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editoriale#
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uai a proclamarsi primi in qualcosa. La piccata reprimenda è dietro l’angolo, proveniente dai veri pionieri che rivendicano la legittimità dell’antesignana scoperta o iniziativa. E’ quel che è capitato a Sci-Fi Gate, reo di essersi indebitamente appropriato dell’unicità della proposta del modello gratuito di magazine on-line, a danno di riviste dedicate alla fantascienza già circolate sul web negli anni in cui la rete era un lusso per pochi. Ma è davvero così? Ovviamente no. L’equivoco nasce dalla semantica della parola “Rivista”: Pubblicazione periodica o rubrica all’interno di un giornale che presenta, discute, commenta argomenti specifici in modo approfondito e specializzato: r. letteraria, scientifica (Fonte Treccani). Sulla base di questa definizione (adattata agli strumenti ed ai limiti comunicativi del web) che non fa riferimento a particolari strutture, forme o modelli standard di presentazione, l’accezione del termine in esame potrebbe essere estesa a decine di schemi possibili. E così un sito web potrebbe presentare un insieme di pagine inclusive delle voci base tipiche di una qualunque pubblicazione (editoriale, crediti, indice etc.) e fregiarsi del diritto di chiamarsi “Rivista”. Come pure chi, invece del mezzo HTML, decidesse di allegare lavori analoghi attraverso documenti word, versioni in PDF o in Power Point. Da questo assunto la mente, allora, sì che potrebbe tornare giustamente indietro ad esempi che hanno fatto da apripista ai modelli successivi: Nigra Latebra, Continuum (solo per citarne alcuni) e la stessa Delos, sebbene quest’ultima, checché se ne dica, un piccolo sforzo economico lo richieda. Ma tutti, chi per un motivo, chi per un altro, solo lontani dal prodotto cartaceo che nelle edicole possiamo trovare periodicamente e di svariati generi. Ed è a questi che Sci-Fi Gate si è ispirata, cercando in particolar modo di colmare il vuoto in Italia lasciato dalla dipartita dell’ultimo magazine dedicato alla fantascienza: Sci-Fi Now. L’idea era quella di riprodurre lo stile di un magazine moderno, completamente gratuito, “patinato”, in modo virtuale, tanto è vero che i nostri numeri sono prima di tutto fruibili sulla piattaforma Calameo, il cui software permette di avere l’illusione di sfogliare una rivista con quel caratteristico effetto sonoro prodotto dallo scartabellare delle pagine in successione. In questo senso sta l’unicità del modello da noi proposto. Ed è innegabile. Pertanto continueremo con orgoglio a sottolinearlo sulla copertina, magari aggiungendo l’aggettivo “patinata”, con buona pace di tutti. Il 4° numero curato graficamente dal sempre più bravo Simone Ferraro vi propone un’anticipazione su 3 film Sci-Fi attesi nei prossimi mesi: “Transformers 4, l’era dell’estinzione”, “Apes revolution” ed “X-Men: giorni di un futuro passato”. Uno speciale dedicato a Chris Carter vi aggiornerà sul suo ritorno alle serie TV dopo “X-Files”, mentre Fabio Terenziani vi offrirà la sua personale recensione al film “Transcendence”, nei cinema lo scorso aprile. A questo proposito, doveroso è il ringraziamento alla Distribution 01 che ci ha personalmente invitati alla visione dell’anteprima nazionale a Roma. E poi le immancabili rubriche Sci-Fi Interruptus di Carlo Lanna, Recensioni letterarie di Michele Augello e l’attesa terza parte della Fantascienza Western che concluderà il ciclo di approfondimento curato da Michele Tetro. Tutta la redazione sta compiendo ogni sforzo possibile per offrire ai lettori un magazine sempre più professionale dal punto di vista contenutistico e grafico e resta sensibile ad ogni critica costruttiva volta a migliorare il lavoro. Non mi rimane che augurarvi una buona lettura, sperando sia gradita. Massimiliano H7-25
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Sci-fi gate
Prodotto dall’X-Files Blue Book/ X-Files Italian Fan Club.
idea e sviluppo Massimiliano H7-25 Simone Ferraro
GRAFICA
Simone Ferraro
Collaboratori
Michele Tetro, Michele Augello, Carlo Lanna, Fabio Terenziani Sci-Fi Gate è un magazine senza scopo di lucro, sfogliabile on-line. Non possiede carattere della periodicità. Le foto sono riprese da Google. Chi lamenti la violazione dei diritti di immagine può chiederne la rimozione scrivendo alla mail della redazione: redazionescifigate@yahoo.it
Citazioni#
Ellen Ripley “Atterrammo sull’LV 426. Kane, un membro del nostro equipaggio, fu riportato a bordo con qualcosa attaccato alla faccia, una sorta di parassita. Tentammo di staccarglielo ma inutilmente. Più tardi, sembrò si staccasse da sè e morisse. Kane sembrava essersi rimesso. Noi eravamo tutti a cena. L’ipotesi è che gli avesse lasciato qualcosa in gola, una specie di embrione, e cominciò.. ecco...” -Alien (1979) 4
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indice#
.10 g a P e n io z in t s ’e ll e d ’era :L 4 rs e rm fo s n ra ry T to S r e v o C
Intervista
David Connaegll.3an8 P
g.22 a P re ft A e h T e r e rt a C Speciale Chris Narrativa
Il Gioco degalili Immort Pag.45
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Narrativa
torno Il Difficile riCa del Signor rmody Pag.46
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Pag.14 ie m im c s e ll e d a t e n Il pia : n io t lu o v e R s e p w A ie v re P
Preview
Preview
i di X-Metnu:roGpioarn ssato un fu Pag.16
Sci-Fi Interruptus
DollHouse Pag.34
Time Machine
Riding witheSciIIIence Fiction Part Pag.28
Edge of Tomorrow Pag.12
Review
Transcendence Pag.20 maggio 2014 sci-fi gate
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TERMINATOR 5
AGENT CARTER
L’ex Doctor Who, Matt Smith, è stato scritturato per un ruolo ricorrente all’interno della nuova trilogia dedicata a Terminator, il cui primo capitolo, “Terminator: Genesis” uscirà nei cinema nell’estate del 2015. Il personaggio di Smith avrà una connessione particolare con John Connor (Jason Clarke) e sarà determinante nelle dinamiche del secondo e terzo film.
L’ABC rinnova per un’altra stagione la serie Marvel “Agents of S.H.I.E.L.D” ed in più ordina la produzione di un nuovo show basato sull’Agente Carter, l’amore della vita di Steve Rogers (Capitan America) e ambientato negli anni 40. Dopo gli eventi del primo film, Peggy Carter (Hayley Atwell) viene reclutata in un team speciale nel quale entra a far parte anche il papà di Iron Man, Howard Stark.
Star wars: episodio vii
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a Disney ha annunciato i primi 10 membri del cast di “Star Wars: Episode VII”, curato da J.J. Abrams. Di ritorno dalla trilogia originale vedremo Harrison Ford (Han Solo), Carrie Fisher (la Principessa Leia), Mark Hamill (Luke Skywalker), Anthony Daniels (C3PO), Peter Mayhew (Chewbacca) e Kenny Baker (R2-D2). I nuovi membri del cast invece sono: Andy Serkis (“Pianeta Delle Scimmie” e “The Hobbit”), Max von Sydow, John Boyega (“Attack the Block “), Daisy Ridley, Domhnall Gleeson, Oscar Isaac e Adam Driver. Il regista JJ Abrams ha così commentato: “Siamo così eccitati di condividere con il pubblico finalmente il cast di Star Wars: Episode VII . E’ emozionante e allo stesso tempo surreale vedere il cast originale che abbiamo tanto amato unirsi a nuovi brillanti artisti per dar vita, ancora una volta, al mondo di Star Wars”. Le riprese sono cominciate da alcuni giorni. Uscita prevista: 18 dicembre 2015.
Mentre sembra essere sfumata la possibilità di affidare la regia a Brian Singer (“X-Men: Giorni di un futuro passato”).
BEYOND
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o scorso 25 aprile è stato annunciato un nuovo film Sci-Fi dai risvolti romantici, tutto British. La trama illustrata nel Pressbook è di notevole effetto: “Per un breve momento della storia, il mondo si è fermato. Tutti gli occhi e la mente si sono concentrati sui cieli dove un oggetto non identificato di notevoli dimensioni è stato individuato in rotta di collisione con la Terra. La grande astronave aliena diretta minacciosamente verso il nord Europa, porta con sé un futuro incerto. In mezzo al caos globale una giovane coppia, alla ricerca della loro figlioletta, cerca di recuperare il loro rapporto attraverso un pericoloso viaggio, costretti a sopravvivere in un mondo sull’orlo del baratro.”
battlestar galactica
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’adattamento cinematografico della serie TV Battlestar Galactica sarà prodotto dalla Universal che ha ingaggiato un nuovo sceneggiatore, Jack Paglen (“Transcendence” e “Prometheus 2” ). maggio 2014 sci-fi gate
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Cover Story#
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transformers Di Massimiliano H7-25
l’era dell’estinzione
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Optimus Prime è tornato!
Transformers sono come Re Mida: trasformano in oro tutto ciò che toccano. Che si tratti di cartoni animati, fumetti, linee di giocattoli, videogiochi o film, il successo economico è assicurato grazie alla fanciullesca passione dello spettatore per la robotica, instillata sapientemente dalla mangamania. Al cinema il merito del successo seriale va, senza dubbio, ascritto al regista catastrofista Michael Bay, ma soprattutto all’ottimo cast della trilogia, superiore in termini qualitativi alle stesse trame. La bravura e la simpatia da faccia da schiaffi di Shia La Beouf, la prorompente sensualità di Megan Fox e la genialità attoriale dell’istrionico John Turturro, magistrale nel recente “Gigolò per caso” al fianco di Woody Allen, hanno garantito la sopravvivenza del prodotto commerciale. Con “Transformers 4: L’era dell’estinzione”, Michael Bay ha voluto rimescolare le carte, precisando, in una recente intervista, che il nuovo capitolo non è da considerarsi un sequel, bensì l’inizio di una nuova trilogia, sebbene la storia prosegua sulla scia degli eventi di “Transformers 3”. Autobot e Decepticon, dopo il distruttivo conflitto, sembrano essersi eclissati
dal pianeta. Gli uomini palesano insofferenza e stanchezza nei confronti dei robot e la loro riconoscenza per l’aiuto profuso è del tutto assente. Tentano da soli di varcare i confini della tecnologia allo scopo di provvedere, essi stessi, alla loro sicurezza, ma un’antica e potente minaccia aliena renderà indispensabile l’intervento di Optimus Prime (deluso dai suoi amici di carne ed ossa) e condurrà ad uno straordinario scontro in cui indipendenza e schiavitù saranno più che mai in ballo. Il pubblico farà la conoscenza di nuovi robot tra cui il cacciatore di taglie Lockdown che su strada assume le forme seducenti di una Lamborghini Avendator. Lock è uno spirito libero, restio a farsi coinvolgere nelle beghe degli umani, giunto sulla Terra esclusivamente per dare la caccia alla sua preda. Attesa anche per un’altra new entry, il gigantesco Dinobot, alto 19 metri e lungo 45, la cui progettazione ha sfidato le possibilità della computer grafica, anche se non siamo ai livelli di “Pacific Rim”. Robot che si trasformano in auto e in dinosauri non potranno che soddisfare pienamente le fantasie del fanciullino che alberga all’interno di ogni appassionato della Fantarobotscienza.
