiana –. Il modello della reclusione in carcere è radicato così fortemente che difficilmente riusciamo a immaginare moziato con molte persone, rischiando di di diversi di esecuzione di pena. Ma la farle finire nuovamente in carcere. È venostra Costituzione parla sempre di pero che la recidiva dell’indulto del 2006 è na certa, non di pena detentiva. E per stata valutata attorno al 33,9%, mentre molti è difficile comprendere che il dela recidiva abituale, di chi ha trascorso tenuto rimane tale anche quando è in in carcere l’intera detenzione, è il 68,5%. esecuzione penale esterna». M è altrettanto vero che la recidiva delIn quest’ottica, il ricorso a misure le persone che hanno usufruito di mistraordinarie come indulto o amnistia sure alternative alla detenzione è infe(su cui la nostra politica si è a lungo inriore al 20%. Questo ragionamento, da terpellata e accapigliata, nelle ultime solo, dovrebbe bastare a convincere ansettimane) non aiuta, «perchè non solo che i più restii che le misure alternative non risolve i problemi che stanno alla sono lo strumento più efficace per restibase dell’attuale politica carceria italiatuire persone alla società». na, ma rischia di annullare il lavoro iniAltro elemento importante dovreb-


l’approfondimento Un mondo a parte 64.323 i detenuti nelle carceri italiane al 31 ottobre 2013

47.668 capienza delle carceri italiane

22.770 i detenuti non italiani nelle nostre carceri (35,1% della popolazione carceraria)

2.821 le donne nelle nostre carceri (di cui 1.102 straniere)

112,6 il tasso di detenzione ogni 100 mila abitanti in Italia. In Europa il tasso si attesta al 127,7, nel mondo al 156

FONTE: DAP, RISTRETTI ORIZZONTI

42.984 persone tornate in libertà in seguito al provvedimento di clemenza del 2006, di cui 25.694 dal carcere e 17.290 dalla cessazione di misure alternative

10,6% tasso di recidiva di chi ha goduto dell’indulto del 2006. In particolare, è stato dell’11,11% tra i detenuti scarcerati e del 6% tra i soggetti in misura alternativa

be essere quello legato alla giustizia riparativa: «Il nostro compito – continua Montagnini – è dimostrare che meno carcere equivale a più sicurezza. Un’equazione che pare impossibile, ma che poggia su percorsi di autentica rieducazione di chi ha commesso un errore e consente la riparazione del danno arrecato alle vittime. Bisogna lavorare per ricucire la lacerazione che il reato ha creato, sia in chi l’ha commesso, sia in chi l’ha subito. Si può stare nuovamente insieme solo perchè ci si è ascoltati».

La storia

Alda la mosca bianca, l’indulto per lei arrivò al momento giusto Alda è un caso raro. Va detto. Se cerchi qualcuno che abbia avuto un reale vantaggio dall’essere stato scarcerato con l’ultimo indulto, nel 2006, fai fatica a trovarlo. «Il problema – spiegano Sandra Rivara e Livia Botto, operatrici dello “Sp.In. Sportello Informativo” dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Genova – è che l’indulto funziona solo se si inserisce in un percorso di recupero già avviato in carcere. Perchè un buon trattamento in carcere è un buon inserimento dopo il carcere». Di buoni trattamenti, però, nel sistema penitenziario italiano ce ne sono pochi e l’indulto, con le sue ondate di scarcerati, libera le celle ma non le possibilità di una vita fino, al giorno prima “ristretta” e impreparata. Ecco perché Alda è una mosca bianca. «Per lei, che era finita in carcere per un reato grave come l’omicidio, l’indulto è arrivato al momento giusto – spiegano allo Sp.In. –: Alda aveva scontato quasi tutta la pena, aveva ottenuto i permessi premio e l’affidamento in prova ma soprattutto, grazie agli assistenti sociali in carcere, aveva affrontato un percorso di rielaborazione del proprio reato». Persino la sua compagna di cella le era stata di grande aiuto, condividendo con lei una certa sensibilità, un buon grado di cultura e la capacità di cura. Per questo, quando il 2 agosto 2006 si sono aperte le porte per gli indultati, la maggior parte di essi si sono persi nel nulla mentre Alda, aiutata dallo Sp.In., riconquistava vita nuova: lei, persona comune e ben voluta fino al giorno in cui si era fatta omicida in un periodo di forti vessazioni, è stata riaccolta dalla gente del suo quartiere e ha trovato una possibilità di lavoro. «Nell’agosto 2006 – ricordano Rivara e Botto – ricevemmo circa 200 persone indultate. A ciascuno, per legge, spettavano 100 euro di benefit e un blocchetto di buoni-pasto. A tutti invece, sarebbe servito molto di più e non pochi finirono come erano prima del carcere: disperati e senza riferimenti. Tornavano da noi anche solo per essere ascoltati, pur sapendo che non c’era nulla di immediato da rimediare. Si impara una cosa facendo questo lavoro: non basta dare risposte materiali, c’è un bisogno di ricostruzione interiore che va colmato e che spesso il carcere non affronta. Per questo investire nelle misure alternative alla detenzione e rafforzare la rete sociale nel territorio varrebbe più che l’indulto, se vogliamo evitare che il carcere resti dei poveri e dei recidivi». Mirco Mazzoli

Sistema da riformare Indulto e amnistia, insomma, sono indispensabili per la dignità dei detenuti. Ma non hanno senso se slegati da modifiche strutturali dell’intero sistema. «Bisogna riformare il sistema sanzionatorio – spiega Antonella Calcaterra, avvocato e membro dell’Osservatorio carcere dell’Unione delle camere penali italiane –, portando avanti i disegni di legge che parlavano di messa alla prova (non solo per i minori, ma anche per gli adulti) e dell’innalzamento dei tetti di pena per la detenzione domiciliare. In particolare, per fare una riforma strutturale del sistema sanzionatorio servodicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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Svuotare? Meglio riformare no investimenti di risorse adeguate nel territorio, soprattutto per le misure alternative, che consentano non solo di approvare la riforma, ma di metterla realmente in pratica. La strada da seguire è quella: lo dimostrano esperienze come i lavori di pubblica utilità, che funzionano molto bene». Secondo l’avvocato Calcaterra, due sono le questioni di rilievo: «Innanzitutto il carcere non può essere l’unica risposta sanzionatoria. Poi credo che sia necessaria una riduzione delle misure cautelari, perché circa la metà dei detenuti che sovraffollano i nostri istituti è in attesa di giudizio. E su questi punti tra gli addetti ai lavori vedo un sostanziale accordo. Ho appena letto un’intervista del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, che dice esattamente le stesse cose. Le diciamo noi avvocati. Le dice anche il ministro di grazia e giustizia, Annamaria Cancellieri. Eppure le riforme non riescono ad andare avanti».

L’atto isolato non serve Va comunque riconosciuto che un po’ di lavoro è stato fatto e si sta facendo. Sono state tolte alcune preclusioni all’accesso alle misure alternative da parte dei recidivi. Ma un atto isolato non porta da nessuna parte. «Quello che ser-

Lavoro e inclusione: in Veneto, Esodo funziona e costa meno. Però le buone Percorsi giudiziari di inclusione sociolavorativa per detenuti ed ex detenuti, che funzionano, e anche bene, ce ne sono. Quello che non si comprende è come mai queste “buone pratiche” non vengano studiate e replicate in tutto il territorio italiano. Prendiamo, ad esempio ,“Esodo”, progetto che nasce dall’incontro delle volontà della Fondazione Cariverona, delle Caritas diocesane Bellunese, Veronese e Vicentina e del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria del Triveneto: esso promuove e sostiene percorsi strutturati di inclusione sociolavorativa a favore di persone detenute, ex detenute o in esecuzione penale esterna. Un percorso che dovrebbe essere “normalità”, in un’ottica di recupero delle persone finite in carcere. Ma che, di fatto, costituisce un’eccezione. «Le persone presenti

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nelle case circondariali delle tre città venete sono circa 1.330 – spiega il coordinatore del progetto, Franco Balzi –, mentre la popolazione in carico agli uffici di esecuzione penale esterna registra un trend costante di crescita (+15% annuale): dai 540 del 2011 ai 700 del 2013. Dal 2011 a oggi sono stati investiti 5,3 milioni di euro per il progetto Esodo (di cui 4,8 milioni stanziati da Fondazione Cariverona), suddivisi in tre aree di intervento, con una distribuzione omogenea: formazione, inclusione sociale e lavoro. Il progetto ha seguito circa 420 persone all’anno, per un totale di 940 utenti complessivi e di 1.786 percorsi attivati». Risultati importanti, che fanno ben capire come a fronte di stanziamenti adeguati – ma molto inferiori ai costi di mantenimento in carcere (un posto

letto a Esodo costa 32 euro, contro i 200-250 euro a detenuto in carcere) –, progetti di autonomia e recupero funzionano. «Sul fronte della formazione – continua Balzi –, Esodo è riuscita a coinvolgere 683 partecipanti, erogando quasi 11 mila ore di formazione. Sul fronte dell’inclusione sociale ha consentito 148 accoglienze abitative e 312 accompagnamenti educativi personalizzati e familiari, attraverso più di 2.690 incontri individuali e di gruppo. Sul fronte del lavoro, Esodo ha consentito l’avvio di 643 percorsi di inclusione lavorativa, realizzati sulla base delle capacità e della tenuta delle persone prese in carico; questo ha permesso di attivare 240 azioni di orientamento, 51 inserimenti in laboratori occupazionali, 239 tirocini presso cooperative, imprese ed enti e


l’approfondimento

L’esperta

«La clemenza da sola non basta, il lavandino dev’essere riparato...» «Se dal 2006 a oggi non abbiamo fatto altro che aspettare che le carceri si riempissero di nuovo, significa che i provvedimenti di clemenza da soli non bastano – spiega Lucia Castellano, membro della Commissione ministeriale per la riorganizzazione penitenziaria e già direttrice del carcere di Bollate dal 2002 al 2011 –. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti per risolvere la situazione carceraria italiana. Bisogna invece agire in due direzioni, come stanno facendo amministrazione penitenziaria e ministro della giustizia. La prima sono i provvedimenti di clemenza. La seconda sono i provvedimenti che possono migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Penso allo spazio a disposizione di ciascuno di loro, ma non solo a quello. Se, per esempio, oggi facessimo uscire da Poggioreale, a Napoli, mille dei 2.800 detenuti attualmente ospitati, i restanti continuerebbero a vivere in condizioni pessime». Le conclusioni del lavoro della Commissione sono state presentate al ministro di grazia e giustizia, che a sua volta le ha sottoposte alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Perché, ricordiamolo, l’Italia è un grande imputato. «L’altro grande capitolo da affrontare nei prossimi mesi – continua Lucia Castellano –, a norme invariate, riguarda l’adeguamento della consuetudine penitenziaria alla legge del 2000, un provvedimento vecchio di 14 anni e non applicato completamente. Un punto centrale sul quale abbiamo lavorato è l’affettività dei detenuti. Abbiamo stilato un cronoprogramma che, da qui a maggio, “obbliga” le direzioni penitenziarie a rispettare una serie di prescrizioni: eliminare i banconi per i colloqui che esistono ancora in un terzo delle nostre carceri, garantire la possibilità ai detenuti di usare telefoni a scheda per avere più autonomia nei rapporti con l’esterno, aprire le sale di detenzione durante il giorno e realizzare i locali di refezione, consentendo così ai detenuti di non trascorrere intere giornate all’interno delle celle. Già fare tutto questo significa migliorare la qualità della vita di chi è recluso. E la situazione sta migliorando. Serviva una condanna come quella della Corte europea per agire davvero?».

pratiche restano isolate... 113 contratti di lavoro». Questi risultati hanno pure un valore aggiunto: i tassi di recidiva delle persone coinvolte sono scesi al 6-7%, a fronte di una normalità attestata al 70%. «É sempre molto complesso ragionare sui tassi di recidiva – conclude Balzi – anche perchè chi entra in percorsi di inclusione è già in qualche modo “recuperato”. Ma se a queste cifre aggiungessimo anche qualche punto, i risultati sarebbero comunque assai positivi. La sfida ora è far camminare il progetto con le proprie gambe, cercando fondi anche oltre la Fondazione Cariverona, che ha fatto sapere che, almeno per il 2014, finanzierà ancora. Crediamo in questo progetto e siamo certi che riusciremo a trovare il modo di farlo funzionare anche in futuro». Se così non fosse, sarebbe una sconfitta per tutti.

Ma i provvedimenti di clemenza da soli non bastano. «Adottare un atto di clemenza senza gli altri provvedimenti necessari sarebbe come svuotare il lavandino intasato senza riparlarlo – spiega ancora Lucia Castellano –. È una metafora grezza ma efficace: clemenza e cambiamenti strutturali devono andare di pari passo. Anche perché il nostro è un paese con un tasso di carcerazione molto basso: 65 mila detenuti per 59 milioni di abitanti non sono certo molti. Numeri così sono gestibili. Se poi consideriamo che in Italia esistono 205 carceri, ciascuna di esse dovrebbe ospitare in media 313 detenuti. In realtà, esistono giganti come Poggioreale che ne ha 2.800 circa e nani, come l’istituto di Sala Consilina, che ne ospita una ventina. Il problema è la cattiva amministrazione. Non siamo di fronte a un problema insormontabile, ma a un fenomeno mal gestito. Se lo stato non è in grado di garantire una vita dignitosa negli istituti esistenti, perché dovrebbe farne di nuovi? La detenzione deve essere l’ultima forma di pena, per i reati più gravi. Nuove carceri ne farebbero la prima risposta». Lucia Castellano chiude con due riflessioni: «La prima è rivolta ai cittadini timorosi di nuovi provvedimenti di clemenza. Se il sistema funzionasse a dovere, molti detenuti che potrebbero usufruire di un atto di clemenza sarebbero già fuori per scontare la parte finale della loro pena in affidamento ai servizi sociali. La seconda è più indirizzata ai politici. Se a maggio dovessimo ritrovarci ancora nelle condizioni attuali, l’Italia dovrebbe pagare un sacco di soldi in risarcimenti ai detenuti i cui diritti sono stati violati. E allora, non sarà facile spiegare, con la crisi in atto, che dobbiamo spendere soldi pubblici per risarcire chi vive in condizioni degradanti». dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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Svuotare? Meglio riformare

vono sono essenzialmente riforme strutturali – si legge in una nota emessa dalla Conferenza regionale volontariato giustizia della Lombardia, realtà che raccoglie 29 soci di varia estrazione, dalle Caritas ad Antigone, dalla Sesta Opera di San Vittore a Telefono Azzurro –. Sono quanto mai necessarie: la ridefinizione delle esigenze cautelari che giustzificano l’applicazione della custodia cautelare in carcere, l’abrogazione della diciplina della recidiva come introdotta dalla cosidetta legge Cirielli, la riforma del testo unico sugli stupefacenti e della legge Fini-Giovanardi in tema di detenzione di stupefacenti ad uso personale. E un più deciso ampliamento del-

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le pene alternative. Senza queste riforme, un provvedimento svuotacarceri non risolverebbe il problema».

Serve un atto di clemenza «Io credo che un atto di clemenza sia indispensabile – spiega però Ornella Fa?

vero, direttrice di Ristretti Orizzonti, importante organizzazione di Padova –. Non scandalizziamoci: provvedimenti simili vengono fatti anche all’estero, in California è successo, per esempio. Ritengo, poi, che siano atti di risarcimento: che esempio dà il nostro stato violando la legge proprio con quelle persone che l’hanno violata? Per questo, preferisco considerare amnistia e indulto come atti di giustizia e risarcimento, non di clemenza. Per quanto riguarda la prima, poi, non assistiamo a un’amnistia strisciante ogni volta che un imputato ha avvocati tanto bravi da far finire il processo in prescrizione?». Il problema è che, in altre circostanze, per esempio nel 2006, non si è approfittato del fatto di essere scesi, dopo un provvedimento eccezionale, a un numero “normale” di detenuti, per varare riforme serie. «È un fatto drammatico – continua Ornella Favaro – perché, nel frattempo, si sono cominciati a vedere gli effetti delle leggi che noi definiamo cancerogene: la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe e l’ex Cirielli. Sono queste leggi ad aver prodotto il disastro cui assistiamo. Oggi non ci sono alternative alla clemenza, ma contestualmente, se non si mette mano a quelle tre leggi, non si risolve il problema, non si cambia il sistema, che sta inutilmente riempiendo le nostre carceri. La carcerazione, nelle condizioni garantite oggi dalle prigioni italiane, credo che presenti rischi più di qualsiasi provvedimento di clemenza. Una detenzione di questo tipo non rende la società più sicura. Per quanto una certa opinione pubblica si senta sicura solo con i condannati in carcere, bisogna pensare che queste persone finiranno di scontare la loro pena, un giorno. E usciranno più incattivite e pericolose di prima. Per questo sono fondamentali le misure alternative. Un detenuto che riacquista la libertà è come un sub che torna in superficie dopo un’immersione: non può farlo di botto. Servono gradualità e accompagnamento. Le misure alternative garantiscono proprio questo. Di più: l’affidamento ai servizi sociali dovrebbe riguardare tutti i detenuti negli ultimi tre anni di pena. Alcuni anni fa avevamo fatto una proposta di legge proprio in questo senso. La società deve capire che il carcere non è un universo separato».

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il progetto

Bambini malati trovano forza e coraggio in sogni esauditi: ci pensa l’associazione Make-A-Wish

Realizziamo desideri di Simona Brambilla «Per un bambino gravemente malato, vedere che il suo desiderio si realizza, significa capire che nulla è impossibile e ritrovare la forza per continuare a lottare. Significa dimenticare di essere malato, e tornare a essere un bambino». Questa è la filosofia di Make-A-Wish Italia, una onlus con sede a Genova che si prefigge di realizzare piccoli o grandi sogni di bambini malati. I desideri da esaudire possono essere i più disparati: dall’incontro con un personaggio famoso alla possibilità di fare un viaggio, dal voler essere “qualcuno” per un giorno al ricevere un oggetto particolare. E Make-A-Wish (“Realizza un desiderio”) non pone limiti alla fantasia del bambino. L’ha sperimentato Jacopo, che ha 16 betta, mamma coraggio, e con il suo anni ed è costretto in sedia a rotelle da sorriso ci ridà energia e fiducia. In casa, una malattia invalidante. Grazie a Dala tavola è imbandita di leccornie e, sotniele, uno dei volontari di Make-A-Wito il grande albero, coperta da un amsh, è riuscito a realizzare il suo sogno: pio telo c’è la “bici wish”. Salutiamo Niavere una bicicletta speciale e vivere cola, il papà, Beatrice, la sorellina di 10 una giornata indimenticabile. anni, ed ecco Jacopo. Subito ci fa capire quanto è felice con alcuni gridolini che non possono essere fraintesi; Beatrice è Jacopo e la superbici incaricata di togliere il telo et voilà, ecco «Qualche giorno dopo il suo compleanla superbici». no, abbiamo festeggiato con lui. Siamo Per un ragazzino malato, ricevere un partiti da Milano alla volta di casa sua, dono come questo è importante. Il in Veneto. Con qualche contorsione ci bambino affetto da gravi malattie infatsiamo travestiti in macchina da Babbo ti perde il contatto con il mondo, perché Natale – racconta Daniele –. Fuori neviviene catapultato in una realtà fatta di schiava e i cani abbaiavano spaventati. ricoveri in ospedale, cure molto doloroMa ecco che arriva ad accoglierci Elisa-

se, ansia e preoccupazione. Con un piccolo gesto i volontari di Make-A-Wish riuscono a far tornare il sorriso. «L’eccitazione di Jacopo ha raggiunto alti livelli, quel giorno. Era felice, la sua mamma era felice! Ci ha commosso dicendoci che il suo ragazzo stava festeggiando il compleanno con persone che gli vogliono bene. E poi foto, foto e ancora foto – continua Daniele entusiasta–. Jacopo era fuori di sé dalla gioia, l’atmosfera bella, intensa. Le ore sono passate senza che neppure ce ne accorgessimo».

Milena che vola sulla slitta Differente ma in parte simile è la storia di Milena. La ragazzina deve ancora affrontare un lungo periodo di cura, da sempre al suo fianco c’è la famiglia, ma grazie a Make-A-Wish sa che dalla sua parte oggi c’è anche la sua beniamina: Laura Pausini. La giornata che i volontari hanno realizzato per lei è stata a dir poco sensazionale. «Sole, neve, quattro meravigliosi cani Alaskan Malamute al dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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Realizziamo desideri traino di una motoslitta – racconta Mario, uno dei volontari che ha lavorato per realizzare il sogno di Milena –. Siamo stati ospiti dell’Alpe Giumello, località sopra il lago di Como, dove Milena ha potuto vivere un giorno magico, un giorno di felicità che la accompagnerà nel faticoso percorso di cure che deve ancora affrontare. Insieme a noi, la mamma, il fratellino Denis, la cugina Meggy e il mitico Giulio del Cirn, che ha organizzato questa bellissima giornata». La prima sorpresa per Milena è stata proprio la lunga corsa su una slitta trainata da cani, che sono partiti veloci per portare Milena su per i boschi, in mezzo a piste bianchissime e rilucenti. «Al termine della lunga corsa lei era estasiata – spiega ancora Mario –, ma le sorprese non erano affatto finite. Milena, infatti, ha ricevuto una telefonata. Secondo voi chi poteva essere?».

E poi chiamò Laura... Il sorriso di Milena su una slitta trainata da cani: solo il primo dei suoi sogni realizzati. Nella pagina precedente, Jacopo riceve la sua superbici

I volontari che hanno accompagnato Milena in questa avventura ricordano con emozione il viso elettrizzato della piccola quando ha capito che dall’altra parte della cornetta c’era la sua can-

L’associazione

Dieci anni, mille sogni che significano forza di lottare Make-A-Wish Italia onlus è un’associazione nata a Genova alla fine del 2004, in memoria di Carlotta, una bimba mancata all’età di 10 anni, a causa di una malattia grave. In Italia Make-A-Wish ha già realizzato Sradicati Daher ealle il figlio Ayman (8), per più quasi 900 desideri e ha dato Siraj assistenza affiliate estere nell’edificio abbandonato in cui di 200 desideri “italiani” di bambini provenienti dal resto del mondo. Tutti vivono dall’inizio della guerra i desideri sono finanziati grazie a donazioni,a sponsor, adozioni e al gran Tripoli, in Libano lavoro dei volontari, che ogni giorno cercano di regalare un sorriso (Nick Harrop / Cafod) ai bambini meno fortunati. «Non abbiamo nessun aiuto di tipo istituzionale – spiega Paola Bassino, presidente di Make-A-Wish Italia onlus –, perciò le nostre risorse provengono da sponsor, aziende o privati che credono nella nostra “missione”. Importante è anche il contributo del 5 per mille. Ed è possibile “adottare un desiderio” in particolare: facendone richiesta un donatore può ricevere la lista dei desideri in attesa e individuare quello che preferisce, donando un contributo per quel bambino in particolare». Nonostante i tempi di crisi, Make-A-Wish Italia si è prefissato un obiettivo ambizioso per il prossimo anno. «Nel 2014 – conferma Bassino – ricorre il decennale dalla fondazione e siamo fiduciosi di poter arrivare al traguardo dei mille desideri esauditi. Questo significa mille bambini malati che hanno potuto ritrovare le forze necessarie per affrontare al meglio le loro malattie. Un desiderio esaudito fa capire che nulla è impossibile, riporta speranza e forza per lottare, dona un momento di gioia che rimane nel cuore del bambino e contribuisce a dare speranza a lui e alla sua famiglia».

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tante preferita. «Quando ha risposto il suo volto ha cambiato espressione. Milena non riusciva quasi a parlare. Dall’altra parte della cornetta c’è proprio Laura Pausini. Qualche minuto di conversazione, assolutamente segreta, ed ecco che, insieme alla torta, le è stato consegnato un pacchetto. Milena forse immaginava cosa conteneva, ma all’apertura i suoi occhioni si sono illuminati ancora una volta, quando hanno visto l’iPad mini con la custodia rosa. Proprio quello che sognava di avere».

Marco ha visto il Grand Canyon I desideri dei bimbi sono molto diversi tra loro. Se Milena con l’iPad mini ascolta tutto il giorno le canzoni di Laura Pausini, Marco non si separa mai dalle foto che ha scattato durante il viaggio al Grand Canyon. Una sogno realizzatosi grazie a Make-A-Wish con il supporto di Viaggidea. A loro Marco ha voluto scrivere un personale ringraziamento. «Mi chiamo Marco – si legge sulla lettera pubblicata sul sito dell’associazione – e fino a due anni e mezzo ero un bambino come tanti altri. Normale. Poi ad un tratto bum, tutto è cambiato: ospedali, chemioterapia, interventi chirurgici e, ciononostante, in mezzo alla mia testa ho ancora il mio tumore. Loro lo chiamano tumore a cellule granulari. Insomma ho un cancro, quello che si sente anche in tv. E, ovviamente, ce l’ho


il progetto raro: ne esistono solo sei casi documentati al mondo. Ho tutto raro: il tumore, gli effetti collaterali dei farmaci, chissà cos’altro mi aspetta di raro. Speriamo solo sia una cosa bella. Però quest’anno non posso lamentarti perchè ho realizzato il mio sogno: ho visto il Grand Canyon». Marco è ancora eccitato dall’eserienza vissuta. «Quando ero ricoverato a Genova sono venute a trovarmi le volontarie. Le ricordo bellissime, profumate e sorridenti. Da quel giorno ho iniziato davvero a sognare, ho lottato per star meglio e realizzare il mio sogno. Forse me lo regalavano davvero, dovevo solo stare un po’ meglio, anche se mia madre continuava a dire: “Vedremo, non so se sarà possibile”. Penso che lei non ci credesse per niente». Spesso, infatti, i genitori vivono momenti molto duri e non vogliono che i propri figli, già prostrati dalla malattia, debbano soffrire ulteriormente. Ma per Marco e gli oltre 800 bambini che sono entrati in contatto con i volontari di Make-A-Wish è stato diverso. «Un giorno sono stato contattato da Valentina di Make-A-Wish e ci siamo accordati. Non mi sembrava vero, era praticamente impossibile, eppure il mio sogno si stava realizzando davvero: avrei visto il Grand Canyon e Las Vagas. Nessuno può capire come ci sente quando tutti ti hanno fatto capire che il sogno della tua vita non si potrà mai realizzare ma poi, tutto a un tratto, diventa possibile. E così è arrivato il fatidico 4 aprile 2013. Sono partito insieme alla mia mamma, ero euforico. In quel periodo avevo avuto un peggioramento della vista, ma da quando avevo saputo che sarei potuto partire, mi sembrava persino di vedere meglio, non ero più stanco e i miei soliti mal di testa sembrava mi avessero abbandonato. Era tutto fantastico, indescrivibile, un’emozione senza uguali». Un desiderio esaudito porta al bambino malato non solo un momento di gioia e spensieratezza ma, spesso, ha anche un forte impatto positivo dal punto di vista clinico. Tanti bambini, grazie all’attività di Make-A-Wish, hanno ritrovato forze dimenticate e sono guariti. Alcuni di loro, una volta cresciuti sono anche diventati volontari e girano per gli ospedali per realizzare i desideri dei bambini malati.

