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numero 180 anno 19 aprile 2014

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il mensile della strada

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Prigione non è un gioco da ragazzi Sono poco più di 500, in Italia, i detenuti nelle carceri minorili. La giustizia “under 18” è un’isola (quasi) felice. Molti prendono la via delle pene alternative: funzionano, ma sono poco accessibili agli stranieri Milano Share, moda solidale Como Abbondino Caritas Torino Gruppo di classe Genova La parte migliore Verona Sverno in parrocchia Vicenza Non idrosolubili Rimini Qui Ci.Vi.Vo. Firenze Storie poco virtuali Napoli Carità è legalità Salerno Frane, lavoro a rischio? Catania Homeless sfrattati


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editoriali

I mendicanti superbi e i muscoli inefficaci Paolo Brivio

S

inusoidi. Ovvero quelle curve a saliscendi, con cui si rappresentano fenomeni che esibiscono un andamento a picchi alternati, tra alti e bassi ricorrenti. Sinusoidali, in Italia, sono i dibattiti su come rendere agile la burocrazia, puntuali i treni, sconveniente l’evasione fiscale e ascoltabili le canzoni di Sanremo: ciclicamente affiorano e poco dopo si inabissano, senza approdare mai allo scoglio di una conclusione ferma. Lo stesso andamento a sinusoide caratterizza la percezione pubblica di un problema tornato a fare capolino qualche settimana fa, nel cuore dell’industrioso ma un po’ depresso nord-est. Esattamente nel triangolo Treviso-Padova-Venezia, capoluoghi i cui sindaci hanno stretto alleanza contro l’accattonaggio molesto, varando misure per impedire che i queRoberto Davanzo stuanti più aggressivi, scacciati da un territorio, ripieghino nel contado direttore Caritas Ambrosiana confinante, e chiedendo al ministero dell’interno strumenti adeguati (leggi: rimpatri facilitati ed effettivi) per sradicare il fenomeno. Il problema di fondo che ritorna, nella variante veneta e sotto le ormai tempo che se ne cominci a parspoglie della lotta al mendicante petulante, è l’insofferenza al povero lare anche su queste colonne. Manca che imbratta i centri storici, altera il decoro urbano e semina insicuappena un anno all’Expo 2015 di Milarezza con i suoi modi – appunto – poco decorosi e poco urbani. Nel no, cui la rete Caritas ha deciso di aderire, a livelrecente passato, altre amministrazioni si sono distinte nella bonilo internazionale e ovviamente anche nazionale fica (tentata, mai davvero riuscita) di piazze, marciapiedi e costue locale. Non per mania di protagonismo, semmai mi pubblici: lotta senza quartiere ai lavavetri di Firenze, ai rom di con la presunzione di riuscire a portare in un evenMilano, alle prostitute di Roma. Con annessi vespai di polemiche. to fondamentalmente commerciale anche un’aniProtrattesi per mesi. E placatesi per stanchezza, più che per ma etica, una riflessione capace di interpellare qualscioglimento dei nodi: ché la realtà è molto più intricata e recuno dei due milioni di visitatori che ci si aspetta passistente di una sinusoide mediatica. seranno per i padiglioni del sito di Rho-Pero. Il tema di Resta da chiedersi se c’è una terza via, tra l’inefficace Expo sarà “Nutrire il pianeta, energia per la vita”: non poesibizione di muscolari ordinanze (che rischiano di alimentevamo non lasciarci intrigare da un argomento da semtare generalizzazioni e criminalizzazioni: non tutti i mendipre presente in ciò che tutte le Caritas del mondo fanno, canti sono molesti, non tutti sono furbi, non tutti sono malper generare giustizia e fornire un cibo che non sia solo viventi, anzi molti non lo sono) e la rassegnazione alla poquello che nutre il corpo, ma anche quello che riesce a davertà galoppante e al racket arrembante (che gettano sulre un senso alla vita dell’uomo, spesso solo e disperato. la strada tanti disgraziati e generano fastidio e pericolo – Per riuscire in questo intento, Caritas Internationalis ha oggettivi, da non sminuire – per il cittadino incolpevole). voluto lanciare una campagna di sensibilizzazione contro la fame a livello mondiale, intitolandola “Una sola famiglia Forse, come al solito, bisognerebbe arrendersi alla necesumana, cibo per tutti”. Come dire che avrà senso esserci, sità di imboccare la strada più tortuosa e faticosa. Proall’evento che porterà il mondo a Milano, a condizione vando a distinguere anche tra accattoni: tra storia e storia, che questo diventi una provocazione rispetto agli squitra volto e volto, tra chi tende la mano per pigrizia e furbizia, libri inaccettabili che ancora lacerano l’umanità. E una e coloro che farebbero altro, se davvero potessero. Sforzandenuncia del modello di sviluppo che genera sprechi dosi di indagare e spezzare le filiere criminali dello sfruttavergognosi, e produce l’“iniquità” che secondo papa mento, prima di colpirne le vittime (per quanto maleducate). Francesco è alla radice di ogni male. Convincendosi che solo serie politiche di lotta all’esclusione soSin dal titolo, la campagna Caritas ci ricorda dunciale, e non frettolose ricette securitarie, possono davvero secque che «solo quando l’uomo si concepisce non cocare le sorgenti dei malesseri metropolitani, restituendo deme un mondo a se stante, ma come uno che per sua coro alle comunità, non solo ai salotti di città. natura è legato a tutti gli altri, originariamente sentiti Ammoniva a suo tempo Agostino: «Puoi trovare, infatti, come “fratelli”, è possibile una prassi sociale in cui il beanche dei mendicanti superbi». Ma il santo, con questo, non ne comune non rimane parola vuota e astratta» (papa consigliava di ergersi a censori superbi. L’ordine e la sicuFrancesco). rezza sono condizioni di vita cui tutti giustamente aspiraPer questo noi a Expo ci saremo. Per questo vogliamo no. Irraggiungibili, però, senza il cemento della giusticominciare a prepararci. zia sociale, della solidarietà e dell’umanità.

Una famiglia, cibo per tutti

È

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sommario 71

L’omaggio Ricordo di Enzo Jannacci Un capolavoro fatto a strisce p.6

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

Come leggerci Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci e chiedere di vendere Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 scarp@caritasfirenze.it Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

Scarp Italia L’inchiesta La prigione? Roba da grandi p.12

Le storie Scommetto. Su me stesso p.20

L’approfondimento Percorsi di risalita, li misura una stella p.24

Il ricordo Somalia, è tempo di verità? p.28

Scarp città Milano Share, la moda. Ma verde e solidale p.32

Torino “Gruppo classe”, si riparte da se stessi p.40

Genova Desbele e gli altri, la parte migliore p.42

Vicenza Dispiace che non siano idrosolubili p.44

Verona Quest’anno? Abito in parrocchia p.46

Rimini Qui Ci.Vi.Vo. E me ne prendo cura p.48

Firenze Il blog dei racconti poco virtuali p.50

Napoli La carità fa rima con legalità p.52

Salerno Frane, turismo a rischio? p.54

Catania Arriva il presidente, homeless sfrattati p.56

Scarp ventuno Dossier Raccolta fondi? Buttiamoci nella rete p.60

Stili Campagna Caritas: un ruggito che si fa diritto p.64

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 19 n. 180 aprile 2014 costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Foto di copertina Massimo Fiorillo Foto Archivio Scarp, Stefano Merlini, Disegni Luigi Zetti, Elio, Silva Nesi Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Soc. Coop., via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 6 aprile al 3 maggio 2014


Un capolavoro fatto a strisce di Davide Barzi

“Unico indizio le scarpe da tennis”, noir a fumetti ispirato alla grande canzone di Jannacci AUTORI Davide Barzi (testi) Marco “will” Villa (con la collaborazione di Riccardo Nunziati) e Sergio Gerasi (disegni) EDITORE Renoir Comics FORMATO 14,8×21, b/n, 160 pagg. brossurato con alette PREZZO 14,90 euro (edizione brossurata con alette); 19,90 euro (edizione cartonata con sovraccoperta, parte del ricavato al giornale Scarp de’ tenis) Davide Barzi Nato a Milano nel 1972, scrittore e sceneggiatore di fumetti, scrive per la testata Nathan Never, cura la serie a fumetti dedicata a Don Camillo. Tra i suoi libri anche G&G, dedicato a Giorgio Gaber (disegni di Sergio Gerasi) e Le Regine del Terrore, biografia delle creatrici di Diabolik

6. scarp de’ tenis aprile 2014

U

Umberto Eco dice di Dylan Dog che «è un capolavoro, poiché ogni capolavoro ha in comune due cose: è sgangherato e sgangherabile». Mi sembrano due definizioni meravigliose, che se d’istinto spingono al fastidio, se inquadrate meglio sono aggettivi sintomo d’amore. Mi sembrano due belle definizioni anche per l’opera di Enzo Jannacci: la quasi totalità delle sue canzoni appaiono a un primo ascolto “sgangherate”, perché iniziano in apparenza senza farci capire dove vanno a parare, vedi l’intro jazz della prima versione di Vincenzina e la fabbrica o il parlato di El me indiriss, poi partono a mille all’ora e diventano capolavori che arrivano al punto come una sassata e si imprimono nella testa e nel cuore. E sono “sgangherabili”, perché estrapolandone Mi sono quindi preso anni per trodegli stralci ognuno di questi può vivere vare l’idea giusta: non volevo che fosse di vita propria (prendete una frase a caun’agiografia. La stima smisurata nei so da Quelli che, e avrete preso una frase confronti di quello che ho sempre chiache fotografa impietosamente l’umamato “Maestro” mi mandava in autonità affaticata e confusa). matico verso la lode acritica e sperticaQuando è nata l’idea di fare un vota, ma sapevo che non gli avrei fatto un lume a fumetti ispirato alla canzone favore. Serviva un concept forte, dove ci più celebre del dutùr, quella che – pubfosse Jannacci senza esserci. Non volevo blicata esattamente 50 anni fa – dà il una biografia, non mi interessava, nome anche a questa rivista, ho voluto né volevo una storia intessuta sulle sue sin dall’inizio che fosse così, sgangheracanzoni, l’avevo già fatta con “G&G”, il to e sgangherabile. Ma, come insegna libro a fumetti su Giorgio Gaber realizJannacci, l’assenza di metodo è un mezato con Sergio Gerasi. Poi arrivò l’idea todo: arrivava sul palco con un’idea di usare una sola canzone, per certi versi scritta qualche minuto prima sul retro “la” canzone di Jannacci, in modo da di un biglietto del tram, ma poi magari poter eventualmente in seguito, in sucera capace di riscrivere e riarrangiare cessivi volumi, concentrare l’attenzione una sua canzone più e più volte negli su altre. E l’idea del noir, di Milano dei anni, perché il meccanismo di perfeziotardi anni Cinquanta come protagoninamento non aveva mai una fine.


omaggio a Enzo

Mescolanza di linguaggi La copertina del noir a fumetti ispirato alla più celebre canzone di Enzo Jannacci e, sopra a destra, la pagina di uno dei fotoromanzi che compaiono nell’opera, “inventati” per illustrare alcuni degli snodi cruciali della vicenda. Sotto, immagine dal backstage di questi inserti fotografici

aprile 2014 scarp de’ tenis

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Un capolavoro fatto a strisce La città “protagonista” Una delle pagine del noir a fumetti: il ritrovamento del barbun in scarpe da tennis, riverso sota un mucc de carton, proprio sul stradun per andare all’Idroscalo. Il medico che ha consentito il rinvenimento ha il volto dello stesso Enzo Jannacci. Nella pagina a destra, un’altra fotografia tratta dal backstage della parte “a fotoromanzo” dell’opera, con una dettagliata e accurata ricostruzione della Milano fine anni Cinquanta

sta (sì, sì, ho detto “protagonista”, non “scenario”). Prima della scrittura è arrivata quindi la ricerca: Jannacci, per specializzarsi in chirurgia cardiaca, non si è rivolto al primo che passava, ma si è trasferito in Sudafrica, entrando nell’équipe del pioniere dei trapianti di cuore, Christiaan Barnard. Quindi su alcune cose non si transige: sbilenco sì, ma con un’ossatura forte e una direzione precisa. Ho quindi contattato la Polizia di Stato, l’Ospedale Maggiore, l’Atm, perché Milano doveva essere quella che andava dal 19 settembre 1958 al 24 marzo 1959, non un giorno in più, non uno di meno, lo sanno bene i poveri disegnatori che hanno lavorato sulla mia sceneggiatura (Marco “Will” Villa, Sergio Gerasi e Riccardo Nunziati), a cui ho fatto correggere colletti, pettinature, muri, mezzi, perché tutto fosse coerente. Ma coerente nell’incoerenza sghemba del poeta in scarpe da tennis: quindi poi all’interno di una storia a fumetti

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potete trovare pagine di album di figurine, manifesti d’epoca, copertine di rotocalchi, articoli di giornale, fotoromanzi. Eppure tutto è utile, anzi direi necessario, alla compattezza narrativa e allo sviluppo della trama. Gente solidale ce n’è. Due su dieci

La trama, già. Il tutto parte dalla canzone, da quando L’han trova’, sota a un mucc de carton, ma in questo caso c’è un maresciallo della Polizia, Vincenzo Mantuano, che non accetta di lassa’ sta’, che l’è roba de barbon, e decide di dare un nome a quello che è conosciuto solo per ciò che calza. Da qui si sviluppa una trama che si snoda tra palestre, locali ambigui, episodi storici e altri inventati ma verosimili, redazioni di giornali e teatri. Il tutto con la collaborazione di numerose persone che hanno il Maestro nel cuore: da Enzo Limardi, volto del prota-


omaggio a Enzo gonista, ai disegnatori dello Pseudostudio che fanno da guest star con una tavola ognuno (Fabiano Ambu, Stefania Fiorillo, Gianfranco Florio, Alberto Locatelli, Alessandro Mazzetti e Luca Usai), fino a tutti coloro che hanno prestato volto e professionalità per la parte di fotoromanzo: Dario Barezzi alla regia, Sergio Cavandoli alla fotografia, Chiara Maria Massa per location e costumi, Silvia Baini per trucco e acconciature, Simona Lanzi che ha realizzato il backstage. E gli attori Osvaldo Ardenghi, Andrea Bove, lo stesso Cavandoli, Dafne Niglio, Paolo Sergio, Tino Mazzoleni e Masha Sirago. Perché se, come diceva Jannacci, «gente solidale ce n’è. Però due su dieci», noi abbiamo avuto la fortuna di lavorare con tantissima gente che ha creduto nel progetto. E, a proposito di solidarietà, noi siamo contenti di essere quel quinto: Unico indizio le scarpe da tennis, grazie alla sensibilità dell’editore, ReNoir Comics, prosegue la collaborazione e il percorso di solidarietà iniziato con la mostra La mia gente – Enzo Jannacci, canzoni a colori: il libro, oltre all’edizione brossurata, viene pubblicato anche in un’edizione limitata, di sole trecento copie, cartonata e con sovraccoperta, che servirà a finanziare con una percentuale del prezzo di copertina i progetti della rivista Scarp de’ tenis. Perché non bisogna mai, mai, mai «lasciar stare, che è roba da barboni».

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Il dormitorio di viale Ortles intitolato a Enzo Jannacci La Casa dell’accoglienza per senza dimora di viale Ortles, ovvero il grande e storico dormitorio comunale, sarà intitolata a Enzo Jannacci. Sabato 5 aprile si tiene la cerimonia pubblica di intitolazione, a poco più di un anno dalla scomparsa del grande artista milanese. «La carriera di Enzo Jannacci – spiega l’assessore ai servizi sociali del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino – si è contraddistinta per l’attenzione costante a chi ha più bisogno, il desiderio di dare voce a chi non riesce a farsi sentire, lo sguardo affettuoso verso chi è più debole. Per questo abbiamo deciso di ricordarlo in un luogo dove le persone più fragili e povere trovano aiuti professionali per ricostruire la loro vita, sicuri che tale intitolazione sia coerente con il pensiero, i desideri e le azioni del grande cantautore milanese». In programma una ricca giornata di festa. Alle 14, inaugurazione della mostra ”La mia gente. Canzoni a colori” curata da Davide Barzi e Sandro Patè in collaborazione con Scarp de’ tenis; a seguire laboratori di animazione e musica per bambini e cabaret, con ospiti d’eccezione, tra cui Diego Abatantuono, Ale & Franz, Andrea e Michele, Paolo Belli, Enrico Bertolino, Bove e Limardi, Vinicio Capossela, Roberta Carrieri, Cochi e Renato, Ricky Gianco, Mario Lavezzi, Flavio Oreglio, Folco Orselli, Mauro Pagani, Riccardo Piferi, Angelo Pisani, Paolo Rossi, Gabriele Salvatores, Renato Sarti, Bebo Storti, I Teka, Fabio Treves, Roberto Vecchioni, Ornella Vanoni, Marina e Anna Viola, Davide Zilli. A seguire l’intitolazione ufficiale, alla presenza del figlio Paolo aprile 2014 scarp de’ tenis

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anticamera Aforismi di Merafina LE STAGIONI Le stagioni sono adesso e le anticipo io. AMORE PERDUTO Quando l’amore è perduto resta per sempre una trappola di poesia e non c’è mai una seconda occasione per fare buona impressione. IL SORRISO A provocare un sorriso è quasi sempre un altro sorriso.

Le poesie Le poesie sono lacrime che non scendono, e sentimenti e dolori che si leggono. Le poesie sono gocce d’amore, che tante volte bagnano il tuo cuore. Le poesie sono loro, noi, tu e io. Le poesie sono chi si sente solo e ha bisogno di due amici: un foglio e una penna. Le poesie sono un po’ il dolce della vita, anche se a volte perdi la partita. Le poesie sono lacrime che non scendono, e sentimenti e dolori che si leggono. Fabio Schioppa

Al buio Stare al buio, vedere una luce, girarci in tondo come in un piccolo mare. Tutti girano sopra e sotto, tutte le luci insieme, miliardi di coralli. Ognuno si fa gli affari propri tutti si conoscono un via vai di diversi. Mai nessuno si domanda dove sono diretti. Per istinto conoscono il pericolo, il loro cammino il da farsi giornaliero è nella loro natura. La vita è un ciclo che si spezza facilmente basta una frazione di secondo un solo errore una sola leggerezza che la legge del più forte prende il sopravvento come se fosse un cappotto che ci copre e ci porta via.

Cinzia Rasi

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testi di Daniela Palumbo il fotoreportage è stato realizzato da Massimo Fiorillo nel carcere Beccaria di Milano

««La giustizia minorile deve saper essere ancor più giusta, mite ed equilibrata di quella che ha a che fare con le persone adulte. La nostra osservazione degli istituti penali per minorenni (Ipm) ha voluto mettere sotto i riflettori un sistema che, nonostante problemi e difficoltà, va difeso e tutelato. Un sistema che ha saputo mantenere l’uso della pena carceraria in una posizione residuale. Da oltre venti anni, da quando è stato approvato il codice di procedura penale per minorenni, il numero dei ragazzi reclusi è rimasto più o meno stabile, e ruota attorno alle 500 unità».

12. scarp de’ tenis aprile 2014


LA PRIGIONE? ROBA DA GRANDI

Rispetto ai mille drammi che caratterizzano l’universo penitenziale italiano, la giustizia minorile si presenta come un’isola (quasi) felice. La pena in carcere è una misura residuale. Molti ragazzi sono avviati alle comunità e alla “messa alla prova”. Opportunità cui gli stranieri, però, fanno più fatica ad accedere Ragazzi dentro 16

gli istituti penali per minori in Italia

530

i minorenni in media presenti nelle carceri minorili del paese, erano 8.521 nel 1940 e 58 nel 1975

10%

la componente femminile nelle carceri minorili; l’80% invece sono stranieri, per i quali è meno facile accedere a pene alternative aprile 2014 scarp de’ tenis

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La prigione? Roba da grandi

La volontaria

«Non devono rimanere in cella soli insieme a brutti pensieri» «Anna Artiano ha 26 anni. Sta per concludere il percorso universitario di Scienze dell’educazione, che le permetterà di diventare educatrice. Ha sempre fatto volontariato e ne è felice: si sente bene, aiutando gli altri. Lo scorso anno ha fatto il tirocinio nei laboratori Enaip, l’Ente nazionale Acli istruzione professionale, dove è venuta in contatto con l’associazione Puntozero: «Da allora sono entrata in Puntozero e spero di rimanerci. Il volontariato in carcere mi sta facendo crescere. Io recito con i ragazzi, ma noi siamo mediatori, i protagonisti sono loro». Il suo obiettivo di volontaria nel carcere minorile le è chiarissimo: «Nel periodo della detenzione é importante che i ragazzi siano impegnati, per non rimanere soli in cella con brutti pensieri, ma anche per recuperare pezzi di vita che sono mancati fuori: la scuola, anzitutto, che i più hanno abbandonato. Il ragazzo quando entra in carcere ha una visione del mondo, e di sé nel mondo, estremamente fragile; non si sente adeguato e reagisce con rabbia. Allora è importante che attraverso persone e attività lui possa vivere e sperimentare situazioni ed esperienze qualitativamente diverse, che lo inducano a cambiare quella visione di sé distorta. Il teatro, come altre attività, dilata la qualità delle esperienze, li rende responsabili, li porta a scoprire potenzialità nascoste, risorse che non sapevano di avere. Li rende fiduciosi, e più consapevoli».

I ragazzi detenuti negli istituti di pena per minori erano 8.521 nel 1940, 7.100 nel 1950, 2.638 nel 1960, 1.401 nel 1970 e 858 nel 1975. Attualmente, nei 16 istituti penali per minori del paese, la presenza media è di 530 ragazzi detenuti. Per quanto riguarda la detenzione femminile, il rapporto evidenzia come sia sempre stato un dato modesto: basti pensare che nei nostri Ipm le ragazze rappresentano (oggi come nel passato) il 10% dei minori detenuti. Tra i quali, invece, la componente straniera è predominante, oltre l’80%.

Reati estinguibili Prima di arrivare alla detenzione, in effetti, il nostro sistema penale prevede, per i minorenni, una serie di accessi in luoghi “di transito”, che in molti casi scongiurano il carcere. Innanzitutto, sono 27 i Cpa (Centri di prima accoglienza), che ospitano i minorenni in stato di arresto o fermo, fino all’udienza di convalida che deve aver luogo entro 96 ore dall’arresto stesso. Tra il 1998 e il 2012 l’andamento degli ingressi nei

14. 14. scarp de’ tenis aprile 2014

Cpa è stato decrescente: erano 4.222 nel 1998, sono diventati 2.193 nel 2012 (quasi il 50% in meno). La diminuzione, secondo il rapporto, è dovuta soprattutto al crollo degli ingressi nei Cpa dei minori stranieri, passati dai 2.305 del 1998 ai 937 del 2012. In ogni caso poi la maggior parte dei minori entrati nei Cpa (l’85,6%) ne esce a seguito dell’applicazione di una misura cautelare. Un altro dispositivo anti-detenzione sono le comunità dove il minore può espiare la sua pena, evitando il carcere. Anche questo è un dato in attivo: infatti, i minori nelle comunità, sia ministeriali che private, sono passati dai 1.339 del 2001 ai 2.037 del 2012. Si tratta però, sottolinea il rapporto, di una tendenza che ha coinvolto in misura assai maggiore gli italiani rispetto agli stranieri: tra i minori in comunità gli stranieri erano il 40% nel 2001 e solo il 37,1% nel 2012. Infine, è previsto l’istituto della “messa alla prova”, che non rappresenta solo una valida alternativa al carcere, ma allo stesso processo. Infatti, se la

misura avrà un buon esito finale, il reato del minore verrà dichiarato estinto. La “messa alla prova” è in forte espansione, tanto che si è passati dai 788 provvedimenti del 1992 ai 3.216 del 2011. Anche in questo caso, il rapporto di Antigone sottolinea che l’opportunità è concreta soprattutto per gli italiani (nel 2011, i minori stranieri che ne hanno usufruito sono stati solo il 17%). Infine, c’è il carcere vero e proprio. Redattore sociale ha colto l’occasione della recente visita di papa Francesco al carcere minorile romano di Casal del Marmo per pubblicare un breve report sulla giustizia minorile italiana. Secondo l’agenzia di stampa, al 15 marzo 2013 erano 468 ragazzi e le ragazze dai 14 ai 18 anni detenuti negli istituti penali italiani e duemila erano affidati alle comunità (dei quali 753 stranieri). Il 58,7% dei detenuti è imputato per reati contro il patrimonio, l’11,7% per violazione della legge sulle droghe, identica percentuale riguarda chi ha compiuto reati contro la persona, mentre il 2% dei detenuti si sono macchiati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. La sede carceraria con il più alto numero di presenze quotidiane è Catania (63), seguita da Nisida in provincia di Napoli (circa 60), Milano (53) e Roma (46).

Davvero rieducativo? Ma cosa si fa dietro le sbarre? Come passano il tempo i minori detenuti? Il carcere riesce a esplicare la funzione rieducativa che la Costituzione prevede, e che sarebbe particolarmente rilevante, trattandosi di minori? Nel rapporto di Antigone, Gianluca Guida, direttore del carcere di Nisida, sottolinea una volta di più la differenza con gli istituti per adulti: «Qui non abbiamo l’ora d’aria – racconta –; i ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo fuori dalla cella. Si svegliano alle 7,30, scendono alle 8,15, fanno colazione tutti insieme. Dopo di che, fino alle 7 della sera, partecipano a una serie di esperienze, tra cui le attività di tempo libero dalle 5 alle 7 del pomeriggio. Il regime è fondamentalmente dedicato a portare avanti tre linee di azione: formazione, istruzione e lavoro educativo». In attesa di tornare liberi, si può provare a diventare buoni cittadini.

