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Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb.to postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 2 - DCB Roma - n.83
INT RNAT E
Centofiori
Periodico di informazione sul volontariato a cura della branca italiana del Servizio Civile Internazionale
100 anni di moltitudine 1920 - 2020
Servizio Civile Internazionale
Indice Centofiori n.83 Redazione e amministrazione: Segreteria Nazionale SCI Via A. Cruto 43 - 00146 Roma E-mail: info@sci-italia.it Web: www.sci-italia.it Coordinamento e realizzazione: Segreteria Nazionale SCI Testi: Segreteria Nazionale, attivisti, volontari e partner SCI
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Testimonianze 100 anni di voci SCI: “Dal sogno di Pierre Ceresole ad oggi” Pierluigi Vagliani e la nascita di SCI Italia Gabriele Cremaschi “l’importanza di ricordare le proprie esperienze per viverne di nuove”
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Intervista ad Antonio Restelli di “Olinda”
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Guardare la storia, con il volto in avanti: costruire la pace, la solidarietà, la giustizia sociale
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Intervista associazione “Casa in movimento” di Cologno Monzese
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“Tent of nations” Racconto di un primo viaggio in Palestina
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Editoriale - 100 anni di SCI: alcune riflessioni sul nostro percorso
Intervista a Paolo Maddonni “Un’idea …disarmante!” Intervista a Massimo e Giorgio di “Vivere la montagna” Conclusioni - Trasformazioni nell’ “insolito” 2020 Contatti
Editoriale 100 ANNI DI SCI: ALCUNE RIFLESSIONI SUL NOSTRO PERCORSO da Gruppo Comunicazione
Ormai catapultate/i in questo “incerto” 2021, ma sempre con la voglia di fare, riprendiamo una riflessione cominciata nel 2020, a 100 anni dalla nascita dello SCI: 100 ANNI DI MOLTITUDINE - 20 NOVEMBRE 19202020 100...un numero a tutto tondo, come il Mondo, che ci riporta a quel 20 Novembre 1920 (non era trascorso molto tempo dal primo conflitto mondiale) un gruppo di giovani si mise in testa di rendere il Pianeta un posto migliore...ma come? Partendo da un’azione come “porre una prima
pietra” per ricostruire la cittadina di Esnes, in Francia, distrutta (come altri luoghi) dalla guerra e fu anche “il senso di porre quella prima pietra” che diede vita a un movimento laico e pacifista che ad oggi (re)esiste, da ben 100 anni, lo SCI - Servizio Civile Internazionale. L’incontro tra persone di varie culture, prima protagoniste di un conflitto che le rese nemiche, le vide unirsi per ricostruire assieme non solo una cittadina, ma una società che ad oggi (nonostante l’attuale situazione sanitaria - sociale - politica) vive l’impegno di chi crede che condivisione, attivazione, solidarietà 3
e molti altri valori (con un approccio olistico e non assistenzialista) siano le basi di un’azione collettiva che agisce per trasformare la società, partendo dal basso e raggiungendo in maniera capillare tutti gli spazi in cui vogliamo fare la differenza! Essere volontario e volontaria SCI significa questo: accogliere la sfida di essere attivi/e con coscienza, energia e coraggio!
Essere sempre più “parte” della società civile che vogliamo 1920...come vi abbiamo raccontato nacque il primo campo di volontariato del Service Civil International (S.C.I. sci.ngo) e non fu l’ultimo ... infatti in 100 anni lo SCI, riecheggia “come musica”, di Paese in Paese senza fermarsi superando barriere e confini (non solo fisici, ma anche mentali) e attraverso generazioni di attivisti e attiviste, facendo rete, ha dato vita a idee e progetti meravigliosi e fondamentali: inclusione sociale, resistenze territoriali e risorse comuni, cittadinanza universale e libertà di movimento, interventi civili di pace, economia solidale e sostenibile, risoluzione nonviolenta dei conflitti e tanto altro. 4
Nate e nati da un sogno di Pace... Il 2020 segna 100 anni dal primo campo di volontariato SCI: nato da un sogno di pace, per cento anni ci siamo impegnate/i a promuovere la nonviolenza e oggi come allora vogliamo continuare a operare per trasformare questo sogno in realtà. Attraverso questo secolo ci siamo continuamente messe/i in discussione perché crediamo che solo attraverso una pratica costante ed un costante processo di crescita insieme, dell’apprendere attraverso il fare, possiamo promuovere una cultura del pacifismo.
A 100 anni dalla nascita dello SCI - Servizio Civile Internazionale questo momento così difficile sembra “sollecitarci verso nuovi percorsi senza perdere i valori di riferimento” e noi cercando spunti / idee a supporto dell’Associazione vogliamo mantenere una linea etica nell’intraprendere varie attività: dai campi internazionali, mini-campi sul territorio nazionale, Campagne, Progetti, Formazioni, Raccolta fondi e tanto altro... con uno sguardo al passato che ci fa comprendere quanto è stato fatto fino ad oggi.
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Testimonianze TESTIMONIANZE 100 ANNI DI VOCI SCI: “DAL SOGNO DI PIERRE CERESOLE AD OGGI” da Gruppo Comunicazione
Per celebrare questi 100 anni abbiamo pensato di portarvi le voci delle persone che hanno segnato questo percorso: da attiviste/i storici, a volontarie/i che hanno riempito di vita lo SCI. Come allora anche oggi:
“Deeds not Words” In questo Centofiori, troverete alcuni estratti di alcune testimonianze che abbiamo raccolto sul nostro sito web sci-italia.it per la rubrica 100 anni di voci SCI. Buona lettura!
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#INTERVISTASOCIOSTORICO
Pierluigi Vagliani e la nascita di SCI Italia da Patrizia Ceola Vuoi dirmi quando sei entrato nel SCI, e in che modo? Cara Patrizia, sono gli scouts che mi hanno proposto di partecipare ad un campo di lavoro che mi dava l’occasione di rendermi utile alla ricostruzione del paese distrutto dalla guerra. Il primo campo di lavoro a cui ho partecipato a 15 anni è Montenerodomo, un paese in Abruzzo distrutto per rappresaglia dai tedeschi, dove abbiamo costruito un asilo infantile. Il campo era organizzato dall’AmericanFriends Service Committee,
l’organizzazione Quacchera americana incaricata di distribuire gli aiuti americani in Italia. Era il 1947. I volontari italiani che hanno partecipato a quello e ad altri campi organizzati dall’AFSC (Lettopalena sempre in Abruzzo) hanno poi costituito nel 1948 la branca italiana del Servizio Civile Internazionale. Quell’esperienza è stata per me altamente formativa ed ha condizionato tutte le mie scelte di vita sia personali che professionali. Nel 1948 e 1949 ho partecipato ad altri campi di lavoro in Francia, Olanda e Inghilterra. Ho ancora un articolo che avevo scritto su quelle prime esperienze per la rivista scout “Strade del sole” di dicembre 1948. Nel 1950 sono stato eletto segretario della branca italiana. Questa elezione fu confermata ogni anno dall’assemblea nazionale fino al 1955. Come molti altri giovani della mia generazione fummo ispirati dalla lettura del libro di Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli e così il lavoro del Servizio Civile si concentrò in quegli anni nel Mezzogiorno d’Italia e particolarmente in Calabria.