Altre sigle

Clown in corsia, famiglie insieme: volontari vicini ai bambini malati Sono clown che fanno sorridere i bambini in ospedale. Sono famiglie che si appoggiano a vicenda per sostenere i loro figli. E ancora sono persone che insieme organizzano gite, feste ed eventi per far ridere i bimbi malati. Gruppi di genitori che svolgono attività di assistenza sociale e sociosanitaria, diretta a migliorare la cura e l'assistenza ai piccoli pazienti… L’elenco potrebbe andare avanti molto. In Italia vi sono infatti tantissime associazioni, organizzazioni non profit e fondazioni che si occupano di dare aiuto e sostegno ai bambini meno fortunati. Alcune di queste portano in ospedale animazione e supporto psicologico, come Abio, o semplicemente un sorriso, come Fondazione Theodora o Dottor sorriso onlus: i volontari vanno nei reparti di pediatria travestiti da clown, cercando di far sorridere i loro piccoli amici e tutte le persone coinvolte nel processo terapeutico. Perché ridere fa bene a tutti, soprattutto a chi sta affrontando un momento di difficoltà: influisce sullo stato psicologico dei pazienti e li aiuta a velocizzare il processo di guarigione. Magica Cleme è una fondazione che fonda le sue radici in una storia, quella di Clementina, una bambina che si credeva magica e che nonostante la malattia, diagnosticata all’età di 4 anni, ha potuto vivere una vita bella e ricca di emozioni. La Fondazione organizza gite, eventi, feste e tutto ciò che può contribuire a mantenere un bambino sereno. Anche Una onlus è nata da una storia, anzi da tante storie. È un'associazione di genitori di pazienti passati da un reparto di oncologia pediatrica. La parola Una è un avverbio latino che significa “insieme”, “contemporaneamente” e, per estensione, “una cosa sola”. L’associazione è stata fondata da sei genitori che hanno vissuto con i loro figli l’esperienza del reparto di oncologia pediatrica a Milano, e che hanno continuato a sentirsi vicini alla realtà dei malati di tumori infantili. Sono sempre genitori i fondatori di L’abbraccio, associazione che si occupa di bambini con disabilità infantile. L’Abbraccio si pone come obiettivo primario l’aiuto reciproco tra famiglie, nonché la promozione di iniziative individuali e di gruppo volte a favorire la crescita serena dei bambini, nel rispetto dei loro bisogni e delle loro necessità.

L’America, emozione rara Marco affacciato sul Grand Canyon, in Arizona: i mal di testa, durante il viaggio, erano meno insistenti

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Vorrei veder sparire le Nuvole di Faber Quindici anni senza De André: l’intenso ricordo della moglie Dori Ghezzi. «Mi manca il suo sguardo lungimirante. Sarebbe deluso dall’anarchia di oggi, senza rispetto»

di Daniela Palumbo

Artisti «giovani affini a Fabrizio? Per capacità di comunicare e coraggio di dire ciò che si pensa, oggi sono quelli che fanno rap e hip hop. Un giovane Enzo Jannacci oggi sarebbe uno di loro. Anzi, li ha anticipati

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L’11 gennaio 2014 saranno 15 anni senza Faber. Era stato Paolo Villaggio, amico d’infanzia di Fabrizio De André, a dargli quel diminuitivo. Perché De André amava i pastelli della Faber-Castell. Ancora oggi, per quelli che lo amano, resta Faber. I suoi testi sono inseriti nelle antologie scolastiche di letteratura, la sua discografia è oggetto di ricostruzione filologica. Gli sono state intitolate vie, biblioteche, scuole. I colleghi continuano a proporre le sue canzoni. Finora sono uscite due raccolte, in triplo cd, titolate In direzione ostinata e contraria, 1 e 2. Ultimo uscito, il 25 novembre 2013, Fabrizio De André. E poi gli album originali. Un cofanetto, a tiratura limitata e numerata (500 copie), con i dischi originali in vinile. Faber è memoria e contemporaneità. E lo è anche grazie all’opera incrollabile di Dori Ghezzi, sua compagna dal 1974, dal 1989 sua mogiungere il cuore di un adulto così come glie, fino alla fine. Lei, che presiede la quello di un bambino. Penso, per esemFondazione De André, ha ricordato per pio, ai tanti laboratori condotti nelle Scarp de’ tenis il suo Faber. scuole, come avvenuto a Pavia con La guerra di Piero, oppure ancora al proAnzitutto, vorremmo chiederle cosa getto Faber in mente ideato dallo psicole manca, oggi, di Fabrizio De André. terapeuta Gabriele Catania all’interno In particolare, di quel modo – così videll’ospedale Luigi Sacco di Milano e insionario e anarchico – di guardare alcentrato ad aiutare, attraverso le canzola vita... ni di Fabrizio, chi è affetto da disturbi Mi manca il suo sguardo sul mondo, appsicologici. punto. Nella sua limpidezza e lungimiranza. Spesso mi chiedo cosa avrebbe scritto oggi ma, soprattutto, come. Qua“Nuvole” è l’etichetta fondata da lei li parole avrebbe usato, in quali atmoe Fabrizio. E Le Nuvole è anche un alsfere ci avrebbe condotto. So per certo bum, del 1990, che Fabrizio De André che sarebbe enormemente deluso dalspiegò così: «Le mie Nuvole sono da l’accezione negativa che ha assunto il siintendersi come quei personaggi ingnificato della parola “anarchia”. Il cui gombranti e incombenti nella nostra concetto sta nell’essere liberi, ma nel rivita sociale, politica ed economica; spetto del prossimo. Non è più così. sono tutti coloro che hanno terrore del nuovo perché il nuovo potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere. Memoria e contemporaneità spesso Nella seconda parte dell’album si sono inconciliabili. Eppure, la musica e le parole di De André affondano le muove il popolo, che quelle Nuvole radici nella nostra storia, non solo subisce senza dare peraltro nessun musicale, ma letteraria, poetica... evidente segno di protesta». Sembra scritto oggi. È questo il passo diverso Credo che la ragione sia da rintracciarsi di Fabrizio De André? La capacità di nell’universalità del linguaggio che ha usato e dei temi ai quali si è dedicato. essere profetico? Fabrizio peraltro non si è mai espresso Mi chiedo spesso quali parole avrebbe in modo assertivo, ma ci ha stimolato a usato per parlarci del nostro domani. E moltiplicare i punti di vista. Riesce a ragcredo che il nostro presente ci confermi


testimoni In musica e nella vita Fabrizio De André alla chitarra, al suo fianco Dori Ghezzi. Nella pagina successiva, un’immagine sorridente della coppia

Il profilo

Poesia innestata nella musica, un’arte sensibile ai marginali Fabrizio De Andrè nasce a Genova Pegli il 18 febbraio 1940. Studia al liceo “Cristoforo Colombo” e dopo il diploma si iscrive all’università, frequentando con poca convinzione giurisprudenza, dove supera diciotto esami senza arrivare alla laurea. La sua è una normale gioventù da figlio della buona borghesia: la scuola, la villeggiatura al mare, variegate letture nella biblioteca di casa, ma anche lunghe serate con Paolo Villaggio, Luigi Tenco, Gino Paoli e il poeta Remo Borzini a parlare di letteratura, di poesia e di cantautori francesi. Nel 1958 incide il suo primo 45 giri, Nuvole barocche. Si sposa a 22 anni con Erica Rignon (detta Puny) e diventa padre di Cristiano a meno di 23. Il suo primo successo è La canzone di Marinella, brano che viene interpretato da Mina nel 1965. Nel 1966 esce il suo primo album, Tutto Fabrizio De Andrè. Nel 1976, dopo aver incontrato la cantante Dori Ghezzi, da cui ha avuto la figlia Luisa Vittoria (Luvi), acquista un’azienda agricola in Sardegna. Il 28 agosto 1979 viene sequestrato insieme a Dori Ghezzi e per quattro mesi la coppia rimane prigioniera sulle montagne sarde. Al termine di una vicenda artistica densa di opere che fondono magnificamente musica e parole, evocazione e narrazione, De André muore a Milano l’11 gennaio 1999. Nella sua carriera si è imposto come il cantautore italiano che, manifestando grande sensibilità sociale e cantando tante vite di marginali, più si è accostato ad autori del calibro di Jacques Brel, Leonard Cohen e Bob Dylan. È stato il primo in Italia a dare alla canzone contenuti nuovi, dimostrando che si potevano cantare storie fino a quel momento riservate a scrittori o poeti.

quanto le sue nuvole siano sempre più incombenti. Un brano come La domenica delle salme (capolavoro di quell’album, ndr) sembra scritto per il momento in cui viviamo, e mi auguro che passi di moda. Lei è presidente della Fondazione De André. C’è chi l’accusa di svendere il lascito artistico di suo marito. È evidente che certe accuse fanno male, ma lei ha riscontro che il lavoro sul patrimonio musicale e poetico di suo marito si trasmette ai fan, e soprattutto alle nuove generazioni? L’ininterrotto abbraccio che ancora oggi quotidianamente gli viene rivolto, e che sempre ci emoziona, non è indotto, ma spontaneo. Penso a tutti i tributi, alle manifestazioni e alle intitolazioni. Il percorso svolto in questi anni dalla fondazione, e che continuiamo a condurre, si è focalizzato, per esempio, sullo studiare e riordinare le sue carte, come avviene al centro studi Fabrizio De André dell’Università di Siena, fondato nel 2004 con l’intento, sostenuto e accettato dalla Fondazione, di divenire il primo vero e proprio punto di riferimento per dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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Vorrei veder sparire le Nuvole di Faber coloro che intendono intraprendere uno studio approfondito su Fabrizio De André. Inoltre operiamo per indagare sugli aspetti meno noti del suo lavoro, come tutto il suo percorso live, oppure ancora – come dimostra il nostro ultimo libro, Ai bordi dell’infinito – per porre l’accento sui progetti concreti nati anche dalle sue parole, come si può vedere nei laboratori con gli studenti o nelle carceri. Per quanto riguarda le critiche, ovviamente a volte mi feriscono, ma spesso sono frutto di un equivoco perché io non sono proprietaria né delle edizioni né della discografia di Fabrizio. Posso però, davanti alla richiesta di una nuova raccolta di brani, intervenire affinché questa sia il risultato di un lavoro di ricerca, ragionato e, a suo modo, per quanto possibile, innovativo, di conseguenza non solo speculativo. Una musica o un testo di suo marito che ha bisogno di ascoltare in quei momenti in cui si chiude tutto fuori... Se la sente di dirci qual è? Valzer per un amore, anche se non esattamente in questa accezione. Mi spiego. Quando ci siamo conosciuti (nel 1974 in sala di registrazione) Fabrizio, nello studio accanto a quello in cui stavo lavorando io, si stava proprio dedicando a una nuova versione di quel brano. La cui musica è peraltro tratta dal Valzer campestre della Suite siciliana di Gino Marinuzzi, che suonava sul giradischi di casa De André mentre Fabrizio nasceva. Una parte della critica musicale individua nel figlio Cristiano l’unico vero erede del patrimonio deandreiano... Le capacità sia musicali che intellettuali, unite alle sue caratteristiche fisiche, rendono inevitabilmente Cristiano forse il più convincente interprete delle canzoni di suo padre. Arma indubbiamente a doppio taglio, perché un artista che ha il talento di Cristiano è giusto che costruisca e continui un suo percorso. È giusto che un artista sia sempre se stesso, non deve essere erede di nessuno. L'unico gruppo che ha prodotto con Nuvole Production sono i Blastema... Lavorare con i Blastema ci sta dando molte soddisfazioni. Certo, produrre gruppi di giovani esordienti, anziché singoli artisti, è più complicato. Ma sono convinta che si debba osare, che si

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debba avere coraggio. C'è qualche artista giovane che, secondo lei, ha qualche affinità con Fabrizio De André? Per affinità intendo capacità di comunicazione e coraggio di dire ciò che si pensa. In questo momento storico, quelli che hanno questa forza spesso fanno rap e hip hop. Un giovane Enzo Jannacci oggi sarebbe uno di loro. Anzi, li ha anticipati. Il periodo sardo – a parte il sequestro – è stato un periodo di grande fertilità intellettuale e artistica per Faber. Che ricordi ha lei di quella terra? Della sua vita là, insieme a De André? Ricordi splendidi. Amo moltissimo quella terra e ci torno appena possibile. Ho molti, carissimi amici oltre, naturalmente, agli impegni che mi legano all’Agnata. Alla Sardegna, ma anche all’esperienza del sequestro, Fabrizio ha dedicato un album intero,che reca il suo nome ma è meglio noto come L’indiano, scritto con Massimo Bubola. Prevalentemente abbiamo vissuto la nostra vita di coppia in Sardegna, dove Luvi è nata. Lì abbiamo dato sfogo ai nostri progetti ed entusiasmi nel costruire l’Agnata e nell’approcciarci a nuove espe-

rienze, come la vita di campagna. Di conseguenza le fonti d’ispirazione non gli mancavano. Cristiano De André ha aiutato a nascere la fondazione Don Gallo, sacerdote ligure a cui anche lei era molto legata. Farete, lei e Cristiano, qualcosa insieme in memoria di don Gallo? L’affetto che ci lega ad Andrea è immenso, ci è sempre stato vicino con la sua grande generosità. Io, personalmente, ho perso un punto di riferimento fondamentale. Così come avvenuto con Fernanda Pivano. Spesso mi sorprendo a parlare di loro al presente. Tutto quello che potremo fare per ricordare don Gallo e aiutare i ragazzi della sua splendida comunità, lo faremo. Dopo la morte di suo marito il tempo ha acquisito una dimensione diversa da prima, da quando il tempo scorreva insieme a lui? È fisiologico, indipendentemente da tutto, avere la sensazione che nelle varie stagioni della nostra vita il tempo passi con un ritmo diverso. Fabrizio più passava il tempo, più si attaccava alla vita. Ora che lui non c’è più, per quel che mi riguarda, più passa il tempo meno mi spaventa la morte.

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Jannacci a fumetti, un mese di successi Conclusa con l’asta da Sotheby’s l’iniziativa che ha reso omaggio ai personaggi del grande cantautore. La mostra continua a girare Ce lo diciamo da noi, lo sappiamo che non è elegante... Ma è stato davvero un grande successo! “La mia gente”, l’iniziativa dedicata a Enzo Jannacci, – promossa da Scarp de’ tenis, da altri soggetti culturali ed editoriali di Milano, da un gruppo di artisti amici del “Maestro” – ha fatto il pieno di pubblico e di interesse. La grande mostra, allestita allo spazio Wow – Museo del fumetto di Milano, con le tavole di 53 tra i maggiori fumettisti italiani, che hanno interpretato, alla loro maniera, ottobre e il 10 novembre. Intensa partealtrettante canzoni, più o meno note, cipazione anche agli spettacoli di cabadel grande cantautore milanese, è stata ret e teatro, ispirati all’opera di Jannacvisitata da tantissime persone, tra il 17 ci, che hanno arricchito il programma

Grazia Sacchi - Ti te se' no

dell’iniziativa, culminata poi nell’asta benefica delle tavole originali (e autugrafate) della mostra, andata in scena nella sede milanese di Sotheby’s il12 novembre (sotto, due delle tavole che hanno ricevuto la valutazione più elevata). Il ricavato dell’asta finanzierà le attività di Scarp de’ tenis e di Caritas Ambrosiana in favore delle persone senza dimora. Ora la mostra, trasferita su nuovi supporti, è a disposizione di coloro (biblioteche, centri culturali, scuole) che ne faranno richiesta a Scarp.

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Claudio Villa - Il Duomo di MIlano dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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milano Tre omicidi da spaccio. E il quartiere torna sinonimo di malavita. Ma c’è un tessuto sociale che tesse legalità e accoglienza

La Quarto Oggiaro che resiste al crimine Como Inclusione dagli scarti, il riciclo “Si può fare” Torino Prendo (occupo) casa, ma non quella popolare Genova Libri magici, parlati per bambini “speciali” Vicenza Provai a morire sei volte, adesso provo ad aiutare Verona Pablo ha affettato il pane per gli angeli Rimini Indagine su morti sospette, sarà stato proprio l’uranio? Firenze La città corre insieme, un beneficio per tutti Napoli Accogliete con il cuore, parola di direttore Caritas Salerno Moscati: l’usura si batte facendo prevenzione Catania I “ragazzi” dell’Auser, l’aiuto appeso a un Filo

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di Daniela Palumbo Via Lessona, Quarto Oggiaro, ore 11 del mattino di un martedì qualsiasi. Al Bar2000 i proprietari sono cinesi. C’è un ragazzino che serve, ordiniamo due caffè e intanto ci chiediamo quanti anni possa avere: 13, 14, forse meno. Dovrebbe essere a scuola. Sì, dovrebbe. Invece serve caffè e dispensa sorrisi. I cinesi sorridono tutti. Seduti accanto alle slot machine ci sono due ragazzi marocchini. Loro sono adulti. Hanno l’età per lavorare. Invece alle 11 di mattina siedono al bar e giocano alle slot cercando la fortuna. Ma non ci credono più tanto. A un certo punto diventa un modo per far passare il tempo. Il lavoro resta sullo sfondo, sempre più lontano. L’hanno cercato. «Ma non c’è. Non c’è altro da dire». In uno spazio a parte, al Bar2000, ci sono anche quelli che se ne stanno lontani dalle slot. Loro il lavoro lo hanno avuto e adesso la pensione se la tengono stretta, Poi la sinistra è cambiata. La classe openon gli va di perderla dentro quei piccoraia chi se la ricorda? In tanti sono dili contenitori di sogni perdenti. Sono gli ventati leghisti, anche gli ex operai. L’ulanziani di Quarto Oggiaro: per tanti antimo consiglio di zona, prima dell’attuani in fabbrica, all’Alfa Romeo. Le case di le, era in quota alla destra. Oggi sono 32 via Lessona le ha costruite l’azienda per mila i residenti a Quarto Oggiaro, perii terroni che arrivavano soprattutto dalferia nordovest di Milano. Negli anni la Puglia, ma non solo. Adesso si sentoSettanta erano il doppio. Chi nasce qui no lombardi doc, ma se li senti parlare riconosci subito gli accenti calabrese, pugliese, siciliano.... Giocano a carte tutti insieme al Bar2000, se chiedi come si vive a Quarto Oggiaro ti dicono: «Qui c’è tutto. Manca solo il lavoro per i figli».

I morti ammazzati Anche i pensionati, come i giovani marocchini, giocano a briscola e scopa per ingannare il tempo. Ma loro, almeno, hanno avuto una vita che si può raccontare con fierezza. Lavoro, figli, famiglia, fatica, pensione. Adesso giocano a carte e parlano di politica. Fanno parte di una generazione e di una classe, quella operaia, che aveva giurato fedeltà agli ideali di giustizia sociale, la sezione del Pci era un aggregatore sociale formidabile a Quarto Oggiaro.


scarpmilano solitamente ci muore, difficile che se ne vada. Lo dicono tutti. Ma a proposito di morti, i recenti omicidi inquietano gli animi di chi vive nel quartiere, perché tutti temono regolamenti di conti, dopo che il 27 ottobre sono stati freddati Emanuele Tatone e il suo autista, Paolo Simone. Due giorni dopo è stato ucciso il boss Pasquale Tatone, fratello di Emanuele, a colpi di arma da fuoco nella sua auto, nel cuore di Quarto Oggiaro: è noto che la famiglia Tatone, di origini casertane, da anni gestisce il traffico di droga. Con i Tatone arrivò a Quarto Oggiaro il cancro dell’eroina. Con il tempo la droga ha avuto nomi diversi, ma il cancro è rimasto. È un male incurabile, che sfigura le vite e si alimenta della fragilità delle persone. Emanuele era il Tatone che della droga era anche vittima. Diversamente da Pasquale, il fratello. Dopo la loro eliminazione, tutti i media si sono chiesti se Quarto Oggiaro sarebbe ripiombato nel buio degli anni peggiori, quando si è guadagnato la nomea di peggiore periferia di Milano. Pericolosa e degradata. Come se la droga e la mafia a Milano siano una novità. Come se lo spaccio non fosse una realtà che va anche nelle scuole del centro, oltre che nelle case popolari di Quarto.

Anticorpi sociali In realtà, i morti di ottobre pesano so-

Consiglio di zona

«La mafia c’è. Ma i mali derivano dalla gestione delle case popolari» Un quartiere difficile, Quarto Oggiaro. Non lo si scopre oggi. Fin dagli anni Settanta, da quando la criminalità organizzata ha messo le mani su questa periferia di Milano, nel quartiere si è respirata aria pesante. Oggi però le cose sono molto diverse rispetto a quegli anni. Simone Zambelli, presidente del Consiglio di zona 8 Quarto Oggiaro, racconta una realtà fatta di associazioni radicate sul territorio, di sportelli di ascolto nelle scuole per gli studenti, di lavori per aprire un nuovo centro diagnostico, di sudore e fatica spesi con il sorriso dagli anziani e dai giovani che lavorano insieme negli orti urbani in via Pascarella, realizzati sul modello di New York. Il quartiere però è tornato a far parlare di sé dopo i tre omicidi avvenuti a ottobre nell’arco di 72 ore. Regolamenti di conti, di una criminalità che da anni non versava sangue fra i palazzi di via Lessona. «Io non sono di quelli che dicono che la mafia a Milano non esiste. C’è, eccome – afferma Zambelli –. Lo dimostrano, caso recente, i lavori di costruzione di un edificio di edilizia popolare bloccati in via Cogne, perché la società costruttrice era in odore di mafia». Ma c’è un altro scandalo a Quarto Oggiaro, quotidiano, lento: è penetrato nel tessuto sociale del quartiere e lo ha infettato: «È la cattiva gestione delle case popolari da parte dell’Aler – afferma il presidente di zona –. Una gestione che dal mio punto di vista ha rilievi giudiziari, lo dico forte e chiaro. Occupazioni abusive in mano alla criminalità, scarsa manutenzione, assegnazioni di alloggi che avvengono su un binario parallelo a quello ufficiale, un binario di illegalità. Milano ha un patrimonio di edilizia residenziale pubblica gestito malissimo e da cui derivano gran parte dei problemi di degrado dei quartieri di periferia. A Quarto Oggiaro la situazione va avanti da talmente tanto tempo che certi meccanismi si sono incancreniti». Negli ultimi 15-20 anni l’immigrazione ha acuito i conflitti. Ma oggi, con le seconde generazioni, la popolazione straniera ha messo radici profonde e l’integrazione è dietro l’angolo. Nel quartiere riesiedono 7 mila persone (su 32 mila) di origini non italiane, quasi un cittadino su quattro. Zambelli è consapevole delle difficoltà che ancora esistono, anche perché la povertà e la mancanza di lavoro rendono più complesse le dinamiche di convivenza, ma di una cosa è certo: «Le nuove generazioni vanno a scuola insieme, passano i pomeriggi negli stessi luoghi, frequentano gli stessi corsi di break dance e hanno la stessa passione per la street art. Sono amici e per loro non conta altro. Oggi sono di più le cose che li legano che quelle che li dividono, e sarà sempre più così. Per questo sono convinto che ci saranno sorprese positive nel futuro, sul fronte dell’integrazione. La cittadinanza attiva che lavora sull’argomento non manca. Ci sono associazioni straordinarie nel territorio, parrocchie, comitati di inquilini: speranze concrete per Quarto Oggiaro». Leonardo Pedroni prattutto sulla parte sana di Quarto Oggiaro: in questi venti anni ci sono state persone che hanno attivato anticorpi fenomenali, laddove non c’era niente (nemmeno le istituzioni, anzi, soprattutto le istituzioni). Tra costoro c’è Pino Lopez, presidente dell’associazione Quarto Oggiaro Vivibile e coordinatore delle oltre 35 associazioni che nel quartiere sviluppano diverse attività. Con fatica, con poco denaro.

