Sdt 181

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numero 181 anno 19 maggio 2014

300€

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il mensile della strada

de’tenis www.scarpdetenis.it

ventuno Brasile, contraddizioni Mondiali

Pioniere al contrario Ardjan è stato uno dei primi a tornare in Albania: ha aperto una bella pasticceria a Scutari

Chi torna non è mica un perdente Rimpatri volontari assistiti dall’Italia: pochi, con criteri discutibili. Non possono rappresentare lo strumento per gestire i flussi migratori. Ma, in contesti adatti, innescano storie di successo Milano Rilevato abbandonato Como Scuole Donacibo Torino Pranzi e socialità Genova Una porta, una svolta Verona Sapore di fiducia Vicenza La strada si fa voce Rimini Famiglie in apnea Firenze E la residenza? Napoli Teatro dormitorio Salerno Metro al capolinea Catania Chi si cura di Kamil?



editoriali

Buste e ordinanze, e il silenzio della politica Paolo Brivio

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ue notizie, attorno a Pasqua. Fatte apposta per scatenare avverse tifoserie. Se esistesse – per fortuna no – un campionato in materia. La prima notizia scivola discreta e notturna fuori dai portoni della Città del Vaticano, al passo di monsignor Konrad (ci e vi risparmiamo l’impronunciabile cognome polacco): al suo elemosiniere papa Francesco ha consegnato alcune buste, da recapitare alle persone senza dimora che dormono attorno alle mura Leonine e in altri punti di Roma. In ciascuna busta, gli auguri firmati dal pontefice argentino e una banconota da 50 euro. Monsignor Konrad riferirà che alcuni destinatari delle missive, ricevuto l’inaspettato plico, si sono messi a ballare. La seconda notizia promana stentorea dagli uffici del sindaco di VeRoberto Davanzo rona. Che ordina ai vigili, per mettere fine all’incivile pernottare di alcuni direttore Caritas Ambrosiana homeless nel cuore storico della città, di scacciare i bivaccanti per l’ennesima volta, e in più di multare chi porta loro da mangiare, la sera. Perché sfamarli incoraggia di fatto – argomenta il provvedimento del pril ministro degli interni ha messo in guarmo cittadino scaligero, Flavio Tosi – il loro sconveniente accamparsi. dia: si stima che sulle coste del nord Africa Ora, non è il caso di lasciarsi andare a commenti entusiasti o inci sarebbero dalle 300 alle 600 mila persone dignati, comunque scontati. Perché si potrebbe con ragione sostepronte ad attraversare il mar Mediterraneo per nere che non sempre una banconota nelle mani di una persona approdare sulle coste meridionali d’Europa. A senza dimora si tramuta nel più indispensabile e salutare degli conferma che non si tratta di numeri a caso, c’è il acquisti. E si deve per converso ammettere che decoro urbano e dato inquietante del numero di sbarchi, in questi regole di civile convivenza non sono valori meno nobili della liprimi mesi del 2014, sulle coste italiane: esponenbertà di dormire in un’aiuola o di ubriacarsi su un marciapiede. zialmente superiore allo stesso periodo del 2013. Però non si può non rimanere colpiti dall’abisso tra i due La questione è estremamente seria, sia per l’entità gesti. Agli abusivi delle notti di città, si possono fare gli augudel fenomeno, sia per la debolezza della normativa itari o si può togliere la cena. Dipende – in ultima analisi – dalliana rispetto al tema dei richiedenti asilo, sia per le amla concezione che si ha della loro umanità. Dipende se li si biguità e le lentezze dell’Europa nell’affrontare il probleritiene fratelli, per quanto laceri e magari importuni. O se ma. La buona notizia è che almeno negli ultimi mesi si è li si considera uno scarto sociale, ricoverabili in dormitosuperato l’approccio che ci aveva fatto assistere a respingirio se possibile, altrimenti da rimuovere con ogni mezzo. menti forzati da parte delle nostre forze dell’ordine e che la Dunque la differenza – nel determinare le scelte – la marina militare, la guardia di finanza e le capitanerie di porfa sempre la coscienza, insieme al ruolo pubblico (il Pato nella loro azione di pattugliamento hanno scongiurato e pa non ha gli stessi compiti di un sindaco, è evidente). Ma continuano a scongiurare il rischio di sciagure come quella accaduta a largo di Lampedusa lo scorso ottobre. Le catin mezzo ci dovrebbe stare la politica. Se sapesse darsi tive notizie vengono invece dal tentativo reiterato di usacome obiettivo quello di lottare seriamente contro la pore il fenomeno migratorio per racimolare voti in vista delvertà estrema e la grave esclusione sociale. In Italia da setle elezioni europee, facendo leva sulle giuste preoccutimane discutiamo di alcune decine di euro in busta paga pazioni dei cittadini, accompagnandole con slogan che ai redditi medio-bassi: e va persino bene, se lo scopo è far chiedono al governo centrale di non mandarcene più, respirare tanti che rischiano di cadere in povertà. Ma restiaperchè abbiamo già abbastanza problemi ... mo lontanissimi – Scarp l’ha scritto cento volte, forse centoIntendiamoci: nessuno ha la soluzione in tasca, mila – dall’avere disponibili leggi, finanziamenti e progetti davanche perchè dietro a questi flussi ci stanno conflitti e vero incisivi per reinserire chi in povertà giace da tempo. situazioni persecutorie su cui nessun paese da solo poC’era una volta, impostata dal precedente governo, la ditrebbe immaginare di intervenire. Ma proprio per quescussione su un reddito di inclusione sociale (o sussidio di insto diventa sempre più urgente abbandonare ogni declusione attiva) che ci allinei ai paesi civili. Con il nuovo eseriva ideologica e auspicare una “santa alleanza” tra tutcutivo, tutto è tornato a tacere. Auguriamoci che nell’agente le forze politiche e sociali per fronteggiare una dramda nazionale entrino sul serio, nel prossimo futuro, anche i matica situazione umanitaria. Solo in questo modo forse poveri estremi. Perché la Pasqua sarà davvero buona, riusciremo a discernere tra vittime e schiavisti, tra dispequando la banconota di Francesco e l’ordinanza di Flarati da difendere e approfittatori da isolare e punire. vio resteranno senza destinatari.

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sommario 71

Scarp Italia L’inchiesta Rimpatri, intraprendenti di ritorno p.8

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

Come leggerci Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

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L’approfondimento Nuovi sbarchi: impreparati al prevedibile p.16

L’inchiesta Il pallone da (ri)educare p.20

Testimoni Zita Dazzi: «Certi incontri ti fanno crescere» p.24

Scarp città Milano Rilevato, tesoro abbandonato p.26 Artisti di strada: regole ok. Anche se... p.30

Torino Al circolo Passoni pranzando socializzo p.40

Genova Il punto di svolta è stata una porta p.42

Verona “Gusto solidale”: il sapore della fiducia p.44

Vicenza Scarp al Festival Biblico: la strada si fa voce p.46

Rimini Povertà senza tregua, famiglie in apnea p.48

Firenze Si dà accoglienza, ma la residenza? p.50

Napoli Vestire gli ignudi, recitare al dormitorio p.52

Salerno Metro al palo, dopo soli cinque mesi p.54

Catania Ucciso Waldemar, chi si cura di Kamil? p.56

Scarp ventuno Dossier Brasile: mondiale verde? Delle contraddizioni p.60

Economia Buon compleanno, Banca Etica p.64

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 19 n. 181 maggio 2014 costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale ABBonAmento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Foto di copertina Ennio Brilli Foto Archivio Scarp, Stefano Merlini, Disegni Luigi Zetti, Elio, Silva Nesi Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Soc. Coop., via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dall’11 maggio al 14 giugno 2014


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anticamera Aforismi di Merafina PERFEZIONE Nei difetti c’è la mia perfezione L’INCANTESIMO Mano nella mano l’incantesimo si è spezzato OGNI GIORNO Ogni giorno tante storie e un nuovo gioco

Ciò che cerco Questa volta ho paura, mi sento insicura sul da farsi, sapessi limitarmi, sapessi smettere sicuramente mi sentirei meglio. Desidero moltissimo che tutto vada per il verso giusto. Giocheremmo tutti insieme, come mi piacerebbe smettere di preoccuparmi. Meno palpitazioni, ridurre lo stress, almeno provarci. Far uscire il meglio di me, solo con un’emozione, una sola, una sola volta, saremmo felici, saremmo insieme. E’ questo che cerco? E’ questo che voglio? Essere tutt’uno con te, una sola persona una sola anima un sol cuore per sempre.

Prendi tempo Il tempo di ascoltare e di imparare, il tempo di vedere la bellezza, il miracolo e il colore di chi ami. Prenditi il tempo di mostrare che te ne occupi, che crei memorie e apprezzi i momenti speciali. Il tempo è prezioso: usalo bene. Prenditi il tempo per curare vecchie ferite, tempo per permetterti di crescere e soprattutto prenditi il tempo di essere te stesso e di credere in te. La farfalla non ha mesi, solo momenti, ma vola intorno ai fiori e si prende il suo tempo. Silvia Giavarotti

Che voglio io? Mi avvicino a quelli che mi pescano mi allontano da quelli che mi cercano evito quelli che mi preferiscono amo quelli che mi esecrano. Desidero l’amore su uno strato funebre cerco la speranza nelle larghe tenebre le mie dita sono più numerose dei miei amici il mio corpo è gracile come una mummia. Esco solo di notte come un gufo, d’altronde non amo il rumore cresco nella vita lentamente e raramente le mie perdite si seguono chiaramente e agevolmente. Restare in vita è penoso lasciare la vita è orribile non so che scegliere tra i due. Esito, ma spero di continuare al meglio Samih el Mansouri

Cinzia Rasi maggio 2014 scarp de’ tenis

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RIMPATRI Intraprendenti di ritorno di Ettore Sutti e Paolo Riva foto di Ennio Brilli

Tornare. Per ricominciare. Non da sconfitti, nemmeno da perdenti. Ma con la voglia e la forza di fare impresa e creare ricchezza, per sé, la propria famiglia, il proprio territorio, mettendo mettendo a frutto le competenze e il capitale accumulati nel periodo passato lontano da casa. Sono sempre di più gli stranieri che, dopo anni in Italia, decidono di tornare nel paese d’origine per cercare di rifarsi una vita. E tantissimi ce la fanno, soprattutto quelli che provengono da zone in cui esiste un contesto economico favorevole. Tante le storie di “successo” tra i emigranti di ritorno, propellenti di sviluppo per le economie locali. Sempre di più, tra l’altro, sono coloro che decidono di fare da sé, tornando in modo autonomo, senza ricorrere alla misura ufficiale, codificata dall’Europa e gestita dai governi nazionali: il “Ritorno volontario assistito” (Rva). Il Rva prevede, sulla carta, una lunga filiera burocratica e progettuale e un’ampia rete sociale in grado di sostenere il migrante dalla partenza fino al reinserimento nella società d’origine. «La rete Rirva (Rete italiana per il ritorno volontario, che raccoglie decine di associazioni) – spiega Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana – supporta i migranti irregolari o vulnerabili. A loro, spesso, vengono offerti il costo del viaggio e un pocket money, non molto altro. Si tratta di un’opportunità reale, questo nessuno lo nega, ma c’è anche tanta fanfara

8. scarp de’ tenis maggio 2014


l’inchiesta

Viaggio in Albania, sulle tracce dei rimpatriati di successo. Ma l’Italia applica male lo strumento dei ritorni assistiti verso i paesi d’origine. Manca, in realtà, una gestione di sistema dei flussi migratori

Crema, pistacchio e film Luljeta Arra è la titolare della gelateria “Angelo”, presso il cinema Millenium di Scutari

maggio 2014 scarp de’ tenis

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Intraprendenti di ritorno

Lo strumento

Fondi Ue, gestione italiana: la rete Rirva orchestra rimpatri Il Ritorno volontario assistito è un programma che permette di ritornare in modo volontario nel paese di origine, in condizioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata. Prevede l’assistenza per l’organizzazione e il pagamento del viaggio e il supporto alla reintegrazione sociale e lavorativa nel paese d’origine, con l’erogazione di beni e servizi. I Rva si realizzano con il co-finanziamento del Fondo europeo rimpatri (Fr) e degli stati membri dell’Unione europea; in Italia se ne occupa il ministero dell’interno. Il Fondo europeo rimpatri co-finanzia sia le azioni di rimpatrio forzato sia i Rimpatri volontari assistiti. Sulla base di programmi annuali concordati dal governo con la Ue, ogni anno vengono selezionati progetti che attuano la misura, gestendo direttamente i percorsi di ritorno dei migranti e azioni di sistema tra cui, dal 2009, un intervento che ha consolidato una Rete di riferimento nazionale, la rete Nirva, ora diventata Rirva. Possono utilizzare il Rva tutti i cittadini dei paesi terzi extracomunitari in situazione di vulnerabilità o irregolari o a rischio di irregolarità:  soggetti vulnerabili (disabili, donne sole con bambini, anziani, persone con gravi problemi di salute fisica o mentale, senza dimora;  vittime di tratta, soggetti affetti da gravi patologie, richiedenti la protezione internazionale e titolari di protezione internazionale o umanitaria;  cittadini stranieri che non soddisfano più le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno;  cittadini stranieri, già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione;  cittadini stranieri, già destinatari di un provvedimento di espulsione, a cui sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria. Dal programma sono esclusi:  cittadini comunitari o con doppia cittadinanza;  titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo (carta di soggiorno).

intorno allo strumento, perché, alla fine, per chi torna le possibilità sono poche. E i numeri complessivi sono esigui». Numeri esigui? Lo confermano i dati. Nel quinquennio 2008-2013 i progetti di Ritorno volontario assistito dall’Italia, finanziati dal Fondo europeo rimpatri, hanno coinvolto 2.204 persone. I primi dieci paesi destinatari dei ritorni sono,

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nell’ordine, Ecuador, Tunisia, Marocco, Perù, Brasile, Nigeria, Bangladesh, Ghana, Iraq e Bolivia. Quasi mille migranti hanno lasciato Lazio (primo) e Lombardia, poi Emilia, Piemonte e Veneto. Oggi il ritorno volontario è un’opzione di cui può avvalersi solo il migrante in condizione irregolare o di particolare vulnerabilità. La stessa opportunità non viene invece riconosciuta a coloro che, risiedendo regolarmente, decidono di rientrare nel paese di origine. In questo modo si svilisce il potenziale che la misura dimostra di avere nei processi di sviluppo e internazionalizzazione economica con i paesi terzi. «Il rischio è registrare un’altra occasione persa – continua Forti – , anche a causa di una politica nazionale

che in questi anni ha dimostrato molta confusione sul tema. Basti pensare al fatto che solo un quattro anni fa i programmi di ritorno volontario non potevano essere impiegati per cittadini stranieri in posizione irregolare, ovvero gli stessi che oggi rappresentano gli unici beneficiari. E ciò avveniva in evidente contrasto con quanto indicato dalle direttive comunitarie. Questo orientamento era stato il motivo per cui alcune organizzazioni (Caritas in testa) uscirono dal precedente progetto Nirva». In questi anni si è assistito a un utilizzo del Rva a tratti fantasioso, come quando si è creduto di gestire l’eccezionale afflusso di profughi provenienti dal Nord Africa, nel corso del 2011, anche attraverso un incentivo economico di 200 euro per il rientro volontario nei paesi di origine. Insomma, si è utilizzato il Rva non solo in maniera non adeguata, ma spesso anche errata. E ciò è accaduto nonostante il lavoro di molte organizzazioni che sul tema hanno operato con continuità e competenza. «L’orientamento dei governi sul tema – conferma Forti – è stato ondivago, molto legato agli umori politici dei ministri in carica. Sicuramente la situazione attuale è un passo avanti rispetto al passato, ma si potrebbe fare di più, magari facendo diventare il rimpatrio volontario uno strumento per evitare che alcuni migranti cadano in una situazione di irregolarità». In ogni caso non è attraverso uno strumento come questo che si può gestire il fenomeno migratorio. Anche perchè va declinato in contesti assai diversi. Un conto è tornare in America Latina, un altro nell’Africa subsahariana. Nel primo caso, il contesto è credibile; nel secondo, troppe volte no.

I sudamericani tornano di più Chi ha usufruito maggiormente dei rimpatri assistiti, finora, sono dunque i paesi sudamericani e altri che sono fonte d’emigrazione storica verso l’Italia, come Marocco e Tunisia. Molto più difficili gli interventi verso l’Africa subsahariana o il Corno d’Africa. Gli esempi non mancano anche in questo caso, ma non si tratta solo di pagare il biglietto aereo. «Verso la Nigeria, Caritas Italiana ha attivato il progetto Slave no more: l’intervento ha costi relativamente alti, ma ottiene risultati. Riguarda don-


Virgulti e tavole Nimet Jahia cura le sue serre di verdura a Barbullush (Scutari, Albania). Sotto a sinistra, Ergys Hila nella falegnameria “Erma”, nel centro di Lezha

Progetto “Albamar”

Lasciato il carcere c’è la fabbrica di jeans Trasformare un fallimento in un nuovo inizio. Questo, in sintesi, è l’obiettivo che si prefiggeva il progetto Albamar, che ha sviluppato la sua attività in Lombardia e Piemonte e nelle regioni di origine delle comunità marocchine e albanesi presenti in Italia. «Il progetto, ormai concluso – spiega Ottavio Moffa della comunità il Giambellino, una delle realtà impegnate, insieme a Gruppo Abele (Torino), Srf – Società ricerca e partecipazione, Afvic – Associazione amici e vittime dell’immigrazione clandestina (Marocco), Hope for the Future (Albania) –, si rivolgeva a migranti albanesi e marocchini contattati nelle prigioni di Milano e Torino. Tutto nasce dal fatto che chi ha commesso reati ostativi può commutare un terzo della pena con l’espulsione: da qui siamo partiti per individuare le persone interessate a riprogettare il futuro in patria». Una lavoro lungo e delicato... La mole di lavoro – conferma Moffa – è stata impressionante, anche perché a fronte di una decina di casi andati a buon fine abbiamo dovuto realizzare oltre 100 colloqui, per individuare le persone giuste. Si è trattato di un accompagnamento psico-sociale abbastanza impegnativo, iniziato in carcere, dove abbiamo lavorato sull’accettazione del fallimento migratorio e sull’accettazione del ritorno non come sconfitta,

l’inchiesta

ma come nuova opportunità. La seconda fase è avvenuta nei paesi d’origine, anche tramite l’apertura di crediti con banche e istituzioni locali. Insomma, è stato un lavoro estremamente faticoso. I frutti quali sono stati? Abbiamo avuti diversi successi. Tra tutti mi piace ricordare un sarto marocchino che ha aperto una fabbrica di jeans nel paese d’origine, e un piccolo imprenditore albanese, che è riuscito a portare in patria la professionalità acquisita in Italia. I numeri, proprio per la complessità delle situazioni, non sono stati altissimi. Diversi i casi che, dopo un buon inizio, si sono persi per strada. Quali sono state le difficoltà maggiori? Da qui sembra facile dire: “Torna al tuo paese”. In verità le difficoltà sono molte. In un villaggio ai margini del deserto del Sahara non è facile aprire una qualsiasi attività. Così molti puntano a insediarsi nella capitale o in grandi città, magari distanti centinaia di chilometri dal luogo d’origine. Questo significa non poter contare su una rete parentale o amicale... Insomma, le difficoltà non mancano. Il rimpatrio assistito può essere una soluzione? Noi lavoravamo con persone detenute, quindi in una situazione oggettivamente faticosa, e diversi risultati li abbiamo ottenuti. Oggi, dato il perdurare della crisi economica, molti immigrati. soprattutto gli over 50, che hanno possibilità quasi nulle di reingresso, in Italia, in un percorso lavorativo, ci stanno pensando seriamente, a un ritorno. Il lavoro grosso da fare è sull’accettazione del fallimento migratorio. In molti, troppi, vedono ancora il ritorno come sconfitta. maggio 2014 scarp de’ tenis

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Intraprendenti di ritorno ne che sono state oggetto di tratta a scopi sessuali, spesso molto vulnerabili. Certo, per numeri più ampi, bisognerebbe chiedersi se non vale la pena investire le stesse risorse in seri progetti di inclusione in Italia. In realtà, sarebbe un ragionamento di sistema sulla gestione dell’immigrazione quello che andrebbe fatto; all’interno di questa cornice, bisognerebbe inserire anche il dettaglio dei rimpatri assistiti». In effetti i rimpatri aumentano, ma non in maniera così significativa come la crisi economica potrebbe far credere. Il rapporto di Caritas Italiana Tra crisi e diritti umani dimostra in effetti che gli immigrati sono “resilienti” e si adattano al mutare dei contesti economici e sociali, anche sotto la pressione della crisi. «Però il tema dei rientri rimane politicamente allettante. Anche a livello comunitario – prosegue Forti –. Viene visto come soluzione di molti problemi, come un passo nella direzione di quell’immigrazione circolare che dovrebbe vedere nell’Europa un punto di passaggio periodico, e non definitivo, di molti extracomunitari. Si tratta, però, di un obiettivo non raggiungibile in tempi brevi». Insomma, bisogna distinguere. LL’Albania, per esempio, è un paese

adatto per i ritorni: «Ci sono stati investimenti – osserva Forti –, la distanza è limitata e l’idea del contro-ritorno è quasi sempre presente tra chi arriva. In questo caso è corretto parlare di “immigrazione circolare”, anche perché recentemente il regime dei visti è stato modificato (i visti brevi di tre mesi non sono più necessari per entrare nella Ue). Dunque in questo caso lo strumento dei rimpatri può essere efficace. Ma per paesi più lontani, da cui arriva nel nostro paese una forte immigrazione, il rimpatrio volontario viene utilizzato quando la condizione esistenziale di alcune persone non ha prospettive. Lo scenario si fa più complesso. Anche quanto agli esiti. Ai dati della rete Rirva andrebbero aggiunti altri elementi di conoscenza, difficili da acquisire. Anche perché non esiste l’obbligo di cancellazione dalle anagrafi...». In conclusione, il rimpatrio volontario spesso diviene non altro che una via di fuga da situazioni disperate, quando l’Italia non ha più nulla da offrire. E al cospetto di questi casi, il numero di coloro che rientrano avendo maturato un progetto nel paese d’origine è limitato. Il rimpatrio volontario assistito ha sicure potenzialità: ma resta uno strumento debole per gestione i flussi migratori.

Colori e sapori Il colorificio di Elton Sopi, all’incrocio Ex Dega di Scutari. Sotto, il fast food “Pizzitalia” di Arben Toma alla Rotonda di Lezha.

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Le torte di Ardjan, pioniere Rimpatriati (di successo) in Albania. «Se ci si mette correttezza, qui il lavoro c’è» «Prima di partire non pensavo assolutamente a un lavoro in proprio», confessa Ardjan, mentre la radio del suo negozio, nel centro di Scutari, trasmette le note del Ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano. Parla ancora un buon italiano, ogni tanto non si ricorda qualche parola, ma lo tradiscono l’accento fiorentino e le imprecazioni toscane. «Dei miei tredici anni in Italia – spiega – undici li ho passati a Firenze. Ho lasciato l’Albania nel 1991, sono stato uno dei primi a partire. E anche uno dei primi a far ritorno a casa. Il 20 ottobre 2004, per la precisio-

12. scarp de’ tenis maggio 2014

ne». Dieci anni fa, non erano in molti a compiere quella scelta: «I miei compaesani che mi hanno visto tornare a Scutari mi dicevano: “Sei una testa di cavolo”. Non capivano». Ardjan, o Adriano, come gli piace farsi chiamare forse in ricordo dell’Italia o forse in onore di Celentano, è stato a suo modo un pioniere. Ha anticipato i tempi di un movimento che, con il passare degli anni, è cresciuto e che, complice la crisi, continua ancora oggi tra le due sponde dell’Adriatico. É quello degli albanesi che, dopo aver visto nell’Italia un’agognata meta, averla raggiunta e averci vissuto, magari per anni e con la famiglia, decidono di lasciarla. Nei numeri, ma anche nel clamore mediatico, questo flusso non ha niente a che vedere con gli esodi di inizio anni


l’inchiesta

all’incontrario Novanta, quando i migranti arrivarono a migliaia sulle nostre coste dal paese delle Aquile, dopo la caduta del regime comunista di Enver Hoxha. Non ci sono più le grandi navi, né i gommoni a solcare le poche decine di chilometri che separano Valona da Otranto e Durazzo da Brindisi, ma non per questo le persone hanno smesso di viaggiare. A essere cambiate sono le modalità, le direzioni e le mete, in un andirivieni più fluido e variegato rispetto al passato, dettato da motivazioni politiche ed economiche, sociali e personali che coinvolgono quella che rimane una delle più grandi – e stabili – comunità di immigrati nel nostro paese. Per la precisione, dopo quelle romena e marocchina, si tratta della terza più numerosa, con oltre 497 mila persone (dati Istat, 2013), il 66%

Dall’Italia verso il punto di partenza 2.204 gli stranieri che nel quinquennio 2008-2013 hanno utilizzato i progetti di Ritorno volontario assistito

1.120 gli stranieri che hanno utilizzato il rimpatrio perchè impossibilitati a rinnovare il permesso di lavoro

295 gli stranieri assistiti al 30 giugno 2013 rientrati in Ecuador (267 quelli rientrati in Tunisia, 204 in Marocco, 183 in Perù, 114 in Brasile).

500 gli stranieri rientrati in cinque anni dal Lazio (487 dalla Lombardia, 230 dall’Emilia Romagna, 187 dal Piemonte e 162 dal Veneto)

delle quali ha un permesso di lungo soggiorno, la cosiddetta carta di soggiorno, che non ha scadenza e viene concessa solo dopo cinque anni di permanenza regolare e continuativa. Anche Ardjan l’aveva ottenuta. «Ho tentato il rientro – ammette – sapendo che, se fosse andato male, avrei avuto la possibilità di ricominciare di nuovo in Italia, proprio grazie alla carta di soggiorno. Da un lato c’era questa garanzia, dall’altro la speranza di trovare maggiori possibilità nel mio paese che, nel frattempo, aveva iniziato un certo sviluppo. Ho sempre lavorato come cuoco e contavo sull’esperienza acquisita. Mi dicevo: “Ma se l’hanno fatto i miei capi, perché non posso farlo anche io?”. Era come se l’Italia mi avesse iniettato in vena l'idea di lavorare per conto mio». Una terapia che ha funzionato. Dopo nemmeno sei mesi dal ritorno a Scutari, Ardjan ha infatti comprato casa con i risparmi messi da parte in Italia, ha ottenuto un mutuo e ha aperto maggio 2014 scarp de’ tenis

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Intraprendenti di ritorno una pasticceria in pieno centro. «A Firenze, dove facevo due lavori, guadagnavo più di adesso, ma ora sono a casa mia, con i miei genitori, i parenti e gli amici. E poi mi sono accorto di non essere stato il solo a tornare: sono parecchie le persone cui ho visto fare il mio stesso percorso. Molte soprattutto negli ultimi due anni, a causa della crisi, ma anche tante che hanno investito come me. Lo hanno fatto nell’edilizia, nell’agricoltura e nel turismo. E alcune ora vanno alla grande».

Formaggi d’oltremare Artur Dudi, titolare del caseificio “Dudi”, a Lezha, insieme a due dipendenti

Tirana, città attraente Mauro Platè, dal 2009, si occupa in Albania del progetto di cooperazione “Risorse migranti” per l’ong italiana AcliIpsia. «Da quando abbiamo cominciato, fino a un paio di anni fa, chi tornava lo faceva per amore del paese, per dare un contributo alla sua crescita, per gli affetti, magari per stare vicino ai genitori anziani, o anche perché in alcuni casi aveva sopravvalutato le risorse rimastegli in patria. Nella maggior parte dei casi, però si trattava di gente che aveva riflettuto sul rientro e che lo aveva preparato, scegliendo le città, Tirana in particolare, come nuova casa. Dal 2012, invece, complice la crisi, sono aumentati i ritorni, con un rischio di insuccesso maggiore. A tornare sono persone che hanno deciso con scarsa preparazione, perché non hanno raggiunto gli obiettivi che si erano prefissati alla e, per questo, sono spesso frustrate e con aspettative ben diverse da chi li ha preceduti negli anni addietro. Due questioni, però, credo rimangano centrali e valide per chiunque. Anzitutto la migrazione è un’esperienza dolorosa, sempre. E poi non bisogna pensare che la migrazione di ritorno significhi automaticamente sviluppo. Non sempre è così e, di più, lo sviluppo creato non sempre è armonico».

Servono accordi bilaterali Antonio Ricci, del centro studi e ricerche Idos, concorda: «Per facilitare certi percorsi servirebbero anche accordi bilaterali per la sicurezza sociale, per i contributi e le pensioni. Invece i provvedimenti necessari non sono stati ancora ratificati. Se le istituzioni non accompagnano questi processi, le persone rischiano di ritrovarsi abbandonate». Serve un sostegno e Risorse Migranti –

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che è finanziato dalla cooperazione italiana – lo ha fornito in circa quattro anni a 30 attività imprenditoriali e a oltre 300 lavoratori, seguiti in un percorso di riqualificazione professionale. «Ho visto tanti immigrati fare ritorno dopo aver imparato un lavoro e aver messo via alcune risorse economiche, ma molto spesso si trovavano persi – spiega Platè –. Non avevano idea del paese in cui tornavano a vivere, dei cambiamenti intercorsi e della velocità con cui le trasformazioni stanno tutt’ora avvenendo. Senza contare che spesso non avevano più una rete sociale su cui appoggiarsi, dopo tanti anni all’estero, e non avevano le necessarie capacità imprenditoriali per mettere in atto i loro progetti». Platè per esempio ha conosciuto operai che hanno aperto dei bar per poi farli fallire oppure, nel caso più estremo, ipotetici self made man che hanno tentato di aprire in patria un negozio di detersivi biologici per i quali il mercato, in

Albania, è inesistente: «Il negozio ha chiuso, ovviamente, facendo perdere al proprietario soldi, tempo ed entusiasmo». In altri casi, invece, le cose vanno per il verso giusto. E così a Scutari e nei centri vicini sono nati e cresciuti colorifici e pizzerie, caseifici e serre, cantine e gelaterie, call center e aziende per i pannelli solari. E la pasticceria di Ardjan.