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Sei stato, dunque, Segretario Nazionale per ben cinque anni, quali attività in particolare hai svolto con lo SCI e fino a quando hai collaborato con l’associazione? Nei primi anni ‘50 le iniziative e opportunità di impegno per il progresso civile e sociale del nostro paese erano innumerevoli, così come le occasioni di esperienze formative. Nel 1950 la Segreteria del Servizio Civile Internazionale era ospitata gratuitamente presso la Sede del Movimento di Collaborazione Civica (MCC) in via dei Delfini a Roma, così come i CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva). L’MCC si proponeva di occuparsi della ricostruzione morale degli italiani e dell’educazione alla democrazia. Partendo da un giudizio negativo sulla società italiana nei suoi rapporti con i giovani, l’MCC aveva come obiettivo di aiutare i giovani ad inserirsi come elementi attivi nella vita sociale. I CEMEA si dedicavano alla formazione dei monitori delle colonie di vacanza per bambini e con grande creatività e diversità (marionette, teatro, giochi educativi, musica, canti…) si inserivano con metodi innovativi nella riforma del sistema educativo della scuola italiana. Queste attività si svolgevano tramite stages di formazione che si tenevano nel Castello di Sermoneta, in provincia di Latina. 8
Molti giovani che frequentavano via dei Delfini partecipavano alle attività delle varie Associazioni. Anche lo SCI organizzò dei corsi a Sermoneta per la formazione dei capi campo. Io, come altri, ebbi la fortuna di poter beneficiare di queste opportunità mentre contemporaneamente esercitavo le mie responsabilità di segretario nazionale dello SCI. È questa diversità di esperienze e di formazione che mi hanno portato ad approfondire le mie conoscenze sull’educazione degli adulti e poi a lavorare con l’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo per l’organizzazione dei Centri di Cultura Popolare nel Sud Italia. Non immaginavo allora che questo mi avrebbe condotto prima in Africa per lanciare un progetto pilota di alfabetizzazione degli adulti nella Repubblica del Niger e poi all’UNESCO per occuparmi di programmi mondiali di alfabetizzazione prima e come direttore della gioventù e dello sport poi. Ma intanto, tra il 1952 e il 1955, le funzioni di segretario nazionale dello SCI erano sempre più accaparranti perché la scelta di lavorare nel Mezzogiorno rendeva più complesso il nostro lavoro. Il campo di lavoro e la comunità internazionale che lo compone è una forma educativa eccezionale di per se ‘perché conduce chi vi partecipa al rispetto delle diversità,
alla comprensione internazionale, al capire che abbiamo sempre bisogno degli altri per raggiungere i nostri
obiettivi, ma dobbiamo sempre tener conto dei rapporti con la comunità locale, dei suoi valori culturali, e questo complica il nostro lavoro quando si tratta di una zona con problemi economici, sociali e di costume. Avvicinare una comunità internazionale aperta e moderna alla vita di un piccolo paese chiusa e di antiche tradizioni, può creare un urto troppo violento per poter essere benefico. Dobbiamo quindi inserirci cautamente e con rispetto nella vita della COMUNITA’ LOCALE. Ho dovuto quindi impegnarmi anche a dirigere i campi di lavoro quando non avevamo le persone adatte per farlo oltre che naturalmente reperire i fondi a livello nazionale, sviluppare collaborazione con personalità ed Enti (Carlo Levi, Corrado Alvaro, Senatore Zanotti Bianco, Adriano
Olivetti, Associazione per gli Interessi del Mezzogiorno, Enti e autorità locali, ecc.). Come termine della mia attività con lo SCI mi ero dato come punto di arrivo il completamento della costruzione della scuola di Donisi che fu terminata nel settembre 1955. Ho detto che nel 1955 ho smesso di lavorare per lo SCI, ma il Servizio Civile resta scolpito per sempre nel mio cuore memore che per primo mi ha dato apertura mentale, gioia di vivere, spirito civilista e comprensione dei valori altrui.
Nella ricchezza e varietà di quanto vissuto finora, che cosa indicheresti come la tua esperienza più significativa con il Servizio Civile Internazionale? La vita di comunità in un campo di lavoro dello SCI. E’ una delle esperienze più ricche e positive che si possano immaginare per la formazione di un giovane, dovuta all’incontro con altre culture e altre esperienze di vita unite però da un comune desiderio di pace e di conoscenza. Per quanto mi riguarda io ho trovato nei primi campi di lavoro in Abruzzo, in Carnia e in Francia tutti quei valori che hanno poi accompagnato e ispirato le mie azioni negli anni successivi. Le amicizie di un campo di lavoro sono tra le più durature. 9
#INTERVISTAVOLONTARIO
Gabriele Cremaschi “l’importanza di ricordare le proprie esperienze per viverne di nuove” da Marzia Marras Come hai conosciuto lo SCI ? Ho conosciuto lo SCI autonomamente, navigando su internet, nel 2014. Ho cominciato a informarmi perchè volevo fare una vacanza studio nei paesi anglosassoni per migliorare l’inglese. Ho visto diversi siti, ma proponevano vacanze e scambi a cifre importanti tra iscrizione e viaggio. Girando ancora sul web ho poi trovato informazioni su volontariato in Nord Europa, tipo lo SCI e mi sono detto: bella l’idea di conoscere nuove persone e lavorarci assieme. Ho svolto il mio primo campo di volontariato nella Repubblica d’Irlanda
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presso Cork, al Killarney National Park, ed era a tema ambientale (per es. contenere l’espansione dei rododendri). Mi sono trovato bene. E così ho continuato. Perché hai deciso di partecipare ad altri campi SCI e che valore aggiunto hai avuto ? La prima volta volevo fare una vacanza studio nei Paesi anglosassoni per migliorare l’inglese appunto e ho deciso di stare in Europa perchè mi sentivo più vicino a casa (anche culturalmente), almeno come prima esperienza, anche per capire come fosse … Ma poi ho acquistato uno spirito
diverso, rinnovato, e voglia di fare, di aspettative positive che campo dopo campo crescevano… Al primo campo è seguito uno in Scozia: anche qui campo di volontariato ambientale / cura degli animali (pulire giacigli ecc) eravamo tre volontari/e essendo un campo aperto ad un massimo di quattro più la coordinatrice (che è la proprietaria della fattoria, Lucy, che ci ospitò in un bellissimo cottage. Molto gentile e ci aveva fatto conoscere la famiglia, ricordo in particolare la madre molto originale). Poi ancora un altro campo di due settimane in Irlanda del Nord presso un centro estivo per bimbi/e e accoglienza per persone con svantaggio sociale. Abbiamo svolto tante attività e visitato Belfast ripercorrendo la sua travagliata storia attraverso i racconti di chi ci abita. Ho voluto mettermi sempre più in gioco, andando verso altre culture e sono approdato in Marocco: 2018, campo ambientale in un sito archeologico nella capitale, Rabat, posto bellissimo e tenuto benissimo anche molto turistico. L’esperienza dei campi di volontariato continua; stavolta in Tunisia a Chenini, vicino a Gabes, dove abbiamo lavorato alla sistemazione dell’acquedotto comunale. E fu bellissimo perché ho avuto modo di interagire con le persone
del posto .. tutti hanno partecipato, volontari/e locali e internazionali e i cittadini, con gioia, entusiasmo, nella semplicità (cosa che qui in Italia non vedo spesso). Tante attività…da imbiancare a pulire con folle di persone e volontari/e francesi in Servizio Volontario Europeo (SVE). Grandi amicizie!
Come descriveresti lo SCI ? Amicizia e conoscenza senza confini né pregiudizi .. lavorare assieme. Per una persona che è fuori dal volontariato o non conosce bene lo SCI, dire “campo di lavoro” magari non suona bene, ma poi scopri che a che fare con il volontariato e lo si vive con uno spirito diverso…persone nuove, sperimentare un’altra lingua. ll primo impatto che si ha con il campo sci è fondamentale, magari c’è il disagio iniziale ma dopo poche ore si diventa come fratelli e sorelle.
Se pensi di ri-prendere parte ad attività SCI, quali ti interessano? Stavo guardando il Togo, però per me c’è il limite linguistico, perché come lingua del campo è indicato nelle informazioni il francese e non lo so parlare. Africa e Asia mi piacerebbero, purché ci sia come lingua del campo l’inglese se no mi sentirei un pesce 11
fuori d’acqua. Probabilmente parteciperò ad altri campi l’anno prossimo, perché adesso sto studiando e le iscrizioni al momento sono sospese per il Covid (ho chiamato in Segreteria per informazioni). Mentre come mini-campi è possibile anche adesso, posso trovare un fine settimana. Pensavo dei campi con partner con cui non ho ancora lavorato. Marzia mi parlava, ad esempio di Artemista nel pavese, Wild life rescue center a Piacenza, CIQ-Centro Internazionale di Quartiere a Cascina Casottello Milano).
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Hai eventuali proposte o suggerimenti per lo SCI ? Non saprei, … se non alcuni suggerimenti pratici: cercare di fare delle infosheet il più precise possibili relativamente agli indumenti e protezioni da portare. E magari fare attenzione che tutte le infosheet siano anche in inglese (per il campo in Tunisia, l’ho trovata in francese ad esempio anche se la lingua del campo era inglese). Per il resto niente di particolare. Anzi ho sempre trovato chi lavora in segreteria molto gentile Un’ultima cosa: sarebbe bello ricevere periodicamente la rivista 100fiori come newsletter.