«Oggi siamo 650 famiglie iscritte all’associazione – attacca Lopez –. Lungo via Lessona c’era un vasto terreno, circa 25 mila metri quadrati, abbandonato al degrado. Si erano accampati i rom senza servizi igienici. Era il 1981. Ci mobilitammo in trecento. Niente azioni dure, volevamo riqualificare l’area per trasformarla in un giardino e restituirla agli abitanti del quartiere. I nomadi si trasferirono in un luogo attrezzato e noi codicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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Quarto Oggiaro che resiste al crimine minciammo il lavoro. Ogni cosa, in questa che è diventata la nostra sede, è stata realizzata a spese nostre: circa 80 milioni. Ci siamo autotassati e abbiamo partecipato ai bandi delle fondazioni. Palazzo Marino non dà una lira, anzi si fa pagare l’affitto. Adesso abbiamo chiesto al sindaco se almeno sui riscaldamenti ci può venire incontro, ma non sarà facile. Non hanno più un soldo». Oggi il giardino è un bel luogo verde di fronte alle case degli ex operai Alfa. Ci sono 300 alberi, sono stati costruiti due campi di calcio, uno di basket e uno di pallavolo, è stato aperto un bar, tutta gestione volontaria. Un giardino per le feste di quartiere, che coinvolge tutte le realtà del territorio: parrocchie, centri sociali, centri anziani, scuole. E i 18 ragazzi disabili, ospiti del Centro socioeducativo di via Aldini, partecipano alla cura e alla manutenzione del verde. «Nonostante i problemi che abbiamo – commenta Pino – abbiamo accolto bene anche il nuovo dormitorio. È in via Mambretti, dove prima c’era una scuola. I leghisti hanno gridato allo scandalo, ma noi siamo stati felici di

condividere il quartiere con chi non ha più niente. La nostra identità è sempre stata l’accoglienza». Il dormitorio è nato due anni fa e viene gestito dalla cooperativa Arca. È il secondo di Milano dopo quello di Ortles: 170 posti, tutto gratuito, dai pasti alla notte alle docce. Ma ci sono regole da rispettare: due assenze ingiustificate e si perde il posto. Idem se urli e scateni risse. Al primo piano le donne i bambini, al secondo gli uomini. A ottobre sono arrivati anche 150 profughi siriani e il comune ha pensato bene di far ospitare anche loro a Quarto Oggiaro, in via Aldini. Tra loro, tanti ra-

gazzini, che passano le mattinate a giocare a calcio nel giardino dell’associazione di Pino Lopez. «Sono bravi ragazzi, sono arrivati sui barconi con madri, fratelli e sorelle. I padri li hanno lasciati laggiù, tanti non ce l’hanno più, un padre. Ma non vogliono rimanere. Il loro sogno è andarsene, in Germania o in Svezia, l’Italia è solo una porta, un passaggio». Ormai le nostre periferie stanno strette anche ai profughi e agli emigranti. «Oltre alla Vivibile – obietta Lopez – ci sono una quarantina di associazioni a Quarto, un tessuto sociale ricco, e poi tre storiche società di calcio, 11 impianti sportivi, 27 discipline praticate...».

Continuate così. Da soli. Ma Quarto Oggiaro non è il paradiso. Nessun cinema e nessun teatro. Ancora oggi metà dei ragazzi chiusi al Beccaria vengono dal quartiere. L’avamposto di frontiera, l’Agorà di piazza Capuana – associazione che gestisce lo spazio “Studio con te”, dove si insegna a studiare e a vivere, combattendo l’altissima disper-

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scarpmilano sione scolastica –, forse sarà costretto a chiudere per mancanza di fondi. Tutto è lasciato al volontariato di molti, ma il fisico bestiale dei volontari si perde se non c’è formazione. E per quella occorrono le istituzioni. Il sindaco è passato di qua dopo gli omicidi ma il ritornello che le associazioni si sono sentite ripetere è vecchio: bravi, continuate così, vi siamo vicini. Ma niente soldi. Niente investimenti, niente futuro. «Così i giovani possono solo cercare il lavoro – ammette Lopez –. Sono energie magnifiche. Ci sono quelli che fanno lavoretti e stage non pagati dopo l’università, c’è l'educatore sottopagato la mattina che fa il volontario il pomeriggio, c’è chi ha 30 anni e non può sposarsi perché vive in casa dei genitori. Poi ci sono i più piccoli, più disperati: hanno abbandonato la scuola e il lavoro nemmeno lo cercano. Vengono al parco e stanno sulle panchine tutto il giorno, la notte sfasciano i lampioni. Perché non sanno come far passare il tempo. Di giorno spacciano o tirano, la notte si danno al vandalismo». E poi ci sono quelli come Pulce, qualche anno fa fece scalpore: era un ragazzino delle case Aler, incontenibile, 13 anni e una carriera da bullo. «Picchiava anche le persone in questura. La madre, agli assistenti sociali, diceva: “Ma che volete da mio figlio? È un piccolo Vallanzasca!”. Ne era fiera. Quando nasci in un ambiente così, non è facile cambiare».

Luogo di socialità L’ingresso della sede dell’associazione Il Baluardo a Villa Schleiber la casa delle associazioni di Quarto Oggiaro

La Pentecoste in prima fila Altro presidio di frontiera è la parrocchia di Pentecoste, in via Graf. Don Ambrogio Basilico non crede che a Quarto Oggiaro sia diverso dalle altre periferie di Milano, i problemi sono gli stessi e lui li affronta come può. Con l’accoglienza e con la collaborazione alle associazioni di quartiere, ma anche ricordando che «la solidarietà delle famiglie che abitano da sempre nel quartiere è ancora grande». Ma sono i giovani che lo preoccupano, quelli che «in inverno andranno, in mas-

Sul Baluardo poggia la “periferia sociale” Aaron Paradiso, 30 anni, ha fondato il Baluardo nel 2003 con cinque soci. Adesso è rimasto solo lui. Il Baluardo nasce e cresce nel quartiere per i ragazzi: per quelli che vivono sulle panchine e per i tanti Pulce. Tante attività aggreganti, fra queste la street art è quella che gratifica maggiormente i ragazzi e le ragazze che frequentano l’associazione. Il Baluardo – all’interno del parco di Villa Scheibler (la casa delle associazioni di Quarto Oggiaro), in via Lessona 43 – offre concerti, spettacoli, cene etniche, cineforum, iniziative culturali, mostre. Per togliere i ragazzi dalla strada? Niente affatto, Aaron sulla strada ci è cresciuto: «La strada ti dà gli anticorpi per conoscere il buono, il brutto e il cattivo, per regolarti con i bulli. La maggior parte dei nostri soci volontari proviene dai cortili e dalle strade del quartiere. Conosciamo bene la realtà di Quarto Oggiaro, questo ci dà la possibilità di scavare nel vuoto della periferia, cercando di dare la possibilità a tutti di non restare indietro, di non precipitare nell’apatia. Lavoriamo con Fondazione Cariplo e altre realtà simili. L’obiettivo è creare una “periferia sociale”, fatta di incontri e scambi tra culture ed etnie, valorizzando dialetti, conoscenze e folklore per non dimenticare mai chi siamo». Il loro motto è: “Pensa globale e agisci locale”. Contatti: Info@spaziobaluardo.it

sa, a ciondolare nel centro commerciale Metropoli, perché non sanno che fare». Anche loro. Ma da dove nasce il degrado di Quarto Oggiaro? «Andate a vedere le case Aler – sorride amaro Pino Lopez –, guardate l’abbandono, il disagio dei ragazzini, gli edifici diroccati, la manutenzione assente, gli alloggi sovraffollati... Via Lopez, via Trilussa e via Pascarella, per esempio. Guardate quei territori abbandonati, lasciati a chi gestisce il racket delle assegnazioni abusive. Guardate l’incuria di chi avrebbe dovuto garantire servizi e dignità di un luogo abitato da esseri umani. Guardate le scuole che cadono a pezzi in tutto il quartiere: sono i genitori a verniciarle e a dare i soldi per tamponare, come possono. È nell'abbandono e nell’incuria istituzionale che mette radici la legge del più forte».

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Oltre 900 in fuga dalla Siria transitati per Milano e aiutati dal comune. Puntano verso nord. Ma dai governi niente risposte

La politica dello struzzo lascia i profughi sospesi di Francesco Chiavarini tante – costretti a trovare un tetto a faI siriani a Milano, a quasi due mesi dal loro arrivo alla Stazione Centrale, miglie in strada e un governo centrale restano un’emergenza senza sbocchi. A metà ottobre, il comune è riuscito a eviche offre aiuti economici per approntare che 200 uomini, donne e lattanti passassero le notti sui gradoni di marmo deltare piani di emergenza, ma fa finta che lo scalo ferroviario, grazie alla collaborazione delle associazioni di volontariato, quelle persone non esistono, nella spedegli enti non profit e alle risorse pubbliche stanziate da Roma. Per tutto l’autunranza che, ignorandole, si tolgano di no, l’amministrazione comunale ha dato ospitalità ad altre decine di profughi che, mezzo e vadano a cercare aiuto altrodopo il primo arrivo in massa, hanno raggiunto il capoluogo lombardo. Ma la buove. Una strategia dello struzzo, che mina volontà della giunta e la generosità dei milanesi non hanno risolto il problema. na la credibilità delle istituzioni e indeGli appelli del sindaco Giuliano Pisapia al governo, affinché fossero riconobolisce ancora di più la capacità del sciuti i permessi di soggiorno temporanei ai cittadini siriani, sono caduti nel vuopaese di richiamare gli alto. I documenti che avrebbero consentri stati europei alle protito ai profughi di proseguire legalmenprie responsabilità. te il loro viaggio in Europa e chiedere asilo politico e protezione ai paesi del nord non sono mai stati autorizzati dalTaxi business la prefetture. Almeno per ora, di corriE così, mentre la politica doi umanitari non si è vista traccia: tra latitava, i profughi siriani i membri della Ue non si è trovata l’insono continuati ad arritesa per rivedere la Convezione firmavare a Milano. Secondo i ta nel 1990 a Dublino, che disciplina dati ufficiali, sono transil’accoglienza dei profughi nei paesi deltate 900 persone nei cenAccampati in Centrale l’Unione e stabilisce la regola secondo tri di accoglienza (250 I profughi siriani nei giorni di permanenza alla stazione la quale il richiedente asilo va accolto posti in totale) aperti il 19 nel primo stato di approdo. ottobre dal comune, gragio nel Mediterraneo, a inizio ottobre, zie a una convenzione con la prefettura. Nelle ultime settimane il turnover sembrava essere sul punto di determiUna sconfitta per l’Italia nare un svolta nelle politiche europee. continua a essere molto rapido, anche La partita si è giocata lontano da Mila«In tema di richiesta di asilo e di se l’affluenza si è ridotta. La gente arrino e su ben altra scala. E si è conclusa, possibilità per i cittadini in fuga dalle va, spostandosi dai centri di accoglienalmeno per il momento, con una sconguerre nei propri paesi di spostarsi su za del sud Italia, rimane qualche giorno fitta per l’Italia. Ha pesato, da un lato, la tutto il territorio europeo, siamo ancodebolezza politica dei paesi del Medie se ne va. Magari accettando i passagra lontani dall’avere una risposta risoterraneo: screditati da anni di politiche gi oltre confine offerti a caro prezzo da lutrice, che permetta a queste persone, tassisti improvvisati. Costerebbe 700 di accoglienza inconsistenti, non sono molte delle quali ospitate nei centri di euro un passaggio per Monaco, 850 riusciti a imporre alla Ue di rivedere inMilano, di proseguire il viaggio verso gli uno per Berlino, secondo il tariffario tese che li penalizzano, dal momento stati del nord Europa – ammette l’asche, per la loro posizione geografica, definito già nelle prime settimane dalsessore alla politiche sociali, Pierfransono i più esposti ai flussi migratori. l’emergenza da gente senza scrupoli, cesco Majorino –. Dopo i giorni della che ha fiutato il business, facendo leva D’altro canto, con l’avvicinarsi dell’incommozione pubblica a Lampedusa, sulla disperazione dei nuovi arrivati. verno, passata la stagione degli sbarchi mi aspettavo molto di più». a causa delle condizioni del mare, è veD’altra parte chi ha già messo a repenIn effetti il risultato è stato un panuta meno anche la pressione dell’opitaglio la propria vita, affrontando un sticcio tutto italiano. Con gli enti locali viaggio in mare pericoloso, non si fernione pubblica che pure, sconvolta – e Milano è solo l’esempio più ecladall’ultimo e forse più tragico nauframa certo davanti al rischio di essere in-

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scarpmilano tercettato da zelanti guardie di frontiera a Chiasso o a Ponte Tresa. E anche i soldi, a ben vedere, non sono un problema, se si è deciso di vendere tutto e non si hanno alternative.

La decisione di Safwan È il caso di Safwan, 38 anni, che in Siria aveva un negozio di frutta e verdura, una casa, una normale vita da commerciante, fino a quando ad Hama, la sua città, la conta quotidiana dei morti è divenuta insopportabile. «Quando ti trovi in queste condizioni, pensi che è meglio rischiare una volta, che tentare la fortuna tutti i giorni». Così il 10 ottobre Safwan e la famiglia sono su una nave che inizia una strana crociera lungo la costa nordafricana, facendo scalo nei porti tra Libia e Tunisia. Ad ogni attracco, imbarca altri disperati. Alla fine saranno in 300. «Eravamo tanti che non c’era spazio nemmeno per sedersi a terra», racconta l’uomo. Gli uni addossati agli altri, con bambini che strillano e vomitano, dopo tre giorni e tre notti di navigazione sono intercettati a largo di Lampedusa da

una motovedetta della guardia costiera italiana, che li conduce in porto. Scafista ed equipaggio si dileguano tra la folla che scende sul molo. Le famiglie di profughi restano per qualche giorno nel centro di accoglienza dell’isola, poi vengono imbarcate su un aereo e portate al Cara di Gradisca d’Isonzo. Da qui, ognuno prosegue per proprio conto. Safwan, con la famiglia, raggiunge Milano. Dove però non si vuole fermare. Cerca lavoro, casa, scuola per i suoi figli. «But in Italy is difficult», sostiene. È pronto a cogliere la prima occasione

buona per andarsene, anche se sa che potrebbe non raggiungere mai la Svezia, dove il fratello, partito prima di lui, ha già fatto richiesta d’asilo. Il comune di Milano, non potendo aiutare lui e altre decine di ospiti “loro malgrado” a proseguire il viaggio, ora è costretto anche a riorganizzare i suoi centri di accoglienza. Quello di via Novara (90 posti), gestito dalla cooperativa Farsi Prossimo, dal 16 novembre ospita alcune famiglie rom. I siriani che ci vivevano sono stati trasferirti nel centro di via Aldini (140 posti). Ma in previsione delle prime notti di gelo invernale, il comune è costretto a cercare nuovi spazi per i senzatetto. Per questa ragione, qualche settimana fa sono partiti i lavori di ristrutturazione dell’ex scuola elementare di via Fratelli Zoia. Nelle aule troveranno posto le famiglie dei profughi siriani. In attesa che un’emergenza più urgente scalzi la vecchia...

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in cartellone

DICEMBRE 2013 - GENNAIO 2014 sabato 7 e 21 dicembre ore 20.30 domenica 22 dicembre ore 16.00 martedì 31 dicembre h 18 e h 22 mercoledì 1 gennaio h 17 lunedì 6 gennaio h 16

Lo Schiaccianoci

balletto in due atti di Petr Ilic Caijkovskij da un'idea di Carlo Pesta liberamente ispirata al racconto di E.T.A. Hoffmann solisti e corpo di ballo del Balletto di Milano

domenica 15 dicembre h 17

Carmina Burana

IL NUOVO PALCOSCENICO DELLA DANZA Via Fezzan 11 20146 Milano Biglietteria aperta da mercoledì a sabato Orari: dalle 13 alle 18 Informazioni: tel 02 42297313 Contatti: biglietteria@teatrodimilano.it ci siamo anche noi, vieni a trovarci!

musica di Carl Orff direzione musicale: Gianmario Cavallaro

domenica 19 gennaio h 16

Gran Gala del Balletto Imperiale

I grandi virtuosismi dei più celebri e spettacolari pas de deux con le star del Balletto Rumeno novembre 2013 scarp de’ tenis

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Con l’associazione Jonas, psicoterapia a prezzi accessibili

La salute mentale? Un diritto, non un lusso di Stefania Culurgioni

Laura è tornata bambina e i suoi genitori non sanno più cosa fare. Stava andando tutto bene, era andata a vivere da sola, frequentava l’università, aveva un fidanzato, amici, energia da vendere. Poi qualcosa si è rotto. Forse la fine della sua storia d’amore, o l’inquietudine del futuro: fatto sta che una crepa si è aperta da qualche parte, dentro di lei; hanno cominciato a venirle attacchi d’ansia sempre più forti, Laura ha smesso di uscire, non studia più, non sorride. È tornata dai suoi genitori, sta quasi sempre chiusa nella sua stanza. È tornata bambina. Laura è un nome di fantasia. Ma la sua è una storia reale, simile a quelle che tanti psicologi si trovano davanti, quando genitori disperati vanno a bussare alla loro porta. Disperati anche perché, magari, non hanno molti risparmi, e andare dallo psicologo privato costa assai. Però c’è un’associazione, che offre colloqui a Fragili per costituzione un prezzo accessibile. Il suo nome è Jo«Gli esseri umani sono fragili per costinas onlus, esiste da dieci anni e offre tatuzione – spiega la dottoressa Alessia riffe a prezzo contenuto. In effetti, sono Benso –, ciascuno di noi può trovarsi di tantissime le persone che inciampano fronte a una particolare congiuntura in un momento di difficoltà interiore, che rompe gli equilibri interiori. Una ma non tutte si possono permettere i delusione d’amore, un licenziamento, costi elevati di una psicoterapia in uno un passaggio delicato della vita (anche studio, e quanto al servizio pubblico, è semplicemente dal liquasi sempre intasato da casi più gravi. ceo all’università, o E allora cosa fare? In Italia stanno dall’università al lanascendo associazioni che, come Jonas, voro). Cose, insompraticano tariffe agevolate, perché la sama, che accadono a lute mentale non deve essere un privitutti e che fanno legio di pochi, ma un diritto di tutti. Se emergere una fragiJonas “copre” la piazza milanese, a Rolità del soggetto, che ma opera Inverso, i cui psicologi vanno lui non si aspettava di addirittura a domicilio, da chi non ha la avere. Accade così forza di affrontare la vita fuori. che inizia a manifeSecondo una stima Istat di qualche starsi un particolare anno fa, in Italia i pazienti affetti da disintomo (ansia, panisturbi psichici, dimessi dopo un ricoveco), che impedisce alro dovuto ai loro disturbi, sono 223.852; la persona di contidi questi, 173.613 sono stati presi in cunuare la sua vita cora in ospedali o istituti pubblici, il resto me prima. La psicoin case di cura accreditate (quindi a reterapia interviene a gime convenzionato) o private. Esiste questo punto: attraperò anche un enorme numero di perverso la forza, la lensone non censite, che frequentano stutezza, la dignità della di privati, e un altro buon numero che parola, attraverso il ne avrebbe l’esigenza ma non lo fanno, racconto di sé, lavora proprio perché i costi sono elevati. su quella parte fragi-

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le, su quella ferita. Finché l’equilibrio non viene ristabilito». Il problema sono però i costi. Se affacciarsi a un centro di salute mentale non è semplice, perché spesso le liste d’attesa sono molto lunghe e i casi a cui si dà la priorità sono i più gravi, anche rivolgersi a un privato è difficoltoso: le tariffe in studio possono variare dalle 60 alle 100 euro a seduta, per una cadenza di una volta alla settimana, per diversi anni. Questo è il motivo per cui molte persone lasciano cadere l’idea, il che è anche un ottimo alibi per evitare di mettersi al lavoro su sé stessi, cosa particolarmente faticosa. Ma trascurare certi sintomi non fa mai bene. Anche perché, a meno che non si sia fortunati e non scompaiano da soli semplice-


scarpmilano mente vivendo, spesso questi disagi peggiorano, e rendono la vita quotidiana una montagna da scalare, modificando in peggio il percorso di vita. «Jonas è stata fondata dieci anni fa con l’idea di rendere accessibile il discorso psicanalitico a tutti – continua Alessia Benso –. La terapia psicologica è uno strumento che può aiutare le persone a stare meglio con se stesse, non deve essere elitaria. Le persone, le famiglie, le coppie che si rivolgono a Jonas non necessariamente pagano una tariffa bassa. Noi la discutiamo insieme; non chiediamo certamente l’Isee o altri documenti, ci fidiamo della parola, e stabiliamo tariffe che possono scendere a 25 euro, sempre con la possibilità di ricontrattarle al ribasso, perché nella vita possono accadere tante cose che mettono in difficoltà i pazienti».

Non esistono risposte semplici In generale, sono soprattutto i giovani a rivolgersi all’associazione, ma nell’ultimo anno c’è stato un incremento di adulti, segnati dalla perdita del lavoro. «Da un lato ci sono i ragazzi – chiarisce la dottoressa Benso –, sollecitati su tanti fronti, dalla televisione, dalla comunicazione: a differenza delle generazioni precedenti, non si accontentano più di risposte preconfezionate. Cercano risposte complesse, perché si fanno do-

Roma

Inverso, psicologi a domicilio: «Prevenzione, entrando nelle case» Che la salute psichica non sia un lusso, bensì – proprio come quella fisica – un bisogno primario e un diritto fondamentale che va garantito a tutti, lo pensano anche gli psicologi che nel 2010 hanno creato a Roma l’associazione di promozione sociale Inverso. Abbattere le barriere che impediscono a molte persone di fare terapia è stato il motore che ha spinto il gruppo di giovani professionisti ad agire, intendendo per “barriere” sia il costo delle sedute, sia il luogo chiuso dello studio. Inverso infatti non solo pratica costi sociali, ma va anche direttamente a casa delle persone che non possono uscire. Fa psicoterapia low cost, e anche a chilometro zero, andando incontro in tutto ai bisogni di chi ha pochi mezzi economici o fisici per spostarsi. «L'idea è nata perché eravamo tutti giovani colleghi che, come prima esperienza, lavoravamo in un centro di salute mentale a Roma, nel quartiere Pineta Sacchetti Boccea – spiega la presidente Laura Dominijanni –. Lì abbiamo potuto toccare con mano lo scarto che esiste tra domanda e offerta, ovvero il fatto che la domanda delle persone era alta, ma i servizi pubblici non ce la facevano a esaudirla. Abbiamo capito che bisognava fare qualcosa, perché tutti coloro che restavano fuori dal centro di salute mentale avevano bisogno di sostegno, ma non necessariamente potevano permettersi di andare da uno psicologo privato». In generale, un centro di salute mentale pubblico può essere gratuito, oppure richiedere il pagamento di un ticket, ma comunque si concentra sui casi di una certa gravità. Un privato invece può costare dai 60 ai 100 euro. «Noi proponiamo un costo accessibile – afferma la presidente di Inverso –. Il primo colloquio di orientamento è gratuito e cerchiamo di capire quali sono le esigenze economiche della persona. Se ci sono difficoltà su questo versante, magari facciamo un percorso breve o abbassiamo la tariffa, arrivando fino ai 35 euro. Ma non è una tariffa fissa, cerchiamo di trovare una soluzione con la persona». Attualmente Inverso può contare su tre professionisti, ciascuno dei quali ha in carico undici pazienti, tre dei quali seguiti a casa. «A domicilio andiamo quando una persona soffre di gravi disturbi ansiosi, che le impediscono di uscire, oppure seguiamo le mamme con la depressione post partum, o ancora chi è fisicamente impossibilitato a uscire. Seguire le situazioni di fragilità in modo precoce, anche a casa, rappresenta veramente una prevenzione, ed è questo il senso del nome dell’associazione: Inverso ha l’ambizione di spostare la psicologia dagli studi (“in”) per entrare nelle case della gente (“verso”). Invertiamo il nostro senso di marcia, per permettere che, in un secondo momento, siano le persone che seguiamo a invertire il proprio».

mande complesse, e spesso le famiglie, la scuola, la società in generale fanno fatica ad ascoltarli e a fornire percorsi di valori. Dall’altro ci sono gli adulti che si ritrovano senza un ruolo, senza lavoro, totalmente disorientati. Siamo nel 2013, ma c’è ancora una grande difficoltà nel dire a sé stessi che qualcosa non va. La tv è piena di talk show, ma tutti quei

programmi sono fatti di parole vuote, e trattano la sofferenza con leggerezza e superficialità. Io invece dico che nel momento in cui si percepisce una crepa in se stessi, è necessario parlarne. La parola ha una dignità e un valore, nomina il proprio malessere. E con pazienza permette di rintracciare il filo della propria esistenza».