Quando il rimpatrio funziona «Il progetto – racconta il titolare – mi ha permesso di avere la somma giusta al momento giusto. Non mi ha cambiato la vita, ma il lavoro sì. Ad attività avviata, mi ha consentito di comprare alcune attrezzature, che hanno migliorato la qualità del lavoro e la quantità della produzione. Mi ha fatto molto comodo e, guardando l’investimento nel lungo periodo, mi ha sicuramente consentito di assumere i due ragazzi che oggi lavorano con me e mia moglie». «Lo strumento del rimpatrio assistito va declinato in contesti estremamen-


l’inchiesta te diversi tra loro e in Albania le condizioni per i rientri positivi sono favorevoli – spiega Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana –. La distanza è ridotta, ci sono stati investimenti da parte di istituzioni e terzo settore in materia e il regime dei visti, dal 2010, è stato liberalizzato. Inoltre, rimane presente in molti migranti l’idea del contro-ritorno, di una certa mobilità o addirittura di una migrazione circolare, fatta di partenze e ritorni alternati nel tempo».

Si respira aria d’Europa É un po’ quello che dalle vetrine del suo negozio vede Ardjan a Scutari. Connazionali che partono, che tornano, che vengono fermati alla frontiera o che restano in Italia solo qualche mese, prima che scada il visto. Lui, da buon pioniere, che il viaggio a ritroso l’ha intrapreso quando ancora era una pista molto poco battuta, qualche consiglio si permette di darlo. «Quando qualcuno mi dice che sta per andarsene in Italia la mia risposta è semplice: “Ho avuto difficoltà io nel 1991, figurati tu oggi”. Se hai voglia di lavorare, puoi lavorare anche qui perché, parliamoci chiaro, con un lavoro onesto in Italia puoi sopravvivere, ma non andare molto oltre». E allora, sopravvivere

per sopravvivere, tanto vale restare in Albania, forse. «Per contro, se uno mi confida di voler rientrare a casa, io gli dico chiaro e tondo di farlo. Se ci si mettono correttezza e onestà, come ho fatto io, il lavoro c’è. Pensa, se tutti gli albanesi in giro per il mondo tornassero, questo diventerebbe davvero un grande paese, così grande che forse un giorno sarebbero gli italiani a volerci venire», conclude divertito. L’ottimismo consapevole di Ardjan si scontra con le rigorose previsioni del ricercatore Antonio Ricci. «Sì, certo, potenzialmente il numero dei rientri potrebbe crescere, ma io credo che almeno per i prossimi anni i numeri si manterranno sostanzialmente stabili. Poi, tutto dipende da cosa deciderà di fare l’Europa». A giugno, infatti, l’Albania attende dall’Unione europea una risposta cruciale per il suo futuro: quella sulla richiesta di ingresso nell’Unione. Fra poche settimane, dopo diversi rinvii, si dovrebbe sapere se a Tirana verrà concesso lo status di paese candidato. Il premier socialista Edi Rama, in carica dalla scorsa estate, ci spera. E forse, anche ad Ardjan non dispiacerebbe tornare a respirare aria d’Europa. Probabilmente, farebbe bene anche ai dolci della sua pasticceria.

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Albania

Un’economia in crescita: molti pensano a tornare «Pur avendo volumi ancora molto bassi, quella di Tirana oggi è un’economia dinamica – spiega Leonard Berberi –. Considerati i cinquant'anni di dittatura il contesto di partenza fortemente degradato, è naturale che sia così e negli anni Duemila la crescita è stata sostenuta. Gli albanesi d’Italia oggi vedono più opportunità nella loro terra d’origine che nel paese che li ha accolti». Nato vicino a Durazzo, ma cresciuto con la famiglia a Milano, Berberi è un giornalista del Corriere della sera. Lui in Italia ci sta bene e non ha nessuna intenzione di lasciarla. Capisce però molti suoi connazionali. «Credo che il risollevarsi dell’Albania e la stanchezza dell’Italia vadano di pari passo. La conseguenza è che gli immigrati, vedendo che qui non riescono a scalare nessun gradino della scala sociale, si chiedono: “Ma chi me lo fa fare? Perché devo rimanere all’estero a sgobbare dalle 5 del mattino alle 7 di sera, quando posso fare lo stesso a casa mia, in un contesto più gradevole, vicino a parenti ed amici?”». A porsi questa domanda retorica e a rispondere scegliendo la via del rientro è una parte significativa, ma ancora minoritaria della comunità albanese. «A fronte di oltre

270 mila registrazioni, tra 2002 e 2011, dalle nostre anagrafi si sono cancellati spontaneamente o sono stati cancellati per irreperibilità circa 24 mila cittadini albanesi, persone che con ogni probabilità hanno deciso di tornare a casa», spiega Antonio Ricci, del Centro studi e ricerche Idos. Su un lasso di tempo così lungo però non è possibile valutare l’effetto della crisi, che da questa parte dell’Adriatico ha colpito duramente, soprattutto gli immigrati. Nel 2012, per esempio, le iscrizioni anagrafiche provenienti dal paese delle aquile sono diminuite di circa 2.500 unità, un calo del 15% rispetto all’anno precedente. Inoltre, sempre nello stesso anno, il tasso di disoccupazione degli albanesi, molto impiegati nell’edilizia, è arrivato a più del 18%, superando di quattro punti la media dei non comunitari. «Ai numeri citati prima – prosegue Ricci – vanno aggiunti tutti quei migranti che fanno ritorno in patria perché il loro percorso è fallito. Per fare un esempio, i muratori rimasti senza lavoro, che diventano irregolari perché non possono rinnovare il permesso e vengono quindi espulsi. E, dal 2008 al 2013, stiamo parlando di 15.500 persone».

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Il governo risponde alle nuove ondate di sbarchi di migranti. Ma non col sistema Sprar, ampliato ad hoc. Delega alle Prefetture: ed è emergenza

Impreparati al prevedibile di Francesco Chiavarini È di nuovo emergenza nel Mediterraneo. Dall’inizio dell’anno, le imbarcazioni di fortuna dei trafficanti di esseri umani hanno ripreso a salpare dai porti libici ed egiziani alle volte delle coste siciliane, scaricando migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da guerra e fame. Di fronte a questa nuova ondata di sbarchi – ampiamente prevista dagli appartati di intelligence e dagli analisti dei flussi migratori – il governo italiano ha risposto con il solito approccio emergenziale. Una politica contraddittoria, fatta di aperture e incomprensibili dietrofront, che sembra condannare il nostro paese a ripetere gli errori del passato. Negli ultimi quattro mesi sono sbarcati sulle coste meridionali d’Italia circa 25 mila migranti, un numero molte volte superiore a quello registrato nello stesso periodo l’anno scorso. L’incremento dei flussi migratori di questo inizio C’è poi la sempre più grave crisi si2014 – paragonabile ormai a quello che riana. Sul fronte sud-orientale, il consi verificò durante la primavera araba flitto tra il regime di Assad e i ribelli condel 2011 – è dovuto a diverse cause. tinua a spingere migliaia di profughi Innanzitutto l’inaffidabilità della verso l’Egitto, dove anche in questo canuova classe dirigente libica. Con la fiso un governo debole chiude tutti e due ne del regime di Gheddafi è venuto megli occhi e lascia che dai propri porti no quell’argine che, seppur con metodi prendano il mare indisturbate carrette deprecabili, il dittatore aveva costruito del mare cariche di disperati. contro la pressione migratoria dei paesi Divenute dunque più permeabili di subshariani. Il nuovo traballante goverquanto già non lo fossero le frontiere al no che si è insediato a Tripoli non riusce largo delle coste meridionali del Mediad assicurare agli stati europei quello terraneo, l’Italia, primo approdo eurostesso contenimento dei flussi migratopeo per le rotte provieniti da Africa e ri che, a prezzo dei diritti umani, il vecMedio Oriente, si è trovata esposta. chio rais esercitava. Rapporti di intelligence mostrano anzi collusioni tra il sistema tribale libico, risorto dalle ceneri “Invasione” prevedibile del vecchio potere, e i pezzi del nuovo Come la stessa attività di intelligence distato. Secondo i nostri apparati di sicumostra, il nostro governo era in grado di rezza, l’Aisi e l’Aise (i servizi interni ed prevedere quello che sarebbe accaduto. esteri) – che hanno di recente reso noto Ciononostante sembra essere stato preun’ampia analisi della situazione libica – so in contropiede. Il risultato è stata una i migranti provenienti da Corno d’Afripolitica ondivaga, che ha mostrato, da ca, da un lato, e da Mali e Niger, dall’alun lato, la volontà di cambiare passo ritro, vengono presi in consegna dalle kaspetto al recente passato ma, dall’altro, tibe, bande paramilitari libiche armate non è riuscita ancora a definire una fino ai denti, e poi imbarcati a Tripoli o a strategia complessiva di accoglienza alMisurata con la complicità di poliziotti e l’altezza della situazione. agenti della guarda costiera corrotti, imI governi Monti, prima, e Letta dopo plicati nel grande business dell’immi(soprattutto in seguito alla strage di grazione clandestina. Lampedusa, 3 ottobre 2013), hanno

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messo fine ai respingimenti in mare, che ci avevano attirato il biasimo di tutta Europa, finanziando l’operazione Mare Nostrum. Gli interventi della nostra Marina militare hanno consentito fino a ora di salvare dal naufragio migliaia di disperati, intercettando le imbarcazioni dei trafficanti e portando in salvo i migranti nei porti siciliani. Insieme ai pattugliamenti in mare – segno evidente di un decisa inversione di rotta rispetto al nostro recente passato – l’esecutivo sembrava intenzionato anche a com-


l’approfondimento piere un primo deciso passo verso la costituzione di un sistema di accoglienza per i profughi finalmente adeguato. Il 30 luglio 2013, con un provvedimento passato in sordina, il ministero dell’interno ha deciso di ampliare lo Sprar, il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati gestito dagli enti locali e dal terzo settore: un sistema collaudato, affidato a funzionari pubblici e operatori di cooperative ed enti non profit che sanno fare il loro mestiere. Il nuovo bando, emanato dal ministero dell’interno, ha permesso di quadruplicare i posti disponibili, portandoli da 4 mila a 16 mila, implementabili in caso

di emergenza fino a quasi 20 mila. In questi mesi i comuni hanno fatto la loro parte, presentando i progetti e trovando le risorse per cofinanziare il programma. L’adesione dei sindaci è stata persino sorprendente, una dimostrazione – se si vuole - di grande responsabilità, dal momento che dare ospitalità a stranieri in cerca di protezione difficilmnte può far guadagnare ai nostri amministratori locali i voti della maggioranza degli elettori. Ai primi di gennaio le strutture per

Frosinone

«La prefettura: chiedano asilo. Ma bisogna capire i loro progetti» «Al momento la situazione è sotto controllo». È tranquillo Marco Toti, condirettore della Caritas di Frosinone, che ha in gestione l’accoglienza di 45 profughi, la metà di quelli arrivati nel territorio laziale. La tempistica, in un certo senso, li ha favoriti. «A inizio 2013 abbiamo chiuso l’accoglienza dei profughi che erano arrivati qui con l’Emergenza Nord Africa del 2011, accompagnando anche gli ultimi all’autonomia. Data l’esperienza positiva, a ottobre dello scorso anno abbiamo fatto richiesta, insieme a sei comuni della zona, di entrare nello Sprar, mettendo a disposizione 39 posti». Ma mentre quei posti non sono ancora stati utilizzati, restano pronti ma devono rimanere vuoti, da parte della prefettura di Frosinone è arrivata la richiesta per accogliere altre 40 persone appena sbarcate in Sicilia, mentre dopo poco un ulteriore gruppo è stato inviato alla vicina diocesi di Sora. «Eravamo già nell’ottica di accogliere e, per come è sviluppata la rete Caritas nella nostra diocesi, non abbiamo faticato a trovare il posto per altre 40 persone». Il Frusinate è un territorio fatto di tanti piccoli centri, molto distribuiti. La città capoluogo conta circa 46 mila abitanti, la diocesi ne fa poco più di 180 mila. In questo contesto la Caritas ha coinvolto le parrocchie e ha fatto appello per trovare strutture inutilizzate che spesso le piccole chiese hanno, riconvertendole all’accoglienza. Il risultato è stato positivo, la collaborazione delle parrocchie alta e il gruppo dei primi 40 profughi è stato smistato in quattro comuni (Beroli, Strangolagalli, Ceccano e Castro dei Volsci), «anche se stiamo verificando se dividerli ulteriormente: abbiamo già la disponibilità di un paio di altre parrocchie. Preferiremmo avere gruppi molto piccoli, a dimensione quasi familiare». I profughi accolti a Frosinone sono tutti uomini, tutti molto giovani, alcuni di loro sono studenti universitari. Tranne un ragazzo somalo, gli altri provengono dall’Africa occidentale: Mali e Gambia soprattutto. «Dopo la prima assistenza sanitaria, dopo aver garantito un piatto, dopo l’identificazione in questura, stiamo cercando di approfondire la conoscenza per poterli indirizzare – spiega ancora Toti –. Intanto stiamo insegnando loro i primi rudimenti della lingua italiana. E poi vorremmo capire quali sono i motivi che li hanno condotti qui e quali erano i loro progetti». L’indicazione della prefettura, però, è stata perentoria: indirizzarli tutti alla richiesta di asilo politico. «Ma per molti di loro sarebbe un problema, quindi stiamo spiegando loro cosa implicherebbe questa mossa – conclude Toti –. Non tutti sono convinti: alcuni vorrebbero proseguire per altri paesi, altri, sconvolti dal viaggio, vorrebbero tornare a casa. Alcuni sono partiti per avere la possibilità di proseguire gli studi, e qui non riuscirebbero a farlo. Stiamo verificando con loro come è meglio procedere». Marta Zanella l’accoglienza erano pronte. E i comuni, riempiti i 13 mila posti per l’accoglienza ordinaria, erano pronti ad ospitare almeno altre 6 mila persone in regime di emergenza, come previsto da quel programma. Quando però all’inizio di gennaio si sono intensificati gli sbarchi e il governo ha deciso di correre ai ripari perché i centri di primo soccorso siciliani erano ormai strapieni, il ministero dell’interno ha cambiato sorprendentemente strategia: anziché affidarsi ai comuni tramite lo Sprar, ha dato mandato

alle prefetture di occuparsi della gestione dei nuovi arrivi. È cominciata così la ricerca affannosa, nei territori, di pensionati, centri, anche alberghi in grado di dare vitto e alloggio ai rifugiati, al costo di 30 euro al giorno per persona. Niente corsi di lingua, consulenza legale, accompagnamento sociale: il minimo di assistenza, per evitare che le persone accolte siano abbandonate a loro stesse. Pare ripetersi così la stessa strategia adottata durante l’emergenza Nord Africa e che tra luglio 2011 e febmaggio 2014 scarp de’ tenis

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Impreparati al prevedibile braio 2013 ha creato un sistema parallelo molto costoso (quasi un miliardo di euro spesi), che ha dato scarse se non nulle chance di integrazione ai circa 28 mila profughi giunti dalla Libia e ha, invece, generato corruzione e malaffare sulla pelle dei disperati. «Non abbiamo capito la scelta del ministero e le spiegazioni che hanno dato non ci paiono convincenti – rivela Filippo Miraglia responsabile immigrazione dell’Arci, l’associazione firmataria con Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, il Coordinamento nazionale delle cooperative di accoglienza (Cnca) di una dura lettera aperta sui rischi di un approccio solo emergenziale nella gestione dei profughi –. Questo atteggiamento contradditorio crea solo tensioni nei territori e non garantisce un’accoglienza adeguata dei profughi. Ci auguriamo che il governo ci ripensi, c’è ancora tempo per riattivare lo Sprar e creare un piano integrato e stabile». Tuttavia, il ministro degli interni Angelino Alfano sembra più preoccupato di creare le condizioni perché dell’e-

mergenza si facciano carico anche gli altri stati europei, in particolare i paesi del Nord, dove i migranti, sbarcati in Sicilia, vorrebbero andare, attirati dalle maggiori possibilità di trovare lavoro ed essere assistiti. Per questo è tonato a chiedere nelle ultime settimane di rivedere la regola di Dublino. Quel provvedimento, assunto nella capitale irlandese nel 1990, prevede che i profughi siano accolti nel paese dove fanno domanda di asilo. Ma in questi ultimi anni ha tra-

sformato l’Italia, suo malgrado, da paese di approdo in un enorme centro di detenzione per chi sogna un futuro migliore in Europa. «Dal 1 luglio l’Italia guiderà il semestre di presidenza europeo. Sarà un’opportunità preziosa per promuovere una strategia comune tra gli stati membri sui rifugiati e i richiedenti asilo e per rimettere in discussione gli accordi di Dublino. Ma prima il nostro paese deve fare i compiti a casa – osserva Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana –. I paesi del Nord Europa, ai quali chiediamo di non lasciarci soli, continuano ancora oggi a dare assistenza a un numero maggiore di profughi di quanto facciamo noi. Per questo è decisivo creare in Italia un sistema di accoglienza stabile e adeguato; velocizzare il lavoro delle commissioni territoriali che esaminano le domande di asilo; garantire diritti ai richiedenti asilo secondo standard europei. Fare queste cose può metterci nelle condizioni di avere le carte in regola per fare sentire la nostra voce in Europa».

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«La pazienza sta per finire» A Siracusa sbarchi di massa e situazione al limite: si rischia l’emergenza sociale «Le condizioni in cui arrivano sono terribili, hanno bisogno di tutto. Stiamo comprando per loro persino mutande e calze. E poi serve subito un primo soccorso sanitario. La maggior parte di loro arriva dall’Africa subsahariana, hanno attraversato il deserto, sono stati nelle mani dei trafficanti e sono giunti in Libia in condizioni di salute già pessime». È la testimonianza, lucida e accorata, di chi sta lavorando senza sosta alla frontiera del mare. Don Marco Tarascio, della Caritas di Siracusa, racconta gli arrivi delle ultime settimane nei porti della zona di Augusta, dove sono sbarcati oltre 5 mila migranti in tre giorni. E i numeri non sono incoraggianti, per questa terra. Stime non ufficiali parlano di 6-800 mila persone, sulle coste della Libia e dell’Africa, che sarebbero pronte a partire e intraprendere la traversata del mare. «Quante poi ne partiranno e arriveranno davvero, non lo sappiamo. L’anno scorso, sui media, si è parlato moltis-

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simo di Lampedusa, dove sono sbarcati 15 mila profughi. Nei nostri porti qui a Siracusa ne sono arrivati 17 mila, quasi ignorati – conta don Tarascio –. Ma quest’anno sarà molto peggio. Potremmo arrivare a 50 o 60 mila, anche di più». A sentire chi opera sul territorio, le istituzioni locali, soprattutto prefetto e questore, stanno facendo un buon lavoro. Ma manca il sostegno dal governo. «Fanno tanti proclami, è venuto anche il ministro Alfano a dire che non avrebbero abbandonato Augusta, che non ci sarebbe stata un’altra Lampedusa. Ma

finite le parole, non è seguito nulla – accusa don Marco –. Quello che manca, come dicono un po' tutti, è un programma di accoglienza serio. Finisce tutto nelle mani del volontariato, e fortunatamente siamo in Italia dove esiste una rete che riesce a fare quello che non fa lo stato. Ma dovrebbero essere pensate strutture almeno di prima accoglienza per questi immigrati che vorrebbero andare nel Nord Europa, dove si sta molto meglio che qui. La maggior parte di loro non vuole fermarsi, e per questo rifiuta l’identificazione, cercando di non essere bloccato in Italia con una richiesta di asilo che toglierebbe loro la possibilità di proseguire». La Caritas-Migrantes cerca di dare una mano per gli aspetti cui la prefettura non riesce a provvedere da sola. Ha scelto di creare un gruppo di first aid, di primo aiuto, soprattutto informativo: spiegano cos’è lo status di rifugiato, cosa comporta inoltrare richiesta di asilo, distribuiscono cartine dell’Europa per


l’approfondimento

LECCO. «Abbiamo 35 posti liberi: ma dobbiamo ospitarli altrove...» La situazione, a Lecco, sembra un gioco a incastri. Arrivano i numeri, e vanno smembrati qua e là in modo da far tornare i conti, come un sudoku giocato sulla pelle della gente. I primi 40 profughi sono arrivati a metà marzo e sono stati suddivisi in tre realtà del privato sociale: ne se sono fatti carico la cooperativa Arcobaleno, che afferisce al Consorzio Farsi Prossimo e alla galassia della Caritas Ambrosiana, l’associazione cooperativa Il Gabbiano e il Coe (Centro Orientamento Educativo) che ha sede a Barzio, in provincia. Non tutti i posti messi a disposizione dal terzo settore sono stati sufficienti, però, così la Comunità montana della Valsassina (che ha ricevuto tramite la prefettura l’incarico di gestire l’emergenza) ha individuato anche un paio di alberghi, a Bellano e a Crandola, che avrebbero accolto quelli per cui non era stato trovato un posto altrimenti. «È successo tutto nel giro di poche ore, e abbiamo quasi dovuto improvvisare – lamenta Roberto Castagna della cooperativa Arcobaleno, che si sta occupando dell’emergenza per la Comunità montana –. Abbiamo 35 posti programmati per l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo tramite la rete dello Sprar, trovarne altri 40 all’improvviso è stato un delirio». Mentre la rete provinciale si stava organizzando per inserire anche coloro che erano stati messi in albergo, dopo poco meno di un mese, all’inizio di aprile, ecco una nuova ondata di 30 profughi. «E qui è saltato tutto. Il Gabbiano ha trovato altri 8 posti, chi era in albergo rimane lì, qualcuno è stato accolto da un affittacamere in città che era già stato coinvolto nel 2011, un gruppo è stato accolto in una struttura gestita da Legambiente nel parco del Monte Barro». Nel frattempo spiegare dove si trovano, dov’è la Svezia, da dove sono partiti e quanto è lunga ancora la strada per raggiungere la meta sognata.

Abbandonati ragazzini L’altro grosso problema riguarda i ragazzini: sono centinaia i minorenni soli e non accompagnati che vengono portati in salvo sulle coste della Sicilia. Ma per loro si presenta subito un problema: per qualunque tipo di intervento, anche una visita medica, è necessario che abbiano un tutore legale, senza il quale il medico non può nemmeno toccarli. Al momento sono circa 150 i ragazzi in carico al comune di Augusta (che, tra l’altro, è attualmente commissariato per mafia e si trova in esercizio provvisorio, con i rallentamenti, la mancanza di fondi e i problemi di gestione che si possono immaginare), ospitati al palazzetto dello sport e in attesa di essere indiriz-

sono state individuate altre due strutture legate al privato sociale, una rilevata dall’associazione Il Gabbiano, l’altra di proprietà della diocesi di Milano, ma entrambe hanno bisogno di adeguamenti e i tempi si fanno lunghi. I numeri si sono alleggeriti perché alcuni dei profughi, un gruppetto di palestinesi e un altro di eritrei, dopo pochi giorni hanno fatto perdere le proprie tracce, probabilmente intenzionati a proseguire verso altri paesi europei. «Il lato peggiore della faccenda è che siamo fermi alle stesse criticità che erano emerse con l’Emergenza Nord Africa del 2011 – accusa Castagna –. Da anni chiediamo che tra noi, i comuni, la prefettura venga steso un piano di azione per affrontare queste che emergenze non sono, perché è possibilissimo fare una previsione dei numeri e dei tempi di arrivo. Ma manca la volontà di progettare, di programmare, di prendersi responsabilità». L’attuale emergenza sbarchi è gestita sempre dal ministero, ma al di fuori del canale Sprar: il risultato è che in ogni provincia d’Italia ci sono posti destinati all’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo vuoti, e che devono restare tali finché richiesti dal ministero dell’interno, mentre la prefettura, sempre su ordine del ministero, chiede posti supplementari. «Non è semplice spiegare alla gente come mai io ho delle strutture libere, destinate ai richiedenti asilo, che non posso usare, mentre chiedo loro una mano per altri spazi – conclude Roberto Castagna –. A Lecco, ad esempio, dei 35 posti Sprar ne abbiamo al momento 9 liberi, che dobbiamo tenere vuoti perché potrebbero chiamare da un giorno all'altro, e persone da inserire che non possono [M.Z.] andare in quelle strutture».

zati alle comunità di accoglienza. Il passaggio dovrebbe avvenire in 48 ore, nella pratica spesso ci vogliono più di due settimane. Per assisterli si sono mossi alcuni privati cittadini che, guidati dall’avvocatessa Carla Trommino, hanno fondato il gruppo AccogliRete e si incaricano di fare da tutori legali a questi ragazzi, preservandoli da rischi più grandi di cui potrebbero facilmente essere vittime, come la tratta dei minori da parte dei trafficanti d’organi. «L’anima dell’accoglienza, che è propria della nostra terra, al momento sta prevalendo – racconta ancora don Tarascio –. Ci sono operatori sanitari che accorrono per i primi soccorsi e le visite mediche, senza curarsi dei rischi per sé, che nell’urgenza lavorano senza guanti o mascherine. Ci sono quelli che arrivano portando vestiario e biancheria. Persino alcuni dei

frequentatori della mensa dei poveri, una volta, davanti all’arrivo di un gruppo di questi disperati, si sono alzati, cedendo loro il posto e accontentandosi di un panino mangiato per terra. Ma tutto ciò non può durare a lungo». La situazione del siracusano non è buona: l’Italia ha oggi un tasso di disoccupazione del 13%, percentuali che qui avevano quando si stava bene. «Il rischio è che, passata l’emozione del momento, anche chi oggi dà la disponibilità si stanchi e chieda che vengano risolti anche i nostri, di problemi. Le povertà qui sono triplicate. Questo lo vado dicendo da un anno e mezzo – ammonisce don Tarascio –: se la situazione si incancrenisce le cellule buone rischiano di diventare cellule cattive. Senza un segnale chiaro da parte dello stato, la pazienza prima o poi finirà e la situazione rischia di scoppiarci tra le mani». Marta Zanella

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Violenza in netto aumento nei campionati giovanili di calcio. Per fortuna, fioriscono anche iniziative per contrastarla...

Il pallone da (ri)educare di Alberto Rizzardi Torino, Juventus Stadium, dicembre 2013: nella sfida di campionato Juventus-Udinese, parte dei circa 10 mila bambini e ragazzi che affollano, su iniziativa del club torinese, le curve nord e sud, chiuse dal giudice sportivo per cori di discriminazione territoriale contro Napoli e i napoletani, intonano il tradizionale epiteto offensivo con cui in quello stadio si accompagnano, in ogni partita, amichevoli comprese, i rinvii da fondo campo del portiere avversario. Replica due settimane più tardi, quando i più piccoli riempiono una sola curva chiusa, la sud, e agli epiteti al portiere, in questo caso Gianluca Pegolo del Sassuolo, si aggiungono anche fischi alla lettura della formazione avversaria e qualche vaffa sparso durante i 90 minuti. Innocenti birichinate, disse qualcuno; brutto segnale, sostennero altri. rissa che prosegue negli spogliatoi, seRapido cambio di scenario. Baia di data solo dall’arrivo dei carabinieri. Bacoli, stadio Tony Chiovato, gennaio Sempre a gennaio, ma 800 chilome2014: all’ombra dell’incantevole Casteltri più a nord, il match Imperia-Albenga, lo Aragonese, la partita tra Sibilla Soccer finale della 16ª Coppa Città di Andora, e Puteolana 1909, valida per il campiotorneo di calcio giovanile riservato alla nato Juniores della Campania, finisce in categoria Pulcini (8-10 anni), viene sorissa poco dopo l’ora di gioco per un falspeso, tra le lacrime dei bambini in lo di reazione di un giocatore (poco imcampo, per una violenta lite tra allenaporta sapere il suo nome) che scatena il tori e dirigenti di Imperia e Andora, parapiglia: dieci cartellini rossi, scontri squadra anch’essa impegnata nel torsulle tribune tra i genitori dei ragazzi e neo: a scatenarla le accuse rivolte, a bor-

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do campo, da un dirigente andorese nei confronti dell’allenatore dell’Imperia, che avrebbe incitato i suoi giocatori alla violenza contro gli avversari. Partita sospesa tra i fischi e dirigenti separati a fatica. Ma, poco dopo, i piccoli giocatori di Imperia e Albenga scendono di nuovo in campo, abbracciati tra loro, per la premiazione di rito, dando una lezione di civiltà ai più grandi. Forse. Milano, marzo 2014: durante la partita Leone XIII – Macallesi, valida per il campionato provinciale Giovanissimi A1, sul campo sintetico adiacente l’omonimo istituto di via Rossetti, un giocatore (classe ’99) della formazione ospite reagisce a una decisione arbitrale colpendo un avversario con due calci nello stomaco e uno sulla nuca, mandandolo al pronto soccorso. Una volta espulso, come riporta il referto arbitrale “[…] si avvicinava all’arbitro con atteg-


l’inchiesta giamento gravemente minaccioso […] si avventava contro un calciatore avversario e lo colpiva con tre violenti pugni al torace […] Mentre si avviava verso lo spogliatoio, rivolgeva ai calciatori avversari espressioni minacciose e, dopo aver incrociato un altro calciatore avversario, lo colpiva con un violento calcio al ventre facendolo crollare a terra”. Per il giocatore squalifica di un anno. Sono solo alcuni casi, presi tra i più recenti, in cui il calcio giovanile italiano, a varie latitudini, si è dovuto confrontare con violenze, discriminazioni e atti d’intolleranza. Tutte cose di cui in Italia si è ormai abituati a sentir parlare senza quasi farci più molto caso (cosa terribile da dire) per quel che riguarda lo sport degli adulti, ma che suscita ancora riprovazione e scatti di moralità quando sono coinvolti bambini e ragazzi. Perché il futuro dello sport, ma anche dell’intera società, passa da loro. E se a 5, 10 o 15 anni ci si convince che insultare l’avversario non sia poi così sbagliato, che reagire a un fallo di gioco faccia parte del gioco stesso e che rivolgersi a qualcuno di colore facendo il verso della scimmia rientri nell’ampia sfera di becerume concesso dal tifo, quel futuro assume di colpo tinte fosche e inquietanti. Si tratta di educare bambini e ragazzi alla cultura sportiva, al rispetto dell’avversario, all’onestà e all’osservanza delle regole. Si tratta, forse, semplicemente di educare. E lo sport, di cui il calcio in Italia è la manifestazione più popolare, è il terzo grande pilastro su cui poggia la crescita, fisica e morale, di un giovane, dopo la famiglia e la scuola. L’Italia, da questo punto di vista, sconta un divario notevole con il resto d’Europa e buona parte del mondo. Non serve molto per capirlo, basta farsi un giro sui campi e nei palazzetti fuori dai confini nazionali.