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L’inchiesta

Riaperta la sala al Beccaria: Puntozero, teatro vero. E formativo Nel giugno scorso – dopo 18 anni di inagibilità – ha riaperto il teatro dell'istituto penale minorile Beccaria, alla periferia sud-ovest di Milano. L’intervento edilizio è stato reso possibile da un finanziamento della Fondazione Marazzina onlus, le poltrone sono state donate dalla Scala di Milano. E ora il Piccolo Teatro contribuisce con la competenza dei suoi tecnici, che tengono corsi di formazione al lavoro ai minori rinchiusi in carcere. Giuseppe Scutellà è un regista-attore, anima artistica di Puntozero, l’associazione che fa teatro con i ragazzi del Beccaria da oltre dieci anni: «Abbiamo finalmente un teatro vero, dove provare gli spettacoli – si rallegra –. Il sogno è poter gestire la sala da 220 posti autonomamente, fino a offrire una programmazione teatrale e musicale alla città». Da sei mesi la compagnia Puntozero porta in scena nelle scuole Errare Humanum Est... il carcere minorile spiegato ai ragazzi, finanziato dalla regione Lombardia. Lo spettacoloconferenza racconta i diversi passi della vita carceraria, dall'ingresso in istituto alle attività interne, al ritorno in libertà, con l’intento di far conoscere il carcere come strumento non solo punitivo, ma rieducativo. In scena ci si avvale di stralci di testi classici, da Romeo e Giulietta all’Antigone di Sofocle, e brani rap inediti scritti dal giovane detenuto Josh. Il risultato alterna momenti di aspra riflessione e puro divertimento, con un unico filo conduttore: il minore di fronte alla legge. Una ventina sono i ragazzi che frequentano i laboratori teatrali e musicali organizzati da Puntozero e Suoni Sonori onlus all’interno del Beccaria. Solo quattro di loro, però,

attualmente partecipano allo spettacolo, potendo usufruire di permessi premio. Finora sono stati oltre seimila gli studenti dei capoluoghi lombardi che hanno assistito con entusiasmo agli spettacoli nei teatri cittadini. «I giovani detenuti parlano il loro linguaggio e per questo diventano potente strumento di prevenzione – spiega Lisa Mazoni, iniziatrice venti anni fa, insieme a Scutellà, dell’associazione Puntozero –. Il teatro al Beccaria lo abbiamo sempre concepito come strumento di formazione professionale e socializzazione. Consente di formare macchinisti, tecnici luce, sarti, fonici, operatori di ripresa o di trucco... In questi anni diversi detenuti, scontata la pena, hanno avuto opportunità lavorative in strutture come il Piccolo Teatro, il Carcano e altri teatri nazionali. Errare Humanum Est va fuori dal carcere, nelle scuole, per questo richiede un impegno corale di educatori, insegnanti, agenti di polizia penitenziaria, volontari, e certamente il sostegno della direzione». Ma il nodo del Beccaria (irrisolto mentre scriviamo, ndr) è proprio la direzione. Al momento l’istituto minorile non ha un direttore. Nel passato recente ci sono stati molti problemi: sono stati trasferiti il direttore e il capo degli agenti. Alfonsa Micciché, direttrice del carcere minorile di Caltanissetta, ha preso in mano le redini del Beccaria per pochi mesi. È stata subito apprezzata da tutti: i ragazzi, l'associazione Puntozero, gli agenti, i cappellani. Tutti vorrebbero che il ministero la confermasse in modo definitivo. Intanto, lo spettacolo continua a girare nelle scuole… Per prenotazioni www.puntozero.info/errarehumanumest aprile 2014 scarp de’ tenis

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La prigione? Roba da grandi

A testa alta words by Josh - music by Gianluca Messina (SuoniSonori). Canzone rap di uno dei protagonisti dello spettacolo Errare Humanum Est

Ho visto tra le sbarre l’alba con i miei occhi il tramonto in gaiba adrenalina in corpo come in bamba ho passato la calda e lunga notte, fra con le nocche tutte rotte come JackyChan ho provato pensieri nudi e crudi col cervello pieno di fumi e nubi e non è affatto bello ma grazie a Dio scorre forza nelle vene sono proprio preso bene nonostante porto le catene non ho mai pianto per niente e per nessuno ho mascherato col sorriso in viso nel momento più opportuno per 365 volte avrei voluto spaccare totalmente muri e porte ho sentito sulla pelle ipocrisia e infamità rinchiuso nelle celle con i bro del Beccaria ma voleremo tutti quanti via con la fede di don Gino e Claudio Burgio prega Santa Maria A testa alta con le palle scontando le condanne, le proprie pene non c’è male che accade da cui non possa nascere qualcosa di bene


L’inchiesta

Il cappellano

Don Claudio: «Qui si educa, non conta solo il reato commesso» Cappellano del carcere minorile Beccaria dal 2005, don Claudio Burgio ammette di aver imparato soprattutto ad ascoltare i ragazzi. «L’esperienza mi ha insegnato a decifrare, a decodificare i loro linguaggi, il loro vissuto». Ma don Claudio ha imparato anche dal veterano, don Gino Rigoldi. «Lui è il cappellano storico, ufficiale, io sono il suo collaboratore volontario. Con don Gino c’è anche una grande amicizia. Lui si rivede probabilmente in me, ci sono trent’anni di differenza (io ne ho 44, lui 74) ma abbiamo tanti pensieri comuni. Insomma, una bella amicizia. In fondo, quasi un rapporto padre e figlio». I minori detenuti: c’è qualcosa che li accomuna? Dietro la facciata da spavaldi e cattivi, si nascondono ragazzi con grande bisogno di ascolto: un reato in età giovanile quasi sempre è un’invocazione di aiuto, più che violenza gratuita. E in quasi tutti i ragazzi che commettono reati prevale la cultura dominante dell’immagine, secondo la quale avere un posto nella società presuppone l’avere denaro. In cosa è diverso il carcere minorile da quello degli adulti? È un’altra cosa. Ad esempio, il giudice minorile non giudica solo a partire dal reato, ma anche dalla condizione nella quale il ragazzo si trovava al momento del reato, assumendo informazioni sul contesto familiare. Pure gli agenti penitenziari ricevono una formazione specifica: la loro azione non può essere solo contenitiva. Tutte le persone a contatto con questi ragazzi e ragazze devono avere nel loro bagaglio professionale anche un aspetto educativo. Il cappellano che ruolo ha nel carcere minorile? A maggior ragione è una figura educativa. E collabora con il resto del personale: educatori, psicologi, direzione penitenziaria, giudici. L’aspetto religioso è parte integrante della promozione di una persona, dunque il cappellano celebra i sacramenti, l’eucarestia domenicale e spesso anche il sacramento della riconciliazione. Ma la nostra presenza va al di là. Questi ragazzi hanno bisogno di credere nel futuro, di avere la possibilità di guardare oltre il carcere. Quali sono i percorsi alternativi al carcere che possono essere offerti a ragazzi che commettono un reato? Ci sono comunità di accoglienza per ragazzi a rischio di devianza. Io sono responsabile delle comunità Kairos: sette presìdi con 50 posti nel territorio lombardo. I ragazzi approdano spesso alle comunità grazie all’articolo di legge sulla messa alla prova, che prevede la possibilità di sospendere il processo e dare un tempo, massimo tre anni, nel quale portare a termine in comunità un progetto che può essere scolastico, lavorativo, formativo. Alla fine del percorso il giudice decide se annullare o meno il reato. Negli ultimi dieci anni, per il 75% dei casi di messa alla prova in comunità, si è registrata un’assenza di recidiva. E anche una volta condannato, il ragazzo può chiedere l’affidamento in comunità: la fedina penale rimane sporca, ma si avvia comunque un progetto che dura fino al periodo dell’espiazione della condanna. Quali progetti avete per il futuro? Il comune di Vimodrone, alle porte di Milano, ha concesso a Kairos un terreno in comodato d’uso per 25 anni. Vi sorgerà una comunità da venti posti, nuova nella concezione: un luogo aperto agli scambi con il territorio. Avremo laboratori di formazione professionale, cucina e panificazione, aperti sia ai ragazzi che ai giovani del territorio. Faremo una web tv che sarà anche un laboratorio formativo: vi verranno insegnate tecniche di ripresa cinematografica e televisiva. Nel contempo chiuderemo due comunità oggi funzionanti, ma i posti resteranno invariati. Purtroppo, le risorse vengono meno... Per questo lanciamo un appello alle parrocchie. L’esempio lo ha dato la comunità di San Luca, a Milano: il parroco ci ha donato un appartamento nel quale verranno ospitati 6 ragazzi in difficoltà. E le famiglie della parrocchia saranno di sostegno al loro percorso di autonomia: una comunità, che con la prevenzione costruisce legalità e coesione. aprile 2014 scarp de’ tenis

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La prigione? Roba da grandi

Clirim ora si controlla: «E apprezzo ciò che fuori è scontato» Due giovani. Partecipano ai laboratori teatrali del Beccaria. E riflettono su se stessi

Clirim (nome di fantasia) ha 20 anni. È fra i protagonisti dello spettacolo Errare Humanum Est. Viene dall’Albania. Aveva 17 anni quando ha commesso i reati per i quali è dentro; fra poche settimane sarà fuori. «Per fortuna esco prima di compiere i 21 anni – confida –, altrimenti ti trasferiscono al carcere per adulti. Lì non ci voglio andare». É in Italia da quando aveva 6 anni. «Mio padre è venuto per primo, dopo qualche anno ha fatto i documenti e ci ha fatto venire tutti. Ha svolto tanti lavori, ma adesso è disoccupato. Io sono il maggiore, ho una sorella e un fratellino piccolo. E c’è mia madre. Anche se ero piccolo, mi ricordo l’Albania». Il ricordo più bello. E il più brutto… zione come tappezziere, che mi è piaBelle le grandi tavole apparecchiate con ciuto. tutta la famiglia, si mangiava insieme e si rideva, c’era un legame forte: c’era soPerché eri a Bari? lidarietà, si stava sempre insieme. BrutNon sono sempre stato così... tranquilti i posti di blocco con uomini incaplo. Quando sono arrivato ero un ribelle, pucciati e armati di kalashnikov. Ricorero indisciplinato, non sopportavo le redo la paura negli occhi di mia madre gole. Ne ho combinate tante ed ero quando ci fermavano, per fortuna non spesso in punizione. Per motivi disciplici hanno mai arrestati o fatto niente, nari ti trasferiscono lontano dalla famiperché conoscevano mio zio... E poi glia, così sono finito a Bari. Scatenavo nell'ultimo periodo si faceva la fame e il risse di continuo, mi hanno trasferito popolo era in rivolta, noi campavamo due volte e messo in isolamento, ma con un sacco di farina. non più di 15 giorni, per fortuna... In Italia ti sei macchiato di reati. E Parli al passato, ti senti cambiato? sei finito in carcere. Ti ha aiutato? Sì, molto cambiato. Adesso sono nel gruppo avanzato, tra i ragazzi che seMe lo aspettavo peggio. Qui ho avuto guono progetti e si impegnano in pertanto tempo per riflettere. Mi sono reso corsi di formazione. Posso uscire per anconto del male fatto a persone che non dare a trovare mia madre, malata gravec'entravano nulla, e hanno riportato mente. Se non fossi cambiato non mi danni morali e psicologici anche più darebbero l’opportunità di recitare e brutti di quelli materiali. Però ci tengo a uscire nelle scuole a incontrare i ragazzi. dire che non sono pentito, ma dispiaciuto. E mi sento un'altra persona riIl teatro in carcere: che ruolo ha? spetto a tre anni fa. Mi piace moltissimo. Anzitutto mi fa sfogare e gestire la rabbia, che se resta Dispiaciuto, pentito: che differenza dentro è pericolosa: la rabbia di essere c'è? fermo, la rabbia che ho per me e per chi Pentirsi sarebbe come fare le lacrime mi vuole bene. La rabbia di essere qui del coccodrillo. E io non le voglio fare: dentro, dove devi fare i conti tutti i giormi devo assumere le mie responsabilità. ni con persone problematiche. La rabHo fatto una cosa sbagliata e devo pabia per essere privato della libertà: è giugare. Qui mi hanno aiutato molto, se sto, ma tutti i giorni è pesante. Il carcedevo essere sincero. Io ho fatto solo fino re non è un luogo facile da vivere, anche alla terza media. Qui mi sono potuto se un po’ di galera non fa male a nessuformare. Anche all’istituto di Bari, dove no, per come la vedo io. Qui impari non ero prima, ho fatto un corso di forma-

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l’inchiesta solo a controllarti e a renderti conto delle cose giuste e di quelle sbagliate, ma anche ad apprezzare quello che fuori dai per scontato, comprese le piccole cose, il materasso, la cucina di mamma, una doccia quando vuoi. Ce l’hai un sogno? Vorrei tornare al mio paese, avere una moglie e tanti figli, mi piacciono i bambini. E poi avere un lavoro sicuro e fare una vita tranquilla. Ma non si può sapere cosa ti verrà incontro una volta fuori di qui, questa è la verità. Però so che un certo cammino mi ha portato qui dentro. E non lo voglio ripetere.

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Lo “zingaro” saggio

Roman: «Per certe cose neppure qui si può pagare» Lo chiamano affettuosamente “lo zingaro”. Ha 19 anni. Roman (nome inventato) è un grande osservatore, ti scruta e misura le parole. Anche lui ha iniziato al Beccaria il percorso del teatro, all’inizio non ci voleva andare perché pensava che fosse un luogo di gay. Il carcere, anche quello minorile, è ancora uno di quei posti dove lo stereotipo del maschio ha codici protetti, che non si toccano. Roman è nato a Parigi, in un carcere. Come sei finito a Milano? Io e mia madre siamo usciti dal carcere quando avevo sei mesi. Lei è andata via con un altro uomo, incolpava mio padre per la morte di uno dei miei fratelli. Mio padre ha fatto da madre e da padre a me e ai miei fratelli. Dopo Parigi siamo stati in Belgio e poi mio padre ci ha portati in Italia, dove ha dei parenti. Abbiamo vissuto in un campo nell’hinterland milanese. Era un campo attrezzato, c’era tutto, i servizi, il riscaldamento… Non era sporco, non c'erano le baracche brutte che si vedono in tv. A un certo punto hai deciso di fare teatro: perché? Se devo dire la verità, all’inizio è stato perché ci sono le ragazze, le attrici dell’associazione! Qui dentro le ragazze ci mancano... Adesso mi piace moltissimo stare sul palco e recitare, all’inizio pensavo che non avrei mai recitato dal vivo, davanti a tanta gente. Ma alla fine mi hanno convinto e adesso non vorrei più smettere. Mi piace stare in mezzo alla gente, conoscere persone nuove, recitare mi fa sentire bene. Anche se per ora non ho i permessi per uscire. Come era la tua vita prima del Beccaria? Ero una persona che aveva tutto quello che voleva, però mi sentivo un po’ superiore agli altri, vedevo i miei amici che spacciavano o prendevano droghe e li giudicavo degli stupidi, mi dicevo che a me non doveva capitare. La droga non mi piace, mi fa schifo, non ho mai voluto nemmeno spacciare, potevo farlo ma non ho voluto. Qui ho imparato a relazionarmi con le persone, a non tenermi sempre tutto dentro. Il mio sogno, per quando esco, è aprire un’attività tutta mia e studiare. Qui non ci riesco, ho la testa piena di altri pensieri. In carcere mi sento come un bambino piccolo che non è padrone di niente. Questo è l’aspetto brutto del carcere. Ma c’è il rovescio della medaglia. C’è un detto fra noi: “Chi galera non prova, libertà non apprezza”. È vero anche questo. E il carcere ti sta cambiando? Io avevo commesso piccoli reati, furti più che altro. Ma non ero mai finito in carcere, mi rilasciavano. Poi è successo un fatto grave, ma involontario. E ora è come scontare per tutto quanto commesso prima. Che poi per certe cose non c’è un modo per pagare, neppure con il carcere. Vorrei che il periodo passato qui potesse cambiare quello che è successo, ma non è possibile aprile 2014 scarp de’ tenis

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Sei anni di crisi, paese prostrato. Ma c’è chi trova il coraggio di rimettersi in gioco. Reinventando lavoro e futuro. Grazie al microcredito

Scommetto. Su me stesso di Francesco Chiavarini Sei anni di crisi hanno rubato la serenità a decine di migliaia di famiglie italiane. Eppure esiste un paese che ci vuole provare ancora. È un’Italia che quando il lavoro lo perde, prova a inventarselo. Anche se non ha esperienza. Anche se deve imparare tutto da zero. Anche se sul piatto può soltanto mettere le idee, la faccia e il bisogno di sentirsi ancora utile. A chi la governa, questa Italia domanda che le si dia fiducia, che si scommetta un po’ di più sulla sua voglia di farcela, a patto, certo, di correre qualche rischio insieme a lei. Invece, chi dovrebbe darle credito si tira indietro. Lo stato, anziché favorirla, la imbriglia in un rete di regole dalle maglie strettissime. La montagna da scalare diventa allora gigantesca e bisogna veramente essere dotati di tanto coraggio per provare a superarla. Davide Sarubsi voleva stare con le mani in mano. Cobi, giovane ex operaio oggi venditore sì voleva la retorica del posto e un po’ on line di prodotti fotografici. Danilo era anche vero. Poi è arrivata la crisi. Nel Airoldi, ex magazziniere, che prova a gennaio 2010 la sua ultima azienda, per diventare coltivatore diretto. Due stocontenere i costi, si è fusa con un’altra. rie, emblema dei tanti che hanno troDei 18 dipendenti, lasciarono a casa vato il coraggio per affrontare quella montagna. Lo hanno trovato da soli. l’ultimo arrivato: lui. A quel punto bisognava ricominciaMa hanno potuto iniziare il cammino re da capo. Soltanto che l’aria era camgrazie a qualcuno che ha scelto di asbiata. Le porte delle minifabbriche difsumersi il rischio insieme a loro, attrafuse non si aprivano più con tanta faciverso uno strumento finanziario, pralità. Quello che si riusciva a trovare era ticato da anni dalla società civile, ma solo qualche impiego saltuario: conche fino a qualche tempo fa le istitutratti da due-tre mesi, attraverso le zioni pubbliche guardavano con scetagenzie interinali. Un lavoro a singhiozticismo: il microcredito. zo. E nel frattempo Davide doveva pure badare alla famiglia: ai bambini, al più Davide oggi vende online grande di 8 e all’ultima arrivata, nata Davide Sarrubbi, 34 anni, lavora da proprio a novembre di quell’anno. Non quando ne aveva 14. Finite le scuole era facile, anche potendo contare sullo medie, di aziende artigiane ne ha girate stipendio della moglie, Antonietta, anparecchie nella terra della piccole imche lei operaia. «Da quel momento l’inprese, la provincia di Varese. È stato frecertezza è diventata una costante di satore, addetto alle macchine a contrologni giorno – racconta –. E allora ho lo numerico, carpentiere. Due anni da pensato che, precarietà per precarietà, un parte, due dall’altra. Non era un protanto valeva provare a fare qualcosa di blema trovare qualcosa da fare, nei picdiverso. Di scommettere su di me». coli paesi sulle prealpi al confine con la Davide ha sempre avuto l’hobby Svizzera dove nei comuni, anche i più della fotografia ed è un smanettone con piccoli, può mancare il bar, ma mai il il computer. Ha pensato di unire le due capannoncino. Bastava, all’epoca, inpassioni e di vendere sulla rete macchiviare il curriculum e dimostrare che non

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Le storie Vicenza

Le “Strade” di Alì e Amina, il prestito scongiura il baratro Il microcredito può essere un valido strumento a sostegno di chi ha un’idea imprenditoriale del proprio futuro. Ma spesso serve a tamponare un’emergenza: consente a una persona o famiglia di fare fronte a spese insostenibili o a debiti che si vanno ingigantendo, per evitare che la situazione precipiti nell’irrimediabile e la precarietà diventi miseria. A Vicenza si chiamano Strade (Servizio territoriale di relazione e accompagnamento nella difficoltà economica) i tredici sportelli della Caritas diocesana, distribuiti in tutto il territorio della diocesi, nel cui nome sta il senso di quello che i numerosi volontari svolgono a favore di soggetti in forte difficoltà: una sorta di tutoraggio delle persone, a cui vengono erogati prestiti, ma che vengono anche aiutate con consigli competenti e messe in relazione con i servizi necessari a risolvere alla radice la situazione debitoria. «Insieme ragioniamo sulla situazione e cerchiamo la strada migliore da percorrere, rivediamo anche lo stile di vita, per capire se ci sono sprechi e spese superflue da evitare. Le persone però rimangono protagoniste della propria vita e delle proprie scelte – spiega Stefano Osti, che coordina il servizio “Strade” per la Caritas Vicentina –. Loro non si sentono soli e decidono il percorso insieme agli operatori volontari, ma poi devono reagire e affrontare i propri problemi in prima persona. E il dato più importante di questo servizio, iniziato nel 2006, è che il tasso di restituzione è dell’86%». Un risultato che racconta di relazioni efficaci, in grado di modificare anche i rapporti con gli istituti bancari, rendendoli più umani e amichevoli. *** Alì e Amina sono una coppia, arrivata in Italia dal Ghana una quindicina di anni fa. Qui hanno costruito la loro famiglia, vivace e numerosa, composta da cinque figli, che si possono considerare italiani a tutti gli effetti. A Vicenza, dove vive la famiglia, i ragazzi stanno frequentando la scuola e con il lavoro dei genitori (entrambi sono occupati) fino a due anni fa se la sono sempre cavata bene. Poi sono arrivate le difficoltà: con la crisi economica ad Alì sono state diminuite le ore di lavoro e lo stipendio si è dimezzato. Amina, che fa la badante in alcuni momenti della giornata e il cui compenso serviva per aggiungere qualcosa in più all’economia familiare, non poteva certo provvedere da sola al sostentamento della famiglia. In più la mamma di Amina, che non riceveva visite dalla figlia da ormai quattro anni, si era ammalata e aveva bisogno di aiuto. Un viaggio costoso, fino in Ghana: dove trovare i soldi in un simile momento? Fortunatamente la coppia conosceva bene il servizio di microcredito sociale della Caritas Vicentina e si è presentata allo sportello di Vicenza chiedendo aiuto. «Quando succede così – racconta Stefano Osti –, quando cioè le persone in difficoltà si fanno vive subito, prima che gli insoluti aumentino e la situazione debitoria diventi complessa e ingestibile, si riesce a intervenire con facilità e a risolvere la situazione nel migliore dei modi». E così è stato: Alì e Amina hanno chiesto e ottenuto un prestito agevolato, da restituire con rate calcolate in base alle loro effettive possibilità. «Con un prestito di 1.500 euro abbiamo consentito ad Amina – prosegue Osti – di andare a trovare la madre e pagare le bollette arretrate. Anche queste erano state rateizzate, grazie ad accordi con la municipalizzata, disponibile a venire incontro a chi è in difficoltà. Oggi il lavoro di Alì è ripreso e stanno pagando con regolarità il debito». Alì e Amina non sono stati “strozzati”dal debito, ma vi fanno fronte con regolarità: prevenire, con interventi “micro”, è sicuramente meglio che rincorrere emergenze “macro”... Cristina Salviati aprile 2014 scarp de’ tenis

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Scommetto. Su me stesso ne fotografiche, teleobiettivi usati, attrezzature. Un amico grafico gli ha dato una mano a creare il sito, un negoziante del quartiere gli ha offerto di tenere la merce. Ma per partire servivano i soldi. E Davide di risparmi ne aveva pochi. Così chiese un appuntamento alla banca dove aveva il conto corrente da quando era un ragazzino. «Quando ho detto al direttore che avevo un’idea, ma mi servivano 15 mila euro in prestito per realizzarla, quello è sobbalzato sulla sedia e mi ha riposto che non mi rendevo conto di quello che gli stavo proponendo – racconta –. A me non sembrava affatto una cifra eccessiva, anche se sapevo di non potergli dare nessuna garanzia. Ma senza quei soldi, come potevo iniziare e dimostrargli che la mia idea era buona?».

È a quel punto che la moglie Antonietta si è ricordata del suo vecchio parroco. Gli ha raccontato la storia e il sacerdote gli ha dato un indirizzo di Milano: Fondazione San Bernardino. I volontari hanno ricevuto Davide, valutato la sua proposta e accettato di finanziarla, attraverso il fondo di garanzia messo a disposizione dal Fondo Famiglia Lavoro della diocesi di Milano per il programma di microcredito. La linea di credito, aperta nella filiale di una delle banche convezionate con il Fondo, prevede l’erogazione di 7.500 euro, rimborsabili in 6 anni, a un tasso molto basso (il 4%). «Lo scorso anno, il 5 febbraio, lo stesso giorno in cui io e mi moglie ci siamo sposati, la banca mi ha chiamato per comunicarmi il prestito. Per me è stata una boccata di ossigeno. Un nuo-

vo inizio». Da allora è passato poco più di un anno. Il sito (www.iolocompro.it) è una bella vetrina. Ma gli affari non hanno ancora cominciato a girare. «La crisi ha bloccato il mercato della fotografia anche in una città come Varese dove di soldi ne sono sempre girati, così ho pensato di trattare anche altri prodotti – spiega –. Insieme alle macchine fotografiche usate, vendo anche cartucce per stampanti e toner. Prodotti che mi richiedono un investimento minore e riesco a proporre a un prezzo competitivo. Alla pubblicità sulla rete ho unito quella porta a porta: giro i negozi, gli uffici, i bar, della provincia insieme al mio amico grafico: lui propone biglietti da visita, io l’inchiostro per stamparli. Ce la faremo. Dobbiamo farcela...».

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L’orto sinergico di Danilo: «Chi semina, raccoglie...» Senza lavoro, a 55 anni. Si deprimeva. Poi ha pensato all’agricoltura biodinamica Danilo Airoldi, 55 anni, di Busto Garolfo, in provincia di Milano, non ha mai smesso di lavorare un giorno. Ha fatto di tutto: autista, magazziniere, operaio generico. Poi, all’inizio della crisi, la sua azienda ha chiuso. E lui e altri dieci colleghi sono rimasti a casa. Il mondo gli è crollato addosso. Per un po’ è andato avanti con cassa integrazione e mobilità. Poi più nulla. «Cercavo le offerte di lavoro su internet, mi met-

tevo in coda alla agenzie di lavoro interinale, ma non riuscivo a cavare un ragno dal buco. Chi vuole che prenda uno della mia età? Così ho deciso che non potevo continuare a sbattere la testa contro lo stesso muro. Se per me il lavoro non c’era, ma lo dovevo inventare. E

Fondo Famiglia Lavoro, risorse per chi ha idee Il Fondo Famiglia Lavoro istituito dalla diocesi di Milano per aiutare le vittime della crisi ha scelto di adottare il microcredito tra i propri strumenti di aiuto. Nel biennio 2012-2013 sono stati 173 i beneficiari di questa misura. Il meccanismo è semplice. Una quota delle donazione offerte dai fedeli e dai cittadini, pari a un milione di euro, è stata depositata presso un conto corrente di Banca Prossima come fondo di garanzia, per la concessione di prestiti delle cinque

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banche convenzionate (Mps, Intesa San Paolo, Ubi, Bpm e Credito Valtellinese) che hanno sottoscritto l’accordo. Le richieste dei prestiti, raccolte dai volontari che operano negli sportelli del Fondo sparsi nel territorio della diocesi, vengono valutate dagli operatori della Fondazione San Bernardino, per lo più ex bancari in pensione. Gli operatori della Fondazione, valutate le proposte, presentano la richiesta di finanziamento, accompagnata dalla fidejussione a valere sul fondo di garanzia. La banca esamina la richiesta, e a suo insindacabile giudizio eroga il finanziamento. Il prestito può arrivare fino a 20 mila euro.


Le storie

I dati

Microcredito all’italiana: finanziamenti per più di 7 mila Si pensava che potesse essere una formula finanziaria adatta soprattutto ai paesi in via di sviluppo. La crisi invece si è incaricata di dimostrare che il microcredito poteva essere applicato anche nelle economie più forti. Per i cosiddetti “soggetti non bancabili”, che non hanno altra garanzia da offrire che la loro voglia di riscatto, piccoli prestiti a tasso d’interesse nullo, o pari a zero, sono spesso la sola scialuppa di salvataggio alla quale aggrapparsi per evitare di naufragare nella disperazione. Disciplinato per la prima volta in Italia solo nel 2010, il microcredito ha avuto negli ultimi anni un’espansione continua, come documenta l’ultima indagine al momento disponibile, il monitoraggio compiuto dall’Ente nazionale per il microcredito, pubblicato a ottobre 2013. Secondo quella ricerca, nel 2012 in Italia sono stati finanziati più di 7 mila microprestiti, con importi variabili tra 10 mila euro per i progetti sociali e di 25 mila per quelli imprenditoriali, e un ammontare complessivo di erogazioni pari a 63 milioni di euro. Rispetto all’anno precedente, il 2011, i microcrediti concessi sono aumentati del 30,5%, mentre l’ammontare complessivamente erogato è stato intorno al 9%. A crescere maggiormente è stato proprio il microcredito con finalità sociale (+75 % per numero di prestiti concessi e +63% per ammontare complessivo). Nel 2012 i maggiori beneficiari sono state le donne (che hanno assorbito il 52% delle risorse), mentre gli immigrati hanno ottenuto il 25,8% dei prestiti, e i giovani il 23,7%. Il microcredito produttivo è servito nella maggioranza dei casi (il 49,5%) a dare avvio a una nuova attività di lavoro autonomo, in genere una ditta o impresa individuale, per lo più con un raggio di azione limitato alla dimensione comunale, attiva soprattutto nel settore terziario (servizi alla persona, commercio al dettaglio, riparazione auto e moto, ecc). I tassi di interessi vanno dallo 0 al 3,7%. Ben un quarto delle iniziative di microcredito ha concesso prestiti non onerosi. Secondo l’indagine, nel 2012 in media il 14,1% dei beneficiari non ha rimborsato la somma ricevuta. Ma il valore dell’insolvenza varia di molto a seconda della finalità dei progetti: per i microcrediti sociali sale al 18,4%, per quelli produttivi scende all’8,8%.

ho pensato di diventare coltivatore diretto. Zucchine, pomodori, fagiolini, insomma piccoli ortaggi da vendere nei mercati di paese, qui nella zona, puntando tutto sul prodotto genuino a chilometro zero. Questa era l’idea. Una follia? Forse, ma almeno, la mattina, ho un progetto per cui vale la pena alzarsi dal

letto...», racconta oggi. Un progetto evidentemente tutt’altro che campato in aria. Tanto che a un certo punto un amico gli dà un terreno accanto a una fabbrica alla periferia del paese. E, attraverso lo sportello Acli, Danilo chiede al Fondo Famiglia Lavoro un prestito di duemila euro per comprare

le sementi. «È una fatica enorme. Il terreno era rimasto incolto da troppo tempo. Bisognava prima ripulirlo dai calcinacci. Quando certe sere arrivavo a casa con le braccia stanche e la schiena rotta, mi chiedevo chi me lo stesse facendo fare – confessa Danilo –. Ma dopotutto, cosa ho da perdere? L’alternativa è restare a casa, perdendo ogni giorno che passa un poco più di fiducia in me stesso. Invece la fatica mi fa sentire ancora vivo. E mi tiene la mete sgombra dai cattivi pensieri».

Si taglia su tutto. Ma si va avanti Intanto Danilo si è informato in internet. E così gli è venuta l’idea dell’orto sinergico. «Tutti dicono che l’agricoltura biodinamica è il futuro. In alcuni comuni è addirittura incentivata. Invece di vangare, bisogna ammonticchiare dei cumuli e coprirli di paglia: in questo modo la terra respira e diventa più produttiva», spiega. Su un lato del “suo” campo infatti già si vedono le prime montagnette, disposte in modo geometrico. «Ci ho piantato zucchine e barbabietole. Poi sto preparando il terreno per lo zafferano, che è una pianta un po’ problematica. Sto anche installando un impianto di irrigazione. In futuro penso anche di avviare un allevamento di lumache. Un amico senegalese che recupera bancali si è offerto di farmi le cassette per quando comincerò a vendere gli ortaggi. Insomma, vado avanti un passo alla volta». Intanto a far quadrare i conti ci pensa la moglie, che porta a casa uno stipendio da maestra di sostegno. «Sono tre o quattro anni che ci alterniamo – sottolinea Danilo –. Quando sono fermo io lei trova qualcosa da fare, e viceversa. Ma è durissima. C’è il mutuo da pagare, un figlio di 9 anni da mantenere. Si va avanti tagliando su tutto. Avevo una macchina e l’ho venduta. Ora giro in bici. Non compro più abiti. Anche sul cibo si fanno rinunce. In tavola metto soprattutto quello che produco. Si tira la cinghia. In attesa di tempi migliori. «Ce la farò? Non lo so. Io non ho mai coltivato la terra – ammette –. Ma mio suocero sì, e mia cognata ha studiato agraria all’università. Chiedo consigli, leggo, mi spezzo la schiena. Insomma ci provo. Un vecchio detto dice che chi semina raccoglie sempre qualcosa. Speriamo sia vero».