Se da questo punto di vista le aspettative potranno essere appagate, le uniche incertezze sul successo derivano dalla composizione del cast, totalmente rinnovato rispetto alla squadra vincente della precedente trilogia. La punta di diamante è sicuramente Mark Wahlberg la cui personalità dovrà trainare colleghi alle prime esperienze o poco accattivanti, ad eccezione del veterano Stanley Tucci. Wahlberg interpreta il ruolo di un padre single, un uomo comune che cerca di fare cose straordinarie per proteggere sua figlia. Basterà questo per eguagliare il perfetto connubio fra umanità ed effetti speciali raggiunto in passato o dovremo accontentarci della magia della computer grafica? Non ci resta che attendere il 10 luglio.
transformers 4 uscirà nelle sale il 10 luglio
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edge of tomorrow Di Massimiliano H7-25
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Vivi. Muori. Ripeti.
uova prova fantascientifica per il candidato all’Oscar Tom Cruise che sembra essere a suo agio a contatto con alieni e visioni apocalittiche. Tuttavia attendiamo ancora l’opera giusta che possa collocare l’ex “Top Gun” nel novero degli indimenticabili Sci-Fi Men, dopo il passabile “Minority Report” e i mezzi fallimenti con “La Guerra dei mondi” ed “Oblivion”. La nuova chance la offre “Edge of tomorrow”, un adattamento del romanzo di Hiroshi Sakurazaka, diretto da Doug Liman (“The Bourne identity”, “Mr & Mrs Smith”), prodotto dalla Warner Bros e in uscita in Italia il 29 maggio. La trama presenta un elemento narrativo già usato dalla cinematografia e dalla serialità televisiva: il loop temporale. La storia si svolge in un tempo futuro in cui una razza aliena (Mimics), ha messo in atto un micidiale attacco alla terra su vasca scala, contro cui le difese terrestri non riescono ad opporsi. Il Tenente William Cage (Cruise) è un ufficiale con scarse esperienze sul campo di battaglia che viene spedito in una missione suicida in cui perde inesorabilmente la vita. Cage si risveglia dalla morte come se nulla fosse, ma è solo l’inizio di un infinito anello temporale che riproporrà gli eventi dello stesso tragico giorno. Come in “Ricomincio da capo” del compianto Ramis, Cage farà man mano tesoro delle ripetitive esperienze quotidiane per migliorarsi nell’arte della guerra, ma soprattutto per trovare una strategia utile ad annientare il nemico invasore, grazie anche all’aiuto dell’Agente Speciale delle Forze Armate, Rita Vrataski (Emily Blunt). Il film strizza l’occhio al mondo dei 12
videogames, non tanto per le scene da combattimento o le tattiche militari, ma per via di quella sorta di update che Cage acquisisce ad ogni resurrezione e che gli “abilita” nuove importanti conoscenze, come se il personaggio conquistasse maggiore esperienza ad ogni livello superato. La ripetizione del giorno si rivela essere una straordinaria opportunità di apprendimento perché permette di esplorare ed analizzare gli eventi attraverso nuovi punti di vista, cosa che non potrebbe mai verificarsi assistendo un’unica volta allo svolgersi dei fatti a causa dei tanti punti ciechi che impediscono alla nostra visuale di osservare la realtà nella sua interezza. Gli infinitesimali dettagli della dinamica di situazioni che noi ignoriamo anche per mancanza di tempo, in “Edge of tomorrow” risultano essere indispensabili per stravolgere gli esiti della battaglia finale, da cui dipende, per il protagonista, la speranza di vedere l’alba di un domani. La ripetizione diviene prigione se non si colgono le mille sfumature che articolano la nostra esistenza e che ci offrono una vasta gamma di informazioni che alimentano la conoscenza. Ma quest’ultima non basta qualora si limiti ad un semplice immagazzinamento dati, piuttosto diviene essenziale se conduce ad una
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trasformazione dell’Io, un miglioramento di sé, un self improvement come avviene per il protagonista del già citato “Ricomincio da capo”, il quale torna finalmente alla sua linea temporale solo dopo essere maturato a livello umano, mettendo da parte l’apatia e l’egoismo. Uno dei fattori che hanno spinto Tom Cruise ad accettare la parte è proprio l’aridità dello spessore umano di Cage, un uomo ancora in divenire, sebbene l’età sia avanzata, agli antipodi, quindi, rispetto ai precedenti ruoli da impavido ed infallibile superuomo ed abile guerriero proposti sul grande schermo. Cage è un guscio
vuoto che drammatici eventi reiterati nel tempo colmeranno facendo di lui il classico eroe, il cui coraggio però non è innato, ma in work in progress, perché si sviluppa attraverso un training giornaliero all’interno della palestra più impegnativa ed angosciante per l’uomo: la guerra.
edge of tomorrow uscirà nelle sale il 29 maggio scifigatemagazine.altervista.org
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Il Pianeta Di Massimiliano H7-25
delle
scimmie Apes Revolution Quando Cesare viene minacciato da ciò che resta dell’umanità, la pace raggiunta viene messa in grave pericolo
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’uomo vive con la speranza di arrivare ad essere un ricordo. Confida nel sogno di lasciare una traccia del suo passaggio, scongiurando la quiete e la dissoluzione di tutta la sua minuscola esistenza di cui parlava Shakespeare nella sua “Tempesta”. Se si affida alla ragione può riuscire nello scopo, ma se viene guidato dalla follia distruttiva, le sue azioni saranno dimenticate e si aprirà l’era de “Il Pianeta delle scimmie”, in cui una nuova specie temerà di ricordare quell’antenato arrogante che sfidò gli Dei credendo di essere immune alla sua stessa stupidità. Questo ed altro ancora si respira prima nel libro “La planète des singes” di Pierre Boulle e successivamente, ma con qualche distinguo narrativo, nella omonima trasposizione cinematografica del 1968 diretta magistralmente da Franklin J. Schaffner. Le scimmie evolute hanno instaurato una società medievale in cui gli ultimi esseri umani sono trattati come bestiame, sottomessi e considerati intellettualmente inferiori. L’origine stessa della nuova classe dominante è affidata alla leggendaria storia di un eroe scimmiesco, Caesar, primo primate intelligente, mentre nulla viene riconosciuto agli esseri umani,
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menzionati come noi faremmo per i cavalli o gli animali da allevamento, nel raccontare la storia dell’umanità. “Apes revolution” nelle sale italiane il prossimo 10 luglio (salvo variazioni dell’ultimo momento) è il secondo capitolo del prequel della saga degli anni ’60 e ’70 che narra le gesta proprio di Caesar, a capo della rivoluzione contro gli uomini. Il primo film del 2011 aveva suggerito una spiegazione diversa da quella fornita dalla pellicola del 1968, che parlava più esplicitamente di Evoluzione e Rivoluzione della nuova specie. Infatti nella nuova interpretazione del più recente franchise, l’evoluzione è solo una conseguenza della manipolazione genetica dell’uomo operata sui primati e la rivolta dei cugini bipedi viene agevolata dalla decimazione della razza umana a causa di un virus. In “Apes revolution” la sempre più crescente popolazione delle scimmie si trova a dover fronteggiare un pericoloso manipolo di uomini, sopravvissuti al letale contagio virale sviluppatosi un decennio prima, intenti a ripristinare l’ordine delle cose. La Guerra Fredda fra le parti è solo il preambolo ad un conflitto finale che attribuirà al vincitore il dominio sul pianeta. Nel cast figura Gary Oldman nel
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ruolo di Dreyfus, il leader dei ribelli che non vogliono sottomettersi ai primati. Le movenze di Caesar, perfezionate poi esteticamente dalla computer grafica, sono di Andy Serkis, il Gollum de “Il Signore degli anelli”. Le magie della tecnica attribuiscono in maniera strabiliante espressioni tipicamente umane ai volti delle scimmie intelligenti, sebbene in alcuni casi la percezione di qualcosa di artefatto, di poco naturale arrivi inevitabilmente all’occhio dello spettatore, soprattutto a quello affascinato dalla semplicità dei costumi impellicciati del 1968. Perché il primo amore non si scorda mai.