Bergamo

Squalifica per razzismo? Si sconta servendo i bisognosi A Bergamo don Fausto Resmini, una vita al fianco dei giovani, ha scritto lo scorso marzo alla Federazione italiana gioco calcio per chiedere di trasformare in attività al servizio dei più bisognosi parte della squalifica di dieci giornate comminata ad Alberto Grassi, promettente centrocampista della Primavera dell’Atalanta e della Nazionale Under 19, colpevole di un insulto razziale ai danni di un pari età ghanese dell’Hellas Verona. La proposta di don Resmini, fatta in primis al ragazzo (nella foto), conosciuto personalmente, e all’Atalanta, che hanno subito accettato, era quella di far collimare alcune settimane di squalifica con attività nella Comunità don Lorenzo Milani di Sorisole. Dalla Figc parere favorevole: per l’alto valore morale dell’iniziativa, le giornate di squalifica sono state ridotte a cinque. Ma questa è stata una conseguenza; non era l’obiettivo principale della richiesta, precisa don Resmini: «Il solo castigo non è la soluzione più giusta per un ragazzo, mentre l’opportunità di rimettersi in gioco, dopo uno sbaglio, svolgendo un servizio per chi ha bisogno, è la scelta corretta. Siamo di fronte ad adolescenti – spiega don Resmini – che non hanno sempre autocontrollo, di fronte a situazioni conflittuali. Se lasciati a se stessi con un castigo che punisce e basta, serberanno rancore, mentre è importante che capiscano che con il loro atteggiamento, con lo studio e l’impegno possono riscattarsi da una condanna». L’iniziativa aveva un precedente: nell’aprile dello scorso anno, due calciatori degli Allievi nazionali dell’Atalanta avevano prestato servizio per un paio di settimane nella struttura di Sorisole, dopo aver girato un video blasfemo.

Non tutto è marcio Ma non è tutto marcio. Al di là delle levate di scudi delle istituzioni, spesso stucchevoli e fuori tempo massimo, in giro per la penisola ci sono varie iniziative che tentano di riportare lo sport alla sua corretta dimensione: quella di un’attività che consente di divertirsi, di formare il fisico e di apprendere dei valori, come lo stare assieme agli altri, il sapersi rialzare da una caduta, il saper accogliere vittorie e sconfitte, dando il giu-

sto peso al concetto di “trance agonistica”, dietro al quale molti spesso si nascondono per giustificare gesti riprovevoli. Iniziative fuori e dentro il campo. E a volte basta davvero poco. Nel dicembre scorso, per esempio, Alessandro Birindelli, ex terzino di Empoli e Juventus, ora responsabile del settore giovanile del Pisa, ritirò dal campo la propria squadra nella sfida con l’O-

spedalieri (categoria Esordienti Fair Play – nomen omen – riservata a ragazzi nati nel 2001-2002), dopo che sugli spalti si era scatenata una rissa tra genitori per un passaggio sbagliato da un giocatore. L’ex bianconero era stato chiaro al suo arrivo a Pisa, peraltro sua città natale, affermando di puntare anzitutto su educazione, rispetto e sportività da parte di giocatori, staff e genitori. Per il gesto delmaggio 2014 scarp de’ tenis

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l’inchiesta

l’ex terzino una pioggia di complimenti da ogni dove. Non, però, dalla sezione provinciale della Federcalcio, che con rigida e piuttosto miope applicazione del regolamento (il comma 2 dell’articolo 53 delle norme federali, per gli interessati) inflisse al Pisa la sconfitta a tavolino per 0-3, la penalizzazione di un punto in classifica e una multa per intemperanze dei tifosi.

L’esempio di Reggio Calabria Qualcosa di analogo accade a Reggio Calabria, dove il 25 marzo è stato siglato un protocollo d’intesa tra il Centro Sportivo Italiano e il Centro Servizi al Volontariato per percorsi rieducativi rivolti a giovani atleti resisi protagonisti di episodi scorretti o violenti in campo. In buona sostanza, se un giocatore riceve una squalifica superiore alle tre giornate, potrà scontare un terzo di questa squalifica facendo volontariato al servizio dei più poveri e bisognosi, tramite il ricco terzo settore del territorio. Un progetto che ha ricevuto il plauso delle diocesi di Reggio Calabria-Bova e di Oppido Mamertina-Palmi, oltre che della provincia di Reggio Calabria e della sezione regionale del Coni, in un territo-

Sindrome da stadio Giovani tifosi juventini alla partita Juventus-Udinese: allegria sugli spalti, ma anche epiteti offensivi ai rinvii del portiere avversario

una cultura violenta, fin qui troppo tollerata, sui campi di calcio della Calabria. Abbiamo volutamente usato un’espressione forte, mafiosità, per lanciare un messaggio preciso alle società, cui verrà chiesto di sottoscrivere preventivamente questo protocollo: potranno scontare le sanzioni alternative solo gli atleti delle società che avranno firmato l’accordo. Questo per responsabilizzare le stesse società, cui viene chiesto un impegno formale per contrastare episodi antisportivi e violenti». L’iniziativa si rivolge a calciatori tra i 15 e i 20-25 anni. Esclusi gli adulti (calciatori, allenatori e dirigenti), che saranno invece coinvolti in specifiche attività di formazione e sensibilizzazione ai valori dello sport. «La valenza di questa iniziativa – afferma il direttore del Csv reggino – è prettamente educativa: prendiamo spunto dall’attività sportiva per consentire un’opportunità d’incontro tra giovani e realtà di volontariato, con le quali è magari difficile entrare in contatto nella vita di tutti i giorni». Come dire: facilitare la redenzione consapevole e prevenire il ripetersi di episodi violenti, osservando da vicino e sporcandosi le mani concretamente con le tante espressioni di povertà, disagio e sofferenza, al cui confronto una partita di calcio è nulla.

Il Csi rilancia “l’Oratorio Cup” rio, quello calabrese, in cui gli episodi violenti nello sport si ripetono con preoccupante frequenza. Un dato su tutti: in Calabria e in Sicilia si registra un quarto del totale nazionale di aggressioni agli arbitri. Un’espressione del protocollo siglato colpisce particolarmente, anche per la storia del territorio su cui agisce: “contrastare la mafiosità in campo”. «Le squadre, soprattutto nei paesi più piccoli, rappresentano un punto di riferimento per i giovani – spiega Giuseppe Pericone, direttore del Centro Servizi al Volontariato di Reggio Calabria –. Ma queste squadre sono spesso guidate da società e personaggi che non brillano certo per rettitudine e rispetto della legalità. A volte giocare su certi campi risulta molto difficile, perché ci sono pressioni inaudite e minacce a giocatori, arbitri e tifosi ospiti. L’avversario diventa quasi un nemico personale. C’è

L’idea è ora quella di estendere anche al resto d’Italia questa iniziativa, già partita in via sperimentale nel torneo diocesano reggino “Oratorio Cup”, ma che diverrà effettiva in tutti gli altri campionati federali del Csi da settembre-ottobre. Ci sono già stati contatti, in questo senso, con l’associazione Libera e con il Csi nazionale, che in via preliminare, nel suo settantesimo anno di vita, si è detto disponibile a estendere il progetto a tutti i campionati nazionali di pertinenza, coinvolgendo il coordinamento italiano dei Centri di servizio per il volontariato e, magari, anche il Coni nazionale. E già qualcosa pare muoversi: al di là dello Stretto, il Cus di Messina ha chiesto di poter applicare questo progetto anche al settore rugby. «È il segno – conclude Pericone – che alcune buone prassi creano circuiti virtuosi, che possono poi essere estesi e replicati. Perché fanno bene a tutti: alle società, ai ragazzi, all’intera comunità».

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Certi incontri ti fanno crescere Un homeless. Il suo cane. Due fidanzatini. Amicizie di strada, nel romanzo di Zita Dazzi

di Daniela Palumbo Quelle vite che non meritano attenzione. Nascoste dentro i cartoni, nelle baracche, dietro gli odori che fanno storcere i nasi. Le vite invisibili. Che non vediamo perché non vogliamo. Zita Dazzi, giornalista di Repubblica che segue la cronaca milanese, ha sdoganato una di queste vite nel suo nuovo romanzo: Bella e Gustavo, editore il Castoro. La storia prende spunto da un fatto di cronaca milanese: un clochard che dormiva dentro una cabina telefonica in zona Porta Genova, tre estati fa venne aggredito da pochi delinquenti e ridotto in fin di vita. Senza motivo. Alla fine, venne un parente dall’Argentina e lo riportò a casa. Zita Dazzi ha raccontato la sua storia partendo dai dati della cronaca anche perché Gustavo (così lo chiama nel romanzo, ma il nome è di fantasia) ricevette gesti di solidarietà dagli abitanti del quarle loro traiettorie di vita. tiere: diversi andarono a trovarlo in ospedale dove era in coma, decine di biglietti di auguri vennero affissi dentro Come è scattata la molla che ti ha la cabina dove dormiva. Insomma, tanfatto pensare che quell’uomo deto invisibile, alla fine, Gustavo non era... scritto in poche righe di cronaca loLa giornalista e autrice per ragazzi cale dovesse essere raccontato e riha dato vita a una storia in cordato più ampiamente? cui due ragazzi innamoMi sembrava una storia di rati, Nino e Petra, in una solidarietà spontanea con estate come tante, piena qualche potenzialità edudi promesse e di scontri cativa, anche se non mi tra fidanzatini, conoscopiace mai scrivere storie no Gustavo. E il suo cane, didascaliche. In realtà è Bella. Petra e Nino, gli venuto tutto molto natuadolescenti del romanzo, rale, non avevo in mente all’inizio sono interessati di scrivere una storia che più al cane, ma poi l’inspingesse i giovani ad aiucontro con il burbero Gutare i clochard. Mi pare costavo li conquisterà... fino munque che alla fine il al finale a lieto fine. senso sia che, mettendosi in gioco personalmente, ci si può anche guadagnare, in termini di crescita individuale e Hai conosciuto persone senza dimoconsapevolezza. I due ragazzini partora per documentarti? no sembrando annoiati, ma alla fine si Per il mio lavoro ho spesso frequentaritroveranno appassionati e più uniti. to luoghi abitati da senzatetto italiani e stranieri, rom e immigrati. Seguo i temi sociali per la cronaca milanese di Queste persone a volte hanno solo Repubblica da molti anni e quindi ho un animale come amico, ed è capivisitato spesso i dormitori pubblici e le tato che qualcuno rifiuti di andare a mense del volontariato, motivo per il dormire nei dormitori proprio perché quale mi è capitato più di una volta di non può entrare con il suo amico... parlare con queste persone e ascoltare So che a Milano il comune ha organiz-

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testimoni zioni. Un procedimento inverso a quello del giornalismo, dove fra l’altro le opinioni personali dovrebbero essere bandite. Quindi non potrei scegliere fra le due professioni, mi appassionano entrambe!

zato con i City Angels un dormitorio con cucce per i cani dei clochard: mi sembra una mossa intelligente. In effetti per queste persone, che hanno difficoltà relazionali con il mondo “normale”, spesso poter contare sull’amicizia di un animale è un sostegno psicologico. Si fa abbastanza per gli homeless a Milano? Mi pare che questa amministrazione stia facendo molto. I posti letto sono aumentati: circa 2.700 persone ospitate tutte le notti, durante i mesi freddi, e varie iniziative tarate sui diversi bisogni che emergono. C’è anche una buona collaborazione fra pubblico e privato sociale, credo sia il percorso giusto. Petra è un angelo dei diseredati, come la chiama Nino. Ci sono tante Petra nelle scuole dove, come scrittrice, tieni gli incontri con i ragazzi? È vero che incontro moltissimi ragazzi nelle scuole dove vado, parliamo a lungo e di tante cose. Sicuramente fra loro ci sono molti che potrebbero avere il carattere e lo spirito di Petra. Trovo che questa generazione di adolescenti sia molto diversa dagli stereotipi con cui li si dipinge sui giornali, mi sembrano at-

Storie randagie Spesso gli homeless hanno nei cani amici fidati e per non lasciarli rifiutano di entrare in strutture d’accoglienza. A sinistra Zita Dazzi, giornalista di Repubblica, e la copertina del libro

tenti, sensibili, curiosi, hanno piacere di confrontarsi e di discutere, quando trovano persone che hanno argomenti, storie da raccontare e un po’ di empatia... Sei giornalista e scrittrice. Se potessi scegliere? Sono due mestieri che si intersecano e che si compensano a vicenda. Nella cronaca lavori in squadra e stai molto a contatto con la vita vissuta della città, anche se inevitabilmente i tempi per ragionare sulle cose e per approfondire sono molto ristretti, si lavora sempre in corsa e si hanno poche possibilità di affinare lo stile della scrittura. Quando invece si è alle prese con un romanzo, bisogna partire dal proprio vissuto, si cercano la concentrazione e il silenzio, diventa fondamentale avere tempi solitari per scrivere e riscrivere le pagine, scavando nei ricordi e nelle emo-

I “nativi digitali”, ammalati di entertainment, intrattenimento, ameranno ancora la letteratura? Non sono bei segnali quelli che vengono dalle rilevazioni sulle vendite dei libri negli ultimi anni. Il mercato librario è in caduta libera, ma la letteratura per ragazzi è quella che resiste meglio ai colpi della crisi. Eppure, i ragazzi sono proprio quelli che spendono più tempo sui social network e che vivono in rete. Credo che alla loro età sia possibile far nascere curiosità e amore per la lettura e che lo strumento per farlo siano proprio gli incontri con gli autori e i testi che parlano di cose che loro conoscono, di sentimenti che loro provano, di sfide che si trovano davanti. Penso che se la lettura ha resistito nonostante l’avvento della televisione, saprà anche sopravvivere alla supremazia di internet. O almeno, bisogna lavorare con questa convinzione. Per vivere in strada, dice Petra, ci vuole coraggio, o disperazione... Sicuramente chi vive sul marciapiede rivendicando la scelta deve essere armato di coraggio per resistere ai molti pericoli che si presentano nella quotidianità: le aggressioni, il razzismo, i furti, la fame, le malattie. Ma non tutti quelli che sono in strada hanno fatto una scelta in questo senso: per molti, soprattutto negli ultimi anni, questa condizione deriva dalla necessità, dalla perdita della casa per uno sfratto, da una malattia mentale, da uno stato di dipendenza da alcol o droghe, dalla perdita del lavoro. Le reti familiari – che una volta proteggevano chi aveva questi problemi – oggi sono allentate ed è quindi più facile che in passato trovarsi a non aver altra scelta che andare a vivere sotto i ponti, in una baracca, in un dormitorio pubblico. Per tanti questa non è una scelta, ma una condizione imposta dalla mancanza di alternative e di aiuti. La visione romantica del clochard che vuole vivere fuori dalle convenzioni sociali è probabilmente da aggiornare.

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milano Il quartiere Greco diviso in due dalla massicciata ferroviaria di Centrale. Sotto, 106 magazzini. Recuperarli? Ci sono idee...

Rilevato, tesoro abbandonato Como Donacibo in 170 scuole, lezione di generosità Torino Al Circolo Passoni si pranza e si socializza Genova Laboratori Melograno: una porta è una svolta Verona Gusto Solidale, il sapore della fiducia Vicenza Scarp al Festival Biblico, è la strada che si fa voce Rimini Povertà senza tregua, molte famiglie in apnea Firenze Si offre accoglienza, che ne è della residenza? Napoli Vestire gli ignudi, recitare al dormitorio Salerno Metro al capolinea, dopo soli cinque mesi Catania Waldemar è stato ucciso, chi si cura di Kamil?

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di Daniela Palumbo La Zona 2 di Milano comprende un territorio vastissimo. Dunque variegato dal punto di vista della composizione sociale e dei problemi, diversi da quartiere a quartiere. Basti pensare che la Zona va dai Bastioni di Porta Venezia, centralissima, a viale Monza e via Padova. E in totale conta circa 140 mila abitanti. L’associazione 4tunnel è nata circa un anno fa nel quartiere che va da via Ferrante Aporti a viale Monza, e da viale Brianza a via Popoli Uniti, ma è già attivissima e conta, oltre ai 25 soci fondatori, centinaia di persone fra i sostenitori e i simpatizzanti, che danno una mano sul campo, secondo le competenze o gli interessi di ognuno, come spesso accade ai comitati di quartiere. Nell’ultimo Cleaning Day, un mese fa, sono state una quarantina le persone coinvolte nel riverniciare e pulire i muri imbrattati dai graffittari che 2000 – e che ha creato uno stato di deusano le loro tag demenziali per “vangrado urbano fatto di sporcizia, topi, dalizzare” la città, a differenza dei veri malavita, spaccio e pericolo di crolli artisti di strada, che operano nel rispet(l’ultimo pochi mesi fa: una griglia di to delle regole. metallo situata in alto, come abbelli«Era il nostro secondo Cleaning Day mento di una serranda, che per fortuna – racconta Irma Surico, presidente di 4tunnel – e la partecipazione del quartiere è stata ottima. La ripulitura ha riguardato le serrande e i muri di tutti i condomìni di via Oxilia, e soprattutto quelli della Chiesa di Santa Maria Beltrade, dove c’è don Marco Molteni, che partecipa attivamente alla vita sociale e culturale del quartiere e a cui tanto deve la nostra associazione».

4tunnel, cambiare si può In questo momento la priorità dell’associazione è rappresentata da un intervento di risanamento e riutilizzo dei cosiddetti “magazzini raccordati” sottostanti il “rilevato ferroviario” che, come spiega Irma Surico, «mette in comunicazione, attraverso quattro tunnel, le vie Ferranti Aporti e Sammartini, strade dell’unico, antico quartiere di Greco, tagliato in due, da quando è stata costruita la massicciata». È la storia di un abbandono che si protrae da almeno 14 anni – un primo progetto di ristrutturazione del rilevato e dei magazzini raccordati è datato


scarpmilano non ha colpito nessun passante). Ma la struttura è imponente, oltre che fatiscente: i circa 2 chilometri di rilevato hanno una superficie di 220 mila metri quadrati, di cui 33 mila commerciali, e dispongono di 106 magazzini. La storia dell’interesse verso i “magazzini raccordati” per Irma Surico iniziò poco più di un quarto di secolo fa in via Cavalcanti, oggi diventata sede di 4tunnel. «Nel 1988 con la mia famiglia mi trasferii in via Cavalcanti, proprio di fronte al rilevato. E già allora si parlava di un progetto di recupero dei magazzini. Abbiamo comprato la casa proprio pensando alla riqualificazione che sarebbe avvenuta in quel territorio. Ma a distanza di tanti anni, siamo ancora qui a chiedere interventi di risanamento». Il rilevato ferroviario e i magazzini, di proprietà di Rfi (Rete ferroviaria italiana), sono stati concessi a Grandi Stazioni Spa, società controllata al 60% da Ferrovie dello Stato e al 40% da un gruppo misto di società private, che fanno capo a diversi imprenditori italiani e stranieri. L’obiettivo statutario di Grandi Stazioni Spa sarebbe riqualificare, valorizzare e gestire le tredici principali stazioni ferroviarie italiane. I cittadini del comitato di quartiere di Zona 2 però, stanchi di aspettare, si sono organizzati. Patrimonio sotto i binari L’ingresso di uno dei magazzini in disuso. Pagina successiva: immagine dal progetto di recupero dell’associazione 4tunnel

La riqualificazione

Grandi Stazioni: «C’è il progetto, manca la copertura finanziaria» Grandi Stazioni Spa, da noi sollecitata a dare una risposta alle richieste di risanamento del rilevato ferroviario della Stazione centrale di Milano, fa sapere, grazie al suo ufficio stampa, di avere già pronto da tempo un progetto di riqualificazione e rigenerazione dei magazzini. «L’abbiamo presentato – spiega l’ufficio stampa – nel giugno scorso anche all’amministrazione comunale di Milano, nella persona del vicesindaco, Ada De Cesaris, a cui è piaciuto molto. Il problema è economico: il progetto ha un costo di 35 milioni di euro e noi speravamo nel volano Expo, ma l’amministrazione comunale non può impegnarsi e per noi è una cifra troppo importante da sostenere. Non possiamo iniziare i lavori senza avere una copertura certa». Il progetto di Grandi Stazioni si ispira in prima battuta al Covent Garden di Londra: «Abbiamo immaginato tanti distretti diversi, da quello culturale al creativo, e poi il commerciale, la moda, l’artigianato, la ristorazione con diverse caffetterie e ristoranti. D’altronde, come accade all’Auditorium Parco della Musica di Roma, disegnato da Renzo Piano, la cultura e la musica fanno da traino per le attività di ristorazione, e a volte anche viceversa. Naturalmente prevediamo un ampio parcheggio di sostegno. Il nostro è un progetto di rigenerazione urbana, che servirebbe non solo al quartiere, ma a tutta la città, come volano economico, perché le attività che potrebbero contenere i magazzini raccordati sono tante e variegate». Ma mancano i soldi. Le associazioni sostengono che Grandi Stazioni aspetta la copertura economica dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, che è organo collegiale del governo. «Il Cipe ha presente il progetto, ma non sappiamo ancora nulla sulle decisioni che verranno eventualmente prese», afferma l’ufficio stampa. In attesa della copertura economica, resta il problema del degrado, che si riversa sulla cittadinanza. Ma l’ufficio stampa di Grandi Stazioni non è d’accordo. «Il rilevato – asserisce la nota della società – non è affatto fatiscente, perché Grandi Stazioni provvede alla sua manutenzione periodicamente. Certo, poi, non è colpa nostra se è preda della delinquenza, ma noi lo manteniamo in buono stato grazie alla manutenzione costante». Eppure solo pochi mesi fa una griglia di metallo di metallo che adornava una serranda è crollata... Se fosse finita in testa a un passante difficilmente avrebbe potuto raccontarlo. «Non è crollata, è stata rimossa da noi», insiste la portavoce di Grandi Stazioni. Sarà anche stata rimossa, ma dopo essere crollata improvvisamente a terra. Nonostante la manutenzione. A questo punto, silenzio del portavoce.

«Abbiamo costituito un pool di esperti formato da architetti, ingegneri e urbanisti, giovani e meno giovani, tutti volontari – spiega Irma Surico –. Il pool, denominato “progetta.MI”, ha sviluppato un progetto generale di recupero dell’area del rilevato e di aree circostanti del quartiere. Lo consideriamo un regalo che facciamo alla cittadinanza e all’amministrazione comunale. Infatti è stato presentato in occasione della Fe-

sta di inaugurazione del tunnel che collega le vie Parravicini-Lumière, e in diverse altre sedi istituzionali, dove ha incontrato un alto grado di apprezzamento. Noi siamo stanchi del degrado che ci circonda e, considerando che il comune ha appena varato un nuovo regolamento edilizio, teso a sostenere il recupero degli immobili abbandonati, anche privati, pensiamo che sia ormai arrivato il tempo che Grandi Stazioni si maggio 2014 scarp de’ tenis

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scarpmilano attivi e dia corso alla recupero dell’area».

L’anima dell’antica Greco Il piano di risanamento del gruppo di lavoro “progetta.MI”prende a esempio, fra gli altri, Le Viaduc des Arts di Parigi, con i vasti laboratori artigianali e gli spazi espositivi per la cultura e la creatività; inoltre prevede una passeggiata alberata con pista ciclabile in via Ferrante Aporti e nella parallela Sammartini, giardini pensili sopraelevati, luoghi commerciali e caffetterie. Il pool di tecnici che ci ha lavorato è partito dall’ascolto dell’antico quartiere Greco, che pullalava di arti e mestieri, attualmente diviso in due. Il progetto ha puntato infatti a trasformare il rilevato in una cerniera che riunisce ciò che era stato diviso, restituendo al territorio l’antica anima artigianale e creativa. Tra i protagonisti che hanno collaborato a svelare le origini di Greco ci sono tanti illustri artisti, di fama internazionale, che abitano nel quartiere: Emilio Isgrò, Sandro Martini, Alberto Ghinzani, Nataly Mayer, Grazia Varisco; a loro si sono uniti anche la scultrice e ceramista Fausta Bonfigli, il pianista Emanuele Ferrari e tanti abili artigiani, come Messineo, conosciuti e apprezzati a livello nazionale. «Restituire gli spazi e la dignità originaria di questi luoghi alla cittadinanza è un’urgenza improrogabile – racconta Irma Surico –. Oggi, dentro i magazzini, resistono pochissime attività: un negozio di surgelati, un ristorante di pesce, un fabbro e, se non sbaglio, un paio di discoteche. Nei documenti del 1986 risultavano presenti 126 attività commerciali, dal carpentiere al deposito di olio, dai grossisti di pesce al deposito di ceramiche. Il rilevato ha un potenziale dal valore sociale ed economico che Milano non può sprecare, soprattutto in vista dell’Expo. Pensiamo ai turisti che andranno a visitare il Memoriale della Shoah di via Ferrante Aporti. Basterà che si spostino di pochi metri per trovarsi di fronte al degrado del rilevato: non è dignitoso per la città. Il nostro sogno è invece portare i turisti dal centro verso i quartieri storici semi-periferici, come il nostro: il rilevato ristrutturato sarebbe un volano culturale ed economico fenomenale per l’intera Milano». Nel progetto presentato da 4 tunnel

la viabilità viene ripensata in funzione di una riqualificazione complessiva dell’area compresa tra le vie Oxilia, Cavalcanti, Aporti e Varanini (oggi preda dello spaccio) e si propone la valorizzazione della bella e storica piazza Morbegno che, con i suoi palazzi liberty e il palazzo Terragni, gioiello di scuola razionalista conosciuto in tutto il mondo, potrebbe essere restituita al quartiere e a tutta la città con limitati e sostenibili investimenti. Dopo la ristrutturazione di due dei quattro tunnel compresi tra viale Brianza e via Popoli Uniti, sottratti al degrado da un intervento dell’amministrazione comunale, gli abitanti di Zona 2 hanno iniziato una raccolta di firme a sostegno di una petizione per chiedere alle istituzioni – dal comune al ministero per le infrastrutture – un intervento risolutivo

da parte di Grandi Stazioni, Ma l’associazione 4tunnel è impegnata anche su altri fronti. «Il nostro – puntualizza la presidente – è un quartiere a forte immigrazione e ci piacerebbe che le famiglie di immigrati, da anni residenti qui, entrassero a far parte dell’associazione. Sarebbe un modo per avere cura, tutti insieme, del territorio dove viviamo. Ci rendiamo però anche conto che l’integrazione è un percorso lungo e c’è bisogno del rispetto delle regole. Spesso troviamo, ad esempio, depositi di mobili e quant’altro in strada. Allora abbiamo pensato che tante persone nuove del quartiere non sappiano come smaltire questi rifiuti. “Vediamola in positivo”, ci siamo detti. E abbiamo preparato dei fogli informativi su come smaltire i diversi tipi di rifiuti e, tradotti in tutte le lingue, li abbiamo distribuiti alle portinerie per farli arrivare a tutti. Un’altra piccola battaglia che abbiamo iniziato riguarda i marciapiedi pieni di deiezioni canine. Il nostro volantino è spiritoso, c’è l'immagine di un cane che chiede al padrone di non fargli fare brutta figura e lo prega di raccogliere gli escrementi. E intanto abbiamo pensato di distribuire ai distratti i sacchetti nei punti strategici, pagati naturalmente di tasca nostra. Noi ci poniamo come facilitatori dei rapporti fra il cittadino e il comune. Perché le iniziative dell’amministrazione non mancano, ma abbiamo riscontrato due grandi problemi da risolvere: troppa burocrazia e carente comunicazione».