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Outcomes Star è un innovativo strumento per valutare i cammini di recupero di soggetti in difficoltà. Anche homeless: progetto a Milano

Percorsi di risalita, li misura una stella di Alberto Rizzardi È possibile valutare oggettivamente i progressi di una persona senza dimora, incamminata sulla strada del reinserimento? E misurare il contributo che i servizi sociali, pubblici e privati, garantiscono al suo percorso? Si può fare, con una stella. Come insegna Outcomes Star, innovativo strumento, assai diffuso nel terzo settore del Regno Unito. Ideato e sviluppato nel 2003 dalla società inglese Triangle, diretta da Joy MacKeith e Sara Burns, consente di valutare l’andamento del percorso di recupero di una persona, migliorando l’efficacia dell’intervento dei soggetti non profit, orientato a ricostruire autonomia e dignità degli assistiti. Ma come funziona Outcomes Star? Applicando uno strumento nuovo e flessibile. Rappresentato da una figura semplice, che dà il nome al progetto: una stella a dieci punte. Ogni punta corrisponde a Outcomes Star si è diffuso negli anni per un obiettivo da raggiungere. E ognuno il mondo, con esperienze avviate in Audi questi obiettivi ha al suo interno diestralia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Caci gradini intermedi, che la persona asnada, Danimarca e Italia, oltre a progetsistita e l’educatore devono affrontare, ti sperimentali attivi in Francia, Germain una salita condivisa che porta al ragnia, Olanda e Finlandia. giungimento dell’obiettivo finale. Esistono più versioni della stella (attualmente ventidue), dedicate a varie Valutativo ed educativo aree d’intervento: dalle salute mentale Nel nostro paese, un modello si sta atagli anziani, dall’autismo alle violenze tualmente testando in Campania, Trendomestiche, passando per dipendenze tino e Lombardia. Agli Spedali Civili di da droga e alcol, problemi di apprendiBrescia è attivo dal 2013 il programma mento nei bambini. E naturalmente hotriennale For, che coinvolge l’unità psimelessness. I dieci obiettivi generali, dichiatrica 23 dell’Ospedale bresciano e versi a seconda della stella selezionata e numerose altre realtà pubbliche e del dell’area di pertinenza (tenuta fisica e terzo settore lombardo. La stella scelta mentale, capacità di relazionarsi col è la cosiddetta Recovery Star. Obiettivo: mondo esterno, di gestire il denaro, di sperimentare un programma che conprovvedere a se stessi, di non commetsenta ai servizi di salute mentale di astere reati, ecc.), non sono certo una nosumere il modello della recovery (guarività per chi si occupa abitualmente di gione, ripresa) come buona pratica per emarginazione e disagio. La particolarestituire alle persone affette da disturrità del modello Star risiede nel proporbi psichiatrici una vita dignitosa, attrare non solo degli obiettivi finali ma anverso laboratori aperti alla partecipache, per ciascuno di essi, passaggi interzione di operatori, utenti e familiari. medi, definiti da una frase, con i quali Tale approccio non è alternativo agli l’educatore e la persona assistita devostrumenti di valutazione tradizionali in no necessariamente confrontarsi, anambito psichiatrico, ma vuole stimolache ripetutamente, per poter raggiunre la partecipazione attiva e la respongere l’obiettivo prefissato. sabilizzazione degli utenti nell’indiviDalla natia Inghilterra, il metodo duazione e nel raggiungimento di

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obiettivi, all’interno dei piani di trattamento individualizzati. All’esperienza bresciana si sta per aggiungere anche Milano, dove alcune realtà storicamente attive nella lotta all’homelessness (Cena dell’amicizia, Cast, Centro San Marco, Casa di Gastone ed Effatà), assieme alla Fio.psd, la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, sono pronte a varare un progetto sperimentale di Outcomes Star, attualmente in attesa di finanziamento da parte della Fondazione Cariplo. «Outcomes Star – spiega Andrea Gazziero, psicologo e direttore dell’associazione “Cena dell’amicizia” – può essere uno strumento molto interessante per conciliare sia l’aspetto valutativo del lavoro, che viene abitualmente svolto nei percorsi di reinserimento sociale dei senza dimora, sia la valenza educativa dello stesso, al fine di aiutare le persone a fare una riflessione sullo sviluppo del proprio percorso. Una delle cose che bisogna fare quando si aiuta una persona a cambiare uno stato di fatto è convincerla a tornare a occuparsi della sua salute, a volersi di nuovo bene. Questo passaggio include una fase rielaborativa di quel che è successo. Outcomes star completa questo tipo di processo, perché consente di fare il punto della situazione nelle diverse fasi di accompagnamento, misurando il livello di consapevolezza dell’utente rispetto a un determinato tema: se all’inizio questo sarà verosimilmente basso, la consapevolezza riguardo a quell’aspetto verrà rimisurata durante il percorso, certificando progressi o involuzioni. Vedere concretamente un


l’approfondimento

obiettivo permette di discuterne; discuterne permette di riflettere; riflettere permette di imparare dalla propria esperienza, che è poi proprio quel necessario livello rielaborativo». Ma come potrà incidere concretamente Outcomes Star nel panorama milanese? «La nostra ambizione – affer-

ma Gazziero – è sottolineare come il tema della grave marginalità non possa essere affrontato lavorando solo sull’emergenza e facendo attività di prossimità: pur non sminuendo questi approcci e queste attività, occorre dire che essi non risolvono il problema. Con questa iniziativa vorremmo dimostrare

che c’è la possibilità di scommettere anche su progettualità e politiche sociali differenti, che impegnino risorse ma che ottengano anche risultati d’interruzione dei percorsi di marginalità nel medio e lungo periodo, mettendo al centro la persona e i suoi bisogni. Questa è la sfida da affrontare».

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“Prima la casa”, c’è una Rete Enti locali, università e associazioni di più di 40 città protagonisti della Conferenza nazionale Housing First. Nasce il Network, in futuro certificazione dei progetti Dalla strada alla casa. Senza fermate intermedie. Il modello di approccio all’homelessness conosce una svolta radicale. Anche in Italia: il modello Housing First non è più una semplice suggestione intellettuale, ma si candida – grazie a un nuovo Network nazionale – a diventare un paradigma operativo praticabile, finanziabile, adattabile ai diversi contesti territoriali. La prima Conferenza nazionale sull’Housing first, svoltasi a Torino a inizio marzo, ha avuto un notevole successo di partecipazione e ha centrato i risultati che si era prefissa. Coordinata dalla Fio.psd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora), grazie al supporto di tanza del mondo accademico (oltre università e comune di Torino, ha visto all’Università locale, anche Politecnico presenti circa 150 persone, provenienti di Torino e Università di Padova), istituda oltre 40 città italiane, in rappresenaprile 2014 scarp de’ tenis

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Percorsi di risalita, li misura una stella zionale (comuni di Torino, Bologna, Rimini, Verona, Milano e Genova, regione Piemonte, ministero delle infrastrutture e trasporti) e dell’associazionismo non profit (tra cui i delegati di dieci Caritas diocesane). La Conferenza ha raggiunto l’obiettivo di lanciare il Programma Housing First Italia (Hfi), percorso sperimentale di 24 mesi, che introdurrà il modello Housing First nel nostro paese, come sta avvenendo in molte parti d’Europa. Verrà quindi costituito ufficialmente il Network Hfi, insieme a una cinquantina di realtà istituzionali e associative. La nuova rete intende rivoluzionare le strategie d’approccio al problema dell’homelessness. Se fino a oggi, infatti, accoglienza e accompagnamento degli homeless procedevano lungo una scala a gradini progressivi (dal marciapiede al dormitorio, da questo alle comunità, ai gruppi appartamento, a varie forme di convivenza, solo dopo molto tempo a un alloggio proprio), il nuovo approccio prevede il passaggio diretto dalla strada all’appartamento gestito in autonomia.

Invertire l’approccio Esperienze internazionali evidenziano che il nuovo approccio funziona: in una recente sperimentazione (Casa Primeiro) condotta a Lisbona e analizzata a Torino, l’80-90% degli homeless coinvolti ha saputo mantenere la casa. «Da alcuni anni lavoriamo per favorire lo sviluppo dell’Housing First in Italia e con il lancio del network ci auguriamo di dare un impulso decisivo – ha dichiarato Stefano Galliani, presidente nazionale Fio.psd –. Vi dedicheremo molte energie e promuoveremo diverse iniziative. Il nuovo programma Hfi è sicuramente innovativo e sarà partecipativo: occorre rispettare le specificità dei territori, partendo dal basso e coinvolgendo dirigenti e operatori sociali, per favorire un cambio di prospettiva nella organizzazione dei servizi di housing per la grave marginalità. Non so dire quanto e come in Italia potremo applicare il modello Housing First nelle sue forme pure: in ogni caso, esso ci esorta a de-istituzionalizzare i servizi e responsabilizzare i beneficiari degli interventi. Sfida doppia. E profetica». Il segretario nazionale Fio.psd, Marco Iazzolino, ha invece spiegato gli

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Napoli

“Chi cerca trova”, si riparte da due gruppi-appartamento Tredici persone senza dimora e con storie di grave emarginazione potranno provare a ricostruire la loro esistenza andando a vivere in due gruppi-appartamento, gestiti a Napoli dalla Fondazione Massimo Leone e dalla cooperativa La Locomotiva, che hanno avuto in affidamento due appartamenti sequestrati e confiscati alla camorra per destinarli ad uso sociale. Per la prima volta, il comune partenopeo sostiene un’esperienza di housing sociale messo in pratica, in una logica di rete, con l’idea di offrire, a chi arriva da un’esperienza di strada, l’opportunità di sperimentarsi e rimettersi in gioco. L’apertura dei due gruppi appartamento è uno degli obiettivi centrati da “Chi cerca trova” progetto di formazione che, per un anno intero, ha coinvolto volontari e operatori di enti e associazioni impegnati nei servizi per senza dimora. L’iniziativa si è sviluppata in sei seminari di approfondimento, organizzati per avvicinare il mondo del volontariato e la comunità locale al fenomeno della grave emarginazione abitativa. Durante i seminari si sono confrontati un gruppo di operatori e volontari di Associazione Volontariato Uniti, Ventriere, Fml, Hermon, La Locomotiva e Fondazione Massimo Leone. Hanno discusso della necessità di rompere gli stereotipi che condizionano spesso, anche in buona fede, senso comune e opinione pubblica. Ad esempio la convinzione che si finisce in strada per scelta. E per scelta ci si rimane. A più voci gli operatori hanno testimoniato che la strada non è mai scelta e che molto sta cambiando il “popolo” che la abita: senza dimora è oggi la donna vittima di violenza, chi non ha un contratto di locazione regolare, chi ha lavori precari e perde l’alloggio per morosità. «Il percorso – racconta Danilo Tuccillo, presidente della Locomotiva – ha sviluppato un’azione di riflessione e di confronto, grazie anche al sostegno della Fondazione Con il Sud, generando progetti che diventeranno azioni concrete e preziose per attivare un processo di cambiamento che migliori le relazioni, privilegi la centralità della persona, faccia crescere la comunità». Molti i fili di riflessione che si sono intrecciati, rispondendo anzitutto al bisogno dei partecipanti di superare l’operatività automatica di ogni giorno e approfondire temi, contenuti e pratiche. A partire dalla convinzione che per rispondere ai bisogni materiali occorre intervenire sui bisogni immateriali: solitudine, allontanamento dai familiari, perdita di punti di riferimento causata dalla perdita del lavoro. Laura Guerra obiettivi che il programma Hfi si propone: invertire l’approccio dei servizi alla casa, contaminare la cultura italiana dei servizi sociali e assistenziali, fare rete con tutti gli attori interessati al pro-

gramma, offrire una certificazione Hfi. Ha inoltre illustrato le opportunità di finanziamento (di fonte europea, statale e regionale) che possono sostenere le sperimentazioni nei territori.

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PRILE 2014

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Un paese che ha travolto destini. Quelli dei giornalisti italiani Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. E di tanti altri, che attendono giustizia

Somalia É tempo di verità? di Angela De Rubeis Il governo rimuoverà il segreto di stato sulla morte di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. Il sottosegretario ai rapporti con il parlamento Sesa Amici ha dato l’annuncio alla Camera durante la celebrazione del ventesimo anniversario della morte dei due inviati Rai il 20 marzo scorso. Il governo ha infatti avviato le procedure per la desecretazione dei documenti che riguardano l’assassinio a Mogadiscio della giornalista del Tg3 e dell’operatore televisivo che l’assisteva. In seguito a questa decisione, la procura di Roma ha a sua volta annunciato che acquisirà gli atti utili alle indagini per scoprire gli autori degli omicidi. Forse, insomma, si inizia a vedere un po’ di luce nel buco nero chiamato Somalia, grazie anche agli sforzi di Luciana Alpi, madre di Ilaria, che ha conRicordare per capire, capire per ricordotto una battaglia incessante per la dare. Quest’anno ricorre il ventennale giustizia. Finora né tribunali né comdella morte della giornalista Rai Ilaria missioni parlamentari d’inchiesta Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin. hanno potuto chiarire le circostanze Vent’anni di lotta per non dimenticare, relative a mandanti ed esecutori del ma soprattutto per fare emergere la vedelitto. Sarà davvero la volta buona? rità sull’esecuzione dei giornalisti. Era Ne parliamo con chi ha cercato, il 20 marzo 1994 quando i due vennero anche tramite un premio giornalistifreddati a bruciapelo, inchiodati ai seco, di tenere vive la memoria e la ledili del pick up che li stava portando da zione di Ilaria Alpi. una parte all’altra di Mogadiscio, in So-

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Stato “fallito” La Somalia, paese prostrato: dopo anni di guerre intestine, c’è un governo nella capitale Mogadiscio, riconosciuto a livello internazionale. Ma il conflitto continua a seminare insicurezza. A destra in alto, Miran Hrovatin e Ilaria Alpi

malia. Già dall’inizio della vicenda si capì che non tutto venne detto: sparirono alcune videocassette e i taccuini di Ilaria, le valigie tornarono ai genitori con i sigilli aperti e dubbi furono sollevati anche sui rilevamenti e le indagini fatte dalla polizia locale, che ipotizzò prima un atto terroristico e poi una rapina. Inchieste giornalistiche, impegno della famiglia e dell’Associazione Ilaria Alpi (nata a Riccione, pochi mesi dopo


il ricordo Associazione e premio

Ilaria e Miran, ricordo che vive Ilaria non è mai stata dimenticata. In questi vent’anni il lavoro dell’Associazione a lei intitolata, sempre a fianco dei genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio (scomparso qualche anno fa), ha portato il nome della giornalista dentro le scuole, nei cinema, per le strade, nei parchi e nei circoli. Un lavoro sottile, con bellissimi frutti: i ragazzi di molte scuole d’Italia oggi conoscono il nome e il lavoro di Ilaria, Parma ha intitolato a lei la sua biblioteca comunale, tante tesi di laurea portano il suo nome sul frontespizio. Ma l’eredità più grande di Ilaria è il Premio giornalistico televisivo a lei intitolato. Nel suo nome migliaia di giovani, ogni anno, vanno a Riccione a guardare da vicino il meglio del giornalismo italiano e internazionale. Partecipano alla consueta serata in ricordo di Ilaria, durante la quale viene fatto il punto sul caso della sua morte che rimane aperto, e con interesse si avvicinano al prezioso archivio che ha sede nella località romagnola, che raccoglie tutte le inchieste televisive sull’assassinio e tutte le inchieste tv che hanno partecipato alle edizioni del Premio.

l’esecuzione in Somalia) hanno fatto emergere pezzetti di verità, che messi insieme hanno ricomposto la storia. Ma ufficialmente il tutto, per ora, si risolve in un nulla di fatto. Tutti – da Luciana Alpi a Mariangela Gritta Grainer, già parlamentare e presidente dell’associazione, passando per Francesco Cavalli e Barbara Bastianelli, alla guida del premio giornalistico televisivo, istituito per ricordare l’impegno del lavoro di Ilaria e per promuovere il giornalismo d’inchiesta – credono che il rispetto della memoria di Ilaria e del suo lavoro passi inevitabilmente per la conoscenza della verità sull’omicidio. L’altra faccia del caso non ancora chiuso, infatti, è il caso mai aperto sino in fondo. Dove c’era da raschiare nei barili delle stanze del potere non s’è ra-

schiato abbastanza, anzi s’è chiuso e inchiodato il coperchio. Sulle motivazioni che hanno portato a questa morte c’è ancora molto da scrivere. E dire che sono stati tre i pubblici ministeri che hanno affrontato la vicenda, ed è pure stata istituita una commissione d’inchiesta parlamentare e per vie traverse, passando per le indagini sul traffico di rifiuti tossici verso la Somalia, i nomi di Ilaria e Miran sono venuti fuori pur non cercandoli. La desecretazione dei documenti sui traffici internazionali di rifiuti tossici, richiesta da Greenpeace e sostenuta da Il Manifesto, che ha realizzato un’inchiesta giornalistica molto accurata, con i giornalisti Andrea Palladino e Andrea Tornago, i quali hanno parlato di ottomila documenti secretati, potrebbe finalmente far luce sulla vicenda.

Per la prima volta, forse, si potrà contare su informazioni relative ai traffici di rifiuti in Somalia, che getterebbe una luce più chiara sulla vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. «In questi vent’anni – spiega Mariangela Gritta Grainer – sono entrata più volte nel mondo di Ilaria, dal momento della sua esecuzione, quel 20 marzo 1994. Con la volontà di cercare nei suoi lavori una traccia per capire la sua morte, innanzitutto. E con la consapevolezza che quel che rimane dei suoi appunti è solo una minima parte di quanto è stato purtroppo trafugato, eliminato, occultato».

Cosa sappiamo «Sappiamo che Ilaria aveva raccolto materiale e prove di un traffico d’armi e di rifiuti tossici, individuando respon-

Un premio per far crescere il giornalismo televisivo d’inchiesta Nato a Riccione nel 1995, il premio di giornalismo televisivo intitolato a Ilaria Alpi si è affermato come uno tra i più prestigiosi, a livello internazionale. Ilaria Alpi ha svolto la sua professione con impegno e senso etico non comuni. Il suo modo di interpretare il giornalismo è ancora oggi un punto di riferimento, da indicare, promuovere, valorizzare. Il premio nasce con la particolare ambizione di sostenere l’impegno per l’inchiesta televisiva. In vent’anni sono state premiate le firme più importanti del giornalismo d’inchiesta

televisiva d’Italia. Si tiene tutti gli anni a Riccione, con una tre giorni di approfondimento dei temi che hanno caratterizzato l’intero anno, con dibattiti, proiezioni, presentazioni di libri, e la serata di premiazione finale. Da tempo, inoltre è stato istituito un premio – Ia Doc – dedicato alle inchieste televisive inedite, per promuovere la produzione di inchieste indipendenti, premiate con un contributo di 10 mila euro e la messa in onda su Rai Tre e Rai News del documentario vincitore.

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Somalia, è tempo di verità? sabilità: per questo è stata uccisa insieme a Miran, prima che potesse raccontare “cose grosse”, come aveva annunciato alla Rai. Abbiamo assistito a depistaggi, occultamenti, carte false, testimoni o persone informate dei fatti che hanno mentito o non hanno detto tutto ciò che sapevano, altri sono morti in circostanze misteriose, il tutto spesso confezionato direttamente con la complicità di parti e strutture dello stato che

hanno lavorato all’accreditamento ufficiale di false versioni, manipolando fatti reali». Molte informazioni sono emerse, ma ancora oggi non si sa con certezza chi abbia ordinato l’esecuzione e chi ha coperto esecutori e mandanti. «Esistono documenti, testimonianze, informative, inchieste: un materiale enorme, accumulato in anni di inchieste giornalistiche, della magistratura, delle

commissioni d’inchiesta parlamentari e governative, che custodisce i nomi e le prove. Togliendo il segreto di stato che la legge prevede possa essere posto solamente “su atti, documenti, notizie, attività, cose e luoghi la cui conoscenza non autorizzata può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali dello Stato”, sarà finalmente possibile arrivare a conoscere la verità. O quantomento avvicinarla notevolmente.

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Samia non ha avuto paura «Simbolo di tanti giovani eroi» Giuseppe Catozzella racconta in “Non dirmi che hai paura” il coraggio di una ragazza che ha avuto la forza di lottare per i suoi sogni. Fino al punto di pagare con la vita di Ettore Sutti Samia Yusuf Amar non corre più. La ragazzina di Mogadiscio con la corsa nel sangue, l’atleta che a 17 anni ha rappresentato la Somalia alle Olimpiadi di Pechino, contro tutto e tutti, è morta mentre cercava di attraversare il Mediterraneo a bordo di una carretta del mare. Stava venendo in Europa per coronare il suo sogno: potersi allenare lontano dalle buche e dalle pallottole di Mogadiscio per partecipare e – perché no? – magari vincere le Olimpiadi di Londra 2012. Così un giorno ha deciso: è partita da sola, a piedi, per compiere il Viaggio e raggiungere l’amata sorella Hodan in Finlandia. Ma il suo tentativo è finito in tragedia. La memorabile storia di Samia è al centro di Non dirmi che hai paura, il libro scritto da Giuseppe Catozzella, giovane scrittore che ha deciso di romanzare e ricostruire, con garbo e dolcezza, la storia della giovane atleta somala. Giuseppe Catozzella ci ha messo mesi per ricostruirne la vicenda, parlando con la sorella e i tanti amici che l’avevano conosciuta o anche sola incoraggiata, quando correva a piedi nudi per le strade di Mogadiscio. Un libro che non lascia indifferenti. Soprattutto perché pone in piena luce il coraggio dimostrato da una ragazza giovanissima, in un paese dilaniato dalla guerra e dall’integralismo religioso. La storia di Samia ha dell’incredibile. Nonostante le difficoltà quotidiane causate dal fatto di vivere in un paese devastato dalla guerra, senza allenatori, senza scarpe, quasi senza cibo, si è qualificata per le Olimpiadi. Un inno a chi non si arrende mai? È assolutamente così. Uno dei motori che mi ha spinto a raccontare questa

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storia è proprio l’esempio meraviglioso di cosa un essere umano può fare per raggiungere il suo sogno. Credo si tratti di una grande storia di coraggio e libertà. Samia a Pechino arriva ultima nella sua batteria. E nonostante questo

non si abbatte. Anzi crede che alla occasione successiva, a Londra, potrà addirittura vincere. Arrivare ultimi, ma andare comunque avanti: praticamente la storia dell’Africa... Mentre Samia sta per entrare allo stadio olimpico di Pechino, complice un corridoio pieno di specchi, si confronta con le altre atlete in gara e, per la prima volta, si vede per quello che è: una ragazzina fragile, più bassa e magra di tutte le altre. Quella scena, insieme anche alla corsa – dato che Samia arriva nove secondi dopo le altre (un’eternità, nella gara dei 200 metri, ndr) – sembra davvero una rappresentazione plastica dell’abisso che separa il primo e il cosiddetto terzo mondo. Con quest’ultimo che insegue arrancando, ma che, alla fine, con enorme caparbietà e con il sorriso con le labbra, riesce comunque ad arrivare. Nonostante tutto. Samia nel libro non ha mai paura: non ha paura quando le uccidono il padre, non ha paura quando parte a piedi per arrivare in Europa e cercare un allenatore. Una ragazzina che non perde la forza, il coraggio di combattere fino alla fine della sua vita: un grande esempio per tanti giovani, anche più benestanti... Me ne sto rendendo conto in questi giorni: presentando il libro nelle scuole, mi stupisco molto del fatto che tantissi-


il ricordo

Un audiolibro ricorda il sacrificio di Graziella Tra i tanti italiani che hanno pagato con la vita il desiderio di stare accanto alla popolazione somala negli anni più bui della guerra civile, c’è anche Graziella Fumagalli, medico, responsabile di un centro modello per la lotta alla tubercolosi, operatrice di Caritas Italiana. Graziella fu uccisa a Merca, mentre stava visitando un paziente nel Tb Centre, il 22 ottobre 1995. La vicenda della sua vita, e della determinazione e della rettitudine con cui condusse la sua opera in Somalia, nonostante un ambiente reso esplosivo da una torbida miscela di

mi ragazzi e ragazze si identificano con Samia e la sua forza di volontà. Forse abbiamo un po’ smarrito la voglia di combattere e lottare per i nostri sogni. In un certo senso la storia di Samia è un simbolo bellissimo di qualcosa che abbiamo smarrito e non troviamo più. Non dirmi che hai paura romanza una storia vera: hai preso una piccola storia per renderla universale. Quante Samie ci sono in Africa? Innumerevoli. La storia di Samia è solo un pochino più luminosa delle altre, perché è stata sotto i riflettori delle Olimpiadi e un miliardo di persone l’hanno vista correre a Pechino. Ma viaggiando per l’Africa ho incontrato tantissime storia meravigliose di ragazzi e ragazze, veri e unici eroi contemporanei, che per realizzare se stessi ed esaudire un sogno di speranza decidono di mettere in gioco quello che hanno di più prezioso: la loro vita. Sono eroi, ma nelle nostre cronache figurano solo come “migranti” che qualcuno vorrebbe pure gettare in mare...

traffici loschi, interessi privati e di clan, disperazione causata da sofferenza e miseria e rigorismi fondamentalisti, è stata raccontata nel 2000 da Ho nascosto il mio volto (Emi), libro scritto da Paolo Brivio. Da quell’opera Caritas Italiana, Rerum – Rete europea risorse umane e Multimedia San Paolo hanno tratto l’audiolibro É compito mio, nono testo della collana Phonostorie: brani scritti e contributi audio, con la voce di artisti e giornalisti, su un personaggio umile e nascosto, ma capace di una testimonianza esemplare. INFO www.caritas.it

La Somalia è un grande buco nero, luogo di traffici più o meno leciti, nel quale sono stati inghiottiti giornalisti come Ilaria Alpi, cooperanti e missionari. Una terra dura da raccontare... Ho tentato di farlo nel modo più credibile e accurato possibile. Non sono riuscito ad andare in Somalia per colpa della guerra civile che la dilania da moltissimi anni. Mi sono fermato al confine, nel nord del Kenya. Ho ricostruito la città e il suo ambiente attraverso le fotografie e i racconti dei ragazzi di Mogadiscio che ho incontrato e che hanno lasciato la Somalia nel corso degli anni. Anche Google maps è stato utile per immergermi tra le strade della capitale. Samira a 17 anni corre a Pechino senza velo islamico. Gesto di una potenza incredibile, per una ragazzina... Per Samia è stata fondamentale la figura del padre. È stato lui che le ha dato il coraggio di andare fino in fondo e inseguire la propria libertà. Di fare gesti come quello di correre senza velo, pur non rinnegando la religione musulmana.

Un’atleta non può correre velata, il velo ostacola la velocità. Un gesto che si è dimostrato straordinario e che ha fatto di Samia un’eroina per moltissime donne in tutto il mondo arabo e musulmano. Samia muore buttandosi in acqua nel mezzo del Mediterraneo per raggiungere un’imbarcazione, pur non sapendo nuotare. A volte sarebbe meglio avere un po’ di paura... La paura è uno strumento che noi uomini utilizziamo per salvarci da situazioni pericolose. Però l’eccesso di paura può trasformarci in persone che non riescono a vivere la propria vita fino in fondo. In questo atto finale di Samia ho visto l’affermazione della sua personalità, il fatto che lei fosse convinta di farcela fino all’ultimo istante della sua vita. Se avesse avuto paura magari si sarebbe salvata la vita. Però non sarebbe arrivata fin lì e non sarebbe mai diventata il simbolo che è oggi. Una bella storia e una grande denuncia, la tua... Certo che sì. Perché quando il diritto si scontra con i sogni individuali, questo diventa un’aberrazione totale. Se certe leggi di contenimento delle migrazioni non esistessero, oggi Samia sarebbe qui, insieme a noi. E noi ci sentiremmo di sicuro meno soli.