apes revolution uscirà nelle sale il 10 luglio
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del film Cesare in varie sequenze
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X-men
Di Massimiliano H7-25
Giorni di un futuro passato
In un futuro alternativo distopico,wolverine torna indietro nel tempo per impedire un evento catastrofisco
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rosegue la sfida cinematografica tra le saghe comics più redditizie della fabbrica dei sogni hollywoodiana a colpi di effetti speciali. In attesa del ritorno del team degli Avengers (2015), tocca agli X-Men dar sfoggio delle loro capacità al fine di garantire la sopravvivenza della specie, annullando i letali
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effetti dell’egoismo e della sete di potere. “X-Men: Giorni di un futuro passato” (uscita in Italia: 22 maggio 2014), ma più in generale l’intero franchise, è la degna risposta all’overdose di eroismo patriottico americano propinatoci al cinema e alla televisione. L’antieroismo e la politica sociale che traspaiono dalle imprese dei
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tanti personaggi nati dalla fantasia di Stan Lee e Jack Kirby, sono temi già conosciuti dall’uomo che da sempre fa i conti con le difficoltà dell’integrazione. Questa familiare problematica sociale riesce a ridurre sensibilmente il gap di identificazione emotiva dello spettatore nei confronti dei mutanti, di certo in misura maggiore rispetto ai
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Preview# dilemmi esistenziali di alieni e Dei. Il nuovo film degli X-Men è stato affidato ancora a Brian Singer che ritorna dietro la macchina da presa dopo aver curato i primi due capitoli. Il regista de “I soliti sospetti” ha voluto andare sul sicuro puntando su un team di lavoro con cui ha già condiviso precedenti esperienze: lo scenografo John Myhre, il direttore della fotografia Tom Siegle e la costumista Louise Mingenbach, per proporre un’ampia reunion di mutanti che farà felici i fan. L’eccessiva coralità dei protagonisti, sebbene funzionale alla storia, potrebbe svilire la profondità e l’unicità dei singoli per effetto dell’inevitabile riduzione dello spazio scenico, ma la possibilità di vedere all’opera tutto il catalogo autunno/inverno – primavera/estate degli X-Men, vale qualche compromesso. Il pretesto dell’abbuffata di mutanti è offerto da una minaccia proveniente dal futuro. La scena cliffhanger contenuta nei credits dell’ultimo Wolverine del 2013 ci aveva mostrato la coppia Magneto-Professor X (redivivo) intenta a reclutare l’Immortale in una missione. Il motivo? La sopravvivenza della specie mutante è in pericolo. L’unica speranza è fornita da un viaggio temporale grazie al quale cambiare l’inevitabile destino. La storia è frutto di un adattamento di due albi di Uncanny X-Men del 1980 che vedevano come protagonista Kitty Pryder, una mutante che attiva il viaggio nel tempo. Nella versione cinematografica il Time Traveller è invece
Wolverine in una scena del film
Wolverine,Charles e Bestia in una scena del film 18
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Una nuova era ha inizio Kitty Pride e Iceman
proprio Wolverine che avrà il compito di impedire la costruzione di un futuro post apocalittico in cui la razza portatrice del gene “X” verrà del tutto sterminata ad opera delle “Sentinelle”, potentissimi robot con l’obbiettivo di dare la caccia ai mutanti. Ritornare agli anni settanta in cui tutto ebbe inizio potrebbe aggiustare le cose e così gli X-Men del presente si uniscono a quelli del passato per spezzare la catena di eventi destinata a condurre al genocidio della razza e riscrivere, di conseguenza, il futuro. Nemico comune è la Trask Industries, guidata da Bolivar Trask (Peter Dinklage, Tyrion ne “Il trono di spade”), creatore delle Sentinelle antagonisti che hanno sempre affascinato i fan dei fumetti e per la cui rappresentazione, lo scenografo Myhre ha affermato di aver dedicato un grande lavoro in fase di progettazione: -“Abbiamo ideato
una loro versione degli anni settanta e un’altra del futuro. E’ stato più complicato lavorare sulle Sentinelle del passato perché volevamo essere fedeli al periodo storico e ai fumetti. Dovevano avere una forma umanoide: una testa e delle braccia viola”.- Altro nodo narrativo da sciogliere è stato quello relativo al ritorno sulla scena del Professor Xavier, ucciso in “X-Men: Conflitto finale” da Jean Grey. La spiegazione , che qui non intendiamo svelare, è affidata alle parole più o meno criptiche di Brian Singer: -“Il ritorno di X non ha niente di miracoloso o poco plausibile, ma rientra nelle prerogative delle sue strabilianti capacità mentali”-.
Non vediamo l’ora di assistere all’interazione fra Wolwerine e la versione giovane e più impetuosa di Magneto ed X che hanno i volti rispettivamente di Fassenbender e McAvoy. Il film è costato fra i 210 e i 240 milioni di dollari, un investimento, per la Fox, secondo solo ad “Avatar”. Siamo, dunque, pronti al viaggio temporale e ai paradossi del multiverso, senza DeLorean o flussi canalizzatori. Si parte. Grande Giove!
x-men uscirà nelle sale il 23 maggio
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Recensione a cura di Fabio Terenziani
TRANSCENDENCE Tra paura, fantascienza e follia
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o affrontato la prima di “Transcendence” con un po’ di pregiudizio. Dopo aver visto i trailer e letto le trame proposte dai vari siti internet, pensavo di assistere al classico film tecnologico dove un moderno HAL 9000 (“2001 Odissea nello spazio”) impazzisce e ammazza tutti per chissà quali nobili ideali. Beh, mi sbagliavo! Non mi dilungherò a parlare su chi sia il regista (Wally Pfister) o gli attori principali (Johnny Depp, Morgan Freeman, Rebecca Hall, solo per citarne alcuni), già i media e i social network hanno fatto la loro parte in questo e li conosciamo tutti benissimo. Cercherò invece di riassumere “l’essenza” di questo film, che è abilmente celata nei trailer e nelle trame che sono state diffuse. Nel nostro mondo fantastico, ogni macchina senziente ha sempre ambito ad avvicinarsi all’essere umano, diventare come il suo “creatore”, avere quell’”anima” interiore in grado di farla sentire finalmente “viva”. A tal proposito ricordiamo l’androide Data di “Star Trek TNG”, il robot Uno del film “L’uomo bicentenario” e David nello struggente “A.I. Intelligenza Artificiale” di Steven
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Spielberg, ma ce ne sarebbero molti altri da citare. In “Transcendence” invece, il ricercatore Will Caster (Johnny Depp) è intento a realizzare una macchina senziente, capace di unire il sapere collettivo di tutto ciò che è conosciuto con l’intera gamma delle emozioni umane. Attirando l’attenzione di un gruppo di terroristi anti-tecnologia denominato RIFT, Will diventa suo malgrado il loro bersaglio. A seguito di un attentato mortale, la moglie Evelyn (Rebecca Hall) decide di “caricare” la mente (e quindi la coscienza) di Will nel super computer che stavano costruendo. Dopo alcune implicazioni etiche, le scene successive del film raccontano di come la nuova “entità Will” metterà a rischio l’esistenza della stessa umanità. Questo è quanto ci è stato raccontato, ma il messaggio è molto diverso, per quanto già noto: “L’uomo ha paura di ciò che non conosce” e questa paura lo porta a compiere delle azioni riprovevoli, senza riflettere su quelle che possono essere le alternative. In “Transcendence” Will diventa una nuova entità, una sorta di “Dio sintetico” capace di fare del bene a tutta l’umanità. Non è una sorta di VIKI (“Io Robot”), c’è logica nel suo ope-
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rato ma anche emozioni umane. Sono le qualità umane che probabilmente spingono Will a compiere quelle azioni che sì, aiuteranno l’uomo, ma allo stesso tempo ne metteranno a rischio l’esistenza. Per Will si tratterà di normale evoluzione, per l’uomo un pericolo da evitare. Nella sequenza dove il nuovo Will mostra cosa è in grado di fare, il bene che può portare, l’uomo vede solo il pericolo per la sua esistenza, l’uomo ha paura perché non comprende. Non si ferma a ragionare con la nuova entità, non cerca una strada alternativa che possa migliorare la condizione umana senza stravolgerne la natura. L’uomo distrugge, annienta, per paura mette a rischio il suo stesso futuro. Hanno fatto bene? Hanno fatto male? Si poteva fare in un altro modo? E’ questo il senso di dubbio e d’inquietudine che lo spettatore prova uscendo dalla sala. Passiamo ora ad un secondo aspetto che ci viene raccontato in “Transcendence”. Ci sono molti film dove viene raccontata la fusione uomo-macchina, “Il Tagliaerbe”, “Tron”, “Il tredicesimo piano”, per citarne alcuni, ma sono tutte pellicole che raccontano di come l’uomo “entra” nella macchina ma anche di come desidera “uscirne” per
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tornare alla vita reale. In “Transcendence” si affrontano i temi della Trascendenza e del Mind Uploading dove l’uomo ricerca l’immortalità all’interno di un sistema sintetico, in una condizione stabile in cui vivere ed evolversi. Tali concetti non sono fantascienza allo stato puro ma teorie accademiche in fase di studio nella vita reale. A tal proposito ricordiamo un personaggio, un certo Kenneth Hayworth. Hayworth è un ex dipendente del Jet Propulsion Laboratory della NASA. E’ stato proprio lì che gli venne in mente la stravagante idea di simulare la sua coscienza in un computer. Lui stesso afferma che se tutto va secondo i piani “fra pochi anni sarò in grado di collegare la mia coscienza ad un computer e, in ultima istanza, entro il 2100 saremo in grado di trasferire il contenuto di un cervello biologico, in uno basato sul silicio”. Tutto questo per assecondare un fondamentale bisogno umano, l’immortalità. Ma ironia della sorte, secondo Kenneth, per raggiungere l’immortalità… si deve morire! Su internet si trovano interessanti articoli sulle teorie di questo ricercatore, ecco un piccolo sunto della sua procedura di conservazione della mente e della coscienza: Una volta all’ospedale sarà sottoposto ad anestesia,
con un cocktail di sostanze chimiche che oltre ad ucciderlo all’istante, permetterà anche l’inibizione degli enzimi che deteriorano il tessuto celebrale. Poi gli saranno iniettate delle dosi di metalli pesanti colorati, in modo da rendere visibili al microscopio le sue membrane cellulari. Il cervello verrà prosciugato di tutta l’acqua e il midollo spinale sostituito con della resina plastica. Ogni neurone e sinapsi del suo sistema nervoso centrale sarà protetto a livello nanometrico. Dopo di che, il suo cervello verrà tagliato in strisce e poi studiato al microscopio elettronico per realizzare la mappa precisa delle sue connessioni sinaptiche. Quando gli scienziati saranno in grado di determinare la funzione di ogni singolo neurone e sinapsi, una simulazione della sua mente potrà dare vita ad un corpo robotizzato. E’ un genio? Un folle? O tutte e due le cose insieme? Non possiamo dirlo, sarà la storia a giudicare. Ma di certo l’argomento “Transcendence” è attuale e solleva inquietanti interrogativi sull’evoluzione umana e sulle implicazioni etiche e morali che ne conseguono. Nessuno di noi vuole morire, ma domandiamoci: che tipo di esistenza sarebbe quella di Will o del signor Hayworth? Tutta l’umanità dentro un mega server (come nel film “Il tredicesimo piano” o “Tron”) o den-
tro robot sintetici (“Il mondo dei replicanti”)? Verso la fine del film Will crea un corpo per ospitare se stesso, per interagire con la moglie e il mondo esterno. In conclusione, la forma umana è sempre quella più gettonata. I promotori del film hanno divulgato sui social network una proposta di “schieramento”. In sostanza, seguendo il filone del film ci hanno chiesto: “siete a favore della tecnologia o siete contro di essa?”. Io rispondo che si può essere favorevoli verso una tecnologia che è al servizio dell’uomo, che ne migliora l’esistenza. Oggi molte persone possiedono organi e arti artificiali che consentono loro di godere la vita. Ma quando la tecnologia ti priva della vita o del senso della vita stessa e della tua individualità di essere umano, allora dico no. Di una cosa sono comunque certo: dopo aver visto “Transcendence”, guarderò il cavo USB del mio smartphone con occhio diverso. Che un giorno ci possa passare “qualcuno” lì dentro?