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l’altra Milano Arriva dal Giappone. È una “kawaii”: pennelli e colori sui muri della città

Tomoko ridisegna grandi marchi, arte solidale da un’ossessione di Tony Meraviglia

C

ON LA CULTURA NON SI MANGIA? Chiedetelo a Tomoko Nagao, artista giapponese che,

dopo essersi specializzata in Inghilterra e aver girato mezzo mondo, ha deciso di fermarsi a Milano. Tomoko non è la classica pittrice e nemmeno una writer. Lei è una kawaii, cioè rende curiose e simpatiche le grandi opere e i grandi marchi. «Sin da piccola, in Giappone – racconta – sono stata circondata dalla pubblicità dei grandi marchi commerciali, ad esempio Marlboro, Coca Cola, McDonald, Nutella e via dicendo. Ha vissuto questi spot come un’ossessione e con il passare degli anni ho trasformato queste visioni in arte. Non riuscirei a stare in un posto senza vedere questi spot. Nonostante abbiano accompagnato la mia infanzia non li ho mai condivisi, ma allo stesso tempo mi danno un senso di stabilità». A Milano, Tomoko ha un suo laboratorio, dove crea e propone a enti e associazioni le sue “opere”, come elementi di decoro urbano. In occasione di un evento in via Crespi, zona Pasteur-Rovereto, ha messo a disposizione i suoi colori per ravvivare il quartiere; dopo aver proposto le sue idee al negoziante interessato all’affresco, ha cambiato aspetto ad alcune saracinesche della via. Tomoko non utilizza le classiche bombolette, ma pennello e colori. E non la si incontra con tele e cavalletti, ma con scala, tuta da imbianchino e secchi di pittura. Molti abitanti della zona hanno apprezzato l’opera di via Crespi, che resterà visibile nel quartiere, e molti curiosi si fermano a fotografare. Tomoko è attiva anche sul fronte della solidarietà. «L’esplosione della centrale nucleare di Fukushima del marzo 2011, causata dal tragico terremoto che devastò fisicamente e psicologicamente l’intero Giappone, nonostante continui a danneggiare i miei connazionali resta un tabù nel mio paese», racconta. Tomoko ha allora creato una linea di borse di tela per raccogliere fondi da destinare a un’associazione di mamme di bambini contaminati a Fukushima. Nonostante i buoni propositi, la sua iniziativa è stata boicottata dai media giapponesi. «Dopo quello che era successo alla centrale nucleare – racconta Tomoko – pensavo che sensibilizzare l’opinione pubblica fosse una priorità. Invece la necessità era nascondere tutto e parlare del pericolo della centrale esplosa il meno possibile, come se fosse una vergogna. Alla fine il mio paese ha boicottato il progetto, ne ha parlato un solo giornale di sinistra, scrivendo il minimo indispensabile ma senza usare parole forti contro la centrale esplosa. Il governo nipponico continua a trattare questo caso con sufficienza e superficialità, infischiandosene dei problemi che ha creato». INFO www.tomokonagao.info

Tomoko ha lanciato una linea di borse per raccogliere fondi per le vittime di Fukushima. Ma in patria parlarne è tabù

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Interventi per i senza dimora: si inizia ad agire oltre l’emergenza

Un Piano contro il freddo, un Tavolo per il futuro di Ettore Sutti

Il freddo a Milano continua a non essere più un’emergenza. La notizia potrebbe sembrare banale – come rendersi conto che a Milano il freddo arriva puntuale ogni anno, e che quindi occorre rendere organico un servizio che aiuta le persone costrette a dormire per strada –, ma cela una cambio di rotta effettivo, però recente e tutto da consolidare. Da qualche anno il comune di Milano, in collaborazione con il privato sociale, cerca di offrire soluzioni adeguate a un problema complesso. Mentre pensa a potenziare la capacità dell’accoglienza invernale, ha convocato, negli ultimi mesi, un Tavolo sulla grave emarginazione adulta, cui siedono soggetti che lavorano nel settore. L’obiettivo generale è portare il contributo della città di Milano alla definizione delle linee di indirizzo nazionali (per la prima volta in via di stesura) in materia di contrasto alla grave emarginazione adulta. La base è un documento, tessuto da Fio.psd (Federazione italiana delle organizzazioni per persone senza dimora) su incarico del ministero del lavoro e delle politiche sociali: su di esso lavorerà una cabina di regia (di cui fa parte, appunto, anche Milano, assieme alle altre città metropolitane, ai ministeri delle politiche sociali, della salute, delle infrastrutture e degli interni, alla conferenza delle regioni e all’Anci), per arrivare a definire una politica nazionale uniforme e condivisa. Il lavoro del Tavolo grave emarginaPierfrancesco Majorino, e alla sicurezzione, però, non si limita a questo. L’iza, Marco Granelli: ronde sociali sui dea è consolidare questo luogo di conmezzi pubblici e nei luoghi frequentati fronto anche per calibrare meglio gli indai senza dimora la sera, non per multerventi che si conducono a Milano, detare o schedare, ma per “intercettare” finendoli e concordandoli anche al di là molte più persone (si pensa a unità, del Piano freddo. composte da almeno tre persone, operative fra le 20 e le 24, che gireranno anche per il centro storico); un tesserino Ronde per intercettare con foto per tutti i senzatetto, per acceIl piano freddo 2013-2014 approntato dere ai servizi assistenziali; 2.700 posti dal comune di Milano e attivato lo scorletto a disposizione una volta a regime, so 15 novembre, sarà operante fino alla ben 200 in più dello scorso anno e più fine di aprile, anche se alcune delle del doppio dell’inverno 2010-2011. Il strutture coinvolte rimarrano comuntutto, per uno stanziamento complessique a disposizione anche oltre il termivo di 1,1 milioni di euro. ne del piano. Tante le novità presentate «I servizi saranno garantiti per tutti – dagli assessori alle politiche sociali,

ha spiegato l’assessore Majorino – : già lo scorso anno i nostri interventi hanno riguardato oltre 3 mila persone, molte provenienti da altre località della provincia di Milano e della Lombardia». Dei 2.700 posti, 1.300 saranno ricavati dall’apertura straordinaria di strutture comunali che abitualmente hanno una diversa destinazione d’uso (centri anziani, ex scuole risistemate, locali confiscati alla mafia, strutture di altri enti pubblici), allestite con l’intervento della Protezione civile e con l’apporto a titolo gratuito del privato sociale. Da sabato 23 novembre il Centro aiuto della stazione centrale (Casc), punto di riferimento e coordinamento dei servizi per gli homeless, è aperto sette giorni su sette fino a mezzanotte: vi operano addetti del comune e delle associazioni e volontari che porteranno assistenza e soccorso, di giorno e di notte, ai senzatetto. L’anno scorso molti milanesi hanno contribuito all’assistenza e spesso al recupero di tante persone che ancora non erano note ai servizi. Per questo il comune rinnova l’invito a segnalare i casi di persone che dormono per strada. «Il piano per i senzatetto – spiega l’assessore alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino – è partito con le prime accoglienze nelle strutture, mentre le unità mobili notturne e diurne sono attive per soccorrere chi resta per strada, consegnando coperte, sacchi a pelo e bevande calde. Chiediamo a tutti i milanesi di aiutarci, segnalando al Casc i casi di persone che dormono per strada».

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Centro aiuto stazione centrale – Casc (attivo tutti i giorni 8.30-23) 02.88447645 - 647 - 649. dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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latitudine como La cooperativa sociale ha aperto un nuovo mercato dell’usato

Dagli scarti nasce inclusione: il riciclo solidale “Si può fare” di Salvatore Couchoud

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I CHIAMA “SI PUÒ FARE”, NOME CHE È TUTTO UN PROGRAMMA. E che, più che

uno slogan, vuole essere uno sguardo ottimistico, proiettato sul futuro. Un monito a non mollare la presa. Una sfida militante al disagio e all’emarginazione. Nata nel 2012 su iniziativa della Caritas diocesana e subito “sponsorizzata” dall’Ozanam, che a Como è un marchio di garanzia nella lotta alla grave marginalità sociale, “Si può fare” è una cooperativa sociale di tipo B, che opera sul fronte del riciclo e riuso, degli sgomberi, delle piccole manutenzioni (imbiancature, pulizie, cucito, ecc.) e dell’accoglienza, e che offre concrete opportunità di reinserimento a soggetti penalizzati dalla congiuntura economica e in stato di evidente svantaggio. In coerenza con questo programma di base – sono già decine gli homeless tolti dalla strada o i disoccupati restituiti, sia pure a fatica, a condizioni dignitose di vita – la coopeLa sfida è produrre valore, a rativa ha ufficialmente inaugurato lo spazio di via Lenticchia 21, un mercato dell’usato sopartire da ciò che la società lidale aperto al pubblico tutti i mercoledì dalscarta: oggetti accantonati le 15 alle 18 e il sabato dalle 9 alle 13 e dalle e persone finite ai margini 15 alle 18. In altri momenti della settimana (martedì 15-18 e venerdì 9-13) il magazzino è invece aperto per ricevere beni usati in stato di decorosa conservazione, da utilizzare per la vendita, promuovendo in tal modo un commercio di prodotti a prezzi calmierati e alimentando un circolo virtuoso che permette alla cooperativa di sostenersi e agli emarginati di reintegrarsi nel mondo del lavoro. L’idea di fondo, e la sfida anche educativa della cooperativa, è quella di produrre valore proprio dove la società compie interventi selettivi e di scarto, scommettendo sia sugli oggetti accantonati dalle persone dopo l’uso, sia sugli emarginati, impropriamente percepiti come “scarti” di quella stessa società. A conti fatti “si può fare” davvero: passa anche da iniziative come questa l’impegno per la costruzione di una società che sia inclusiva non soltanto a parole.

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Tetraedro


torino Lo sportello di un centro sociale sta diventando ancora di salvezza per molte persone che rischiano di finire per strada

Prendo casa, non quella popolare... di Vito Sciacca La signora ottantenne dall’aria dimessa che scende faticosamente le scale è l’ultima persona che mi sarei aspettato di trovare in un centro sociale… Eppure, nella Torino che nel 2012 ha totalizzato quasi 4 mila sfratti e dove 8 mila famiglie hanno presentato domanda d’assegnazione di una casa popolare (solo un decimo sono state evase) accade anche questo. I responsabili dello “sportello casa”, attivo il martedì dalle 19,30 alle 21 all’interno del centro sociale occupato Askatasuna di corso Regina 47, osservano come siano sempre di più le persone estranee all’area antagonista che fanno riferimento a questa struttura per problematiche abitative. Anzi, ormai rappresentano la maggioranza dell’utenza. «Molto spesso si tratta di persone in procinto di perdere la casa, spesso nell’imminenza di uno sfratto – spiega un’attivista dello sportello –; talvolta si tratta di cittadini che cercano molti altri casi lo sfratto è già esecutivo. consulenza legale o amministrativa, in Vi sono poi famiglie o singoli che una casa non c’è l’hanno e che, dati i prezzi di mercato e le lungaggini burocratiche per l’assegnazione di una casa d’edilizia popolare, vedono noi come un’ultima canone medio mensile delle case risorsa». popolari di Torino

Case popolari 98,50 euro 16,03%

percentuale di morosità colpevole (chi ha reddito ma non paga) per l’anno 2013 (era all’11,72% nel 2012)

12,56%

percentuale di morosità non colpevole per l’anno 2013 (era del 10,51% nel 2012)

89

Gli sfratti eseguiti nel 2013 nelle case popolari di Torino (62) e provincia (27) di cui 37 per decadenza, 7 per occupazione senza titolo, 4 per morosità e 14 per occupazione penale

3.747

Gli sfratti eseguiti nel mercato privato a Torino nel 2012

900

gli alloggi di proprietà Atc vuoti (600 a Torino e 300 in provincia) per trasferimenti, decessi o lavori di manutenzione straordinaria

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le occupazioni abusive in atto (5 a Torino e 2 in provincia). Gli sgomberi, in questi casi, avvengono in tempi molto rapidi

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Un aiuto concreto L’attività dello sportello “Prendo casa” prevede tre gradi progressivi (il primo nella piena legalità, gli altri due socialmente motivati, ma border line sul piano della legalità). Si parte infatti dall’analisi della situazione dell’utente per valutare se sia possibile un intervento legale presso la proprietà, al fine di scongiurare lo sfratto, o presentare domanda per assegnazione d’urgenza di alloggi in emergenza abitativa. La seconda fase consiste invece nell’impedire fisicamente l’esecuzione dello sfratto: «In pratica ci rechiamo nell’abitazione della persona, spesso vi passiamo la notte, perché qui a Torino gli sfratti vengono eseguiti spesso di mattina prestissimo, il terzo martedì del mese – raccontano i ragazzi di “Prendo casa –. Quando si presenta l’ufficiale per eseguire l’ingiunzione, cerchiamo di impedire loro l’accesso fisico ai locali». Il picchetto antisfratto non è una

mera azione di forza: gli attivisti lo fanno precedere sempre da un volantinaggio finalizzato a spiegare agli abitanti del quartiere cosa sta accadendo: «In queste azioni ci presentiamo e cerchiamo di coinvolgere la gente del

Coinvolgenti Volantino di Askatasuna: le azioni per la casa intendono mobilitare la cittadinanza


scarptorino Dormitorio

Riapre il centro di via Ghedini, ma l’accoglienza è solo notturna

quartiere, i vicini della persona sfrattata, perché siamo convinti che con la partecipazione della popolazione si può svolgere un’azione più incisiva». Se la resistenza passiva può essere considerata un’azione di difesa, l’occu-

Nel panorama delle strutture torinesi per persone senza dimora, quella di via Ghedini 6, nel quartiere Barriera di Milano, occupava un posto particolare. Dalla metà degli anni Ottanta e fino al 2010 era una struttura destinata ad ospiti over 60, spesso con problematiche sanitarie, e proprio per questo forniva un’ospitalità 24 ore su 24 e anche per lunghi periodi di permanenza. Inoltre, il personale non era composto da educatori ma da operatori provenienti da case di riposo per anziani, in quanto era considerata una struttura di transizione verso le residenze assistenziali. Era rimasto l’ultimo dormitorio a essere gestito da personale dipendente dal comune, sopravvivendo alla generale cessione della gestione a cooperative convenzionate. Poi la politica di contenimento dei costi ha fatto sì che anche quest’ultimo baluardo cadesse. Ora, dopo circa due anni di chiusura, la struttura riapre, ma con caratteristiche diverse: affidata in gestione alla cooperativa Animazione Valdocco, diverrà una casa d’ospitalità notturna con una capienza di 40 posti, di cui 24 riservati a donne. Oltre agli spazi destinati al pernottamento, nei locali ristrutturati sono presenti una mensa (attiva in agosto), per supplire alla chiusura estiva dei refettori cittadini, e uno spazio incontri a disposizione delle associazioni di quartiere. Nell’opera di ristrutturazione sono stati coinvolti studenti della locale facoltà di architettura, con il compito di studiare arredi che coniughino funzionalità e comfort; nella progettazione sono stati coinvolti anche alcuni ospiti. A fronte di tutto ciò, rimane comunque la scomparsa di una forma di differenziazione dell’ospitalità, anche in considerazione del fatto che nei dormitori cittadini è presente una quota rilevante di utenti anziani spesso affetti da patologie invalidanti: interpellati in merito, i sevizi sociali affermano che, pur rammaricandosi per una scelta cui il comune è stato costretto dalla situazione economica, garantiranno comunque una grande attenzione verso i casi di fragilità dovuita a malattie e vecchiaia. Le Asl, secondo i servizi comunali, spesso tendono infatti a delegare casi che sarebbero di competenza dell’istituzione sanitaria. Aghios

pazione di stabili vuoti e la loro destinazione ad abitazioni ha il sapore di una strategia di contrattacco alla crisi degli alloggi: «Quando identifichiamo uno stabile in disuso che si presta a essere occupato e che risponda a certe caratteristiche, prepariamo l’occupazione in segreto; una volta effettuata, prendiamo contatto con i destinatari, senza differenze tra italiani e stranieri, e con il resto del quartiere. Non agiamo mai di nascosto, anzi rivendichiamo le nostre azioni spiegandone i motivi». Ma quali siano i requisiti di cui si parla? «Innanzitutto la possibilità di spazi che si aprono sul quartiere, proprio perché vogliamo che le famiglie occupanti possano interagire con esso:

il nostro obiettivo non è solo fornire un tetto, ma favorire la socialità migliorando la qualità della vita delle persone; poi evitiamo le case isolate e le case Atc (Agenzia territoriale della casa, ndr), perché occupare una casa popolare significherebbe sottrarla agli aventi diritto. Privilegiamo piuttosto edifici comunali, o talvolta privati, che versano in stato d’abbandono da anni», spiegano gli attivisti di “Prendo casa”, ben coscienti che occupare uno stabile altrui è un atto illegale, ma altrettanto del fatto che in città vi sono ben 56 mila edifici vuoti, secondo le loro rilevazioni. «Grazie a quest’iniziativa – concludono – oggi 15 famiglie dispongono, finalmente, di una casa in cui vivere».

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genova I volontari di Adov rendono disponibili in formato audio testi scolastici e narrativa. Utili a persone ipovedenti e dislessiche

Magici libri parlati per bambini speciali di Paola Malaspina

L’ultimo volo L’uccello giocava nel vento, felice di aprire le sue ali. Volteggiava, saliva, scendeva, fiero di quel che faceva. Si mostrava alla natura e ogni sera dal suo nido sbirciava la luna. È bella, lui diceva, fin lì posso volare, ma la notte troppo scura contrastava il suo istinto naturale. Pian piano quel tagliare il vento, diventò troppo banale, un gioco che nel farlo spesso, riusciva ad annoiare. Gli era sempre bastato un piccolo angolo dove volare, non si allontanava, non conosceva il mare. Ma un giorno che il sole splendette un po’ più forte, l’uccello alzò gli occhi, e col suo istinto fece a botte. Lì, voglio arrivare, cinguettava dal suo becco. Prenderò quel pallino di sole con le mie zampette, per far vedere a tutti che non sono un poco di niente. Fantasticava il suo clamore con gli amici dell’ambiente. E pensando d’esser poco decise d’esser grande. Volava, volava, volava, arrivò così in alto, che lo vide un falco. Passano i giorni e manca alla natura. E dal suo nido non si sbircia più alla luna.

Fabio Schioppa

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È un venerdì come tanti, all’uscita della scuola elementare. Clara – il grande zaino rosa sulle spalle, il cerchietto dello stesso colore sui capelli biondissimi – in pochi passi raggiunge me e la mamma, che la aspettiamo per dirigerci a casa. Iniziano ufficialmente le negoziazioni del week end per lo svolgimento dei compiti. Clara domani è a casa e spera di poter andare al mercato con la mamma a comprare i regali di Natale. Le viene spiegato quasi subito che ciò è possibile se deciderà di mettersi a fare i compiti la sera stessa, arrivando a sabato con almeno parte del lavoro svolto. Insperatamente Clara accetta di buon grado, spiega che la maestra Elena le ha preparato uno schemino e che, per preparare il riassunto e l’analisi grammaticale, ha con sé “il suo libro”. Me lo dice con un’aria soddisfatta, tutta speciale, come fanno i bambini quando sfoderano un qualche loro oggetto maplesso tra pronuncia e ortografia della gico. A guardarla, c’è da pensare che le lingua. Un disagio arginabile e affrontacose stiano proprio così. bile con un lavoro didattico curato. Ma, come quasi sempre accade, a totale carico degli insegnanti. Una soluzione “speciale” L’attuale normativa, infatti, in Italia Un primo quaderno fitto di scrittura income in molti altri paesi, non prevede fantile e cornicette; un secondo, più picl’insegnante di sostegno, per cui il lavocolo, con note in grafia adulta; un lettoro aggiuntivo può diventare un carico re cd con due cuffiette rosa: con disinpesante per l’insegnante. «Fortunatavoltura Clara mi esibisce le “sue” armi mente – chiarisce Jubin Abutalebi, dospeciali. Speciali, proprio come lei, bimcente di neuropsicologia all’università ba vivace, attenta, piena di curiosità e San Raffaele di Milano – cominciano a domande intelligenti verso le cose del essere disponibili, offerti in omaggio mondo, la cui naturale voglia di imparare è in parte ostacolata da un disagio dalle case editrici in questa fase spericomune ormai al 5% della popolazione mentale, libri studiati per i dislessici, italiana in età scolare: la dislessia. che facilitano la lettura attraverso espeRitenuta ormai dagli studiosi un didienti di colore, di maggiore distanza fra sagio, più che una malattia, legato alla le frasi, di sottolineatura di parole chianeurodiversità, ossia a una diversa denve. Ma nel corpo insegnante c’è tanta sità di materia grigia a livello del lobo sipaura di sbagliare, anche con diagnosi nistro del cervello, implicato nel ricoo sistemi errati». noscimento del linguaggio, la dislessia Per fortuna, insomma, ci sono gli si presenta come una peculiarità dei oggetti magici. Come il libro “su cuffietprocessi di apprendimento a carattere te” di Clara che – mi spiega – è stato letquasi permanente (quasi il 75% dei pato e registrato interamente per lei, prozienti che ne soffrono in età infantile prio come si fa con le fiabe. E come per continuano a presentarla in età adulta), ogni oggetto magico che si rispetti, c’è maggiormente diffusa nei paesi anglodi mezzo un mago o una fata. sassoni, dove arriva a toccare anche l’8% della popolazione in età scolare, Ad alta voce, per imparare anche a causa di un rapporto più comUna magia, ma ad opera di molti. Per-


scarpgenova ché il libro “su cuffiette”, o meglio l’audiolibro che Clara utilizza per i suoi compiti, è frutto del contributo di Adov, l’Associazione dei donatori di voce che, a Genova e a Pavia, opera su base volontaria per creare supporti audio a favore di coloro che non possono accostarsi autonomamente alla lettura. Un progetto partito in punta di piedi, che oggi coinvolge molti soggetti, tra cui le biblioteche civiche e, naturalmente, le scuole. «Leggere sembra a molti di noi un gesto semplice e rilassante – spiega Rocco Rocca, presidente della sezione genovese –, ma c’è chi per avvicinarsi a un libro ha bisogno di un aiuto. Parlo delle persone non vedenti, ipovedenti, ma anche di chi soffre di dislessia. Il progetto è partito nel 2010 dall’incontro con la Berio di Genova: abbiamo donato alla biblioteca l’intero patrimonio di libri per non vedenti, più di 1.500 testi, realizzati dai volontari Adov di Pavia, poi abbiamo incontrato l’emergenza dislessia e abbiamo dato vita a un progetto legato alla scuola, con la lettura di 169 testi scolastici. I bambini dislessici spesso si sentono soli con il loro problema, e aiutarli non è sempre facile. Dopo una prima esperienza nelle scuole medie genovesi, abbiamo avviato una collaborazione con due case editrici di libri scolastici: Giunti Scuola e La Spiga». Un lavoro ingente e capillare, perché i volontari Adov hanno letto le pagine di tutti i libri di testo pubblicati dalle due case editrici, in modo da permettere, alle famiglie che ne facciano richiesta, di scaricare i libri letti dai volontari a sostegno dei piccoli allievi. Una preziosa audioteca, insomma, che si va arricchendo di giorno in giorno, anche sulla scorta del fatto che non si vive di sola scuola, e leggere deve poter essere anche un piacere, oltre che un mezzo per imparare. Proprio per questo, ora i volontari si stanno dedicando a campi nuovi rispetto a quelli dell’editoria scolastica, dedicandosi alla narrativa: «Sono soprattutto i bambini più piccoli ad aver bisogno che a leggere sia una voce umana – prosegue Rocca –, non quella di un freddo programma di sintesi vocale. Solo in questo modo è possibile entrare in armonia con il bambino e con la sua mente. I nostri sono libri digitali parlati, ascoltabili su computer e molto sem-

plici da usare. Una delle particolarità è che ogni pagina viene letta da una voce diversa. Questo cattura maggiormente l’attenzione di chi ascolta». Il tutto con il supporto non solo della rete scolastica cittadina, ma anche delle 13 biblioteche urbane, per ampliare il bacino di utenza e inaugurare il servizio on demand: da settembre 2013 è infatti possibile ordinare nelle biblioteche i libri a catalogo. Adov riceve la richiesta e in una settimana si impegna a mettere a disposizione il cd con la registrazione. Un impegno importante da mantenere, se si pensa che si basa tutto su base volontaria.

Dono che non si esaurisce «In realtà non è così difficile – continua Rocca –. A Genova abbiamo una base di circa 60 volontari e basta davvero poco del contributo di tutti, per arrivare a un buon risultato». Fondamentale, in questo caso, è l’utilizzo della posta elettronica, che consente al volontario di rice-

vere via mail poche pagine per volta, in modo da leggerle e registrarle con tranquillità, tramite un dispositivo di riconoscimento vocale messo a disposizione e utilizzabile da casa. Non è richiesto di essere attori, doppiatori, né possedere qualità particolari; la peculiarità che rende gli audiolibri di Adov così apprezzati è proprio la presenza della voce umana, con la sua gamma quasi infinita di varianti e caratterizzazioni. Per chi comunque ha piacere o interesse a educare il proprio strumento vocale, è prevista da settembre la possibilità di seminari gratuiti di lettura espressiva, tenuti a Genova in collaborazione con Celivo. Ci sono insomma tutti i presupposti per offrire, con poco, un contributo qualificato e gratificante, per chi lo offre e chi lo riceve. Negli occhi della piccola Clara, impegnata sui compiti con la sua “magica” voce guida, brilla la conferma che anche poche ore della propria voce possono essere un dono importante.

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vicenza Nato e cresciuto in strada: la droga, il carcere, i tentati suicidi. Poi l’incontro con le persone giuste. E oggi è lui che aiuta

Volli morire sei volte, ora tendo la mano di Gianpaolo Venturini scritto con Nicola Milani Il mio parto è avvenuto in una cesta di fronte a una chiesa, sopra a essa un biglietto con scritto: “Mi dispiace, non riesco a mantenerlo”. Probabilmente non c’erano cassonetti nella zona. Ma credetemi, la strada non è poi così brutta come certi corridoi dei collegi. Perché lì poi mi hanno mandato... Durante il fine settimana andavo da mia nonna paterna e il lunedì non avevo nessuna voglia di tornar lì dentro. Mancava qualcosa, mancava sempre qualcosa. E allora ho cominciato a farmi di eroina in compagnia di una ragazza del collegio, anche lei aveva le sue storie. Poi, col tempo, le cose sono andate avanti, la roba girava e io giravo con lei. A 18 anni sono uscito dal collegio e mi sono trovato di fronte a una madre che non conoscevo. Ricordo con precisione lei e mio padre che mi spartivano come davanti al notaio per un testamento. In quel momento ero solo un reddito sicuro per chi mi facevo da due anni; gli ho detto che mi avrebbe avuto in casa, nient’altro. A una scelta per me l’avevo presa anch’io. loro quel giorno ho detto in faccia che A quel punto ho preferito restare con

mia nonna – santa donna – forse l’unica che mi ha accettato per quello che ero. Lavoravo in bottega da mio zio meccanico e cercavo di farmi quel che bastava da non arrivare distrutto al mattino al lavoro, anche se spendevo tutto. Un giorno ho portato via due sacchi da un cantiere per sistemare casa, la polizia mi ha fermato, mi ha arrestato e sono finito sul giornale: “Vendevano il cemento per droga”. Sono uscito che ero incazzato con il mondo più di prima, sono tornato a fare di tutto ed è arrivato un altro arresto.