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Il coraggio dei sogni A sinistra, Samia in gara a Pechino. A fianco, Giuseppe Catozzella; sopra, il libro dedicato alla straordinaria vicenda della giovane somala aprile 2014 scarp de’ tenis

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milano In via Padova aperto uno store speciale: abbigliamento usato di qualità, per finanziare progetti sociali e di accoglienza

Share, la moda. Ma verde e solidale Como Abbondino alla Caritas: «Solidarietà senza fanfare» Torino “Gruppo classe”, si riparte da se stessi Genova Giovani in Servizio civile: “la parte migliore” Verona D’inverno? Per sei mesi abiterò in parrocchia Vicenza Una trentina in strada: ma non sono idrosolubili Rimini Qui Ci.Vi.Vo. E me ne prendo cura Firenze Andrea e il suo blog, racconti poco virtuali Napoli Don Palmese, la carità fa rima con legalità Salerno Frane in Costiera e Cilento, turismo e lavoro a rischio? Catania Arriva il Presidente, “sfrattati” gli homeless

Trendy, uguale sostenibile Immagini di Share, il negozio di abbigliamento di moda di seconda mano, aperto dalla cooperativa Vesti Solidale (consorzio Farsi Prossimo) in via Padova 36, primo tassello di un più complesso progetto di solidarietà e “nuova cittadinanza”

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di Marta Zanella Una nuova vetrina di abbigliamento nell’arteria multietnica di via Padova non è certo una sorpresa. Complice forse la forte crescita negli ultimi anni di un’etnia in particolare, tra le molte che abitano il quartiere, e cioè quella cinese, i negozi di vestiti in via Padova si sono moltiplicati. Ma questo, che ha alzato le saracinesche a metà marzo al civico 36, è uno store speciale. Si chiama Share, che sta per Second Hand Reuse: è, dunque, un punto vendita di articoli usati, di seconda mano. I principi che lo sostengono sono molti: intanto c’è l’attenzione verso il portafoglio di chi compra, perché i capi che si trovano sono tutti di alta qualità, di grandi marche e in perfette condizioni, ma a un prezzo molto basso, si va dai 3 a un massimo di 12,50 euro al pezzo. C’è la vocazione “verde”, perché riciclare e riusare, anche i vestiti, riduce i rifiuti e l’inquinafuori dal mondo del lavoro. Oppure, comento. C’è, soprattutto, la solidarietà, me nel caso di Share, abbiamo scelto di perché dietro a questo progetto c’è la dare lavoro a giovani disoccupati o precooperativa Vesti Solidale, una delle afcari: ragazzi che, pur con una laurea in filiate al Consorzio Farsi Prossimo del tasca, non riuscivano a uscire dal tunnel circuito Caritas. infinito dei contratti interinali e, di con«La solidarietà, nel caso di Share, seguenza, non riuscivano a investire su viaggia su due binari – spiega Carmine nessun progetto di vita, inclusa una faGuanci, di Vesti Solidale –: anzitutto i miglia». proventi del negozio andranno a finanziare progetti di accoglienza, in particolare alloggi per mamme in difficoltà con i loro bambini». Nelle sole prime due settimane di apertura, ancora prima dell’inaugurazione ufficiale e di aver pubblicizzato l’attività, Share ha consentito di destinare quasi 1.400 euro al progetto di housing sociale per mamme e bambini, che prenderà il via nello stesso stabile in cui ha sede il negozio. «Ma Share è solidale anche verso chi ci lavora – continua Guanci –. Vesti Solidale è una cooperativa sociale che dà lavoro a persone svantaggiate: carcerati, disabili psichici e fisici, rifugiati politici, donne con percorsi di violenza o abuso alle spalle, persone uscite da percorsi di dipendenza da droga o alcol, per fare degli esempi...». Ma sempre di più anche persone che si definirebbero “normali” e che stanno pagando la crisi. «Ultimamente ci sono anche molti cinquantenni che si sono ritrovati buttati


scarpmilano Il progetto

Negozio equo, accoglienze, arte: ViaPadova36, cittadinanza diversa

Pronti a creare nuovo lavoro Oggi sono tre i dipendenti del negozio, ma una quarta persona dovrebbe entrare in gioco a breve. E poi molto dipende da come andrà nei prossimi mesi: «Se l’attività commerciale si avvierà con successo – prosegue ancora Guanci –, allora potremo permetterci di fare anche una raccolta e una cernita più selettiva dei capi di abbigliamento e potremmo arrivare a impiegare anche una cinquantina di persone». Vestitini a fiori e a pois a 7,50 euro per prepararsi con allegria alla bella stagione, jeans da uomo allo stesso prezzo, giubbotti e giacche a vento a 12,50 euro, da sognarseli persino durante i periodi dei saldi. E una stanza intera dedicata all’abbigliamento dei bambini che, si sa, di solito costa molto e dura poco: dai

Quello del negozio di moda di seconda mano è solo una piccola parte del progetto che sta per aprire le porte nel complesso di via Padova 36. Se Share ha le sue vetrine alla sinistra del portone di ingresso del vecchio cortile, alla destra aprirà invece un laboratorio sperimentale dedicato al caffè, in collaborazione con la cooperativa di commercio equo e solidale Chico Mendes: sarà il primo punto di degustazione e vendita di caffè equosolidale in capsule per macchinette da espresso. All’interno del complesso di appartamenti, completamente ristrutturato, ci saranno alloggi ad affitto calmierato destinati a giovani famiglie. «Apriremo a maggio – annuncia Stefano Granata, presidente di Abitare Sociale Metropolitano, impresa sociale che riunisce Consorzio Farsi Prossimo, cooperativa Chico Mendes, Sis – Sistema Imprese Sociali e cooperativa La Strada, che sta costruendo il laboratorio di via Padova36 –. Ci rendiamo conto che oggi la sfida sociale non si limita al sostegno alla marginalità estrema, ma è necessario rendere la città sostenibile per tutti i cittadini, anche per le fasce medie, per cui i consumi e la casa stanno diventando una vera e propria emergenza». Così ViaPadova36 sarà un modello di cittadinanza diversa, dove convivono spazi commerciali di consumo sostenibile e case accessibili a tutti, specialmente a giovani e famiglie, oltre a un residence per l’accoglienza di mamme sole con bambini, neomaggiorenni in uscita da comunità, rifugiati e richiedenti asilo, papà separati. Non è un caso che tutto questo nasca proprio in via Padova. «Noi vogliamo fare queste cose, costruire un modello che funziona qui, in questo quartiere – insiste Carmine Guanci di Vesti Solidale –. In questo complesso c’era anche un artista, Marco Mantovani, e noi vogliamo che l’arte e il bello continuino a vivere in questo luogo. Vogliamo però anche coniugare il bello al sociale, per far capire che sociale e accoglienza non sono sinonimi di marginalità e difficoltà, ma tutto questo può essere un’eccellenza». Lo spazio per l’arte, ovviamente, resta: la Fondazione Marco Mantovani continua il suo lavoro e ViaPadova36 vuol dire anche eventi di cultura, arte e socialità, in collaborazione con le tante associazioni attive nel quartiere.

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Share, la moda. Verde e solidale body e tutine per i neonati delle marche più conosciute fino a vestiti e cappottini, ordinati per fasce d’età. Gli abiti messi in vendita da Share vengono da diverse città italiane e anche da alcune piazze europee, come Parigi, Amsterdam, Berlino. Anche per questo la scelta è molto ampia e selezionata: «Per questo progetto selezioniamo solo il 5% dei vestiti raccolti. Che non è poco, se si pensa che solo Vesti Solidale, nella diocesi di Milano, raccoglie otto tonnellate di indumenti ogni anno». La sfida, a questo punto, si gioca sul campo. Le intenzioni sono le migliori, bisogna verificare se l’impresa è sostenibile e riesce a stare sul mercato. L’apertura in via Padova è una sorta di progetto pilota, nel caso in cui tutto funzionasse per il meglio già diverse cooperative sociali sarebbero pronte a replicare il modello e a utilizzare il marchio Share in altre città italiane.

Cresce il mercato dell’usato Il contesto, peraltro, sembra buono: secondo l’Osservatorio Findomestic, negli ultimi cinque anni è cambiato l’approccio verso l’acquisto dell’usato. Il

48% degli italiani vi ha fatto ricorso e il 41% dichiara di voler incrementare gli acquisti nel settore. Secondo l’indagine, l’espansione dell’usato non dipende dalla crisi, ma dall’evoluzione degli stili di consumo. Chi si rivolge a questo mercato è generalmente giovane e colto, ed è un consumatore attento. Share potrebbe pescare nella corrente giusta. Una corrente che vive molto anche sui social network. Così, grazie a un sito e alla pagina Facebook, i clienti di Share

possono seguire anche l’attività “dietro le quinte” e verificare che i proventi dei loro acquisti siano effettivamente impiegati nel progetto sociale. E lo store non sarà solo spazio di commerci, ma riserverà spazio a iniziative sociali e culturali, a laboratori di sartoria e cucito, a passerelle di stilisti del critical fashion, la moda “critica” ed etica. Più che un semplice negozio, una vera comunità. INFO www.secondhandreuse.it facebook: ShareViaPadova

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Finanziamenti anche da chi sbarca in Borsa... L’avvio di Share è stato sostenuto da London Stock Exchange Group Foundation (fondazione della Borsa di Londra), dalla fondazione di Borsa Italiana (che appartiene alla borsa londinese) e da Fondazione Cariplo, nell’ambito di “Ipo solidale”, una sorta di raccolta fondi congiunta tra le tre fondazioni stesse e le aziende in procinto di quotarsi in Borsa, che scelgono così di sostenere un progetto sociale o culturale finalizzato all’occupazione giovanile e di persone fragili, promossi da soggetti non profit. In pratica, Fondazione Cariplo propone alcuni progetti, le tre Fondazioni deliberano un contributo e li propongono, tramite Borsa Italiana, alle Ipo, le aziende che stanno per sbarcare in Borsa, le quali potranno decidere se aderire al programma scegliendo il progetto da sostenere. In caso di matching, cioè di “incontro avvenuto” tra ente non profit e Ipo, Fondazione Cariplo donerà un contributo di pari ammontare. Share è uno dei soggetti che beneficerà di questa prima fase di sostegno grazie a 40 mila euro di finanziamenti.

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IDEE E PROGETTI A FAVORE DEI SENZA DIMORA


scarpmilano

Era un cartaceo. Ora è un blog che raccoglie storie, aspirazioni e riflessioni di ragazzi stranieri di seconda generazione

Yalla, il paese dei nuovi italiani di Simona Brambilla Seconde generazioni, nuovi italiani, generazioni 1.5, figli di immigrati: come li si voglia chiamare, sono loro i protagonisti di Yalla Italia, una piattaforma internet dove si ritrovano giovani che nessuno ha ancora davvero trovato il modo di definire. Sono Ranja, Sumila, Sabika, Soren... Tutti ragazzi che hanno alle spalle storie di migrazione e integrazione. «Le 2G sono generazioni non etichettabili – conferma Martino Pillitteri, fondatore della piattaforma –. Non posseggono verità e certezze, non hanno risposte preconfezionate per ogni domanda, non corrispondono a un modello predefinito. Sono ragazzi che non si lasciano ingabbiare da sbrigative definizioni, perché sono liberi e reali, semplici e complessi: sanamente contraddittori». Su Yalla Italia, giovani ragazzi di seconda generazione si occupano di te«Quando ho rivelato ai miei che mi matiche che li riguardano: dal processo ero innamorata di un italiano non mudi identità delle seconde generazioni alsulmano, è successo il finimondo», racla legge sulla cittadinanza, dall’interculconta sul blog. Appena data la notizia, è tura al racconto di esperienze positive stata obbligata a partire per il Cairo e a di seconde generazione. «Yalla Italia inrimanere nella capitale egiziana per altende dimostrare che la realtà è più cuni mesi senza passaporto. Ma non si avanti dell’immaginazione. E questo è data per vinta e attraverso la mediasenza rassicuranti schemi stereotipati, zione è riuscita a far cambiare idea ai provocazioni violente e fini a se stesse, suoi genitori. «La svolta alla mia espeassurdità e generalizzazioni», prosegue rienza da romanzo credo sia avvenuta Martino Pillitteri. quando decisi di parlare in modo aperYalla Italia è insomma un angolo di to con i miei genitori. Coinvolsi parenti, rete in cui si parla di costume, di politiamici di famiglia, persino i vicini di caca, di società e persino di gastronomia, sa. I miei genitori avevano bisogno di i cui autori cercano sempre di autorapsentire che la società non li avrebbe giupresentarsi. «É uno spazio dove diremo dicati negativamente come credevano. la nostra – si legge sul “blog delle seconde generazioni” –. Non da italiani, o da arabi, da cinesi, indiani, latini o eurocentrici: ma da nuovi cittadini, che appartengono a due mondi e che si divertono a coglierne gli aspetti più interessanti, contraddittori e provocatori».

Rania egiziana d’Italia Molti sono gli autori di Yalla Italia, altrettante le belle storie che si portano dietro. Tra loro c’è Rania Ibrahim, mamma italiana di origini egiziane, che è riuscita a vincere la sua battaglia per l’amore (di un ragazzo italiano) senza fare guerre con i suoi genitori (egiziani).

Bisogna cercare di mediare, mettersi nei loro panni, non essere egoisti; confronto e dialogo sono le parole chiave».

Sabika rinata grazie al nonno Quella di Rania è una delle molteplici storie che impreziosicono Yalla Italia.La piattaforma internet era nata inizialmente come testata cartacea, pubblicata in forma di dorso del mensile Vita; dal 2011, è divenuta un vero e proprio portale. «L’idea è nata nel 2006 dall’incontro tra Paolo Branca, docente di storia e cultura islamica all’Università Cattolica di Milano, e alcuni i giovani di seconda generazione all’Associazione italo-egiziana di Milano, durante corsi di arabo per figli di immigrati – riprende Martino Pillitteri –. La loro vitalità e il loro background multiculturale ci colpì tanto, che si decise di proporre a Vita un progetto il cui scopo era valorizzare esperienze che noi ritenevamo essere nuova linfa propositiva per il paese». Nel 2007 venne così pubblicato il primo numero cartaceo di Yalla Italia, intitolato “Ridere da Musulmani”. Nel 2011, dopo ben 28 numeri pubblicati come dorso di Vita, si è passati alla versione on line, che sta diventando un punto di riferimento per tanti internauti. Non solo. Tutti i giovedì sera, dalle 21.30 alle 22.30, i ragazzi di Yalla Italia raccontano il loro punto di vista sulla realtà che si trovano a vivere anche via etere, nel programma Generation Pop di Radio Popolare. INFO www.yallaitalia.it

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storie di via brambilla Donne sole o in difficoltà: un progetto, per ritrovare la casa e la famiglia

Jeanette e Miriam nel Nido, si riparte verso l’autonomia di Paolo Riva

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EANETTE AVEVA CONOSCIUTO GIULIA in una comunità di accoglienza di Milano. La pri-

ma, arrivata dal Senegal giovanissima e rimasta presto incinta. La seconda, professionista quarantenne e volontaria appassionata. Jeanette è giunta alla Casa della carità all’interno di Casa Nido, progetto in convenzione col comune di Milano: riserva quattro appartamenti a mamme sole con bambini e famiglie in difficoltà. L’obiettivo, alla Casa, è raggiungere l’autonomia. Contando molto sulla rete di sostegno composta dalle persone che la donna o la famiglia già conoscono. Arrivata dopo essere stata ospite di un centro comunale, Jeanette è stata dunque incoraggiata dalle educatrici a riprendere lo stretto legame con Giulia. Intanto, la bambina è stata iscritta al nido del quartiere e Jeanette ha trovato impiego in un albergo, ma senza ottenere un posto fisso. Poi Giulia le ha consigliato una fabbrica di profumi di una conoscente: dopo i primi contratti temporanei, è arrivata la conferma a tempo indeterminato. Rimaneva il solito problema della casa, ma anche in questo caso conoscere Giulia si è rivelata una grande fortuna. La volontaria ha proposto alla giovane senegalese di prendere in affitto un piccolo appartamento di proprietà della sua famiglia: ancora oggi, Jeanette vive lì insieme alla sua piccola. Il suo posto a Casa Nido però non è rimasto vuoto. Anzi. «I quattro alloggi dedicati a questo progetto sono tutti occupati, da 15 persone – spiega l’educatrice Luisa Brembilla –. Dal gennaio 2005 abbiamo ospitato 63 nuclei famigliari (194 persone, di cui 114 minori). Nel corso degli anni si è passati dall’ospitare maggiormente giovani madri straniere sole con figli piccoli, all’accogliere un numero sempre maggiore di famiglie sfrattate. Per questo, dalla fine del 2012 si valuta anche l’accoglienza del padre, insieme al resto del nucleo famigliare». Miriam, per esempio, gestiva con il marito un’attività commerciale ben avviata, faticosa ma sufficiente per garantire una vita normale ai loro due figli, alle porte di Milano. Poi, un giorno, lui ha iniziato a stare male: un problema di salute mentale, forse figlio di un trauma infantile. Non è più riuscito a lavorare, lei lo ha sostituito ma la famiglia si è indebitata, il negozio è stato pignorato e Miriam ha dovuto trovarsi un altro lavoro. Stipendio basso, cure costose: arriva l’avviso di sfratto. Per paura che le togliessero i bambini, ha deciso di lasciare la casa prima ancora che lo sfratto diventasse esecutivo. Accolta da amici, si è poi rivolta ai servizi del comune, che hanno proposto Casa Nido, mentre il papà ha trovato un posto letto da altri amici. «A volte dividere una famiglia appare crudele – spiega l’assistente sociale della Casa, Tea Geromini –, ma dipende dai casi. Intanto il marito è decisamente migliorato negli ultimi mesi e, grazie al nostro sostegno, sono stati fatti molti passi avanti anche dal punto di vista legale, per il riconoscimento dell’invalidità e la richiesta di un alloggio Aler». Tra Miriam e il sogno di avere di nuovo una casa in cui riunire la famiglia, però, ci sono oltre 300 posti nella lunga graduatoria delle case popolari. Ma è una donna forte: anche grazie a Casa Nido, ce la farà.

La giovane egiziana e la sua bimba dicono grazie a Giulia. L’ex commerciante aspetta una casa popolare: ce la farà

www.casadellacarita.org

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latitudine como Riconoscimento civico, in occasione dei 40 anni dell’organismo diocesano

L’Abbondino va alla Caritas: «Contro la povertà, non a parole» di Salvatore Couchoud

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OPO LA CULTURA, L’ARTE, LA MUSICA E L’IMPRENDITORIA,

è stato il turno della solidarietà. L’“Abbondino d’Oro”, la civica benemerenza conferita annualmente dall’amministrazione comunale di Como a soggetti pubblici o privati che si siano distinti, con opere concrete, nelle scienze, nelle lettere, nelle arti, nell’industria, nel lavoro, nella scuola o nello sport, ha avuto quest’anno un destinatario molto conosciuto in città. L’ambito riconoscimento, motivato dal servizio dedicato agli ultimi e a tante persone in difficoltà, è andato infatti alla Caritas diocesana “per la sua opera di assistenza sociale e umana in città dal 1973”: più che un omaggio “alla carriera”, considerato che è coinciso con le celebrazioni del quarantennale dell’organismo pastorale, un ulteriore stimolo a proseguire, con rinnovato vigore, l’impegno a sostegno degli emarginati. «A Como il boom delle nuove povertà – commenta il direttore Caritas, Roberto Bernasconi – è iniziato molto prima dell’eplosione della crisi economica del 2008. Già con l’afflusso dei profughi jugoslavi (in seguito alla guerra di Bosnia) e degli albanesi negli anni Novanta, la Caritas si è trovata a fronteggiare emergenze nuove e drammatiche. Siamo stati costretti a reinventarci dal nulla e se dal 2008 in avanti siamo riusciti a contrastare con una certa abilità gli effetti esiziali della crisi, ciò è dovuto proprio all’esperienza “sul campo” che avevamo già maturato, e che ci permette ora, per esempio, di occuparci dei profughi di tutte le guerre che continuiamo ad accogliere, dai siriani agli africani. Siamo, perciò, molto onorati del premio che ci è stato assegnato dall’amministrazione comunale, ma sentiamo anche più forte la responsabilità di quello che ormai rappresentiamo per Como. Una città che sta finalmente assumendo la consapevolezza dell’importanza dello stato sociale, senza la tutela e il potenziamento del quale i margini di manovra per combattere la povertà sono davvero esigui, per non dire inesistenti. Mettere a disposizione di questa città la professionalità che ci siamo faticosamente costruiti nel tempo, con l’esperienza e la pratica, sarà il compito che ci attende per i prossimi anni, che si prospettano ancora complicati. Questo sarà anche il modo più consono per ringraziare l’amministrazione comunale del prestigioso riconoscimento e tutti i collaboratori e i volontari che, con il loro impegno, lo hanno meritato per noi. Perché i fatti contano più delle parole, e la solidarietà non ha bisogno di fanfare e proclami per rivelarsi efficace».

«Tanti operatori e volontari hanno meritato questa benemerenza: solidarietà efficace, senza fanfare»

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torino Innovativo progetto di inserimento lavorativo per senza dimora. Si lavora sulle persone, prima che sulla formazione tecnica

“Gruppo classe”, si riparte da se stessi di Vito Sciacca

Se la ricerca di occupazione da parte di un qualunque cittadino è spesso un’impresa aleatoria, e i 3 milioni 293 mila disoccupati registrati in Italia nel gennaio di quest’anno, incrementati rispetto all’anno passato dell’8,6% (fonte Istat), stanno a dimostrarlo, è indubbio che quando a cercare lavoro è un soggetto socialmente svantaggiato l’esito è, nella quasi totalità dei casi, fallimentare. Diviene inevitabile, in questi casi, ricorrere alle “borse lavoro”, strumento educativo-formativo teso a facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro di soggetti appartenenti alle cosiddette fasce deboli attraverso un’esperienza lavorativa, in accordo con la legge 328 del 2000. Tramite le “borse” non si costituisce un rapporto di lavoro dipendente tra singolo e azienda coinvolta, il lavoratore viene invece retribuito dagli enti-soggetti attuatori che, come “Gruppo classe” prevede un corso stabilito dall’articolo 18 della legge di formazione di 80 ore che, oltre alle te196/97 (nota come legge Treu), possomatiche usuali (diritto del lavoro, diritno essere comunità terapeutiche e cooti e doveri, norme antinfortunistiche), perative sociali, servizi di inserimento considera come punto fondamentale la lavorativo per disabili e fasce deboli, rimessa in gioco di se stessi, la presenagenzie regionali e provinciali per l’imtazione del sé e la riconquista della copiego, istituzioni formative private senscienza del proprio ruolo sociale. «Si faza fini di lucro. vorisce la creazione di un gruppo per contrastare lo straniamento e l’indiviMai un conflitto dualismo che quasi sempre sono ereA Torino è attivo da sei anni un progetdità della vita di strada – continua Elena to denominato “Gruppo classe”, indiRandone –. È un percorso da cui emerrizzato a persone senza dimora, gestito gono aspettative ma che consente andalle cooperative Parella e Strana Idea e che di identificare pregiudizi, reali o finanziato dall’Ufficio Pio della Compapresunti, con cui confrontarsi». gnia di San Paolo. «Questo progetto – Questa visione innovativa non ha spiega Elena Randone, educatrice della tardato a dare i suoi frutti: negli ultimi cooperativa Strana Idea, responsabile quattro anni non si sono mai verificati del progetto all’interno di un’équipe conflitti tra tirocinanti e aziende ospiche si occupa di politiche attive del latanti che abbiano portato alla risoluziovoro – ha la particolarità di porre l’acne del rapporto lavorativo; anzi, in alcento sulla formazione, che non è finacuni casi i tirocini sono evoluti in aslizzata allo sviluppo di una capacità sunzioni. Ma non solo. «Oltre a godere specifica, quanto piuttosto alla riapdei benefici legati all’attività lavorativa – propriazione di “abilità sociali”. Ci siaprosegue Elena Randone –, gli utenti mo resi conto che il fallimento di altri entrano in possesso di una serie di catirocini era spesso imputabile a una sepacità relazionali che potranno essere rie di cause ricorrenti: fraintendimento loro utili in ogni fase della vita. Un’altra di aspettative, pregiudizi, mancanza di peculiarità di questo progetto è nel sicomunicazione, carenze nella presenstema di tutoraggio, che non è limitato tazione di sé».

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all’ambito lavorativo, ma che accompagna il tirocinante anche fuori di esso e lo supporta, se necessario, nell’affrontare problemi burocratici o amministrativi». Riccardo Oliveri, della cooperativa Parella, svolge il ruolo di formatore dei partecipanti al progetto, seguendone le varie fasi: «Oggi, di fatto, le borse lavo-

ro sono l’unica possibilità di trovare un lavoro per persone senza dimora – spiega –. Ma, va detto, talvolta si rivelano una forma di sfruttamento da parte delle aziende, che si ritrovano così ad avere risorse lavorative a costo zero. Viene ovviamente richiesto ad esse un


scarptorino

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Oggi, di fatto, le borse lavoro rimangono l’unica possibilità di trovare un lavoro per persone senza dimora. Ma, va detto, talvolta si rivelano una forma di sfruttamento da parte delle aziende

»

Ricerca estenuante Coda quotidiana al centro per l’impiego di Torino

impegno formale, anche se non vincolante, ad assumere la persona al termine del tirocinio. Ma la situazione di crisi che stiamo vivendo spesso taglia le gambe a ogni assunzione futura». Questo ha fatto sì che il progetto si sia modificato negli anni, orientandosi

sempre più verso cooperative in grado di garantire un’attenzione e una tutela maggiore nei confronti dei tirocinanti, ma al tempo stesso interrogandosi su eventuali correzioni del modo di operare. Recentemente proprio su questo punto si è svolto un incontro tra referenti dei servizi sociali, operatori del progetto e tirocinanti.

Brigata Cirio

Erano gli anni Cinquanta e la povertà era schiacciante. Per prendere un minestrina al Cottolengo ognuno doveva avere un barattolo. Si ragiona insieme «La presenza di questi La latta di pomodori da cinque chili ultimi è stata fondaera quella giusta. mentale, visto che troppo spesso i bisogni e le A quei tempi Cirio istanze delle persone costruì una fabbrica. sono gestite sopra le loro teste, in uffici istituzioLe latte blu con i pomodori rossi. nali che talvolta tendono Cirio è diventato molto famoso. a fornire risposte standardizzate – sostiene RicBastava chiedere cardo Oliveri –. La nostra a un ristorante la latta visione prevede invece una progettualità costruie poi mettervi un filo di acciaio ta intorno alla persona, in come manico. antitesi con la visione clasCosì dotati, si andava sica, che vede l’utente sempre costretto a adattarsi a al Cottolengo. schemi rigidi e prestabiliti». E ci si metteva in fila, A questo punto ci pare giusto chiedere un parere anche ai tutti con la latta Cirio. destinatari di questo progetto. Il frate ti dava la minestrina «La comunicazione è fondamentale – racconta Marco, 50 ane un pezzo di pane. ni passati –: la vita di strada lascia Poi ognuno cercava eredità pesanti, che difficilmente sono comprese da chi non ha avuto un posto al parco la sfortuna di fare quest’esperienza. per mangiare Spesso occorre lottare contro i tanti pregiudizi, ma anche imparare nuovae se pioveva mente ad essere coscienti dei propri la minestrina aumentava. diritti e doveri». Tutte queste persone hanno inIn tutti i parchi trapreso un percorso che le sta convicino al Cottolengo ducendo fuori da un periodo buio: vedevi solo un nome: “Cirio”. nell’immediato, anche la corresponsione del salario proveniente dalUn povero spiritoso l’impiego è fondamentale, in quanto un giorno ha detto: sono coscienti che al momento dell’assegnazione di una casa popolare «Dove mangio il pranzo? vi saranno spese cui dover necessaAl Cottolengo. riamente far fronte. Ma poi c’è il futuro. E l’eventuale assunzione al termine Sono della Brigata Cirio!» del tirocinio è vista come possibilità, più che come fondata speranza: non farsi troppe illusioni, infatti, è una delle prime cose che s’imparano nella vita di strada.