TRANSCENDENCE è uscito nelle sale il 17 aprile
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Speciale#
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Chris Carter e the after Alea iacta est. L’apocalisse è su Amazon.
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hris Carter, geniale autore al culmine della popolarità negli anni 90, quando con “X-Files” sviluppò con intelligenza il dualismo tematico Fede/Ragione, seppe ingenerare nell’animo dello spettatore ciò che i tedeschi chiamano Unruhe, ossia, inquietudine, quel sentimento di incertezza, timore, dubbio che lo stesso Papa Francesco ha affermato essere indispensabile agli uomini nel loro percorso di crescita: “E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine! Senza di essa siamo sterili “ (dall’omelia ai gesuiti, gennaio 2014). La persona dal pensiero incompleto, aperto, è ricettiva alla scoperta e alla verità e rimane immune alla persuasione di chi limita la riflessione attraverso condizionamenti mentali volti a rassicurare e intorpidire quella volontà d’animo che ha trovato la sua perfetta incarnazione telefilmica nell’Agente Fox Mulder, tormentato, mai domo di fronte alle mistificazioni e agli inganni del governo americano. Dopo 12 anni di assenza dal mondo dell’entertainment, se si eccettua la parentesi non troppo felice al cinema con “I Want to believe” del 2008, Carter prova
ora a stimolare il pensiero dello spettatore del nuovo millennio, quello dell’Homo Tablet, svigorito dagli aiuti tecnologici che hanno decretato il suo declino cerebrale, attraverso una nuova serie televisiva, o meglio, telematica, considerato il mezzo di fruizione di Amazon web: “The After”. Fu la Georgeville Television, casa di produzione fondata da Marc Rosen (“Harry Potter”) nel 2012 a mendicare interesse da parte delle TV americane in favore del nuovo pilot di Chris Carter, in occasione del MIPCON Export, ma divergenze di opinione attorno allo sviluppo del prodotto indussero un cambio radicale nella scelta della piattaforma da sfruttare e così, sulla scia del grande successo di Netflix, si materializzò la possibilità di un connubio fra il papà di Mulder e Scully ed Amazon, tuffatasi, anch’essa, nell’avventura della produzione di shows e movies con risultati interessanti. Nell’ottobre 2013 Amazon annunciò la produzione del Pilot, diffuso on-line gratuitamente, lo scorso febbraio, per valutare il gradimento del pubblico, indispensabile ai fini della realizzazione di un’intera stagione (13 episodi). Le
numerosissime recensioni positive e il successo nei sondaggi in rete hanno convinto i boss di Amazon sulla bontà del progetto, decretando ufficialmente il ritorno sulla scena di Chris Carter, entusiasta di abbracciare la nuova frontiera dell’intrattenimento, scevra dagli eccessivi vincoli normativi della TV a stelle e strisce – Carter: “Amazon consente molta più libertà di espressione sia nelle immagini che nel linguaggio. Ci sono cose che sto facendo con The After che non ho mai potuto fare ad esempio in TV con X-Files.” (dichiarazione tratta da Theaverage. com). “The After” narra le vicende di 8 personaggi alle prese con un’apocalisse che ha scatenato nel mondo caos e panico, ma soprattutto racconta lo spirito dell’uomo, i suoi inestricabili conflitti interiori di fronte all’istinto primordiale di ogni essere vivente: la sopravvivenza, in un mondo in cui la tecnologia e il progresso sono stati annientati da forze misteriose, sovrannaturali. – Carter: “The After nasce da alcune mie paure. La prima è quella di rimanere intrappolato in un garage durante un terremoto. Ma poi ci sono state altre situazioni inquietanti che ho vissuto come l’uragano delle Hawaii e l’improvviso blocco in autostrada a Los Angeles. Tutti eventi che mi hanno fatto capire come
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le cose possano cambiare in peggio improvvisamente. Ed è in questi casi che tutto ciò in cui credevi, la sicurezza, la stabilità vengono messi terribilmente in discussione”(dichiarazione tratta da Theaverage. com). Si tratta di una serie post apocalittica che segue la scia di show come “Jericho” o la contemporanea “Revolution”, sebbene se ne discosti per il fatto che la matrice del disastro mondiale non sembra essere umana, ma divina o se volete diabolica. Le vicende si svolgono nella splendida, ma caotica Los Angeles dalla prospettiva di una giovane aspirante
attrice francese, Gigi Generau, madre di una bambina, che dopo un provino andato male, si ritrova per una serie di circostanze bloccata prima in ascensore e poi all’interno del garage di un Hotel, in compagnia di altri 7 personaggi: un clown, un evaso, uno spocchioso irlandese, un avvocato, una squillo, una riccona di mezza età e una agente di polizia. Al di fuori il cataclisma si è già scatenato e l’anarchia ha preso il sopravvento. Disperazione e vandalismo dominano le strade della città californiana e del resto del mondo.
La seconda era professionale di Carter è cominciata I 55 minuti del pilot, nonostante i timori di possibili déjà-vu, scorrono piacevolmente fra colpi di scena ed indizi centellinati minuziosamente fino agli ultimi shoccanti minuti finali. Il gruppo in fuga di notte, infatti, incontra un essere soprannaturale, dalle movenze demoniache, interamente ricoperto di tatuaggi mistici e religiosi che annuncia, quasi in segno di sfida, che la fine è appena cominciata: alea iacta est. Il Cast rispecchia la volontà di Carter di puntare su attori non troppo riconoscibili. Il solo volto che la memoria di un fantascientifico appassionato possa ricordare, è quello di Adrian Pasdar,
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già visto nella serie “Heroes”. Gli altri sono o alle prime apparizioni come Jaina Lee Ortiz (Agente di polizia Gonzalez) e la stessa Louise Monot (Gigi) nota solo al pubblico francese, oppure reduci da ruoli secondari in telefilm popolari come Aldis Hodge (in “The After” nei panni di un evaso) visto in “NYPD Blue”, “Buffy”, “CSI”, “Streghe”, “E.R.”, “Bones”, “Supernatural”, “Castle”, e ancora come Arielle Kebbel, la vampira Lexi in “The vampires diaries”. In questi giorni è partita la produzione dei successivi episodi di “The After” , ma al momento ancora ignote sono le date sia delle riprese che della diffusione scifigatemagazine.altervista.org
in rete, su amazon.com. Tutto questo sembrerebbe già sufficiente come ritorno nel business per l’ex scrittore disneyano Chris Carter, ed invece è in cantiere un altro progetto interessante, annunciato solo poche settimane fa dalla rete televisiva AMC. L’autore, infatti, sta lavorando al pilot di uno show dal titolo “Area 51”, adattamento televisivo del best seller di Annie Jakobson, Area 51: An Uncensored History of America’s Top Secret Military Base. Benché il titolo faccia pensare a tematiche aliene, la storia indaga sulla base segreta più famosa al mondo da una prospettiva cospirazionista e spionistica, rifuggendo quindi da spiegazioni extraterrestri. Il libro, basato su interviste a scienziati ed ingegneri che hanno lavorato a Dreamland, racconta l’incidente di Roswell suggerendo la teoria che Josef Mengele sia stato reclutato da Stalin allo scopo di generare baby aviatori dalle strane fattezze per causare panico e isteria nel paese del capitalismo. La creazione del fenomeno degli UFO rientrerebbe quindi in un processo di cover up volto a celare i veri scenari della Guerra Fredda. Bisognerà capire quanto nella trasposizione televisiva verrà realmente ripreso dal libro e se quest’ultimo sarà solo una fonte di ispirazione per lo sviluppo di altri intrecci narrativi. Nell’attesa non possiamo che sperare che l’adattamento risulti meno grottesco del libro e che una parte possa essere affidata a William B. Davis (Smoking Man in “X-Files”), perfetto nel ruolo dello stratega, del grande burattinaio.
La seconda era professionale di Carter è cominciata. Difficile dire se i suoi nuovi progetti potranno anche solo avvicinarsi alla qualità proposta al pubblico con “X-Files” e “Millennium”. Di certo il suo modo di fare televisione spezzerà l’attuale monotonia di proposte telefilmiche dominate da ispirazioni fumettistiche (supereroi e morti viventi), adattamenti TV di successi cinematografici e da rivisitazioni storiche al limite del ridicolo come “Da Vinci” o il futuro “Freud: The Secret Casebook”, in cui il genio della psicoanalisi si dimostra provetto indagatore alla Sherlock Holmes, ideato da Frank Spotnitz, amico e braccio destro in passato proprio di Carter.