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Qualche falla, nel pur meritorio regolamento Stradaperta, varato un anno fa. Il comune: «Lo stiamo perfezionando»

Artisti di strada, regole ok. Anche se... di Stefania Culurgioni Un gigante peloso blu si aggira per piazza Duomo. Ha in mano una palla verde con un occhio solo che ghigna furbescamente. Chi ha visto il cartone animato, conosce la loro identità: sono Sully e Mike, i due protagonisti di Monsters and Co., film d’animazione che ha vinto l’Oscar nel 2002. Però vederli scorrazzare liberamente di fronte il profilo della bianca cattedrale di marmo, illuminata dal sole di primavera, fa un certo effetto. D’altronde non sono i soli: a qualche metro, una statua coperta da una tunica bianca sembra essersi ingessata nel tempo: pare immobile, ma le palpebre battono e la bocca si muove. Neanche dieci metri dopo, un neonato in formato adulto strilla dentro a una carrozzina sul ciglio della strada: ha un testone da uomo maturo, persino qualche ombra di barba, e le sue smorfie non sembrano proprio infantili... Un popolo di strani personaggi, insomma, si aggira per le strade di Milano, soprattutto durante i fine settimana. È il popolo degli artisti e dei mestieranti di strada, fantasiosi professionisti dello spettacolo d’improvvisazione che inscenano balletti e sketch, tratteggiano i volti dei turisti su pergamene color panna, oppure suonano il loro strumento musicale nelle più svariate tonalità, dal sax struggente al piccolo complesso di chitarre frizzanti e scanzonate. I turisti soprattutto, ma anche i milanesi, cedono al fascino di questi surreali protagonisti della strada e molto spesso lasciano loro una monetina. In pochi sanno che dietro questo mondo colorato e apparentemente aleatorio c’è uno studiatissimo sistema di postazioni e orari, prenotazioni e autorizzazioni. Un sistema – Stradaperta – da poco introdotto, a Milano, che ha aiutato la città a governare meglio il caotico mondo dell’arte di strada, portando in vie e piazze molti più artisti di prima, ma che ha le sue faglie, le sue zone d’ombra, qualche piccola crepa che dovrebbe essere risanata.

Alessandra, vita da artista Alessandra ha cominciato a fare questo lavoro nel 1995, giovanissima, poco dopo essersi diplomata al liceo artistico.

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Simpatici mostri Sully e Mike nel centro di Milano: nuovo regolamento, da un anno, per gli artisti di strada

All’inizio si è inventata il personaggio di un clown, poi si è specializzata nell’arte di modellare i palloncini colorati in mille forme: cani e gatti, fiori e piccoli personaggi. La sua vita lavorativa è sempre stata una lotta ma tutto sommato, facendo anche cento palloncini al giorno, circondata da decine di festanti bambini esterrefatti dalle sue creazioni, è sem-


scarpmilano pre riuscita a guadagnare il suo piccolo dignitoso stipendio, facendo il mestiere che ama di più. «Le cose sono cambiate dall’anno scorso – rivela –, da quando cioè il comune di Milano ha istituito il nuovo regolamento per gli artisti di strada». Il nuovo regolamento, che quest’anno a marzo ha compiuto un anno, si chiama “Stradaperta” ed è gestito dalla Fnas, la federazione nazionale degli artisti di strada, che si è guadagnata il servizio per conto del comune di Milano. In pratica, si tratta di un cambiamento radicale nel metodo di gestione del mondo dell’arte all’aperto: cambiamento che da un lato ha migliorato la situazione, ma d’altro canto ha portato qualche scontento. Mentre infatti fino all’anno scorso chi voleva esibirsi in strada doveva recarsi all’ufficio dei vigili, fare la coda e dare il suo nome (poi avveniva un’estrazione a sorte e si attribuivano via via gli spazi migliori), adesso bisogna iscriversi e prenotare la propria postazione online: sono poi gli uffici comunali che valutano le richieste e le inseriscono negli spazi orari liberi, rimandando l’accettazione via mail, che l’artista deve stampare e portarsi dietro durante il suo spettacolo. «Questo metodo ha migliorato molto le cose. Oggi gli iscritti alla piattaforma di Milano sono circa 1.070 e l’offerta di spettacoli si è arricchita moltissimo e dà spazio a molti più artisti – ha spiegato Enrico Chierichetti, responsabile del servizio negli uffici di via Dogana –. Certamente questi mille non girano tutti contemporaneamente, c’è chi viene solo durante l’estate e non torna più, ma arrivano da molte parti d’Italia e anche dall’estero. Prima il permesso veniva rilasciato dai vigili, personalmente. Dovevi andare al comando e prenotavi per la settimana, ma i posti erano molti meno. Pagavi qualche euro, le postazioni venivano sorteggiate come una lotteria, spesso facevi una lunga coda e poi magari alla fine non c’era posto per tutti».

Molti pregi, qualche difetto L’informatizzazione del servizio ha dato più democraticità e più ricchezza al calendario a cielo aperto, ma ha anche creato qualche problema: «Il regolamento prevede che non si possano prenotare più di tre ore di fila al giorno – ri-

La storia

Paolo, il “pianista fuori posto”: «Mi piace regalare emozioni»

La mattina che lo incontriamo sul sagrato del Duomo, in un sabato pieno di persone, sta suonando il pianoforte con un viso talmente solare, come se la sua musica lo rendesse estremamente felice, che è impossibile non fermarsi ad ascoltarlo. Paolo Zanarella è uno degli artisti di strada più noti e amati nei fine settimana di aprile, perché si fa trovare nei posti più inaspettati (ti chiedi: e come avrà fatto a trasportare quel grosso pianoforte in pieno centro?). Mentre lui batte le dita sui tasti, il suo aiutante vende i cd allineati su un banchetto, insieme a un cappello per le offerte, e racconta e spiega ai curiosi che si avvicinano per fare domande e per chiedere una dedica. Paolo ha 46 anni, è veneto e il suo lavoro sarebbe, durante la settimana, quello di consulente aziendale. Ma è nei giorni di festa che viene fuori il suo vero talento. Anche lui si è iscritto al portale Stradaperta del comune di Milano, ha fatto la sua prenotazione e si esibisce per strada come gli altri artisti. «Guarda, proprio stamattina i vigili mi hanno dato una multa – dice, mostrandomi il verbale di polizia – perché ho iniziato alle 8 e non alle 9, come da prenotazione. Io però stavo solo accordando il pianoforte...». Gli toccherà pagare 120 euro, ma il peso probabilmente non sarà eccessivo per le sue tasche. Paolo infatti viaggia per tutta l’Italia e si è inventato le postazioni più inverosimili dove piazzare il suo pianoforte: persino su una piattaforma dentro al mare, o in montagna affacciato su scenari mozzafiato. Questa attività la porta avanti ormai da dieci anni. «Il rapporto con le persone è sempre stimolante – racconta Paolo –; ci sono quelli indifferenti e quelli curiosi, quelli emozionati e quelli che semplicemente sorridono». Di certo, è impossibile non provare emozioni. La sua musica al pianoforte si mischia con la città a cielo aperto, fa da cornice: trasforma una semplice camminata in piazza Duomo un viaggio più profondo, più ricco di contenuti e sentimenti. (Ndr, per rispondere alla domanda iniziale: il pianoforte si ricompatta in un carrello con le ruote, ed è così che raggiunge facilmente tutti i luoghi della città...). maggio 2014 scarp de’ tenis

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prende Alessandra –, ma in molti si mettono d’accordo. Per esempio, prima prenotano le loro tre ore, poi chiedono a un amico di bloccare lo slot successivo. Il giorno prima, l’amico disdice ed è troppo tardi per gli altri artisti per accaparrarsi quel posto. Il “complice” così, sapendo che quelle tre ore sono buche, va ad occuparle, e in tutto ne fa sei». Alessandra poi racconta altri dettagli: «Il problema è che le ore migliori, cioè quelle pomeridiane, sono sempre occupate e spesso restano solo le fasce mattutine inutili, in cui non gira neanche un bambino. Oppure si è costretti a garantire un’ora vuota dopo ogni slot di tre, ma quel tempo sarebbe invece utile per lavorare ancora. Un’altra cosa: i mestieranti di strada pagano l’occupazione del suolo pubblico, i musicisti no, ma tanti musicisti vendono i loro cd facendo un sacco di soldi. Non è ingiusto?».

Commissione di qualità Dagli uffici di via Dogana in effetti confermano di essere al corrente di questi problemi: «Sappiamo che ci sono scorrettezze nell’uso della piattaforma – sostiene Enrico Chierichetti –; è una cosa che gli artisti fanno, ma nessuno degli altri fa mai una denuncia in prima persona, perché hanno paura di ritorsioni: la legge della strada è terribile, è una giungla dove i più scaltri prevaricano sugli altri. Anche io una volta mi sono accorto di un artista che aveva furbescamente creato due account. Conside-

riamo però che abbiamo 230 postazioni attive, di cui 40 in centro, ciascuna prevede 4 slot orarie al giorno, dovremmo insomma avere un nucleo di polizia urbana dedicato solo a questo. Controllarli tutti è impossibile». Il funzionario rassicura però sul fatto che il comune sta lavorando per fare delle modifiche al sistema. «Inoltre

abbiamo chiesto a ogni artista di introdurre la sua biografia e un suo filmato – conclude Chierichetti –, affinché un’apposita commissione di qualità, che presto creeremo, possa valutare la coerenza di quello che fa con il suo profilo. Insomma, se uno dice di essere un mimo, poi non può suonare uno strumento...».

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“Stradaperta”, i cittadini possono sapere... Il regolamento del comune di Milano disciplina due distinte categorie di artisti: le “espressioni artistiche di strada” (giocolieri, clown, acrobati, equilibristi, contorsionisti, cantastorie, attori di strada, statue viventi, mimi, ecc) che non prevedono richieste di compensi, ma solo eventuali offerte “a cappello”, e i “mestieri artistici di strada” (ritrattisti, pittori, scultori, truccatori, ecc.), che invece chiedono uno specifico corrispettivo per la realizzazione e vendita delle loro opere o per prestazioni estemporanee di carattere artistico-espressivo. Per questa categoria di attività, che ha un modesto risvolto commerciale, è previsto il pagamento della tassa di occupazione suolo pubblico (Cosap) in una misura minima (coefficiente moltiplicatore del canone dello 0,2%). Per i mestieri artistici di strada è stata inoltre introdotta una rotazione delle postazioni con frequenza non superiore ai tre mesi, per consentire a un numero maggiore di soggetti di poter occupare le postazioni individuate; gli artisti, invece, hanno la possibilità di disporre delle postazioni individuate per slot di tre ore e per un massimo di quattro giorni consecutivi, nell’arco orario dalle 9 alle 24, fatte salve alcune limitazioni (ad esempio nei parchi soggetti ad apertura e chiusura dei cancelli) e il termine alle 22 per le esecuzioni musicali. La vera novità comunque consiste nell’introduzione di un sistema informatizzato che consente, da un lato, agli artisti di strada di prenotare i propri spazi, e dall’altro ai cittadini di conoscere, attraverso internet, anche il programma di attività che vivacizza il territorio. Attraverso l’utilizzo della piattaforma, fornita da Fnas, è possibile individuare le postazioni (al momento ne sono state caricate più di 230, con relative caratteristiche, inerenti i limiti d’esercizio, riguardanti in particolare le emissioni acustiche).

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Un libro e un disco, per conoscere ancora più a fondo il grande Jannacci

Roba minima, l’arte di un genio di Andrea Pedrinelli «Sono gratificato e commosso da quanto avete pensato di fare, andate avanti». Enzo Jannacci, già molto malato, mi rispose così quando gli comunicai l’idea del concerto teatrale Il Saltimbanco e la Luna con Susanna Parigi, in scrittura dal 2011 e destinato a debuttare nel giugno 2013. Chi legge Scarp già conosce questo progetto, anche perché abbiamo voluto subito che si prestasse ad aiutare chi ha bisogno. Come Enzo faceva, non soltanto cantando i senzatetto, gli immigrati, i cosiddetti “ultimi”: che poi per lui erano eroi. Eroi della dignità. Questo progetto, in me, è nato in fondo quando Jannacci l’ho conosciuto. Ed Enzo era un uomo – prima che un artista – capace di dire, nelle interviste: «Chi perde la dignità una volta l’ha perduta per sempre. Cosa possiamo dire ai giovani? Scrivi questo, Pedrinelli: con la cole, per la rassegna teatrale “Prospettiscienza non si traffica. Mai». Il Saltimve”), in giugno al Teatro Romano di banco e la Luna va dunque avanti. CoFiesole (il 15, in una serata dedicata alme ci ha detto Enzo, e perché Enzo era la cultura di Milano), nella prossima quella roba lì. E andrà avanti sempre stagione torneremo a Milano, al Teatro affiancato da Scarp. In maggio saremo alle Colonne, anche per ricordare Ena Turate (il 17, nella Sala polifunzionazo e le sue scarp del tennis, come del resto è già stato fatto a fine marzo, a un anno dalla morte. Intanto però io e Susanna Parigi abbiamo portato a compimento anche il nostro personale omaggio a Enzo, fuori dal metterci in gioco come “attori”, tornando ai nostri mondi. Io terminando un libro, Susanna un disco. Roba minima (mica tanto), uscito per l’editore Giunti, è il primo volume che in

Attori e autori Andrea Pedrinelli e Susanna Parigi nel concerto teatrale “Il Saltimbanco e la Luna”. Nelle altre immagini, la copertina del libro di Pedrinelli e quella del disco di Parigi, dedicati a Enzo Jannacci

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Italia tratta un artista italiano come un patrimonio culturale. Enzo ha cantato 233 canzoni? Le ho analizzate tutte, ho scovato aneddoti, censure, curiosità, i veri significati dei testi; ho intervistato coautori, arrangiatori, musicisti, amici, da Boldi a Cochi, dal regista Crivelli ai medici, dagli allievi del cabaret ai sodali Tomelleri e Farina. Roba minima parla di Jannacci artista e uomo, lo racconta canzone per canzone e parola per parola, al cinema, in tv, a teatro, fra Dario Fo, Cochi e Renato, Luciano Bianciardi. Si può consultare per sapere la vera storia di Vengo anch’io o delle mille versioni di Quelli che…, ma anche per conoscere l’Enzo medico e quello del teatro, l’uomo di fede pudica e il cantautore impegnato, la sua Milano e l’amicizia con Viola, le lezioni date ai giovani e l’amore per il jazz, nonché canzoni nascoste capaci però di parlare di piazza Fontana, del degrado morale del mercato (nel 1974…) o del rapporto con l’universo valoriale del suo papà. Non sta a me dire se è un bel libro. So solo che vuole ricordare che no, non sono “roba minima” l’arte (e l’umanità) di Enzo Jannacci.

Un disco da collezione Il Saltimbanco e la Luna. Un omaggio a Enzo Jannacci (distribuzione Egea) è invece la testimonianza, su disco, del lavoro fatto da Susanna Parigi. Che nel tempo è solo la terza artista ad aver avuto il coraggio di affrontare il canzoniere del Dottore. Le altre due sono state Mina e Milva. Ma Susanna è cantautrice: che qui ha accettato di mettersi in gioco come esecutrice, per valorizzare il proprio dono di artista, dando voce a un Maestro.


Dopo aver scelto i brani dello spettacolo, li ha trascritti per piano ascoltando i dischi (non esistono spartiti…), li ha arrangiati senza fare pianobar, li ha calati dentro di sé. Come racconta nel libretto del cd, che contiene anche il contributo di un disabile per riflettere sulla disabilità, oltre che foto, disegni, storia delle canzoni. Che poi sono quelle che Enzo sottolineava fondamentali nel proprio percorso. E dunque Il cane con i capelli del provino in Rai, E l’era tardi sulla torrida indifferenza davanti a chi soffre, Natalia sull’esperienza da medico, La fotografia o del cantare la mafia a Sanremo, e ancora Come gli aeroplani, L’uomo a metà, Vincenzina e la fabbrica, Io e te, Parlare con i limoni, Sono timido. Più tre brani di Susanna stessa (Liquida, L’attenzione, L’insulto delle parole), in linea con i contenuti dell’opera di Jannacci. E infine quella El por-

L’evento

Intitolato a Enzo Jannacci il centro di accoglienza Ortles Una festa in scarpe da tennis. Tra musica, cabaret e impegno sociale. Con tanta bella gente. Colorata. Insomma, una festa di quelle che sarebbe tanta piaciuta a Enzo Jannacci. Questo, e molto di più, è stato “Se me lo dicevi prima”, pomeriggio di festa organizzato (con la direzione artistica di Smemoranda) dall’assessorato alle politiche sociali del comune di Milano lo scorso 5 aprile, in occasione dell’intitolazione a Enzo Jannacci, a un anno dalla morte, della Casa dell’accoglienza di viale Ortles. Per un pomeriggio la struttura comunale che offre ospitalità temporanea a centinaia di homeless e, in generale, a persone adulte in difficoltà, in grave stato di bisogno, prive di una diversa risorsa abitativa e senza mezzi economici per procurarsela, si è trasformata in un palcoscenico capace di riunire, nel nome di Jannacci, alcuni tra i più bei nomi della Milano con il coeur in man. Grazie alla direzione direzione artistica di Nico Colonna e Gino e Michele, direttori di Smemoranda, Diego Abatantuono, Ale&Franz, Paolo Belli, Enrico Bertolino, Bove e Limardi, Vinicio Capossela, Cochi Ponzoni, Mario Lavezzi, Flavio Oreglio, Mauro Pagani, Paolo Rossi, Gabriele Salvatores, Bebo Storti, Fabio Treves e tantissimi altri si sono presentati sul palco allestito nel giadino della casa di accoglienza accompagnati dai disegnatori Fabiano Ambu e Sergio Gerasi, due delle firme della mostra “La mia gente” realizzata da Scarp de’ tenis. Ma non solo. Durante il pomeriggio, per i più piccoli, ci sono stati animazione, gelati, pop corn e zucchero filato, oltre a un raccolta benefica di giocattoli da regalare ai bimbi ospiti delle case famiglia e delle comunità per i minori. «Intitolare a Enzo Jannacci il dormitorio di Milano, oggi spazio polifunzionale – ha detto l’assessore alle politiche sociali, Pierfrancesco Majorino – vuol dire ricordare un artista capace di raccontare la vita vera della città, ma significa anche innovare la qualità dei nostri servizi, togliendoli dal margine. Credo che tutta Milano debba farsi carico dell’ospitalità e del sostegno offerto a chi ha meno e si trova suo malgrado emarginato». Nel 2013, nella struttura di viale Ortles, sono state accolte 1.482 persone dai 18 ai 65 anni, 137 in più rispetto al 2012. Gli ospiti sono prevalentemente uomini (64,7%) e gli stranieri raggiungono il 76,5% delle presenze (727 uomini e 407 donne). A Milano, in totale, sono 2.700 i posti letto allestiti per i senzatetto. (nella foto, il momento dell’intitolazione a Enzo Jannacci, alla presenza del figlio Paolo)

tava i scarp del tennis con cui Jannacci divenne “Saltimbanco” (propria autodefinizione), e alla quale presta la voce l’amicizia di Enzo Iacchetti.

Genio da non dimenticare Anche qui, non sta a me dire se è un bel disco. Sta a me dire che, in fondo, si voleva guardare la luna: come faceva Enzo nel brano che dà parte del titolo al concerto teatrale, Mamma che luna che c’era stasera. Perché la luna è la vita, cui il Saltimbanco ha sempre guardato per provare a ridarla agli altri – a noi che cerchiamo faticosamente di capirla –, con modi surreali eppure concreti, poetici e struggenti. Con i modi di Enzo Jannacci: per me e Susanna, professione genio. Se possibile, da non dimenticare.

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l’altra Milano Nei mercati rionali la conoscono in tanti. «Arrotondo. E sto con la gente»

Anna crea e aggiusta monili «Io alla mensa non voglio andare» di Tony Meraviglia

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LI ANTICHI MESTIERI CHE SEMBRAVANO ESSERE SCOMPARSI, stanno pian piano tornando nei quartieri di Milano. Noi raccontiamo Anna, che della sua passione ha fatto tesoro. Questa nonnina la si può incontrare nei mercati rionali meneghini, intenta ad aggiustare orecchini, bracciali, collane e tutto ciò che fa da ornamento e bellezza. «Ho sempre avuto la passione per la bigiotteria – racconta – e a casa mia le collane e gli orecchini delle mie figlie li ho costruiti con le mie mani. Sono casalinga e, dopo le faccende domestiche e un caffè con le vicine di casa, mi piace passare i pomeriggi armeggiando con pinze, forbici e tenaglie. Con discreti risultati. Quando le mie figlie andavano ancora a scuola, le compagne domandavano dove acquistavano quelle collane così originali e loro rispondevano che era tutto merito della mamma: loro proponevano, io creavo». Il suo passatempo quotidiano si è trasformato in mestiere da circa vent’anni. Anna continua il racconto, con un filo di malinconia, parlando di quando con il marito, impiegato in una fabbrica a Milano, conducevano una vita agiata: i figli hanno potuto studiare, andavano a trovare i parenti nel mezzogiorno d’Italia in occasione delle feste comandate, con il suo stipendio si viveva bene. «Ma nel 1990 la mia vita è cambiata – racconta Anna –: una brutta malattia ha portato via mio marito e così mi sono rimboccata le maniche e della mia passione ho fatto un mestiere. Questo perchè la reversibilità di mio marito arriva appena a 500 euro e a me, che ho problemi di vista, questa cifra non basta nemmeno per cambiare le lenti. Poi a Milano la vita sta diventando sempre più cara: ho la casa popolare ma tra affitto, bollette e spesa non si vive proprio benissimo. Io alla mensa non ci voglio andare. Le mie figlie adesso sono sistemate ma non posso esser loro di peso, io ho i miei tempi e le mie cose da fare, ho vissuto la mia vita e loro devono vivere la loro. Sai com’è quando in casa c’è una persona anziana, iniziano battibecchi... Perciò finché sono autosufficiente voglio vivere da sola, anche se loro passano a controllare». Anna nei mercati è conosciuta, infatti attorno al suo piccolo banchetto c’è sempre qualcuno che chiede, compera o lascia qualcosa da aggiustare. «Questo è un bel modo per passare la giornata in compagnia – conclude Anna –. Per un certo periodo cerano anche due ragazze che venivano a casa mia per imparare i i trucchi del mestiere. Quando io non ci sarò più chi ci sarà a infilare una collana di perle, aggiustare un gancio di bracciale o sistemare gli orecchini? Se qualcuno mi dice che vuole imparare, io rispondo subito: “Non diventerai ricco, ma pranzo e cena li rimedi. E inoltre stai in mezzo alla gente, che fa sempre piacere”...».

«Nel ’90 la mia vita è cambiata: una brutta malattia ha portato via mio marito, così mi sono dovuta rimboccare le maniche»

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latitudine como Settimana di raccolta di aiuti alimentari: 30 mila alunni coinvolti

Donacibo in 170 scuole: lezione (appresa) di generosità di Salvatore Couchoud

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‘È UN METODO SEMPLICE E INFALLIBILE PER OFFRIRE AI BAMBINi l’opportunità di tirar fuori il meglio di loro, e per di più con solerte entusiasmo, ed è quello di coinvolgerli nelle iniziative di solidarietà a sostegno degli umili e dei sofferenti. Non sarà l’uovo di Colombo, ma gli somiglia parecchio. Ed è quanto si sta sperimentando, ormai da otto anni, tra le scolaresche delle direzioni didattiche che partecipano al progetto “Donacibo”, settimana di raccolta di generi alimentari promossa dal Banco di Solidarietà di Como. Sono 30 mila gli studenti coinvolti nelle 170 scuole di ogni ordine e grado che hanno accettato la proposta, con l’occasione aggiuntiva, riservata ai bimbi più piccoli, delle materne e delle elementari, di apprendere i primi rudimenti dell’arte del dono libero e gratuito. Per Sonia Bianchi, presidente del Banco e responsabile di un progetto patrocinato, oltre che dalla provincia e dalla direzione didattica provinciale, da una varietà di soggetti (tra i quali Cisl Scuola dei Laghi Como e Varese): «nel 2013 sono state venti le tonnellate di generi raccolte a beneficio delle 350 famiglie povere del territorio lariano che si sono rivolte al Banco di Solidarietà per ricevere aiuto e che sono state rifornite con continuità grazie all’impegno dei 28.203 studenti delle 158 scuole che hanno aderito alla settimana Donacibo. I dati in nostro possesso attestano che Como risponde molto più generosamente di altre province, ed è apprezzabile il fatto che più della metà delle derrate raccolte proviene non da enti o soggetti che operano nel settore alimentare e della ristorazione, come per esempio bar, negozi e supermercati, ma direttamente dalle famiglie comasche, che in fatto di solidarietà non sono seconde a nessuno. Senza dimenticare la preziosa collaborazione che abbiamo ricevuto, accanto a quella della Cisl, del comune e della provincia di Como, da una serie di associazioni, che vanno dalla Caritas agli Alpini e dalla Croce Rossa all’Anteas: senza il loro supporto sarebbe stato difficile tenere aperta la nostra struttura 365 giorni l’anno, Pasqua e Ferragosto inclusi, con grave penalizzazione di tutta l’attività che ci sforziamo di sviluppare al meglio delle nostre possibilità». Una nota dolente dell’operazione però c’è, come è stato rimarcato dalla responsabile Cisl scuola, Adria Bartolich. Ed è più che altro legata alla necessità di ampliare la platea dei volontari che si impegnano nell’iniziativa e anche delle scuole che vi aderiscono, essendo in costante crescita il numero delle famiglie disagiate e più flebili che mai i segnali di ripresa economica, al di là delle promesse che vengono dagli ambienti governativi. «La recrudescenza della crisi – conclude la Bartolich – impone l’adozione di strategie e di interventi sempre più estesi e capillari, e questo rende indispensabile l’incremento delle persone che si dedicano all’azione di sostegno delle fasce più deboli: ma i volontari sono purtroppo merce rara, e non bastano mai».

Como risponde in maniera generosa, molti alimenti raccolti per aiutare persone in povertà provengono da privati

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Al Circolo Passoni pranzando socializzo Riaperta la storica mensa del quartiere Barriera di Milano

di Vito Sciacca e Marco Contu Nel contesto della lotta alla povertà le mense, in quanto luoghi deputati a soddisfare uno dei bisogni primari delle persone, rivestono un’importanza fondamentale al punto che, nel solo territorio cittadino torinese, ne sono presenti oltre una decina. In quest’ambito parlare della piccola struttura sita all’interno del circolo Passoni (di via Pietracqua 9), nel cuore del popolare quartiere Barriera di Milano, potrebbe sembrare superfluo. Tuttavia essa possiede alcune peculiarità che la rendono degna di nota. Operativa dall’inizio dell’anno, la mensa è sorta in seguito ad una specifica richiesta fatta dai servizi della circoscrizione 6 a due associazioni: “Arcobaleno” – da anni artefice dello sviluppo d’attività propedeutiche all’inserimento lavorativo di utenti dei servizi di salute mentale – e “Unicorno”, dedita alla promozione sportiva e culturale. Dalle analisi dei bisogni svolte nel quartiere dai servizi sociali, con un’elevata presenza di anziani appartenenti a fasce disagiate spesso privi di reti faIl Mattino ha occhi di perla miliari e di vicinato, era infatti emersa e dita di cristallo. la necessità di coniugare alimentazione e socializzazione. La risposta è alloIl Mattino è pallido e gentile, ra stata quella di fornire opportunità di pacato e tenero. accesso a pasti ad un prezzo contenuto Il Mattino ha nivei capelli (2,50 euro, grazie a un contributo comunale) unitamente a possibilità d’ine veste d’argento. contro e relazione, in particolare per le Il Mattino risveglia persone più sole o con maggiori diffil’allodola coltà di socializzazione.

Il mattino

Menu differenziati «È un dato di fatto – sostiene Vittoriano Mega, vicepresidente dell’associazione Arcobaleno – che molto spesso chi vive solo, in particolare se anziano e disagiato economicamente, si nutre in maniera sbilanciata e spesso con cibi di bassa qualità. Uno dei punti di forza di questa mensa è la differenziazione dei menù, realizzati con prodotti acquistati sul mercato e quindi non dipendenti dalle forniture del Banco Alimentare, e l’attenzione prestata al corretto equilibrio nutrizionale di ogni pasto servito». Un’altra particolarità di questa mensa è il fatto di essere ad accesso

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e scioglie voli nel cielo. Il Mattino cancella le stelle e schiude le rose. Il Mattino palpita di speranza e dispensa promesse. Mattino, soave e benigno, mantienile Mary

aperto: se da un lato per accedervi occorre essere conosciuti dai servizi sociali, questo non toglie che chiunque possa recarvisi a mangiare, previo pagamento di un importo ragionevole, come in qualunque altro locale pubblico: ciò viene fatto proprio allo scopo di non creare un ghetto, un locale per “poveri”, ma essere anzi un punto d’incontro paritario tra cittadini. D’altro canto questa filosofia riecheggia le origini stesse del luogo: «Per quarant’anni – racconta Nando Silvano, presidente dell’associazione Unicorno nonché del circolo Passoni – questo è stato un circolo socialista, un luogo dove la gente del quartiere s’incontrava dopo il lavoro per giocare a bocce e bere un bicchiere in compagnia».


scarptorino Avviata nel febbraio scorso, la mensa sociale ha iniziato ad essere conosciuta nel quartiere e, gradualmente, anche dagli utenti dei servizi di altre parti della città: ad oggi si contano mediamente una decina di persone che pranzano ogni giorno al Passoni, ma i responsabili del progetto ritengono che sia necessario un periodo di almeno 6 mesi per svolgere una valutazione oggettiva di un servizio che, per sua natura, deve superare qualche resistenza psicologica all’accesso (diffidenza, vergogna ecc.) e ha bisogno di tempo per esprimere le sue potenzialità in termini di socializzazione. Il circolo, che era chiuso da quattro anni, si è rivelato il luogo ideale ai fini del progetto: sia per la presenza di un locale ristorante, che attualmente costituisce la mensa vera e propria gestita da volontari ma anche da professionisti retribuiti per garantire un servizio di qualità e in accordo con le normative vigenti, sia per la presenza di un ampio giardino esterno che sarà utilizzato per ospitare rassegne (musicali e teatrali) e incontri. «Il progetto, infatti – prosegue Silvano – non si ferma alla semplice ristorazione ma intende offrire momenti aggreganti a tutto il quartiere nel tentativo di riallacciare quella socialità che la crisi, e in senso più ampio i tempi attuali, ha lacerato».