Gheorghe Mateciuc

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genova A Palazzo Ducale decimo incontro di S. Massimiliano, “patrono” dei giovani in servizio civile. Con un testimone d’eccezione

Desbele e gli altri, la parte migliore di Mirco Mazzoli Desbele è il ragazzo in servizio civile più gettonato dai giornalisti che si aggirano in sala. È il 12 marzo, siamo al Palazzo Ducale di Genova. Il Tesc – Tavolo ecclesiale sul servizio civile ha raccolto qui più di 400 giovani che stanno svolgendo servizio. È il loro decimo incontro nazionale, celebrato nel giorno in cui la chiesa fa memoria di San Massimiliano di Tebessa, martire nel 295 d.C. per obiezione di coscienza al servizio militare. Desbele ha una storia che colpisce: è rifugiato, è fuggito dall’Africa perché si è rifiutato di servire nell’esercito del suo paese. Per la determinazione a non fare del male con le armi, assomiglia proprio a San Massimiliano e ai primi obiettori italiani che, negli anni Settanta, affrontarono il carcere a causa della loro scelta. «Il mio viaggio – attacca – è durato mesi, come accade a tutti quelli che cercano salvezza in Europa. Il momento più duro? La trapiù lo stigma della vigliaccheria, come versata del Sahara. Ho visto persone caai tempi del genovese Alfredo Remedi, dere dai camion. Che non tornano insecondo obiettore di Caritas Italiana. Aldietro. Chi cade, attende di morire». fredo saluta dal palco e ricorda quando In Italia Desbele ha ottenuto il ricoragazzino, in cerca di una risposta al noscimento di rifugiato, incontrato i saproblema delle armi, un prete gli disse: lesiani e fatto domanda per il servizio «Mettiti davanti alla tua coscienza e alcivile. Il suo viaggio si è compiuto tra la sua libertà». Allora l’accento cadeva due opposti: da una parte l’esercito, di più sull’obiezione di coscienza; oggi è strumento di una dittatura in guerra, il servizio il valore fondante. dall’altra il servizio all’uomo e alla pace; da un parte una piastrina appesa al colLa pace non si porta con le armi lo per combattere, dall’altra nuove relaE le armi? Sono sempre lì, anche con gli zioni e prospettive di futuro. eserciti volontari, anche con le missioni I 400 giovani ascoltano la sua storia di pace in grovigli di guerra, che fanno e fanno confronti. Oggi, rifiutare il sermartiri, loro pure. Don Francesco Sodvizio militare in Italia non è più una coldu, direttore di Caritas Italiana, prende pa da punire con l’arresto, non porta la parola brevemente ma, su questo te-

Nel cuore della città alla ricerca di segni di pace Il decimo incontro nazionale di san Massimiliano ha proposto anche una decina di itinerari guidati nei vicoli del centro storico di Genova, alla ricerca dei segni di pace e fraternità posti sulle ferite di guerra, sulle stagioni di violenza, sulle divisioni e sulle emarginazioni sociali. A guidare i ragazzi sono state persone che, partendo dalla esperienza di obiezione, di anno di volontariato sociale e di servizio civile nazionale, hanno compiuto scelte di vita e professionali che concorrono alla capacità solidale di Genova: esponenti di realtà del terzo settore, della cooperazione sociale e del volontariato cittadino, che sono nate proprio da quei giovani che, dai primi anni Settanta a oggi, sono passati attraverso il servizio civile.

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ma, lascia il segno più incisivo della giornata: «Malgrado tutto, io non riesco ancora a spiegarmi come si coniughino gli eserciti e le missioni di pace. Sentiamo dire spesso in tv che la parte migliore dell’Italia sono i nostri fratelli che scelgono la vita militare. Dobbiamo dirci che non è così. La parte migliore dell’Italia siete voi». Affermazione che non ammette fraintendimenti, recupera il tono profetico di tanti testimoni del passato e per questo quasi stona, in anni di terrorismi e dittature contro cui la sola risposta liberante sembrano essere le armi e i giovani militari, che troppo spesso non fanno ritorno a casa. Più sfumato il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, che ha celebrato la messa: «A San Massimiliano guardiamo con affetto, come giovane protettore ed esempio per voi e per quanti sono, a qualunque titolo, “operatori di pace”».


scarpgenova Il fenomeno

Più di diecimila i giovani impegnati nel servizio civile Giornata di pace A Palazzo Ducale e nelle vie del centro storico: intensa giornata di San Massimiliano per 400 giovani in servizio civile

L’arcivescovo di Genova è stato ordinario militare e non lo dimentica. La chiesa, del resto, ha sempre conosciuto pluralità di approcci alla questione della guerra. Come già aveva fatto qualche settimana prima, Bagnasco torna comunque a incoraggiare un servizio civile universale: «C’è bisogno di scuole di relazione, di palestre del vivere insieme. Sarebbe auspicabile un tempo di servizio civile per tutti, come tirocinio nel quale, giorno per giorno, si vive e si condivide un progetto di vita, degli ideali alti, dove si sperimenta la dura scalata delle buone relazioni, dove si impara nella carne a riconoscere e superare i propri individualismi, dove si scopre che sono i legami che ci liberano e dove si assapora, senza retorica, la gioia della comunione e del dono. Quanto è impegnativo cambiare la mente e il cuore, per poter cambiare la vita! Ecco il richiamo mai superato alla conversione

Sono quasi 2.500 i volontari in servizio civile tramite gli enti aderenti al Tesc, il Tavolo ecclesiale sul servizio civile, e 10.942 i giovani in servizio civile in questo momento in tutta Italia. Il Tesc è il tavolo di coordinamento di organismi della chiesa cattolica che offrono progetti di servizio civile. Ne fanno parte una ventina di organismi. Risale invece al 1977 il primo obiettore genovese, il secondo in Caritas Italiana. Da allora sono stati 1.300 i giovani, uomini e donne, che hanno affrontato nella sola Genova le esperienze dell’obiezione di coscienza, dell’Anno di volontariato sociale e del servizio civile nazionale.

del pensare e dell’agire per essere operatori di pace secondo il Vangelo».

«Dobbiamo farci prossimi» Alla giornata partecipano don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, e suor Giuliana Galli, delle Suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, nota per diverse iniziative sociali e per gli studi sociologici ed economici che l’hanno portata nel board della Compagnia di San Paolo. Don Ciotti parla del servizio come dello sconvolgente impegno chiesto da Gesù: «La fede ci dice che la nostra realizzazione è nel servizio. Ragazzi, continuate a fare questa scelta, per favore. La società ci propone sempre tre tentazioni: salire, avere e possedere. E invece Gesù sconvolge questa visione e ci chiede il contrario: “scendere” verso chi non ha nulla, “essere” e “donare”. Il servizio civile moltiplica il benessere del singolo nel nostro benessere: la grande profezia di oggi è abitare insieme il nostro presente. Non lasciate la scena ai navigatori solitari, diffidate chi sa tutto e ha capito tutto. Troverete anche una marea di gente che si indigna perché c’è una sproporzione troppo grande tra la soli-

darietà e la giustizia. Indignarsi però non basta. L’indignazione si cura restituendo dignità a tutti e in tutti i campi del vivere comune. Dobbiamo diventare cura per gli altri. Dobbiamo farci prossimi. Perché gli altri non sono solo attorno a noi, ma dentro di noi». Suor Giuliana Galli dedica un pensiero particolare alle donne come particolari promotrici di fraternità: «La donna ha una grande forza nel riportare al centro la spiritualità alta, la mediazione, la preghiera, i valori del Vangelo. Certamente questa forza merita di esprimersi anche da posizioni di rilievo, in alte cariche in tutti i campi, ma essa consiste soprattutto nella capacità femminile di trasmettere la vita, non solo fisicamente ma come dono spirituale, vita come impegno e come bellezza. Non a caso moltissime associazioni di solidarietà sono fondate e animate da donne». «Mi accusano di essere di parte – conclude don Ciotti –. Sì, io sono di parte: sto con l’Italia che non si volta dall’altra parte. E dovreste esserlo anche voi. La parte dei diritti, della libertà e della dignità umana».

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vicenza Vivono in strada, nonostante il pericolo di multe. Sono una trentina, tra loro i “magnifici sette”. Accomunati da una bugia...

Dispiace che non siano idrosolubili di Claudio Thiene L’altro giorno eravamo riuniti in redazione, tentando di fare il punto sul numero dei senzatetto in città. Ovviamente non si possono contare i senza lavoro o i separati che hanno perso o lasciato la propria casa, trovando accoglienza da genitori, parenti o amici. Però si è potuto quantificare, con dati incrociati, che coloro che non dispongono di un alloggio, ancorché precario, a Vicenza sono circa 150 persone. Se a questi si sottraggono gli ospiti del dormitorio della Caritas diocesana e dell’Albergo cittadino (struttura comunale), il numero dei senza rifugio si riduce a una trentina circa. Sono quelli che lasciano poche tracce dietro di sé e ai quali, secondo il regolamento comunale di polizia urbana, può essere comminata una multa se trovati a dormire in qualsivoglia angolo di strada che possa servire loro da riparo per la notte («in tutte le aree pubbliche o aperte al pubblico, ivi compresi i portici, gli anditi e gli elementi architettonici di palazzi e monumenti cittadini, è vietato sdraiarsi o bivaccare, nel Comincio con una brutta giornata, male, senso di utilizzare tali spazi come luoghi difficile spiegare ma è così! di propria dimora, anche occasionale o Facciamo tutti degli sbagli, temporanea», ndr). ma cerchiamo poi di migliorare Dispiace che non siano idrosolubili, attraverso questo mare cosicché nemmeno una giornata di di cemento pioggia torna utile alla causa. Fa specie che, in cento anni, che una città come Vicenza non sappia non ne vedi uno bello così. trovare un’altra soluzione a un probleA questo punto, ma sociale risibile nel numero. Ci sono mi sembra strano tutto questo locali, palestre e quant’altro, di proprietà aggrovigliamento, comunale, che potrebbero dare una ricosì insulso e schifoso. Si potrebbe quasi toccare sposta al disagio di queste persone.

Il groviglio

In strada sempre e comunque Volendo saperne di più su di loro e seguendone le tracce, ho trovato e conosciuto “I magnifici sette”, quelli che animano un microcosmo parallelo, permeato dalla loro forza carismatica, riconosciuta e rispettata da tutti gli altri. Chi sono, cosa fanno e perché? (I nomi sono tutti di fantasia). Lucy ha la sua “cuccia” arredata con un letto a cartoni e tre coperte, nel sottoportico di una chiesa in periferia. È una ragazza madre con un sogno d’amore infranto, alla quale i servizi sociali hanno tolto il figlio. Continua ad aspet-

il cielo con un dito, ma solo quando piove. Bisogna sempre stare attenti nella vita, è tutto surreale. Evidentemente non ci eravamo capiti, ma adesso lo sappiamo, lo possiamo capire meglio. Vuoi vedere che non l’ha capito nessuno? È uno strano groviglio, che non si capisce ma è vero, è proprio così.. Federica Tescaro

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tare il ricongiungimento. Gianni dorme nell’androne di un supermercato della zona ovest. Tutti gli riconoscono la generosità di anfitrione perché, nello spazio di sua pertinenza, c’è sempre posto per gli amici. Negli anni Settanta è stato, a suo dire, un cantante conteso da diversi gruppi musicali. Forse aspetta un ingaggio e una nuova tournè. Luigi, 40 anni, dorme in una casa abbandonata, di cui tiene segreta l’ubicazione. Soffre della sindrome da studente liceale perennemente sotto esami, che cerca ogni giorno un pubblico esaminatore da ammaliare con la sua preparazione. Aspettando il momento giusto per iniziare e finire l’università.


scarpvicenza La testimonianza

I miei giorni alla Casa Bianca, sto reagendo al malessere

Jack dorme nei pressi della stazione ferroviaria, perso nelle sue visioni rasta, ondeggiando al ritmo di un reggae che suona sempre e solo nella sua testa. Aspetta di racimolare i soldi per andare in Giamaica. Lory è una tossica che dorme sotto i portici di Monte Berico. Nonostante viso smunto, occhiaie e profonde rughe, non riesce a nascondere la bella ragazza di un tempo. Oltre a cartoni e coperte, nella sua “cuccia” c’è una cassetta con il necessario per il maquillage. Suppone un talento d’attrice, ma tutti gli uomini che si dicevano disposti ad aiutarla, in realtà ne hanno solo abusato. È sempre in attesa della sua grande occasione. Rashid dorme all’ingresso di un di-

È ormai qualche anno che sono qui, alla cooperativa “Casa Bianca” di Noventa Vicentina, struttura che da poco ha festeggiato i 25 anni di fondazione, e che accoglie e aiuta persone in difficoltà psicologica, ma non solo. Alla riabilitazione si procede considerando i bisogni e le caratteristiche di ognuno. In diversi laboratori si fanno decorazioni con il gesso per feste e occasioni, si rilegano libri e volumi, si realizzano bomboniere e accessori per matrimoni, battesimi e altre occasioni speciali, si pratica il giardinaggio con particolare attenzione alle piante aromatiche e ai fiori, ci si applica ai computer per imparare a usarli meglio. Naturalmente tutti si occupano anche del riordino e delle pulizie delle diverse sale, e si fa a turno per mantenere gli ambienti decorosi e puliti (lavare i bagni, portare via i rifiuti, svuotare i cassonetti). Tutto il lavoro avviene sotto la supervisione di personale specializzato nel sostegno di chi è, anche di poco, in situazione problematica. Per i momenti più critici si può richiedere un colloquio con la psicologa. Con noi ci sono poi parecchi volontari, che ci affiancano nel lavoro e ci fanno compagnia. La maggior parte degli ospiti di “Casa Bianca” ha alle spalle o ha avuto a che fare con brutte storie, di dipendenza da alcol o droghe. Ma c’è anche chi è stato segnato da lutti, cattivi ricordi giovanili, problemi sul lavoro o di disoccupazione. Spesso queste ferite rendono difficili i rapporti con chi più ti è vicino, ed ecco insorgere il disagio e i disturbi psichici. Questo programma riabilitativo ha aiutato già molte persone e a poco a poco anch’io sto reagendo al mio malessere. Quando uscirò di qui vorrei finalmente essere inserito al lavoro, e stare definitivamente meglio. Bobo

scount nella zona est. Vive di elemosina e tutti i giorni condivide il cartone di vino con la biondina dalla faccia rossa e rotonda come una mela. Partirà per la Costa Azzurra a caccia di donne belle e ricche, per lasciarsi alle spalle questo schifo di vita! Massimo dorme all’esterno di un supermercato nella zona nord. Non ama il contatto con la gente, né parlare della propria vita. Il motivo l’ha spiegato lui stesso: «Quando racconti a qualcuno i tuoi dolori, fai un favore a lui, non a te stesso. Lo fai sentire buono come a Natale, con un percorso rigenerativo a tue spese. Non vale che ti dica che ti capisce e gli dispiace. Come può un altro sentire il tuo dolore? Se mi taglio un dito, a te può dispiacere, ma a me fa male! Il ruolo del dolorante e quello dell’afflitto a volte si sovrappongono, ma non combaciano mai».

Così ci si sente ancora vivi La strada è dura e il branco è in continua disputa per il possesso dell’osso quotidiano. La forza dei sette nasce dal loro rifiuto a elemosinare presso gli enti pubblici: lo sottolineano con un espressione orgogliosa e ribelle. Hanno la consapevolezza di rappresentare una sorta di memoria storica di se stessi e di quanti li hanno preceduti codificando quello che, con un eufemismo, si può definire uno stile di vita. Così alla fine, ho trovato la mia risposta: il fil rouge che tiene saldamente uniti i sette è una bugia che raccontano a se stessi e agli altri. È la bugia che fa da ombrello protettivo contro i rovesci della vita. La bugia che li fa sentire degni di considerazione, restituendo loro l’ultimo brandello di dignità da difendere con le unghie e con i denti, per non sentirsi morti dentro.

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verona Da quattro anni, per sei mesi l’anno una comunità cittadina apre i propri spazi per ospitare persone in condizioni di disagio

Quest’inverno? Abito in parrocchia di Roberto Sei mesi l’anno, a Verona, una comunità parrocchiale apre i suoi spazi all’ospitalità di alcune persone provenienti da situazioni di disagio. Tutto è cominciato quattro anni fa, grazie alla disponibilità di tre posti letto, poi gradualmente si è aggiunto un servizio, la cena preparata delle famiglie della parrocchia. Don Giovanni Barlottini, parroco di Santa Maria Maddalena a Saval, ha deciso di mettere in gioco la sua comunità in quest’avventura. «Questa esperienza è frutto ed espressione di un cammino comunitario – spiega don Giovanni –. Non si tratta dell’apertura o della generosità di un sacerdote, ma dello stile e dello spirito che animano questa comunità, e sono certo anche tante altre che, nel silenzio e con i mezzi di cui dispongono, sono aperte e accoglienti verso chi è nel disagio. A me è toccato solamente il compito di ascoltare e raccogliere le varie spinte e indicazioni che mi sono state manifestate. In verità, e grazie a Dio, ero più predisposto a di dare, nei sei mesi d’ ospitalità previsti, questo in forza dell’esperienza missionon solo un letto e una stanza per dornaria più che ventennale vissuta in Urumire, ma anche un pasto caldo la sera. guay. Sollecitato dalla Caritas diocesaAltri hanno portato lenzuola, coperte e na, ho condiviso con alcuni parrocchiautensili per la cena. Si è iniziato con speni l’inquietudine e la possibilità di accoranza, fiducia e qualche dubbio: «Ce la gliere alcune persone senza dimora; ho faremo?», ha chiesto qualcuno durante riscontrato subito un grande appoggio». la prima assemblea con i rappresentanConcretamente, come vi siete orgati di circa 15 famiglie. La risposta quasi nizzati? unanime è stata positiva. Anzi, il numeQualcuno si è impegnato a pulire dei loro di famiglie che si impegnano la sera cali vicino alla chiesa che servivano coad accogliere e portare un pasto caldo è me deposito. Altri mi hanno suggerito aumentato. Il secondo anno si è giunti a

coprire tutto il mese e quest’anno, partendo da novembre 2013 e fino a fine aprile 2014, siamo arrivati a circa 40 famiglie che si impegnano in questo gesto semplice e bello. Nessuno si è mai dimenticato del suo turno e si fa a gara nel preparare cene semplici, ma anche sempre diverse.

Il valore profondo del dilemma “minestra-pasta” Di per sé, cucinare a turno un pasto per una nuova “famiglia acquisita” potrebbe sembrare una cosa semplice: decidi cosa preparare, cucini e consegni. Ma per evitare di offrire agli ospiti sempre le stesse cose, viene spontaneo coordinarsi… Non sia mai che debbano mangiare sempre «la stessa minestra»… o «la stessa pasta»! Ed ecco che scatta la parola d’ordine: «Minestra o pasta?». Capita allora che le signore incaricate si telefonino semplicemente per chiedersi: «Ti cosa gh’eto portà ieri sera?», oppure si scambino questa fondamentale informazione all’uscita dalla messa o per la strada… non è una cosa da poco. Il dilemma minestra-pasta, che fa sorridere un po’ tutti, è l’espressone di un prendersi cura profondo, concreto, che viene dal cuore. Anche per questo forse trasforma un servizio che poteva restare individuale in un qualcosa che aiuta a comunicare e a incontrarsi. Che fa bene, insomma, anche a chi lo fa.

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É stata un’esperienza faticosa? Per niente, anzi, più che aver donato noi, abbiamo ricevuto dall’ascolto e dalla vicinanza di questi nostri fratelli. Alla fine di ogni stagione ci riuniamo insieme con le famiglie, gli ospiti, i responsabili della Caritas diocesana e della Casa di Accoglienza “Il Samaritano”, per condividere una cena fraterna ed ascoltarci. Sono momenti belli e positivi per tutti.


scarpverona I volontari

Trenta famiglie preparano cena, mobilitazione solidale al Saval

Sta per terminare, con la fine di aprile, il quarto anno di questa esperienza. Come la riassumerebbe? Direi che abbiamo semplicemente messo in pratica le parole di Gesù: «Ero forestiero e mi avete accolto. In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più picRecente, raggelante Scorcio dei palazzi del quartiere Saval, teatro dell’esperienza di accoglienza in parrocchia

coli l’avete fatto a me». (Matteo 25). Per cui grazie al Signore e ai membri della comunità, veri promotori ed artefici di questo semplice gesto evangelico!

Le relazioni ci rendono umani Michele Righetti, direttore della Casa di accoglienza “Il Samaritano”, che è promossa dalla Caritas diocesana e ha a sua volta promosso l’iniziativa, la commenta così. «È una cosa molto bella,

La parrocchia di Santa Maria Maddalena a Saval ha messo a disposizione alcune stanze della propria struttura, ricavandone un appartamento dove alloggiare, per i mesi dell’autunno e dell’inverno, tre persone che sanno affrontando un periodo di difficoltà. Per poter realizzare al meglio questa iniziativa, ha rivolto un appello alle famiglie del quartiere, affinché preparino a turno la cena per i nuovi ospiti. Più di trenta famiglie hanno risposto positivamente, e così, sera dopo sera, all’ora di cena, in questo dare-ricevere si avvicendano le esperienze e le storie più diverse. C’è la famiglia di calabresi venuti a Verona per stare vicino ai figli che avevano trovato lavoro in città, e quindi sanno bene cosa vuol dire essere lontani dalla propria famiglia, o non averne una. Oppure la signora anziana e sola che preparando la cena ai nuovi ospiti ha l’occasione di ritrovare vecchie abitudini, perdute insieme ai suoi cari. Ognuna di queste famiglie porta con sé una storia e riceve a sua volta un beneficio da questa esperienza. Il fatto stesso di incontrarsi, condividere e pianificare lo stesso obiettivo con lo scopo di fare del bene ha arricchito le loro relazioni: è un quartiere che diventa famiglia. È un quartiere recente, il Saval; a un primo impatto tutti quei palazzoni ti gelano, un po’ ti deprimono. Ma ciò che il cemento rende inerte, l’umanità che ha aderito al progetto lo vivacizza, lo riscalda, lo colora. In una fase storica in cui la tecnologia con le sue amicizie virtuali sembra unire, ma in realtà rischia di isolare e allontanare, questo incontro di sguardi, di sorrisi, di mani avvicina le persone e alleggerisce il peso delle difficoltà sociali. La differenza fra una mail o un sms e un contatto reale è la stessa che c’è fra una stanza illuminata al neon, arredata con plastica, fibre sintetiche e colori freddi alle pareti, e lo stesso luogo rischiarato dalla luce di una candela, riscaldato da mobili in legno e una coperta di lana colorata.

con un significato per l’oggi e un significato per il futuro, come i semi piantati nella terra buona. Nel presente è un momento di umanità, di condivisione, che significa tanto per chi è accolto, perché è relazione, il bisogno più profondo di ciascuno di noi e a maggior ragione di chi proviene da situazioni di marginalità. Proprio per questo arricchisce anche chi accoglie, perché avvicina, fa incontrare nel concreto persone con cui normalmente non si viene in contatto. E l’incontro avviene nei momenti più semplici, che ci riportano alla nostra co-

mune umanità: un luogo caldo cui tornare la sera, che sappia di casa, benché temporanea, con qualcuno che ti aspetta. E il pasto condiviso». È però, si diceva, anche un’esperienza che ha in sé semi di «un futuro speriamo non lontano – conclude Righetti –. Il contatto quotidiano rende possibile una riflessione più profonda e concreta su disagio e marginalità: un primo passo, dal quale nel tempo possono nascere idee concrete, che vadano oltre le risposte di assistenza “tradizionali”, e portino a osare di più».

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rimini Quasi trecento volontari. Organizzati in 21 gruppi. Un progetto del comune, per rendere vivibile la città. Insieme a chi la abita

Qui Ci.Vi.Vo. E me ne prendo cura di Silvia Ambrosini C’è chi tiene pulita la spiaggia libera, chi si occupa del parco e chi imbianca le pareti della scuola. Cosa hanno in comune queste attività? Che sono tutte svolte dai volontari del Ci.Vi.Vo. comunali. Sigla originale e ancora non da tutti conosciuta, significa “Civico. Vicino. Volontario”: è un progetto dell’amministrazione comunale di Rimini, partito nel 2011 e che ha già raggiunto la bellezza di 21 gruppi con 280 volontari. «Il progetto intende valorizzare un nuovo civismo attraverso l’impegno diretto dei cittadini nella soluzione dei problemi – spiega l’assessore alle pari opportunità del comune di Rimini, Nadia Rossi –. Il primo gruppo (Parco di Miramare) è nato a dicembre 2011, ad esso sono seguiti tutti gli altri. I gruppi sono nati in diverse zone di Rimini: dal centro storico alla periferia, nelle scuole, nell’ambito di parchi pubblici o porzioni di spiaggia, nei cimiteri. Si occu-

Ci vivono, e se ne fanno carico Un gruppo di volontari che hanno aderito al progetto del comune

Genitori volontari, a Celle la scuola fiorisce Giochi, laboratori, lavagne multimediali. I genitori dei bambini della scuola “Federico Fellini” di Rimini non si fermano mai. Sempre attivi e pronti a progettare qualcosa per migliorare la didattica offerta ai propri figli. La loro associazione, “Scuola Viva Celle”, nata oltre dieci anni fa, ha aderito a “Ci.Vi.Vo.” lo scorso anno. «Siamo una ventina di persone – spiega la responsabile, Claudia Gugnelli – impegnate nelle attività. Abbiamo raccolto fondi per dotare la scuola di strumenti informatici, lavagne Lim, giochi per il giardino. Ci hanno aiutato anche alcuni sponsor. Alla fine dell’anno scorso abbiamo inaugurato le mense scolastiche “rigenerate”, dove sono state imbiancate e decorate le pareti proprio da noi genitori». Un volontariato che va al di là dell’impegno per le strutture. Si organizzano incontri con gli autori con l’aiuto di librerie, attività educative e le “Cellimpiadi”, festa in stile ginnico che prende il nome dalla zona in cui si trova la scuola (Celle). «L’importante è integrare le attività degli enti istituzionali per migliorare i servizi, ma anche stare insieme, condividere progetti, decisioni, crescere insieme aprendosi ad altri gruppi, come in occasione della festa che si fa insieme agli altri gruppi Ci.Vi.Vo. Aderire a questo progetto, per la nostra associazione, ha significato avere un’assicurazione garantita per le attività e far parte di una rete alla quale appartengono tante famiglie e cittadini». Anche un modo per stare insieme, dunque. Per ricreare, grazie a un progetto, lo spirito comunitario che caratterizzava un tempo, in maniera spontanea, la realtà dei rioni o dei borghi. Conoscersi, aggregarsi, curare il territorio, scambiarsi una ricetta: occasioni colte soprattutto nelle realtà più periferiche, dove spesso si scoprono negli abitanti una certa vitalità e un autentico desiderio di partecipazione. Anche per rispedire al mittente, con i fatti, l’abusato soprannome di quartieri dormitorio.

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pano di curare i locali delle scuole, mantengono in condizioni decorose i parchi comunali o effettuano la pulizia delle spiagge libere. Inoltre organizzano momenti di aggregazione e socializzazione per gli abitanti di una certa zona».

Rendersi utili, non sostituire In periodi di crisi, nasce l’esigenza d’integrare l’attività degli enti pubblici con il volontariato, quella che viene chiamata sussidiarietà, che è appunto un sostegno e non una sostituzione di compiti. L’esempio può essere quello del pensionato che ha qualche ora libera e la impiega per migliorare il territorio in cui vive. Ma anche del giovane che voglia sentirsi utile per la crescita


scarprimini Bellaria

La spiaggia è libera e pulita. E il mare accessibile a tutti Feste di compleanno sulla spiaggia, passeggiate primaverili con il fragore delle onde in sottofondo, giornate di sole con l’ombrellone portato da casa. Come garantire tutto questo in una spiaggia libera? Quella di Bellariva ha un suo gruppo Ci.Vi.Vo. «Teniamo i contatti con le autorità demaniali – spiega il responsabile, Giorgio Fabbri –: se qualcuno, ad esempio, deve organizzare un compleanno in spiaggia, noi ci interessiamo dei relativi permessi». Il gruppo è nato per tenere in modo decoroso il tratto di mare sito tra i Bagni 94 e 95. «C’è una persona che lavora per il comune addetta alle pulizie – continua Fabbri –. Noi copriamo le necessità ulteriori: teniamo libero l’arenile da cartacce e bottiglie nelle ore in cui non c’è il servizio, oltre ad assicurarci alla sera che non restino lettini o ombrelloni». Sono diversi i volontari impegnati. Hanno recuperato persino le pedane dismesse dai bagnini limitrofi per realizzare una passerella che arriva fino al mare. Visibilmente più lunga di quelle dei vicini stabilimenti, arriva ad appena due metri dall’acqua, e rende più accessibile la battigia alle persone disabili. «Qui si sta bene – prosegue Fabbri – non fosse per l’eccessiva chiusura dei bagni, limitati dai cancelli, e per il problema della ex colonia Murri, abbandonata, da tanto tempo ricettacolo di sbandati. Di contro vi sono persone ammirevoli, che amano questo territorio». Ad aver colpito Fabbri è stato soprattutto un signore anziano, che pur non avendo condotto tanti studi o progetti è dotato di un invidiabile senso civico. «Passa con un carrettino, raccoglie i rifiuti, molti lo prendono per matto. Io l’ho avvicinato e l’ho ringraziato per quello che fa gratuitamente per gli altri».

della propria zona. Il comune, si legge nel disciplinare, mette a disposizione “gli strumenti necessari e le piccole attrezzature per assicurare lo svolgimento delle attività in condizioni di sicurezza per le persone e per i beni oggetto degli interventi”. È anche prevista una copertura assicurativa per i volontari. Oltre ai gruppi nelle scuole e a quelli che curano i parchi, nei quali sono nate amicizie, bei rapporti di vicinato, reti di solidarietà, dove si scambiano torte, abiti e consigli, ve ne sono anche altri più tecnici. Vi sono persino volontari che operano al Tribunale: fotocopie, riordino dell’archivio; una decina di persone che svolgono piccole azioni a supporto del personale dell’istituzione giudiziaria locale.