#INTERVISTAPARTNER
Intervista ad Antonio Restelli di “Olinda” da Francesca Fulgoni e Marzia Marras
Ciao Antonio, vuoi presentarti e presentarci “Olinda”? Sono vicepresidente della cooperativa “Olinda” e uno dei soci fondatori. “Olinda” è un progetto che nasce nel 1996 per chiudere l’ospedale psichiatrico Paolo Pini e trasformare una parte di questo in impresa sociale. Si è voluto infatti provare ad utilizzare la chiusura del manicomio per trasformare anche la città. Non basta chiudere i manicomi bisogna anche cambiare nell’immaginario collettivo, pensare cioè una società che non ha bisogno di rinchiudere i diversi. L’abbiamo fatto ricreando l’accesso ai diritti per persone con problemi di salute mentale, in particolare creando posti di lavoro: abbiamo aper-
to tre ristoranti, di cui uno dentro il Paolo Pini, il Jodok, uno al teatro Elfo Puccini, il Bistrolandia e uno a Lecco in una pizzeria requisita alla mafia, pizzeria Fiore. Abbiamo inoltre l’ostello in cui abbiamo accolto tanti campi dello SCI, ed è un vero e proprio ostello, un’attività alberghiera capace di accogliere sia persone svantaggiate, alcune che ci abitano e molte altre che ci lavorano, sia clienti di varo tipo. Oggi abbiamo più o meno cinquanta persone che lavorano in Olinda molte a tempo pieno, comunque tutto l’anno. A fianco di questa attività abbiamo cercato anche di comunicare attraverso la cultura con lo slogan che ci 13
ha contraddistinto e che è diventato titolo anche del nostro festival estivo. Tratto da una canzone di Caetano Veloso ed usato da Basaglia a Trieste vent’anni prima di noi ed è un modo per dire che noi non puntiamo l’accento sulla diversità, ma semmai sulla diversità come ricchezza. “Da vicino nessuno è normale”.
Perché avete deciso di fare un campo SCI e quale valore aggiunto avete tratto? In verità, abbiamo deciso di farne tanti campi SCI, non uno solo. Ricordo il primo, credo sia stato nel 1999 non avevamo ancora l’ostello e l’abbiamo organizzato in un’altra parte del “Paolo Pini”. I campi SCI sono sempre stati una grandissima risorsa per accompagnare anche con una presenza di volontari internazionali quello che stava succedendo all’interno del Paolo Pini. Era molto importante perché in quei tempi in cui funzionava ancora come ospedale psichiatrico e si stava trasformando, avere accesso al mondo anche attraverso campi SCI era utile sia per noi volontari e operatori perché ci dava uno sguardo più ampio e profondo, sia per i nostri utenti che allora erano utenti dell’ospedale psichiatrico Ed è attraverso questi scambi che 14
abbiamo scoperto che gli utenti, in ospedale psichiatrico magari da venti trent’anni, sapevano le lingue straniere. E chiedevamo: “ma come fai a sapere il tedesco, l’inglese?” “ Eh, io lo parlo benissimo.” “E tu Gianni?” “Eh io l’ho studiato a scuola”…Muoveva risorse in modo incredibile. E poi fare comunità. Da lì, in fondo, è nata l’idea dell’ostello. È rovesciare il pensiero che le persone più svantaggiate dovessero essere accolte, in realtà anche loro erano molto capaci di accogliere, anzi erano molto esperti. Perché la non-accoglienza che avevano vissuto per tanti anni sulla loro pelle in qualche modo li aveva resi molto competenti sul contrario, anche nei minimi particolari. Questo ci ha aiutato molto anche nel creare l’ostello. Capaci di accogliere tutti, anche quello che sembra più strano. Questa diventa una grossa capacità anche tecnica alberghiera. Perché in fondo anche gli hotel a cinque stelle non sempre riescono ad accogliere bene le persone, soprattutto se hanno una diversità più o meno visibile. Noi non abbiamo una struttura a cinque stelle, ma sull’accoglienza li freghiamo tranquillamente. Questo pensiero è nato proprio provando con i volontari SVE (Servizio Volontario Europeo) e con i campi SCI. Ce l’hanno innanzitutto
fatta pensare e poi ci ha fatto vedere che era possibile e che era un grosso valore aggiunto. Poi nel tempo abbiamo usato i campi SCI in modo diverso. Ricordo, all’inizio c’era una grande partecipazione. Ad esempio per alcuni anni, quando avevamo ancora i centri estivi, i volontari dei campi SCI lavoravano con i ragazzi del quartiere; ed era un bel modo per aprirsi al quartiere, la Comasina, che non era un quartiere facile. Avevano vissuto quel luogo, quel manicomio, quando funzionava, come un buco nero, invece poi creare il contrario, trasformare quel luogo come risorsa con un parco, e attività anche per i propri bambini è stato prezioso. Una risorsa a cinque stelle appunto in una periferia che allora era “molto” periferia. Con queste attività e con quelle culturali i volontari SCI hanno sempre partecipato molto in particolare alle attività estive. Ad esempio con la rassegna estiva: nell’accogliere il pubblico, preparare i tavoli, seguire la biglietteria, sparecchiare, dare una mano il ristorante o fuori, … Era molto bello, molto caldo, e comunicava al pubblico il bello di venire da tutto il mondo. Era molto potente.
pensare a come usare questa risorsa e così, anche solo pensandoci, siamo stimolati a cambiare e fare qualcosa che non avevamo neanche in mente. Come due anni fa ad esempio. Non pensavamo proprio al giardino interno anche perché servivano risorse che non avevamo. Pensando a che cosa fare con il campo SCI ecco che ci è venuto in mente, è il nostro sogno ed è stato realizzato. Quest’anno non so cosa faremo.
È vero nei campi diciamo sempre che la lingua non è un ostacolo quando c’è la condivisione, la voglia di stare e lavorare insieme. Per noi questo è sempre importante perché è un modo per farci conoscere e anche un modo di aver tanti volontari che vengono a lavorare con noi ed è una grande festa, perché è un modo di esserci insieme. È una cosa molto bella, che ricarica tutti. Ai miei tirocinanti educatori che fanno il tirocinio con Olinda dico sempre “Non dovete perdervi questa esperienza perché è fantastica!” e infatti tanti tornano gli anni dopo.
Non vediamo l’ora di fare un altro campo SCI. Perché è molto potente. Anche solo pensare all’organizzazione di un campo SCI ci costringe a 15
#INTERVISTASOCIASTORICA
Guardare la storia, con il volto in avanti: costruire la pace, la solidarietà, la giustizia sociale da Patrizia Ceola
Ti farò alcune domande sulla tua attività nello SCI, ma prima puoi presentarti brevemente per chi ci leggerà? Sono Stefania Pizzolla e sono nel Servizio Civile Internazionale dal 1989. Nella vita faccio altro… nel senso che dal 1993 lavoro in un ufficio pubblico, attualmente sono al Ministero del Lavoro. Ho scelto di non fare del Servizio Civile Internazionale una professione e combino, appunto, la mia vita di attivismo e volontariato con un lavoro 16
in altro ambito. Ho due figli e un compagno. Due figli “effetto SCI” nel senso che il mio compagno ed io ci siamo incontrati nello SCI, come molti altri. Abbiamo fatto un incontro per l’ottantesimo dello SCI a Milano e siamo andati tutti con i figli nati da coppie che si sono incontrate grazie allo SCI e sono tanti, a Roma, in Trentino, in Lombardia e in Sardegna. Nessuno dei nostri figli, finora, ha preso in mano le redini dell’associazione, forse è inevitabile… ma noi ci abbiamo provato.
E come sei arrivata allo SCI? Avevo deciso di fare un anno sabbatico subito dopo l’università e andare in Centro America – Sud America, ma non volevo andare da sola e senza meta o obiettivo. Un giorno all’università ho visto un Poster fatto a mano in cui c’era scritto qualcosa tipo “Se volete fare esperienze di volontariato in Asia Africa America Latina contattateci”. Ed era un poster fatto da Paolo Maddonni che era stato in Marocco e aveva iniziato con altri volontari una attività di formazione per chi voleva andare a fare campi di volontariato nel sud del mondo. Sono approdata allo SCI con l’idea di partire poi per il SudAmerica per un anno. Alla fine sono andata per due mesi in India, sono tornata e sono rimasta allo SCI per tutta la mia vita.