La vita in strada ti aiuta a trovare dei fratelli Primavera 2004, albergo cittadino, ricovero per persone senza dimora del comune di Vicenza. Sveglia alle 7.30, tempo veloce per fare colazione, zaino in spalla e tanta voglia di vivere. Con Lina, Giovanni e Pietro, già veterani di avventure, inizio la mia giornata in strada. Grande esperienza: eppure, prima, non l’avrei nemmeno immaginata. Lina, per prima cosa, va dal fornaio, che è pure un alimentari, e compra vino, nostro tanto caro compagno di vita. Nel mio e nostro peregrinare per la città, i miei amici chiedono l’elemosina. Li ammiro; come me nutrono una grande speranza, ma io non ho il coraggio di allungare la mano e chiedere, sono loro i grandi eroi di oggi. La nostra risorsa è però la solidarietà, con loro ogni giorno trovo la mia famiglia, i miei fratelli, mi mancavano molto. Raggiungiamo una a una tutte le nostre mete, parco Querini, giardini Salvi, e il vecchio Inps al ponte degli Angeli, senza mai guardare le vetrine, mi mettono i brividi. La mano che affonda nella tasca per trovare due monetine, per un panino e per il vino… che grande ricordo. 7.30 di sera, torniamo al nostro “hotel” stanchi, mezzi ubriachi, ma felici. Anche oggi è andata bene, buone speranze per il dopo. Quella sera Lina mi abbraccia forte e mi dice: «Tu per me sei un papà, e lo sarai sempre, loro invece sono i tuoi fratelli». Io la guardo e vedo una lacrima spuntare e rigare il suo volto. Oggi. Pietro da quattro anni è andato. Lina si è sistemata. E così pure io. Giovanni vive e non vive, peccato. In strada sono rimasto alcuni anni. Rimane un ricordo, prezioso, di quei giorni. Che mi rammenta i veri valori della vita. E che posso raccontare in questo breve diario della strada, quasi con nostalgia. Carlo Mantoan

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Ma un giorno, con la poca lucidità rimasta, ho deciso di tirare i remi in barca. Ho conosciuto Maria, un’amica straordinaria, che mi ha adottato come un figlio. Lei sapeva che non ero fatto


scarpvicenza per la strada. Mi ha convito ad andare in comunità. Ho cambiato regione, mi sono trovato bene e una volta uscito ho provato a fare l’operatore.

Non le seppi dire no Ma una volta un collega mi offrì della cocaina, e da lì crollò tutto. Di nuovo. A quel punto decisi di farla finita. Sei volte ci ho provato: sei volte non ci sono riuscito. Alla sesta volta è venuto il magistrato, mi ha stretto la mano, mi ha vietato il carcere e poi mi ha mandato in un’altra comunità. Una buona comunità. Lì ho potuto guardarmi dentro, avevo una psicologa che, quasi da mamma, m’ha fatto capire molte cose. Mia madre, quella vera, stava male e mi ha chiesto aiuto; non sono riuscito a dirle di no. Nel giro di poco tempo sono “partiti” lei, la nonna e lo zio. Lo zio m’ha lasciato una parte dell’officina. M’ha colpito. Alla fine aveva capito che volevo cambiare strada. Se n’è andato anche papà. Mi sveglio ancora alle 4 con il ricordo del suono del telefono che squilla per darmi la notizia. Ultimamente ho incontrato le persone giuste e mi sono sentito dire :«Ti ho preso a calci perché ti voglio bene». Ora

sto meglio. Sogno una casa mia, in campagna, con cani e gatti. Oggi provo io a essere d’aiuto a chi sta male perché non si può buttare via una vita. E tendo la mano, anche a chi non la vuole.

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Il ricordo

Nicoletta ci hai lasciato, ma rimani nel nostro cuore Coppia di venditori Una bella foto di Nicoletta Staffa insieme al marito Duro

Nicoletta Staffa era una venditrice di Scarp de’ Tenis, aveva iniziato per la redazione di Vicenza nell’autunno del 2010. Nel frattempo si era sposata con un altro venditore, Duro Sikanic, e grazie alle vendite, sommate alla pensione di invalidità di Nicoletta, la coppia andava avanti. Duro ogni tanto riusciva a lavorare, anche se con contratti brevi e instabili. Poi la malattia che da anni affliggeva Nicoletta si è aggravata a settembre: è morta il 3 novembre scorso. La redazione di Vicenza vuole dedicarle un ricordo. Cara Nicoletta, ora che te ne sei andata, che non ti vedremo più apparire il lunedì mattina con il tuo carico di segni del passato e con la tua voglia di caffè, abbiamo pensato di salutarti ognuno con il ricordo che più gli è rimasto nel cuore. Per prima Federica, a cui hai insegnato come si vende nelle parrocchie. Faceva freddo quella domenica mattina di due anni fa al Villaggio del Sole – la prima messa è alle 8 del mattino – insieme siete entrate in canonica da don Dario Vivian per portargli Scarp e fargli sapere che eravate arrivate. Non c’è stato bisogno di parole né di spiegazioni, don Dario vi ha accompagnate al bar per un caffè. Questo era il tuo modo di farti conoscere e apprezzare: poche parole e sguardi che dicono tutto. Carlo racconta che fin dalla prima volta che ti ha visto, con la tua situazione difficile impressa in ogni piega e in ogni gesto, ha ricordato subito la forza e il coraggio che ci vogliono per uscire dalle grandi sofferenze, d’altra parte lui lo sa benissimo... Cristina ricorda la tua espressione felice il giorno che sei arrivata in redazione con la notizia che eri riuscita a metterti in contatto con Alex e Marco, i figli che ti erano stati tolti nel momento peggiore della dipendenza, e che non avevi mai più potuto riabbracciare. E quando anche Stefano ha avuto la fortuna di vedere Alex e Marco, al tuo funerale, ha pensato a quanto Gesù ci ha raccomandato, «di andare nel mondo e moltiplicarci». Tu l’hai fatto in modo stupendo. Cara Nicoletta che arrivavi zoppicando, piena di male, eppure trovavi la forza per andare a fare le pulizie dal tuo vicino senza gambe, ora che sei dove non si soffre più, ci manchi, e lasci un vuoto che cercheremo di riempire mangiando pasticcini alla crema, quelli che ti piacevano tanto. dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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verona Pablo veniva dal carcere. Alla Locanda del Samaritano ha incontrato persone disabili. Ora torna a casa: felice

Ho affettato il pane degli angeli di Pablo Pablo, lo chiameremo così, ha vissuto alcuni mesi a Verona, presso la “Locanda del Samaritano”, inserito in un progetto di reinserimento per persone detenute ed ex detenute. Alla fine del percorso, prima di tornare nel suo paese, racconta di come un incontro inaspettato avvenuto in quel periodo lo abbia aiutato a ritrovarsi. *** Questa esperienza mi ha insegnato tanto. Per prima cosa, che i soldi non sono tutto, che nella vita ci sono cose molto più importanti. Venivo dall’esperienza del carcere, dell’essere “imprigionato”. E nel centro presso cui svolgevo il tirocinio ho incontrato persone “imprigionate” nella loro disabilità senza aver fatto nulla per meritarlo. Ed erano persone belle. Chiedevo a Dio: «Perché? Che cos’hanno fatto?». Uno di loro mi ha raccontato di essere nato sano, ma di essere diventato così quando era piccolo, in seguito a una vaccinazione. Io non sono Dio, non sono nessuno per giudicare, ma penso L’ulivo è l’albero che non sia giusto che ci siano persone che tiene il vento che stanno così. ha le braccia alzate Quando io ho sbagliato ero consain uno strazio senza fine pevole di ciò che facevo: non lo facevo emette un urlo privo di voce per sopravvivere, perché ciò che avevo ma non per questo era più che sufficiente, ma ciò che aveè un albero di minor forza, anzi! vo non mi bastava. Vedere che altri aveCi sono ulivi feriti nel corpo, vano di più con poca fatica mi ha getda chi sa quali tormenti patiti. tato polvere negli occhi, e ho sbagliato. In quelle ferite, Le persone del Samaritano mi hanno in quegli squarci insegnato che non ne vale la pena. E si nasconde voglio che la mia vita sia diversa, ora. una forza e resistenza.

L’albero

Nulla accade per caso Credo che tutto ciò che ci accade abbia un senso, e penso anche che Dio voglia solo il nostro bene. Credo che Dio mi abbia mandato in questo posto perché potessi incontrare loro. Sono persone che hanno una limitazione, ma la accettano. Io avevo tanto, ma non me ne rendevo conto: non mi accontentavo di ciò che mi arrivava dal lavoro delle mie mani. Il periodo in carcere è stato duro, ci ho anche quasi lasciato la vita per una malattia che non guariva mai, ed è finita solo dopo tre interventi e sei me-

Certe volte si dovrebbe guardare dentro a quelle ferite, a quegli squarci, e si potrebbe imparare molto. Purtroppo quasi sempre ci passiamo accanto senza guardare Ma l’ulivo, pianta generosa, continua a produrre le sue olive che noi usiamo e amiamo. R. T.

si di ospedale. Ma poi Dio mi ha messo nel posto giusto. Al lavoro mi avevano avvertito che non ero obbligato a mangiare insieme ai ragazzi, che se non me la fossi sentita di affrontare l’ambiente non ci sarebbe stato alcun problema, ma io ho voluto andarci. Mangiavo con loro. Alcuni avevano difficoltà a mangiare, sputavano, si sporcavano, ma non mi ha mai dato fastidio. Li aiutavo ad apparecchiare e sparecchiare, a spostare le carrozzine… alla fine il mio ruolo è diventato quello di tagliare il pane. Il pane non veniva già disposto in tavola, altrimenti i ragazzi se lo mangiavano tutto subito. Bisognava tagliarlo e distribuirlo un po’ più avanti durante il pranzo, e ho iniziato a farlo io. Adesso che non vado più, loro chiedono agli operatori: «Dov’è Pablo?»

A mani vuote. Ma le ho Non tutti hanno l’opportunità di mangiare con gli angeli: io l’ho avuta. Insieme a loro ho capito qualcosa di me che già cominciavo a scoprire. Ho un dono particolare nell’entrare nel cuore delle persone. Me ne sono accorto in carcere, e poi durante le esperienze di tirocinio, con i colleghi e i ragazzi. E mi sono anche accorto che ci sono tante persone buone, disinteressate, che non mi hanno mai trattato da “delinquente” né giudicato, mai. Mi sono sempre sentito cercato, valorizzato per ciò che ero. E questo mi ha fatto sentire così felice da spezzarmi quasi il cuore! Torno a casa, ora. “A mani vuote”, si potrebbe dire. È vero. Ma le ho, le mani. Posso usarle per costruire un futuro migliore per mio figlio e per me, pensando anche ai miei “angeli”. Non li dimenticherò mai fino a che sarò vivo.

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rimini Militari morti dopo le missioni di pace. Per anni si è parlato di esposizione all’uranio impoverito. Ora si indaga a Rimini

Morti sospette, sarà proprio l’uranio? di Angela De Rubeis È il dicembre del 2012 quando sui giornali locali e nei principali siti d’informazione della provincia si comincia ad associare Rimini alle morti militari per uranio impoverito. Le notizie arrivano alla spicciolata e si susseguono sino a febbraio inoltrato. Bisognerà aspettare la primavera per avere chiaro perché la capitale del divertimento italiano sia diventata protagonista nazionale di una faccenda che appare, agli occhi dei più, lontanissima. Morti per uranio impoverito, infatti, fa venire in mente la guerra e i documentari tv che mostrano territori distrutti, la Jugoslavia sventrata, il Kosovo in macerie e l’immancabile foto dei militari sorridenti accanto ai carri armati (“Il souvenir”, la chiamano in gergo). Rimini vanta una radicata tradizione di militari “di stanza” in città. Caserme come la parte della famiglia. Ed era cominciata Giulio Cesare (esercito) e reparti come un’inchiesta. il VII Vega (eeronautica militare) si soDomenico Leggiero, maresciallo, ex no affiancati ai professionisti del repilota, presta servizio all’Osservatorio parto Sar (aeronautica), che con i loro militare, e da tempo si batte per far elicotteri HH-3F svolgevano compiti di emergere la verità su centinaia di casi salvataggio ma anche trasporto di ordi morti accertate da uranio impoverigani. Dal 2010 il Sar è andato via da Mito. Ma soprattutto per denunciare lo ramare per stanziarsi a Cervia-Pisignastato di isolamento nel quale sono stano, ma prima di questo trasferimento ti lasciati molti suoi colleghi nel modecine di riminesi d’adozione hanno mento della malattia. «Sono pronto a fatto missioni in Somalia, Kosovo, Juconsegnare il cd contenente tutti i nogoslavia e Afghanistan. In realtà tutte le mi su cui ho fatto approfondimenti al caserme militari del riminese hanno magistrato che me ne farà richiesta – prestato forze alle missioni di pace che ha dichiarato tempo fa Leggiero –. Si negli ultimi 20 anni hanno coinvolto tratta di un elenco ufficiale fornitomi l’Italia e l’Onu. dallo Stato maggiore della difesa». Leggiero definisce «omertoso» Più di 300 morti accertate l’ambiente militare, e così ha sollecitaL’Osservatorio militare nazionale ha to una richiesta d’attenzione da parte diffuso dati che parlano di 305 morti della magistratura. Davide Ercolani, accertati a causa dell’esposizione a sostituto procuratore a Rimini, è andauranio impoverito, e alcuni di questi to a chiedere lumi sulla lista da lui sono partiti proprio dalle basi romacompilata, e l’ha acquisita insieme algnole. Per esempio Paolo Marchi, 50 le cartelle cliniche di tre militari malaanni, morto per un tumore al pancreas ti che hanno partecipato a missioni allo scorso dicembre: viveva da anni a l’estero e che potrebbero essere venuVerona, ma quando partì per metter ti a contatto con l’uranio impoverito. pace in Bosnia e Kosovo era di stanza a Nelle intenzioni del magistrato rimineRimini. Ma già la morte di Giovanni se c’è anche l’idea di costituire una Mancuso, a Nassirya, nel 2010, era stacommissione di esperti per fare verifita messa in relazione con l’uranio imche e accertamenti e sondare la dispopoverito. Ne era nata una denuncia da

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nibilità delle famiglie per riesumare i corpi di possibili vittime. La lista di Leggiero, ferma al 2007, è entrata ufficialmente nel fascicolo dell’inchiesta. E in procura sono cominciati ad arrivare gli esposti. A marzo erano cinque e a luglio se ne è aggiunto un sesto, di un militare del VII Vega che si è ammalato dopo aver partecipato alle missioni di pace. Cartelle cliniche a parte, Ercolani può contare anche sugli atti della commissione parlamentare d’inchiesta, che ha approfondito il legame tra l’esposizione e l’uso di armi che impiegano uranio impoverito e il sopraggiungere e lo svilupparsi di alcune forme tumorali. Capo d’accusa: omicidio col-


scarprimini Il caso

Tanti tumori e malattie tra militari si segue anche la pista dei vaccini

poso e omessa esecuzione di un incarico, secondo l’articolo 117 del codice penale militare di pace. Ma siamo sicuri che sia solo uranio impoverito?

C’entrano anche i vaccini? La commissione parlamentare d’inchiesta ha infatti analizzato anche il possibile coinvolgimento, nelle malattie di tanti militari, del mix di vaccini loro inoculati senza che fossero informati del contenuto delle fiale e senza che si faccessero esami e anamnesi preliminari, caso per caso. Una faccenda da approfondire ulteriormente. Attualmente Ercolani si muove in due direzioni. La prima consiste nel-

Ci sono stime che parlano di oltre 70 mila militari italiani affetti da forme tumorali. Un numero spropositato, se si pensa che ad ammalarsi sono uomini e donne scelti tra i meglio in salute del paese. Le motivazioni dei casi di morte prematura e di sviluppo di tumori sono tutte da chiarire. Resta in piedi la “pista” dell’esposizione all’uranio impoverito, elemento inserito negli ordigni bellici, ma si fa strada anche la motivazione della vaccinazione selvaggia. A sollevare la questione è stata la commissione parlamentare d’inchiesta, istituita appositamente per indagare sui casi delle tante morti di militari e sulla correlazione con l’esposizione all’uranio impoverito. Ma come si è passati dalla pista unica dell’uranio a quella dei vaccini? Perché si è scoperto che l’85% dei casi accertati di tumori che colpiscono i militari si sono sviluppati in uomini e donne che non hanno mai preso parte ad alcuna missione di pace all’estero, e che anzi hanno lavorato solo nelle basi italiane. Cocktail di medicine somministrati incondizionatamente sui pazienti, senza rispetto dei protocolli e con somministrazioni ravvicinate: una pratica sconsigliata, se non considerate dannosissima da medici esperti in somministrazione di vaccini. Questo filone d’indagine è ben presente anche nell’inchiesta riminese sulle morti militari sospette. Ma sui vaccini a Rimini sembrano andarci cauti: si stanno facendo valutazioni mediche, ma pare che esperti parlino dei cocktail come di possibili concause, piuttosto che come di cause uniche.

l’accertare con sicurezza il nesso casuale tra esposizione all’uranio impoverito e patologie a esso collegate. Nella fase successiva, individuato il nesso casuale, si deve risalire ai soggetti che in quel momento, in virtù delle loro posizioni di comando, avevano assunto una posizione di tutela, garanzia e controllo nei confronti dei militari sottoposti, ovvero coloro che proprio per la loro posizione di vertice erano venuti a conoscenza dei danni provocati dalle munizioni caricate con uranio impoverito. Solo così si potrà risalire ai responsabili di questo caso e ragionare sul perché ciò sia avvenuto: semplice negligenza e sottovalutazione del pericolo, oppure omissione? È possibile che, pur essendo noti studi medici e militari, provenienti anche da fonti altamente qualificate (Nato, Stati Uniti), i comandanti dei diversi corpi non abbiamo voluto dare co-

municazione dei rischi collegati all’esposizione all’uranio? Queste sono supposizioni, saranno le inchieste a cercare la verità.

Segnalazioni da tutta Italia Per ora a Rimini continuano a piovere segnalazioni. L’indagine sta procedendo con lena e molti militari e familiari di defunti si sono fatti avanti per essere inseriti nell’indagine riminese. Addirittura, nel periodo di luglio e agosto arrivavano continuamente telefonate di persone che segnalavano gravissimi problemi di salute dopo essere stati in missione all’estero. Data la grande mole di telefonate arrivate, alla procura riminese si è deciso di fare una cernita e di limitare il numero dei casi accettati dall’esterno, anche perché in Italia ci sono anche altre procure che si stanno muovendo, per esempio Padova, con la quale Rimini sta collaborando da tempo.

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firenze “Firenze corre”: allenamento podistico collettivo. Con l’aiuto di volontari particolari. Tra cui alcuni venditori di Scarp...

Correre insieme? Beneficio per tutti... di Veronica Guida Ci affanniamo tutti tutto il giorno, nelle nostre città. E verso sera le vediamo riempirsi di corridori affannati e solitari, i runner: proseguono la corsa quotidiana, ma avvolti in tute tecniche, con la musica nelle orecchie. Questi pedoni che ci sfrecciano accanto sono un po’ il simbolo del nostro tempo: racchiudono in quella mezz’ora che dedicano a se stessi tutta la necessità di scaricare lo stress e mantenere il fisico in attività, mentre la testa si prende una pausa. Proprio da questa constatazione, un po’ amara, è nata l’idea di Firenze Corre. Il proliferare di persone sole che corrono nella folla della città, rendendo vagamente alienante un’attività che in sé sarebbe tutto l’opposto, può convergere in uno sforzo comune. E, sulla strada, diventare in qualche modo comunità. Perché lo sport è passione, impegno. Ma soprattutto dev’essere condivisione. Scarp protagonista Marian e Badre Eddine, E allora perché non riunire i runner solivolontari di Firenze Corre. tari in una sessione di allenamento che (Foto Anna Zucconi) li faccia sentire parte di qualcosa, e che restituisca loro la città senza rischiare di farsi male, nel traffico automobilistico?

cordano un po’ la squadra di Scarp de’ tenis (e tra loro ci sono infatti alcuni venditori della rivista!), ricevono un piccolo contributo per la loro presenza settimanale. Ma principalmente sono felici di partecipare a un’esperienza che si risolve in un servizio alla comunità e alla città nella quale sono stati accolti, pur provenendo (alcuni di loro) da luoghi e vite lontane.

Una rosa per la signora Firenze Corre è la soluzione. Rappresentata da un allenamento podistico collettivo all’aperto, organizzato (a partire dallo scorso ottobre) dall’associazione sportiva dilettantistica Firenze Marathon in collaborazione con Universo Sport Spa e Training Consultant. Dà la possibilità a tutti coloro che lo desiderano di partecipare a una corsa non competitiva nel cuore di Firenze una volta alla settimana. L’appuntamento è ogni mercoledì verso le 19, lungo un percorso di 8 chilometri attraverso il centro storico, modulabile in base alle capacità di ciascun iscritto e guidato da personal trainer professionisti, con partenza e arrivo sempre nella splendida piazza del Duomo. Ma l’aspetto più interessante, almeno per quanto riguarda Scarp, è che l’organizzazione ha coinvolto la Caritas di Firenze, insieme ad altre associazioni del territorio, Auser e Misericordia, nel reclutamento di volontari da posizionare

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presso le postazioni segnaletiche lungo il percorso, al fine di aiutare i podisti e per garantire che venga rispettato il codice della strada. Una simile chiamata ha ispirato il coinvolgimento non tanto di volontari classici, ma di persone che vivono nelle case d’accoglienza o che frequentano i servizi Caritas. Così il centro storico di Firenze tutti i mercoledì sera, fino a giugno, si colora e si colorerà di presenze allegre e disponibili. Questi volontari speciali, che ri-

Così capita che, nell’attesa dei runner, uno di loro acquisti una rosa da un venditore di strada per regalarla a una signora di passaggio. Oppure che si mettano al centro della strada per bloccare il traffico con una simpatia tale che neppure gli automobilisti più frettolosi oppongono resistenza. Grazie a questi amici volontari la corsa attraverso la città diventa ancora di più una condivisa. Nella quale tutti, in modi diversi, si sentono impegnati e accompagnati.