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Il circolo Passoni è aperto dal lunedì al sabato da metà mattinata al primo pomeriggio. Per info 011/0606502.

Attivo anche un gruppo di acquisto collettivo Un’ulteriore attività svolta all’interno del circolo Passoni, sempre correlata al cibo, è il Gac (gruppo di acquisto collettivo), una iniziativa nata nel 2007 e che attualmente coinvolge circa 35 famiglie del quartiere. «Si tratta di una proposta indirizzata a nuclei che possono contare su un reddito medio, anche se non mancano aderenti di fascia sociale più bassa – spiega Maurizio Ritorto, di Arcobaleno – che, ogni settimana, acquistano merci per un importo medio complessivo di circa 1.200 euro. Comprensiva di circa 200 prodotti, e con innegabili vantaggi sia dal lato economico sia, soprattutto, qualitativo, il Gruppo di acquisto collettivo promuove al suo interno anche incontri conoscitivi finalizzati a creare consumatori consapevoli, ed anche quest’iniziativa crea una sorta di ricaduta sotto forma di socializzazione ed interscambio d’esperienze tra i suoi fruitori. «Se l’esperienza della mensa si consoliderà nel tempo – prosegue Ritorto – è inoltre ipotizzabile una sinergia tra queste due iniziative».

Facce da Scarp

Accogliente Rivoli, prega per i funghi... Tempo fa sono stato incaricato di vendere Scarp nella parrocchia San Giovanni Bosco di Rivoli (To). Ho ricevuto fin da subito un’ottima accoglienza, il diacono Michele mi ha invitato a pranzo a casa sua. Con il passare del tempo la mia posizione si è rafforzata, sono stato ospitato presso la parrocchia La Stella, ho ricevuto l’appoggio di don Giovanni e della volontaria Marilena. In certi momenti avevo quasi l’impressione di essere stato adottato da tutti gli abitanti di Rivoli… Mi piace rendermi utile, e in una parrocchia c’è sempre da fare qualcosa. Dopo un paio di settimane sono diventato custode del dormitorio per i senzatetto della parrocchia di San Martino. Ho iniziato a fare un orticello. Col passare del tempo le sorprese piacevoli sono continuate: un giorno sono entrato in un negozio di articoli da giardinaggio per comprare dei semi e informarmi sui prezzi di alcuni utensili che mi servivano. Avevo solo 10 euro in tasca. La titolare mi ha domandato: «Ma tu sei quello che ha fatto l’orto a San Martino?» Risposi che sì, ero io. E lei: «Allora non paghi niente e quando avrai bisogno di piantine te le preparo, non ti costa nulla». Mi ricorderò quelle parole per tanto tempo. Quando ho proposto una coltura di funghi in cantina nella struttura di San Martino, da tutte le parrocchie di Rivoli mi sono arrivate informazioni su questa coltura e anche sostegno materiale. Invito allora i lettori a pregare per me, affinché non abbia un fallimento totale nella coltura dei funghi. Gheorghe Mateciuc maggio 2014 scarp de’ tenis

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genova I laboratori della cooperativa Il Melograno puntano anzitutto a ridare fiducia a chi, da anni, vive inoperosità ed emarginazione

Il punto di svolta è stata una porta di Mirco Mazzoli Ricominciare a fare, tornare a svolgere un’attività che dia un senso alla giornata. In certe storie di emarginazione è questa, prima ancora della necessità di uno stipendio in tasca, l’autentica conquista: dimostrare a se stessi che si è ancora capaci, che il tempo non ha smarrito le competenze dopo mesi, a volte dopo anni di inoperosità forzata. Riprendere fiducia. È l’obiettivo dei due laboratori di “Prossimi al lavoro”, progetto inserito nell’iniziativa “Tutte le abilità al centro” promossa dalla regione Liguria e cofinanziata dall’Unione europea. Attivati dalla cooperativa sociale Il Melograno, i due laboratori propongono restauro mobili e piccola falegnameria per 10 uomini, lavanderia e cucito per cinque donne. Coinvolgono sia italiani che stranieri. Gli inizi non sono stati semplici: si trattava di credere non solo nell’esistenza di attitudini spesso invisibili coordina i due laboratori – abbiamo ma anche nella costruzione di un buon deciso che la prima cosa che volevamo clima di gruppo tra persone rese refratcostruirci era il nostro stesso luogo di tarie dalla vita. lavoro. Abbiamo avuto in dotazione uno spazio al Mercatino dell’Usato della cooperativa Emmaus Genova, con Fare qualcosa di utile disponibilità anche di un’ampia zona E se, dopo mesi, il risultato si avvicina esterna. Uno spazio vuoto che aveva alle attese, l’additivo segreto sta in un bisogno di qualche lavoro di ripristino: atteggiamento paradossale: partire dal ci è sembrata la situazione ideale per poco o niente. «Soprattutto nel caso iniziare ad attivarci, mettendo a prova degli uomini – spiega Fabio Botta, che

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le nostre capacità pratiche e l’amalgama del gruppo». Il punto di svolta è stata una porta, metafora casuale ma perfetta di certi percorsi che ritrovano la maniglia delle propria esistenza: «Una vecchia porta d’accesso, che sembrava da buttare via – ricorda Fabio –. Quando ho detto ai ragazzi che potevamo recuperarla, i più non lo ritenevano possibile e gli altri si sono chiesti che senso avesse. Invece, giorno dopo giorno, la porta ha ripreso vita: sembrava fragile, è tornata a essere robusta e funzionale». Per gli occhi disillusi, un segnale incoraggiante su quel che si può fare, scommettendo su se stessi.

Spazio reso alla comunità Così, di attività in attività, lo spazio ha preso forma: ripulito, ordinato, dotato di nuove strutture in cui dedicarsi al ripristino dei mobili usati che Emmaus Genova propone nel suo mercatino. E siccome lo spazio esterno da alcuni anni non era mai stato così curato, è successo che gli abitanti del vicinato, in modo particolare gli anziani, sono tornati ad affacciarsi su quel cortiletto interno, contenti di vederlo ben tenuto e di trovare gente con cui parlare. C’è persino una serra. «Sono molto contento – racconta uno di loro, dell’Est europeo, facendomi entrare tra infilate di vasi e cassette interrate –. Guarda quante piantine. C’è pure questo… come si chiama… basilico? Ci facciamo tutto da soli». Tira fuori il cellulare, mi fa vedere orgoglioso le foto di alcuni mobili con tinte vivaci: «Guarda, io mi sono fatto anche i mobili di casa, da solo». Chi più chi meno, tutti sono soddisfatti del loro impegno: «Certo non è un lavoro – am-


scarpgenova mettono – ma intanto dimostriamo di saper fare qualcosa». «Non è tutto facile – commenta Fabio – come è normale che sia in un gruppo di lavoro tra persone adulte. Ma in tutti e due i laboratori quello che dà più appagamento, oltre all’emergere delle capacità, è veder crescere la voglia di stare insieme».

Tagliare, ricominciare Il laboratorio di taglio e cucito. Nella pagina a fianco, gli uomini al lavoro per sistemare i mobili del mercatino di Emmaus

Donne che non si arrendono Le donne si incontrano al Monastero dei Santi Giacomo e Filippo della Fondazione Auxilium, nel quartiere San Fruttuoso, da trent’anni luogo di condivisione con i poveri, di servizi rivolti alle persone senza dimora. Ci tengono a dirti che si sentono fortunate, perché stanno bene insieme. «I giorni in cui non ci vediamo sembrano vuoti», confessano. Alternano la lavanderia degli indumenti usati derivanti dalla raccolta cittadina dello “Staccapanni” a lavori di taglio, cucito e ricamo: le guidano due volontarie esperte dell’associazione Per l’Auxilium. Gli oggetti rimangono in dotazione alle stesse partecipanti, per gli usi quotidiano: un guanto da cucina, un grembiule, un paio di asciugamani.

Lavorano bene, si impegnano e imparano, tanto che la Caritas diocesana ha chiesto proprio a loro di confezionare 400 strisce di stoffa con il logo di San Massimiliano 2014, che sono state consegnate il 12 marzo ai giovani che svolgono il servizio civile negli enti ecclesiali, convenuti a Genova per il loro

decimo incontro nazionale. Se la sono messa al collo anche don Luigi Ciotti e gli altri autorevoli testimoni che sono intervenuti. Una soddisfazione magari piccola, certo inimmaginabile solo qualche mese fa. Quel che sembrava uno scampolo di vita è ancora stoffa buona.

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IDEE E PROGETTI A FAVORE DEI SENZA DIMORA .43 marzo 2013 scarp de’ tenis


verona Gusto Solidale, ovvero l’arte del catering che diviene occasione per condividere un lavoro. E dare una svolta alla propria vita

Non si dimentica, il sapore della fiducia a cura di Elisa Rossignoli Nel 2012 a Verona nasce Gusto Solidale, un servizio di catering che coinvolge persone appassionate di cucina e ristorazione. Alcuni di loro sono ospiti della casa di accoglienza “Il Samaritano”. Abbiamo chiesto direttamente ai protagonisti quali sono stati gli ingredienti che hanno fatto crescere questa esperienza, giovane, vivace e gustosa, che ha quasi due anni di vita e un grande entusiasmo. Ecco le loro risposte.

Organizzazione La nostra cooperativa, che fa capo alla Caritas di Verona, si occupa di accoglienza e reinserimento di persone provenienti da situazioni di grave marginalità. Da tempo però, la nostra sfida più appassionata è provare ad andare al di là di tutto questo. Oltre a un posto letto e un pasto caldo offriamo ai nostri ospiti progetti di reinserimento sociale, anche attraverso formazione e lavoro. “Gusto Solidale” è uno di questi. Il mio compito è coordinare la logistica e occuparmi dell’amministrazione. In pratica, di tutto ciò che viene “prima” del servizio vero e proprio. Lo staff di “Gusto Solidale” comprende poi due camerieri e aiuto-cuochi e due cuoche. Queste ultime, oltre a occuparsi della cucina, svolgono il ruolo di tutor nel percorso formativo del personale coinvolto. Qui i ruoli ospite-operatore della casa di accoglienza lasciano il posto ai ruoli professionali all’interno del team. Ciascuno ha i suoi compiti da svolgere, ma allo stesso tempo è conscio del lavoro degli altri. Siamo un gruppo ben affiatato, e questo per il servizio che svolgiamo è essenziale. Ci siamo finora cimentati con coffee-break, meeting aziendali, aperitivi, convegni e altre occasioni conviviali per eventi pubblici e privati, con numeri che hanno raggiunto anche le 200 persone. Solo nell’anno 2013 abbiamo realizzato più di 30 servizi, ricevendo pare-

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ri positivi sullo stile e sulla qualità del nostro lavoro. Una particolarità del nostro catering è la scelta di non somministrare alcolici. Questa caratteristica, che all’inizio poteva sembrare un ostacolo, è sempre stata accolta in modo positivo e valorizzata dai nostri clienti. Davide

Passione Quest’esperienza mi ha da subito entusiasmato, perché cucinare è sempre stata la mia passione. Non vedevo l’ora di

imparare cose nuove, di sperimentarmi. Ma c’era ad attendermi qualcosa di più, che non avrei mai immaginato. Il servizio di catering prevede una parte in cucina e una parte con il pubblico, ed entrambe sono importanti in egual misura. Per me, a causa delle esperienze che avevo vissuto, trovarmi da solo davanti agli sguardi di molte persone avrebbe dovuto essere un problema. Non ero mai stato guardato bene dalla gente. Eppure, nell’ambiente di “Gusto Solidale”, a contatto quotidiano con Mary e i miei compagni di strada, ho pian piano scoperto il piacere dell’incontro con gli altri. Ho imparato che la professionalità è anche gentilezza, sorridere, prendersi cura dell’altro. L’ho sperimentato sulla mia pelle, giorno per giorno, e da allora qualcosa è cambiato.


scarpverona Solidarietà gustosa Gli operatori del catering Gusto Solidale al lavoro. Tra loro anche alcuni ospiti della casa di accoglienza “Il Samaritano”.

Prima non mi importava granché degli altri, nemmeno li vedevo. Forse non vedevo veramente nemmeno me stesso. Ora invece mi entusiasma sorridere alle persone, andar loro incontro e vedere che ciò è apprezzato, che sono apprezzato. I loro sguardi sorridenti me lo dicono. La passione della cucina ora ha assunto un significato più pieno, più vero. E chi l’avrebbe mai detto? Maurizio

Fiducia Avevo già lavorato nella ristorazione, e per me il contatto con il pubblico era facilitato, all’interno di un ruolo ben preciso. A differenza delle esperienze precedenti, però, qui ho potuto imparare molte altre cose utili, perché fin dall’inizio mi sono state richieste mansioni diversificate: servire i cibi e collaborare alla loro preparazione, ma anche all’acquisto degli ingredienti, al trasporto, all’allestimento dei banchetti. A un certo punto, fermandomi a osservare questo prezioso bagaglio acquisito strada facendo, mi sono accorto che c’era una cosa in più, la più importante di tutte, quella che mi mancava: il gusto della fiducia. Nel mio percorso di vita, molte situazioni vissute mi avevano portato a perdere la fiducia negli altri. Questo è pericoloso, perché se accade rischi di isolarti nella tua solitudine, e di non credere più in te stesso, confinandoti nel limbo dei rapporti superficiali. Ma quando ho iniziato a lavorare con Gusto Solidale ho percepito da subito un ambiente positivo, non giudicante, accogliente, e per questo stimolante a dare il meglio. Sentivo che si fidavano di me. Si fidavano davvero! Questo ha fatto tutta la differenza, non

solo sul piano lavorativo, ma soprattutto su quello personale. È stata come la chiave giusta, che apre una porta. Ho imparato a fidarmi anch’io, ad aprirmi agli altri. Ho sentito, dopo tanto tempo, il gusto della fiducia. Non è un sapore che si dimentica facilmente! Roberto

Professionalità e accoglienza È un lavoro che richiede precisione e pazienza. C’è la parte tecnica, che include la preparazione dei cibi, i dettagli da curare sia nella cucina che nel servizio. La professionalità è prima di tutto etica: è mantenere fede all’impegno con

il cliente, è soddisfarlo dando il meglio non soltanto nella qualità del prodotto e nella precisione del servizio, ma anche nello stile, nella cortesia. Ma per arrivare a tale risultato, è necessario partire dall’accoglienza. Le persone che lavorano con me sono tutte diverse, tutte uniche. Non c'è una regola da seguire, una “ricetta”, se vogliamo dire, che funzioni per tutti: ci sono l’accoglienza e l’ascolto. E c’è la pazienza di seguire ciascuno, di aspettare e rispettare i suoi tempi... come quelli del pane che lievita, o del dolce che si cuoce. Un clima che non giudica, in cui ci si sente se stessi, infonde fiducia, e le persone si aprono, ce la mettono tutta, e ottengono risultati che nemmeno immaginavano di poter raggiungere. È impegnativo, dicevo, e ci investiamo molta energia. Ci dà sempre una grande soddisfazione un evento ben riuscito, i complimenti che riceviamo ci fanno piacere e ci incoraggiano ad andare avanti. Ma per me, la soddisfazione più bella è quando vedo i ragazzi lavorare con autonomia e con gusto, tutti immersi in ciò che fanno... Li seguo con lo sguardo e sono fiera di loro. Poi, a un certo punto, accade che alzano gli occhi, mi guardano e mi sorridono. Allora la stanchezza della giornata se ne scivola via. E so che va tutto bene. Mary maggio 2014 scarp de’ tenis

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vicenza A giugno al Festival, dopo due anni di teatri, racconti e incontri

Scarp al Biblico, la strada si fa voce di Cristina Salviati Alla redazione di Scarp Vicenza le discussioni si sono fatte più accese e accalorate in queste ultime settimane. Per tutti noi che ormai ci incontriamo da due anni ogni mercoledì mattina è tempo di bilanci e forse anche di cambiamento. Il 2 giugno prossimo, a coronamento di tutta l’attività fin qui realizzata, debutteremo al Festival Biblico, manifestazione dal carattere nazionale che si tiene a Vicenza da una decina d’anni sul tema delle Scritture, e stavolta il titolo sembrava fatto apposta per noi: “Le Scritture, Dio e l’uomo si raccontano”. Così abbiamo chiesto di portare la nostra esperienza di storie narrate in pubblico in questa sede prestigiosa. Ma come siamo arrivati fin qui, cosa ci ha mosso e ci ha aiutato a compiere i nostri passi in direzione del palcoscenico? La redazione vicentina è formata da persone senza tetto, ospiti delle case di accoglienza, da qualcuno che senCucciolo d’uomo za tetto lo è stato nel passato, dalla giorche hai dato un senso nalista che segue il progetto Scarp e da e una ragione ai giorni miei. volontari più o meno assidui. Voglio cantare, voglio farti sapere

A mio figlio

L’emozione del debutto Tra questi chi è rimasto sempre con noi è Paolo Meneghini, lo stesso che nel giugno 2012 ci ha aiutato a debuttare. Su suo suggerimento l’associazione Etimoè di Zanè, in provincia di Vicenza, ci ha messo a disposizione una piccola sala, ci ha composto la prima locandina, e ha radunato un pubblico, consentendoci di realizzare quello che fino ad allora era solo un progetto sulla carta, un semplice desiderio. L’emozione quella sera è stata fortissima, qualcuno di noi ha pianto commosso per il successo, ma anche stremato per lo sforzo compiuto. Soprattutto, però, l’esperienza ci ha convinto a proseguire. E così, con l’aiuto dell’attrice Paola Rossi della compagnia “La Piccionaia – I Carrara” – Teatro stabile d’Innovazione, siamo diventati anche noi una compagnia di attori-lettori. In mezzo alle storie la musica ci accompagnava, e il primo amico a darci una mano è stato il sassofonista jazz Mauro Baldassarre. Da allora di strada

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quelle due cose che la vita ha detto a me: ti servirà per ricordare tutto l’affetto e il bene che provo per te; ma è l’esperienza a disegnare sulla tua pelle la strada che farai. Due occhi grandi ti fan sognare sarà un regalo il primo amore che verrà morbida pelle da accarezzare e non importa se poi male ti farà. Cerca un amico per rimediare la confusione e il dolore che c’è in te. Crescendo passa, sarai più forte e già domani un nuovo amore arriverà. Teatro di posa, questo è la vita, abbiamo un ruolo anche quando non ci va, dovrai lottare se vuoi cambiare, se da comparsa primo attore diverrai. Alza le vele per navigare se soffia un vento di tempesta dentro te lo puoi domare seguendo il cuore, sarà la bussola dei sentimenti tuoi. Cucciolo d’uomo che mi hai dato un senso. E una ragione ai giorni miei. È l’esperienza a disegnare sulla tua pelle la strada che farai

Claudio Thiene

ne abbiamo fatta tanta: ai ricordi di vita delle persone senza dimora ne abbiamo aggiunti tanti altri, legati a un percorso di condivisione e amicizia.

Una “notte” resa speciale Ottobre 2012 a Vicenza: abbiamo collaborato alla prima edizione della “Notte dei senza dimora”, manifestazione che avviene nel nostro paese in occasione del 17 ottobre, Giornata mondiale di lotta alla povertà, proponendo il nostro reading, “8 storie, 8 lacci di vita” al palazzo delle Opere Sociali. Dove la sala è molto grande, e non ci sentivamo preparati a intrattenere un pubblico tanto vasto. Allora abbiamo organizzato un sistema di prenotazioIn scena gli ultimi Un momento dello spettacolo di Noventa. In alto, la redazione di strada di Scarp Vicenza allo Spazio Nadir di Vicenza


scarpvicenza ni che limitasse il numero dei partecipanti. A manifestazione iniziata, però, la gente ha cominciato ad arrivare in gruppi numerosi, e dopo un po’ chi stava alle porte ha deciso di soprassedere alla lista e far entrare tutti, fino a esaurimento dei posti. Quando abbiamo cominciato la sala era piena, 300-350 persone. Ma la paura era passata e con l’incoraggiamento di Paola ce la siamo cavata benissimo. Era fatta, da lì in poi non ci ha fermato più nulla, né i palchi all’aperto, né i teatri da 500 e più posti. Non sempre abbiamo riempito, a volte il nostro pubblico è stato uno sparuto gruppo di persone che fluttuava tra tante sedie vuote, come è successo lo scorso dicembre a Bassano del Grappa, dove c’erano sì un centinaio di persone, ma in quella platea così grande sembravano quasi dispersi. Quella sera ad accompagnare il Diario di strada c’era Roberto Dalla Vecchia, chitarrista affermato e di fama internazionale che con la sua professionalità ha saputo infondere coraggio, fino a farci superare il timore da spazi vuoti. Collaborando di nuovo alla Notte dei senza dimora abbiamo coinvolto un gruppo di giovani amici che, insieme a noi, si sono cimentati con la scrittura prima e con la recitazione poi. Siamo partiti da uno degli appartamenti

di Caritas, dove abbiamo incontrato alcuni senza dimora, dopodiché i ragazzi hanno scritto, chi miscelando diverse esperienze fino a inventare nuovi personaggi, chi trascrivendo i racconti. Ne è nata la Biblioteca Vivente, presentata il 19 ottobre in sei diverse piazze della diocesi.

Dare voce a chi non ce l’ha Dove invece abbiamo visto realizzarsi il pienone da “tutto esaurito” è stato allo Spazio Nadir. Un negozio di barbiere nel quartiere di Santa Caterina a Vicenza. Al calar delle tenebre, la poltrona per il taglio di capelli scompare per lasciar spazio alle file di panche, una tenda a metà sala fa da sipario, e gli artisti si esibiscono su una pedana. Lo Spazio Nadir è un’associazione culturale non profit che riunisce un pubblico curioso e desideroso di conoscere artisti di ogni genere che siano anche sconosciuti, ma che abbiano qualcosa di importante da dire. È stato bellissimo. E proprio quella sera è iniziata la collaborazione tra Scarp e il cantautore Bruno Montorio, ironico e tenero cantore delle battaglie della vita quotidiana. Insieme a lui il reading, che oggi si chiama Diario della strada, è diventato uno spettacolo strutturato e definito, in grado di attrarre l’attenzione degli avventori della birreria Drunken Duck di Quinto Vicentino.

Questo intenso percorso artistico ha avuto effetto su tutti noi, ma in particolare su Claudio Thiene (che ha pubblicato il volume di racconti Capita sempre d’estate) e su Federica Tescaro, (che sta frequentando un corso di recitazione con la compagnia La Ringhiera di Vicenza). Ma anche Paolo Meneghini ha di recente pubblicato con altri due autori Tre d’amore, e frequenta corsi di teatro e scrittura creativa. Tutto questo è avvenuto sotto la mano protettrice della Caritas diocesana Vicentina, che ha inserito Scarp de’ tenis tra i suoi servizi-segno. Quando si è deciso di trasferire la redazione a Casa Santa Lucia, dove c’è la mensa per i poveri e gli sportelli di accoglienza e segretariato sociale, il nostro gruppo ha proposto laboratori di fotografia, allenamenti di calcetto, uscite per visitare la città, oltre a collaborare al torneo di calcio-balilla e a organizzare la Festa d’Estate. È da questa stretta collaborazione che sono nati anche i corsi di italiano per stranieri, di propedeutica all’uso dei computer e di assistenza per l’esame della patente. Ma quello che renderà indimenticabile è l’essersi avventurati in tante parti del Vicentino facendo amicizia con comunità parrocchiali, gruppi di giovani e associazioni culturali, dando spazio e voce a chi di solito non ne ha, e vive ai margini dimenticato da tutti.

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rimini

Povertà senza tregua, famiglie in apnea Nel decimo Rapporto sulle povertà della Caritas diocesana, l’analisi di un disagio socio-economico sempre più diffuso di Alessandra Leardini «Da dieci anni la Caritas diocesana continua a scuoterci con i dati sulla povertà». Lo fa, come ha sottolineato il vescovo Francesco Lambiasi a metà aprile, introducendo la presentazione del decimo Rapporto sulle povertà, con le parole ma soprattutto «con fatti concreti, di Vangelo e di carità». Perché l’obiettivo, al di là dei bilanci, è soprattutto educare un’intera comunità, sensibilizzarla all’ascolto e all’accoglienza, a cominciare da ciascuno di noi. Il Rapporto dice dunque che nell’ultimo anno 7.455 persone hanno bussato ai centri di ascolto della Caritas diocesana, 430 in più rispetto al 2012. Il 40% degli utenti vive con i familiari, 1.950 hanno minori a carico, per un totale di 3.547 bambini in stato di povertà. Problema, quest’ultimo, «sempre più grave – secondo la responsabile dell’Osservatorio delle povertà e risorse, Isabella Mancino –, così sopra i 75 anni) e di chi è costretto a dorcome delicata è la questione dei minomire in strada (2.444 utenti nel 2013, ri rimasti in patria senza genitori: circa +4%). «Negli ultimi mesi – prosegue Isa1.200 solo quelli delle famiglie incontrabella Mancino – diverse persone hanno te in Caritas». rifiutato di dormire nei nostri alloggi, al Preoccupano anche le condizioni caldo, per il timore di “perdere il posto” degli anziani (aumentati del 65% gli nel proprio rifugio di fortuna». utenti tra i 65 e i 74 anni, del 56% quelli Il decimo Rapporto Caritas registra

Oltre 15 mila le persone ascoltate in dieci anni In dieci anni la Caritas diocesana ha conosciuto 15.982 persone, nel frattempo sono aumentate le Caritas parrocchiali del territorio. Se fino al 2011 la maggior parte degli utenti non si erano mai rivolti alla Caritas, dal 2012 è aumentato il numero dei ritorni: chi si è trovato in situazione di disagio non è riuscito a venirne fuori in breve tempo. La maggioranza delle persone seguite è rappresentata da stranieri, ma dal 2012 gli italiani sono aumentati, raggiungendo il 30% e tra questi, 214 sono residenti in provincia di Rimini. Rispetto alla dimora, la maggior parte degli utenti (visti anche i servizi della Caritas come mensa, docce e dormitorio) è senza casa. Tuttavia, dal 2009, è aumentata anche la presenza di persone che hanno un domicilio, spesso famiglie residenti che non riescono a pagare affitti, mutui e utenze. GLI INTERVENTI. Nel corso degli anni è stato necessario aumentare i servizi per offrire le risposte più vicine possibili ai bisogni espressi. Sono aumentati i pasti, da 52 mila a oltre 83 mila, le docce, da 2.400 a 3.300, il numero delle persone accolte a dormire, da 444 a 924, così come sono aumentati i prestiti da parte dell’associazione “Famiglie Insieme”, da 154 mila euro totali a 63 famiglie, a 391.638 euro per 445 famiglie. Tra le risposte più recenti va ricordato anche il Fondo diocesano per il Lavoro, che ha raggiunto quota 280 mila euro. Già 9 le persone disoccupate che hanno potuto trovare un lavoro, 6 di queste in una cooperativa sociale. Altre 6 assunzioni seguiranno entro breve.

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un calo degli stranieri seguiti (-3% in un anno), che pure restano il 70% dell’utenza. «Ma – spiega Mancino – molti sono stati costretti, per motivi di lavoro, a spostarsi altrove o a tornare nei rispettivi paesi». Diminuiscono in particolare gli immigrati privi del permesso di soggiorno: «Dinamica iniziata nel 2009 con la legge Bossi-Fini che ha dichiarato il reato di clandestinità, oggi in via di abolizione». C’è poi il dramma di chi è costretto a pagare un connazionale o italiano, in cambio dei documenti necessari per il permesso.