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n molti serial televisivi americani ed inglesi di fantascienza è facile trovare almeno un episodio a forte connotazione western, in special modo quando si tratta di viaggi nel tempo o recuperi mnemonici. Sarebbe un onere troppo grosso rintracciare tutte queste puntate nei vari format, ci limiteremo quindi ad un recupero dei più noti. Spesso si tratta solo di una “siringata” accidentale di elementi western in un contesto indiscutibilmente fantascientifico ma molte volte la situazione si ribalta, e sono i connotati fantascientifici a ridursi in meri “contorni”. Nel primo caso rientra per esempio l’episodio “Distorsioni mentali” (“Mindbender”, di Ken Turner, 1971) del serial “UFO”, indimenticabile produzione inglese di Gerry e Sylvia Anderson, in cui uno dei piloti intercettori di Base Luna, Conroy (Al Mancini) dopo aver raccolto una roccia di origine aliena, vede prendere forma attorno a sé un pericoloso vortice allucinatorio direttamente proiettato dalla sua mente: poiché nel tempo libero l’astronauta si diletta nello scrivere racconti western, gli impulsi della roccia extraterrestre materializzano nella sfera di controllo della base tre “desperados” messicani con intenti malevoli mentre gli stessi comandante Straker (Ed Bishop) e colonnello Foster (Mike Billington), visti dall’effetto distorcente della realtà, appaiono al pilota come violenti pistoleri a lui avversi. L’episodio, poi, dopo la morte di Conroy, si sviluppa poi su un’altra strada, perdendo l’atmosfera western. Decisamente più in sintonia con una trama portante di valenza squisitamente western sono il già citato episodio “Lo spettro di una pistola” del serial “Star Trek”, di cui abbiamo già trattato nella seconda “intermission” dedicata al personaggio di Wyatt Earp (che aveva come valore aggiunto una interpretazione dei fatti dell’OK Corral poco ortodossa per quei tempi, mettendo in scena i tre fratelli sceriffi in veste di brutali killer nerovestiti, freddi e spietati di fronte ai molto più simpatici Clanton, cioè i membri dell’astronave Enterprise), e la puntata intitolata “Occhio Rosso” (“The Lost Warrior”, di Rod Holcomb, 1978) del serial “Battlestar Galactica”. Qui vediamo il capitano Apollo (Richard Hatch), della flotta coloniale diretta sulla Terra e inseguita dai robot conquistatori Cylons, precipitare col suo caccia spaziale su un pianeta di frontiera del tutto simile ad uno stato dell’america rurale del 1880. Un centurione Cylon (Rex Cutter), a sua volta caduto con la sua navetta anni prima, danneggiato nell’impatto al punto di “perdere la memoria” originale, è stato rinvenuto da un landlord locale, che gli ha fatto credere di essere il suo padrone e lo utilizza per vessare i contadini con continui tributi e tasse, col nome di “Occhio Rosso”. Poiché nessuna arma da fuoco può contrastare la corazza del robot e la sua pistola laser, sottratta ad un
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guerriero coloniale ucciso molto prima (zio del bambino nella cui casa Apollo trova rifugio), la famigliola di coloni che ospita Apollo (armato di laser) lo prega di sfidare a duello il centurione e di liberarsi del tirannico proprietario terriero. Dapprima riluttante, timoroso di attirare sul pianeta altri Cylons, Apollo infine entra in azione, avendo la meglio nello “shotdown” finale con “Occhio Rosso. Soccorso dai suoi compagni, deve lasciare il bambino e sua madre per tornare al Galactica, nella più pura tradizione di “Il cavaliere della valle solitaria”.Anche l’enigmatica serie “Il prigioniero”, fortemente voluta dall’attore protagonista Patrick McGoohan, contiene un episodio quasi completamente western, che addirittura si presenta senza sigla originale, inducendo il pubblico a credere davvero di essere al cospetto di qualcosa di differente rispetto al solito format. Si tratta di “Vivere in Armonia” (“Living in Harmony”, di David Tomblin, 1967), in cui vediamo un cowboy senza nome (Patrick McGoohan, noto come il Numero 6 in tutto il serial) che ha rassegnato le proprie “dimissioni” dalla mansione di sceriffo e che viene assalito da un gruppo di banditi. Si risveglia nella città di Harmony, dove si aggira il Kid (Alexis Kanner), pistolero silenzioso ma letale, e un gruppo di uomini guidati dal Giudice (David Bauer), molto interessati a lui. Arrestato per motivi precauzionali, l’uomo conosce Kathy (Valerie French), che lo fa fuggire. Ripreso, gli viene offerto il posto di sceriffo e una pistola, che lui rifiuta. Il giudice spinge il Kid a rapire Kathy, in modo che il cowboy senza nome possa tornare ad armarsi, ma Kid la uccide, strangolandola. L’uomo lo affronta allora in duello, avendo la meglio sia su di lui che sugli uomini del Giudice, il quale riesce però a sparargli. Il Numero Sei si risveglia così nel Villaggio, luogo di segregazione di agenti segreti ribelli, e scopre che si è trattato del solito tentativo, fallito, di estorcergli informazioni sul motivo delle sue dimissioni dal servizio mediante una meticolosa messa in scena e opportuno lavaggio del cervello. Ma a fare le spese dell’esperimento saranno proprio i loro stessi artefici, ormai incapaci a distinguere tra il vero e il falso. Facciamo un salto indietro nel tempo, tra il 1959 e il 1960, quando negli USA vede la luce una delle serie televisive destinate a fare storia, anche al di fuori dei generi. Si tratta di “Ai confini della realtà” (“The Twilight Zone”), prodotta dal genio di Rod Serling, straordinario cesellatore di storie di ogni genere ma particolarmente predisposto al fantastico. Questa serie antologica, quindi senza personaggi fissi, impreziosita dalle sceneggiature di autori come Richard Matheson e Charles Beaumont tra gli altri, ben si prestava ad un variegato spiegamento di situazioni e tematiche, non ultimo il western puro, all’insegna di un realismo fantastico di tipo umanistico, che
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solo Serling seppe proporci con originalità e partecipazione. E proprio in alcune di queste puntate ci troviamo in un contesto di “puro” western, inquinato da una iniezione fantastica tale appunto da portare le situazioni, in cui erano coinvolti personaggi comuni e quindi facili da immedesimarsi da parte dello spettatore… ai confini della realtà.Il primo episodio western si intitola “Al Denton nel giorno del giudizio” (“Mr. Denton on Doomsday”, diretto da Allan Reisner, 1959) e vede l’ex gunslinger Denton (Dan Duryea), ormai giunto al capolinea a causa dell’alcol, acquistare dal misterioso signor Fate (Malcolm Atterbury) una pozione magica che lo renderà per dieci secondi un tiratore dalla mira infallibile, così da poter sfidare un giovane pistolero in un duello mortale. Ma anche questi ha assunto la pozione e la sparatoria si risolve con ferite alle mani per entrambi e fine delle loro carriere di gunfighters, mentre il signor Fate si allontana, soddisfatto che nessuno abbia perso la vita… Un modello narrativo, quello della presenza non meglio definita (destino incarnato, angelo, creatura ultraterrena, alieno) che fa da deus ex macchina o da burattinaio dei personaggi implicati nella storia, che Serling riproporrà più volte nella serie.Ancora un western, di impronta più fantascientifica stavolta, nell’episodio “Esecuzione” (“Execution”, diretto da David O. McDearmonn, 1960): il bieco criminale Joe Caswell (Albert Salmi) sta per essere impiccato nel West del 1880 quando la macchina del tempo del professor Manion (Russell Johnson), dal 1960, lo preleva per scelta casuale e lo trasporta ai giorni nostri. Caswell, spaesato, uccide lo scienziato e si avventura per le strade affollate e trafficate ma lo shock è troppo forte per lui. Tornato al laboratorio, viene ucciso in una lotta contro un ladro penetrato nel locale, che accidentalmente attiva la macchina del tempo e si ritrova nel 1880, col collo nel cappio destinato a Caswell… Tipico episodio “e giustizia per tutti”, a garanzia anche dei ristabiliti equilibri temporali.In “Polvere” (“Dust”, diretto da Douglas Heyes, 1961), un peone messicano sta per essere giustiziato per aver involontariamente travolto una bimba col suo carro, quando appare nel villaggio il commerciante imbroglione e senza scrupoli Sykes (Thomas Gomez), che vende addirittura il cappio al boia. Davanti alla disperazione del padre dell’accusato, Sykes spaccia della comune polvere come miracoloso ritrovato in grado di mutare l’odio in amore. Il povero genitore sparge ingenuamente la sabbia davanti alla gente intervenuta per l’impiccagione e miracolosamente la corda si rompe: i genitori della bambina decidono di non volere procedere oltre nell’esecuzione, padre e figlio se ne tornano a casa e Sykes risulta infine la vera “vittima” della sua polvere magica, distribuendo ai bambini poveri le sue pepite d’oro, con una gran risata… Episodio
Battaglie nella galassia(1978) “miracoloso” e profondamente umano, con ottima caratterizzazione dei personaggi.Ancora un’anomalia temporale in “Oltre la duna” (“A Hundred Yards Over the Rim”, diretto da Buzz Kulik, 1961): Christian Horn (Cliff Robertson), padre di famiglia del 1847 a capo di una carovana alla ricerca della California dopo una estenuante traversata del deserto, decide di proseguire a piedi in cerca di medicine per il figlio malato, quando tutti i suoi uomini si sono ormai convinti che non esista alcuna “terra promessa”. Oltrepassata una duna, Horn si ritrova nel New Mexico del 1960, tra camion e autostrade, viene ospitato in un locale dove, compreso di essere scivolato avanti nel tempo, scopre in una enciclopedia moderna il nome del figlio, destinato a diventare un dottore benefattore dell’umanità. Capisce così di dover tornare oltre la duna, al suo tempo, con i farmaci necessari, e di poter convincere i coloni a proseguire verso la California, non più sogno perduto. Puntata emblematica che evidenzia la