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salerno

L’usura si batte con la prevenzione La Fondazione Giuseppe Moscati da più di vent’anni aiuta, in completo anonimato, le famiglie a rischio di strozzinaggio di Antonio Minutolo L'usura è una piaga gravissima, che mette in ginocchio intere famiglie in tutta Italia. Ma in Campania questo perverso fenomeno è ancora più diffuso, quasi endemico, a causa della già difficile economia regionale e della malavita organizzata che imperversa nel territorio. Per fortuna le tante vittime dell'usura, che si trovano a fronteggiare enormi debiti (contratti dopo aver ricevuto prestiti dagli strozzini, che devono restituire aggravati da interessi esorbitanti), in Campania hanno una speranza. Rappresentata dalla Fondazione San Giuseppe Moscati, nata a Napoli nel 1990, ma attiva anche a Salerno e in altre città. Dall'inizio delle attività, la Fondazione ha liberato dai debiti oltre 3.400 famiglie campane. Questo sodalizio ricorre, nel sostenere economicamente le famiglie, a un fondo istituito dalla legge 108 del 1996, destinato alle vittime di usura. In un articolo apparso sulle pagine di Salerno dello scorso numero di Scarp, a causa di un'errata trascrizione di un'intervista, è stato asserito che la denuncia è condizione dell’intervento di aiuto. Invece le famiglie che si rivolgono alla Fondazione Moscati non devono aver necessariamente effettuato la denuncia dei proti; dopodichè le si aiuta a sottrarsi all'upri estorsori alle forze dell'ordine, per sura. La fondazione può pagare il debipoter accedere ai servizi di supporto to usuraio e convertirlo in un debito leeconomico e psicologico. La fondaziogale, anche tramite importanti convenne garantisce l'assoluta riservatezza (e zioni che ha stipulato con le banche. anonimato) delle persone che le si riPer svolgere questo compito e salvavolgono, per evitare che la loro sicurezre le famiglie dall'usura, la fondazione za sia messa a repentaglio. ha bisogno anche di beneficenza: il sodalizio ha ricevuto nel 2010 ben 542.750 Soluzioni per tre su quattro euro da privati. Nel 2010, grazie alla legge 108, sono staIn genere vengono trovate soluzioni ti destinati alla fondazione Moscati positive per il 75% dei casi che si pre4.560.650 euro dal fondo nazionale per sentano agli sportelli campani della fonla prevenzione dell’usura. La fondaziodazione. ne lavora infatti soprattutto in base al Presidente e guida carismatica di principio della prevenzione: si concequesto ente è un sacerdote, padre Masdono finanziamenti o prestiti a chi è insimo Rastrelli, che ha dedicato la sua videbitato ed è in pericolo di cadere nelle ta e il suio apostolato all'aiuto delle vitgrinfie degli usurai. Se, invece, le famitime dell'usura. Quella di padre Rastrelglie sono già divenute vittime degli li è una vera missione, volta a salvare strozzini, prima di tutto le si aiuta a tante persone da una gravissima piaga, comprendere quanto la loro condotta ma anche a ridare dignità a tante famisia comunque "deviante", perché maglie indebitate. gari indirizzata da consumi sconsidera-

Personale Carissima Lucia, quello che ho provato per te è magico, speciale, importante. E adesso che non ci sei più il desiderio di quei momenti, di quei giorni, anni non si è ancora spento. Ti prego amore torna come tanti anni fa senza rimanere sepolto, perché c’è un cuore pronto ad accoglierti. Salvatore Saraceno

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napoli La redazione di Scarp ha incontrato il direttore della Caritas diocesana, don Enzo Cozzolino. Echi di un colloquio intenso

Accogliete col cuore, sarà sempre Natale di Laura Guerra «Accogliamo col cuore e sarà Natale ogni giorno. Natale è per ognuno di noi, perché Gesù nasce ogni volta che c’è un incontro vero fra fratelli». Così il direttore della Caritas diocesana di Napoli, don Enzo Cozzolino, ha concluso la lunga e bella chiacchierata-intervista fattagli dai redattori napoletani di Scarp de’ tenis. È stata una scoperta reciproca: è stato molto bello per delle persone cui è capitato sovente di sentirsi “destinatari anonimi” dei servizi messi a punto per loro, essere accolte nei luoghi dove quei servizi vengono pensati e organizzati, incontrare le persone che tessono ogni giorno la tela fitta e nascosta della solidarietà: dal diretvive di emergenze continue e chiama tore, al vicedirettore Giancamillo Trani, spesso in ruolo di supplenza la Chiesa e ai responsabili degli uffici, ai volontari quindi la Caritas. che mettono a servizio competenze e È stata una prova di dignità per i redisponibilità e che rendono operativi dattori e i venditori di Scarp de’ tenis, vicentri d’ascolto, mense, case alloggio. vere questo incontro con un sentimenTestimoniando la carità in una città che to di curiosità, facendosi e rivolgendo

La vera solidarietà non è “dimostrativa” È stato un bell’incontro, abbiamo parlato di molte cose. I temi affrontati hanno creato un clima molto propositivo e di confronto. La Caritas è vicina a chi attraversa un momento difficile, specie in questi ultimi tempi, in cui la crisi economica ha creato un meccanismo di forte disuguaglianza sociale. Don Enzo ha sottolineato in particolare che se non vi è empatia e non si entra nel cuore dell’altro, molto spesso rimane solo una forma di “solidarietà dimostrativa”: cioè la persona che dà l’aiuto è disponibile, ma non al punto da essere coinvolta pienamente. Questo accade perché si accetta troppo il concetto di normalità: è normale che c’è la crisi, è normale che aumentano i poveri, e allora non ci sorprendiamo se si pensa che chi aiuta vuole solo mettersi a posto la coscienza. Ma questa mentalità non è giusta e non aiuta davvero l’altro, non è utile. La Chiesa, e in essa la Caritas, sta cercando di attuare un cambiamento, traendo esempio da papa Francesco, per cambiare la mentalità all’insegna della carità. Io penso, e ne sono ancora più convinto dopo quest’incontro, che fare la carità significa non solo dare e prendere qualcosa di materiale, ma guardarsi negli occhi, e attraverso quel gesto condividere la gioia di dare e di ricevere. Don Enzo ci ha regalato un piccolo libro con foto e riflessioni di papa Francesco, con una sua dedica rivolta a ognuno di noi; alla fine dell’incontro ha voluto presentarci a tutti i suoi collaboratori, è stato un pensiero gentile e abbiamo pregato tutti insieme. Abbiamo passato una bella mattinata e ci siamo sentiti accolti con il cuore. Prima di salutarci, non poteva mancare la foto ricordo. Ma il ricordo più vero è quello che ognuno di noi porterà con sé nella memoria e nel cuore. Antonio Zacco

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domande, raccogliendo le risposte e sentendosi riconoscere l’autorevolezza di poter a loro volta esprimere un punto di vista documentato sulla carità. È stato un incontro intenso e vero, e quando è diventato il racconto personale di ogni redattore è stato naturale far passare le riflessioni dalle pagine dei quaderni alle pagine del numero di fine anno di Scarp. Che è poi il numero di Natale, quello che si venderà e si leggerà nei giorni delle feste, nei giorni che chiudono un anno collettivo pesante, durante il quale la parola crisi è stata probabilmente la parola più usata. Ma sarà letto anche nelle prime settimane del nuovo anno: le più adatte a far germogliare, nei giorni segnati dalla tenerezza di Gesù Bambino, le speranze di ogni persona.

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scarpnapoli Genuino, con un difetto... In latino la parola caritas significa carità. Siamo andati a trovare don Enzo e ognuno di noi aveva preparato una domanda. Abbiamo parlato del suo incarico come direttore, della sua scelta di diventare sacerdote. Dalle sue risposte ho capito che fare il direttore della Caritas è molto difficile, perché le richieste sono tante e aumentano ogni giorno e i soldi sono sempre meno. Ero molto curiosa di capire la sua scelta di dedicare la vita a Dio. Don Enzo ha raccontato che era un ragazzo molto vivace e indisciplinato, è stato anche sospeso a scuola. Ma quando il suo miglior amico è morto lui si è fatto molte domande e cercando le risposte ha trovato Dio. Ho conosciuto una bella persona, un sacerdote vero, semplice e genuino, a cui piacciono gli spaghetti al dente conditi con il pomodorino fresco oppure aglio olio e peperoncino. Ha un difetto: tifa Juventus. Quando ce l’ha detto ci siamo fatti una bella risata dato che siamo tutti tifosi del Napoli, tranne Aldo che è interista. Vicino a don Enzo era seduto Giancamillo Trani, il vicedirettore, che ci ha chiesto che cosa era per noi la Caritas. La Caritas riesce a ridare dignità alle persone e, spesso, supplisce a uno stato che non c’è. Ha ragione don Enzo quando dice che la Caritas dovrebbe scomparire: significherebbe che sarebbero finite tutte le sofferenze e le difficoltà. Maria Esposito Incontro di carità La redazione di Scarp Napoli con il direttore della Caritas diocesana, don Enzo Cozzolino, e volontari e operatori dell’organismo

La riflessione / 1

Bisogna scendere le sacre scale Per sua stessa ammissione, don Enzo Cozzolino, direttore della Caritas di Napoli, cercava l’uomo e ha trovato Dio, cioè “l’Uomo”. Potrebbe sembrare un colpo di fortuna, un caso fortuito appunto, ma non lo è: don Enzo pensa, don Enzo lavora; parla e tu puoi sentire il suo cervello che si muove, che elabora e macina informazioni. È proprio ora et labora, teorico e pratico. È indubbio che le sue origini di campagna l’abbiano molto aiutato, un contadino non agisce senza riflettere e non pensa quasi mai “a vacante”. La prima immagine che ho avuto quando lo abbiamo incontrato è stata: “l’uomo giusto al posto giusto”, la raffigurazione del nuovo corso della Chiesa, più popolare, più vicina alle persone che alle istituzioni, che rende quasi più facile la comprensione del Mistero Divino. Sono tempi, questi, in cui si va veloci; società, convenzioni, scelte, tutto il modus vivendi si trasforma in fretta, quel che ieri era nuovo, domani sarà obsoleto. E quindi la Chiesa cambia. Dai tempi del passaggio dalla messa in latino all’italiano, è stato un continuo avvicinarsi alla società civile. Ma oggi bisogna accelerare. Bisogna scendere le sacre scale e mescolarsi alla gente. La Caritas è fatta per questo e don Enzo Cozzolino sembra fatto proprio per questo. Ora et labora potrebbe essere il suo motto: assistere i bisognosi in pratica e in teoria, in pancia, in testa e in cuore, rendere loro la vita più facile non vuol solo dire un pacco di alimenti, ma anche avviare la comprensione del Mistero Divino, di un Dio vicino, di un Gesù povero, proprio come i poveri che sempre più numerosi, purtroppo, e bussano alle porte della Caritas. E non più infelici immigrati, ma italiani indigenti, vecchi e giovani e famiglie, che non solo non arrivano a fine mese, ma che proprio non hanno un fine mese, nel senso che il “27”, giorno di stipendio, per loro non esiste. Don Enzo, così come papa Francesco, sembra essere proprio la persona giusta, al posto giusto, nel momento giusto. E speriamo che le sue origini contadine gli conservino sempre la forza e la costanza, persino la cocciutaggine di svolgere il suo compito per lungo tempo. Bruno Limone

La riflessione / 2

Dal Guatemala al Binario Siamo andati a trovare don Enzo che è un prete che è stato in tanti paesi del mondo. Ci ha raccontato la sua storia: è stato un ragazzo terribile, sospeso tante volte da scuola, e da ragazzo mai avrebbe immaginato di diventare prete. Fu una disgrazia accaduta a un amico vero a farlo cambiare e ad avvicinarlo di più a Dio. Don Enzo è andato tante volte in Romania, dove ha diviso tutto con i suoi amici ortodossi: pane, celebrazioni, amicizia. È stato anche in Guatemala, dove un vescovo che lotta contro i trafficanti di droga e contro i delinquenti gli regalò la sua bella stola colorata. Ho visto che lui la indossa durante le messe, a Natale, a Pasqua e altre volte quando viene al Binario della Solidarietà, che è un centro diurno per noi senza dimora. Si vede che ha molti impegni, però, conosciuta la persona, penso che li mantenga tutti. È molto umano e va al fondo del problema del povero. Si vede che vorrebbe fare di più, ma non ce la fa perché ci sono pochi fondi per aiutare chi vive per strada. Io a don Enzo ho raccontato il mio desiderio di fare un cammino di fede, sogno di diventare un francescano, perché vorrei incominciare una vita spirituale fatta solo di preghiera, di aiuto ai poveri. Stare con Dio e vivere per Dio per me sarebbe la passione più intensa mai provata. E cambierei vita, amerei di più il prossimo in Dio. Come i francescani, perché amano Dio. Spero che un giorno non lontano diventerò francescano anch’io. Antonio Casella dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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catania Da 25 anni i volontari sono un punto di riferimento per gli anziani fragili. Allo studio la coabitazione studenti-pensionati

Ragazzi dell’Auser, il Filo dell’aiuto di Roberto De Cervo È stato recentemente ospite del programma “Radio Strada”, in onda ogni giovedì dalle 15 alle 16 su Radio Lab (www.radiolab.it), il presidente dell'Auser Filo d’argento di Catania, Francesco Battiato. Una chiacchierata che si è rivelata tanto utile quanto interessante dal punto di vista sociale, considerato il grande impegno dell’associazione nel sostenere gli anziani, soprattutto quelli che a un certo punto della vita si ritrovano a vivere in solitudine. «L'Auser è nata 25 anni fa proprio con il fine di aiutare gli anziani fragili – ha spiegato Battiato –, poi nel tempo si è aperta anche all'inconto tra diverse

DiveActive, da assistiti ad assistenti: persone disabili diventano istruttori di sub “Accetta la sfida”: è questo il motto di DiveActive, il progetto che offre a 15 giovani diversamente abili della provincia etnea l’opportunità di diventare operatore turistico specializzato in guida subacquea. Finanziato dal Fondo sociale europeo Sicilia, DiveActive è realizzato dall’associazione Life onlus, dal Comitato provinciale di Catania del Cip (Comitato paralimpico italiano), dalla cooperativa sociale Nikes e dall’Isis – Istituto statale istruzione superiore Politecnico del mare “Duca degli Abruzzi”. «L’amore per il mare e la voglia di mettersi in moto a favore di soggetti svantaggiati hanno dato vita a questa idea – spiega Carmelo La Rocca, presidente di Life onlus, ente capofila del progetto –. Venti anni di lavoro in acqua con soggetti diversamente abili mi hanno fatto capire che non esiste alcun limite per chi ha voglia di fare qualcosa». Grazie a un percorso formativo teorico e pratico, i ragazzi potranno acquisire le competenze relative alla professione della guida subacquea e ottenere i brevetti Padi o Hsa (Handicapped Scuba Association). Il conseguimento del brevetto consentirà di ribaltare del tutto il “ruolo del disabile”: da assistito ad assistente, perché guiderà altri sub durante le immersioni. «Siamo convinti che, grazie alla preparazione acquisita e alla conoscenza della lingua inglese, si potranno concretizzare numerose, reali opportunità lavorative», aggiunge Carmelo La Rocca. Al già avviato percorso di formazione e di orientamento al lavoro, seguiranno lo stage e la work experience assistita. Infine, i 15 giovani realizzeranno e gestiranno una cooperativa di tipo B che si occuperà di percorsi turistici e di educazione al diving, rendendo il turismo locale più accessibile. Alessandra Mercurio

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generazioni, tra giovani e anziani. In questo modo stiamo ampliando il campo delle nostre iniziative». Dell’Auser fa parte il famoso Filo d’argento: come funziona? È il servizio che ci ha reso noti a livello nazionale. Si tratta di un numero verde, 800995988, a cui si possono rivolgere gli anziani che vogliono informazioni sui servizi presenti nel territorio e che possono chiedere un servizio d’accompagnamento qualora abbiano bisogno di spostarsi per visite sanitarie o per l’acquisto di farmaci. C’è una differenza tra il servizio nazionale e quello realizzato in Sicilia: abbiamo scelto di collocare il nostro call center a Palermo per favori-


scarpcatania Fiera Bio

Dieci anni “equobiolocali” con un occhio alla solidarietà Mercato e giornale Il “nostro” Tony Bergarelli con Antonio Coco, uno degli organizzatori della Fiera Bio

re una più approfondita conoscenza della realtà territoriale regionale. L’anziano in cerca di informazioni sui servizi, viene collegato all’Auser di competenza che si occupa delle sue esigenze. Quanti sono attualmente i volontari dell’Auser di Catania? Come lo si diventa? Siamo circa una trentina di volontari attivi. Chiunque può divenire volontario iscrivendosi all’associazione e dando la disponibilità di un tempo di servizio. Basandoci sulle esigenze di volontari e assistiti, riusciamo a garantire i servizi. Partirà anche a Catania un servizio che permetta agli studenti di coabia-

Domenica 10 novembre a Catania, nello splendido complesso costituito dal giardino e dal chiostro dell’istituto per ciechi “Ardizzone Gioeni”, si è svolto il consueto appuntamento mensile con la “Fiera Bio”. Appuntamento speciale, però: si festeggiavano dieci anni “equobiolocali”. La Fiera Bio è organizzata direttamente dai produttori agricoli con prodotti biologici, tipici e locali. La caratteristica di pregio che contraddistingue questo mercatino è il commercio equosolidale, cioè quella forma di attività commerciale che mette al primo posto non la realizzazione di un alto profitto, bensì la lotta allo sfruttamento e alla povertà. Oltre a proporre prodotti alimentari che rispettano l’ecosistema agricolo, sfruttando la naturale fertilità dei terreni con interventi limitati, senza avvalersi di sostanze chimiche che alterino i processi naturali, la fiera fa spazio anche all’artigianato ecologico, realizzato con materiali non inquinanti e di facile smaltimento. Inoltre, il tutto è allietato da gruppi multietnici, che con i loro suoni attraggono e deliziano il visitatore. Infine vi sono settori dove le degustazioni sono gratuite... Tutto questo in un autentico spirito di solidarietà sociale. Dunque Scarp de’ tenis non può mancare... Infatti un redattore e diffusore della sede di Catania (nello scorso novembre, l’autore di questo articolo) provvede alla vendita del mensile. La gente acquistandolo trova risposte, dissipa dubbi e perplessità, perché davanti a sé ha il fruitore finale di parte del prezzo di copertina: esempio concreto, tra tanti banchetti equi e bio, di solidarietà sociale. Tony Bergarelli

tare con gli anziani, come già succede in altre parti d’Italia? Al centro-nord, essendoci un numero più elevato di richieste, queste iniziative sono appoggiate da enti locali e da associazioni e fondazioni che finanziano i progetti. Da tempo vogliamo realizzare questa iniziativa anche a Catania: chiederemo al comune di aiutarci a far diventare realtà questo progetto. Come associazione, da soli, non possiamo fa-

re molto. Ma ci siamo rivolti anche al Sunia e alla Cgil di Catania per realizzare un’indagine, tra gli anziani, per conoscere la situazione abitativa in città e promuovere iniziative conseguenti. La coabitazione tra anziani e giovani è un obiettivo in cui crediamo molto e che faremo di tutto per relizzare in futuro. INFO Auser Catania, via Crociferi,40 tel.095.7159011 (lunedì-venerdì, 912 e 15-18).

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poesie di strada

Dedica Dedico questa poesia ai miei figli, e a chi la sente, a chi la sente come me. Ma la punto come un’arma, contro chi non sa accettare. A chi non sa accettare la verità di un semplice uomo che ha sbagliato, a chi non sa capire né tantomeno perdonare. A voi degni di stare al mondo, a voi degni di non volerci guardare, per non capire quanto stiamo male. A voi che mi considerate come un animale. Guardatemi! Guardatemi! Guardatemi! E adesso, imparate ad amare. Fabio Schioppa

Sarà Un papà Natale speciale A dicembre, già dai primi giorni, del circondario si osservano altri contorni, dei negozi le vetrine diventano più carine, molto colorate, dagli addobbi natalizi ornate, molto più accoglienti per l’ingresso dei clienti. Nell’animo avverto una dolce atmosfera, specialmente quando scende la sera e diventa più lento il mio passo perché rinunciare di ammirare non posso allo spettacolo delle molteplici luci variopinte da far sembrare tutte le cose dipinte. Nell’animo avverto un senso di pace, una dolce atmosfera, pensando che fra poco sarà Natale, di tutte la festa più bella, la festa più vera. Mr Armonica

Noi uomini Che ne sarà di noi uomini persi nella solitudine del deserto? Quando le nostre anime troveranno la forza di forare il muro di sabbia che copre i nostri sogni, allora, ci accorgeremo che ogni uomo lascia di sè una traccia lieve o indelebile, che nell’arco della vita sarà scia di messaggi per le nostre idee e per il mondo intero! Gaetano Toni Grieco

Al mio amatissimo papà. La nostalgia del ricordo dei giorni passati, vissuti con te. Tu maestro di vita, forte e dignitoso, hai sempre dato esempio di fedeltà ai valori della famiglia e della dignità. La tua infinita pazienza ti ha ricompensato per la lealtà e il grande amore che hai saputo sempre dare. Ogni anno che passa mi priva dei tuoi abbracci e della tua insostituibile presenza. Però ogni anno che passa avvicina sempre più il momento di riunirci. Questa maledetta distanza obbligata rafforza il nostro cuore e non potrà mai separare il nostro immenso sentimento. Mio amatissimo papà festeggia questo importante giorno perché io sono e sarò sempre vicino a te. Il tempo è nostro amico, nessuno potrà mai fermarlo e presto sarà lui a riportarmi da te. Sei grandissimo e unico papà, sei il mio indispensabile riferimento, ieri, oggi, domani, sempre. Auguri papà, dal tuo Marco che ti vuole infinitamente bene. Domenico Casale

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ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Alleanza contro quale viviamo, come l’agenda la povertà. E per le riforme. Venti per il buon vivere, come associazioni ed enti spronano l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. la politica: “Nel 2014 un Piano Ventuno è la nostra Nazionale e il reddito di inclusione!” idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e ventunoeconomia Arriva il nuovo l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno. Isee: il ministero promette più equità

di Andrea Barolini

21 ventunostili Il boom del car sharing sotto le guglie del Duomo. Milano capitale dell’auto condivisa

di Leonardo Pedroni

ventunorighe Lotta alla povertà: invertiamo la rotta

di Francesco Marsico responsabile area nazionale di Caritas Italiana

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21ventunodossier Coalizione per incalzare la politica: «Nel 2014 serve un Piano nazionale per una misura universale di sostegno ai poveri»

Da una parte i poveri “assoluti”, raddoppiati in Italia negli ultimi cinque anni. Dall’altra il vuoto di risposte istituzionali: la legge di stabilità al vaglio del parlamento prevede solo misure di limitato rilievo, rinunciando nei fatti al varo di una delle forme di reddito minimo di cui si è discusso negli ultimi mesi. Così venti soggetti (associazioni ed enti locali), si sono uniti nell’Alleanza contro la povertà: presto una proposta dettagliata al governo. Ma i principi ci sono già... 60. scarp de’ tenis dicembre 2013 - gennaio 2014

Acli e Caritas promotori

«Un Piano nazionale, un reddito di inclusione» La legge di stabilità non ha mantenuto le promesse, benché nei fatti introduca la novità: impegna infatti solo briciole di risorse (introdotte tramite il maxiemendamento di fine novembre, pare 40 milioni all’anno per tre anni) per il Sostegno per l’inclusione attiva (Sia), che il ministero del welfare aveva fatto studiare in estate da un tavolo tecnico e aveva presentato a settembre. L’Italia continua dunque a restare, insieme alla Grecia, l’unico paese dell’Europa a 15 senza uno strumento “universale” di lotta alla povertà assoluta. Fenomeno, peraltro, in dilagante espansione, nel corpo vivo del paese. L’Istat ha certificato che nel 2012 l’8% delle persone residenti in Italia vivevano in povertà assoluta, mentre nel 2005 erano il 4,1%: sono raddoppiate in sette anni, giungendo a estri organismi di farlo) per contribuire sere circa 4,8 milioni, e sono cresciute alla sollecitazione e alla costruzione di di oltre due punti percentuali nell’ulpolitiche pubbliche contro la povertà timo anno, fatto senza precedenti nelassoluta. Il parterre di sigle promotrici la storia dell’Italia repubblicana. e coinvolte (vedi box pag. seguente) inQuesto dramma sociale, e questo clude coordinamenti di enti locali, asvuoto di risposte istituzionali (la legge sociazioni cattoliche e laiche, coordidi stabilità 2014, nella versione varata namenti di enti. C’è anche Caritas Itadal governo, prevede manovre di limiliana, insieme alle Acli promotrice deltato rilievo per ampliare l’utilizzo dell’iniziativa sin dai suoi primi passi, la social card e reintegrare, ma solo in coincidenti con la formulazione della minima parte, gli aiuti alimentari deproposta di un Reddito di inclusione finanziati dall’Ue), rendono dunque sociale (Reis – www.redditoinclusiodegna di particolare rilievo la nascita, ne.it), presentata alla stampa nello ufficializzata a Roma l’11 novembre, scorso luglio. della “Alleanza contro la povertà in Italia”, coalizione di soggetti sociali che Documento in otto punti hanno inteso unirsi (e chiedono ad alOra, a partire dall’intuizione del Reis e

AP PHOTO / LUCA BRUNO

Povertà da battere? Tempo di Alleanza


Alleanza contro la povertà

Ricerca vana In piazza Duomo, a Milano, un uomo fruga nel borsello: banconote o spiccioli?

dai contenuti del Sia, i soggetti aderenti all’Alleanza sollecitano il governo a fare del 2014 il primo anno di un organico Piano nazionale contro la povertà. Ecco il documento programmatico presentato alla stampa, e declinato in otto punti, che l’Allenza si ripromette di far evolvere entro tre mesi, cioè entro febbraio, in una dettagliata e articolata proposta di riforma delle politiche di lotta alla povertà in Italia.

Punto 1. Far partire il Piano nazionale contro la povertà. L’Alleanza chiede al governo di avviare nel 2014 un Piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale. Il Piano dovrebbe contenere le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell’intervento. Pertanto sarebbe necessario impegnare da subito risorse adeguate (…).

Punto 2. Gradualismo in un orizzonte definito. Nel primo anno riceveranno la misura un numero significativo di persone (vedi punto 3) e ogni annualità successiva vedrà il numero degli utenti aumentare rispetto alla precedente. Nella stesura del Piano, il legislatore dovrebbe prendere precisi impegni riguardanti il suo punto di arrivo e le tappe intermedie. L’ultimo anno corrisponderà al primo della misura a regime, a partire dal quale tutte le famiglie in povertà assoluta riceveranno la misura (…). Senza una simile prospettiva pluriennale, risulterebbe poco realistico immaginare la costruzione di un sistema locale di servizi adeguato alla lotta contro l’esclusione sociale. Questa costruzione richiede investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: gli enti locali, il terzo settore e le organizzazioni sociali impegnati nel territorio potranno realizzarla solo se riceveranno un’adeguata stima economica e revisionale almeno biennale.

Il parterre di sigle aderenti include coordinamenti di enti locali, associazioni di matrice cattolica e laiche, altri enti. Ma l’Alleanza è aperta: più adesioni arriveranno, più sarà forte la pressione sulla politica

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ventunodossier

Venti sigle

Alleanza aperta a tutti

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Acli Action Aid Anci Azione Cattolica Italiana Caritas Italiana Cgil Cisl e Uil Cnca Comunità di Sant’Egidio Confcooperative Conferenza delle regioni e delle province autonome Federazione nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Fio.psd Fondazione Banco Alimentare Forum nazionale del terzo settore Lega delle autonomie Movimento dei Focolari Save the Children Jesuit Social Network

L’iniziativa è nata da un’idea di Cristiano Gori, docente di economia all’Università Cattolica di Milano; le Acli ne curano il coordinamento politico-organizzativo, il professor Gori le attività del gruppo tecnico. La partecipazione all’Alleanza è aperta a tutti i soggetti sociali interessati alla lotta alla povertà in Italia.

AP PHOTO / ANTONIO CALANNI

All’Alleanza contro la povertà in Italia aderiscono venti soggetti rappresentativi ad alto livello del mondo ecclesiale, sindacale, del volontariato e delle istituzioni locali. Eccoli:

Punto 3. Prima i più deboli. (…) L’ordine di entrata nella misura viene definito esclusivamente in base alla condizione economica: si comincia da coloro che versano in condizioni economiche più critiche e progressivamente si copre anche chi sta “un po’ meno peggio” sino a rivolgersi – a partire dall’ultimo anno della transizione – a tutti i nuclei in povertà assoluta.

Punto 4. Cominciare subito con i servizi. Sin dall’inizio, dal 2014, la misura dovrebbe assumere alcuni tratti fondamentali. Dovrebbe costituire il diritto a una prestazione monetaria accompagnato dall’erogazione dei servizi necessari ad acquisire nuove competenze e/o organizzare diversamente la propria (Servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale per esigenze di cura e altro).