Cresce il numero dei rumeni Tra gli utenti stranieri prevalgono i rumeni (1.174, +4,6% rispetto al 2011), i marocchini (1.066, +25%) e le ucraine


scarprimini Il Rapporto

«I giovani, non bamboccioni ma senza fiducia negli adulti»

(655) pur in diminuzione (-23,2%). Aumentano gli italiani, in due anni cresciuti del 32,5%, per più della metà residenti in provincia. Aumentano gli uomini (+13,8%), principalmente per assenza di occupazione e di reddito, oltre che per la difficoltà a mantenere la casa. Altri problemi riguardano le relazioni sempre più fragili nella coppia, tra genitori e figli o con la rete parentale, con sempre più diffusi episodi di violenza, e la salute: in aumento la richiesta di farmaci e ticket per visite mediche. La mancanza di reddito ha reso più difficili anche le spese alimentari: 100 in più, in un anno, le famiglie che hanno chiesto pacchi viveri, 22.025 quelli consegnati dalle Caritas riminesi a fronte dei 20.098 del 2012. Oltre 83 mila i pasti

Si parla molto di giovani in Italia, soprattutto negli ultimi anni. Ma poco si fa ancora in concreto per dare vere risposte alle nuove domande di cui le giovani generazioni sono oggi portatrici. Il Rapporto Giovani, curato dall’Istituto Giuseppe Toniolo, muove proprio da questa consapevolezza: per offrire risposte è anzitutto necessario mettersi in ascolto del mondo giovanile, superare luoghi comuni e letture parziali della realtà, effettuare un’osservazione e analisi autentica dei cambiamenti in atto. Ecco quindi l’idea di un Osservatorio per conoscere e migliorare la condizione dei Millenials, i giovani under 30 che sono diventati maggiorenni dopo il 2000. Una ricerca, condotta operativamente da Ipsos nel 2012 su un campione di 9 mila persone tra i 18 e i 29 anni in tutto il territorio nazionale, ha prodotto esiti pubblicati nel volume La condizione giovanile in Italia (Il Mulino 2014) e presentati a Rimini a metà aprile grazie a un’iniziativa del centro culturale “Paolo VI”, in collaborazione con l'Istituto Toniolo e con il patrocinio del comune di Rimini. L’incontro, dal titolo “Giovani: non spettatori ma protagonisti. Ma misi me per l’alto mare aperto... (Inferno XXVI,100)” è stato realizzato nella significativa cornice dell’Aula Magna dell’Università di Bologna – Campus di Rimini. «Ci sono molti luoghi comuni sui giovani – ha evidenziato Paola Bignardi, pedagogista e coordinatrice del progetto – ma il Rapporto ha messo in luce come i giovani siano molto meno schizzinosi e bamboccioni di come li descriviamo o vogliamo credere... Esiste piuttosto uno scarto profondo tra la realtà, sempre più complessa e precaria, e i desideri di autonomia e appartenenza che sembrano abitare il cuore dei più giovani. Un altro dato colpisce profondamente nella ricerca: l’assenza di fiducia che i più giovani ripongono nel mondo adulto. I politici sono all’ultimo posto in questa classifica, mentre è straordinario il successo riscosso da una figura come quella di papa Francesco, anche tra i giovani che si dichiarano non credenti. Questo ci dice molto delle responsabilità del mondo adulto e di come i più giovani siano in cerca soprattutto di figure di riferimento coerenti e credibili». Riminisocial

serviti a 2.765 persone (cui si aggiungono i 54 mila pasti della Mensa dei Frati di Rimini), molte delle quali tornate più volte. Raddoppiate in un anno le docce (8.148 per 1.140 utenti), 924 le persone ospitate per 14 mila notti, contro le 7.400 del 2012.

Famiglie sempre più in difficoltà Sono in aumento le famiglie messe a dura prova dalla crisi economica, costrette a stabilire nuovi equilibri o a spezzarsi, lasciare i figli dai nonni per l’impossibilità di mantenerli. Famiglie dove la povertà arriva anche improvvisa, come è accaduto a una coppia di giovani italiani che si sono rivolti alla Caritas da pochi mesi: hanno due bambini piccoli, lei ha perso il lavoro, lui sta

facendo meno ore perché la ditta dove è impiegato è in crisi. La prevalenza delle famiglie con minori che chiedono aiuto sono italiane, marocchine, albanesi e rumene, con una media di 1,8 figli a carico. «I poveri non sono solo della Caritas, della Chiesa, della Papa Giovanni. Tutti, consapevoli o meno, ne siamo responsabili – conclude Isabella Mancino –. Con la crisi è diventato ancora più evidente che tutti possiamo diventare poveri. Occorrono soluzioni per il lavoro, la casa, i poveri senza residenza e i pacchi viveri, anche a causa della trasformazione del meccanismo degli aiuti Agea. Il Rapporto 2013 è consultabile sul web al sito www.caritas.rimini.it.

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firenze

Si dà accoglienza, ma la residenza? Numeri alti dell’ospitalità invernale. Ma aumentano le persone senza dimora cui è negata l’iscrizione all’anagrafe comunale di Claudio Corso

Buongiorno Quando mi alzo al mattino vedo una giornata di sole che mi dà il buongiorno, è un altro giorno di speranza nella vita, e io ringrazio il Signore che mi dà la gioia di vedere un altro giorno così. Umberto D’Amico

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I problemi relativi alla concessione della residenza anagrafica, in molti territori si fanno sempre più rilevanti. Ben 270 persone – ha affermato recentemenmte l’associazione Avvocato di strada, presentando i dati della propria attività nazionale – nel 2013 si sono viste negare dal proprio comune il rilascio della residenza. Nel 2012 erano state 191. La residenza anagrafica è un bene essenziale per la persona che si ritrova a vivere in condizione di grave esclusione sociale. Senza residenza anagrafica non è possibile ricevere prestazioni previdenziali e assistenziali erogate dall’Inps, accedere all’assistenza sanitaria, presentare domanda per l’accesso all’edilizia popolare, iscrivere i propri figli a scuola, firmare un contratto, aprire una partita Iva, avviare una propria attività, godere del più elementare dei diritti (il voto) previsti dalla democrazia... Se vivere per strada è già una lotta quotiRispetto all’inverno 2012-2013 è stadiana per la sopravvivenza, alla persota registrata una riduzione di persone na senza dimora cui viene negata la reaccolte. Furono 420 gli ospiti, in quattro sidenza anagrafica, cioè l’iscrizione almesi e mezzo di servizio, l’inverno prel’anagrafe, pur in assenza di domicilio cedente. Un dato che non incoraggia, stabile, viene così negata ogni possibitanto più quando viene spiegato: dilità cambiare vita. O di provarci. Si tratpende dal fatto che una parte di posti ta di un grave problema, che i comuni letto sono stati occupati da nuclei famiitaliani conoscono bene; difficile da riliari, che sono stati esentati dal turn over solvere, perché difficile è occuparsi di (complessivamente circa 40 persone di una realtà che si presenta piena di sfacnazionalità straniera, tra cui 10 minori). cettature, complicata. Per questo la reazione istituzionale è talora quella di alOstacoli dal Piano Casa lontanare gli indigenti, di non assicuraL’accoglienza è una prassi meritoria. Ma re una risposta che è condizione d’inprima, si diceva, occorre predisporre le clusione. condizioni per poter fruire dei diritti di cittadinanza. E così molti istituti religiosi e associazioni danno la possibilità ai Famiglie senza tetto senza dimora di avere una residenza A Firenze nell’inverno 2013-2014 il comune ha dato accoglienze a centinaia formale, ma evidentemente non può di persone, soprattutto immigrati. Oltre essere questa la soluzione. Un cittadino 310 persone sono state accolte in quatdeve poter andare all’ufficio dell’anatro mesi nell’ambito dell’accoglienza grafe del comune prescelto e insistere: invernale orchestrata da Palazzo Vecha il diritto di ricevere una residenza chio. Quest’inverno, dal 1° dicembre al formale. È in gioco la dignità della per31 marzo, le strutture messe a disposisona, è il primo passo che un individuo zione sono state quattro. Il numero precompie per decidere di cambiare la sua ciso degli accolti è stato 313; tra loro, 62 situazione. Ma questo diritto prioritario italiani e 251 stranieri. Le presenze regiviene lasciato in balia delle decisioni dei strate risultano invece 340, dato che difsingoli sindaci e delle singole amminiferisce dal precedente perché alcuni sostrazioni. Una prassi più attenta nell’eno stati accolti in più di una struttura. sercizio della residenza anagrafica po-


scarpfirenze trebbe aiutare a prevenire o sciogliere anche i casi di occupazione abusiva di un alloggio. Per chi ha deciso di realizzare un’occupazione, presto ci saranno novità, in base al “Piano casa” su cui sta lavorando il ministero delle infrastrutture. Se tale piano passerà nella sua attuale formulazione, decine di migliaia di persone in tutta Italia si troveranno in gravi difficoltà. Il decreto promosso dal ministro Maurizio Lupi vieta infatti la registrazione delle residenza e l’allacciamento delle utenze a quanti abitano in case occupate. L’articolo 5 asserisce infatti: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. Il 27 marzo, a Firenze, per protestare contro questo decreto, alcune decine di persone hanno occupato per una manciata di minuti gli uffici dell’anagrafe comunale.

C’era una volta via Lastrucci Bisognerebbe, in altre parole, trovare soluzioni nuove ai problemi, con lo spi-

rito con cui il 30 dicembre 2003 la giunta fiorentina del sindaco Leonardo Domenici, con delibera 193/1024, approvò, ai fini dell’attribuzione della residenza anagrafica alle persone senza dimora, l’istituzione di una “via virtuale”, intitolandola a Libero Leandro Lastrucci. La possibilità di residenza anagrafica in via Lastrucci per le persone senza dimora era comprensiva di un’indicazione personale di riferimento, che attestasse la rintracciabilità costante all’interno del comune. Per far fronte all’aumento delle persone senza dimora, soprattutto in seguito alla crescita del fenomeno migratorio, già a metà degli anni Novanta il comune di Firenze aveva trovato un accordo con le associazioni di volontariato, inclusa la Caritas diocesana, che si erano rese disponibili a ospitare gli ho-

meless nelle proprie sedi, offrendo agli ospiti “virtuali” anche un servizio di posta. Gli homeless potevano essere presi in carico da un assistente sociale, fruire di un programma di accompagnamento, che si traduceva anche in contributi in denaro, accedere all’ufficio di collocamento o essere inseriti in cooperative sociali, fruire dei servizi di asili nido (per chi aveva figli) e residenze per anziani con retta a carico del comune, ma soprattutto partecipare a bandi pubblici per l’assegnazione di un alloggio. Oggi la concessione della residenza anagrafica a Firenze risponde a una prassi profondamente mutata. Via Lastrucci è sempre meno popolata. O comunque non ha più nuovi abitanti. Per ottenere la residenza, bisogna farlo attraverso un’associazione o indicare un luogo fisico dove si vive abitualmente. Torneremo molto presto su questo tema per capire, attraverso storie e testimonianze, cosa ha portato l’amministrazione a questo cambio di rotta, e quali soluzioni o alternative offre oggi Palazzo Vecchio a coloro che in città rischiano di rimanere fantasmi, ai margini del diritto e del riscatto sociale.

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napoli I redattori di Scarp tornano al centro di prima accoglienza, ma come attori: metteranno in scena un lavoro di Davide Iodice

Vestire gli ignudi, recitare al dormitorio di Laura Guerra Questa volta i redattori di Scarp de’ tenis Napoli fanno la strada in senso contrario. Proprio al contrario dal solito. Dalla redazione del giornale vanno verso il Centro di prima accoglienza comunale (più brevemente: il dormitorio) per fare teatro. Maria, Giuseppe, Peppe, Bruno e Luciano andranno in scena, a giugno, protagonisti insieme ad attori professionisti nel lavoro di Davide Iodice Mettersi nei panni degli altri: vestire gli ignudi. L’allestimento, in prima nazionale nel programma della rassegna internazionale Napoli Teatro Festival, è solo la prima realizzazione di un lavoro più ampio, che sarà realizzato per blocchi. dato in scena quattro anni fa proprio L’autore ha concepito il progetto ispinel dormitorio; anche in quell’occasiorandosi alle “Sette Opere di Misericorne decise di coinvolgere gli ospiti del dia” celebre quadro di Michelangelo centro nella messa in scena e l’espeMerisi, universalmente detto Caravagrienza ha lasciato un segno molto forgio, dipinto, su commissione del Pio te sia in chi l’ha realizzata sia in chi l’ha Monte della Misericordia nel 1607 e da vista. allora custodito e visitabile nell’omoniQuest’anno ha aperto le porte delle ma chiesa, nel centro antico di Napoli. scene anche agli ospiti del “Binario delDavide Iodice è l’autore e regista la Solidarietà” e ai redattori di Scarp de’ della “Fabbrica dei Sogni”, lavoro antenis.

La sua idea è quella di rappresentare la ricchezza di ciò che ama definire «la bellezza residuale delle persone, mettendo a lavorare insieme gli attori (specialisti della scena) e gli specialisti della vita». Questo spirito ha generosamente alimentato il reciproco scambio: Davide Iodice ha, infatti, condotto anche laboratori di scrittura in redazione da noi, alcuni redattori saranno protagonisti nel suo lavoro in scena e altri progetti vedranno la luce in futuro. Per adesso l’appuntamento è per la prima nazionale al Centro di prima accoglienza: per alcuni redattori di Scarp è un ritornare, in un luogo conosciuto, da attori o da spettatori. Senza rimanerci a dormire...

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Una persona che tocca le corde dell’anima Davide Iodice è un regista teatrale e un amico di Scarp. Insieme abbiamo fatto alcune cose, ad esempio siamo andati a vedere le “Sette opere di misericordia” di Caravaggio. Prima di andare a vederlo dal vivo abbiamo guardato una riproduzione da un libro, ricordo che ognuno di noi doveva scegliere un personaggio del quadro e immedesimarsi in lui e provare a scrivere con la sua voce. Un paio di volte sono stato al dormitorio pubblico in via de Blasis, dove ho assistito ad alcune prove del suo lavoro, che ha scritto ispirandosi al celebre quadro di Caravaggio e che ha intitolato Mettersi nei panni degli altri. Vestire gli ignudi. Ho notato che Davide è uno che sa toccare le corde dell’anima delle persone. Fa sì che le persone non recitino semplicemente, ma che vivano quel momento con tutto il corpo. Non è una recita, ma un’emozione che viene da dentro. Devo essere sincero, tornando al dormitorio ho provato una grande emozione, è stato come stare a teatro, sul palco del teatro. Già era suggestivo il posto, dove la sofferenza si sentiva dalle narici, dove lo sguardo spento degli ospiti si incrociava con il tuo; già si leggeva in faccia a tante persone il dramma che le segnava. Poi c’era la recita, dove vivevi la loro vita, dove il pubblico si è incrociato con i protagonisti in un intercambiarsi di emozioni. Questo per me è Davide Iodice. Domenico Capuozzo

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Prima della prima Due momenti dell’incontro tra i redattori di Scarp Napoli e l’autore-regista Davide Iodice di fronte alla tela di Caravaggio


scarpnapoli Sette Opere di misericordia «Io sono l’uomo per terra...»

Giuseppe del Giudice, durante il laboratorio condotto da Davide Iodice guardando una riproduzione delle “Sette opere”, ha scelto l’uomo caduto. E gli ha dato voce.

Fratelli, sono caduto. Sono caduto malamente. La mia è stata una caduta verticale, senza possibilità di aggrapparmi a qualcuno o a qualcosa. La vita con me è stata crudele, ma io non ho mai perso l’amore per lei. Questo mi ha permesso di non sprofondare ancora più in basso. Ho lottato, ho stretto i denti, ho convissuto con la sofferenza, Non ho mai pensato, nemmeno una sola volta, di suicidarmi. La vita, un regalo troppo grande per distruggerlo. Anche una giornata nera, negativa, mi ha dato delle emozioni. Anche solo momenti, momenti di piacere o gioia, che mi facevano pensare che vale sempre la pena vivere. «Viva la vita»: un grido che non abbandonerò mai! Sono una persona umile. E ho chiesto aiuto. Aiuto che a volte mi è stato negato, o fatto pagare a caro prezzo su un piano morale. Vittima dell’ignoranza di molti, offeso e schiacciato. Chi sta per terra ha bisogno di un braccio che lo sollevi, non che faccia il contrario. Voi siete le persone che voglio incontrare. Avete sensibilità, intelligenza, doti fondamentali per aiutare gli altri. Mi avete dato coraggio, lo avete fatto senza secondi fini. Questo è molto bello, Grazie a voi. Grazie e ancora grazie. Ricorderò tutta la vita chi mi ha aiutato e lo ha fatto col cuore, gli altri no. Mi avete tolto dalla polvere. Tratto fuori dal baratro. La mia riconoscenza non avrà fine. Giuseppe Del Giudice

L’appello

«L’anno prossimo non dimenticarti di me» Nel mio bagaglio di vita ho inserito anche Davide, una persona squisita, dai modi amorevoli che con amore e soprattutto con professionalità svolge il suo lavoro di regista. Ne ho fatto come un tesoro e quindi, l’ho messo nel mio bagaglio. Davide è una persona carina, semplice, molto a modo, dolce. Esprime con semplicità il suo sapere, si dimostra una persona umile pronta ad aiutare. È venuto a trovarci varie volte e fin dalla prima volta mi fece un’impressione molto positiva, mi piacque; ci fece fare un esercizio di scrittura in cui dovevamo scrivere una lettera al Direttore generale del Deposito oggetti smarriti; dovevamo pensare a qualche nostro oggetto dell’infanzia che avevamo perso e scrivere al direttore per chiedere se stava nel suo ufficio. A dire la verità questo esercizio mi è piaciuto molto, perché mi ha fatto tornare indietro nel tempo e mi ha entusiasmato; quando l’ho letto è piaciuto molto anche a lui. Davide ci ha raccontato del suo lavoro in generale e anche di quello che sta facendo, ispirato alle “Sette Opere di Misericordia” di Caravaggio, al quale partecipano come attori non professionisti alcuni miei colleghi di Scarp. A Davide piace coinvolgere nelle sue opere anche persone disagiate, lui dice che questa è un’idea semplice ma secondo me sono idee che parlano di grandi valori. Io quest’anno non partecipo, ma la prossima volta mi piacerebbe molto perché l’incontro con Davide è un incontro che mi ha lasciato davvero un segno. Con lui abbiamo conosciuto le “Sette Opere di Misericordia”, infatti ci ha accompagnati al Pio Monte della Misericordia e ce lo ha spiegato e mentre parlava visitatori e turisti che entravano per vedere l’opera si fermavano ad ascoltare la sua spiegazione, in quel momento mi sentivo orgogliosa del fatto che il nostro gruppo aveva una guida così brava. Non lo conoscevano, eppure si fermavano ad ascoltarlo. Noi invece possiamo dire che è un nostro amico e io penso che di una persona così devi fare tesoro: è valido come regista e scrittore di teatro ma soprattutto è una persona che trasmette serenità. Un’ultima cosa la scrivo direttamente per lui: «Davide se l’anno prossimo programmerai un altro spettacolo non ti dimenticare di me perché a me il teatro piace». Marianna Palma maggio 2014 scarp de’ tenis

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salerno Il “Servizio ferroviario metropolitano” era nato incompleto. Ma aveva riscosso successo. Finiti i fondi, è iniziato lo scaricabarile

“Metro” al palo, dopo soli cinque mesi di Antonio Minutolo Nel novembre 2013, nell’ambito dell’apertura del noto evento “Luci d’artista”, il sindaco di Salerno aveva inaugurato anche un nuovo importante servizio per la città: la metropolitana “leggera”. Un evento storico per Salerno, l’apertura del nuovo mezzo di trasporto su rotaie, del quale si parlava già negli anni Novanta, finalmente partito dopo lunghissime peripezie e lungaggini burocratiche. Presentata in pompa magna, la metropolitana (che più correttamente dovrebbe essere denominata “servizio ferroviario urbano”, vista la sua limitata lunghezza) ha avuto un’enorme affluenza di passeggeri in particolare nel periodo delle “Luci d’artista”. I passeggeri utilizzavano uno dei due treni “minuetto”, messi a disposizione dalle Ferrovie dello Stato: ciascuno è formato da tre carrozze e può contenere fino a 345 passeggeri, di cui 145 posti a sedere. La prima corsa parpaio di mesi a seguire. Al momento la tiva da Salerno centro alle 5.45 del matsituazione appare del tutto bloccata, tina, l’ultima alle 21.45, ma nei weekcon il comune di Salerno che accusa la end i treni erano attivi sino a mezzaregione (che gestisce il settore traspornotte inoltrata. ti in Campania) di aver bloccato i fiSalerno è stata letteralmente presa nanziamenti e la regione, in uno scarid’assalto, sino all’Epifania, dai visitatocabarile tipico delle nostre zone, che si ri delle “Luci d’artista”. Ma anche i sadifende a spada tratta. lernitani hanno iniziato a utilizzare la “metro”, in particolare per recarsi dalla periferia orientale della città verso il centro. Come si nota, stiamo utilizzando i tempi verbali al passato. La metro “era” partita. Infatti, purtroppo, il servizio pare essere giunto già al capolinea.

In verità la metropolitana inaugurata a novembre era incompleta, servendo solo la zona orientale della città. Per raggiungere, ad esempio, la stazione “Duomo – Via Vernieri”, che esiste già da anni ed è vicina al centro storico, bisognava cambiare il treno alla stazione centrale e attendere per molti minuti un secondo convoglio, che fermasse a detta stazione. Inoltre, le stazione “Irno” e “Fratte” nella periferia nord della città erano lasciate completamente fuori dai giochi. La vera questione è che un progetto efficace di metropolitana a Salerno non può essere limitato al territorio di una città di soli 150 mila abitanti, ma dovrebbe servire l’intero hinterland e i sobborghi cittadini.

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Stazioni sigillate Cosa è accaduto? Purtroppo, dopo appena cinque mesi di attività, dal 1° aprile 2014, la Metropolitana di Salerno ha chiuso definitivamente i battenti. Le sei stazioni (Stadio Arechi – Parco Arbostella – Mercatello – Pastena – Torrione, più il binario 7 della stazione centrale di Salerno) oggi non sono più servite dai Minuetto e sono chiuse con il lucchetto. La ragione della chiusura è nella mancanza di finanziamenti. Quelli disponibili sono serviti solo a coprire soltanto il periodo di cinque mesi, in pratica le “Luci d’artista” e un

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Inno allo spreco Una delle stazioni della metropolitana di Salerno desolatamente chiusa


scarpsalerno Il punto

“Trenino” troppo costoso rispetto al progetto iniziale Al momento della pubblicazione di questo articolo, non si è ancora trovato un accordo tra comune di Salerno, regione Campania e Trenitalia per il ripristino della linea ferroviaria urbana di Salerno, da tutti chiamata “Metropolitana”. Sin dall’inizio, il progetto non ha avuto vita facile. Proposto dalla fine degli anni Novanta dalla giunta del sindaco De Luca, ci sono voluti 15 anni perché fosse finalmente inaugurato, con numerosi stanziamenti di fondi per i lavori di adeguamento della linea ferroviaria, varie interruzioni (alcune anche per il ritrovamento di reperti archeologici alla stazione di Mercatello), atti vandalici e incomprensioni tra gli enti pubblici. Il punto è che la Metropolitana non nasceva per servire la sola città di Salerno, che non rappresenta un territorio così esteso da necessitare di una linea ferrata dedicata. La metro avrebbe dovuto facilitare i collegamenti da e per il capoluogo e all’interno dello stesso, arrivando a servire l’aeroporto di Salerno – Costa d’Amalfi (sito 10 chilometri a sud della città, a Pontecagnano), connettendosi con la Circumsalernitana a nord e servendo così anche l’Università di Salerno (sita 10 chilometri a nord del capoluogo, a Fisciano) e la popolosa zona della Valle dell’Irno. Ancora, la metro sarebbe potuta arrivare alla città di Battipaglia

(importante snodo ferroviario, sito 20 chilometri a sud di Salerno) e a Cava de’ Tirreni (distante pochi chilometri a nord). In questo modo il flusso dei pendolari che gravitano attorno alla città e dei turisti avrebbe trovato un efficiente sistema di trasporto. Invece, la metro inaugurata nel novembre 2013 constava di sole sei fermate che coprivano una piccola parte (la zona orientale di Salerno) del progetto. Essenzialmente si trattava di un trenino che ha accompagnato la manifestazione “Luci d’artista” con le sue centinaia di migliaia di visitatori anche, se, poco alla volta, stava iniziando a diventare mezzo di trasporto abituale per i salernitani. La stazione Stadio Arechi – Ospedale, ad esempio, posta proprio davanti al nosocomio principale della città, veniva utilizzata da numerosi dipendenti della struttura sanitaria e dai familiari dei pazienti. Ma tutto è terminato il 1° aprile. Probabilmente ci si è resi conto che la metro, per un tratto così breve aveva costi di gestione troppo elevati rispetto agli introiti, diventando poco concorrenziale rispetto anche al normale trasporto su gomma. Intanto, però, con la chiusura della metro in città si è tornati ai soli autobus del Cstp, il consorzio di trasporti che è in grave crisi da un paio d’anni. La speranza è che enti e amministratori agiscano con più lungimiranza, per poter dare più certezze alla cittadinanza, garantendo efficienza e qualità a una città come Salerno, che ha potenzialità di sviluppo notevoli, spesso svalutate dall’approssimazione. Patrizio Fuoco


catania Una “famiglia” atipica. Ma famiglia. Una toccante relazione tra “padre” e figlio. Ora il primo è morto, il secondo abbandonato

Ucciso Waldemar, chi si cura di Kamil? articolo realizzato da Sudpress e Telestrada La vita di strada è dura e spesso conduce alla morte. A Catania ultimamente ci è capitato di dover accompagnare al cimitero amici che avevamo conosciuto per strada. Persone sole, a volte disperate, stranieri, italiani, questo non ha importanza: sono tutti amici che non ci sono più e che ricorderemo nel nostro cuore con la rabbia di chi vorrebbe che cose del genere non accadessero. La storia che dobbiamo raccontare oggi è quella di Waldemar Weilguszewsky. Waldemar, senza dimora di origine polacca, aveva 55 anni e viveva in un centro commerciale abbandonato. Qualche settimana fa è stato ucciso un altro senza dimora durante una banale rissa. L’altro, l’assassino, aveva bevuto parecchio. Waldemar, nei suoi anni di strada, si era creato una “famiglia”. Una famiglia “a modo suo”, non certo quella del Mulino Bianco, ma aveva degli affetti. Aveva trovato da tempo un amore, una donna che vive facendo be sembrare lontana anni luce dalla “cila badante in una famiglia catanese, anvile” Catania, mette a dura prova il sich’essa senza dimora e che al momenstema di protezione sociale che mostra to vive sul posto di lavoro. più di una crepa. La domanda è: chi deQuesta donna ha un figlio di 28 anve adesso occuparsi del povero Kamil? ni, Kamil, anch’egli senza tetto e con Ed è la domanda che pone a voce alta gravissimi problemi di alcolismo, che uno dei tanti volontari che la strada la era stato praticamente “adottato” da conosce bene: il settantenne Pippo Waldemar, che lo accudiva come poteMaccarrone. Dopo l’omicidio del “pava, nel loro giaciglio di cartone ricavato dre”, Kamil è stato ricoverato, grazie alnel deserto vandalizzato di quello che l’intervento di Maccarrone, all’ospedafu il primo centro commerciale catanele Vittorio Emanuele. Vi è rimasto tre se: Vulcania. giorni, durante i quali ha registrato alQuesta era la “famiglia” di Waldecuni miglioramenti, si è potuto rifocilmar, ucciso per niente in un giorno colare, ha dormito al caldo e in un conteme gli altri. Ma una famiglia, comunque sto protetto è riuscito a evitare di bere. si formi, comunque proceda, è una faPurtroppo la struttura ospedaliera, miglia, e vive di amori e dolori, e quanrisolta l’urgenza, non ha potuto mantedo un componente viene a mancare è nere l’ospitalità per Kamil, sostenendo comunque tragedia. che il caso sarebbe di competenza del Sert per quanto attiene all’alcolismo e Una famiglia distrutta dei servizi sociali del comune per l’assiKamil è devastato dall’alcol, non riesce stenza. Maccarrone ha provato quindi a camminare, non è in grado di badare a rivolgersi ai servizi che dovrebbero oca se stesso in nulla. Waldemar lo assisteva in tutto, dal mangiare al camminare. Lo proteggeva dalle insidie e dai disagi della vita in strada. Adesso che è morto, Kamil è rimasto solo. Abbandonato a se stesso. Questa storia di umana desolazione, che potreb-

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cuparsi di casi simili, ma ha trovato insormontabili resistenze. Di recente i volontari di cui fa parte Maccarrone sono riusciti a trovare ospitalità per Kamil nella comunità “Insieme”, ma solo per qualche giorno. Kamil, ricorda Gabriella Virgillito di Telestrada, non è un clochard bohemien, di quelli che “scelgono” la vita della strada per romantiche ragioni e non accettano l’aiuto delle autorità: Kamil chiede aiuto, Kamil vuole aiuto.

Azioni di bonifica. A chi servono? In questo contesto si inquadrano anche le azioni di “bonifica del territorio”, così sono definite, da parte delle forze dell’ordine per impedire i bivacchi di “barboni” che si erano installati in zone di pregio della città, come il corso Sicilia. Padre Gianni Notari della parrocchia Crocifisso dei Miracoli avverte che non è cacciando le persone senza dimora che si risolve il problema della loro esistenza: mancando alternative, sono persone che devono occupare spazi in cui vivere, e non è cacciandoli da una parte all’altra della città che si esorcizza la paura. Sarebbe necessario, dunque, che le autorità, prima di procedere a queste bonifiche, predisponessero soluzioni adeguate per cercare l’inclusione delle persone che vivono in strada. Ma ormai da troppo tempo l’assessorato ai servizi sociali appare rinchiuso in se stesso, impegnato a cercare soluzioni che garantiscano prima di tutto risparmi finanziari e non soluzioni efficaci per chi ha davvero bisogno di auto e sostegno.