UFO(1971)
forza della speranza e l’esigenza di credere fino alla fine nei sogni, spesso destinati a concretizzarsi.In “La via del ritorno” (“The Passersby”, diretto da Elliott Silverstein, 1961), un soldato confederato (James Gregory), al termine della guerra civile americana, si ferma alla casa di Lavinia Godwin (Joanna Linville), per riposare. Dalla donna apprende che anche suo marito era un ufficiale sudista, dato ormai per disperso in battaglia, e tanto è il suo stupore quando lo rivede sulla soglia assieme a molti altri soldati in marcia. L’uomo però le rivela che in realtà la fila di confederati è composta da fantasmi, e che tutti, compresa lei, sono morti nel conflitto. Di fronte alla sua incredulità, il marito prosegue nella via, promettendole di attenderla più avanti. Sarà il fantasma di Abramo Lincoln (Austin Green), ultima vittima della guerra, a convincere la donna, raggiungendola a chiusura della fila di anime. Episodio dolcemente malinconico-Sfumature horror nell’episodio “La tomba” (“The Grave”, diretto da Montgomery Pittman, 1961), in cui il bounty-killer Conny Miller (Lee Marvin), da anni sulle tracce del criminale Pinto Sykes, scopre che questi è stato ucciso in un agguato in strada e sepolto nel cimitero, dopo aver minacciato di tornare in vita se solo il suo inseguitore, Miller, si fosse avvicinato alla sua tomba. Istigato dai cittadini a visitare la tomba, Miller si risolve ad andare, dichiarando che il suo coltello infilato nel suolo lì accanto sarebbe stato prova del suo coraggio. Il giorno dopo gli uomini vanno al cimitero, dove trovano Miller morto sulla lapide di Sykes, apparentemente colpito da infarto, il suo coltello infilato attraverso lo spolverino. La sorella di Sykes deride le ipotesi formulate dagli uomini, ben
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sapendo che la verità è un’altra… Puntata di atmosfera, in cui nulla è fatto vedere ma solo alluso, nella miglior tradizione di un efficace “american gothic” alla Ambrose Bierce. Ancora un’ambientazione da guerra civile americana nell’episodio “La valle del silenzio” (“Still Valley”, diretto da James Sheldon, 1961). Il sergente confederato Joseph Paradine (Gary Merrill) scopre un’intera comunità di nordisti come pietrificata nel tempo e un sedicente stregone moribondo, Teague (Vaughn Taylor), che gli rivela di aver gettato un incantesimo sul nemico, paralizzandolo. Prima di morire lascia il libro di incantesimi a Paradine, che può così mettere fine alla guerra. Dapprima non creduto dai superiori, ilsergente, dopo la conferma che la sua storia è vera, si rende conto che per rendere efficace la magia deve rinnegare Dio e farsi discepolo di Satana. Questo è troppo per lui, così getta alle fiamme il libro e il giorno dopo riceve ordine di marciare su Gettysburg. Un altro racconto d’impronta bierciana, molto ben realizzato. Siamo invece dalle parti della commedia brillante in “La resa dei conti con Rance McGrew” (“Showdown with Rance McGrew”, diretta da Christian Nyby, 1961), in cui una capricciosa star del cinema western, Rance McGrew (Larry Blyden) fa il bello e il cattivo tempo sul set, stornando per altro la realtà dei fatti storici. Deve così intervenire dall’aldilà Jesse James in persona (Arch Johnson) per rimettere in carreggiata il pavido attorucolo e insegnargli come le cose davvero si svolgevano ai suoi tempi. Sfidato a duello, il disperato Rance prega Jesse di non ucciderlo, in cambio di qualsiasi cosa. Quando ritorna in sé sul set, Rance vede che il suo agente è in realtà Jesse James, in foggia moderna, che si assicura che gli attori che interpretano i fuorilegge facciano il loro dovere, scaraventando come prima cosa la povera star dalla finestra del saloon… Si torna ancora una volta alle aporie temporali in “Il Settimo è fatto di fantasmi” (“The 7th is
Made Up of Phantoms” diretto da Alan Crosland jr. 1963): l’equipaggio di un carro armato in esercitazione vicino a Little Big Horn, rimasto isolato, scopre indizi inquietanti di un loro ritorno indietro nel tempo, proprio alla vigilia del tragico scontro che vide la fine del Settimo Cavalleggeri del generale Custer, distrutto dagli indiani. I tre militari, lasciato il mezzo corazzato, s’inoltrano a piedi sul luogo della battaglia, armati solo di fucili, per poi scomparire per sempre. I compagni rinvengono il tank abbandonato e più tardi il loro comandante scopre quasi per caso i nomi dei tre dispersi sulla base del monumento dedicato ai caduti del Little Big Horn. Sempre affascinante il tema dei viaggi nel tempo, anche e soprattutto in salsa western. Per finire, “Il signor Garrity e le tombe” (“Mr. Garrity and the Graves”, diretto da Ted Post, 1964): il solito mercante truffaldino (John Dehner) giunge a Happiness, Arizona, spacciando agli ignari cittadini un fraudolento rito in grado di riportare in vita i morti. Una falsa resurrezione di un cane convince tutti ma poiché la maggior parte dei trapassati avevano lasciato conti in sospeso coi vivi che li hanno sepolti, la comunità decide di pagare Garrity per non risvegliare i defunti. Il buontempone se ne va col suo gruzzolo, senza sapere che alle sue spalle i morti si sono davvero risvegliati dal loro sonno eterno, commentando che certi trafficoni non dovrebbero sottovalutare le loro vere capacità… Fantasia horror colta in un contesto brillante, impreziosita dalla sua ambientazione western.Ma più che “Ai confini della realtà” il vero serial televisivo fanta-western per eccellenza sarà “Selvaggio West” (“The Wild, Wild West”, 104 episodi, 1965-1969), creato da Michael Garrison per l’americana CBS nel tentativo di proporre un riuscitissimo James Bond a cavallo, quindi con una innovativa fusione di generi (fantascienza, western, spy-story, fantasy, horror ed ironia)
che per molti versi sembra anticipare la moda dello Steampunk. La serie è ambientata prima del 1880, durante la presidenza di Ulysses S. Grant, e racconta le mirabolanti avventure di due agenti segreti al suo servizio, l’affasciante pistolero James West (Robert Conrad), sempre pronto all’azione, e l’ingegnoso scienziato Artemus Gordon (Ross Martin), esperto di travestimenti, che a bordo di un avveniristico treno-laboratorio dotato di sofisticati gadget tecnologici percorrono gli USA con lo scopo di neutralizzare ogni minaccia rivolta alla sicurezza della nazione. E i pericoli sono tanti: scienziati pazzi, invenzioni terrificanti, piani di conquista del mondo, congegni di matrice ben più che fantascientifica (cyborg, marionette viventi, macchine per produrre catastrofi, terremoti e inondazioni, droghe allucinogene, armature potenziate, carri armati, cannoni in grado di annientare città con un colpo solo, portali spazio-tempo, siero dell’invisibilità...) Arci nemico per nove volte riproposto nella serie è il nano megalomane Miguelito Quixote Loveless (Michael Dunn), sempre battuto ma mai arrestato, anche se ad essere vere protagoniste dei singoli episodi sono le fantasiose invenzioni dei cattivi per sovvertire il mondo e gli altrettanto incredibili gadget dei due agenti segreti (congegni esplosivi, pistole che fuoriescono da ogni dove, pugnali eiettabili, cavi multiuso). Nonostante la gran varietà di trovate fantastiche, che potrebbero indurre a pensare ad uno spettacolo per adolescenti, la serie mantiene un livello di drammaticità non indifferente (soprattutto la prima stagione, girata in un contrastato bianco e nero) e i momenti ironici sono limitati alle battute dei due protagonisti. Col tempo comunque questa tendenza si stempererà alquanto a favore anche di una violenza visiva più edulcorata. Caratteristica di ogni singola puntata la sigla animata d’apertura, un freeze-frame nei momenti culminanti e la parola “Night” sempre
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presente nei titoli originali degli episodi. Ad inizio degli anni Ottanta furono realizzati, sempre coi medesimi protagonisti, due film per la TV, “The Wild Wild West Revisited” e “More Wild Wild West”, entrambi di Burt Kennedy e decisamente più propensi a fare una parodia della serie originale. Del 1999 è invece il fallimentare remake “Wild, Wild West” di Barry Sonnenfeld, con Will Smith nel ruolo di Jim West e Kevin Kline in quello di Artie Gordon.In conclusione di questa veloce panoramica sul western fantastico citiamo la sfortunata serie TV “I fuorilegge” (“Outlaws”, 12 episodi, 1986-1987), prodotta da Nicholas Corea per la CBS. Nata come produzione ad alto budget ed aspettative, dopo il pilota di un certo successo finì per dimezzare gli ascolti, giungendo presto alla cancellazione. Un peccato, perché si sarebbero potute giocare carte interessanti. La storia parte a Houston, 1899, e vede lo sceriffo Jonathan Grail (Rod Taylor), ex bandito, mettersi alla caccia dei vecchi compari della Banda Pike, composta da Harland Pike (William Lucking), Billy Pike (Patrick Houser), Wolfson Lucas (Charles Napier) e Isaiah McAdams (Richard Roundtree). Al momento dell’arresto, una deformazione spazio temporale li proietta tutti nel Texas del 1986. Impossibilitati a tornare 86 anni indietro nel tempo, i cinque devono fare fronte comune e confrontarsi col nuovo mondo e la sua tecnologia. Superato con difficoltà il primo attimo di sbandamento, con l’aiuto della poliziotta Maggie Randall (Cristina Belford), fondano un’agenzia investigativa che si metterà contro al crimine, allo spaccio di droga, alle bande rivali, sempre dalla parte dei più deboli… e rigorosamente in abiti e armi cowboystyle!Purtroppo questa volta la miscela western, fantascienza e detective story fa cilecca e per la serie non c’è possibilità di salvezza.
