GIORNATA DELLA FAMIGLIA CARMELITANA – FOGGIA 1 MAGGIO 2015 CRISTIANI? LAICI CARMELITANI? ABBIAMO UN FUTURO? Intervento di Nino De Summa ocarmsec Mi è stata data l’opportunità di dimostrare l’equazione: “carisma della famiglia” = “carisma carmelitano”. CARISMA CARMELITANO La Regola Carmelitana ci viene offerta da sant’Alberto come “forma di vita” da intraprendere dopo aver aderito alla cristianità, come suggerisce il prologo “in qualunque stato di vita si trovi o qualunque modalità di vita religiosa abbia scelto”; dunque questa “forma di vita” è destinata non ad una categoria speciale di persone o ad un particolare stato di vita, ma ad ogni battezzato in quanto configurato a Gesù Cristo. Infatti, sempre nel prologo, si chiede di aderire a questa forma di vita per “vivere nell’ossequio di Gesù Cristo e servire Lui fedelmente con cuore puro e buona coscienza”. Ma di che “forma di vita” si tratta? La nostra spiritualità attinge abbondantemente alla dimensione familiare con il termine “fraternità”. Non è un caso che il titolo dell’ordine sia “Fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo”. La forma di vita fraterna è un invito aperto a tutti: laici e consacrati, singoli e sposati, di qualsiasi età e condizione sociale. Ora questa forma di vita fraterna si regge su alcuni pilastri che connotano particolarmente il Carisma Carmelitano, cioè i doni che lo Spirito santo offre a coloro che desiderano rispondere a questa chiamata. L’ascolto della Parola di Dio che necessita di una condivisione: “Tuttavia ciò avvenga in maniera tale che mangiate nel refettorio comune quanto vi sarà stato donato, ascoltando insieme una lettura della Sacra Scrittura” (Reg. 7). Ancora più avanti al nr. 10: “Dimori ognuno nella propria cella o vicino ad essa, meditando giorno e notte la Legge del Signore”. Registriamo queste due indicazioni riguardo alla mensa attorno alla quale condividere dei doni e ad un luogo di abitazione in cui stare di giorno e di notte. È sorprendente il riferimento domestico della mensa e della stanza da letto.
La preghiera. Comunitaria e personale è indirizzata alla realizzazione di una relazione d’amore tra Dio ed il credente. La preghiera è una forma di dialogo, tra Dio e il fedele. A tale proposito sant’Alberto risponde anche ai timori di non saper pregare che spesso ci assalgono, indicando la meditazione continua del Padre Nostro, come esercizio efficace di preghiera. Santa Teresa d’Avila è un mirabile esempio di questa relazione intima con il Signore, che riusciamo a cogliere facilmente nei suoi scritti e soprattutto nel Cammino di Perfezione strutturato proprio sul Padre Nostro. Ho scelto per noi pochi pensieri, tra gli innumerevoli possibili, di questa mistica: “L’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento, da solo a solo, con Colui da cui sappiamo d’essere amati”; “Certo bisogna imparare a pregare. E a pregare si impara pregando, come si impara a camminare camminando”; “Cercate di comprendere quali siano le risposte di Dio alle vostre domande. Credete forse che Egli non parli perché non ne udiamo la voce? Quando è il cuore che prega, Egli risponde.” La prima caratteristica dell’orazione, secondo Teresa, è di essere una realtà dinamica: pregare è iniziare una lunga avventura alla ricerca di Dio, un lungo cammino di comprensione dell’amore inesauribile del Cristo per ciascuno di noi. Il compianto Card. Balestrero così si esprimeva: “Dov’è Teresa il discorso sulla preghiera è inevitabile. La preghiera in lei diventa storia, narrativa, racconto, esperienza. Ed è questa la caratteristica più tipica del suo magistero”. Teresa è “maestra di preghiera” e “mistagoga” perché capace di condurci per mano nel grande mistero sponsale di amore tra Cristo e la Chiesa. Anche qui sorprende il riferimento all’amore coniugale. L’amarsi tra sposi raggiunge le stesse dinamiche della preghiera. Altro pilastro è la koinonia: la comunione di vita e la condivisione della fede che culminano nell’esperienza eucaristica: “La ogni giorno, di mattina, dovete convenire per la celebrazione dell’eucaristia” (Reg. 14). Dove il luogo della mensa è indicato al centro delle abitazioni, proprio come la parrocchia che idealmente dovrebbe essere al centro delle nostre case. Ma si arriva all’esperienza eucaristica, e da qui si riparte, attraverso la comunioni dei beni, la sobrietà e la povertà, attraverso il dialogo, la custodia della vita comune e il perdono delle colpe. Sono le identiche espressioni della spiritualità cristiana della coppia, che giunge all’intima unione con il