Sicuramente ti è piaciuto visto che sei rimasta nello SCI da allora… Sì sì! Anche se ricordo perfettamente il mio arrivo all’aeroporto di Nuova Delhi alle 4 di mattina. Avevo fatto la formazione, sapevo cosa dovevo fare, dove cambiare i soldi, come prendere un pre-paid taxi, tutto. Ma quando mi sono affacciata fuori dall’aeroporto, era buio, il mondo era così diverso, ho avuto una paura immensa. Avrei preso il prima aereo per rientrare. In-
vece sono rientrata in aeroporto, ho ripassato le tre o quattro frasi fondamentali di hindi, ho aspettato che albeggiasse e mi sono avventurata nei due mesi “senza ritorno”. Quando sono rientrata in Italia mi sono laureata. Lo SCI stava organizzando il suo primo “vero” ufficio SCI. Fino allora non c’era una segreteria nazionale, c’erano solo una o due persone che lavoravano prettamente a titolo volontario. L’associazione stava crescendo molto, siamo nel ’89‘90 e c’è stato un investimento associativo per lanciare l’associazione. Eravamo un gruppetto di persone tra cui Paolo Maddoni, Davide Di Pietro, Giovanna Gagliardo, Renzo Sabatini che è stato segretario nazionale per tanto tempo e poi c’era Giulio Marcon che ha continuato un percorso importante anche fuori dallo SCI, c’erano Sergio e Marina. Ognuno di noi in ufficio aveva un settore di lavoro e poi c’era il consiglio nazionale composto da attivisti da tutta Italia (Lombardia, Sardegna, Puglia, Veneto, Lazio, Campania). Era un ufficio nuovo con persone che avevano tanta voglia di fare, tante idee, ma poca esperienza lavorativa alle spalle però devo dire che siamo riusciti a mettere in piedi qualcosa che, pur cambiando, è durato nel tempo. 17
Tutti quanti, a parte qualche rara eccezione, siamo ancora molto vicini all’associazione. Anche se alcuni magari, dopo un po’ di tempo non hanno più avuto un ruolo attivo, tutti sono rimasti molto legati, sia tra di noi, sia allo SCI, se c’è bisogno di una mano sono tutte persone che ci sono per lo SCI.
Per quanto tempo sei rimasta in Segreteria Nazionale? Sono rimasta per un anno ed è stato uno degli step che mi ha fatto capire che preferivo partecipare come volontaria, attivista e non all’interno di un ufficio. Era il ’90-91 ed è stato un anno intensissimo: la prima guerra del Golfo, tantissime iniziative con il mondo pacifista, i campi di lavoro che aumentavano anche con caratterizzazioni sociali e politiche molto forti (pacifismo, antirazzismo, solidarietà internazionale erano un modo forte di fare politica in quegli anni). E’ stata perciò un’esperienza entusiasmante che poi ho continuato come attivista SCI sia all’interno del gruppo Lazio che allora esisteva, sia all’interno del Consiglio Nazionale, che in Comitati Internazionali.
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Vuoi raccontarci qualche cosa di queste esperienze successive? La dimensione internazionale nel gruppo che allora si chiamava SEED (Solidarity exchange and education for developpment) e si occupava degli scambi Nord Sud. Avendo iniziato con l’India era il mio naturale approdo, avevo poi fatto un’esperienza in Kenya in un progetto di scambio molto interessante che mi aveva portata negli slums di Nairobi. Lavorare insieme in un comitato esecutivo come era il gruppo SEED, con persone che venivano da diversi paesi, India, Bangladesh, Sri Lanka e paesi europei, è entusiasmante e bello, ma ha tante difficoltà. Non è solo un problema di lingua, ma è un problema di cultura, quale significato hanno le cose e le parole, di capire che cosa c’è dietro alcuni meccanismi. Poi, come dico di solito, succede che dici AB, arriva a BC e ti ritorna CD, c’è una triangolazione arricchente, ma a volte difficile da gestire. Allora non eravamo ancora all’epoca della globalizzazione tecnologica. Le telefonate internazionali costavano tantissimo, non avevamo neanche un computer in ufficio, arrivarono ad un certo punto una macchina da scrivere elettronica ed un fax e ci sembrava di essere supertecnologici… C’è stato un grande fervore nell’as-
sociazione e anche a livello internazionale eravamo molto all’avanguardia rispetto alle altre branche. Sempre più politicizzati rispetto agli altri, cosa che continua tutt’ora. Abbiamo una visione più complessiva e per questo credo che le posizioni dello SCI Italia, a volte anche nella non condivisione, continuano ad essere viste con grande rispetto, perché abbiamo portato avanti delle idee chiare, ampie, politiche, nel senso più puro. Immagino che anche a livello nazionale l’impegno fosse forte. C’era tanto attivismo a livello nazi-
onale. Avevamo organizzato, ad esempio, il gruppo formazione. Oggi sembra scontato che ci sia la formazione all’interno dell’associazione. Ma elaborare delle esperienze formative di senso e fare delle scelte che poi, pur modificandosi, sono rimaste valide nella sostanza, non era per niente scontato. La formazione continua ad essere una “conditio” per chi vuole fare esperienze internazionali nel sud del mondo con lo SCI. A Roma ci siamo messi di punta alla ricerca e dopo due anni di lavoro, nel 2003-2004, siamo riusciti a farci affidare il Casale de “La Città dell’Utopia”. Ed è diventato oltre ad un progetto molto importante per l’associazione, il luogo nel quale si dà sostanza, tutto l’anno, a quelli che sono i principi dell’associazione: quindi il progetto comunitario, lo spazio aperto al territorio, l’elemento internazionale, il luogo dove si costruisce la pace, un luogo di elaborazione di pensiero, come dice il sotto titolo del progetto il “laboratorio sociale e culturale che affronta i principali temi legati ad un nuovo modello di sviluppo locale e globale che sia equilibrato, sostenibile, giusto”. Non è stato facile trovare quello spazio. In quegli anni abbiamo anche cambiato sede.
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#INTERVISTAPARTNER #INVIAGGIO
Intervista associazione “Casa in movimento” di Cologno Monzese da Francesca Fulgoni e Marzia Marras
L’intervista inizia con la breve presentazione dei quattro attivisti presenti durante la stessa. Gabriella Gagliardo faccio l’insegnante e sono volontaria nella Casa dall’origine, ormai da tanti anni Michele Sangiorgio anch’io faccio parte della Casa in movimento, nello specifico del laboratorio contro la guerra infinita, dall’inizio. Agnese Gagliardo Corsi, faccio parte del laboratorio contro la guerra infinita, dall’inizio Giovanni Carissimo, anch’io faccio parte del laboratorio contro la guerra infinita, che è una delle due anime 20
della Casa, dall’inizio. Sono un po’ la memoria storica perché l’apertura ufficiale della Casa in movimento risale all’ottobre 2006, in realtà i collettivi che compongono la Casa si frequentano e sono attivi da molto più tempo. Come descrivereste l’Associazione in breve, anche se non è facile dato che è formata da tanti collettivi? Noi facciamo essenzialmente due tipi di attività. Uno, che chiamiamo lavoro di base, consiste nella “scuola popolare migranti” con le donne migranti e i loro bambini sotto i tre anni, poi il “dopo la scuola” con i bambini una volta alla
settimana e una scuola di arabo organizzata dalle donne per i bambini immigrati di seconda generazione. È, infatti, un lavoro che facciamo cercando di coinvolgere i soggetti con cui lavoriamo in modo che siano protagonisti, superando la logica della delega attendendo che altri risolvano i problemi. Un secondo blocco di attività, che chiamiamo l’attività di movimento, sono attività più culturali, sociali e politiche. Nella pratica si concretizzano soprattutto in serate con dibattiti su tematiche di vario tipo: questioni internazionali, o legate al lavoro, o a problematiche territoriali, ed altre più culturali legate a presentazioni di libri, musica, teatro se possibile. E anche in questo caso si tratta di rendere le persone che fruiscono di queste serate co-protagoniste e partecipi. Una regola generale inoltre è che tutto ciò che viene fatto dalla Casa non richiede nessun pagamento di denaro, perché la cultura si costruisce insieme e ognuno mette a disposizione quello che sa fare. Tra gli elementi che caratterizzano questo modo di lavorare insieme si potrebbe sottolineare l’aspetto decisionale, cioè come vengono prese le decisioni comuni. Cerchiamo infatti di prendere decisioni non secondo
criteri di maggioranze- minoranze, ma attraverso il consenso in modo che ognuno possa sentirsi a proprio agio nelle decisioni prese.