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a legge della serialità americana è dura e imparziale. A volte non basta che il prodotto sia fresco, nuovo ed elettrizzante per garantirgli vita lunga all’interno del p a l i n s e s t o. Gli indici d’ascolto e i ratings sono le caratteristiche fondamentali che interessano per davvero tutti i networks, e così la maggior parte delle volte lo show televisivo più bello ed intenso viene tristemente cancellato senza un reale motivo, mentre altri, che magari hanno avuto più fortuna in termini di ascolto, continuano la loro corsa. La rubrica “Sci-Fi Interrputs” cerca quindi, nel suo piccolo, di mantenere vivo il ricordo quelle produzioni televisive che, cancellate senza ritegno, si sono perse nel calderone della serialità. Dopo “V” e “The Sarah Connor Chronicles”, il nostro interesse si è rivolto su “Dollhouse”, una serie di fantascienza
unica nel suo genere che, nonostante fin dall’inizio abbia potuto contare su una vicenda brillante ed un cast più che convincente, non ha mai veramente attecchito sul pubblico, anche se solo in un secondo tempo tutti si sono resi conto del suo grande potenziale. E’ stata la serie che ha segnato il ritorno in TV del poliedrico sceneggiatore Joss Whedon. Dopo il successo di “Buffy – the Vampire Slayers”, del suo spin-off “Angel”, dell’incompreso “Firefly”, molto tempo prima che il regista sbarcasse al cinema con “The Avengers” e prendesse le redini di “Agents of SHIELD” (il relativo spin-off televisivo del franchise della Marvel), fu la FOX America a commissionare al buon Joss la realizzazione di una serie televisiva. Scottato però dal trattamento che aveva ricevuto precedentemente con “Firefly”, il signor Whedon non accettò subito l’incarico di produrre una serie per il canale di Murdoch. Il network, infatti, è tristemente famoso nel non lasciare campo libero alla creatività dei suoi “collaboratori”: e ben lo sapeva lo stesso Joss Whedon, che a causa di una scelleratezza da parte della FOX, vide la cancellazione di “Firefly”. Purtroppo “Dollhouse” non ha avuto un trattamento migliore. Senza essere supportato da una buona campagna pubblicitaria, la serie fu trasmessa direttamente il venerdì sera – il famigerato dead slot della serialità – e lo stesso pilot è stato girato più volte perché, sempre secondo la FOX, non era adatto ai suoi standard. L’accoglienza è stata molto tiepida e nonostante la critica abbia sempre elogiato “Dol-
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lhouse”, gli ascolti calavano a picco, puntata dopo puntata. La prima stagione originariamente era composta da 13 episodi, di cui però solo 12 vennero trasmessi: il tredicesimo, che raccontava una storia bizzarra ma di grande impatto, fu reso disponibile sul sito della FOX e ad agosto dello stesso anno arrivò in TV. L’episodio in sè era molto controverso e fu girato per volere di Joss perché rappresentava la nuova direzione che avrebbe intrapreso la serie. Per il rotto della cuffia “Dollhouse” fu rinnovata per una seconda stagione, e proprio nel momento in cui la vicenda pareva aver ingranato, intrecciando colpi di scena e tra-
me dall’ampio respiro, arrivò la mannaia della cancellazione. Il finale però fu abbastanza esaustivo, perché “Epitaffio 2” (seconda parte del criptico season finale della Stagione Uno) riuscì a chiudere il cerchio degli eventi in maniera inaspettata. Certo la vicenda poteva essere approfondita ulteriormente, ma i fan si ritennero soddisfati del lavoro svolto da Whedon. “Dollhouse” quindi fu trasmesso dal febbraio del 2009 fino al gennaio del 2010, per un totale di 26 episodi ripartiti in 2 stagioni. Nel primo ciclo di puntate gli episodi erano lunghi 55 minuti mentre solo successivamente si arrivò ai canonici 42; la serie è arrivata anche in Italia, su Sky, dove a poca distanza dall’America sono state trasmesse tutte e due le stagioni. Su CIELO invece, dove è stata replicata, la trasmissione è stata molto più ballerina. Protagonista indiscussa del format è Eliza Dushku, che tornava in TV dopo la sua apparizione in “Buffy”, svariati film horror ed il flop di “Tru Calling” (altra serie FOX), nel ruolo di Echo, una giovane donna appartenente ad un gruppo di persone chiamate “attivi” o “doll”, tenuto in un ambiente segreto e controllato dalla misteriosa organizzazione “Dollhouse”. Le “doll” sono tutti giovani di ambo i sessi, fisicamente attraenti e atletici, che si sono
sottoposti ad un procedimento di totale cancellazione dei ricordi delle loro pregresse esperienze di vita. In conseguenza di tale processo, la loro personalità è neutra, infantile, ingenua e quasi del tutto assente. La macchina avveniristica che ha consentito questo annullamento della memoria degli “attivi” permette anche alla Dollhouse di imprimere a ciascuno di essi nuove e distinte personalità, in modo da corrispondere alle più diverse esigenze richieste dai clienti della fantomatica società. Su questo incipit, dunque, si sviluppa la vicenda di Echo, una tra le “doll” che pian piano riacquista la sua personalità. La signora Dewitt (Olivia Williams), direttrice dell’organizzazione, cerca di mantenere tutto sotto controllo, aiutata dal giovane e geniale Topher Brink (Fran Kranz), proprio mentre la Dollhouse viene messa sotto l’occhio indagatore dell’FBI. L’agente federale Paul Ballard (Tahmoh Penikett) usa tutte le sue forze per smascherate l’organizzazione tra colpi di scena, patti scellerati, rovesci di fortuna, “doll” ribelli e chi più ne più ne metta. Sta a voi, cari lettori, addentrarvi nel mondo di “Dollohuse”: sicuramente rimarrete folgorati da questa serie televisiva di rara bellezza.
Carlo Lanna
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Interview#
Space:1999 The Passenger di Michele Tetro
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Intervista a David Connellan
oche ore dopo che una gigantesca esplosione nucleare sulla faccia nascosta della Luna ha agito come immane razzo vettore, scagliando il satellite fuori dall’orbita terrestre e condannando di fatto i trecento sopravvissuti della Base Lunare Alpha ad una incerta esistenza tra i meandri del cosmo sconosciuto, in cerca di un nuovo pianeta dove ricominciare a vivere, Jack Crawford, astronauta pilota a bordo della sua Aquila, è in volo di ricognizione sulla Zona Due, il deposito di scorie atomiche ancora in preda ad una terrificante combustione interna. Mentre sorvola l’area fiammeggiante, qualcosa… qualcuno… un’entità misteriosa… tocca la mente di Jack, gli rivela un futuro di malinconica speranza, il suo futuro e quello dei suoi cari, alcuni dei quali non ancora nati, un futuro foriero di meraviglie, su un pianeta lontano… un futuro, però, che sembra non poter appartenere a lui, poiché l’Aquila, colpita da un detrito orbitale, sta precipitando senza controllo sulla superficie lunare… Sì, avrete riconosciuto tutti lo scenario principale: stiamo parlando di “Spazio: 1999”, il celebre serial inglese di fantascienza di Gerry e Sylvia Anderson che nel 19741976 ha permesso l’avvento futuro di produzioni spettacolari come “Guerre stellari”, grazie al suo rivoluzionario concept visivo e ai suoi effetti speciali allora all’avanguardia, debitori delle tecniche messe a punto per “2001: odissea nello spazio”. Ma, questo episodio in particolare, intitolato “The Passenger”… nessuno può averne ancora sentito parlare, perché non appartiene ai 48 telefilm che compongono la prima e seconda stagione del serial, bensì ad una produzione indipendente realizzata oggi dal videomaker canadese David Connellan, di cui è stato possibile vedere in anteprima
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assoluta la versione non ancora completata nel montaggio. Mentre dappertutto, negli ambienti deputati, si discute di un possibile ritorno di “Spazio 1999” e di fantasiosi quanto poco allettanti remake della serie originale, David Connellan non ha perso tempo, e all’insegna del motto “pensiero e azione”, ha prodotto, diretto e interpretato il vero 25esimo episodio di “Spazio: 1999”, ben coscio di come deve essere concepito e realizzato un episodio di “Spazio: 1999”. Va bene, scateniamo la polemica: “Spazio 1999” è tale solo in rapporto ai primi 24 episodi originali, la prima stagione. La seconda stagione è cosa altra, non importa se migliore o peggiore. Semplicemente, non è più, nella sua essenza e nel suo spirito, il vero “Spazio: 1999”. Dato di fatto. Il vero fan di questa serie, a differenza di altre, tende a non volere “una nuova versione” della stessa, un remake moderno, un’attualizzazione rapportata alle nuove tecnologie o ai nuovi tempi. No, il fan di “Spazio: 1999” vuole “Spazio: 1999”, quello “Spazio: 1999” rimasto cristallizzato nel limbo della memoria. Gli stessi stilemi,
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gli stessi personaggi, le stesse scenografie, la stessa musica, la stessa atmosfera, la stessa filosofia… quello che era l’essenza di uno dei più grandi telefilm di fantascienza mai realizzati, già vanificata dai successivi 24 episodi co-prodotti con gli USA. Sappiamo tutti che è impossibile ottenere una cosa del genere… e invece David Connellan dimostra l’esatto contrario. Lo dimostra con oltre un anno di lavoro, devozione e fedeltà al canone originale, che non vuol dire mancanza di propria fantasia o estro, tutt’altro. Qui si parla di un vero e proprio atto di fede e di amore. Anche nell’approssimazione, forse voluta, degli effetti speciali, questo corto è straordinario nel suo essere fedele alla matrice peculiare di “Spazio: 1999”, che vede un uomo affrontare il suo ineluttabile destino, confrontandosi con il mistero dell’ignoto cosmico, una forza aliena che agisce secondo misteriosi fini, una malinconia di fondo, una speranza luminosa per il futuro. Non era forse questo il vero cuore di “Spazio 1999”? Bisogna quindi ringraziare David Connellan, per averci riportato una volta di più sulla Base Lunare Alpha, e per aver concesso a “Sci-FI Gate” quest’intervista esclusiva.
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Chi è David Connellan? Nato a Halifax, Nova Scotia, Canada, nel 1968, David Connellan è scrittore, attore e regista di produzioni televisive e teatrali. Ha fondato il gruppo teatrale indipendente “Le Theatre de Boheme”, che ha presentato “No Exit “ di Jean Paul Sartre al Fringe Festival di Praga nel 2006 e realizzato uno spettacolo multimediale ispirato a “1984” di George Orwell. Per il cinema e la televisione è stato tra gli interpreti del film “Eternal Kiss” (2010) e del serial TV “To Catch a Killer” dello Smithsonian Channels. Oltre agli impegni teatrali e televisivi, lavora anche come carpentiere. E’ sposato con Natasha e ha tre figli.
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Interview# Bene, David, cosa è stato per te “Spazio: 1999?” “Sono stato attirato alla fantascienza proprio grazie a questo telefilm, in modo tale da assorbire tutta la mia attenzione. Lo vidi a otto-nove anni e mi mi affascinò subito. Altre serie come “Star Trek” o “Doctor Who” non mi interessavano, le trovavo noiose… ma “Spazio: 1999”, be’, adoravo come mi faceva sentire guardandolo, come se avesse una marcia in più rispetto al solito spettacolo televisivo per adolescenti. Una volta cresciuto vi ho visto significati più profondi di quelli che percepivo da bambino. Quella serie è parte della mia infanzia, è divertimento escapista. La trovo anche oggi molto intelligente e mi fa ancora chiedere “cosa accadrà” quando mi siedo e vedo i miei episodi preferiti: è qualcosa che condivido con i miei figli, che la amano anche loro. Penso comunque che sia un prodotto di SF poco noto, a differenza di “Guerre stellari” o “Star Trek”, che hanno migliaia di fan e progetti di film amatoriali in attivo, io volevo realizzare qualcosa di differente che sarebbe stato al di fuori della tipica produzione amatoriale, proprio come “Spazio: 1999” era lontano dai soliti canoni. Amavo il suo universo e desideravo farne parte (credo di esserci riuscito).”.
Hai deciso di essere fedele alla prima stagione della serie, per questo tuo cortometraggio… “Perchè ho scelto di essere fedele alla prima stagione? L’ho preferita fin da piccolo, quando seduto davanti al canale CBC la guardavo nel weekend. Non mi piacevano tutti quei ridicoli mostri tipici della Seconda Stagione, tutt’altro che spaventosi, e la goffaggine della serie. Era dozzinale e raffazzonata. Neppure mi piaceva il personaggio di Maya, non per l’attrice Catherine Schell o per la sua interpretazione, ma per il fatto che non c’era niente di quel che succedeva nella serie che lei non potesse risolvere magicamente, trasformandosi in un mostro o in qualche tipo di animale. Mi lasciava freddo anche da bambino, trovavo le storie povere e non apprezzavo l’andamento generale. I suoi significati più profondi erano stati eliminati a favore di tentativi di humor poco convincenti, che rendevano ancor più ovvia la natura di deus ex machina di Maya. Così ho voluto fare un film che onorasse gli elementi migliori della serie che amavo, la prima. E che amo da più di trent’anni”.