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Vecchi Un sogno ricordi Canti, suoni, balli Il giorno del ritorno si tinge del colore degli occhi dimenticati dalle lacrime, partenze senza certezze e sogni chiudono le porte al presente. Già il tempo ha cancellato i volti amici che solo il sogno riporta quando le notti chiudono alla speranza. Nuvola ballerina racconta: il sole entrava leggero fltrando l’odore di fresie e menta della grande giara, rifugio a nidi di formiche e api sempre presenti, allegra compagnia al gioco bambino, vecchia casa sempre nei sogni e nel cuore perché il ricordo non ha confini e l’infanzia è piena di ricordi. Ora la lontananza risponde rintocchi che feriscono il cuore.. Gaetano “Toni” Grieco

Erba tagliata Erba tagliata, erba meravigliosa con l’odore di freschezza, di colore verde come quello della speranza. Erba tagliata, quante volte ti hanno calpestata, chi per prendere il sole, chi per giocare a pallone, ma tu profumi e cresci sempre, riesci a donare spensieratezza e rilassamento” Maria Esposito

di un insieme di gente fra bianchi, neri, gialli, debellato il grande numero di mortalità, ora tutti possono mangiare, fino a sazietà, ospedali nascenti, finalmente accolgono giovani donne partorienti di bimbi belli, sani, forti. Mi sveglio e sento il mio cuore straziato rendendomi conto che ho solo sognato, essendo a conoscenza dell’alto tasso di mortalità di giovani donne africane partorienti, nel dare alla luce già bambini sofferenti di varie malattie, vittime di mancate strutture, vittime della mancata igiene, e nella loro brevissima vita soffrendo mille pene.

Mr Armonica

Scoglio e gabbiano Tu…madre scoglio avviluppato d’alghe dominato dal mare e dalla luna. Lui… gabbiano ladro d’infinito irretito dal canto di sirene. Tu… roccia ad accoglierlo nei brevissimi approdi. Lui… anima errante tra tempeste e risacca e sabbia e sassi d’irrisolti lidi. Tu… faro acceso nella torbida notte, stella polare ad indicare la rotta. Lui… vagabondo eterno dalle ali grevi e gli occhi stanchi di chi non ha riposo… Si smarrì tra i flutti un giorno e fu per sempre…. Aida Odoardi

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Vi aspettiamo

L’albergo Villa Rosella è situato nel cuore delle Dolomiti: è la casa ideale per trascorrere le vacanze immersi in un suggestivo panorama montano di rara bellezza, circondati da boschi, bagnati dalle acque del torrente Avisio e a 60 metri dalle Funivie del Ciampac, dove iniziano i famosi sentieri escursionistici per la Val Contrin, per la Marmolada e il suo lago Fedaia, il Pordoi e la comoda pista pedonale eciclabile che in 10 minuti di passeggiata collega il Centro di Canazei e lo Stadio del ghiaccio di Alba, escursioni con paesaggi incantevoli e naturalistici adatti per Adulti e Bambini L’albergo dispone di 25 camere, doppie/matrimoniali, singole, triple e quadruple, alcune in confortevoli mansarde e altre con balcone con vista panoramica, tutte provviste di bagno con doccia, telefono, TV Sat, cassaforte e asciugacapelli. Sono a disposizione degli ospiti: sala bar, sala lettura, ascensori ai piani, tavernetta con TV, cappella, parcheggio interno custodito, campo da bocce e vasto parco/giardino con giochi per bambini, ping pong, sdraio con ombrelloni e spiaggia privata sul fiume. L’ottima cucina è curata dallo chef gestore A. Leonetti, che è lieto di favorire famiglie, sacerdoti, gruppi parrocchiali, comitive e single. E’ predisposto per accogliere persone portatrici di handicap. L’Albergo è inoltre dotato di un Centro Wellness, con sauna finlandese, bagno turco al vapore, vasca idromassaggio, docce emozionali e zona relax. !

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ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Pannelli solari quale viviamo, come l’agenda e sostenibilità per gli stadi. Ma anche per il buon vivere, come progetti devastanti per l’ambiente, l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. come la diga di Belo Monte. Ventuno è la nostra Le contraddizioni del Brasile, idea di economia. Con qualche proposta per che si accinge a finire sotto i riflettori agire contro l’ingiustizia e del pianeta con i Mondiali di calcio l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno. di Andrea Barolini

21 Ventunostili Banca Etica compie quindici anni. E festeggia con risultati positivi. A partire dalla raccolta del risparmio e dagli investimenti fatti a sostegno di non profit, ambiente e cooperazione sociale

di Sandra Tognarini

ventunorighe Risparmi per un mondo migliore

di Mauro Meggiolaro giornalista e analista finanziario

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21ventunodossier Brasile 2014, festa del calcio. Stadi ecologici e sostenibili. Ma nel paese non mancano pesanti ricadute ambientali e sociali

Mondiale verde? delle contraddizioni di Andrea Barolini

Tra qualche settimana via alla Coppa del Mondo di calcio. Il governo annuncia che sarà l’edizione “più verde della storia”. Ma il paese latinoamericano è segnato da progetti faraonici che dal colossale impatto ambientale. E sui diritti di molte comunità. Mentre le spese per il calcio fanno a pugni con la povertà perdurante

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Non bastano i pannelli sul Maracanà

La diga di Belo Monte? Prevale sui diritti umani Olimpiadi, Coppe del mondo di calcio e altri grandi eventi sono attesi da milioni e milioni di persone in tutto il mondo. E spesso vengono presentati come estremamente benefici per le economie dei paesi ospitanti. Eppure dietro al volto “umano” dello sport, spesso si nascondono motivazioni ben meno virtuose. Scarp ha raccontato in passato ai propri lettori come la “finanziarizzazione” e la commercializzazione che hanno colpito il calcio in Europa, la pallacanestro e il football negli Usa e la Formula Uno in tutto il mondo, sia ormai una realtà anche nel caso dei grandi eventi periodici. Quando Jean-Marc Faure, professore emerito all’università di Nantes, visitò – con occhio critico – il museo olimpico di Losanna, commentò con queste parole: «Un’esposizione paradigmatica: nelle prime sale si trovano imca voluta dal presidente Vladimir Putin magini, trofei e poemi epici che celebraa soli 60 chilometri dal mare. no la bellezza dello sport attraverso le Tra poche settimane, sarà la volta del imprese degli atleti. Il primo piano, inveBrasile. Ma qui, occorre dirlo, la situazioce, è riservato ai partner finanziari». ne appare almeno parzialmente diversa Alla commercializzazione, poi, spesrispetto a quella che si è prodotta in Russo si aggiunge anche la speculazione. In sia. Mentre infatti Mosca è sembrata non particolare quella edilizia, legata alle inconsiderare per nulla o quasi le questiofrastrutture in costruzione per ospitare ni legate all’ambiente, e alla sostenibilità atleti e spettatori. Emblematico è il caso finanziaria del progetto nel suo comrecente delle Olimpiadi invernali di Soplesso, il governo latino-americano si è chi, le cui infrastrutture ipertrofiche hanprodigato per rendere il Mondiale di calno suscitato una forte opposizione da cio 2014 «il più verde della storia». Si tratparte della popolazione locale e, soprattava, d’altra parte, di una richiesta avantutto, delle associazioni ambientaliste. zata esplicitamente, nel 2012, dal ProQueste ultime hanno denunciato, invagramma delle Nazioni Unite per l’Amno, i disastri ecologici provocati sia nella biente nei confronti della Federazione città caucasica, sia nella stazione sciisticalcistica internazionale (la Fifa). L’Onu


Sport & business Opere colossali Il glorioso stadio Maracanà di Rio ha una nuova veste architettonica. Pagina a fianco, la diga di Belo Monte

aveva sottolineato infatti come gli sforzi effettuati dall’Africa del Sud (precedente organizzatore, nel 2010) fossero stati «insufficienti». Per questo, aveva aggiunto l’agenzia delle Nazioni Unite, «la Fifa deve impegnarsi nel ridurre la propria “impronta ecologica” e chiedere di fare altrettanto ai suoi partner». Detto, fatto: il Brasile ha deciso di presentare dodici stadi “ecologici”, nuovi di zecca oppure restaurati per l’occasione. Si tratta degli impianti di Rio de Janeiro, Brasilia, Fortaleza, Belo Horizonte, Sao Paulo, Porto Alegre, Salvador de Bahia, Recife, Cuiaba, Manaus, Natal e Curitiba, nei quali gli organizzatori si sono impegnati a utilizzare tecnologie sostenibili in termini di materiali, sistemi di illuminazione e di riduzione del consumo di acqua. Ma anche per quanto riguarda i trasporti che verrano utilizzati da tifosi e spettatori. Qualche esempio: il mitico Maracanà, tempio del calcio planetario, edificato nel 1950, è stato ristrutturato e dotato di 1.500 pannelli fotovoltaici sul tetto. In questo modo, lo stadio avrà assicurata la propria autonomia energetica. A

Gli ambientalisti parlano di “greenwashing”: solo una semplice riverniciata di verde! Belo Horizonte, similmente, l’impianto è stato il primo a ricevere la certificazione Leed (Leadership in Energy and Environmental Design), che viene assegnata da un’azienda americana agli edifici che soddisfano una serie di standard ambientali. Ciliegina sulla torta, poi, è lo stadio di Brasilia, presentato come l’unico 100% ecologico al mondo. Produce altrettanta energia rispetto a quanta ne consuma, è illuminato grazie ai Led, recupera l’acqua piovana per innaffiare il campo. Come nel caso del Maracanà, poi, utilizza l’energia solare grazie al tetto completamente ricoperto di pannelli, il che consente anche di garantire l’approvvigionamento elettrico a circa mille famiglie nei dintorni. In più, una mem-

brana catalitica consente di captare le polveri sottili e migliorare così la qualità dell’aria circostante. Tutto bello e tutto vero: chapeau! Ma, tuonano da anni alcune associazioni ambientaliste, non è tutto oro quello che luccica in Brasile. Di più: c’è chi parla apertamente di greenwashing (vale a dire di “riverniciata di verde”), come nel caso dell’organizzazione francese Planète Amazone, da anni impegnata nella difesa della foresta amazzonica nonché dei diritti delle popolazioni indigene. L’ambizione del Brasile è infatti quella di competere con le grandi potenze economiche del mondo. E l’obiettivo è di sfruttare l’evento calcistico come una vetrina per pubblicizzare il proprio modello di sviluppo. Ciò si è tradotto, come detto, nella scelta di stadi “sostenibili”. Ma anche nell’accelerazione di alcuni progetti che sono stati giudicati da numerosi organismi ed esperti internazionali come catastrofici per l’ambiente. Il caso più eclatante è quello delle “megadighe” idroelettriche, in particolare quella di Belo Monte. La diga che sorgerà, nei pressi di Altamira, rappresenta infatti il maggio 2014 scarp de’ tenis

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terzo più grande progetto idroelettrico al mondo. E costringerà 20 mila persone a trovare un nuovo posto dove vivere, a causa della deviazione del corso del fiume Xingu, che allagherà 230 miglia quadrate di foresta pluviale brasiliana. Si tratta solo di uno dei circa 60 impianti che il Brasile ha programmato di edificare in Amazzonia al fine di generare l’energia elettrica necessaria a sostenere la rapida espansione economica del paese. Vale la pena di ricordare che l’Amazzonia brasiliana costituisce il polmone verde del pianeta Terra: ospita il 60% della più grande foresta del mondo e contribuisce per il 20% all’emissione di ossigeno a livello globale. L’area, inoltre, è attualmente popolata da oltre 20 milioni di persone ed è già stata ampiamente colpita dalla deforestazione illegale, dalle attività agricole intensive, dalle industrie minerarie, dalla speculazione fondiaria illegale e dall’occupazione illegittima delle riserve naturali e delle terre abitate dalle popolazioni indigene.

La diga? Più importante dei diritti Ma quali rischi comporta, concretamente, la diga di Belo Monte? Per comprenderlo occorre anzitutto considerare le caratteristiche che identificano, a livello internazionale, una “mega-diga”: si tratta di un impianto la cui altezza, a partire dalle fondamenta, non dev’essere inferiore a 15 metri, e la cui riserva di acqua supera i 3 milioni di metri cubi. È evidente che dimensioni così enormi non possono, nella migliore delle ipotesi, che modificare radicalmente l’ambiente circostante. A ciò va aggiunto che risulta difficilissimo, per gli indigeni, far valere le proprie ragioni davanti a un tribunale. Benché infatti sia la Corte interamericana dei diritti dell’uomo, sia le Nazioni Unite abbiano chiesto a più riprese di sospendere i lavori, le multinazionali coinvolte hanno potuto continuare indisturbate. Il motivo? Le decisioni di tali organismi non sono vincolanti. L’unica autorità internazionale che potrebbe imporre uno stop è l’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro), ma per ottenere un suo pronunciamento occorre l’impegno di un membro del Cda o di un sindacato locale. Cosa che, finora, non si

è riusciti a ottenere. «Di che tipo di diritti dell’uomo parliamo?», ha accusato Antonia Melo – coordinatrice del Movimento Xingu Vivo Para Sempre, nella città di Altamira, la più colpita dal progetto – in occasione di una manifestazione tenuta di recente a Parigi . «Tutto ciò che vediamo, è la negazione della democrazia e dello stato di diritto. Le persone sono cacciate via dalle loro case senza risarcimenti». Certo, gli indigeni si sono rivolti anche ai tribunali locali, «ma – prosegue la Melo – la costruzione di Belo Monte si basa su un artificio legale che risale ai tempi della dittatura militare, noto come Suspensão de Segurança (sospensione di sicurezza, ndr). Esso permette ai magistrati federali, previa domanda del governo centrale, di sospendere in maniera unilaterale le decisioni relative ai procedimenti avviati per violazioni dei diritti dell’uomo o delle normative ambientali. Ciò nel caso in cui venga considerato “minacciato” l’ordine economico del paese». Per il Brasile, insomma, la diga è talmente importante da superare i diritti dell’uomo. Ma, almeno dal punto di vista strategico, è davvero così fondamentale la centrale idroelettrica? Uno studio

Calcio e disagio sociale

Costi alle stelle, proteste diffuse: «Abbiamo altre preoccupazioni» Il modello di sviluppo che la presidente Dilma Rousseff spera di poter magnificare in occasione della prossima Coppa del Mondo di calcio, e delle successive Olimpiadi che si terranno a Rio de Janeiro nel 2016, ha avuto certamente dei meriti. È infatti indubitabile che, negli anni precedenti alla presidenza Lula (predecessore della Rousseff), il Brasile versasse in condizioni economiche assai peggiori rispetto a oggi. Ma ciò non toglie che le condizioni sociali attuali, soprattutto per la fascia meno abbiente della popolazione, siano assolutamente inaccettabili. C’è chi sostiene, infatti, che – grazie all’enorme crescita degli ultimi anni – si sarebbe potuto fare molto di più per combattere i problemi endemici del paese. del paese per protestare contro l’auIn particolare quelli legati all’educaziomento delle tariffe dei trasporti pubbline, alla sanità e alla sicurezza sociale. ci, ma anche per stigmatizzare i costi giNon a caso la rabbia della popolazione ganteschi legati alla Coppa del mondo. si è manifestata con forza negli ultimi Questi ultimi arriveranno, stando alle cianni e, purtroppo, a volte le manifestafre ufficiali diramate dal governo brasizioni hanno assunto toni particolarliano, a 9 miliardi di euro. Ma secondo mente violenti. un articolo pubblicato nel 2012 dalla riIl 17 giugno 2013, 200 mila persone vista Limes la cifra potrebbe essere ben sono scese in piazza in numerose città più alta: «Se nel 2010 in Sudafrica si so-

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no spesi in totale 4 miliardi di dollari, cifra che è stata giudicata scandalosa, in Brasile si è già arrivati a 13 miliardi, e la presidentessa Dilma Rousseff ha anticipato che occorrerà aspettarsi una cifra di non meno di 18 miliardi. Mentre fonti indipendenti parlano di 33,2 miliardi». Di fronte a questi numeri, il 21 giugno dello scorso anno – solo quattro giorni dopo la prima mobilitazione – i manifestanti nelle strade del paese latino-americano erano diventati un milione. «Il Brasile non è solo il paese del calcio e della festa. Qui abbiamo altre preoccupazioni, come la mancanza di investimenti in settori di enorme importanza come l’educazione e la sanità», raccontava una ragazza all’agenzia Afp in quei giorni. Alla fine di gen-


Sport & business

Mondiali nell’Emirato

Dignità dei lavoratori, alla Fifa cartellino rosso dai sindacati Un cartellino rosso per la Fifa. Ad esibirlo, i mille delegati del Congresso della Bwi (sindacato internazionale delle costruzioni) che si sono riuniti a Bangkok, in Tailandia. Ai lavori era presente anche una delegazione della Filca-Cisl italiana, guidata dal segretario generale Domenico Pesenti, che è anche presidente della Federazione europea degli edili. «Chiediamo con forza lo stop agli abusi sui lavoratori immigrati per la costruzione delle strutture sportive per i Mondiali di calcio del 2022 in Qatar», ha detto Pesenti nel corso del suo intervento. Ricordando come «nelle scorse settimane una delegazione della Bwi ha avuto l’occasione di visitare alcuni dei cantieri e degli alloggi dove giovani lavoratori, provenienti prevalentemente da Nepal, India, Bangladesh e Filippine sperimentano condizioni di vita e lavoro veramente al limite della dignità umana, molto differenti da quanto era stato loro promesso prima di giungere in Qatar. Su questo la Fifa ha una grande responsabilità, e dovrebbe esercitare più pressione sul governo nazionale affinché i lavoratori abbiano condizioni di lavoro e di vita più dignitose». Per i campionati mondiali di calcio in Qatar e per il Qatar National Vision, in programma nel 2030, si stanno realizzando infrastrutture e lavori di urbanizzazione per i quali sono impiegati più di un milione di lavoratori, quasi tutti immigrati. In relazione ai Mondiali di calcio, l’emirato, oltre al già pronto Khalifa International Stadium, si sta adoperando per la costruzione di altri 11 stadi inclusi nel progetto iniziale; di questi nove completamente nuovi e due già esistenti, che saranno oggetto di ampliamento.

Diritti sì, Coppa no Manifestazione di protesta contro le spese enormi per i Mondiali 2014

naio nuove manifestazioni sono state organizzate nel paese, in particolare a San Paolo. Anche stavolta – riferiva il Guardian – «contro i milioni spesi per l’organizzazione del Mondiale». La risposta ufficiale della Federazio-

ne calcistica internazionale, per bocca del presidente Joseph Blatter, è stata tranchant: «Il calcio è più forte dell’insoddisfazione della gente». Che, parafrasando, potrebbe assomigliare molto a: «The show must go on».

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dell’università di Oxford dimostra in realtà il contrario: l’analisi considera i costi e le ricadute ambientali, e conclude che le mega-dighe non sono né verdi, né economicamente vantaggiose. Tanto più che in Brasile, spesso, le linee elettriche percorrono migliaia di chilometri dai luoghi di produzione fino a quelli di effettivo consumo, il che comporta anche un’enorme dispersione di corrente elettrica lungo il tracciato. Senza contare che i consumatori finali, spesso, sono le grandi miniere che sorgono vicino alle dighe, e che inquinano in modo devastante l’ambiente circostante. «Per questo dobbiamo sensibilizzare la popolazione europea su una questione cruciale – ha aggiunto Christian Poirier, di Amazon Watch –, ovvero sul fatto che noi non possiamo più tollerare il mercantilismo rapace dell’industria mondiale delle grandi dighe, che è complice di crimini come quello di Belo Monte». L’atteggiamento delle multinazionali è evidente se si considera il metodo utilizzato per quanto riguarda lo studio di impatto ambientale. La convenzione internazionale numero 169 dell’Oil impone infatti una consultazione obbligatoria, libera e informata, delle popolazioni autoctone. Ma tale documento, che consta della bellezza di quasi 40 mila pagine, è stato consegnato agli abitanti della zona soltanto due giorni prima rispetto al dibattito pubblico. E non è stato neppure tradotto nella lingua locale. Per cui i cittadini coinvolti si sono ritrovati un dossier infinito, a 48 ore dalle riunioni ufficiali, che non erano neppure in grado di comprendere. Tutto ciò rischia di essere offuscato, se non del tutto in larghissima parte, dalla Coppa del mondo. È facile immaginare, infatti, che i media internazionali si concentreranno sulle partite di calcio e, se vorranno divagare rispetto allo sport, sui meravigliosi stadi ecologici edificati per l’occasione. Poca attenzione sarà riservcata alle sorti degli abitanti della foresta amazzonica. Sarebbe invece utilissimo sfruttare l’evento per far sentire la voce di chi non soltanto non riceve alcun beneficio dal Mondiale, ma è costretto a combattere per la salvaguardia della propria terra e, con essa, della Terra. È questo lo specchio del Brasile, oggi: un paese colmo di contraddizioni.

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21ventunoeconomia Quindici anni fa il via al primo istituto di credito italiano governato da principi diversi dal profitto a ogni costo

Buon compleanno, Banca Etica

Banca Etica, nata dall’impegno di migliaia di cittadini e organizzazioni che ritengono necessario utilizzare il denaro in modo responsabile ed etico, ha appena compiuto quindici anni, ma ha iniziato a prendere forma circa venti anni fa. All’inizio c’erano soltanto le cooperative Mag (Mutue per l’Autogestione) e il loro obiettivo era duplice: creare un sistema di raccolta e impiego del risparmio tra soci privilegiando chi si trova in situazioni di difficoltà; finanziare progetti a tema sociale. Spinte così dall’esigenza di dotare il terzo settore di un soggetto finanziario adatto, negli anni Novanta le Mag contattarono istituzioni del mondo della cooperazione sociale, del volontariato e dell’associazionismo. L’iniziativa ebbe un grande successo e si concretizzò nel dicembre 1994 con la costituzione dell’Associazione Verso la Banca Etica che, pochi anni dopo, dette vita alla Banca vera e propria. Questi i soci fondatori: Acli, Agesci, Arci, Associazione Botteghe del Commercio Equo Solidale, Associazione Italiana Agricoltura Biologica, Consorzio Gino Mattarelli, Cooperativa Oltre-

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mare, Cooperazione Terzo Mondo Altromercato, Consorzio Etimos, Emmaus Italia, Unione Sindacale Territoriale Cisl Brianza, Fiba - Cisl Brianza, Gruppo Abele, Mag2 Finance Milano, Mag Venezia, Mani Tese, Overseas e Uisp. Secondo i dati più aggiornati, il capitale sociale di Banca Etica è di 47 milioni e 633 mila euro, i soci sono 36.976 (31.058 persone fisiche e 5.918 persone giuridiche) e la raccolta di risparmio arriva a 912 milioni e 803 mila euro. I finanziamenti fin qui deliberati (7.236) raggiungono i 774 milioni e 551 mila euro. Circa il 70% dei finanziamenti deliberati è andato a enti non profit (la media del sistema bancario italiano è dell’1%). Nell’82% dei casi il finanziamento ottenuto ha rappresentato la condizione necessaria per svolgere l’attività, nel 52% ha permesso di creare nuovi posti di lavoro, nel 51% ha permesso di aumentare il reddito, mentre il 47% dei clienti ha ottenuto il finanziamento da Banca Etica dopo che una o più banche avevano rifiutato la concessione. I finanziamenti fin qui concessi per l’installazione di impianti per lo sfruttamento di energia da fonti rinnovabili

hanno permesso di evitare ogni anno l’emissione di oltre 25mila tonnellate di CO2, con un risparmio di circa 410mila euro l’anno.

Uomo, cultura e ambiente Oggi Banca Etica si presenta come una rete di servizi finanziari per la promozione culturale, ambientale e umana ed è parte di un più ampio movimento mondiale che si caratterizza per la determinazione a promuovere e realizzare iniziative attorno alle quali persone, associazioni, organizzazioni si aggregano e lavorano assieme per rispondere alle sfide che l’umanità ha attualmente di fronte: la lotta all’esclusione, alla povertà e ai processi di degenerazione sociale, la disoccupazione, la tutela dell’ambiente, i rapporti Nord-Sud, una più equa distribuzione delle ricchezze e delle risorse del pianeta. La politica del credito di Banca Etica definisce il perimetro di azione entro il quale si sviluppa l’attività creditizia. Le scelte che ne derivano sono fondamentali per garantire la coerenza tra l’attività operativa, la mission statutaria e il codice etico e sono alla base del patto di fiducia


Finanza etica

stretto con i risparmiatori e i soci. È indubbia l’importanza della correttezza e chiarezza delle procedure, del rispetto della normativa e di una sana e prudente gestione, ma il processo del credito di Banca Etica si caratterizza per l’originale capacità di valutare il merito creditizio alla luce sia di elementi economici (l’analisi tecnica) che di elementi non economici (la valutazione della sensibilità sociale, ambientale, etica). I finanziamenti concessi da Banca Etica si rivolgono ai seguenti settori di impiego: sistema di welfare (servizi sociosanitari, housing sociale, microcredito assistenziale); efficienza energetica ed energie rinnovabili (coibentazione immobili, cogenerazione, solare termico, solare fotovoltaico, eolico, idroelettrico); ambiente (gestione dei rifiuti, riciclaggio delle materie prime, produzioni eco-compatibili); biologico (produzione e commercializzazione di prodotti biologici); coopera-

zione internazionale (cooperazione allo sviluppo riconosciuta dal ministero degli affari esteri o da istituzioni sovranazionali, microfinanza, finanza etica e solidale); animazione socio-culturale (educazione, cultura, sport per tutti, centri giovanili); commercio equo e solidale (realtà economiche con forte connotazione sociale come le organizzazioni che gestiscono beni

Promozione umana, culturale e ambientale. I principi sono gli stessi di 15 anni fa confiscati alla mafia); impresa sociale e responsabile (attività imprenditoriali che, facendo riferimento ai principi dell’economia civile, contemplino anche l’inserimento di criteri sociali, solidali e ambientali, superando la dicotomia profit – non profit e privilegiando, invece, il concetto di “beneficio sociale per la comunità locale”; credito alla persona (fabbisomaggio 2014 scarp de’ tenis

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ventunoeconomia

I numeri di Banca Etica 47 milioni 633 mila in euro, il capitale sociale di Banca Etica

36.976 i soci della Banca

913 milioni in euro, la raccolta di risparmio

775 milioni in euro, i crediti a oggi deliberati

82% la percentuale relativa ai finanziamenti concessi per attivare una impresa

52% la percentuale relativa ai finanziamenti concessi che hanno permesso di creare nuovi posti di lavoro

gni finanziari primari: prima casa, mezzi di trasporto, eccetera) dei soci di Banca Etica e dei dipendenti o aderenti alle realtà socie della Banca. Viene esclusa la possibilità di finanziare attività economiche che prevedono: produzione e commercializzazione di armi; attività con evidente impatto negativo sull’ambiente; utilizzo e sviluppo di fonti energetiche e di tecnologie rischiose per l’uomo e l’ambiente; sfruttamento del lavoro minorile, violazione dei diritti della persona, non rispetto delle garanzie contrattuali; allevamenti animali intensivi che non rispettino i criteri previsti dagli standard della certificazione biologica; esclusione o emarginazione delle minoranze o di intere categorie della popolazione; rapporto diretto con regimi che notoriamente non rispettino i diritti umani o che siano gravemente responsabili della distruzione dell’ambiente; attività di ricerca in campo scientifico che conducano a esperimenti su soggetti deboli o non tutelati o su animali; mercificazione del sesso; gioco d’azzardo. La valutazione dei finanziamenti è basata su un’indispensabile conoscenza del cliente, della sua progettualità e delle sue specifiche richieste. E, per distinguersi dagli altri istituti di credito, nelle regioni in cui non sono presenti sue filiali Banca Etica si avvale dei cosiddetti “banchieri ambulanti”.

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Il presidente

Biggeri: «Abbiamo trasformato il risparmio in energia pulita» «Era l’8 marzo 1999 quando a Padova apriva il primo sportello della prima banca italiana interamente dedita alla finanza etica, una banca in cui “l'interesse più alto è quello di tutti” – ricorda Ugo Biggeri, presidente di Banca Popolare Etica –. Nata grazie a impegno e volontà delle principali organizzazioni del terzo settore, sembrava allora una scommessa azzardata». Qual è il bilancio dopo tutti questi anni? In questi 15 anni – risponde Biggeri –, abbiamo costruito un istituto di credito cooperativo capace di trasformare il risparmio di cittadini e imprese in energia pulita per i progetti delle imprese sociali e delle famiglie del nostro Paese. Stiamo costruendo reti con le altre banche etiche e alternative che Dalla ong alla Banca sono nate in questi anni nel resto del mondo, Ugo Biggeri, toscano, è stiamo per aprire una filiale anche in Spagna e il presidente del Cda di all'estero siamo citati come buon esempio di Banca Etica. È stato presidente finanza. nazionale di Mani Tese Il vostro successo a cosa si deve? Tutto questo è stato possibile - osserva il presidente di Banca Etica - grazie all'impegno dei nostri 37mila soci e 35mila clienti, in gran parte persone fisiche, che oltre a conferire il capitale sociale e il risparmio necessario allo svolgimento dell'attività creditizia, si impegnano per promuovere la cultura della finanza etica, l'uso responsabile del denaro, l'economia civile e solidale. Proprio per loro abbiamo scelto di festeggiare il nostro compleanno sottoponendoci a una sorta di esame di maturità: abbiamo chiesto ad Altis (Alta scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, uno dei centri più autorevoli in materia) di valutare l'impatto sociale che siamo riusciti a generare in questi primi quindici anni di finanza etica». Avete già i risultati dell'indagine? «Sì. Ci rafforzano nella determinazione ad andare avanti e a lavorare intensamente per permettere a un numero sempre crescente di persone di scoprire che la finanza, quella eticamente orientata, può essere un potente strumento al servizio dell'interesse collettivo, un veicolo - conclude Ugo Biggeri - capace di indirizzare il risparmio verso la crescita economica reale e sostenibile, con grande beneficio per la collettività».