Perché avete deciso di fare un mini-campo con SCI e quale valore aggiunto ha avuto all’interno della vostra realtà? Il nostro primo mini-campo con Sci non era il primo contatto con questa associazione, perché alcuni mesi prima avevamo fatto insieme Ku kux cin e quindi avevamo iniziato a conoscerci, presso la nostra sede. Il mini-campo era qualcosa di nuovo e quando ci è stato proposto, in realtà mi è sembrata una proposta stravagante sapendo le attività che svolge SCI. Poi abbiamo riflettuto che effettivamente c’erano attività che si potevano fare insieme. Ad esempio, da noi c’erano dei lavori che da tempo volevamo svolgere ed erano in sospeso: imbiancare l’atrio della Casa, il corridoio, il bagno e poi decorare la colonna centrale dell’atrio. Organizzare e realizzare il mini-campo ci ha permesso di verificare con SCI non solo il lavoro, ma anche la condivisione dell’obiettivo. All’inizio ci sembrava strano che dei volontari venissero alla Casa semplicemente 21
per fare dei lavori manuali. Ma prima di questo abbiamo discusso insieme, tutti gli attivisti hanno dato il loro contributo per definire le caratteristiche dell’attività in sé e si è sperimentata la decisione consensuale di cui parlava prima Gabriella. Quindi il come definire l’obiettivo è stato una parte fondamentale dell’esperienza. Anche se ha richiesto molto tempo e pazienza, è questo risultato condiviso che conta. Diversamente, un risultato raggiunto con una semplice alzata di mano potrebbe lasciare strascichi, dei non detto che possono minare l’associazione e la collaborazione. Il risultato concreto è quindi, al di là del fatto di avere una Casa ben tinteggiata con bei colori, il condividere dei valori.
dire la propria opinione. Gli attivisti storici, come il sottoscritto, questo tipo di percorso l’hanno considerato come naturale, non mi è costato fatica perché ne vedevo, ne vedo i vantaggi. Anche le persone più timide, più riservate, che pensano di non avere nulla da dire, in questo modo sono stimolate a dire la loro. Non è un modo che obbliga a parlare, infatti, se quando viene il tuo turno tu non
A proposito del metodo del consenso, visto che è molto impegnativo, vorrei chiedervi se avete delle strategie particolari, se avete vissuto dei momenti di criticità nel realizzarla
hai nulla da aggiungere puoi tranquillamente passare, ma ti viene data la possibilità in quel momento di dire la tua. In realtà questo aspetto, abbiamo visto ultimamente, non è così automatico e apprezzato.
È una modalità che non è immediata e non necessariamente raccoglie consensi. Nella Casa in movimento, l’approccio delle decisioni condivise va di pari passo con la modalità del giro tavolo, per fare in modo che tutti abbiano la possibilità di esprimersi. Quando ci sono decisioni da prendere si fa il giro tavolo e ognuno può 22
Ci sono delle resistenze tali che, nonostante le spiegazioni sull’utilità di questo metodo, non sempre la discussione riesce ad arrivare a buon fine e portare a risultati. Con i nuovi volontari stiamo cercando di rifletterci. Il fatto di imporre un metodo, anche se il metodo è positi-
vo ed utile, è sentito come una forzatura. Qualcuno si sente più libero parlando se vuole. È un aspetto di non facile soluzione. Se una persona non ritiene valido questo metodo di primo acchito, diventa difficile farlo accettare. Diciamo che c’è una sorta di accettazione quasi di principio che può aiutare la condivisione di questa scelta, che poi sono due: la condivisione del giro tavolo, appunto, e poi la condivisione delle decisioni. È ancora un problema aperto, ed è nuovo, perché finora la sua utilità era condivisa da tutti. Dal momento che non tutti condividono questa scelta è un aspetto che non ha ancora trovato una soluzione. È un aspetto su cui bisogna lavorare per non lasciare scontenti sul metodo quando dovrebbe essere proprio questo il metodo per non lasciare scontenti. Purtroppo è vero, può non essere sempre necessariamente condiviso.
associative o banalmente nel collettivo universitario. Stare dentro altri contesti in cui sperimenti come parlano solo quelli che sono considerati più bravi, mentre i più timidi, chi è meno esperti o chi non è abituato a parlare in pubblico, non si esprime, oppure si vedono dinamiche estenuanti di botta e risposta tra due persone che poi rendono l’assemblea una tortura, ecco nel momento in cui sperimenti altre modalità -pessimedi fare assemblee, capisci perché è vincente il metodo del consenso. E per me è stato importante incontrarlo. Nel mio caso è stato quando avevo quindici sedici anni ed è stato molto formativo.
La chiave, come spesso accade, è nella massima “show, don’t tell”. Noi possiamo dare tutte le spiegazioni possibili sulla bontà del metodo, ma finché non si sperimenta la differenza tra il metodo del consenso e altri metodi di cui è pieno il mondo, si fa fatica a capire la validità del metodo che abbiamo costruito nel corso degli anni. Che cosa voglio dire? A me è capitato di stare dentro altre realtà
Forse è proprio questa la strategia che stiamo cercando di mettere in pratica: far vedere invece che dirlo. Come nel mini campo SCI, c’è una cosa pratica che bisogna gestire, o adesso con le brigate solidali, c’è una cosa da gestire, ci sono cose da decidere e a questo punto si usa un metodo che permette di condividere le decisioni più di altri metodi o semplicemente senza alcun metodo.
Come dice Michele, può essere sentito come se limitasse la spontaneità, ma la spontaneità porta spesso a disuguaglianze e noi non vogliamo assolutamente disuguaglianze al nostro interno.
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#INTERVISTAVOLONTARIE
“Tent of nations” Racconto di un primo viaggio in Palestina di Ariannna Assanelli e Francesca Bonassi Arrivate a Betlemme nel pomeriggio del 4 Agosto 2019 con l’autobus 231, che da Gerusalemme ci ha portate al di là del muro, ci siamo dirette verso il Bunk Surfing Hostel, un piccolo ostello a conduzione famigliare dove, per la prima volta dall’inizio del viaggio, abbiamo sentito parlare dell’occupazione. Nei giorni precedenti, durante i quali abbiamo visitato Tel Aviv, Gerusalemme e dintorni, le conversazioni con le persone del posto erano state decisamente più dei tentativi di dialogo che dei veri e propri confronti: si era trattato soprattutto di racconti personali e au-
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toreferenziali, descrizioni dei confini prive di espressione politica anche se ovviamente i silenzi, la pretesa di neutralità, erano (e sono) posizionamento politico di per sé. Quello che ci ha stupite della conversazione col ragazzo dell’ostello a Betlemme è stato che, sempre partendo dalla sua storia personale, ci ha voluto fornire una visione politica, ha condiviso con noi un’opinione nei confronti dell’occupazione, tema sul quale fino a quel momento era sempre regnato un silenzio fortemente ipocrita e quasi imbarazzato, una ne-
cessità di fare finta di nulla. Nei giorni precedenti una guida con la quale siamo andate a visitare Masada, Ein Gedi e il Mar Morto ci ha spiegato la divisione in aree (A,B e C) del West Bank, terra palestinese, riconosciuta anche a livello internazionale come tale, ma nella sostanza controllata, militarmente e/o politicamente, da Israele.
spesso si tace di questa questione e, se invece se ne parla, perlomeno per quelli che sono stati i nostri incontri, questa situazione viene sovente presentata come un dato di fatto, come una mera suddivisione territoriale, senza che vengano esplicitate le ragioni politiche alla base, senza che venga riconosciuta la situazione di potere e di oppressione.
Attraverso un’opera sistematica e illegale di occupazione di questa zona infatti, Israele costruisce colonie e distrugge interi villaggi, espropria famiglie e rade al suolo case, frammentando il territorio rendendo così difficoltose le relazioni di ogni tipo, sociali, economiche e politiche. Si tratta di un regime di apartheid, di un sistema di segregazione quotidiano e strutturale che punta a sottomettere il popolo palestinese distruggendo l’esistenza dello stesso in quanto tale. L’obiettivo è l’annientamento del tessuto relazionale, culturale, politico ed economico palestinese. In Israele
Abbiamo però anche potuto vedere coi nostri occhi e abbiamo provato a cogliere con le nostre esperienze come il popolo palestinese resista e lotti. Durante i dieci giorni di campo SCI presso Tent of Nations, una fattoria a conduzione famigliare nelle colline a sud-est di Betlemme, abbiamo vissuto quotidianamente in un luogo esempio di resilienza e opposizione a un sistema coloniale come quello israeliano. La famiglia Nasser continua a resistere ai tentativi di espropriazione ed espansione sionisti, attraverso la presenza di volontari/e internazionali che aiutano la fami25
glia a tenere alta l’attenzione sulla loro condizione e sulla questione palestinese in genere, a coltivare la terra così da utilizzarla e riempirla per rendere più difficile l’accaparramento delle terre, e tramite una lotta quotidiana nei tribunali portata avanti da anni.
colonizzazione israeliana, ma anche per quanto riguarda i viaggi stessi in autobus: negli spostamenti, passando per i check-point, la percezione di stare in un luogo oggetto di controllo, oppressione e violenza, sia visibile che psicologica, è fortissima e lampante.