Punto 5. Assicurare continuità. Le prestazioni nazionali sperimentali o una tantum già esistenti contro la povertà assoluta confluiranno pro-

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Spirale perversa Prezzi scontatissimi: la povertà deprime i consumi, l’economia si blocca e genera povertà...

gressivamente nella misura. Ciò riguarda, anzitutto, la sperimentazione della “Nuova social card” (12 grandi comuni), la “Carta per l’inclusione sociale” (8 regioni del sud) e la Carta acquisti tradizionale (introdotta nel 2008). Per la precedenza a ricevere la nuova misura durante la transizione, al principio del “dare prima a chi sta peggio” si affiancherà quello del garantire la continuità. Pertanto, le persone in povertà assoluta che smetteranno di ricevere le prestazioni monetarie (a causa della loro cessazione) verranno traghettate nella nuova misura senza interruzioni del sostegno pubblico.

Punto 6. No a guerre tra poveri. La legge di stabilità 2014 avrà in discussione altre misure per il welfare sociale, a partire dai fondi nazionali (politiche sociali, non autosufficienza…), oggetto negli anni recenti di ta-


debito dei paesi poveri

Gli obiettivi dell’Alleanza

Patto stato-cittadini per garantire contributi economici e servizi L’Allenza nasce con l’intento dichiarato di costruire una proposta che solleciti governo e parlamento a varare “una misura nazionale a sostegno di chi si trova in condizione di povertà assoluta”. I tratti di tale misura dovranno essere quelli comuni alle misure assunte da tutti paesi Ue: dovrà trattarsi di “un contributo economico per affrontare le spese primarie, accompagnato da servizi alla persona (sociali, educativi, per l’impiego)”. Alla base di tale misura c’è un “patto di cittadinanza tra lo stato e il cittadino in difficoltà: chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere di impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione”. Per centrare un tale obiettivo, l’Alleanza intende condurre diverse attività, così indicate nel documento fondativo: • svolgerà un lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica • promuoverà un dibattito basato sull’evidenza empirica concernente gli interventi esistenti e quelli proposti • si confronterà con le forze politiche e farà pressione affinché compiano scelte favorevoli alla lotta contro la povertà • elaborerà una propria dettagliata proposta di riforma.

Tabella 1

Misura di sostegno per l’inclusione sociale In che cosa consiste? Un contributo monetario pari alla differenza tra il reddito familiare e la soglia Istat di povertà assoluta

Come si articola? Al trasferimento monetario si accompagna l’erogazione di servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, per esigenze di cura e altro

Chi la fornisce? Viene gestito a livello locale grazie all’impegno condiviso di comuni, terzo settore, centri per l’Impiego e altri soggetti

Punto 7. Il finanziamento deve essere assicurato dallo stato. A regime la misura dovrà costituire un livello essenziale delle prestazioni sociali, dunque interamente finanziato dallo stato. Eventuali finanziamenti con fondi europei o altro (…) potrebbero essere utilizzati parzialmente durante la transazione, ma solo in presenza di un chiaro impegno dello stato per la situazione a regime. Il possibile contributo finanziario di donatori privati svolgerà un ruolo di rilievo, con funzione complementare rispetto al necessario finanziamento statale del livello essenziale. Evidenziare la necessità del finanziamento statale non significa svilire tutto quello che è già stato realizzato dal territorio contro la povertà. Al contrario, ciò dovrà essere valorizzato e confluire nella riforma. (…)

Punto 8. Valorizzare la partecipazione sociale.

Tabella 2

Lo spread che riguarda i poveri

. 0,1%

del Pil nazionale: spesa italiana contro la povertà. La media europea è 0,4%. In Italia, la spesa pubblica primaria è 45,6% del Pil, mentre quella per la protezione sociale 26,5% del Pil

. 0,34%

gli radicali, che ne mettono in discussione la sopravvivenza. L’investimento sulla lotta alla povertà assoluta non può considerarsi in alcun modo sostitutivo del necessario rifinanziamento di questi fondi. Allo stesso modo, le risorse necessarie per finanziare la misura contro la povertà assoluta non dovranno essere recuperate togliendole ad altre fasce deboli o a rischio di fragilità della popolazione.

del Pil: sforzo economico per colmare la distanza tra spesa antipovertà italiana ed europea. Si tratta di 6,1 miliardi di euro

L’efficacia della nuova proposta di riforma è commisurata al pieno coinvolgimento delle organizzazioni sociali e del terzo settore con le istituzioni interessate, sia nella programmazione che nella progettazione e gestione degli interventi.

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Tabella 3

Gradualismo a partenza lenta Anno 2014 2015 2016 2017*

Ricevono la misura le famiglie con reddito… inferiore al 50% della soglia di povertà assoluta inferiore al 72% della soglia di povertà assoluta inferiore al 90% della soglia di povertà assoluta inferiore al 100% della soglia di povertà assoluta

Quante famiglie? (% utenti) 375 mila (33%) 600 mila (53%) 940 mila (83%) 1.130 milioni (100%)

Spesa pubblica (miliardi di euro) 0,9 2,2 3,7 6,1

(* primo anno a regime) dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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21ventunoeconomia Con il nuovo strumento, operativo dalla prossima primavera, meno ambiguità nei calcoli per l’accesso ai servizi

“Tagliando” all’Isee, diventerà più equo di Andrea Barolini Non è giusto che tutti paghino le prestazioni sociali o i servizi di pubblica utilità allo stesso modo. Non è giusto, ad esempio, che una persona diversamente abile, figlia di un multimilionario, acceda a un servizio dedicato pagando la stessa cifra di chi è affetto dallo stesso problema, ma fa parte di una famiglia monoreddito che fatica ad arrivare alla fine del mese. È sulla scorta di questo – elementare – presupposto che il governo italiano ha deciso, nel 1998, di dotarsi di uno strumento capace di ponderare al meglio le tariffe, al fine di minimizzare le sperequazioni. Nasceva così l’Isee, ovvero l’Indicatore della situazione economica equivalente. Uno strumento di verifica della reale condizione reddituale e patrimoniale delle famiglie, costituito partendo dall’Ise (Indicatore della situazione economica, ovvero il valore assoluto dato dalla somma dei redditi e dal 20% dei patrimoni mobiliari e immobiliari dei componenti il nucleo familiare), integrato a sua volta da una serie di altri parametri. Nel corso degli anni, tuttavia, sono sorti parecchi dubbi sull’effettiva capacità dell’indicatore di assolvere al suo compito principale: rendere più equo l’accesso ai servizi pubblici da parte dei cittadini, tutelando in modo particolare coloro che sono più vulnerabili. Non soltanto, infatti, spesso si sono prodotte si-

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Il ministero del welfare vara la nuova versione: meno disparità . E la possibilità di tenere conto di cambiamenti recenti tuazioni ingiuste, se non addirittura paradossali, a causa della natura stessa dell’indicatore, ma la crisi degli ultimi anni ha contribuito a creare ulteriori problemi. Primo fra tutti il fatto che l’Isee è sempre stato calcolato sulla base dell’ultima denuncia dei redditi. Chi ha presentato una dichiarazione Isee, poniamo, nello scorso marzo, ha dovuto prendere inevitabilmente come riferimento la denuncia dei redditi del giugno 2012. Che, a sua volta, si riferiva all’ultimo anno fiscale utile, ovvero il 2011. Nonostante gli stravolgimenti economici degli ultimi tempi abbiano reso molto più variabili le condizioni economiche delle famiglie.

La disponibilità reale Per questo da più parti (associazioni, ma anche enti locali) è stata avanzata la richiesta di una revisione profonda del sistema. Dopo anni di discussioni il Governo ha approvato il 3 dicembre scorso il nuovo strumento. «Entro fine anno sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale», spiega a Scarp Raffaele Tangorra, responsabile della Direzione inclusione del ministero del welfare. Il che non significa che già a partire da gennaio il nuovo metodo di calcolo sarà operativo: «Occorrerà prima superare alcuni passaggi burocratici, che richiedono 120 giorni di tempo. Possiamo perciò considerare che il nuovo Isee verrà utilizzato effettivamente a par-

tire dalla primavera», aggiunge il dirigente. Ma quali saranno le nuove caratteristiche? Mentre questo numero di Scarp va in stampa, non sono state ancora specificati i dettagli. «Ma possiamo dire – prosegue Tangorra – che la proposta del governo è stata confrontata con i rappresentanti delle regioni e degli altri enti locali. Trattandosi di un decreto del presidente del consiglio dei ministri, inoltre, è stato necessario ottenere un parere del consiglio di stato. Sono state inoltre ascoltate le numerose indicazioni qualitative e di indirizzo arrivate dalle commissioni parlamentari competenti». Uno dei nodi cruciali, relativo soprattutto alle persone diversamente abili, è legato al fatto che ai fini del calcolo dell’Isee si considerano anche le indennità di accompagnamento o le pensioni di invalidità. Si tratta di un fattore che può arrecare un danno oggettivo ai portatori di handicap, e che il ministero spiega di aver dovuto mantenere, sebbene modulandolo in maniera da tentare di minimizzarne l’impatto: «Modificare tale decisione non rientrava nei nostri poteri – spiega il dirigente ministeriale –, dal momento che si tratta di un paletto prefissato. Però un conto è calcolare semplicemente una pensione o un altro trattamento ricevuto, un altro è considerare la disponibilità reale di risorse che ne deri-


nuovo Isee va. Abbiamo tenuto conto di quanto percepito dalle persone disabili, ma anche delle spese che hanno a loro carico. Rispetto alla norma precedente, inoltre, abbiamo individuato tre diverse tipologie di disabilità: media, grave e quella che provoca una condizione di non-autosufficienza. Permetteremo di detrarre le spese in ragione dei nuovi parametri».

Ecco i “livelli essenziali” Un altro problema sorto col “vecchio” Isee è legato alla scarsa omogeneità nel territorio nazionale. Il nuovo testo proposto parla di “livello essenziale” (dicitura con la quale si intende un dato che dev’essere valido sull’intero territorio nazionale). Ma nello stesso si specifica anche che “sono fatte salve le competenze regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie, ferme restando le prerogative dei comuni”. Un indicatore unico, insomma, ma che non lede l’autonomia degli enti locali. Cosa significa concretamente ciò? In molti hanno storto il naso. Il rischio è infatti che, esattamente come accade oggi, anche in futuro si potranno avere trattamenti diversi in funzione della regione nella quale si risiede, se non addirittura tra centri urbani limitrofi. «Nel provvedimento in via di approvazione – indica ancora Tangorra – si conferma la natura dell’Isee, che è appunto quella di un “livello essenziale”, che sarà puntuale e uniforme in tutto il paese. Si tratta cioè di un dato sul quale si dovranno basare tutti. Detto ciò, è inevitabile che se una regione dovesse decidere di assumere una politica particolare, avrà facoltà di affiancare all’Isee ulteriori parametri». Dovrebbe però essere (almeno parzialmente) superato il problema della distanza temporale che spesso si presenta tra le situazioni economiche dichiarate, che si basano su dati che possono essere

Il quoziente “Parma”

Poche risorse. E l’integratore comunale è finito male... «Una strumentalizzazione ideologica e politica». Era il febbraio scorso quando l’assessore al welfare Laura Rossi commentava la decisione – arrivata il 26 novembre precedente – di cancellare il “Quoziente Parma”. Si trattava di un indicatore che nel capoluogo emiliano si affiancava all’Isee, con l’obiettivo di orientare in modo più puntuale (ed era uno dei pochissimi tentativi in Italia) sconti e agevolazioni alle tariffe dei servizi pubblici. In sintesi, il quoziente prevedeva che le famiglie numerose, così come quelle con anziani o disabili a carico, avessero diritto a pagare meno, a parità di reddito, rispetto ai nuclei che non presentavano tali caratteristiche. Uno “sconto” coperto dal bilancio comunale, che però è stato cancellato dalla giunta Pizzarotti (M5S), in quanto giudicato economicamente insostenibile. Secondo associazioni come Vita, in realtà, sarebbe bastato recuperare le risorse facendo pagare di più a chi può permetterselo. Anche perché il provvedimento ha riguardato soltanto 2 mila famiglie su un totale di 90 mila. Fatto sta che il quoziente è stato eliminato. Ciò che rimane, invece, è la necessità di un accesso più equo ai servizi.

vecchi di molti mesi, e quelle reali al momento della presentazione. «Con il nuovo indicatore – ha rivelato ancora a Scarp il ministero del welfare – il riferimento iniziale resterà l’ultima dichiarazione dei redditi, ma la novità è che, se intervengono dei cambiamenti, sarà possibile aggiornare la propria situazione. Ad esempio, nei casi di perdita del lavoro o di decesso di un membro della famiglia, si potrà fare valere la condizione dei dodici mesi precedenti rispetto al momento in cui si effettua la domanda». E c’è un altro elemento di iniquità del vecchio Isee che sta per essere superato, ovvero il fatto che «in un considerevole numero di dichiarazioni ciò che veniva affermato non rispondeva alla situazione reale – aggiunge Tangorra –. In alcune aree del paese, in particolare, risultano frequenti ed evidenti le incompatibilità tra, ad esempio, i dati relativi al patrimo-

nio mobiliare e le condizioni economiche dichiarate. Un’importante innovazione sarà il fatto che in futuro i dati non verranno assunti dalle dichiarazioni ma direttamente dall’Agenzia delle entrate, sulla scorta dell’esperienza della social card». Non sarà più possibile, inoltre, “nascondere” i propri conti correnti, ad esempio chiudendoli pochi giorni prima del 31 dicembre e riaprendoli ai primi di gennaio di ciascuno anno (facendo fede, appunto, la “situazione al 31 dicembre”): «Considereremo d’ora in poi il valore medio del saldo del conto dell’ultimo anno. In questo modo non saranno più possibili comportamenti omissivi». Quando al metodo di calcolo, «sappiamo che oggi l’Isee tende di fatto a favorire i più ricchi. Il costrutto del nuovo indicatore prevede invece un sistema fatto di franchigie e detrazioni capace di tenere conto dell’incidenza delle spese. Tornando al caso dei disabili, ad esempio, la possibilità di detrarre le spese consentirà di trattare in modo più generoso i casi più gravi da un punto di vista medico e le situazioni più difficili dal punto di vista economico». Si tenterà di risolvere, infine, anche la questione delle famiglie che si fanno carico di una persona non autosufficiente: «Fanno un servizio alla società, e di ciò verrà tenuto conto...».

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21ventunostili La liberalizzazione delle licenze sta facendo vivere a Milano una grande diffusione dell’auto in condivisione

Car sharing, i motivi di un boom

testi di Leonardo Pedroni Utilizzare una macchina che non sia la propria, pagandone l’uso e in certi casi il consumo di benzina, per muoversi all’interno della città. Car sharing, in parole povere. A Milano, come in molte realtà europee, questo sistema sta vivendo un vero e proprio boom. Gli ultimi imprenditori di settore arrivati (i tedeschi di Daimler con Car2go e 450 smart bianche e blu) hanno invaso il mercato libero sbaragliando la concorrenza, sia per consumi sia per comodità dei mezzi messi a disposizione. Le piccole city car sono comode da parcheggiare all’interno della cinta urbana. Un successo certificato da 40 mila iscritti in meno di un mese: bruciato lo start up di tutte le città europee in cui l’azienda (presente in 19 realtà) ha aperto la propria attività.

Ai milanesi piace risparmiare Ai milanesi piace l’idea del risparmio. Piace a tal punto che a dicembre anche Eni, Fiat e Trenitalia, che hanno fiutato l’affare, lanceranno un proprio car sharing. Le altre due società presenti oggi

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con il proprio parco auto sono GuidaMi, dell’Atm, ed E-vai, legata al trasporto ferroviario. Una piccola differenza con Car2go, e forse il vero motivo dell’exploit di quest’ultima iniziativa, è il pagamento esclusivo dell’utilizzo del mezzo, senza costi aggiuntivi: niente carburante, niente tariffa a chilometraggio. Con Car2go si paga solo l’affitto della piccola Smart, e per soli 29 centesimi di euro al minuto è possibile circolare liberamente a Milano. Altra comodità è poter lasciare la macchina ovunque si voglia, strisce blu e gialle comprese. Un particolare importante, dato che le altre compagnie non permettono queste libertà e si è obbligati a lasciare il mezzo esclusivamente negli stalli delle compagnie proprietarie.

I benefici del car sharing Quali sono i benefici che il car sharing comporta per la città di Milano? Secondo una statistica di Legambiente (vedi box a lato) una city car di qualsiasi azienda toglie dalle strade congestionate ben sei autoveicoli. Un risparmio notevole, in termini di inquinamento e vivibilità del-

la città. Legambiente è partner di GuidaMi in quest’avventura. Chi possiede una tessera annuale dell’associazione ambientalista (15 euro per gli under 28 e 30 per gli over 28) si vede dimezzato l’abbonamento, che passa così da 120 a 60 euro annui. Un piccolo ma non insignificante incentivo, cui GuidaMi aggiunge la possibilità di un test drive di tre mesi al costo di soli 50 euro, durante il quale il cliente potrà rendersi conto se ne vale o no la pena investire i suoi soldi nel servizio. Se ci si sofferma sulle due compagnie, GuidaMi ed E-vai, che all’affitto del mezzo aggiungono il pagamento a chilometraggio (in pratica il costo della benzina), si potrebbe concludere che il miglior car sharing in funzione a Milano sia Car2go. Non fatevi ingannare, però, dalle apparenze. Vero che l’azienda tedesca (le Smart sono di proprietà del Gruppo Daimler) sembra la più economica, ma tutto dipende dall’uso che se ne fa. Per pendolari che arrivano a Milano per lavoro o studio, l’utilizzo del mezzo per un tragitto sempre uguale, che prevede un


car sharing

lasso di tempo costante, può essere la soluzione migliore. Altro discorso se si parla di dover percorrere pochi chilometri in un traffico caotico, nel quale il tempo speso sovrasta l’effettivo uso del mezzo: in questo caso è meglio scegliere le soluzioni con pagamento a chilometro, cui si aggiungono i pochissimi euro del noleggio orario (per la precisione, 0,45 euro con GuidaMi e 0,48 euro con E-vai). Insomma: c’è una soluzione ideale (e differente) per ogni tipo di utilizzo. A quelle esistenti, dalla seconda metà di dicembre, si diceva, a Milano si aggiungerà anche quella fornita dal servizio di car sharing dell’Eni. Si chiamerà Enjoy e avrà una flotta di 640 macchine circa, tutte Fiat 500, grazie a un accordo con il costruttore torinese, partner dell’operazione insieme a Trenitalia.

E le elettriche? Risparmio e rispetto dell’ambiente sono ovviamente garantite anche dalle auto elettriche. In questo caso, Car2go è fuori dal giro: possiede solo auto a benzina. Rimangono in gioco le dirette avversarie, che hanno ampliato il loro parco auto con modelli elettrici o ibridi, capaci di garantire un sicuro risparmio energetico e potenziale inquinamento zero. E-vai ha a disposizione ben quattro auto tipi di elettriche (Peugeot ion, Mitsubishi imiev, Citroen C-zero e Fiat Panda). GuidaMi invece circola con sole due auto, Peugeot ion e un’ibrida Toyota, la Prius. In ogni caso, un’auto privata che percorre fra i cinque e i diecimila chilometri costa (tra bollo, assicurazione, manutenzione, carburante, garage) circa 6 mila euro annui. Il servizio di car sharing, senza distinguere tra società, permette di risparmiare circa il 30%, cioè fra mille e duemila euro annui. Non male, in tempi di crisi: ciò che fa bene a città e ambiente, fa gongolare anche il portafoglio.

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I pregi del car sharing

Meno auto, meno emissioni e più qualità della vita L’idea di base del car sharing si fonda sulla possibilità di permettere a più utenti di utilizzare autonomamente in periodi diversi la stessa autovettura, previa prenotazione, senza dover pagare costi fissi di manutenzione, tasse, assicurazione e rifornimento, ma solo il reale utilizzo. Dell’auto che scegli paghi solo il tempo in cui la usi e i chilometri che percorri. Le autovetture sono a disposizione 24 ore su 24, in parcheggi su strada e autorimesse, distribuite capillarmente nel territorio. Sono inclusi carburante, assistenza stradale h24, assicurazione, copertura furto e incendio, tagliandi, manutenzione e pulizia. A Milano si parcheggia gratuitamente sulle strisce blu e gialle e si accede a corsie preferenziali, zone a traffico limitato e Area C. Il servizio offre la possibilità di guidare un’auto solo quando se ne ha bisogno: con il car sharing si possono guidare auto nuove, conformi alle ultime normative europee in tema di rispetto ambientale. E si può anche scegliere l’auto giusta al momento giusto: una city car per gli spostamenti in città o una monovolume per il tempo libero. Finalmente solo il piacere della guida, senza alcun problema per l’acquisto, la manutenzione, il parcheggio e l’assicurazione dell’auto propria. L’auto si paga a tempo e in base ai chilomteri percorsi. La si può utilizzare anche solo per un’ora, con una procedura di prenotazione e ritiro snella e veloce, godendo di tutti i vantaggi dell’auto. Con il car sharing, si contribuisce a migliorare la qualità dell’ambiente, si risparmia e non si modificano le abitudini.

I vantaggi per l’ambiente L’utilizzo del servizio car sharing non è solo un vantaggio per l’utente, è un grande vantaggio per l’ambiente. Ogni auto in car sharing sostituisce in media sei auto private. Car sharing vuol dire meno auto(im)mobili in sosta sulla strada, e spazio prezioso liberato nelle città. Si calcola inoltre che in città chi utilizza il servizio di car sharing riduca del 35-40% i propri consumi, grazie a un utilizzo dell’auto più razionale e a un maggiore utilizzo del trasporto pubblico, oppure dei percorsi effettuati a piedi o in bicicletta. Insomma, car sharing vuol dire meno auto, meno emissioni, più qualità della vita. Informazioni www.carsharingitalia.org

Tabella 1

Quanto costa il car sharing a Milano

1 ora

1 giorno

Car2go – elettrico Car2go – benzina, gpl 14,90 € Guidami – elettrico Guidami – benzina, gpl 2,20 € + 0,45 € km E-vai – elettrico 5€ + 5€ silver (gold gratis) E-vai – benzina,gpl 2,40 € + 0,48 € km + 5€ silver (gold gratis)

59,00 € 45€ + 0,45€ km 60€ 28,80€ + 0,48 € km dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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ventun righe di Francesco Marsico responsabile area nazionale di Caritas Italiana

Lotta alla povertà: invertiamo la rotta Parlare della legge di stabilità prima della sua definitiva approvazione è sempre operazione un po’ rischiosa. Ma il testo della legge, approvata dal consiglio dei ministri a metà ottobre e poi cambiata dal parlamento, indica tendenze complessive sulle quali è possibile esprimersi. Una premessa. L’Istat recentemente ha segnalato due dati: il raddoppio della povertà assoluta negli ultimi cinque anni e la crescita degli indicatori di deprivazione materiale. In particolare, nel primo semestre 2013, il 17% delle famiglie dichiara di aver diminuito la quantità di generi alimentari acquistati e, insieme, di aver scelto prodotti di qualità inferiore. Ma nei fatti, la legge che regolerà il bilancio dello stato nel 2014 non prende atto di questi dati e non contiene misure nuove da contrapporre alla povertà del paese, se non un ampliamento della sperimentazione della nuova social card (prevista dai precedenti governi) e 5 milioni di euro per gli aiuti alimentari. Si prospetta, quindi, un anno di attesa, non un anno di svolta. Ma una scelta il parlamento la deve fare: o mettere davvero in cantiere l’introduzione progressiva di una misura “universale” di contrasto alla povertà a partire dal 2014, o rafforzare la rete dell’aiuto alimentare in un anno che sarà ancora drammatico. La prima sarebbe una scelta che ci allinea al resto d’Europa, dove ovunque (tranne che in Grecia) vi sono forme di reddito minimo o sostegni per l’inclusione sociale. La seconda, sarebbe una scelta ragionevole e quasi obbligata, dal momento che rappresenta l’unico sostegno universalistico alle famiglie che il nostro paese riesce a oggi a garantire, grazie a una rete sussidiaria ramificata nei territori. Se non si farà nulla di ciò, bisogna avere la consapevolezza che la prossima rilevazione Istat registrerà un ulteriore incremento del dato di povertà. E nessuno potrà dire, allora, che non si è lasciato nessuno indietro. La neonata Alleanza contro la Povertà si ripromette di sollecitare la politica a una decisa inversione di rotta.