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ventun righe di Mauro Meggiolaro giornalista e analista finanziario

Risparmi per un mondo migliore Ad Harvard gli studenti protestano e chiedono che l’amministrazione dell’università smetta di investire le loro rette in azioni di compagnie petrolifere, perché inquinano l’ambiente e contribuiscono al surriscaldamento del clima. Negli ultimi mesi, in oltre 200 college degli Stati Uniti sono state organizzate proteste simili. Il messaggio è chiaro: se vuoi batterti per un mondo migliore, non basta scendere in piazza. La rivoluzione deve partire dal portafoglio. Come posso marciare contro la guerra o a favore di un modello di sviluppo sostenibile, se poi deposito i miei risparmi in banche che investono in armamenti o finanziano società altamente inquinanti? Sono queste domande, unite al bisogno di finanziamenti del mondo non profit, che nel 1999 hanno portato alla fondazione di Banca Etica. L’8 marzo ha compiuto 15 anni. Oggi ha 37 mila soci e raccoglie risparmi per quasi 1 miliardo di euro, con i quali concede oltre 7 mila finanziamenti a cooperative sociali, progetti ambientali, ma anche a famiglie che vogliono comprare casa o installarsi un pannello solare sul tetto. Grazie a Banca Etica finora sono stati installati 48.259 megawattora di energia pulita, pari al fabbisogno annuale di quasi 18 mila famiglie: oltre 66 mila barili di petrolio che non sono stati bruciati. Rispetto al totale è ancora poco, ma è un numero che continua a crescere. E a dare speranza. Da 15 anni anche in Italia c’è un’alternativa per chi vuole risparmiare e marciare per un mondo migliore. È già un grande risultato.

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lo scaffale

Le dritte di Yamada Ancora una volta vi parlo di un libro illustrato. Pochi istanti prima di venir via, l’avevo sbirciato in una teca con altri titoli menzionati, all’ultima Fiera del Libro di Bologna: vincitore come “miglior Colti Lo zoo opera prima”, questa la categoria del suo premio. di sorpresa da madame dalla Shoah Priscilla La copertina mi aveva subito conquistata, e quando – in basso e sotto una piccola figura accovacciata, uscita Gioele Dix, al Madame Priscilla da pennellate d’acquarello e tratti a pastello – ho visto il secolo David è molto distratta. nome dell’illustratrice, ho sorriso e trovato la quadra. Ottolenghi, sapeva Comincia la sua «Diavolo d’una Laura Carlin», ho pensato: è lei l’auche suo padre giornata dando Vittorio custodiva il buongiorno a trice delle illustrazioni di questa storia meravigliosa che una storia, ma un orso bianco. Poi non ha ancora un editore italiano e che, la sera stessa per anni non era stende un gatto del ritorno da Bologna – con le scarpe ancora ai piedi – riuscito a farsela ai fili del bucato, ho cercato e ordinato in rete. Dopo pochi giorni, sfilavo raccontare. Perché ed esce portando da una busta il magico libro che – finalmente – perimechi ha vissuto a spasso un l’orrore della Shoah coccodrillo. Infine travo con gli occhi e le mani: aveva fatto un bel po’ di non ha voglia di fa il bagno insieme strada per arrivare a me e squadernare il suo potenziale parlarne. Finché a un tricheco. poetico e immaginifico nella mia cucina. un giorno lo ha Lei non si accorge L’illustratrice l’ho già svelata: Laura Carlin, laureata convinto. Ne è di nulla. Perché è al Royal College of Art di Londra, collaboratrice di Vogue nato questo libro: presbite e quel la storia di una giorno ha sbagliato – New York Times – Guardian, e vincitrice di premi e famiglia di ebrei gli occhiali... ma menzioni. Avevo visto i suoi disegni in un romanzo Rizitaliani che fu colta da dove saltano zoli per ragazzi, “L’Asinello d’Argento”. di sorpresa dalle fuori tutti quegli Con The Promise, scritto da Nicola Davies, zoologa e leggi razziali. Di animali? Il marito pluripremiata scrittrice, Laura ha fatto il suo primo libro un ragazzino che la sera le dirà: «Hai non capisce sentito che sono illustrato, dando la luce a disegni con le fondamenta in perché deve fuggiti dallo zoo un testo davvero toccante. lasciare la propria tutti gli animali?». La storia comincia con «When I was young...», scuola, la propria Indovinate dove «Quando ero giovane...»: a narrare il racconto di una casa, mettere tutto si sono nascosti... vita intera spesa a mantenere “LA PROMESSA”, è la quello che può Dai 5 anni. dentro uno zaino ragazzina della copertina. Non c’è il suo nome, neppure e fuggire. Aymeric Vincenot quello del posto dove vive che è brutto, triste, senza sorIllustrazioni risi sui volti delle persone grandi e piccole, polveroso e Gioele Dix di Chiara Arsego insidiato da un vento che rinsecchisce il cielo fino a non Quando tutto Una giornata farlo piovere più. La ragazzina abita nella città col cuore questo sarà finito particolare Edizioni Mondadori Editrice Sironi accartocciato come le foglie secche nei parchi, e ruba euro 16,50 euro 14,90 agli altri il povero poco delle loro tasche. Fino a una notte,quando scorge una vecchina con una borsa gonfia. Tenta di rubargliela ma lei la stringe con la forza degli eroi, prima di sibilare alla giovane ladra «se prometti di piantarli, la lascio andare». «I PROMISE», dice la ragazza. E la vecchina, sorridendo, lascia il malloppo. Mentre corre tra i palazzi sui prati brulli, la ragazzina pensa ai soldi e al cibo che ha tra le mani. Invece aprendo la borsa trova dei semi, «VERDI – PERFETTI – TANTI», e di colpo CAPISCE l’entità della promessa che ha fatto. Sente battere il cuore nuovo che la sosterrà nella paziente semina – clandestina e metodica, prima in tutti i quartieri della città e poi nel mondo – di quella foresta che immaginava già rigogliosa anche solo guardando i “suoi”chicchi. La semina della promessa durerà tutta la vita. Fino a una notte, quando un giovane ladro le ruberà la borsa dei semi, che lei – sorridendo – lascerà. I disegni di Laura Carlin raccontano in modo straordinario il tempo arso e quello attento della semina, il tempo squadrato del grigiore e quello disordinato e allegro del germoglio quando“il verde cresce nella città come una canzone”, accolta a braccia aperte da tutti come pioggia benedetta. The Promise di Nicola Davies, illustrato da Laura Carlin, CandleWick Press,

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Giacomo partigiano ragazzino Una bella storia di Resistenza, attraverso gli occhi di un ragazzino che sogna di diventare partigiano a 11 anni. Siamo a Feltre, nel Veneto, bruciato dai nazisti l’11 agosto 1944. Qui Giacomo troverà un plico di volantini e capisce subito a chi servono e quali rischi si corre a toccare quei fogli. Ma lui rischierà. La sua vita cambierà improvvisamente e pur stando dalla parte della giustizia il ragazzino capirà anche le contraddizioni del mondo degli adulti, dove non tutto è come sembra. Luca Randazzo L'estate di Giacomo Edizioni Rizzoli euro 10,50


On Il bio conquista sempre più italiani Il bio conquista sempre più italiani che si lasciano dietro i consumi alimentari convenzionali (ovvero, con pesticidi). Secondo una ricerca elaborata da Aiab (Associazione italiana per l’agricoltura biologica), sulla base di indagini della Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica e su rilevazioni Ismea Gfk-Eurisko, in Italia nel primo semestre 2013 c’è stata una diminuzione del 3,7% dei consumi alimentari convenzionali, e la crescita del bio ha sfiorato il 9%. Ottimi i dati del lavoro, sono infatti oltre 50 mila gli operatori del comparto, 1,2 i milioni di ettari coltivati, e 3 miliardi di euro. Ma il bio italiano ha conquistato anche la leadership in Europa per le esportazioni di prodotti biologici: valgono oltre un miliardo di euro. Secondo l’Aiab l’export è un’opportunità che va sfruttata fino in fondo perché è un volano di sviluppo per il nostro sistema agroalimentare e per l’insieme del made in Italy: il bio infatti, sostiene l’associazione, non è solo alimentazione ma anche cultura, territorio, innovazione, sostenibilità, etica. La Germania è la principale acquirente dei prodotti italiani bio: soprattutto ortofrutta, sia fresca che trasformata, seguita da vino (quello biologico ha avuto una forte crescita negli ultimi anni), olio e altri prodotti dal forte carattere made in Italy, come la pasta. Significativa anche la crescita del consumo di alimenti biologici nelle scuole italiane: secondo una ricerca Nomisma-Pentapolis, le mense sostenibili sono aumentate, in cinque anni, del 50%, con quasi 1,2 milioni di pasti bio consumati annualmente. Secondo un sondaggio Ipr marketing del 2013, otto cittadini su 10 in Italia sono contrari all’utilizzo di sementi e alimenti geneticamente modificati. INFO www.aiab.it

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Milano

Estate in città, con Dencity ricca di appuntamenti

Tanti i save the date che iniziano da giugno a cura di Dencity, l'associazione dei quartieri Giambellino-SavonaBarona. Eventi all’insegna della socializzazione e della cultura. Il 5 giugno in via Savona 101 alla libreria Gogol & Company il Caffè della Moda. Un incontro dedicato al mondo del sostenibile: dal fashion al consumo critico, alla fotografia, al cibo, all'autoproduzione. Un’iniziativa di Connecting Cultures nell’ambito di Dencity, per riflettere su un tema, quello della moda, che caratterizza il quartiere Savona ma che deve cercare di rendersi più sostenibile nel prossimo futuro. Il 20 e 21 giugno dalle 10 alle 24, ai Giardini di via Odazio, nel quartiere Giambellino, il Festival Interculturale Milanese riapre i battenti: il Jam-bellico del Mondo è il nuovo evento cittadino dedicato all’Intercultura e alle Seconde Generazioni che si affaccia, già dallo scorso anno, sulla scena di Milano. Jam-bellico del Mondo, promosso da Dencity nel quartiere Giambellino, è un appuntamento dedicato alle seconde generazioni che aggrega in una variopinta kermesse le più interessanti risorse interculturali della metropoli. Dopo il successo del Jam-bellico edizione 0, il prossimo giugno sarà la volta dell’edizione 1.0 del primo Festival interculturale di Milano. INFO www.dencity.info

Vicenza

Cittadini senza città, reading di Scarp al Festival Biblico “Cittadini senza città”: è il titolo del reading di storie senza tetto a cura della redazione vicentina di Scarp de’ Tenis. L’appuntamento è il 2 giugno, alle ore 21, nella chiesa di Santo Stefano a Vicenza, in occasione del Festival Biblico 2014, che quest’anno ha come tema “Le Scritture, Dio e l’uomo si raccontano”. Il Festival Biblico inizia il 22 maggio e finisce il 2 giugno. Fra i temi del reading della redazione vicentina di Scarp c’è quello di giovani senza dimora che si ritrovano senza

Pillole senza dimora Il Dio dei senza dimora raccontato da un volontario Dio lavora e noi non gli mettiamo neppure i contributi: è il titolo, a metà strada fra il grottesco e l’amaro, del libro di Antonio Armenante, fondatore del Punto Pace di Pax Christi a Cava de’ Tirreni, Salerno. Il suo libro sarà presentato il 16 maggio a Cava, nelle sale del municipio. Il libro, edito da una piccola casa editrice, Area Blu, è frutto degli anni di volontariato che l’autore ha svolto per strada, a supporto dei senza dimora di Salerno e comuni limitrofi. Nel volume, infatti, protagoniste sono le persone senza dimora che per una volta possono esprimersi e mostrarsi come sono, con le luci e le ombre, proprio come ogni essere umano. Nel 90% delle storie raccontate emerge anche una spiccata dimensione spirituale nella vita di queste persone, un Dio che dà loro la forza e il coraggio di resistere alle difficoltà e alla mancanza di speranza che li assale. Antonio Armenante ha svolto il suo volontariato per anni al fianco della dottoressa Anita Pastore. Il ricavato del libro sarà devoluto interamente in beneficenza: per metà alla Casa della Pace di Pax Christi di Firenze, per l’altra metà a Casa Ruth, una casa di accoglienza per donne immigrate, vittime della tratta, che ha sede a Caserta. Suor Rita Giaretta, una delle fondatrici di Casa Ruth, ha scritto la prefazione del libro insieme a don Tonio Dell’Olio. INFO antonio.armenante1@hotmail.it

casa, senza lavoro, e senza documenti. Fino a essere privati, persino, dell'identità. INFO www.festivalbiblico.it

Torino

Scopri Porta Palazzo, domeniche di primavera tutti in piazza Nelle domeniche tra il 27 aprile e il 29 giugno il Comitato cittadino Porta Palazzo – The Gate ha ricevuto l’incarico dal comune di organizzare iniziative che


caleidoscopio

consentano di impiegare gli spazi di piazza della Repubblica a beneficio dei cittadini. La domenica, non essendo giorno di mercato, la piazza viene in effetti occupata da ambulanti abusivi, che però lasciano l’area colma di rifiuti, creando disagio fra i residenti. Il Comitato Porta Palazzo – The Gate si è detto disponibile a organizzare intrattenimenti di varia natura nella piazza, in modo da impiegare gli spazi a favore della popolazione residente. Il Comitato di cittadini ha tra i propri scopi statutari quello di contribuire alla riqualificazione socio-ambientale e alla rivitalizzazione socio-economica dell’area di Torino Porta Palazzo – Borgo Dora. L’associazione da tempo opera efficacemente sul territorio attraverso l’attivazione di iniziative che avvengono in stretta sinergia con l’amministrazione comunale, come in questo caso. Il calendario domenicale di Piazza della Repubblica è fitto di eventi che vede il coinvolgimento delle diverse realtà del territorio, ma non solo. I momenti di incontro nella piazza saranno dedicati a diverse aree di interesse: Area degustazioni, Area bimbi, Area delle associazioni, Area verde (fiori, piante, erbe officinali, mostre tematiche), Area sport e interazione. Area intrattenimento (spettacoli, artigianato e creatività, collezionismi). INFO www.comune.torino.it

Torino

David Seymour, il fotografo che ritraeva la realtà con il cuore Fino al 14 settembre Torino ospita, nella sede di Palazzo Reale, una retrospettiva monografica dedicata a uno dei più leggendari fotoreporter del ventesimo secolo: David Seymour (1911-1956), co-

fondatore nel 1947 dell’agenzia Magnum insieme a Henri Cartier-Bresson e Robert Capa. Il percorso espositivo è ricco, 127 fotografie in bianco e nero, suddivise in nove sezioni: Francia, La Guerra Civile in Spagna, Germania, L’Europa dopo la Seconda guerra mondiale, I bambini della guerra, Israele, Egitto, Celebrità, Ritratti di Chim. David Seymour, al secolo David Szymin, in seguito abbreviato nello pseudonimo Chim, nacque a Varsavia nel 1911 da una famiglia di ebrei polacchi (il padre era uno stimato editore di libri Yiddish). Dopo gli studi in arti grafiche a Lipsia, iniziò la carriera fotografica a Parigi nel 1933, dove frequentò e divenne amico di Robert Capa e Henri Cartier-Bresson. David Seymour è stato uno dei più importanti fotoreporter di guerra: amava considerarsi un artigiano della fotografia, non un artista; utilizzava una macchina fotografica all’avanguardia per l'epoca, una Leica 35mm, per riuscire a rendersi anonimo nel momento dello scatto e poter così immortalare persone e fatti nella maniera più autentica possibile, spingendosi fin nel cuore dell’azione. Una delle sue foto, diventata un’icona della guerra civile di Spagna, ritrae una madre che allatta il suo bambino nel corso di una manifestazione contadina,

l’immagine è diventata famosa in tutto il mondo. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, essendo ebreo, dovette fuggire a New York ma riuscì a tornare in Europa nel 1943 arruolandosi nella statunitense Air Force, con il delicato compito di fotointerprete delle immagini aeree. Seymour in quel periodo documentò il suo tempo con coraggio, forte di una

Off WhatsAppite, male ai polsi per troppo smartphone Attenzione alla digitazione. The Lancet, il prestigioso periodico medico, ha riconosciuto che l’infiammazione ai polsi può derivare dalla troppa digitazione: chi passa troppe ore con lo smartphone in mano rischia di ritrovarsi con i polsi doloranti. La diagnosi è stata chiamata WhatsAppite. A quel punto, oltre agli antinfiammatori è consigliata l’astinenza da chat e smartphone. Non è la prima volta che un disturbo viene associato a un dispositivo o un’applicazione elettronica: nel 1990, in piena fioritura del Nintendo Gameboy, in tanti si ritrovarono con polsi e dita affaticate e doloranti. Giovani adolescenti soprattutto, ma non solo. All’epoca si parlava di “Nintendinite”. Ma con la tecnologia di oggi, sempre più diffusa fra giovani e meno giovani, la WhatsAppite è destinata a essere più invasiva e duratura. INFO www.thelancet.com

coscienza sociale che lo portava a non sottrarsi mai al pericolo pur di dare voce alla realtà. Famose sono le immagini in cui racconta l’infanzia, rubata degli orfani di guerra, per l’Unicef. David Seymour è stato ucciso a Suez nel 1956, mentre stava preparando un servizio per Newsweek sul conflitto araboisraeliano, quattro giorni dopo la firma dell’armistizio: la macchina su cui viaggiava fu crivellata di colpi da una mitragliatrice egiziana. «Chim prendeva la sua macchina fotografica nel modo in cui un medico estraeva lo stetoscopio dalla borsa, concentrando la sua diagnosi sul cuore. Il suo era vulnerabile»: così lo ricordò il suo amico Henri Cartier-Bresson. INFO www.ilpalazzorealeditorino.it maggio 2014 scarp de’ tenis

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Web

Jobmetoo, piattaforma per reclutare lavoratori disabili Ha l’obiettivo di facilitare e perfezionare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per le persone con disabilità. Jobmetoo è la prima società web dedicata al reclutamento di lavoratori disabili, che consente alle aziende di selezionare i candidati in modo mirato. La nascita della piattaforma, che ha origini marchigiane ma ha sede a Milano, è sostenuta da 360 Capital Partners e dal network internazionale U-Start, per un investimento di 500 mila euro. Jobmetoo vuole diventare il punto di riferimento per le aziende che vogliono inserire nel proprio organico lavoratori appartenenti alle categorie protette per poterle far lavorare in mansioni che ne esaltino il valore, a vantaggio quindi sia dell’azienda sia della persona con disabilità. Ma come funziona Jobmetoo? Si tratta di un servizio di inserimento lavorativo semplice e accessibile. Esso consente di compilare gratuitamente il curriculum vitae e creare un profilo estremamente dettagliato; guardare le posizioni lavorative compatibili e candidarsi con un clic; ricevere messaggi di “job alert” per essere sempre aggiornati. Il tutto, con il supporto di un team di professionisti che vivono la disabilità in prima persona. L’azienda, da parte sua, può compilare il proprio profilo e mettersi in contatto con i migliori candidati, inserire le posizioni lavorative aperte, ricercare liberamente nel database dei candidati e salvare i profili più interessanti, con il supporto di un team di professionisti esperti. INFO www.jobmetoo.com

Genova

“Parole spalancate”: cento eventi per il Festival di poesia Dal 9 al 16 giugno torna la ventesima edizione del Festival internazionale di poesia di Genova, intitolato “Parole spalancate”. Ogni estate, dal 1995, la città dà vita alla più grande e prestigiosa manifestazione italiana dedicata alla poesia in tutte le sue forme, che attira ogni anno nel capoluogo ligure i più importanti poeti

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Miriguarda di Emma Neri

Il Pane dell’Opera, un pasto completo per chi ne ha davvero bisogno Sabato 17 e domenica 18 maggio, Opera San Francesco per i Poveri rinnova il suo appuntamento in piazza con la sesta edizione di “Il Pane di Osf”, ottenendo quest’anno il patrocinio Expo2015. Più di 400 i volontari di Osf impegnati nelle principali piazze di Milano, Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia e Varese, con l’obiettivo di raccogliere fondi e fare conoscere le attività che l’associazione svolge in favore dei poveri e degli emarginati. Opera San Francesco offrirà al pubblico una pagnottella, simbolo di fratellanza e condivisione, a fronte di una donazione minima di 5 euro, che garantirà un pasto completo a un ospite della mensa dei poveri di viale Piave a Milano. La pagnottella è sfornata appositamente per l’occasione e donata a Osf da Panem, sponsor tecnico della manifestazione. Il Pane di Osf è dedicato a Fra’ Cecilio, il frate cappuccino che, nel convento di viale Piave a Milano, seguendo i dettami di San Francesco diede vita a Osf, un luogo di aiuto per tutti coloro che sono in cerca di conforto spirituale e di sostegno materiale. Negli ultimi anni la crisi economica ha portato a un allargamento dell’area della povertà, che ormai coinvolge non solo gli immigrati, ma anche italiani appartenenti a fasce sociali che fino a qualche tempo fa sembravano solide. Sono sempre di più gli utenti di nazionalità italiana che fanno ricorso ai servizi offerti da Osf. Nel 2013 l’associazione ha registrato un ulteriore aumento delle richieste di aiuto rispetto al 2012, arrivando a offrire gratuitamente 858.220 pasti (più di 2.700 al giorno), 12.522 cambi d’abito, 66.633 docce; ha curato oltre 40.104 persone e distribuito più di 68 mila farmaci. L’iniziativa Il Pane di Osf è sostenuta anche da Mondel z International. L’appuntamento è sabato 17 e domenica 18 maggio 2014 nelle piazze, come detto, di Milano, Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia, e Varese. INFO www.operasanfrancesco.it

Pillole senza dimora

Welfare cittadino: a Catania previsti ulteriori 50 posti letto per i senza dimora Nonostante il taglio dei trasferimenti statale subito dall’amministrazione comunale (per il triennio 2013-2015 sono stati previsti in arrivo da Roma 3 milioni 800 mila euro, erano oltre 12 nel triennio precedente), la città sembra non voler rinunciare al minimo indispensabile sul fronte sociale. È stata infatti annunciata l’apertura di un centro diurno dedicato a 40 minori con disturbi del comportamento, al quale sono interessati anche i comuni di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia; inoltre, progetti personalizzati per 24 minori con disabilità e interventi domiciliari per 34 persone con gravissime disabilità (servizi questi anche per Misterbianco e Motta). Tutto ciò è previsto dal piano del distretto socio-sanitario di Catania, Misterbianco e Motta Sant’Anastasia definito dall’assessorato al welfare del comune di Catania. Nello stesso piano è previsto nel capoluogo etneo un intervento specifico per gli homeless: consiste nell’apertura di un nuovo dormitorio da 50 posti letto, che va a integrarsi con quello già esistente e delle stesse dimensioni. Il piano comunale prevede inoltre interventi con buoni casa per un tetto massimo di 60 famiglie.


caleidoscopio Ricette d’Alex Frittelle di tagliatelle

Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti dopo aver appreso l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp. Prendete tre nidi di tagliatelle all’uovo per porzione. Cuoceteli in acqua salata facendo attenzione a non disfare i nidi, ritirateli molto al dente. Fate una pastella con 2 uova, 2 cucchiai di farina, latte quanto basta e pasta d’acciuga. Passate i nidi cotti nella pastella e friggeteli in abbondante olio. Serviteli molto caldi. Potete servirli anche come antipasto. Piatto per quattro porzioni.

del mondo e una folla di appassionati. Il Festival in questi venti anni ha visto la partecipazione di oltre mille tra poeti, studiosi e artisti, provenienti dai cinque continenti, in rappresentanza anche di minoranze linguistiche e culturali. Anche quest’anno “Parole spalancate” presenta oltre 100 eventi gratuiti fra letture, concerti, performance, mostre, visite guidate e proiezioni, nello splendido Cortile Maggiore (foto sopra) di Palazzo Ducale e in altri luoghi suggestivi del centro storico cittadino. INFO www.festivalpoesia.org

elettriche, e – ancora – autocostruzione, giochi, esperimenti e cooking, con meridiane e cucine solari. Nei due giorni di “kermesse solare” ci sarà l’opportunità per i cittadini di avere una panoramica chiara sulle opportunità legate all’energia solare e a un uso

Eventi - Milano

La potenza di Helios, due giorni alla Cuccagna coi “lavoratori del sole” Il 17 e 18 maggio, alla Cascina Cuccagna di Milano, si svolge la seconda edizione di “La potenza di Helios”, a cura di Donatella Pavan. L’evento promuove l’efficienza energetica e l’utilizzo dell’energia solare in città: due giorni di workshop, incontri sui vantaggi di pannelli solari e auto

efficiente dell’energia, coinvolgendo diversi attori che “lavorano con il sole”. Qualche esempio: produttori e installatori di pannelli spiegano perché l’energia fotovoltaica conviene anche finiti gli incentivi statali, e i fornitori di energia presentano contratti provenienti al 100% da fonti rinnovabili. L’Ordine dei commercialisti di Milano sarà inoltre a disposizione per spiegare come è possibile accedere alle detrazioni previste per rinnovabili e interventi sull’efficienza energetica. Legambiente lancerà la nuova campagna “Condomini Efficienti”, realizzata con il comune di Milano, che offre diagnosi energetica gratuita ai condomini. Per i ragazzi, infine, si terranno i laboratori di meridiane e gli esperimenti con l’orologio analemmatico a cura dell’Associazione gnomonica italiana; dimostrazioni e improvvisazioni di cucina solare con Tommaso Fara e Mercedes Mas, della Casa della Pace. INFO www.lapotenzadihelios.eu

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

maggio 2014 scarp de’ tenis

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street of america In uno dei templi dell’economia globale aumentano poveri e homeless

Tendopoli tra i milionari digitali, com’era verde la Valley... di Damiano Beltrami da New York

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Baracche in mezzo al Silicon-distretto Una tendopoli, sempre più ramificata, si snoda lungo il sottile corso d’acqua che attraversa San José, la capitale de facto della Silicon Valley. Qui si dipana una città invisibile, delimitata dalla spazzatura e avvolta dal rumore dei jet privati: vi abitano ex lavoratori senza specializzazione e molti ispanici

I SOLITO SI PENSA ALLA SILICON VALLEY PER L’INNOVAZIONE CHE CAMBIA IL MONDO (Google, Facebook, Apple), per i suoi meccanismi di virtuosa collaborazione tra impresa, università e finanza, per essere uno dei distretti più creativi e ricchi del pianeta. Eppure, all’ombra di questa affascinante realtà ce n’è una meno scintillante: in questa zona della California negli ultimi vent’anni la classe media è scomparsa. E oggi, oltre ai milionari, ci sono sempre più poveri. Prova di questo crescente gruppo di indigenti è la tendopoli che si snoda lungo il sottile corso d’acqua che attraversa San José, la capitale de facto della Valle. Qui si dipana una tentacolare città invisibile delimitata da spazzatura e avvolta dal rumore assordante dei jet privati che decollano e atterrano nel vicino aeroporto di San José. «Questo posto è veramente assurdo – ha detto inforcando la bicicletta una residente, Kristina Erbenich, 38 anni, ex chef che ha speso 14mila dollari in camere d’albergo prima di restare al verde e riparare nella tendopoli –. Se tutti qui in Silicon Valley sono così pieni di soldi, perché non ci danno una mano?». Un altro abitante dell’accampamento è Daniel Garcia. Lavorava a Google come aiutante nelle cucine della pantagruelica mensa, dice, ma dopo una serie di controlli per via della sua fedina penale sporca è stato messo alla porta. «Mi arrangio con qualche lavoretto, aggiusto bici, frigoriferi, quel che capita – spiega –. Ma certo non mi posso permettere di pigliare a pigione un appartamento. Cerco di sopravvivere qui, per fortuna ho la scorza dura». La Valley è un Eldorado per ingegneri, programmatori, startupper. Molto meno per gente senza competenze scientifiche o più in generale con bassi livelli d’istruzione. Le poche fabbriche manifatturiere che c’erano hanno chiuso da tempo. Quegli operai lasciati a spasso o si sono trasferiti oppure si sono ritrovati in grande difficoltà, anche perché ad esempio il salario per un magazziniere di supermarket è di 10 dollari all’ora, e fino a qualche mese fa di appena 8 dollari. È facile intuire quindi perché i food stamps, i sussidi alimentari concessi ai redditi poveri, hanno ormai raggiunto i livelli massimi da dieci anni a questa parte, il numero dei senza dimora è aumentato del 20% in due anni e il salario medio annuo degli ispanici (che costituiscono il 25% dei residenti nella Valle) ha toccato il record negativo di 19 mila dollari, calando quindi del 15% negli ultimi cinque anni, stando ai dati della Joint Venture Silicon Valley, un’associazione legata ai gruppi filantropici della regione. A richiamare l’attenzione su questo aspetto poco noto dell’epopea della Silicon Valley è stata qualche tempo fa Martha Mendoza, giornalista dell’Associated Press, che a Scarp dice: «Vent’anni fa la Valle era una zona di frutteti, fattorie e piccole imprese. Oggi è cambiata radicalmente. Ci sono persone incredibilmente ricche e persone incredibilmente povere. Il divario, negli anni, non ha mai smesso di aumentare».

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74. scarp de’ tenis maggio 2014




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