L’elenco completo dei gruppi Ci.Vi.Vo: scuola il Delfino; scuola la Coccinella; Gruppo Viserbella; scuola Federico Fellini; Servizi educativi (volontari di ausilio a scuole per l’infanzia comunali); scuola Officine; Gruppo Gaiofana; Centro per le Famiglie; Tribunale e Procura della Repubblica; scuola Aquilone; spiaggia Libera Bellariva; La Cava e Lago della Cava; cimitero di San Vito; scuola di San Salvatore; cimitero di Casalecchio; Parco di Miramare; Parco Marcovaldo di Viserba; scuola Primaria Spadarolo; San Giuliano Deviatore; Aule Studio Viserba e scuola primaria Enrico Toti.

Una scommessa vinta, insomma, quella dei Ci.Vi.Vo. «Direi di sì – conclude l’assessore Rossi –: c’è una popolazione viva che agisce, che è solidale, che sollecita il comune a un confronto al quale non possiamo sottrarci. Abbiamo trovato tante donne e tanti uomini

pronti a mettersi in gioco, a dare il proprio tempo, la propria passione per i beni comuni. Una realtà positiva, con quasi 300 persone che curano relazioni, aree verdi pubbliche, luoghi dismessi: che integrano, virtuosamente, l’attività delle amministrazioni pubbliche».

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firenze Andrea non ha lavoro continuativo con testate giornalistiche. La città nascosta, ha deciso di raccontarla in prima persona

Il blog dei racconti poco virtuali di Leonardo Chiarelli Il web è entrato a far parte della vita di tutti. E se i social network sono piazze, dove prevale il rapporto “uno a tutti”, i blog sono le strade, sono i parchi, i luoghi in cui si racconta, si legge e ci si esprime in una forma più completa, profonda, a momenti quasi intima. È in questi spazi virtuali che si ritrovano schegge di umanità di autentico interesse. Ed è in un blog in particolare che è possibile leggere di “ciò che sta sotto, che non si vede”, dove riescono a parlare “quelle persone che difficilmente andrebbero sui giornali”. Nonché di Firenze, di chi vive ai margini di questa città, nella fissa e perenne ombra della sua bellezza. Chi propone questo viaggio in un’altra Firenze è il giornalista e blogger Andrea Cuminatto. «Ho iniziato l’esperienza del blog per passione – racconta –. Passione per la scrittura giornalistica, per la gente e le soggiorno – afferma –, ma prima di torstorie che queste hanno da raccontare. Mi nare dalla mia famiglia in Sri Lanka vorè sempre piaciuto scrivere in ambito sorei ricevere la pensione che mi spetta per ciale, per ampliare lo sguardo sul mondo gli anni di lavoro qui in Italia». attraverso il servizio informativo». La cenere della cicca che spenge Tanta passione, dunque. Ma anche mentre lo dice ha il colore della barba impegno e responsabilità... «L’impegno pluriennale in attività di volontariato, che non ha modo di tenere curata. Si percepisce l’amarezza nella sua voce, nell’area fiorentina in particolare, mi ha quando descrive la sua casa sui monti aiutato a incentivare la sensibilità ridella patria lontana, circondata dalle guardo a certe tematiche – dice –. Come piantagioni di tè, a cui non può far ritorgiornalista mi sono sentito in dovere di no senza sprecare anni di fatiche all’altro informare su elementi della realtà e delcapo del mondo, ma dove sarà costretto la società che spesso restano nascosti ai a volare fra meno di un mese a mani radar dei grandi media. Con questo presupposto, e visto che attualmente non ho, vuote se non trova un nuovo lavoro. Ringraziando per i panini offertigli, come tanti altri neolaureati in questo ricambia con gli anacardi del suo paese, campo, testate su cui esprimermi in mache Mahadeva sta mandando giù, con niera costante, ho deciso di intraprendequalche sorsata di whisky. Viene dalla re la strada del blog». E quando chiedo ad zona costiera, l’amico, vicino alla capiAndrea di raccontarmi una storia, lui me tale Colombo, ma il sentimento nostalla fa leggere: gico che prova per la sua isola è lo stesso. «Io e lui – dice indicando SiddhalinNostalgia di Sri Lanka gayah– non abbiamo problemi lavoraKsatriya viene dallo Sri Lanka, ha 64 antivi ora. Ksatriya ha molto più bisogno di ni, e con i suoi connazionali Siddhalinnoi. Noi vorremmo tutti poter decidere gayah e Mahadeva spende la maggior quando tornare in Sri Lanka. Io, per parte delle sue giornate in piazza Indiesempio, adesso che ho soldi da parte pendenza, in attesa di una svolta nella tornerò là per un periodo, quando fra sua vita a Firenze. Emigrato dall’isola poco sarà bassa stagione e scenderanno asiatica a causa della guerra civile, ha lai prezzi degli aerei. Laggiù è un paradivorato in Italia per 23 anni. «Ho perso il so: dove abito io, sul mare, è estate tutto lavoro e mi sta scadendo il permesso di

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l’anno. E se vai sui monti fa fresco tutto l’anno. Abbiamo tutti i tipi di clima, tantissimi tipi di piante, pesce buonissimo: ora che è finita la guerra si sta bene». Alla domanda spontanea come mai hanno deciso di venire qui, Siddhalingayah risponde che all’inizio sono scappati a causa della guerra civile che imperversava in Sri Lanka e che rendeva difficile e pericolosa la vita lì, e all’opposto piena di opportunità e speranze la vita in altri paesi, come l’Italia. Firenze l’ha accolto tanto tempo fa, lui ha fatto diversi lavori ed è stato cuoco per i Carabinieri. Adesso, oltre a un buon rapporto di confidenza con gli ufficiali del-

Luogo sospeso Le panchine di piazza indipendenza accolgono Ksatrya e i suoi amici


Sotto, storie di umana bellezza “Sub information – www.andreacuminatto.com” è un blog molto specifico, il cui scopo non è fare visualizzazioni parlando dei temi caldi che permettono di scalare le vette dei motori di ricerca o attrarre sponsor. «Questo blog – afferma l’autore – vuole raccontare storie. Storie di dolore e gioia, di difficoltà e traguardi, storie di bellezza, storie di vita. Il prefisso Sub indica due cose: ovviamente ciò che sta sotto, che non si vede ma interessante da raccontare. Ed è anche acronimo di “Storie di umana bellezza”: proprio quando c’è da scavare di più per trovarle, si scoprono le storie più belle, profonde, da cui prendere esempio o su cui riflettere per cambiare in meglio la nostra società».

l’esercito, ha una bella lettera di referenze, che sfoggia con orgoglio e che gli sarà utile quando termineranno i mesi in cui prende i soldi per la disoccupazione. Siddhalingayah è il più propositivo del gruppo: «Parlo cinque lingue, sono stato nell’esercito, in Sri Lanka ho una sorella che sta in una bella casa vicino al mare. Se volete venire un giorno sarete miei ospiti. Adesso sto qui perché lo stato mi sta pagando, ma fra poco torno in Sri Lanka. E la prima cosa che farò sarà un bagno in mare. Lì al mare fa sempre caldo. E se uno vuole il fresco va dove sta Ksatriya, sulle montagne. Noi dello Sri Lanka sappiamo adattarci bene e parliamo bene le lingue, forse perché siamo un mix di culture. Abbiamo avuto dominazioni portoghesi, olandesi e inglesi. Impariamo l’inglese più facilmente di tanti altri: gli inglesi dicono che parliamo con un accento perfetto. Abbiamo tanto in comune con l’India, ma siamo diversi. L’importanza della nostra cultura e indipendenza l’ha dimostrata la guerra civile: ci volevano togliere un pezzo dell’isola, ma faceva parte della nostra terra». Le labbra brune si muovono a raffica, mentre descrive con entusiasmo i problemi e le bellezze della sua isola, di cui va orgoglioso e di cui evidentemente non ha molte occasioni di parlare. Tanti chilometri separano questi tre migranti dalla loro patria, ma nonostante l’inverno fiorentino, il loro cuore è evidentemente ancora bagnato dalle calde onde tropicali che si infrangono sulle spiagge della Perla dell’oceano Indiano.

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Vi aspettiamo

L’albergo Villa Rosella è situato nel cuore delle Dolomiti: è la casa ideale per trascorrere le vacanze immersi in un suggestivo panorama montano di rara bellezza, circondati da boschi, bagnati dalle acque del torrente Avisio e a 60 metri dalle Funivie del Ciampac, dove iniziano i famosi sentieri escursionistici per la Val Contrin, per la Marmolada e il suo lago Fedaia, il Pordoi e la comoda pista pedonale eciclabile che in 10 minuti di passeggiata collega il Centro di Canazei e lo Stadio del ghiaccio di Alba, escursioni con paesaggi incantevoli e naturalistici adatti per Adulti e Bambini L’albergo dispone di 25 camere, doppie/matrimoniali, singole, triple e quadruple, alcune in confortevoli mansarde e altre con balcone con vista panoramica, tutte provviste di bagno con doccia, telefono, TV Sat, cassaforte e asciugacapelli. Sono a disposizione degli ospiti: sala bar, sala lettura, ascensori ai piani, tavernetta con TV, cappella, parcheggio interno custodito, campo da bocce e vasto parco/giardino con giochi per bambini, ping pong, sdraio con ombrelloni e spiaggia privata sul fiume. L’ottima cucina è curata dallo chef gestore A. Leonetti, che è lieto di favorire famiglie, sacerdoti, gruppi parrocchiali, comitive e single. E’ predisposto per accogliere persone portatrici di handicap. L’Albergo è inoltre dotato di un Centro Wellness, con sauna finlandese, bagno turco al vapore, vasca idromassaggio, docce emozionali e zona relax. !

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Strada Pian Trevisan 6, 38032 Alba/Penia di Canazei (TN) Tel. 0462/602632 – Fax 0462/606329 www.villarosella.it – info@villarosella.it

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napoli La redazione incontra don Tonino Palmese, vicario episcopale alla carità per la diocesi, e referente di Libera in Campania

La carità fa rima con legalità La carità La carità è amare e donarsi al prossimo con tutto se stesso, è un sentimento che viene dal profondo dell’anima, un segno che arriva da lontano a porgere la mano senza chiedere niente in cambio, solo umiltà e rispetto dell’altro che ci è di fronte. La carità è una carezza, un gesto e un abbraccio, una stretta di mano, un sorriso e un modo di essere vicino a chi è nel bisogno più assoluto, senza cadere nel pietismo ma sempre, con rispetto e dignità verso l’uomo, in ogni momento della nostra vita. Luciano D’Aniello

La redazione di Scarp de’ tenis ringrazia don Antonio Palmese, per l’incontro-intervista che ha arricchito i nostri pensieri e le nostre riflessioni relativi a vari temi, ma tutti in qualche modo legati al concetto di bene comune. Antonio Palmese, che tutti chiamano don Tonino, è il vicario episcopale alla carità della diocesi di Napoli ed è il referente in Campania di Libera. Noi redattori di strada gli abbiamo fatto tante domande e a tutte lui ha risposto sorridendo, anche con gli occhi. Abbiamo parlato di tanti argomenche vivendo in coerenza con i loro valoti, ma la risposta che più mi ha colpito ri sono diventanti grandi e hanno setocca la questione della legalità, che è gnato la storia. La mia storia personale alla base della convivenza civile. «Il bee pastorale, per esempio, è stata segnane comune primario è la legalità – ha ta dall’incontro con Elisa Springer, sottolineato don Tonino –. Proprio sulebrea sopravvissuta alla Shoah, e con la legalità dobbiamo porre le basi per un Rita Borsellino, sorella di Paolo, il magimiglioramento della qualità di tutta la strato ucciso dalla mafia. Ci sono pernostra vita di cittadini e di cristiani. Gli sone che semplicemente vivendo o ostacoli che si incontrano, molte volte, morendo segnano e agiscono il camce li creiamo da soli, sia quando non biamento ed entrano nella Storia». comprendiamo abbastanza il nostro Mancano poche settimane alla Paprossimo, sia quando non ci assumiamo le nostre responsabilità». La cosa bella è che ognuno di noi può fare qualcosa per modificare, nel suo piccolo, la realtà di ogni giorno. «Il più delle volte non c’è da inventare cose nuove – continua don Tonino –, basta guardare all’esempio di uomini e donne

La forza del noi, una sicurezza assoluta Che forza don Tonino Palmese. Un uomo così capace e motivato potrebbe fare con successo qualunque cosa: il manager, l’accademico, il capitano di industria; e invece è un sacerdote, un salesiano. Certo, è un vicario episcopale per la carità nella diocesi di Napoli, referente dell’associazione Libera in Campania a favore delle vittime di camorra, promotore attivo della legge 109/96 per la confisca dei beni della stessa... e poi docente universitario, attivissimo divulgatore della legalità e chissà cos’altro. Ma è e resta in primis un sacerdote, uno che ha una missione e la segue con costanza e sicurezza assoluta. Beato lui, avercene di sicurezze in questo mondo in confusione... Una sicuramente l’ha comunicata anche a noi di Scarp de’ tenis: la forza non è mai l’io ma è il noi. Perché, come dice lui, l’io è solo il verso dell’asino. Chi ha le orecchie per intendere, intenda… Bruno Limone

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scarpnapoli L’emozione delle persone sensibili, che combattono le ingiustizie Don Tonino lo conobbi l’estate del 2012 a Policastro. Fu molto gentile con chi era lì per vendere i giornali e non aveva la possibilità di un alloggio: mi ospitò in un salone assai finestrato con cena annessa e in più mezzo toscano. L’incontro in redazione è risultato assai piacevole. Abbiamo posto domande varie, alcune sul suo ruolo di vicario per la carità, che qui deve risultare alquanto gravoso, dato che possiamo ben immaginare quanti nostri concittadini si rivolgono alla Caritas per lenire le sofferenze che il quotidiano loro regala. Siamo certi che don Tonino, spinto dall’amore verso gli altri, possa venire incontro a tante esigenze che sembrano essere divenute perpetue. La fame, la miseria: termini che mettono paura solo se pronunciati... Ma don Tonino assume anche un altro ruolo, pure questo di enorme importanza: responsabile di Libera in Campania, l’associazione nata anni fa per opera di don Luigi Ciotti e impegnata nel riutilizzo dei beni confiscati alle mafie. Don Tonino decise di occuparsi di legalità grazie all’incontro con due donne speciali: Rita Borsellino, la squa, e don Tonino ha voluto lasciarci una suggestione su cui riflettere in occasione della Resurrezione di Gesù. «Ci sono tanti che vivono e non ci fanno vivere, e tanti che, pur non essendoci più fisicamente, continuano a essere presenti dentro di noi, nella nostra memoria personale e collettiva. Ci sono tanti vivi che puzzano di morte, ma tanti morti che vivificano la nostra esistenza: primo fra tutti Gesù». Antonio Zacco Legalità in redazione La redazione napoletana di Scarp con il vicario don Tonino Palmese

sorella di Paolo, simbolo e martire dell’antimafia, ed Elisa Springer, sopravvissuta al campo di sterminio nazista di Auschwitz. Don Tonino assiste i familiari delle vittime innocenti della camorra, quelle uccise per sbaglio e che hanno perso la vita pur non c’entrando niente con le cosche e la malavita. Lui è convinto che chi ha attraversato un’esperienza così atroce può affrontarla meglio e meglio difendere la memoria del suo caro, se condivide con gli altri il suo dolore. Nel raccontare le cose da lui viste negli ultimi tempi, don Tonino ha provato emozione, l’emozione che traspare sui volti delle persone sensibili, che a rischio della propria incolumità combattono le ingiustizie. Perché se tutti abbassano la testa facendo finta di non vedere né sentire, la nostra terra sarà sempre preda di delinquenti. Mi auguro che don Tonino possa continuare la sua opera, naturalmente supportato dallo stato. Ci saranno momenti di abbandono e sconforto ma lui li saprà superare, perché una missione ha un solo scopo: deve essere portata a temine. Aldo Cascella

Il ritratto

Tra senso civico e angoscia Napoli, una città sofferente, quasi in declino. In essa si evidenzia palesemente, senza alcun dubbio, un male inguaribile, astruso da capirsi. Una patologia ramificata nel tessuto sociale della città. Simile a una malattia irreversibile, un fenomeno che nessuno, anche se intervenisse un rinomato chirurgo, o un dotto luminare della scienza, potrebbe mai capire. Ciononostante c’è chi ha lottato e continua nel suo intento, affinché l’immagine della città possa avere una cornice dignitosa e decorosa. Don Tonino Palmese, sacerdote simpaticissimo, ci crede fermamente. Simile a un audace condottiero, armato di fede, di speranza, e con l’aiuto dell’Onnipotente, cerca con impegno e senso civico di dare un contributo significativo. Uomo di immensa esperienza, sicuro di se stesso e simile a un marinaio che ha tanto navigato, egli fa parte dell’associazione Libera, quella fondata da don Ciotti. Si interessa di molteplici problematiche di difficile risoluzione, la delinquenza e la criminalità che alimenta l’illegalità, lo spaccio di droghe. Chi è avvezzo a fare uso di tali sostanze può uscirne fuori definitivamente seguendo un percorso mirato, grazie all’aiuto di persone esperte e preposte a svolgere tale compito. Coloro che chiedono sostegno e vogliono seguire un percorso, dunque, vengono accolti con un sorriso. Ma il compito specifico di Libera è lottare contro la criminalità organizzata, piaga sociale della nostra città: l’associazione ha promosso e ottenuto una legge apposita (109/96) per destinare a opere sociali i beni confiscati alla criminalità organizzata. Ascoltando don Tonino, ho notato da subito una palese angoscia che affliggeva un animo abituato a conoscere il bene. Sacerdote salesiano, si interessa di tutte le opere di carità. Nel discorrere con convinzione ed eloquenza, ha suscitato in tutti un enorme interesse. Auguro all’associazione Libera e a tutti coloro che ne fanno parte di confidare in Dio e non perdere mai la speranza. Di continuare a lottare con determinazione, affinché possano raggiungere, come una grande squadra, l’intento che si sono prefissati. Sergio Gatto aprile 2014 scarp de’ tenis

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salerno L’ennesimo smottamento tra Salerno e Vietri complica l’inizio della stagione in Costiera amalfitana. A rischio affari e lavoro...

Frane turismo a rischio? di Antonio Minutolo Già l’anno scorso, nel febbraio 2013, un cedimento del costone roccioso provocò la temporanea chiusura del tratto di strada tra Salerno e Vietri sul Mare, che segna l’inizio della Costiera Amalfitana. Quest’anno, sempre nel mese di febbraio, l’evento si è ripetuto in forma molto più grave, con il crollo di un’intera parete del costone, nello stesso tratto di strada. Per fortuna, la strada era stata già chiusa al traffico, essendoci state alcune “avvisaglie” della frana nelle ore precedenti, altrimenti si sarebbe rischiata la strage. Si è salvato per pochi metri anche un distributore di benzina che insiste in quel tratto di strada e che è stato sfiorato dai macigni piombati dal costone sull’asfalto. Dopo le necessarie verifiche da parte dei vigili del fuoco e della polizia municipale, si è deciso di tenere chiusa la vento franoso, di riaprire a breve solo a strada fino a data da destinarsi. Si pole“senso unico alternato”. Invece per riamizza anzitutto verso coloro che debprire tutta la carreggiata ci vorrà molto bono supervisionare le pareti rocciose, più tempo, come è stato sentenziato dato che l’evento si era già verificato lo dopo un incontro in prefettura tra i rapscorso anno ed è noto che tutta la copresentanti dei comuni di Salerno, Viestiera è soggetta al fenomeno dell’erotri sul Mare e Cava de’ Tirreni. sione e delle frane. La strada rappresenta l’unico colleA metà marzo, data di consegna di gamento tra Salerno e la Costiera Amalquesto articolo, la strada è ancora chiufitana, di cui Vietri sul mare rappresensa e si parla, dopo circa un mese dall’eta la prima località. La strada conduce

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Sogno e incubo Inizio difficile per la stagione turistica in costiera amalfitana a causa dell’ennesima frana. Si pagano oggi anni di incuria

poi nell’interno, a Cava de’ Tirreni. Attualmente, gli abitanti della Costiera che vogliano raggiungere Salerno devono girare verso Cava, prendere l’autostrada e uscire a Salerno. Questa situazione ha generato le proteste di decine di cittadini, che si sono rivolti al Codacons Campania: tra loro molti lavoratori dipendenti e professionisti, che quotidianamente devo-


scarpsalerno La situazione

Scandali, pericoli e ritardi cronici: il Cilento soffre di isolamento La Campania, come del resto buona parte dell’Italia, è una regione ad altro rischio idrogeologico; in alcuni casi si parla, anzi, di dissesto idrogeologico. Dissesto che già in passato è stato causa di gravi lutti e ingenti danni, ad esempio nel 1998 a Sarno, dove morirono 140 persone in seguito a una colossale frana. In quel caso, si ravvisò che molte case erano state costruite a ridosso del Monte Saro, ben noto per la sua particolare tendenza all'erosione. Al rischio idrogeologico, dovuto alla natura del terreno, si aggiunge dunque la terribile prassi di costruire case abusive in terreni friabili, senza dar retta ai consigli dei geologi.

no recarsi al lavoro e sono costretti ad allungare il tragitto e a pagare un pedaggio indesiderato. Solo in alcune ore del giorno l’Anas, data la situazione, ha deciso di togliere il pedaggio per tali automobilisti.

Chiusa in cinque punti Ma non è finita qui: la statale 163 amalfitana (ovvero la Costiera) è interrotta addirittura in altri cinque punti, nel prosieguo del suo percorso litoraneo. Una vera odissea per gli abitanti del territorio. Oltre alla statale, infatti, l’unica altra strada che conduce in Costiera è il lontano e tortuoso Valico di Chiunzi, all’altezza di Angri, al confine con la provincia di Napoli. E pensare che stiamo parlando della zona della provincia di Salerno più nota e più apprezzata dai turisti di tutto il mondo, con località meravigliose quali Ravello, Amalfi, Positano... Con l’inizio della primavera la zona comincia già a riempirsi di turisti stranieri, che aumentano sempre di più a partire da maggio, fino al boom estivo. La speranza, dunque, è che le strade possano essere ripristinate nel più breve tempo possibile, in vista dell’inizio della stagione turistica. Anche perchè sono ancora incompleti i collegamenti marittimi nell’area. Bisogna fare presto: perché con il business del turismo, a rischio è il posto di lavoro di tanti.

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Sembra, però, che il passato non abbia insegnato niente, dato che queste problematiche rimangono tristemente attuali, se non endemiche. Negli ultimi anni, in particolare, il rischio idrogeologico sta appesantendo un altro elemento particolarmente delicato e carente del territorio salernitano: il sistema stradale. Un esempio è la situazione in cui versano le strade del Cilento, in particolare la strada 430 “Cilentana”, interrotta nel tratto da Agropoli a Prignano Cilento da più di un anno, in seguito a una frana. Una recente seconda frana su un viadotto, nello stesso tratto, ha portato a una terrificante scoperta: il viadotto non era “fissato” nel terreno, ma i piloni erano solo appoggiati. La ditta che aveva effettuato i lavori di costruzione del viadotto era stata piuttosto “disattenta”, per usare un eufemismo. Si è provveduto, ora, a fissare i piloni a vari metri di profondità nella terra. Tuttavia il tratto di strada rimane interrotto e provoca ritardi importanti nella tabella di marcia degli automobilisti: importanti se si pensa che a poca distanza vi è un ospedale, quello di Vallo della Lucania, che è rimasto l’unico nella zona, data la recente e discussa chiusura del nosocomio di Agropoli. Le ambulanze che giungono da Agropoli ora impiegano vari minuti in più per trasportare i pazienti al pronto soccorso, un tempo che può risultare fatale. Altro esempio di strade dissestate è l’arteria che collega il comune di Pisciotta con quello di Ascea, due note località costiere del Cilento. Ascea è in parte isolata da circa trent’anni, sempre a causa di una frana che ha distrutto la sottostante strada. Questo stato di cose ha creato e crea tuttora gravi disagi ai cittadini e ai lavoratori, costretti a utilizzare percorsi alternativi scomodi e poco pratici, che allungano a dismisura il tragitto. Tutto questo ricade in maniera negativa anche sul turismo, settore da sempre cardine dell’economia di queste zone. Speriamo che a tutto ciò si trovi una soluzione prima dell’estate, per poter dare risposte concrete e aspettative più rosee all’economia del territorio. Il Cilento è infatti privo di un aeroporto; il più vicino è quello di Napoli Capodichino, che dista circa due ore di auto dalle più amene località della costa cilentana. E quello di Salerno (sito a Pontecagnano) è ancora fermo: la pista di atterraggio è troppo corta ma da anni non viene allungata. Sono i tempi “canonici” degli interventi pubblici in Campania... Patrizia Fuoco aprile 2014 scarp de’ tenis

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catania La visita di Napolitano, incubo per chi dorme sui marciapiedi di corso Sicilia. Spia di un problema che riguarda 200 persone

Arriva il Presidente, homeless sfrattati... di Orazio Di Mauro La vigilia della visita del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, a Catania (avvenuta il 26 febbraio) è stata una notte drammatica per le persone senza dimora. Le istituzioni locali hanno dato ordine di sgomberare il centro cittadino dalla fastidiosa presenza delle persone senza casa che dormivano sotto i portici di una delle strade più “in” della city, il corso Sicilia. Squadre di vigili urbani erano pronte per sfrattare i senza dimora dai marciapiedi, per ridare un’immagine “decorosa” alla città. Per fortuna però molti homeless erano stati già avvisati dai volontari dell’unità di strada che, essendo al corrente del provvedimento, avevano suggerito loro di andare via prima della “retata”. In realtà le organizzazioni di volontariato erano state allertate dall’amministrazione comunale della necessità dello sagi psichiatrici o perché affette da alcosgombero dei senza tetto. Purtroppo lismo. Viene da chiedersi, allora, quale però le alternative al dormire sotto quei sia il progetto dell’amministrazione coportici sono inesistenti: dove avrebbero munale della città per chi al dormitorio potuto andare i senza dimora catanesi? non può andare: quali prospettive, quaQuanto accaduto conferma una volli azioni sono state pensate per loro, olta di più che i posti letto per homeless, a tre all’idea di allontanarli dal centro? Catania, sono insufficenti. Anche perché si sa che le persone che vivono in strada in diversi casi non vogliono enBisogno di azioni profonde trare nei dormitori e spesso neanche Noi sappiamo bene che nessuno sceglie possono essere accolte, a causa dei diconsapevolemente di vivere per strada;

Alla tredicesima richiesta, mi lasciai aiutare

Addio a Erwin, un “vecchio

Nessuno, e sottolineo nessuno, può dire «Non ho bisogno d’aiuto». Le persone che vivono sotto i portici di corso Sicilia, in realtà, rifiutano l’aiuto perché non hanno la forza di accettare; ma forse dovremmo sforzarci di vedere quali storie hanno alle spalle. A volte hanno problemi d’alcol o psichiatrici, tuttavia non per questo si devono abbandonare e ignorare. Voglio raccontarvi, in breve, la mia esperienza, che in parte è uguale a quella di queste persone. Io nella mia vita ho avuto un “piccolo” problema con l’alcol e la droga. In quel periodo avevo creato davanti a me uno scudo, in modo che nessuno mi avvicinasse. Nonostante la mia chiusura, alcune persone esperte, che tenevano al mio benessere, non mi hanno abbandonato. Hanno accettato i miei continui rifiuti nel ricevere il loro aiuto. E la loro tenacia ha fatto sì che alla tredicesima richiesta di entrare in comunità fui io stessa a decidere di andarmene, accogliendo, finalmente, la loro offerta d’aiuto. Perché vi dico tutto questo? Perché sono riuscita a capire che non si deve mai smettere di aiutare queste persone. Anche quando sembra che non ci sia più nessuno spiraglio. Testimonianza di Zaira Sambasile

Tra le persone senza tetto di Catania che ho conosciuto Erwin, al quale è stato dedicato anche un dormitorio: era un “vecchio” ragazzo austriaco di 55 anni, giunto nella metropoli etnea una decina d’anni fa. Tra i componenti del gruppo sgom-berato, lui era un tipo caramelloso, molto mite, con capelli argentati, sguardo dolce e malinconico. Con in mano un “lattone” di birra d’ordinanza fisso da un lato, e il classico cappello busker dall’altro, stazionava spesso lungo il trafficato e laborioso corso Sicilia, nel cuore commerciale di Catania,

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scarpcatania se alcuni non sono più capaci di accettare il nostro aiuto vuol dire che dobbiamo cambiare strategia, dobbiamo cambiare approccio. Cacciarli o nasconderli non servirà ad avere una città più bella, ma solo più ipocrita. A Catania dormono in strada circa duecento persone, un numero ingente, conferma del fatto che le risposte non possono essere limitate a una pulizia delle strade del centro. C’è bisogno di azioni profonde di accoglienza e di accompagnamento, per favorire il ritorno a una vita dignitosa da parte di chi ha perso tutto. Compresa la speranza.