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lo scaffale

Le dritte di Yamada Sono rimasta sulla soglia per sette anni, prima di entrare in questo fortunato libro di Muriel Barbery. Ma come direbbe Renée Michel, la portinaia dello stabile parigino in rue de Grenelle al 7 – dove La bambina Peppino presta servizio e abita – «tutto viene a suo tempo». che era stufa e gli altri, del rosa gli invisibili L’ho finito da poco, e Madame Michel e Paloma già mi mancano tanto, tantissimo. Carlotta era una Peppino è sardo Mi hanno fatto compagnia coi loro pensieri e principessa rosa, ma vive a Pomezia. le pagine dei loro sinceri diari (il libro è l’alternarsi col suo vestito Vive sugli autobus, dei loro diari quotidiani) e si sono disvelate a me – rosa e il suo è un senzatetto. armadio rosa, Ha 38 anni, nella loro umanità complessa – con acuta intelligenza pieno di vestiti è abbastanza e immensa forza d’animo. rosa... Ma Carlotta giovane e Se Madame Michel la trovate al lavoro in guardiola, era arcistufa del abbastanza lento, Paloma Josse – l’altra protagonista, dodicenne figlia rosa! Voleva vestire ha una faccia di un ministro della Repubblica Francese e di una di rosso, verde, da bambino e giallo e non aveva lo sguardo sinistroide fintamente accordata col mondo, con voglia di baciare stralunato. È lui una sorella maggiore un po’ assurda e insensibile – rospi su rospi per che descrive il abita cinque piani più su, nei quattrocento metri quadri trovare il principe mondo della notte di un appartamento generoso di anfratti dove spesso, azzurro. Una storia in cui vive, nel per un po’ di pace, si nasconde dalla sua famiglia: divertente contro romanzo di Abate. i luoghi comuni di Le notti popolate due personaggi che, sulla carta, sembrerebbero genere, nei quali la di persone come lontanissimi per ceto sociale, età e aspirazioni collana Settenove lui, compagni (e vi accorgerete – leggendo – quanto Renée dannatariconosce sbandati o solo mente tenga ai distinguo tra le classi sociali) diventano la pericolosità a caccia di un – sulla carta di questo romanzo – due anime gemelle. degli stereotipi, posto nel mondo. individuando Aggrappati a La minuta Paloma è intelligentissima, adora in questi ultimi un sogno o a un comporre haiku e ha una naturale propensione a i germi della dolore. Si sentono leggere sé e gli altri con precisione. Con questi talenti prevaricazione. invisibili. E lo sono usma che «la vita è una farsa e non crede di poter per davvero. resistere fino alla fine». Ciononostante, cerca di Raquel Diaz Reguera Francesco Abate criticare, comprendere e intravvedere – nelle azioni C'è qualcosa di Un posto degli altri e nelle cose che pensano – dei motivi per cui più noioso anche per me vale la pena vivere. E li trascrive, riga dopo riga, sui suoi che essere una Einaudi due diari, dando vita a inventari che la salveranno, sgreprincipessa rosa? pagine 232 tolando il suo bozzolo originario. Settenove Edizioni euro 17.50 pagine 48 Madame Michel, invece, adora nascondersi negli euro 16 stereotipi della portinaia, agendo pedissequa per preservare le apparenze: sciatteria à gogo, gatto grasso e informe (ma si chiama Lev, come uno dei personaggi di Anna Karenina), tivù sempre accesa (che ignora), puzza di broccolo da mane a sera. E non è mai andata dal parrucchiere in vita sua. Ma... possiede una stanza tutta per sé, in fondo al corridoio della guardiola, che è il suo giardino segreto dove «gioire dei miracoli dell’Arte»: solo l’arte «ci salva dal nostro destino biologico», sostiene Renée. Lì trovano spazio una poltrona, un videoregistratore e tanti dvd. E uno stereo per la musica classica. È infatti appassionata di storia, filosofia, pedagogia, psicanalisi (frequenta biblioteche) e adora la letteratura, «tutta la sua vita». Renée e Paloma si conosceranno grazie a un nuovo inquilino – Kakuro Ozu – incarnazione dello spirito giapponese, intriso di bellezza e saggezza, che entrambe amano. L’apparizione di Kakuro è fondamentale per tutte e due. Lui le vede per quelle che sono e questo renderà i té al gelsomino sorseggiati in guardiola – da Renée, Paloma, lui e Manuela – momenti unici e illuminati. «Avevo incontrato l’altro ed ero pronta ad amare»: queste le parole che Madame Michel ci sussurra, sorridendoci dalla guardiola nel tramonto della sera. Auguriamocele, in tutti i nostri giorni che arriveranno. L’Eleganza del Riccio di Muriel Barbery, edizioni e/o

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Martini, un maestro per amico Quello che don Gabriele Corini racconta in queste pagine è il frutto di tanti incontri avuti tra Gerusalemme e Gallarate, e di scambi epistolari, puntualmente documentati nel libro, nei quali il cardinale Carlo Maria Martini si è rivelato autentico maestro e indimenticabile compagno di strada, attento a ogni particolare e a ogni svolta della vita sacerdotale dell’amico. La storia di una bella amicizia. Gabriele Corini L’amico dello sposo. Storia di un’amicizia straordinaria con Carlo Maria Martini Cooperativa In dialogo pagine 112 euro 10.50


Street art di Emma Neri

A Milano gli esami non finiscono mai. Neanche sulla strada

Milano

Capodanno al Menotti con i virtuosi della musica da riciclo Dal 5 al 31 dicembre il Teatro Menotti propone Agnes Browne, liberamente ispirato ai romanzi di Brendan OiCarroll. Lucia Vasini e gli Jashgawronsky Brothers sono i protagonisti, la regia è di Emilio Russo. Agnes ha un banco di frutta e verdura al mercato del Jarro, il quartiere più turbolento e proletario di Dublino. Ha sette figli e un marito che si gioca lo stipendio tra allibratori e bevute. Ma quando la sorte decide di portarsi via il manesco consorte, la protagonista è finalmente libera di ricominciare a vivere. In scena, insieme alla versatile Lucia Vasini, i virtuosismi demenziali della band Jashgawronsky Brothers, inventori del genere musicale più strano del mondo: la musica da riciclo! Usando strumenti inventati e costruiti con materiali di uso comune, riescono a ottenere suoni incredibili e a fare musica con scope, imbuti, barattoli e cucchiai. In occasione dello spettacolo si può passare il Capodanno al Tieffe Teatro: martedì 31 dicembre è prevista una rappresentazione doppia, l’ultima alle 22.30: dopo si brinda al 2014 con gli artisti della compagnia. Il costo è 45 euro. Dal 9 al 26 gennaio 2014 andrà invece in scena Lo zoo di vetro di Tennesse Williams, con Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto. Al centro della vicenda il fallimento di una famiglia, una madre che vive ancorata al ricordo di una giovinezza dorata, un gruppo di

ex giovani ormai senza più età. L’opera di Williams propone personaggi violentemente attaccati alle proprie illusioni e le tematiche ricorrenti dell’autore: l’alcolismo, la solitudine, la giovinezza come tempo perduto. Temi universali, che la maestria dello scrittore statunitense rende condivisibili dal pubblico di oggi come da quello del passato, in Americae in Italia. Alla fine degli spettacoli i venditori di Scarp de’ tenis, partner sociale del Menotti, propongono il giornale. INFO www.tieffeteatro.it

Milano

Mostre e spettacoli per il compleanno di Quelli di Grock Sono cominciati i festeggiamenti in casa dello storico teatro milanese Leonardo Da Vinci, che ha aperto i battenti nell’aprile 1974. Tante le iniziative, a cominciare da dicembre. Un libro, Quelli di Grock Story (sotto, la copertina), grazie alle immagini di

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La street art a Milano funziona. Funziona così tanto che gli artisti sono troppi e l’amministrazione riceve proteste dai cittadini. Musica troppo alta, esibizioni fuori orario, occupazione eccessiva di suolo pubblico: queste le lamentele principali. Ci sono state 122 sanzioni della polizia locale e i reclami ufficiali di cittadini e commercianti sono stati 18 dall’aprile scorso, quando il nuovo – e più elastico – regolamento comunale per la disciplina delle arti di strada è entrato in vigore. In seguito alle proteste, il comune è corso ai ripari; una delle soluzioni trovate consiste nell’istituire una commissione che valuterà le performance degli artisti, per capire quali possono riscuotere maggior gradimento da parte del pubblico di strada. I più quotati potranno continuare a esibirsi nella vetrina più ambita, ovvero la cosiddetta “Asse”, il percorso da piazza san Babila a piazza Castello, altamente congestionato, con richieste in continua crescita. Da aprile le assegnazioni sono state 18.458. Intanto però le periferie sono state dimenticate anche dagli artisti di strada. Forse questo provvedimento di selezione (già funzionante in altri paesi europei), che inesorabilmente lascerà indietro qualcuno degli artisti, li spingerà a esibirsi in luoghi meno affollati.

Roberto Rognoni, fotografo di scena della compagnia, racconta il percorso che essa ha compiuto negli ultimi vent’anni. Le immagini sono presentate in due mostre, una in corso alla Cascina Roma di San Donato Milanese, una in gennaio a Milano. Seguiranno anche un documentario e uno spettacolo importante: L’avaro di Moliere – fino al 1° gennaio –, che vede tornare in scena, come protagonista e regista, Claudio Intropido, socio fondatore della compagnia. Il 27 gennaio, per Libri in teatro, iniziativa realizzata in collaborazione con l’editore Marcos y


caleidoscopio Marcos, alle 19.30 reading teatrale sul libro Dizionario affettivo della lingua ebraica, di Bruno Osimo. Infine, Quelli di Grock festeggeranno regalando un biglietto omaggio valido per la data del compleanno, basta presentarsi alla biglietteria con la carta d’identità. INFO www.quellidigrock.it

Genova

Teatro Altrove riaperto con una sala dedicata a don Andrea Gallo Una buona notizia, la riapertura del Teatro Altrove di piazzetta Cambiaso, grazie alla solidarietà e alle azioni mirate di un gruppo di associazioni e abitanti del quartiere, segno di vitalità e di soggetti sociali che fanno rete.

Milano

Una locandina per comunicare cultura nella zona 6 Dencity è il progetto dei ragazzi del quartiere Giambellino, sostenuto da Fondazione Cariplo, che intende promuovere un sistema culturale integrato nella Zona 6 di Milano, reinterpretando e restituendo in chiave artistica e creativa le risorse territoriali del quartiere, con l’intento di formulare un’offerta culturale innovativa per l’intera città. Si comincia da un concorso per creare la locandina del progetto, che dovrà comunicare il senso di una proposta indirizzata a tutti gli abitanti, frequentatori e utilizzatori di quei luoghi. La grafica pensata per l’affissione dovrà essere attrattiva, ma avrà anche l’obiettivo di sollecitare la costruzione di nuove relazioni, per un ampliamento dell’offerta culturale dell’area Solari – Savona – Tortona. L’iniziativa intende coinvolgere designer, grafici, appassionati, artisti e creativi all’interno del progetto Dencity. La locandina, ogni due mesi, a partire da gennaio 2014 fino a febbraio 2016, verrà esposta nei punti strategici della zona Solari – Savona – Tortona, ovvero negozi, librerie, caffè, studi d’artista, con il fine di divulgare le notizie più interessanti della zona, legate ad attività culturali, eventi, appuntamenti, manifestazioni, locali. Il contest invita i partecipanti a gettare uno sguardo più approfondito sulla città, impegnandosi a immaginare una grafica che interpreti e valorizzi le molteplici identità della zona Solari – Savona – Tortona e che sappia comunicare a un pubblico nazionale e internazionale. I materiali vanno consegnati entro il 15 gennaio 2014. INFO e.mezzapesa@connectingcultures. info

La sala dove si svolgeranno gli spettacoli è stata dedicata alla figura di don Andrea Gallo. Nello spazio intitolato al sacerdote scomparso da pochi mesi compare una targa con una scritta: “Sala Andrea Gallo, prete da marciapiede, partigiano”. Tante le proposte dello storico teatro di quartiere, dalla stagione teatrale per ragazzi e per adulti, ai corsi e alle letture con i registi. Poi il bistrot del teatro, con aperitivi e cene etniche, e ancora musica live dal palco e rassegne cinematografiche. Offerta ampia, prezzi ristretti. INFO www.teatroaltrove.it

Torino

Nuovo sito internet dalle Vallette: «Il carcere non è una discarica» Un nuovo sito internet per il carcere torinese Lorusso e Cutugno, meglio conosciuto come Le Vallette, dal nome del quartiere in cui è nato. Un sito che lascia ben sperare riguardo al lavoro di recupero della popolazione carceraria. Infatti, oltre a dare informazioni di servizio per i familiari, è ricco anche di notizie, curiosità, testimonianze, progetti, attività, presenze dei volontari; una sorta di finestra su un mondo che troppo spesso viene rimosso. Bello anche l’editoriale che presenta l’iniziativa (firmato dall’ex direttore Pietro Buffa, dall’attuale direttore Giuseppe Forte e dalla vicedirettrice Francesca Daquino). Si legge infatti: “Il carcere è

Pillole senza dimora Gli homeless Hope progettano i dormitori della città Succede a Pedergnana, comune in provincia di Trento, dove hanno scelto di valorizzare il sapere esperienziale: ovvero coinvolgere nella soluzione di un problema di chi lo ha sofferto sulla propria pelle. Gli Hope – Homeless Peers – vengono coinvolti nella progettazione, oltre che nella gestione, dei dormitori. Il progetto è stato definito Fareassieme e promosso dai servizi psichiatrici di Trento già un anno fa. Sta dando ottimi frutti, perché gli operatori parlano già di enormi benefici nell’ordine pubblico, in quanto la presenza di persone che gli ospiti già conoscevano ha contribuito a creare un clima familiare. Il progetto Hope arriva dopo gli Ufe (Utenti familiari esperti), ovvero persone che hanno sofferto personalmente o hanno avuto un familiare con disagio psichico, impiegati in numero di 40 dal Servizio sanitario di Trento. Le persone Hope sono innanzitutto migranti e rifugiati ed ex senza dimora. La cultura, diritto di tutti: a Berlino homeless all’università Berlino è la città tedesca con il più alto numero di senzatetto, ma è anche una città solidale. L’ultima idea nata e realizzata per gli homeless è l’Università a loro dedicata, la Obdachlosen-Uni Berlin. Il progetto ha preso come modello la Megaphon-Uni, di Graz, in Austria, che offre un accesso gratuito alla conoscenza accademica attraverso conferenze, workshop e letture, indipendentemente dall’estrazione sociale delle persone. Ma Berlino è andata oltre: infatti alla ObdachlosenUni possono iscriversi anche persone senza dimora. L’obiettivo è offrire agli homeless i mezzi, attraverso l’educazione, per uscire dalla condizione di emarginazione sociale. Sono loro offerti corsi di cucina, studio della Bibbia, lezioni di filosofia, con incontri tenuti da volontari che vogliono promuovere fra i senza dimora l’idea del riscatto sociale.

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tre domande a... Federico Bagni di Daniela Palumbo

Quando le ombre diventano nomi, sei coinvolto Federico Bagni ha 36 anni ed è un volontario Caritas. Dopo il servizio civile svolto a Como (lui è di Cantù), presso lo sportello di Porta Aperta, che coordina i servizi della Caritas diocesana lariana per la grave emarginazione, Federico ha continuato a fare volontariato. La volontà di continuare è sorta grazie all’incontro con tante persone senza dimora, con le quali sono scattate spesso amicizia, comprensione, condivisione. E l’impegno continua oggi: tra entusiasmo e fatiche, speranze e disillusioni, Federico, gli altri volontari e operatori portano avanti un progetto che cerca di mettere al centro di tutto le persone. Federico ha però un’altra passione, oltre a quella dell’impegno nel volontariato: la scrittura. Collettivo Zampalù è il suo libro più importante, con la casa editrice Autodafè. Il romanzo racconta un’esperienza di scrittura collettiva fra i senzatetto di un centro diurno milanese. Sullo sfondo un’umanità dolente e una realtà ricca e complessa, dove la fatica di vivere non spegne, mai, la speranza. Collettivo Zampalù è una storia vera? Come in tutti i romanzi non sono mancati elementi di ispirazione, ma le vicende narrate sono inventate. Gli spunti che contribuiscono a costruire un libro sono sempre numerosi: alcuni di essi risalgono addirittura ai tempi del liceo, altri sono tratti dalla mia esperienza di volontariato in Caritas. Zampalù non esiste e al tempo stesso sì, esistono tanti Zampalù.

Seconda passione A fianco, Federico Bagni, volontario Caritas dai tempi del servizio civile, scrittore con una forte sensibilità sociale. Sotto, la copertina del suo Collettivo Zampalù, romanzo che narra di un laboratorio di scrittura per persone senza dimora

ci sono entrati un sacco di pensieri, anche. La prima cosa che cominci a chiederti è: ma tutta questa gente dove stava, prima? Com’è che non mi sono mai accorto di loro, in giro per la strada? Perché è così che va: quelle che un tempo erano solo ombre, accovacciate ai margini della strada o sopra una panchina, cominciano a diventare dei nomi, poi delle persone. E quando succede questo, significa che sei coinvolto: non puoi più fare finta di non conoscerli; non puoi più far finta di non sapere che ci sono, e che vivono in quelle condizioni. Ma tutti hanno una storia da raccontare, e il solo fatto di ascoltarli li fa sentire persone e non ombre.

Letteratura e impegno civile. Come scrittore sente questa responsabilità? Penso che la letteratura sia impegno civile. Qualunque storia che viene narrata racconta la realtà e cerca di offrire spunti di riflessione, anche le storie ambientate in contesti diversi da quelli cui siamo abituati. Certo, la scrittura non ha la pretesa di cambiare la realtà; però ha l’ambizione di far riflettere e, quindi, di generare un cambiamento. Perché fa volontariato in Caritas? Come ha cominciato? Penso al contesto delle persone senza dimora, che così Ho scoperto Caritas con il servizio civile, ai tempi in cui il servizio militare era ancora obbligatorio. Se non fosse stato tanta importanza ha in Collettivo Zampalù: l’auspicio è che questo romanzo venga letto non solo da chi già per quell’obbligo, probabilmente, non sarei mai entrato in contatto con la realtà della grave emarginazione. Una realtà conosce questa realtà, ma anche (forse soprattutto) di fronte alla quale è impossibile restare indifferenti, presto da coloro che guardano con diffidenza al mondo degli emarginati. Il primo passo per cambiare il mondo è aiutare è diventata parte di me. Come si fosse aperta una porta il prossimo a guardare al mondo con occhi diversi. Per che, da allora, non si è più richiusa: ci sono entrate un questo, come dicevo, la letteratura è impegno civile. sacco di persone, col loro carico di dolore e solitudine;

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caleidoscopio una città dentro una grande città, non la discarica umana di ciò che non va, da lasciare lì e dimenticare”. Il sito è stato realizzato con il contributo di regione Piemonte, Compagnia di San Paolo, Politecnico di Torino e agenzia Sharp Consulting Comunicazione. INFO www.carceretorino.it

Ricette d’Alex Il Natale dalle panzanelle al caffè: menù povero, ma ricco di gusto! Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti dopo aver appreso l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp.

Il Pranzo di Natale di Alex Piemonte

A Casale Monferrato Nomadi in concerto per la Sardegna Il 27 dicembre appuntamento con i Nomadi che si esibiscono in un concerto a offerta libera (minimo 10 euro): l’intero ricavato andrà alle zone alluvionate della Sardegna. Il concerto avrà inizio alle 21.30 nel Palazzetto dello sport di Casale Monferrato, provincia di Alessandria. La band emiliana è da tanto tempo impegnata nella solidarietà, infatti quasi ogni loro concerto ha una finalità sociale. INFO 334.235599 – info@nomadi.it

Vicenza

Il “Diario della strada” con le storie di Scarp al teatro Primavera Tutti i mercoledì mattina la redazione vicentina del giornale si riunisce per discutere gli argomenti da pubblicare. Le storie raccolte tra le persone senza dimora sono tante, impossibile vederle tutte pubblicate sul giornale. Da qui la decisione di portarle in teatro. Grazie all'aiuto dell’attrice Paola Rossi della compagnia centenaria La Piccionaia – I Carrara, la redazione vicentina di Scarp ha realizzato un reading di storie con accompagnamento musicale. Lo spettacolo del 21 dicembre (ore 21, cine-teatro Primavera di via Ozanam) sarà accompagnato dal duo Bruno Montorio – Roberto Righi, cantautore e violoncellista: i due artisti hanno adattato alcune canzoni del loro repertorio al Diario della strada di Scarp. I protagonisti del Diario della strada sono Ibrahim Abubakara, Eleonora Bonotto, Stefano Ferrio, Aboulaye Illiassou, Carlo Mantoan, Paolo Meneghini, Federica Tescaro, Claudio Thiene. INFO www.cinemaprimavera.it

Antipasti Panzanella Olive ascolane Spicchi di frittata fantasia

Primo piatto Crepes all’amalfitana Risotto alle cozze

Secondo Piatto Medaglioni di carne alla tirolese

Piatto di mezzo Polpi alla veneziana

E per finire... Pandoro, frutta, caffé

E veniamo alle ricette... Antipasti PANZANELLA. Dadini di pane tostati conditi con pomodorini, anelli di cipolle rosse, basilico, olio d’oliva, aceto balsamico. OLIVE ASCOLANE. Olive giganti snocciolate e farcite, con un ripieno di carne a piacere. Passatele nella farina, uovo battuto, pane grattuggiato e friggetele in olio. SPICCHI DI FRITTATA FANTASIA. Con spinaci, gamberetti, salmone, cipolla, acciughe. La frittata la sapete fare! Primo piatto CREPES AL PROSCIUTTO. Versate due cucchiai di farina e stemperate con mezzo bicchiere di latte freddo, aggiungete un uovo intero, sale. Prendete una padella antiaderente da 16 centimetri e ungetela con olio. A padella calda versate il composto per crepes con un cucchiaio, in modo da fare frittatine dello spessore di due millimetri. Poi farcite le crepes con una fetta di prosciutto cotto e una di mozzarella, un cucchiaio di salsa di pomdoro al basilico. Piegatele a mezzaluna. Posatele in una teglia da forno unta con un po’ di burro. Copritele con salsa di pomodoro e panna da cucina, spolverate con origano. Poi in forno per 15 minuti a 180 gradi. RISOTTO DI COZZE. Pulite delle cozze fresche, cuocetele al vapore, separatele dai gusci. In una casseruola per risotti soffriggete mezza cipolla, unite uno spicchio di aglio, versate il riso, sfumate con vino bianco, bagnate con brodo a base di pesce. Rimestate bene e fate in modo che non si attacchi il riso. Verso la fine della cottura unite le cozze e una manciata di prezzemolo tritato. Mantecate con una noce di burro. Piatto di mezzo POLPI ALLA VENEZIANA. 60 grammi di polipetti con tentacoli a una fila di ventose. Prendete i polipi interi ben lavati, bolliteli con acqua, limone, due foglie di alloro. Una volta cotti, serviteli bollenti e conditeli con abbondante limone, olio di oliva e prezzemolo tritato. Accompagnateli con insalatina mista. Secondo piatto MEDAGLIONI DI CARNE ALLA TIROLESE. Dal macellaio fatevi tagliare medaglioni di carne (manzo, vitello, maiale, tacchino o pollo). Prendete speck affettato e avvolgete il medaglione, avendo cura di mettere all’interno del rosmarino. Prendete una padella e metteteci un po’ d’olio. Infarinate i medaglioni, rosolateli bene. Sfumateli con vino bianco e marsala secco. Accompagnate con patate al forno. E buon Natale da Alex!

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it dicembre 2013 - gennaio 2014 scarp de’ tenis

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street of america Giovane imprenditore, prima del successo aveva perso la casa...

Silicon Valley dorata e spietata, Eric dormì sul divano in ufficio di Damiano Beltrami da New York

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Senza dimora per tre mesi L’ufficio di Eric Simons. Quando negli uffici di Aol, a palo Alto, si spegnevano le luci Eric, eludendo telecamere e sicurezza, si appartava su un divano in disparte. L’azienda come casa: homeless nella regione dei geni del computer e degli incubatori di imprese di successo

ERSO SERA, ALLA SPICCIOLATA, TUTTI I DIPENDENTI DI AOL a Palo Alto salutavano la guardia al-

la reception e si dirigevano al parcheggio. Tutti tranne uno. Eric Simons restava al computer fino a mezzanotte, poi, di soppiatto, sgattaiolava fuori dai radar delle telecamere di sicurezza e si accoccolava su un divano in disparte. Alla mattina la sveglia suonava alle 6 in punto. Accompagnato dal ronzio dei neon, scendeva in palestra. Qui, ancora intorpidito dal sonno, corricchiava un po’ sul tapis roulant, tanto per avere la scusa di concedersi una doccia calda. Ripulito e sbarbato, saliva al quarto piano per la colazione aziendale: cereali nel latte, toast con la marmellata, l’insostituibile tazza di caffè. Et voilà, era pronto per una nuova giornata di lavoro. Senza mai aver abbandonato l’edificio. D’altronde non avrebbe saputo dov’altro dormire, se non in strada. La Silicon Valley in California è il paradiso delle menti tecnologiche: giovani svegli e ambiziosi con il bernoccolo dell’informatica possono diventare milionari in pochi mesi e comprare villoni con piscina in stile grande Gatsby. Ma questo angolo d’America baciato dal sole e dalle temperature miti può anche essere uno snervante limbo, dove i sogni si sfaldano veloci come zucchero filato; un purgatorio in cui persino il tetto sotto cui dormire alla sera non è affatto scontato. Simons ne sa qualcosa. Promettente imprenditore in erba, per quattro mesi è stato protagonista di un incubatore d’impresa sponsorizzato dalla big corporation AOL. Incassato un finanziamento iniziale di ventimila dollari, cercava di avviare ClassConnect, una start up che offre agli insegnanti strumenti per preparare al meglio le lezioni. I fondi, però, sono presto evaporati tra rimborsi ai collaboratori e consulenze tecniche. A questo punto, senza l’aiuto della famiglia e senza quattrini in banca, si è trovato a dover prendere una decisione difficile: chiedere ospitalità a qualche amico o conoscente (si vergognava), rivolgersi a un ostello per senza dimora, oppure mimetizzarsi in quel grande ufficio-hotel dove forse, essendo ormai un volto conosciuto in portineria, avrebbe potuto passare inosservato. La scelta è stata quest’ultima e la sua residenza in ufficio è durata per ben due mesi. «C’era tanta gente che andava e veniva – racconta Simons –. Tutti pensavano solo che facessi le ore piccole davanti allo schermo del computer, che fossi un lavoratore indefesso». Scoperto infine da una guardia, non è stato consegnato alla polizia. Anzi, la sua (per certi versi folle) determinazione a perseguire il sogno di costruirsi un’azienda, ha pagato. Rimasto colpito positivamente da questa storia di ostinazione e caparbietà, un finanziatore della Valley ha investito cinquantamila dollari su ClassConnect (che oggi si chiama Claco) e Simons è tornato in carreggiata. Eppure, quelle notti trascorse nell’anonimo palazzone di AOL, tra bip di ascensori e ronzii di neon, sono un promemoria di tremenda efficacia: in Silicon Valley, il successo è tanto fulmineo quanto effimero.

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