Raccontaci qualcosa sull’esperienza di girare un cortometraggio ispirato a “Spazio: 1999”. 40
“Be’, “The Passenger” avrebbe dovuto essere originariamente un film molto più corto. Siamo passati attraverso tre stadi di sviluppo. All’inizio dovevano essere 3 o 4 minuti con effetti riguardanti i modellini, con qualche inquadratura di piloti inserite dentro. Preparate le sequenze coi modelli, il non avere una storia a disposizione mi ha fatto vedere il risultato un po’ scialbo, così in una seconda stesura ho inserito il personaggio di Jack Crawford, o meglio ciò che avrebbe potuto provare poco prima dello schianto della sua Aquila. Una terza stesura finale aveva portato la storia a 34 minuti di durata ed è quella su cui si basa il film che hai visto. Un lavoro che ci ha preso un anno e mezzo. E doveva essere un progetto rilassante e divertente, da realizzarsi alla spicciolata, avendo io una vita familiare molto piena e budget limitati, che mi permettevano di dedicarmici solo nei momenti liberi! La cosa migliore del lavorare a questo film è stata aver
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avuto la possibilità di interagire con persone molto talentuose, come Sarah-Jean Begin, che interpreta Susan Crawford, Ed Beals, che mi ha assistito nelle sequenze ad effetti, e Doug MacAulay, che ha co-diretto con me il film”.
Che difficoltà hai trovato nella sua realizzazione? “La più grande difficoltà nel fare un film così è avere a disposizione ciò che è assolutamente necessario, come i set, i modellini, i costumi. E tentare di ottenerli con un budget risicato. Ho dovuto fare del mio meglio con le limitate risorse a disposizione. La mia adorabile compagna Natasha ha preparato i costumi del film, facendo un gran lavoro per renderli più fedeli possible agli originali. Senza i costumi il film sarebbe stato molto più povero. Creare i modellini degli edifici è stato divertente ma far volare un’astronave giocattolo attorno ad un filo da pesca davanti
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Interview#
Senza i costumi il film sarebbe stato molto più povero. Creare i modellini degli edifici è stato divertente ma far volare un’astronave giocattolo attorno ad un filo da pesca davanti alla telecamera, nel tentative di rendere il più reale possibile l’azione, è stata una vera sfida. I decolli erano facili… gli atterraggi, invece, cento volte più complicati da rendere al meglio. Per quanto concerne il trovare gli ambienti cinematografici… diciamo che sono stato molto creativo nell’utilizzare spazi che erano vuoti”.
Sei anche attore principale del film, oltre che regista e sceneggiatore… 42
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“Questo film è stato scritto, interpretato e co-diretto da me, senza contare che l’ho anche montato, ho costruito gli oggetti di scena e preparato i modelllini. Ho anche provveduto al vettovagliamento della troupe! Quando intraprendi un progetto senza aver soldi, sei fortunato sei riesci trovare tutto l’aiuto che puoi ottenere. “The Passenger” ha un cast di 12 attori visibili sullo schermo, 9 voci fuoricampo e 10 assistenti di produzione che hanno curato ogni cosa, dall’illuminazione al trucco ai costumi”.
Quale sarà il futuro di questo film?
“Manderò il cortometraggio a varie convention di fantascienza in giro per il mondo. Sto anche
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preparando una versione del DVD che potrà essere regolarmente ordinato e conterrà molti extra, sarà inoltre sottotitolato in italiano e francese”.
Ora a che cosa ti dedicherai? “Dopo aver concluso i lavori per “The Passenger” passerò ad un film incentrato sui vampiri intitolato “The Other Side” e contemporaneamente ad una web-series di fantascienza chiamata “Home Coming”, per la quale questo cortometraggio è stato banco di prova”. L’appuntamento per tutti gli appassionati di “Spazio: 1999” che volessero assistere in anteprima alla proiezione di “The Passenger” è dal 12 al 15 settembre prossimo, quando il cortometraggio sarà presentato alla grande convention nazionale “Alpha: 2014” di Peterborough, UK.
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Narrativa# A CURA DI MICHELE AUGELLO
IL DIFFICILE RITORNO DEL SIGNOR CARMODY DIMENSION OF MIRACLES (1968)
DI ROBERT SHECKLEY
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l signor Carmody, un tranquillo impiegato terrestre, tornato a casa dopo una normale giornata di lavoro, mentre si rilassa sul divano nel suo salotto, di botto si trova davanti un presentatore, un Gerry Scotti intergalattico, che gli annuncia che lui, tra miliardi di esseri viventi nell’universo, è stato sorteggiato come unico vincitore di una lotteria intergalattica e quindi invitato a ritirare il premio. Chiunque di noi si fosse trovato in simile frangente come minimo si sarebbe spaventato a morte, o quantomeno mostrato della genuina sorpresa, Invece il nostro ineffabile signor Carmody, dopo un momento di legittimo stupore appena accennato, accetta di buon grado la situazione e di ritirare il suo premio: di botto si trova proiettato in folle universo, assurdo e strampalato ben oltre i limiti dell’immaginabile. Il premio in questione, poi, è uno sfuggente essere polimorfo e in grado di parlare (in modo saccente), di cui è impossibile risalire alla reale natura. Cominciano così le disavventure del signor Carmody, che altro non vuole che tornare al suo mondo, cosa che gli viene impedita da un alieno, suo omonimo, decisamente seccato del fatto di non essere stato lui a ritirare il premio che gli spettava di diritto (anche fuori dalla Terra il rischio di confusione burocratica è alto) e quindi ben motivato a scagliare il povero terrestre in un pazzesco universo ostile, costringendolo a girovagare senza soluzione di continuità per mondi sconosciuti in cerca di qualcuno o qualcosa che possa aiutarlo a ricongiungersi col pianeta natale. Lo spazio in cui il signor Carmody viene sballottato è fuori da ogni schema e logica, almeno dal punto di vista terrestre. Nel suo rutilante viaggio incontrerà architetti celesti propensi a realizzare pianeti a bassi costi e con materiali di scarto (guarda caso la Terra è tra questi) e creatori di mondi in crisi esistenziale e bisognosi di giustificare la propria esistenza, tutta una serie di Terre parallele una più pericolosa dell’altra, una razza di paciosi dinosauri intelligenti e una città automatizzata così servizievole da diventare angosciosamente insopportabile. Ma, continuando a saltabeccare da
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un modo all’altro nella speranza di imbroccare quello giusto, aiutato solo dal ciarliero premio mutaforma, Carmody deve anche affrontare un misterioso predatore che lo insegue per divorarlo, sua nemesi personale. Inutile dire che anche questo romanzo di Sheckley rispecchia in toto il suo spirito paradossale, con un’esuberanza di personaggi demenziali e situazioni folli. Un’opera molto divertente, umoristica al punto giusto, forse poco indicata agli amanti dell’hard SF ma indubbiamente spumeggiante e briosa, per passare le canoniche due o tre ore in completo relax, senza elucubrazioni mentali di sorta. Ci si potrebbe spingere a dire che l’universo descritto in quest’opera possa essere stato d’ispirazione per un altro, famoso scrittore, più recente, ma manteniamo in sospeso quest’ipotesi, lasciando al lettore il piacere di verificarla. Gustiamoci invece al meglio questa spassosa sarabanda di situazioni incredibili, che riverberano anche un apprezzabile spunto filosofico, riassunto magistralmente in un dialogo tra il signor Carmody e il suo prezioso premio. -San Carmody!- disse il Premio con profondo sarcasmo -Soltanto un capello ti separa dalla morte, ora! Che cosa vuoi fare del tuo misero momento? -Viverlo - rispose Carmody - I momenti sono fatti per questo.
Attraverso le sue rinascite, sempre in luoghi diversi e a contatto con gli abitanti del pianeta, scacchiere del gioco, con costumi e usanze diverse, il protagonista terrestre si muove con sempre più sicurezza e padronanza di sè, fino a… Un romanzo, questo di Massimo Mongai, dove traspaiono a tinte fortissime le influenze dei racconti d’avventura di Philip Josè Farmer, nello specifico “Il ciclo del fiume”, con le continue rinascite del protagonista in epoche diverse del pianeta e il susseguirsi di avventure, ma in cui traspaiono anche le influenze di un altro grande della fantascienza, Jack Vance, con il suo “L’odissea di Glystra” e le descrizioni delle innumerevoli usanze di popoli diversissimi tra di loro: due importanti punti di riferimento per un romanzo che Mongai sa giostrare al meglio. Piacevolissima lettura quindi, uno stile di scrittura fluido che si gusta che è un vero piacere. Cosa più importante, grazie anche alle influenze citate che lo stesso Mongai non nega, anzi, se ne fa giustamente vanto, un’opera avventurosa che possiede il giusto “Sense of Wonder”, come dovrebbe avere ogni buon romanzo di fantascienza: un racconto che stimola la fantasia in maniera esponenziale, consigliabile a chiunque non lo avesse ancora letto.
Buona lettura.
A CURA DI MICHELE AUGELLO
IL GIOCO DEGLI IMMORTALI DI MASSIMO MONGAI
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oma, un incidente stradale, un motociclista cade, perde il casco, sbatte la testa per terra e… muore? No. Si risveglia in una stanza, disteso su un letto anatomico, dove una voce, un computer, inizia a porre delle domande e a stimolare in lui delle richieste. Inizia così il romanzo “Il gioco degli immortali”, in cui un terrestre ha una seconda possibilità, si risveglia in un ambiente alieno, a contatto con un’entità, che esaudisce ogni sua richiesta, poi viene catapultato su un pianeta, a contatto con degli essere primitivi, ma l’inesperienza e la sorpresa lo riportano a morire, risvegliandosi poi ancora una volta nella stessa stanza. E così, piano piano cresce in lui la consapevolezza di trovarsi al centro di un gioco, di una sorta di partita, vita dopo vita. Ma chi è il master? Chi muove le pedine? C’è solo un modo per saperlo: sviluppare una nuova civiltà tecnologica in questo mondo, artificiale anch’esso probabilmente, e riuscire così a scovare, stanare, chi sono gli immortali che lo usano come pedina di un gioco più grande di lui, e riacquistare quindi la sua libertà. maggio 2014 sci-fi gate
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TRANSFORMERS 4: L’ERA DELL’ESTINZIONE
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X-MEN: GIORNI DI UN FUTURO PASSATO
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EDGE OF TOMORROW
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APES REVOLUTION IL PIANETA DELLE SCIMMIE
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TRANSCENDENCE
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