Completamente circondata da colonie israeliane, Tent of Nations è raggiungibile solo a piedi - la strada che una volta portava a Betlemme in soli dieci minuti è stata bloccata con un cumulo di terra dai coloni e dalle autorità israeliane, costringendo gli abitanti di Nahalin a percorrere ora quasi un’ora di strada. Nei giorni trascorsi a Tent of Nations ci siamo sempre di più abituate ai ritmi di lavoro nei campi, scanditi da pause durante le quali avevamo l’occasione di parlare con i membri della famiglia e con gli/le altri/e volontari/e, per apprendere, confrontarci e discutere dell’occupazione, delle forme di resistenza e di lotta, della quotidianità vissuta dal popolo palestinese. Durante il campo non sono mancate occasioni di viaggio nelle città palestinesi, rientranti nell’area
Al checkpoint di Betlemme, ad esempio, arrivati al posto di blocco militare, l’autobus accosta, si ferma e una serie di passeggeri scende per il controllo dei documenti: sono i e le palestinesi, costretti/e a scendere appunto dal bus, mettersi in fila e aspettare che prima di loro vengano controllati i cittadini Israeliani/le cittadine Israeliane e gli internazionali che possono comodamente restare seduti ad aspettare durante il controllo dei documenti. Ogni giorno donne e uomini palestinesi che devono attraversare il confine per ragioni di lavoro, familiari o altro si ritrovano a fronteggiare trattamenti discriminatori propri di politiche razziste e securitarie. La discriminazione nei confronti delle donne e degli uomini palestinesi è infatti sistemica: d’altro canto, non mancano però lotte ed esperienze di solidarietà, nella quale non mancano esempi di resistenza e autodeterminazione, e Tent of Nations, a modo suo, ci ha dato la possibilità di conoscerne uno.
A, momenti importanti di presa di coscienza diretta. Non solo per quanto riguarda le città, come per esempio Hebron, luogo che può essere considerato uno degli emblemi della 26
#INTERVISTASOCIOSTORICO
Intervista a Paolo Maddonni “Un’idea …disarmante!” da Patrizia Ceola Ciao Paolo, ben trovato! Vuoi intanto presentarti? Come e quando sei arrivato allo SCI? Sono nato 59 anni fa e vivo a Roma. Lavoro al carcere di Civitavecchia, da un paio d’anni ormai, come funzionario educatore, dipendente del Ministero della Giustizia. Sono un operatore (senza divisa!) e lavoro direttamente con i detenuti: sostegno, riflessione, progettazione, attività d’istruzione e formazione, recupero psico-sociale, assistenza giuridica. La mia lunga esperienza nello SCI mi è stata molto utile per la mia professione attuale: sapere lavorare con le singole persone e nello stesso tempo con la comunità nel suo insieme. Allo SCI sono arrivato nel 1986, ma inizio a raccontare… dalla fine. Il mio ultimo campo, infatti, l’ho vissuto nel 2017 a Bologna. Dieci giorni, abbastanza breve per poterlo fare entrare nelle mie ferie. Si doveva risistemare la biblioteca di un circolo anarchico. Eravamo in un gruppo internazionale, poco numeroso, ospitati in un appartamento. C’era un signore messicano della mia età, un po’ svitato, e poi diverse giovani
volontarie. Lavoro impegnativo: si trattava di fare dei lavori strutturali e di muratura. Mi ha ricordato il mio primo campo, quello in Belgio. Tutto però cominciò con la mia obiezione di coscienza al servizio militare. Nel 1983 scelsi l’obiezione di coscienza e il servizio civile alternativo in un’associazione impegnata con giovani disabili fisici con una malattia genetica molto grave. È stata un’esperienza molto importante, mi ha iniziato al lavoro con gli emarginati che ho ritrovato poi con i profughi e i detenuti. Finito il servizio civile, mi venne l’idea di fare un’esperienza all’estero. E ho incontrato lo SCI! Mi sono ritrovato quel settembre 1986 vicino a Charleroi in una vecchia fattoria trasformata in centro culturale, molto attivo anche oggi. Servivano lavori per ristrutturare le sale di teatro, un vero cantiere. Ricordo la stanchezza fisica alla sera e la fatica di alzarsi al mattino, tutto intorpidito. La seconda settimana ci fu un festival di arti varie nella corte del centro e nelle sale ristrutturate. Ci fecero partecipare attivamente, tanto che aiutavamo dietro le quinte, in particolare per alcuni spettacoli di 27
trasformisti. Mai avevo avuto a che fare con quel mondo e quando rientrai a casa, cominciai a interessarmi di teatro. Tornai a Roma in autostop, avevo finito i soldi. Ma la mia storia con lo SCI era appena cominciata.
E come è proseguita? Dopo il Belgio, iniziai a frequentare lo SCI nel gruppo locale a Roma. Nel 1987 andai Marocco e poi l’anno successivo in Togo (tornai con la malaria…). Nei miei studi di scienze politiche mi ero interessato del Sud del mondo e andarci con un campo mi dava un’altra chiave di lettura rispetto all’università. Nel 1989 fui accettato come volontario a medio termine in Francia, nella sede della branca dello SCI a Parigi. Conobbi gli operatori che si occupavano degli scambi e i progetti con il sud del mondo da molto tempo. È stata per me una vera scuola, tanto che poi ne ho replicato il modello nella branca 28
italiana. Poi, il 1° aprile 1990, entrai nella Segreteria nazionale dello SCI Italia, e per qualche anno esaltante, è stata l’intera mia vita. Ho seguito lo SCI anche a livello internazionale e ho avuto anche l’incarico di coordinatore degli scambi con il Maghreb. Quasi sei anni di attivismo in cui, nelle mie “vacanze” ho partecipato a campi in Nicaragua, in Senegal, in Turchia e coordinavo campi in Italia. Ogni esperienza la utilizzavo per la formazione per i nuovi volontari. A fine 1995, lasciai l’incarico: da tempo in associazione si discuteva l’idea che non ci si dovesse professionalizzare nella segreteria nazionale nello SCI e che l’impegno dovesse essere un periodo determinato per permettere un ricambio. Non fu facile, lo confesso, e anche se capivo che era giusto, andai via di malumore: pensavo di poter dare e fare ancora molto.
La tua storia con lo SCI finisce così? Tutt’altro! Lo SCI mi ha fatto trovare un’altra strada, altrettanto importante per me. Subito, a inizio 1996, sono partito per il Burundi, con un contratto con un’agenzia umanitaria di emergenza per lavorare con rifugiati ruandesi, accolti in campi. Poi ho lavorato per progetti con i bambini dei campi profughi burundesi, inventando delle scuole improvvi-
sate. Mi sono trovato, pacifista, in un paese in guerra civile. Così, ho ritrovato lo SCI lontano dallo SCI. Ci sono rimasto, per un’esperienza umana e professionale profondissima, fino al giugno 1997. Non so che traccia io abbia lasciato in una situazione così tragica e ancora irrisolta. Chissà che cosa fanno oggi quegli insegnanti che ho aiutato a formarsi, a recuperare fiducia. Ho capito anche di avere preso qualche rischio, in quel periodo, ma quelli erano gli strumenti di pace che avevo assorbito con lo SCI.