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Baraccopoli in fumo Un incendio ha distrutto i rifugi improvvisati di San Basilio

ragazzo” di corso Sicilia intento a racimolare spiccioli per soddisfarei piccoli fabbisogni giornalieri. Pippo e Grazia (volontari storici, molto conosciuti e apprezzati in tutta la città) gli facevano più volte visita. Se non altro, lo facevano per farlo sentire meno solo. Purtroppo, però, in una notte particolarmente fredda, il caro Erwin è venuto a mancare. Il suo fisico non ha retto agli stenti di una vita on the road, vissuta in maniera troppo dura e sregolata. Personalmente, spero che queste tragedie, portate da povertà estreme e solitudine, non accadano più. Testimonianza di Angus MCfadden

Il caso

Rogo a San Berillo: area libera, ma quando sarà riqualificata? Negli anni Cinquanta uno degli storici quartieri popolari di Catania, San Berillo, vicino al centro storico, fu totalmente raso al suolo e mai ricostruito, nonostante i diversi tentativi di riqualificazione dell’area. Era prevedibile che nei lotti di terreno abbandonati, divenuti fosse a cielo aperto, trovassero una casa alcuni migranti provenienti dai paesi dell’est. Di recente un incendio ha distrutto, all’interno della baraccopoli, i rifugi improvvisati. Filippo Immè, presidente dell’associazione Accoglienza e Solidarietà, assicura che «la zona di corso dei Martiri della Libertà adesso è completamente sgombra e le 37 persone di nazionalità bulgara, che hanno perso la loro casa dopo l’incendio, sono state rimpatriate.» A fare ulteriore chiarezza sulle condizioni e sul futuro di corso dei Martiri è l’assessore all'urbanistica di Catania, Salvo Di Salvo. Cosa è stato fatto e cosa ancora si può fare per corso dei Martiri? La nuova amministrazione non ha nessuna responsabilità diretta. La precedente aveva definito un procedimento che ormai da tempo non trovava soluzioni, attraverso una convenzione con privati, la quale da un lato ha messo fine a un contenzioso (l’ente locale era loro debitore di alcune somme) e d’altro canto ha definito una proposta di intervento. Secondo me, non era però giusto stabilire un atto di riqualificazione urbana nel cuore della città, siglato da amministrazione e rappresentanti delle società coinvolte; andava invece avviato un passaggio pubblico, attraverso il senato di Catania. Il progetto previsto dalla precedente amministrazione, per quel tratto già cementificato, non è idoneo. Occorre individuare un indice di edificabilità diverso, ridotto, con più spazi sociali e meno commerciali. I lotti del vecchio quartiere di San Berillo diventano spesso rifugio per i migranti; è possibile trovare un’altra sistemazione per queste persone e mettere in sicurezza l’area? In che modo? Settimane fa ho chiesto ai titolari delle aree di recintare le zone occupate, attraverso la bonifica delle strutture dove alloggiavano i migranti e facendo rete con le associazioni di volontariato per accompagnarli in un percorso sociale di accoglienza e inserimento sociale. Le aree oggi sono libere, recintate, non più occupate e sicure. Quanto è importante la riqualificazione di corso dei Martiri della Libertà per la città di Catania? In una scala da uno a dieci, a mio avviso dieci, perché è essenziale definire un nuovo assetto urbanistico per un quartiere fino a oggi incompleto. La riqualificazione, però, deve avvenire in maniera più leggera rispetto al progetto presentato dall’amministrazione precedente. Si può già parlare di una data per l’inizio ufficiale dei lavori? A che punto è l’attuale riqualificazione? Non credo. La cosa assurda è che dopo aver firmato la convenzione i privati possono anche non realizzare i lavori. Hanno acquisto un titolo, ma non è detto che lo sfrutteranno. L’amministrazione non può obbligare il privato a dare seguito agli accordi di intervento ed edificazione. Se da un lato si è risolto un storico contenzioso, dall’altro il problema della riqualificazione è ancora aperto. Alberto Molino aprile 2014 scarp de’ tenis

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Tetraedro


ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Crowdfunding, quale viviamo, come l’agenda finanziamento comunitario. Mercato per il buon vivere, come in crescita per i nuovi strumenti l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. di sostegno al terzo settore. Ventuno è la nostra Ma in Italia si fatica a utilizzare idea di economia. Con qualche proposta per queste opportunità agire contro l’ingiustizia e di Andrea Barolini l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

Ventunostili Una sola famiglia umana, cibo per tutti. La campagna Caritas si concluderà a Expo 2015

21 ventunorighe Cosa nutre la vita?

di Paolo Foglizzi Aggiornamenti sociali

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21ventunodossier Come finanziare il volontariato, o altre iniziative sociali o di microimprenditoria? Prende piede (tra ostacoli) il crowdfunding

Raccolta fondi? Buttiamoci nella rete di Andrea Barolini

I finanziamenti partecipativi attraverso microdonazioni in internet godono di crescente attenzione. La Consob, autorità di controllo della Borsa, ha varato strumenti di disciplina e lanciato corsi di formazione. Il valore del mercato, lo scorso settembre, in Italia è arrivato a 23 milioni di euro. Ma siamo lontani dai risultati raggiunti in Nord America e altri paesi europei: entro fine 2013 si calcolava che la raccolta globale avrebbe raggiunto i 5 miliardi di dollari

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Burocrazia e vincoli strutturali

Donazioni online, in Italia decollo lento Lo scorso 23 marzo alla maratona di Roma ha partecipato per la prima volta un clown. Si tratta di Lorenzo Checchi, in arte “Dottor Duemetri”. Un ragazzo empolese, che nella vita cerca di far ridere chi è più sfortunato: i bambini malati. L’obiettivo, ovviamente, non è stato quello di vincere la gara, bensì di far riflettere sul lavoro della cooperativa sociale “Ridere per Vivere Toscana”, che da dieci anni opera negli ospedali di Pisa, Lucca, Pontedera e Massa. «Quella di correre in veste di pagliaccio alla maratona – ha spiegato Cecchi al Corriere della Sera – è un’idea in più per attirare l’attenzione sulle nostre attività. In America l’hanno già fatto, con tanto di Guinness registrato. In Italia non mi risulta che nessuno l’abbia mai tentato». Affiancata alla maratona, la cooperativa di clown ha lanciato una campaChe cos’è il crowdfunding? gna di finanziamento. Obiettivo: ragIl crowdfunding è un finanziamento giungere 1.500 euro. Una cifra modica, partecipativo basato su piattaforme ma che consentirebbe di sviluppare i presenti su internet. Proprio il web, inprogetti dei pagliacci ospedalieri. Per fatti, mette in relazione i promotori dei farlo, “Ridere per Vivere” ha scelto di afprogetti con i possibili investitori: enti, fidarsi alle nuove forme di finanziamenimprese, altre associazioni, persone coto che sono nate in rete negli ultimi anmuni. Si tratta di un sistema antico, ma ni. Il volto del Dottor Duemetri, infatti, che oggi ha ripreso vigore grazie alla campeggia sul sito della Rete del Dono semplicità di utilizzo offerta dalla rete e, (www.retedeldono.it), piattaforma di soprattutto, date le difficoltà che si incrowdfunding (in inglese, crowd è folla, contrano nel chiedere finanziamenti atfunding finanziamento) per la raccolta traverso i “tradizionali” canali delle bandi donazioni on line a favore di progetti che o delle finanziarie (soprattutto nei d’utilità sociale ideati e gestiti da orgacasi di progetti senza scopo di lucro, per nizzazioni non profit. Facciamo allora i quali diventa sempre più inutile preun passo indietro, e cerchiamo di capisentarsi presso la filiale di un istituto di re come funziona tale strumento. credito). Chi è interessato può contri-


Crowdfunding

buire in due modi: come sostenitore, avviando campagne di crowdfunding con iniziative di raccolta fondi, o come donatore (con una semplice transazione, tramite carta di credito o sistemi alternativi come PayPal). «Va tenuto tuttavia in conto il fatto che l’Italia sconta alcuni vincoli che possiamo definire strutturali: esiste ancora un forte digital divide nel nostro paese, e soprattutto una scarsa propensione ai meccanismi di pagamento on line», considera Ivana Pais, ricercatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ciò nonostante, alcuni sistemi sembrano aver preso piede, «soprattutto per quanto riguarda il terzo settore, il non profit e i progetti culturali, che costituiscono i beneficiari principali del crowdfunding in Italia», avverte la ricercatrice. È proprio il caso della Rete del Dono, che offre il proprio servizio di raccolta fondi alle organizzazioni senza scopo di lucro aventi sede legale in Italia: associazioni, fondazioni, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, ong, enti pubblici. Chi vuole presentare un

Idee da finanziare? Basta iscriversi al portale e siglare un contratto progetto devo solamente iscriversi al portale e sottoscrivere un contratto. A quel punto, è possibile promuovere un progetto per il quale Rete del Dono consente di raccogliere fondi per dodici mesi. Al limite temporale, tuttavia, non è affiancato un tetto massimo economico: in linea teorica, un progetto potrebbe essere finanziato con qualsiasi cifra (anche se la Rete del Dono consiglia di non impostare obiettivi di raccolta superiori ai 30 mila euro). Le donazioni ricevute vengono poi incassate, generalmente, sul contro corrente PayPal della Digital Campus onlus (organizzazione che coordina le campagne di donazione sul portale internet). I capitali vengono quindi devoluti all’organizzazione che la lanciato la raccolta, con due “trattenute”: una commissione imposta da PayPal, che è pari

all’1,8% della cifra donata (a cui si aggiungono 35 centesimi forfettari); una seconda prelevata dalla stessa Rete del Dono, che finanzia così il proprio funzionamento (si tratta del 5% più Iva, che viene tuttavia applicato solo in caso di effettiva raccolta di fondi). Il tutto sulla base di un sistema che garantisce anche trasparenza: tutte le donazioni sono pubblicate sul portale insieme ai nomi dei donatori, qualora questi non abbiano preferito rimanere anonimi.

Il sistema in Italia Il sistema della Rete del Dono, tuttavia, non è l’unico in Italia. Ne esistono altri e non soltanto rivolti ai soggetti non profit: un imprenditore, ad esempio, può provare a sfruttare il crowdfunding per lanciare una propria iniziativa. Secondo quanto riportato dalla Review of Crowdfunding Regulation del 2013, pubblicata dallo European Crowdfunding Network, nel nostro paese esistono tre differenti tipologie di crowdfunding: il modello equity, il modello landing e le donazioni (il primo è costituito da un’offerta di azioni sul web per la aprile 2014 scarp de’ tenis

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nascita di start up innovative, il secondo è il più classico sistema basato sul prestito). Il tutto è (parzialmente) regolamentato sia dalla Banca d’Italia che dalla Consob. Quest’ultima ha adottato una disciplina ad hoc da circa un anno, dopo un dibattito che ha coinvolto non soltanto i soggetti regolatori ma anche alcuni rappresentanti dei portali web, nonché consulenti legali specializzati. Grazie a tale approvazione, l’Italia ha centrato un primato di “velocità”: il nostro paese è infatti il primo, in Europa, ad aver introdotto una disciplina specifica per il crowdfunding. La normativa Consob riguarda tuttavia solamente il modello equity e, ancor più nello specifico, le regole sulla sollecitazione al risparmio (e sul prospetto informativo) che scattano quando il capitale da raccogliere non supera i 5 milioni (nonché le norme di condotta – trasparenza, chiarezza – degli intermediari impartite dalla direttiva europea Mifid). In sintesi, la disciplina è finalizzata a garantire diligenza, correttezza e trasparenza, gestione dei conflitti di interesse e parità di trattamento dei destinatari delle offerte. Ma

punta anche a far sì che le informazioni concesse ai partecipanti siano corrette, aggiornate, chiare e non fuorvianti. È previsto inoltre un diritto di recesso che si può esercitare entro sette giorni. «Quella della Consob è stata una scelta pionieristica, ma gli altri modelli di crowdfunding restano privi di una disciplina specifica. E non mi sembra che il legislatore abbia in agenda l’approvazione di una normativa specifica», sottolinea Ivana Pais. Soprattutto uno snellimento delle procedure, invece, sarebbe necessario: «Anche per quanto riguarda il modello equity – prosegue la ricercatrice della Cattolica – la procedura attuale è molto farraginosa dal punto di vista burocratico. Non a caso in Italia esistono solo tre piattaforme autorizzate, mentre molte sono ancora in attesa di esserlo. Ma soprattutto, soltanto due progetti di equity crowdfunding risultano attivi».

I numeri del fenomeno Ma quanto vale, oggi, il crowdfunding in Italia, e quali sono gli attori in campo? Secondo un’analisi recente del Sole24Ore, il mondo delle piattaforme che si occupano di tale tipo di finanzia-

menti vive una crescita significativa: le realtà del settore erano 16 alla fine del 2012, sono poi diventate 21 ad aprile dello scorso anno, per raggiungere un totale di 27 a ottobre (totale in ulteriore crescita nei mesi successivi). Certo, avverte il quotidiano economico, l’incremento si snoda in un periodo di tempo troppo breve per poter arrivare a conclusioni circa l’andamento effettivo del comparto. Tuttavia, un’indicazione è possibile trarla. I finanziamenti partecipativi sono un fenomeno che gode di crescente attenzione. Prova ne è anche il fatto che la stessa Consob ha lanciato corsi di formazione specifici. Il valore del mercato, d’altra parte, alla fine dello scorso mese di settembre era arrivato a toccare i 23 milioni di euro (11 dei quali raccolti nell’ultimo anno, il che ha fatto segnare un +42% nel 2012). Allargando l’analisi al di fuori dei confini italiani, risulta evidente come il fenomeno sia, per ora, soprattutto “occidentale”, dal momento che il grosso del mercato è concentrato nel Nord America e in Europa (il 95%). Un anno fa, un rapporto dell’Italian Crowdfunding Network (associazione indipen-

Doxa: donatori 15 milioni di italiani, vince ancora la campagna “di piazza” Soprattutto in un periodo di crisi forte e prolungata come l’attuale, il ruolo giocato dai cittadini è fondamentale. In tanti settori. Come volontari, o attori di un provvidenziale welfare famigliare. Ma anche chi non ha “a portata di mano” qualcuno da aiutare, può offrire un contributo determinante. Grazie alle donazioni. Dal 2001, ogni anno, l’istituto demoscopico Doxa elabora una fotografia dei “comportamenti di donazione della popolazione italiana”. Il rapporto Italiani solidali indaga la nostra attitudine alla generosità. Che a ottobre 2013 (ultimo aggiornamento della rilevazione) si traduceva in donazioni da parte del 29,7% della popolazione, ovvero 15,1 milioni di cittadini. Un dato impormente la ricerca medica: ad essa fanno tante, in linea con gli ultimi anni, anche donazioni il 68% delle persone. Gli aiuti se in calo rispetto alla media raggiunta tra in situazioni di emergenza (terremoti e inizio millennio ed esplosione della crisi. inondazioni, ad esempio) interessano il Ma chi sono questi 15 milioni di ita22% dei donatori, mentre il 16% si dediliani? La ricerca della Doxa indica che si cano alla lotta alla povertà nel mondo, e il tratta in larga maggioranza di persone re12% al contrasto all’indigenza in Italia. Alsidenti nel nord del paese, principalmenle adozioni a distanza è interessato il 12% te donne, e soprattutto di età superiore ai dei donatori, mentre agli altri settori (pro54 anni. Quanto alla scelta degli enti ai tezione degli animali, salvaguardia del quali indirizzare le proprie donazioni, gli patrimonio artistico, difesa dell’ambienitaliani mostrano di prediligere nettate, nonché assistenza ai malati, ai biso-

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gnosi e ai bambini) si orienta un globale 17% di donatori (la somma è superiore a 100, perché erano ammesse più risposte). L’organizzazione che ha ricevuto più fondi, di conseguenza, è stata nettamente l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), alla quale è andato il 48% del totale dei finanziamenti. Seguono Telethon, Associazione italiana sclerosi multipla (Aism), Caritas, Emergency e Unicef. Per offrire il proprio contributo a tali organismi, gli italiani dimostrano di essere sensibili alle campagne di piazza: oltre la metà delle donazioni viene effettuata in tali occasioni. Molto poco utilizzati, al contrario, i servizi bancari: bonifici, Rid o carte di credito. Anche perché la cifra media concessa dagli italiani è inferiore ai 50 euro: se si sceglie di devolvere 15 euro, è più facile farlo acquistando un


Crowdfunding

Eredi di Zopa

Smartika, il credito tra privati che scavalca le banche Lo sviluppo del credito peer-to-peer, ovvero tra privati, senza più l’intermediazione di una banca, continua a crescere e si candida a diventare in futuro un concorrente importante per il sistema creditizio tradizionale. In Italia opera ad esempio la società d’intermediazione Smartika, tornata nel 2011 all’operatività, dopo un problema legato ad alcuni rilievi mossi da Bankitalia rispetto alla precedente esperienza, chiamata Zopa. La banca centrale ha infatti concesso l’introduzione nel nuovo albo degli istituti di pagamento, rilanciando così un’esperienza che era stata in grado, fino al 2009, di attirare 40 mila utenti e raccogliere più di 7,2 milioni di euro di prestiti. Il meccanismo è semplice: Smartika si impegna a verificare la storia creditizia delle parti (prestatore e beneficiario del finanziamento), ma – a differenza della maggior parte degli istituti di credito – valuta anche le ragioni della richiesta (ad esempio la bontà di un progetto). Gli utenti chiedono denaro per acquistare un mezzo di trasporto, per sostenere le spese di un matrimonio, per ristrutturare una casa, per studiare o per pagare cure mediche. Ma anche, non di rado, per consolidare debiti pregressi. Normalmente vengono erogate cifre non lontane dai 6 mila euro (il che implica la presenza di circa 200 prestatori): tali capitali vengono restituiti in rate da 24 a 48 mesi, a un tasso medio attorno al 9%. Un altro dato, infine, sottolinea la bontà del sistema: il tasso di insolvenze, che negli anni scorsi è risultato più basso rispetto a quelli delle banche.

dolce, una piantina o un gadget a prezzo “maggiorato”. In generale, in ogni caso, la propensione dei cittadini italiani alla donazione è piuttosto marcata.

Finanza etica poco nota La ricerca Doxa ha posto infatti una domanda precisa agli intervistati: «Se due prodotti avessero le stesse caratteristiche,

sarebbe più propenso ad acquistarne uno più caro prodotto da un’azienda solidale o uno meno caro offerto da un’azienda non solidale?»: la maggior parte delle persone ha risposto che prediligerebbe acquistare l’oggetto e, al contempo, fare beneficenza. Certo, anche in questo caso la crisi si fa sentire: la seconda alternativa risulta in aumento del 3% ri-

dente senza scopo di lucro che si adopera «per consentire un corretto sviluppo del crowdfunding») ricordava come il totale raccolto in tutto il mondo fosse pari a 2,7 miliardi di dollari (dato in crescita del 125% rispetto a un anno prima). Un milione le campagne portate a termine con successo, e le previsioni erano di un aumento della raccolta dell’81% entro la fine dello scorso anno, tale da consentire di superare i 5 miliardi di dollari. «In generale – sottolinea Pais – i paesi più forti in materia di crowdfunding tendono a consolidare le proprie posizioni. Ma esistono anche una serie di realtà in forte ascesa. È il caso della Cina, ma anche dei paesi arabi». E per il futuro, quali sono le previsioni? «È molto difficile farne: fino a due o tre anni fa nessuno avrebbe previsto il fenomeno. Tuttavia, i recenti sviluppi, ad esempio in Italia, indicano un buon andamento delle piattaforme delimitate territorialmente, o settoriali: il crowdfunding per la musica, ad esempio, sta andando molto bene». E anche le donazioni per progetti benefici si spostano a poco a poco sui sistemi di finanziamento online: un buon segnale, per uno strumento ancora nuovissimo.

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spetto alla rilevazione 2012. Dati meno confortanti, invece, arrivano da strumenti che potrebbero aiutare a cambiare il sistema economico e finanziario. Si tratta dei gruppi di acquisto solidale e dei prodotti legati alla finanza etica. Le percentuali di coloro che dichiarano di aver aderito a una di tali proposte sono ancora piuttosto esigue: il 6% per quanto riguarda i Gas e solamente il 2% per la finanza etica (della quale il 57% degli intervistati sostiene di non aver mai sentito parlare...). Ben più noti, al contrario, 8 per mille e 5 per mille. Anche in questi casi, però, molti dichiarano di non sapere di cosa si tratti: il 24 e il 32%. Ciò fa capire che le campagne di informazione della popolazione sono ancora estremamente importanti per far comprendere l’importanza del sostegno “dal basso”.

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21ventunostili Campagna Caritas per combattere la fame e affermare il diritto al cibo. Iniziative globali e locali, poi la presenza a Expo 2015

Una sola famiglia. E un ruggito che si fa diritto

Una mobilitazione globale. Che diventa azione anche in Italia. E in tanti ambiti locali. Per gridare al mondo, ma anche tra le nostre case, le nostre scuole, nelle nostre comunità civili ed ecclesiali, che la fame è uno scandalo. Purtroppo tutt’altro che superato. E però non invincibile. Con questo spirito Caritas Internationalis ha lanciato lo scorso 10 dicembre, in coincidenza con la Giornata mondiale dei diritti umani, la campagna One Human Family. Food for All. In quell’occasione, papa Francesco invitò «a dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado di scuotere il mondo». L’eco di quel ruggito ora arriva anche in Italia. Dove Caritas Italiana e Focsiv, insieme ad altre 24 organizzazioni di ispirazione cristiana e della società civile, a fine febbraio hanno presentato la costola nazionale dell’iniziativa planetaria, aggiungendo però al messaggio centrale della campagna una sottolineatura relativa al necessario impegno personale e comunitario. La campagna italiana “Una sola famiglia umana, cibo per tut-

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ti: è compito nostro” nasce dunque con l’obiettivo di promuovere consapevolezza e impegno, negli ambienti educativi e associativi, sul tema dei gravi squilibri socio-economici che ancora caratterizzano il pianeta, e che costringono centinaia di milioni di persone a condizioni di vita inumane, precludendo loro il godimento di diritti fondamentali, a cominciare da quello all’accesso al cibo.

Il cibo, un diritto umano Occorre infatti modificare i comportamenti personali, i meccanismi di produzione, distribuzione e consumo, le dinamiche di mercato e finanziarie, gli apparati normativi e le leggi, affinché tutte le persone, in Italia, in Europa e nel mondo, abbiano accesso al bene comune costituito da un cibo sano, nutriente, giusto. Un cibo prodotto secondo criteri di sostenibilità ambientale e di giustizia, nel rispetto della dignità delle persone, superando un sistema caratterizzato da “strutture di peccato”, che generano fame e spreco, conducono a speculare su un bene essenziale come il cibo, generano violenza e guerra tra comunità. La campagna vivrà, in questi primi

mesi, di molteplici azioni a livello locale. Una settimana di azione globale congiunta è invece prevista per ottobre 2014: unirà tutti i membri della rete Caritas e le comunità cristiane, con eventi e azioni nel mondo, per spingere i governi nazionali ad adottare norme che affermino il diritto al cibo come autentico e primario diritto umano. A maggio 2015, poi, Caritas Internationalis ospiterà la sua assemblea generale quadriennale a Roma, dedicando attenzione particolare al tema del’eliminazione della fame. Subito dopo, insieme a Caritas Italiana e a Caritas Ambrosiana, parteciperà all’Expo di Milano 2015, dedicato al tema “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”.

Un impegno su tre versanti Diritto al cibo, finanza giusta, relazioni di pace: le iniziative della campagna ruoteranno attorno a questi tre cardini.

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CIBO. Il diritto al cibo è riconosciuto, sin dal 1948, dalla Dichiarazione universale sui Diritti dell’uomo come uno dei diritti umani fondamentali. Si tratta di un diritto negato a una parte consistente della popolazione del pianeta: è consa-


la campagna

pevolezza comune che più di un miliardo di persone si trovi oggi priva di cibo adeguato, in quantità e qualità. L’attuale crisi ha reso ancor più vulnerabile la situazione di masse ingenti di persone già colpite dalla fame, a cui si contrappone però una sempre maggiore diffusione dello spreco dei beni alimentari e delle malattie legate all’obesità. È quindi urgente affrontare la questione del diritto al cibo analizzando questi elementi di squilibrio globale. Si tratta di una situazione che ha le sue radici in scelte politiche ed economiche dannose, responsabili di dinamiche di produzione, distribuzione e di sistemi di commercio internazionale sconsiderati, segnati da gravi squilibri. È necessario allora sviluppare nuovi modelli, in grado di garantire il diritto al cibo, favorendo il protagonismo dei gruppi svantaggiati, puntando su sistemi di produzione basati sulla valorizzazione del territorio e sul legame tra produzione agricola e gestione degli ecosistemi.

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FINANZA. Il sistema finanziario globale è uno dei meccanismi internazionali che ha maggiormente contribuito all’attuale crisi internazionale. Poche grandi banche, a livello mondiale, concentrano nelle proprie mani un enorme potere finanziario, intrecciando le attività tradizionali di deposito e credito, con operazioni d’investimento, soprattutto di carattere finanziario, rischiose e speculative a livello globale, tali che un loro fallimento genererebbe effetti disastrosi: direttamente per i dipendenti e i risparmiatori, indirettamente per il sistema delle imprese, i lavoratori e tutti i cittadini. Questa dinamica è il frutto di relazioni finanziarie squilibrate e di un sistema di regole malfunzionante, che ha favorito comportamenti speculativi e finalizzati al guadagno di pochi nel breve periodo, a danno di molti, generando dinamiche e rischi sistemici che colpiscono tutti i paesi, quelli del Sud del mondo in modo particolarmente severo: con la speculazione finanziaria, negli ultimi anni, i

Una mobilitazione globale. E in tanti ambiti locali. Per gridare al mondo, ma anche tra le nostre case, le nostre scuole, nelle nostre comunità civili ed ecclesiali, che la fame è uno scandalo. Tutt’altro che superato. E però non invincibile aprile 2014 scarp de’ tenis

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Diritto al cibo, finanza giusta, relazioni di pace: l’iniziativa Caritas si snoda lungo un triplice versante. Per affermare che senza giustizia sociale non c’è vera lotta alla fame e allo spreco alimentare prezzi dei generi alimentari sono schizzati in alto, generando le cosiddette “guerre del pane” e nuova fame. Oltre a una maggiore vulnerabilità, dettata dalle instabilità del mercato finanziario, la crisi ha determinato anche una riduzione dell’aiuto a dono da parte dei paesi ricchi, una contrazione del flusso di rimesse dei migranti, una riduzione della liquidità e del credito internazionali. È necessario mobilitarsi a tutti i livelli, per la costruzione di relazioni finanziarie rinnovate secondo principi etici; per ricercare alternative, proporre nuovi meccanismi di regolazione (come la tassa sulle transazioni finanziarie) e promuovere una mobilitazione nella direzione del sostegno al bene comune.

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PACE. La questione della pace e della fraternità fra i popoli è, ora più che mai, di fondamentale importanza, se si vuole dare soluzione durevole ai problemi sopra menzionati. Esistono numerosi fattori che ostacolano la pacifica convivenza, e sono responsabili di squilibri, instabilità, guerre e conflitti che si riverberano nella fame; tra questi fattori stanno assumendo sempre maggiore rilevanza i conflitti per l’accaparramento delle terre. Il rinnovamento delle relazioni tra persone, comunità e paesi è l’unico percorso possibile, se si vuole realizzare un mondo dove si sperimentino l’accoglienza, il rispetto e la dignità di ogni abitante del pianeta, la salvaguardia del

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Acra, Mani Tese e Legambiente

L’agro-alimentare “dal basso”, via per uno sviluppo sostenibile Il mondo ha fame? L’industria agro-alimentare consuma in modo scriteriato risorse territoriali ed energetiche? Un’alternativa è possibile. Anzi, c’è già. Sono i sistemi agro-alimentari alternativi (Alternative food systems – Afs), soluzioni locali dal basso per contrastare la fame, e al tempo stesso promuovere la coesione sociale. Hungry for rights – Affamati di diritti è la campagna promossa dalle ong italiane Acra-Ccs (capofila), Mani Tese e Fondazione Legambiente, insieme ad altri soggetti di diverse nazionalità. L’obiettivo è far comprendere che le filiere agro-alimentari alternative (reti comunitarie caratterizzate da prossimità territoriale e da un’organizzazione sociale orientata alla condivisione) rappresentano dinamiche nuove e davvero sostenibili di sviluppo socioeconomico. Nell’agenda mondiale per la sicurezza alimentare, questi modelli costituiscono un’alternativa credibile alle difficoltà nate dalla globalizzazione commerciale. La campagna intende coinvolgere e mobilitare produttori agricoli su piccola scala, soggetti del mondo dell’economia solidale, gruppi di consumatori eticamente orientati, ong, associazionidi migranti. Tra le attività che la campagna prevede, ci saranno la accolta di buone pratiche sulle filiere del cibo alternative, solidali, basate sulle relazioni; attività di formazione, realizzazione di strumenti web per la condivisione dei materiali e la facilitazione delle relazioni tra territori; visite e scambi, gruppi di lavoro tematici che coinvolgano soggetti diversi; infine definizione dei «Food Council» in ogni territorio.

creato, della terra e dei beni comuni. Sperimentare relazioni di pace significa insomma cercare modalità di superamento dei conflitti, che guidino verso la convivialità delle differenze. Le cifre sproporzionate che nel mondo si impiegano per sistemi d’arma sempre più sofisticati confermano quanto sia necessario sviluppare un approccio di pace nella gestione delle risorse pubbliche. È necessario quindi agire su un insieme di fattori, promuovendo equità

nella distribuzione delle risorse, democrazia, partecipazione politica, efficaci strutture di governo nazionale e internazionale, e processi di disarmo globale significativi ed efficaci.