dono totale si sé, dopo aver condiviso ogni bene materiale e spirituale, attraverso la vicendevole esperienza dell’ascolto, la custodia della vita ed il perdono. Ultimo pilastro a cui voglio fare riferimento è la diaconia. Mettere a disposizione di tutti la propria capacità ed il proprio amore per la promozione dell’umanità. Sono le opere di carità, ascolto e accoglienza degli ultimi e degli emarginati. Per realizzare questa virtù del servizio la nostra “forma di vita” indica la strada dell’umiltà: “Chiunque vorrà essere il più grande tra voi sarà vostro servitore e chiunque vorrà essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Reg. 22). Nella dimensione familiare i coniugi sono chiamati al delicato compito dell’educazione cristiana e sociale dei figli, in cui essenziale è l’indicazione al servizio come elemento probante dell’obbedienza e della sottomissione (quella intesa da San Paolo in Ef 5). Consideriamo questi “pilastri” come elementi attorno a cui è costruito l’edificio spirituale del carmelitano. In una costruzione la funzione dei pilastri e delle fondamenta è indispensabile per la tenuta stessa dell’edificio, eppure non appaiono manifestamente a chi osserva la bellezza e la rifinitura dell’edificio. Così è la spiritualità carmelitana che sostiene dall’interno la vita cristiana di ogni battezzato, manifestando la bellezza della fede, della Speranza e della Carità. Il carmelitano non è un cristiano di seria A: è un “battezzato” al pari di ogni battezzato nella Chiesa, chiamato a collaborare per la stessa missione. Ma animato interiormente dall’amore di Dio e per Dio. CARISMA DELLA FAMIGLIA Il carisma familiare, così come ci viene oggi proposto dal Magistero della Chiesa, è l’essere un “cantiere di santità” fondato sul Battesimo che la configura a Cristo Re, Sacerdote e Profeta e i cui pilastri sono: la Parola di Dio. la preghiera, l’eucaristia, la comunione ed il servizio, che abilitano la famiglia ad imparare il linguaggio di Dio e a comprenderne la sua volontà. La famiglia è una comunione di persone che insieme condividono e gestiscono l’amore che li unisce, una fraternità che si fonda su di un legame di sangue ed agisce e sostiene il legame sociale; la famiglia è chiamata a servire l’umanità e la Chiesa nell’accoglienza della vita.
Sarà facilissimo coniugare il termine “famiglia” accanto ad ognuno dei pilastri del Carisma Carmelitano per risolvere l’equazione che ci siamo posti all’inizio. Definire la famiglia come “cantiere” è scoprire che la famiglia stessa è in continuo divenire e non un’opera definitiva e definita. Il continuo evolversi sociale della famiglia e le nuove povertà che sorgono (convivenze, separazioni, divorzio, coppie gay, aborto, eutanasia, …), vedono la comunità cristiana in netto ritardo. È in netto ritardo la preparazione dei presbiteri troppo concentrati su di una pastorale frammentaria; è in ritardo l’universo degli ordini religiosi troppo piegati su se stessi e sui propri affari e ordinamenti; è in ritardo il mondo laicale cristiano considerato ancora come forza lavoro piuttosto che come risorsa con l’evidente tendenza a clericalizzarsi piuttosto che emanciparsi in un ruolo attivo. L’invito del nuovo Sinodo sulla famiglia è proprio questo: capire in “tempo reale” i mutamenti della famiglia e le sue esigenze: è questo il vero “stare al passo dei tempi” che la Chiesa deve proporsi come missione nel mondo. La domanda che si pone il nostro convenire oggi: le nostre famiglie hanno un futuro, hanno un futuro di crescita nel carisma carmelitano? Credo e spero di sì! È un grido di speranza di chi ha già sperimentato la concreta possibilità di vivere il carisma carmelitano in famiglia e con le famiglie, nella spiritualità coniugale e nell’esperienza genitoriale. Progetto fallito in parte, ma non dimenticato ed ancora recuperabile.
Sgombriamo innanzitutto il campo da un equivoco o da un rischio: quello di pensare ad una pastorale, in ordine al matrimonio e la famiglia, perché la famiglia va male. Tutti abbiamo infatti esperienza di fallimenti matrimoniali, di separazioni, divorzi, ma non deve essere questo il motore che deve spingerci ad interessarsi della famiglia. Il motivo che ci deve spingere a lavorare in questo cantiere è che la famiglia è una risorsa per la Chiesa e per il Carmelo. Ricordiamo la provvidenziale intuizione di San Giovanni Paolo, che esortava così padri, madri e figli: "Famiglia, credi in ciò che sei", completando l'ormai famosa espressione della Familiaris Consortio "Famiglia, diventa ciò che sei". I l Santo Padre chiedeva un atto di fiducia alle famiglie: credere nelle proprie capacità; credere nel ruolo che le spetta nella società e nella Chiesa come "cellula vitale" ed assumere la consapevolezza di essere parte integrante della missione ecclesiale. Non si tratta di apporsi l’etichetta: di “famiglia carmelitana”. Piuttosto vivere la fede e le dinamiche familiari nel luogo dove si vive, sorretti da quei pilastri di cui abbiamo parlato. Il futuro a cui dobbiamo guardare non è un nuovo associazionismo, ma è riformulare le nostre più validi espressioni di vita cristiana … per fare questo occorre crederci ed impegnarsi, ma soprattutto formarsi. “Se qualcuno poi avrà dato di più, il Signore stesso, alla sua venuta, glielo ridonerà”. Termina con queste parole la Regola non chiudendo la breve epistola, ma offrendola ai tempi futuri per essere adeguatamente realizzata. Maria, nostra Madre e Sorella, ci sostenga con pienezza di grazia nelle nostre intenzioni, perché si realizzino secondo l’opera di Dio.