Strumenti che hai continuato a usare, dopo il Burundi? Sono tornato a metà del 1997 e avevo anche una nuova dimensione familiare da gestire. Ho continuato, certo, a tesserarmi ogni anno allo SCI e a incontrare amici e volontari. I successivi impieghi lavorativi furono con organizzazioni italiane che si occupavano di volontariato e scambi giovanili: Lunaria e Legambiente, associazioni che hanno letteralmente “copiato” a utilizzare lo strumento del campo di volontariato dallo SCI. Mi sono occupato soprattutto dei progetti europei a lungo termine, ma non ho dimenticato i campi, anzi! In Legambiente inventai e sperimentai i campi per famiglie, visto che i miei bambini cominciavano a crescere e
volevo condividere con loro anche questa parte della mia vita. Esportai il modello dei campi di genitori e figli anche in altri paesi: nel 2006 trovai un finanziamento europeo e organizzai e partecipai personalmente con i miei figli, nella stessa estate, a ben tre campi in Umbria, in Turchia e in Estonia! Nel 2010, con mia sorpresa perché ormai mi ero dimenticato di avervi partecipato anni prima, ho vinto il concorso ho iniziato la nuova attività lavorativa come educatore penitenziario e per i primi otto anni sono stato all’isola d’Elba. Con il ritorno a Roma e l’arrivo del centenario dello SCI ho ripreso i contatti diretti, anche nella dimensione internazionale. Ho preso parte ad un incontro di veterani in Belgio nel 2019 e nel 2020 abbiamo avuto video colloqui, conferenze, gruppi di lavoro. Si era organizzato un ciclo-tour di gruppo tra Olanda e Belgio per celebrare il centenario, ma è stato annullato all’ultimo momento per la risalita dell’epidemia. Allora, sono partito da solo per un viaggio in bicicletta in Francia che mi ha portato fino a Esnes, il luogo del primo campo SCI, cento anni dopo. È stata un’avventura formidabile: dopo tanti campi in gruppo, un’esperienza in solitario. Quella dello SCI è una maglietta che non mi tolgo più! 29
Come descriveresti lo SCI in poche parole? Come ne vedi il futuro? Quando lavoravo in altre associazioni, vedevo che spesso veniva sottovalutata la parte di motivazione alla pace che deve avere un campo di lavoro. Con questa convinzione mi impegnai a ricostruire con modalità teatrale, una sorta di rappresentazione interattiva del primo campo di volontariato dello SCI, nel 1920. Ho presentato tante volte “La pace di Pierre” e la propongo anche oggi: penso che molti soci avranno partecipato alla presentazione on line che ne abbiamo fatto il 20 novembre 2020 per la gente dello SCI Italia proprio per celebrare il centenario. Ho fatto una ricerca negli archivi dello Sci che sono in Svizzera e presento proprio il primo gruppo di otto volontari, li faccio parlare, si leggono le relazioni che ha scritto Pierre Ceresole sull’andamento del progetto, sulla crisi che ha incontrato, della conclusione non esaltante, dell’affermazione di un principio pacifista. Condenso tutti questi miei anni attraverso lo SCI nel mettere in forma teatrale quella storia, così piccola e così importante. Lo SCI è questo: una proposta semplice, un’idea… disarmante. Adesso viviamo, come associazione, un momento di grande difficoltà. Da 30
diversi anni il campo di lavoro sembra abbia perso vigore. Non è l’idea ad essere usurata, ma qualcos’altro. Nel tempo si è andato un po’ a cercare il volontario, sempre più giovane (mentre gli europei sono sempre più anziani e pieni di pregiudizi…) perché il partecipante permette anche di avere quel po’ di risorse economiche per gestire l’organizzazione, dato che ci uffici e strutture da mantenere che sono indispensabili. È ovvio che le risorse economiche sono importanti. Quindi non dico ritrovare le radici, ma di tornare a semplificare il messaggio dello SCI. La parola Pace
compare sempre meno, si ha un po’ timore a dirla, forse perché siamo un’associazione laica e si teme di essere fraintesi. Ecco, dovremo essere più sereni nel nostro messaggio, più sicuri: noi promuoviamo uno strumento di pace che sa che il risultato non è immediato. Il Servizio Civile Internazionale è un movimento pacifista. Ripartiamo da qui.
#INTERVISTAPARTNER
Intervista a Massimo e Giorgio di “Vivere la montagna” da Marzia Marras
Come descrivereste la vostra attività, la vostra associazione? Massimo: Inizio con poche righe di presentazione formale. L’associazione “Vivere la montagna” è un’associazione nata nel giugno 2012, a Cumiana, provincia di Torino. Ci occupiamo della valorizzazione del territorio soprattutto delle terre alte di Cumiana. Sono l’attuale presidente in carica e lascio la parola a Giorgio il vicepresidente Giorgio: Da quando siamo nati abbiamo avviato una serie di attività su vari campi d’azione, musica, arte, attività pratiche come il recupero sorgenti, spaziamo dunque su una serie di attività che permettano di vivere o rivivere la montagna. E’ questo infatti un territorio bellissimo, ma da quando la gente è emigrata altrove,
è stata un po’ abbandonato e quindi cerchiamo di recuperarlo perché lasciato a se stesso crea solo problemi e poi non viene valorizzata questa bellezza che abbiamo qui a pochi passi da Torino. Facciamo veramente un po’ di tutto. Quest’anno ci siamo fermati anche noi per il Covid relativamente ad alcune attività come quello delle sorgenti, dovendo rinunciare anche al campo SCI che avevamo in programma. Alcune attività sono continuate in sordina, ma contiamo di riprendere tutte le attività
In che modo collaborate con SCI? Con SCI collaboriamo da anni, quest’anno sarebbe stato il quinto campo SCI su un progetto che dura ormai da otto-nove anni. Descrivo brevemente il progetto. Questo territorio è ricchissimo di acque di micro sorgenti che hanno un valore storico, affettivo, emozionale, di utilizzo antico, c’erano, ad esempio, le coltivazioni di montagna, c’erano gli animali al pascolo. Con l’abbandono della montagna si stan31
no perdendo anche queste sorgenti. Parliamo di sorgenti di 50x50 con un filino d’acqua, altre magari hanno una portata maggiore. L’obiettivo, dunque, è quello di fare una ricerca di memoria storica, andando anche a parlare con gli anziani del territorio. Poi mapparle, cioè andarle a ritrovare e riportarle con delle coordinate. Capita di doverci fare accompagnare dall’anziano di turno per ritrovare dov’erano. E’ recuperare la storia perché ogni sorgente, soprattutto le principali, hanno delle storie specifiche riguardo l’uso o il tipo di acqua, per cui scopri che in quella tal sorgente si prendeva l’acqua per fare la polenta, quella era adatta da bere se hai cal-
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coli, quella è particolarmente fresca, questa non gela mai, ecc. Oltre a questo ci sono le attività connesse, quindi il recupero della sentieristica e la manutenzione della sentieristica. Per fortuna, a questo proposito, abbiamo una nuova associazione di mountain bike che si sta impegnando molto per la sentieristica insieme al CAI di Cumiana. Tanto volontariato, poche risorse. Con i ragazzi volontari di SCI si fa proprio questo lavoro per il recupero delle sorgenti: dobbiamo raggiungere quella sorgente e quindi andiamo a vedere se c’è il sentiero, se è tracciato o no, si fanno le scoline, impariamo come farle e poi la soddisfazione che magari anche se ci
sono state gelate e alluvioni nell’arco dell’autunno e dell’inverno, il sentiero ha tenuto, perché il lavoro è stato fatto bene. Poi c’è sempre la manutenzione ordinaria comunque, le foglie da pulire, una piccola frana… E poi si sta avviando anche un nuovo lavoro, che sta seguendo Giorgio: la cartellonistica, in modo che questa riscoperta possa essere utilizzata turisticamente, creando i sentieri delle sorgenti, dove puoi andare ad assaggiare l’acqua in più punti. E questo, in particolare, sarebbe stato l’oggetto del campo SCI di quest’anno che per il Covid non si è potuto fare: posizionare delle paline che segnalassero le sorgenti e fossero individuabili dai turisti, per non far restare i sentieri sconosciuti, inutilizzati.
Pensate di poter fare qualcosa l’anno prossimo? Se il Covid ce lo permetterà metteremo in pedi un altro campo, abbiamo già il tema, il lavoro da fare, sappiamo già quale lavoro, quante persone, ecc. Appena tolgono i vincoli l’obiettivo sarà svolgere questo quinto campo. Le esperienze fatte finora con i ragazzi dello SCI sono sempre state mol-
to positive. Ci siamo divertiti molto, abbiamo avuto degli ottimi risultati, un ottimo ritorno sul territorio, anche una certa risonanza su organi di stampa locale e regionale, ottimo rapporto anche con il comune, con le varie giunte. I ragazzi che sono stati qui sono arrivati volontari e sono partiti come amici. Alcuni sono anche tornati a trovarci, altri rimangono in contatto e quindi ci si scambia saluti, informazioni… Quindi per noi l’esperienza è sempre stata positiva. Purtroppo il Covid ci ha bloccati. Anzi quest’anno eravamo finalmente passati dalla curiosità all’interessamento di altre associazioni locali che dicevano “allora avete ragione!”. Noi dicevamo, infatti che la collaborazione con SCI attraverso i campi di volontariato è una grande risorsa promozionale per il territorio, anche in altri stati. E’ incredibile come ragazzi che arrivano da diecimila chilometri di distanza si appassionino al territorio e lo promuovano in un modo che non riusciamo a fare neanche con i vicini di casa. Ma soprattutto è una risorsa per alcune associazioni come il CAI che hanno una componente molto forte sul territorio e attività sull’ambiente che abbiamo visto sono temi di grande interesse per i volontari SCI. 33
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Conclusioni TRASFORMAZIONI NELL’ “INSOLITO” 2020 da Gruppo Comunicazione E’ stato un anno “insolito” il 2020 e l’attuale situazione sanitaria mondiale (come già espresso) su economia, politica, società e cultura, ha ripercussioni molto forti anche sul volontariato. Le attività in presenza si sono dovute fermare, ma ciò ci ha spinto a sviluppare le possibilità del web per mantenere vivo il volontariato ora e in futuro, rispettando la sicurezza. Come volontari/e, attivisti/e, soci/e e amici/e dello SCI, individualmente e insieme, ci siamo (ri)attivate/i perché è scattata la voglia di non rinunciare e di reagire a supporto dell’Associazione e sono nati così, attraverso in-
contri online con il Coordinamento e la Segreteria nazionale, tre Gruppi di lavoro interregionale:
Formazione “Per noi la formazione ha una valenza fondamentale: è l’essenza della nostra associazione, il cuore pulsante. Siamo convinte e convinti che partire per un’esperienza di volontariato, oggi / in futuro come ieri, necessiti di momenti di preparazione, nei quali si possa cogliere l’essenza dell’essere volontari e volontarie.” E’ stato impegnativo ma al contempo
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bello riuscire a portare il momento di Formazione al volontariato internazionale, dedicando anche il giusto spazio all’attività sulla Comunicazione non violenta, dalla modalità in presenza / residenziale (i weekend o giornata di formazione ospitati da realtà associative, cooperative, collettivi ecc partner SCI), alla versione online durante i mesi di giugno, luglio e poi ottobre (con una giornata in presenza a Milano). Il web (cercando di usarlo nella maniera più responsabile possibile) ci ha permesso di promuovere e rendere fruibili la partecipazione dei / delle formande/i, il lavoro dei / delle formatore/i e gli interventi di testimonianza Campi Internazionali (volontariato a breve e medio termine) ed Ltv (volontariato a lungo termine).