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Per approfondire I siti della campagna www.cibopertutti.it www.food.caritas.org www.caritas.it www.caritasambrosiana.it



ventun righe di Paolo Foglizzo Aggiornamenti Sociali

Cosa nutre la vita? Il tema del cibo si trova all’incrocio di una serie di contraddizioni della società contemporanea globale, che sperimenta una tensione fra opportunità e rischi. Ecco alcuni di questi paradossi: w “Eccesso vs accesso”: in un mondo dove la produzione di cibo supera il fabbisogno alimentare, il permanere della malnutrizione evidenzia come la tutela efficace del diritto passi attraverso la garanzia della possibilità di accesso al cibo; si tratta di una tensione che investe anche altre risorse fondamentali (dai farmaci alle opportunità offerte da internet); w “Scarsità vs spreco”: accanto alla malnutrizione, il mondo registra un livello impressionante di spreco di risorse alimentari; questo fenomeno chiama in causa sia gli stili di vita personali, sia i meccanismi di base di funzionamento del sistema agroalimentare; w “Speculazione vs produzione”: la speculazione su prodotti finanziari che hanno come base le derrate agricole produce oscillazioni di prezzo che mettono a repentaglio la sicurezza alimentare delle fasce più povere della popolazione mondiale; si tratta di un nodo cruciale in un sistema economico globale sempre più finanziarizzato; w “Sapere vs potere”: le nuove tecnologie che consentono la produzione di ogm intersecano in profondità la filiera agroalimentare. È una questione estremamente controversa, sia dal punto di vista dei possibili rischi per l’uomo e l’ecosistema (principio di precauzione), sia per gli effetti sui produttori agricoli, determinati dai meccanismi di tutela della proprietà intellettuale. Expo 2015 può rivelarsi una occasione propizia e feconda di mettere a tema queste contraddizioni e tensioni, in modo da comprenderle meglio e poter così elaborare proposte di soluzione che tengano conto di tutte le parti in causa e di tutti gli aspetti del problema, in modo da promuovere il bene comune di tutti i cittadini del mondo.

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lo scaffale

Le dritte di Yamada A volte i giri di parole non servono: la copertina del libro di questa recensione ha trovato – nella potenza grafica di una diagonale rosso vermiglio – un’origine in cui lo stupore e i miei ricordi si sono incrociati. L’Europa Le periferie Cosa ha potuto così tanto? Un fumetto ambientato e una pace non fanno instabile audience in un luogo a me caro, il museo del Louvre di Parigi, traslato su carta dall’eccezionale mano sinistra di David «Il mondo cambia – Cosa sono Prudhomme. In Francia questo albo è stato prodotto dice Prodi –; la le periferie dalle edizioni Museé du Louvre. Specifico questo perpolitica è debole esistenziali ché vuole essere anche un po’ didattica, la traversata se non incapace. tanto care a Anche l’Europa. papa Francesco? che un giorno il buffo protagonista del libro decide di Quelli europei sono Qual è il ruolo della fare (e per inciso, DP ci fa sapere – se andremo al Louvre vertici zoppi, in cui testimonianza – che ci imbatteremmo in un percorso medio di 3 ore la Merkel detta la cristiana? e 2 chilometri, con la stima di almeno 10 secondi linea e Hollande fa Sono alcune di “sosta” davanti ogni opera). la conferenza delle domande stampa». E allora? a cui padre Giulio Tornando alla trama, con il protagonista c’era la sua C’è speranza? Albanese, Jeanne, con cui si sono persi. Tenta di rintracciarla con Secondo don missionario, sms e telefonate (altra cosa da sapere: dentro il Louvre Giovanni Nicolini giornalista non si può telefonare), ma lei non risponde e a lui non del cambiamento, e fondatore resta che continuare la visita da solo. oggi, siamo dell’agenzia Misna, responsabili tutti. cerca di E qui comincia il bello. «Si deve ripartire rispondere. Con segno morbido e narrativo, il disegnatore ritrae dal basso – dice –; Albanese, il suo alter-ego e, quasi singolarmente, la varia moltitudai poveri, dal riprendendo le dine di turisti e non, che ogni giorno si sparpaglia nel dialogo e dal parole del papa, Louvre per vedere l’Arte (la pittura la scultura le statue confronto». sollecita i mezzi di informazione a gli oggetti antichi), conservata per mischiare il tempo di La pace instabile. ritrovare un senso chi guarda con quello di chi (o cosa) è guardato. Dialogo tra di responsabilità. Sono disegni potenti e precisi quelli di Prudhomme: Romano Prodi raccontano con scintilla sociologica e antropologica chi e don Giovanni Giulio Albanese siamo e le nostre reazioni di fronte alla Bellezza e alla Nicolini Alle periferie a cura di del mondo. Storia che hanno vissuto nel Tempo (e riempito il LouMatteo Gandini La testimonianza vre: 414 mila le opere conservate!). e Cristina cristiana al passo Alcune reazioni? Eccole: gli occhi sgranati, gli sbadiSpellanzani di papa Francesco gli, le schiene incriccate, l’indifferenza, la voglia di star Edizioni Editrice soli di fronte a un quadro, la commozione, la La Meridiana Missionaria Italiana euro 10 euro 11 stanchezza, il saluto a un capolavoro quando lo si lascia («a presto a domani a tra vent'anni, tu sarai sempre bellissimo); l’isterica foga di fotografare tutto di riprendere tutto di telefonare e dire «sì, lo facevo anch’io ‘sto quadro»; lo straniamento malinconico di fronte a tanta Arte che ci sovrasta, inafferrabile. E ancora: visitatori nelle sale del Canova a scrutare le ali di Amore che paiono muoversi, oppure una coppia che si bacia vicino alla coppia di sposi scolpita nell’Antico Egitto e osservare, spostando lo sguardo dagli uni agli altri, i gesti perpetui dell’Amore. E sorridere, beati. Sotto le enormi piramidi di vetro del Louvre s’aggira tutto il mondo che, in silenzio o dentro i bisbigli poliglotti che fan vibrare i parquet, arriva fino ai piedi della Gioconda. E in una doppia pagina da brivido, la matita di David Prudhomme fa incrociare gli sguardi delle facce del mondo con lo sguardo di Monna Lisa, che da cinquecento anni sorride alle aspettative di tutti gli occhi che l’han cercata. «La Gioconda era contenta quando siamo arrivati ed era più triste quando siamo andati via, ci hai fatto caso?»: così mia sorella, in preda a una stendhaliana suggestione, dopo che avevamo lasciato la Gioconda, anni fa. Forse tutto il mondo va da lei così non la smette mai, di sorriderci. Gran libro. Bello e prezioso. La Traversata del Louvre di David Prudhomme, 001 Edizioni, 18 euro

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Incontri tra strada e Albergo Claudio Thiene collabora con la redazione di Scarp a Vicenza. Sa scrivere bene, così all’Albergo cittadino, struttura comunale dove dorme da quando non ha più una casa, l’hanno incoraggiato e sostenuto nella scrittura del libro. Il supporto della psicologa Stefania Carpenzano e della giornalista Cristina Salviati non è mancato. Ne è nato un volume di racconti ispirato ai tanti incontri fatti in strada: schegge di vita autentiche, mentre ci si districa nei difficili panni di “senza dimora”. Claudio Thiene Capita sempre d'estate www.lulu.com euro 10,99


On Una app per orientare gli acquisti in modo etico Il consumo consapevole ed ecosostenibile è diventato importante per un numero crescente di famiglie. Non solo per il cibo e la salute. Oltreoceano è recentemente nata un’applicazione che non piace alle multinazionali, si chiama www.buycott.com e gioca con le parole “comprare” e “boicottare”. Una volta che la si installa sul proprio smartphone, basta passarla sul codice a barre di qualunque prodotto di supermercato e immediatamente si viene a conoscenza dell’origine del prodotto, di luogo e tipologia di produzione. INFO www.nexteconomia.org/slots-mob

Off L’1,5% degli studenti italiani consuma eroina e oppiacei Allarme inquietante quello che emerge dallo studio Espad(European school survey on alcool and other drugs), realizzato dalll'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc -Cnr). Sono circa 36 mila gli studenti italiani che hanno provato eroina o altri oppiacei almeno una volta nella vita (l’1,5%) e di poco inferiore è il numero di chi l’ha utilizzata nell’ultimo anno (28 mila, l’1,2% degli studenti). Di questi, poco meno di 16 mila, quasi l’1%, l’hanno consumata per dieci o più volte nell’ultimo mese. Diventandone consumatori abituali. Nel dettaglio, sono circa 65.000 i ragazzi che hanno assunto cocaina almeno una volta nell'ultimo anno (il 2,8%) e 18.500 (cioè lo 0,8% degli studenti italiani) quelli che ne ha fatto un uso intensivo, per 10 o più volte nell'ultimo mese.

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Milano

Al Museo della scienza esperienza di inclusione per i bambini disabili Sostenuto e finanziato da Fondazione De Agostini, il progetto “Scienzabile. Inclusione e gioco tra scienza e disabilità”, nasce dalla partnership tra la fondazione stessa, il Museo nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” e L’abilità onlus. Il progetto prevede la realizzazione di laboratori didattici all’interno del museo, a cui possano accedere bambini con disabilità intellettiva e relazionale, in una logica di inclusione, con la classe scolastica di appartenenza o con la propria famiglia, in presenza di altri bambini, durante il week end. Appositi materiali sono scaricabili dal sito del museo per preparare l’esperienza della visita e del laboratorio, a cui partecipano insieme bambini con disabilità e non, nell’idea che ciascuno sia portatore di abilità diverse, che possono essere valorizzate in un contesto di apprendimento cooperativo. Questo aspetto rappresenta l’elemento di novità rispetto alla maggior parte dei progetti attivi nei musei, che non prevedono percorsi dedicati alle persone con disabilità attraverso un’esperienza inclusiva con altri visitatori. INFO www.fondazionedeagostini.it

Milano

A nord della metropoli, una guida dei territori tra storia e leggende L’Ecomuseo urbano metropolitano Milano Nord di via Cesari 17, a Niguarda, è nato con l’obiettivo di far conoscere i luoghi dei territori a nord di Milano: un paesaggio mobile, che interpreta con efficacia gli elementi caratterizzanti la città contemporanea, con i suoi aspetti di mutazione continua. Le notizie storiche, la documentazione visiva tratta da archivi privati e pubblici, il racconto in presa diretta dei suoi abitanti conducono il visitatore all’interno dei quartieri Affori, Bicocca, Bovisa, Bruzzano, Dergano, Isola, Niguarda e di cinque comuni: Bresso, Cormano, Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Sesto San Giovanni. L’Ecomuseo urbano ha ora realizzato

Pillole senza dimora “Punto Ronda”, un centro diurno per impostare percorsi di autonomia Ronda della carità e solidarietà onlus è un’associazione di volontariato che dal 1998 opera nel territorio milanese per aiutare persone senza dimora o in situazioni di povertà estrema. I servizi che offre sono una unità mobile notturna, azioni di educativa di strada, un punto di ascolto diurno, l’accompagnamento ai servizi e durante i ricoveri sanitari, servizi domiciliari. La Ronda della carità, grazie anche all’opera della sua instancabile presidente, Magda Baietta, segue i percorsi e le storie di tante persone dal 1998 e, un passo alla volta, dall’offrire panini e tè caldo a chi non si presenta alle mense dei poveri, è arrivata ad aprire un nuovo centro diurno, “Punto Ronda”, dove ospitare coloro che hanno ancora energie e capacità per tornare a una vita normale. L’obiettivo è costruire con loro progetti educativi individuali, per sostenere le persone nella ricerca di un lavoro e di una casa. Il nuovo centro diurno sarà aperto da lunedì a venerdì, dalle 9.30 alle 17. È rivolto a uomini e donne gravemente emarginati, di ogni età e nazionalità, in particolare persone senza dimora, in situazione di povertà estrema, con gravi problemi occupazionali, familiari e abitativi, presenti nel territorio cittadino. Persone per cui si prevede la possibilità di un percorso educativo di recupero e di accompagnamento all’inclusione, per tornare a una piena autonomia. Il centro promuove interventi di accoglienza temporanea, orientamento e proposte di presa in carico delle persone senza dimora. Il servizio è gratuito, ma devono essere i servizi sociali del territorio a inviare le persone al centro diurno. INFO www.rondacaritamilano.com

una nuova guida dei territori, con l’aiuto dei cittadini che vi abitano. La guida intende condurre il visitatore lungo itinerari che intrecciano i segni della memoria industriale con quella agricola: presenze leggendarie,


caleidoscopio Miriguarda di Emma Neri

Un progetto per sostenere i figli delle vittime di femminicidio

tradizioni e ritualità, che mettono a confronto la Storia e le storie di ognuno. Gli itinerari proposti ci parlano di cosa è rimasto delle fabbriche che animavano il territorio; di com’era il tessuto di ville e cascine che costellava il paesaggio; della memoria della Resistenza e dei rifugi antiaerei; delle architetture civili e dei luoghi di ritrovo delle diverse comunità. Ma anche di dove è nata la famosa Banda d’Affori, o di quando Buffalo Bill con il suo circo è passato da Niguarda... INFO www.eumm-nord.it

Milano

Al Tieffe Menotti Cristicchi e gli over 60, spettacoli per la pace Al teatro Tieffe Menotti il 15 e 16 aprile è in scena Simone Cristicchi con uno spettacolo di cui è regista e autore: “Mio nonno è morto in guerra”. Si tratta di un vivace e appassionante mosaico di memorie, canzoni e video-proiezioni, i cui protagonisti sono piccoli eroi quotidiani, uomini e donne attraversati da uno dei più violenti terremoti della Storia: la seconda guerra mondiale. Storie di bombardamenti nelle borgate romane, storie di fame, di madri coraggiose, di prigionieri in Africa, di soldati congelati nella ritirata di Russia. Storie di lager e lotta partigiana. Testimonianze reali e inedite, raccolte dall’autore: l’istrionico “cant’attore” Cristicchi dà vita a ogni singolo personaggio: questi preziosi testamenti di memoria diventano monito e stimolo alla costruzione di un futuro di pace. Altre voci autentiche, che raccontano la stupidità e l’assurdità della guerra, sono invece quelle in scena dal 6 maggio, sempre al Menotti: sul palco gli over 60, la “giovane” compagnia che Tieffe Teatro aveva selezionato nei mesi

Il progetto europeo Switch Off vuole sostenere gli orfani delle donne uccise per mano del marito o del partner. Quale sofferenza devono sopportare questi figli e figlie? Che cosa li accomuna? Come vivono la loro vita e come si rappresentano il loro futuro? Il progetto europeo Switch Off, del Dipartimento di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli con la partnership dell’associazione nazionale D.i.Re, dell’Università di Cipro e della Lituania, vuole comprendere quali risorse, supporti e strategie devono essere adottate per aiutare gli orfani di femminicidio a elaborare e superare il trauma e definire linee guida di intervento. Per questo è importante raccogliere le testimonianze, anche a distanza di molti anni, degli adulti che hanno vissuto questa tragica esperienza nell’infanzia. Chi lavora al progetto ha lanciato un appello a coloro che volessero dare un contributo, le persone direttamente o indirettamente interessate possono contattare i/le referenti del progetto scrivendo a info@switch-off.eu. Sarà garantita riservatezza e anonimato. I risultati dello studio saranno utilizzati anche per formare gli operatori dei servizi sociali, dei tribunali, delle forze dell’ordine e dei professionisti che entrano in contatto con i minori che hanno vissuto questa esperienza traumatica. Le testimonianze raccolte fino ad oggi rivelano storie di profonda solitudine, e difficoltà anche pratiche e materiali, per questo è importante uscire dall’ottica dell’emergenza e pensare a progetti di sostegno a lungo termine per i minori che spesso sono vittime di uno Stato che non ha avuto la capacità di intervenire efficacemente per impedire il femminicidio e non ha neppure la capacità di sostenere adeguatamente il minore che resta orfano. Gli studi dicono inoltre che chi subisce questo trauma o addirittura assiste all’uccisione della madre può diventare, a sua volta, un soggetto ad alto rischio di disturbo post traumatico cronico, di suicidio, delinquenza, abuso di sostanze, depressione. In dodici anni, in Italia sono stati circa 1.500 gli orfani per femminicidio e non abbiano studi che ci dicano come è stata la loro vita dopo la perdita della madre. Il progetto finanziato dall'Europa vuole affrontare proprio questo capitolo.

INFO www.switch-off.eu e la macrostoria di un’epoca obbligata al cambiamento, in attesa del nuovo millennio. Al Menotti, in occasione di ogni spettacolo, sono presenti i venditori di Scarp de’ tenis, partner sociale del teatro meneghino. INFO www.teatromenotti.org scorsi, ovvero attori professionisti e non, ultrassessantenni appunto, da inserire nella ultima produzione del Menotti stesso, “Il tramonto sulla Pianura”. I selezionati hanno partecipato a un laboratorio teatrale gratuito curato da docenti professionisti e finalizzato alla messa in scena dello spettacolo in cartellone a maggio: “Il tramonto sulla pianura”, tragicomico racconto in bilico tra le storie individuali

Genova

Storie di un fotografo, Berengo racconta l’Italia da Milano a Genova Fino all’8 giugno 2014, a Palazzo Ducale, c’è Gianni Berengo Gardin con “Storie di un fotografo”, a cura di Denis Curti. Gianni Berengo Gardin ha narrato avvenimenti che hanno marcato in profondità la storia del nostro paese. aprile 2014 scarp de’ tenis

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cinque domande a... Duccio Forzano di Danilo Angelelli

Karol Wojtyla prima del papato: «una storia che insegna valori universali» Uno che è stato il regista degli ultimi Festival di Sanremo, il programma monstre che gli italiani amano strapazzare, che ha diretto Vieni via con me su RaiTre con Fabio Fazio e Roberto Saviano, che tutti i fine settimana accende luci sul Tempo che fa dal salotto di Fazio e accompagna le intemperanze di Luciana Littizzetto, uno così, dicevamo, è abituato alle polemiche. Stavolta però è diverso. Stavolta si è trattato di realizzare un’opera musical su Karol Wojtyla. Portare su un palcoscenico una figura amata, che ha scritto la storia recente, intimorisce. Ma Duccio Forzano ha raccolto la sfida, come autore, oltre che regista. E dopo la prima in Polonia, a Cracovia, il 2 aprile, l’opera Karol Wojtyla. La vera storia debutta a Roma, al Teatro Brancaccio, il 15 aprile. Un’operazione bella e delicata… Un rischio come regista, perché saremo più che mai sotto l’occhio dei critici. Ci saranno grosse discussioni, però la responsabilità me la sono presa, sto facendo tutto con passione e in modo onesto. Ricordo l’unica volta in cui ho incontrato papa Giovanni Paolo II. Mi sono inginocchiato e sono rimasto bloccato. La sua energia mi ha avvolto, mentre mi stringeva la mano e io baciavo la sua. Come potevo dire di no, quando mi hanno proposto questo progetto? È una responsabilità, ma è soprattutto un onore. Una figura grande, amata da tutti. Anche da chi, come la cantante israeliana Noa, autrice delle musiche originali dell’opera, si professa non religiosa… Wojtyla incarna valori universali, pone in evidenza le cose che ci uniscono, non quelle che ci dividono. Il suo carisma mette tutti d’accordo. Quando Noa parla del papa, dai suoi occhi traspare una grande devozione. Perché la scelta di raccontare Karol Wojtyla prima degli anni del papato? Ha vissuto esperienze incredibili, si è trovato solo perché ha perso la madre da bambino, ha sopportato la tragedia della seconda guerra mondiale. Pur con un percorso irto di ostacoli, è riuscito a trovare la forza per andare avanti.

72. scarp de’ tenis aprile 2014

Un ragazzino venuto da lontano Un’immagine di scena del musical Karol Wojtyla. La vera storia, in prima italiana al Teatro Brancaccio di Roma il 15 aprile, dopo il debutto il 2 aprile a Cracovia, la città polacca di cui Wojtyla fu vescovo prima di diventare papa. Sotto, il regista Duccio Forzano

Quello che ha fatto da papa lo sappiamo tutti, ma ciò che è avvenuto prima, anche le debolezze, le passioni, tutto quello che poi lo ha portato a diventare Giovanni Paolo II, lo sanno in pochi. Le sfide della narrazione: come avete avvicinato la sua storia, così densa e complessa? Abbiamo cercato di essere il più possibile realistici, ci siamo documentati molto. Ci sono dialoghi, canzoni e coreografie, ma ho cercato di contaminare, creando un ibrido tra televisione, cinema e teatro. Vengono proiettati video, usati come installazioni, che aiutano a porsi domande. Mi piacerebbe che chi assiste allo spettacolo facesse tabula rasa delle informazioni che ha sulla figura di Wojtyla per vivere quello che si sta rappresentando. Per ricominciare a conoscerlo da quando era solo un uomo, non ancora un papa. E riflettere, attraverso la sua vita, sulla nostra vita di tutti i giorni? L’obiettivo è quello: far passare al pubblico due ore divertendosi, emozionandosi, ma riflettendo sul nostro quotidiano. Mi piacerebbe che il musical suscitasse un monito: attenzione, ci sono valori talmente importanti che dobbiamo tenerli presenti in ogni momento della vita, anche perché – intendiamoci – si sta meglio. Uno show non ti fa certo cambiare, però può fornire spunti. Guardando la storia di un ragazzino di un villaggio della Polonia diventare un punto di riferimento per il mondo, ci si può almeno chiedere se è possibile per chiunque impegnarsi a fare qualcosa. INFO E DATE www.karolwojtylaoperamusical.it


caleidoscopio Le sue immagini sono uno spaccato della vita politica, sociale, economica e culturale dell’Italia dagli anni del boom a oggi, nei suoi risvolti felici e nelle sue pieghe drammatiche, a volte tragiche. La mostra approda a Palazzo Ducale in versione completamente rinnovata rispetto a quella di Milano, con un intero capitolo dedicato a Genova, la città natale di Berengo Gardin. INFO www.palazzoducale.genova.it

Ricette d’Alex

Filetti di sgombro con patate

Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti dopo aver appreso l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp. Piatto per quattro porzioni. Fate sfilettare dal vostro fornitore quattro sgombri per porzione. Sbucciate quattro grosse patate e tagliatele con la mandolina. In una padella con un po’ di olio e sale cuocete le patate. A metà cottura unite i filetti di sgombro, olive nere snocciolate, alcuni capperi ben lavati dal sale, qualche foglia di basilico fresco e il succo di un limone. A cottura terminata irrorare con un filo di olio d’oliva.

Vicenza

Filmambiente, il cinema aiuta a riflettere su consumo di suolo e ogm “Filmambiente” è la rassegna itinerante di cinema ambientale, proposta dal circolo di Legambiente Parco Retrone di Vicenza per sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche ambientali, in particolar modo sul consumo di suolo e sugli ogm. Senza dimenticare le questioni legate ad alimentazione, energia e rifiuti. La rassegna si sviluppa in un vasto arco temporale: iniziata a marzo, si conclude infatti a settembre e tocca una quindicina di centri della provincia di Vicenza. Tra l’altro quest’anno per la prima volta assume un carattere regionale, perché i film saranno proiettati anche in tutti i capoluoghi del Veneto. Sono oltre 50 le proiezioni di film e documentari in cartellone, a cui faranno seguito momenti di condivisione con gli autori o i protagonisti del film, o con esperti. “Filmambiente” fa da prologo a “Festambiente”, manifestazione di Legambiente Vicenza, una tra le

maggiori d’Italia per afflusso di pubblico e partecipazione di associazioni; quest’anno in programma dal 24 al 29 giugno. INFO www.filmambiente.it

Street art

Doel (Belgio) salvata dall’arte di strada: galleria a cielo aperto Nasce in Belgio la prima città abitata solo da artisti di strada. È una piccola cittadina chiamata Doel, che è stata totalmente abbandonata dai suoi abitanti: l’esodo è iniziato 15 anni fa a causa di un piano di allontanamento varato dal governo belga, che voleva ingrandire il porto di Anversa che si trova vicino a Doel. Dal 2006 molte case abbandonate sono state però occupate e sulle mura sono cominciati a sorgere disegni e opere d’arte. Oggi Doel è visitata da moltissimi turisti, perché la creatività dei writer ha potuto espandersi senza limiti e non c’è casa o

portone che non siano colorati e ricreati con la fantasia degli artisti di strada. Da città fantasma, Doel – che si trova nella provincia belga delle Fiandre orientali, all’estremo nord del paese – si è trasformata in pochi anni in una mostra a cielo aperto. La “street art”, insomma, non è più prerogativa soltanto delle grandi metropoli. E anzi può aiutare piccoli centri a rivivere, e magari a diventare famosi ben oltre i propri confini.

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

aprile 2014 scarp de’ tenis

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street of america Una sera del 1992 riempì una borsa di medicinali. Non ha più smesso

Jim, il medico di strada ha curato diecimila homeless di Damiano Beltrami da New York

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Con i colleghi volontari Il dottor Jim Withers di notte lungo le strade di Pittsburgh (Pennsylvania) effettua visite a domicilio anche a chi il domicilio non ce l’ha più. Grazie alla sua costanza è nata un’associazione, che si è presa cura di oltre 10 mila persone e ha fornito un alloggio a 900 senza tetto

L DOTTOR JIM WITHERS FA VISITE A DOMICILIO A GENTE CHE UN DOMICILIO NON CE L’HA. Ha cominciato una sera di primavera del 1992. Quella notte, mentre camminava per le strade di (Pennsylvania), non aveva idea di come sarebbe andata: «Riempii una borsa di medicinali, mi camuffai da senza dimora per creare empatia con i possibili pazienti, e seguii i consigli di Mike Sallows, un amico che qualche anno prima era stato homeless per alcuni mesi. Mike mi disse: “Cerca di non sembrare un dottore e non dire cretinate”. Sorprendentemente l’esperienza fu molto positiva». La prima cosa che colpì il giovane dottor Withers fu il numero spaventoso di persone che vide sotto i cavalcavia e negli anfratti di edifici in costruzione. E poi rimase esterrefatto dai loro disastrosi quadri clinici. «C’era gente con ulcere non curate da anni – racconta –, infezioni, bronchiti croniche, tumori, artrosi e malattie di ogni tipo, tutte trascurate». Da quella sera il dottor Withers non ha mai smesso di prendersi cura degli homeless di Pittsburgh. Quattro notti alla settimana questo medico di strada, che ha raccolto attorno a sé un team di colleghi volontari, esce con uno zaino pieno di antibiotici, sciroppi, antinfiammatori, vitamine, cerotti, garze e tutto l’occorrente per il primo soccorso. Vuole aiutare quanti più clochard possibile, e accrescere la consapevolezza della necessità di cure gratuite per chi non ha nulla. Negli anni questa crociata ostinata, e per buona parte solitaria, ha causato a Withers non poche grane. In un primo tempo i colleghi medici temevano che cure mediche gratuite a individui non assicurati fossero illegali. Oggi, invece, quegli stessi colleghi telefonano a Withers per chiedere se i figli possono passare qualche tempo nella sua équipe medica di strada per farsi le ossa. «Da giovane medico cercavo disperatamente un corso universitario pratico che mi mettesse di fronte alla realtà della strada – dice Withers –. Oggi quel corso esiste, e credo che imparare a rapportarci a questi pazienti ci renda medici migliori». Dalla prima spedizione notturna a oggi, Withers ha fondato una associazione senza scopo di lucro dedicata alla cura degli homeless. Negli anni il team ha aiutato più di 10 mila senza dimora, e ha fornito un alloggio a 900 persone. A sentire lo street doctor, come è stato soprannominato dai senzatetto, far funzionare questo servizio è una continua avventura. Il fragile sistema che ha messo in piedi si regge su donazioni di filantropi, ma a fronte dell’intensa domanda i fondi non bastano mai. Eppure, per il dottore della strada si tratta di un obiettivo per il quale vale la pena spendersi. «Il potenziale della medicina va ben oltre il trovare la cura per il singolo paziente – dice –. Crea un miglioramento in tutte le persone coinvolte nell’equazione: nel nostro caso gli homeless tornano in salute e qualche volta trovano la forza di abbandonare la strada, i dottori diventano professionisti più capaci e la comunità nel suo insieme aumenta di valore».

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74. scarp de’ tenis aprile 2014




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