- la Campagna 5X1000: Cent’anni di solidarietà senza confini #SosteniamoSCI
Una “formula” che vorremmo mantenere nel 2021 in vista di una situazione generale altalenante, appunto, ma senza perdere il significato di unità tra le persone.
“Nato come sostegno alla nostra Segreteria, in stato emergenziale tra marzo e aprile, il Gruppo ha raccolto, prodotto e gestito materiale come la rubrica “100 Anni di Voci SCI” (pubblicazione settimanale di interviste e racconti, anche per immagini e video, delle testimonianze ed esperienze di volontariato dei / delle volontari/e e partner-campi. Si sono così mantenuti i contatti ed anzi ampliati in modalità nuove, rinsaldando la rete di conoscenza e collaborazione tra diverse associazioni e tra i / le volontari/e.”
Fundraising-Progettazione “Ogni attivista ha contribuito attraverso il proprio background e inventiva nella creazione e proposta di Raccolta fondi e partecipazione a Bandi in linea con il pensiero SCI.” 36
- i Bandi: Culture of solidarity - COS, EYF, EYP, Scuole Aperte, Erasmus+, ESC etc… - la Campagna Natalizia che è stata un “Riscoprire il bisogno di collettività e mutualismo, sostenendo lo SCI supportiamo Progetti Internazionali e Locali e persone. Il nostro approccio è rappresentato da un Documento-politico che in trasparenza trasmette quello che lo SCI fa da 100 anni e che è fondamentale portare avanti”.
Comunicazione
Aggiornamento del sito e dei canali social, newsletter. Supporto integrato con il Gruppo Fundraising-Progettazione per la grafica e lancio della Campagna 5x1000 e con il Gruppo Formazione durante i mesi di giugno, luglio e poi ottobre lato grafica e promozione degli eventi in versione online (che ci prospettiamo durante il 2021). Da Giugno gradualmente e in modo spontaneo quello che faceva il Gruppo Comunicazione è passato in Segreteria Nazionale, per la gestione, con il lavoro di attiviste/i ESC (European Solidarity Corps) che vivono alla Città dell’Utopia, Roma. Ora il Gruppo vuole essere di supporto per dialogare in merito alle strategie e coordinamento delle azioni da avviare con gli altri due Gruppi interregionali Fundraising-Progettazione e Formazione, oltre a condividere le varie iniziative, essere un tramite con gli/le attiviste/i dei vari gruppi regionali e locali in Italia. E abbiamo anche partecipato, raccontando lo SCI, al podcast di Radio Popolare e ANG_inRadio tramite la sede di Bovisio Masciago: per i/le giovane/i e persone che vogliono saperne di più sul volontariato, portare idee e attivarsi!
Verso i prossimi 100 anni… I primi cento anni che SCI ha attraversato sono stati tempi di conflitti armati, di occupazioni, di conquiste e sottomissioni, di genocidi, di sviluppi tecnologici, di sfruttamento sfrenato di terre e persone, di monopolio di poteri economici, di progressivo svuotamento delle campagne e concentrazione nelle grandi città, anni di migrazioni. Ma sono stati anche anni di rivoluzioni sociali e politiche, di pacifismo, di indipendenze e liberazioni, di dibattito, di organizzazioni e riorganizzazioni contro i poteri forti per i diritti di tutte/i, per la difesa dell’ambiente, anni di ripresa e conquista di spazi dal basso, di costruzione, crescita, decostruzione e rivoluzione dei movimenti fatti da quelle persone che quotidianamente nei e oltre i propri territori lottano per una società equa, inclusiva e nonviolenta. Insieme al mondo, pur rimanendo fedele ai valori originali, anche lo SCI si è trasformato, evolvendo e ampliando la visione e le pratiche. In questi cento anni abbiamo vissuto l’internazionalismo, le battaglie per i diritti e per l’autodeterminazione delle persone e delle comunità, l’obiezione di coscienza, il disarmo, abbia37
mo generato e alimentato migliaia e migliaia di relazioni fra persone e organizzazioni, abbiamo partecipato alla costruzione e ricostruzione fisica e del tessuto sociale di migliaia di territori, abbiamo supportato la società “meticcia” non come forma di appiattimento e integrazione delle minoranze nelle istanze dominanti ma come valorizzazione delle contaminazioni fra individualità e collettività eterogenee. Abbiamo vissuto il cambiamento del modo di comunicare e relazionarsi, di percepire le distanze fisiche e sociali, del modo di viaggiare (quando questo significava e significa sia piacere che dolore), del modo di percepire il volontariato e la cooperazione. La pandemia di coronavirus cominciata nel 2020, segna sicuramente una pietra miliare nella storia, un momento che si caratterizza naturalmente in una nuova messa in discussione 38
delle relazioni, del modo di viaggiare, di comunicare, di concepire l’altro, i conflitti, l’internazionalismo, la cura individuale e collettiva, le idee e le pratiche di mutualismo. Ci piace pensare al prossimo “secolo SCI” che, con lo zaino pieno del vissuto, riparta nel 2021 da questa messa in discussione. Attraverso formazioni, campi, mini-campi, volontariato a lungo termine, progetti di inclusione, formazione, approfondimento e sensibilizzazione, continueremo a praticare un volontariato che non è aiuto asimmetrico ma è meccanismo solidale e orizzontale, è attivismo, partecipazione. Un volontariato nonviolento, transfemminista, autocritico, propositivo, antifascista, inclusivo, ambientalista che partecipi alle rivoluzioni dei prossimi anni per festeggiare il prossimo centenario in un mondo di equità e giustizia sociale.
Contatti Segreteria Nazionale via A. Cruto 43, 00146 - Roma Tel: 065580644 - 3465019990 Email: info@sci-italia.it www.sci-italia.it FB: Servizio Civile Internazionale Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17
Corpo Europeo di Solidarietà evs@sci-italia.it
La Città dell’Utopia via Valeriano 3/F, Roma Cel: 3465019887 www.lacittadellutopia.org Email: lacittadellutopia@sci-italia.it FB: La Città dell’Utopia
Ufficio stampa info@sci-italia.it
Campi di volontariato workcamps@sci-italia.it Iscrizione ai campi nel Nord del mondo outgoing@sci-italia.it Iscrizione ai campi nel Sud del mondo campisud@sci-italia.it Iscrizione ai campi in Italia incoming@sci-italia.it
Inclusione sociale inclusione@sci-italia.it Amministrazione amministrazione@sci-italia.it
GRUPPI REGIONALI E LOCALI Lombardia Email: lombardia@sci-italia.it Piemonte Email: piemonte@sci-italia.it Sardegna Email: sardegna@sci-italia.it Bologna Email: bologna@sci-italia.it Padova-Nordest Email: padova@sci-italia.it CONTATTI LOCALI
Per coordinare campi in Italia workcamps@sci-italia.it Volontariato a lungo termine ltv@sci-italia.it
Genova Email: genova@sci-italia.it Catania Email: catania@sci-italia.it 39
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