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incolo inderogabile di una rivista on-line senza scopo di lucro è la non periodicità. Questa volta abbiamo preso però un po' troppo alla lettera la regola visto che il nuovo numero giunge ben 7 mesi dopo l'uscita del precedente. Imprevisti di Fantozziana memoria ci hanno impedito di tornare on-line rispetto ai tempi prefissati. Nonostante ciò l'assenza dalla rete ci ha dato modo di apprezzare una nuova rivista sfogliabile direttamente sul web, affidata all'esperta penna di Sandro Pergameno e del suo team e alla splendida arte grafica di Tiziano Cremonini. Cronache di un sole lontano, questo il suo titolo, si occupa prevalentemente di saggistica Sci-Fi e lo fa con quell'eleganza e competenza che spesso sono mancate nei magazine cartacei. Vogliamo pensare che Sci-Fi Gate sia stato un modello ispiratore per la neonata rivista che ha raccolto consensi e recensioni nei blog di genere nell'immediato. Avremmo gradito eguale considerazione nei nostri confronti da chi gestisce le community di fantascienza, ma meglio non addentrarci in discorsi che potrebbero rendere questo editoriale più lungo dell'approfondito saggio sulla Fantascienza Western di Michele Tetro, di cui nel nuovo numero vi proponiamo la seconda parte. Spazio dedicato ai Robot manga curato da Davide Tarò di cui vi presentiamo i suoi ultimi lavori. Marzo è poi il mese di Capitan America il cui secondo film esce nei cinema italiani il 26. Un occhio di riguardo anche alla Sci-Fi TV, con il Doctor Who e la nuovissima Helix, e il flop Sarah Connor Chronicles. Sperando che la nuvola di Fantozzi non ci segua come un'ombra, vi auguriamo buona lettura e vi diamo appuntamento al più presto con il 4° numero di Sci-Fi gate. Massimiliano H/-25

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Sci-fi gate Prodotto dall'X-Files Blue Book/ X-Files Italian Fan Club.

Idea e sviluppo Massimiliano H7-25, Simone Ferraro

Graphic designer Simone Ferraro

Collaboratori Michele Tetro, Michele Augello, Lucius Etruscus, Carlo Lanna, Davide Tarò, Fabio Terenziani, Marco Vittorini, Elena Romanello, Sci-Fi Gate è un magazine senza scopo di lucro, sfogliabile on-line. Non possiede carattere della periodicità. Le foto sono riprese da Google. Chi lamenti la violazione dei diritti di immagine può chiederne la rimozione scrivendo alla mail della redazione: redazionescifigate@yahoo.it


“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.”

Roy Batty

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The Real Historians of Science La BBC America regalerà agli appassionati di Sci-Fi, a partire dal 19 aprile, uno speciale sulla storia della Fantascienza in 4 parti. The Real Story of Science Fiction, racconterà la nascita e lo sviluppo di uno dei più amati rami della narrativa. Il primo episodio tratterà di Robot e a parlarcene non poteva che essere Rutger Hauer, colui che diede il volto all'indimenticabile replicante Roy Batty in Blade Runner. Il tema del secondo appuntamento sarà invece lo Spazio. Sarà Nichelle Nichols, tenente Uhura in Star Trek, a narrarci i viaggi intergalattici. Il 3 maggio David Tennant (Doctor Who) ci racconterà le emozioni di un contatto alieno, ma gli extraterrestri saranno anche l'oggetto di discussione dell'intervento di Chris Carter (X-Files). L'ultima puntata sarà dedicata invece al tempo e ai suoi viaggi e paradossi e in proposito numerose le prospettive offerte dagli intervistati: da Steven Moffat a Tennant, da Karen Gillan a Neil Gaiman.

TERMINATOR 5 Terminator non poteva non finire nel gioco del Reboot. E così il 5° capitolo della saga, Terminator: genesis avrà volti nuovi, sebbene quello più familiare di Schwarzy tornerà a mostrarsi per la gioia dei fans. Kyle Reese è interpretato da Jai Courtney visto in Spartacus. (uscita 2015)

AIR Norman Reedus l'apprezzato interprete di Daryl (The Walking Dead) è nel cast di Air, film post apocalittico ideato da Krickman, la mente creativa della serie zombie dell'AMC. La Terra è un posto invivibile e per garantire la sopravvivenza della specie umana, due uomini si prendono cura dei superstiti in stato criogenico. Nel cast anche Djimon Hounsou (Amistad).

STAR WARS 7 Nuovo poster del 4° capitolo di Transformers (16 luglio 2014)

Sono 4 gli attori in corsa per il ruolo di un giovane apprendista Jedi in Star Wars 7, tra cui Plemmons (Breaking Bad). SCI-FI GATE 8


Pergameno è senza dubbio uno dei dieci editor che hanno fatto la storia della fantascienza in Italia. È stato direttore della (mitica) rivista Fantascienza Ciscato, delle collane dell'Editrice Nord e poi della Fanucci, e da qualche tempo cura il blog Cronache di un sole lontano, una delle fonti più interessanti per chi ama la fantascienza e in particolare la fantascienza moderna. Ora la passione per questo genere lo ha spinto, insieme ad altri amici, a fare un passo avanti e trasformare l'esperienza del blog in una rivista vera e propria, distribuita gratuitamente online in pdf. Il nome è lo stesso, Cronache di un sole lontano; la grafica elegante e le splendide illustrazioni sono di Tiziano Cremonini, artista di lungo corso autore tra l'altro di molte copertine per l'Editrice Nord. Tra i collaboratori i nimi di Flavio Alunni, Nico Gallo, Massimo Luciani, Umberto Rossi, Stefano Sacchini, Arne Saknussem e Marc Welder. La rivista si occupa soprattutto di libri recensendo una dozzina di titoli e presentando vari autori. Ma trova spazio anche qualche recensione cinematografica e un racconto di Alexia Bianchini. In fondo la prima puntata di una graphic novel scritta da Umberto Rossi e disegnata da Cremonini. La rivista è una piacevole sorpresa nel sonnacchioso mondo della fantascienza. Da scaricare su: cronachediunsolelontano.blogspot.it

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i preannuncia un 2014 ricchissimo di proposte fantascientifiche e fantastiche in generale: per stimolare la curiosità, ecco una piccola rassegna. Dopo il Reboot di Robocop giunto nelle sale lo scorso febbraio, a fine marzo toccherà al patriottico Capitan America in “The winter soldier”, i cui eventi riprendono, nel rispetto della continuity cinematografica, dall'attacco alieno di New York ad opera degli alieni nel film The Avengers. Cap America è ormai differente iconograficamente parlando rispetto all'eroe patriottico che ricordiamo nei fumetti: cambiato nell'umore e pure negli abiti. Abbandonati i colori tradizionali della bandiera USA, indossa una tuta più moderna e dai cupi

toni. Al fianco di Vedova Nera e Falcon dovrà fronteggiare un nuovo nemico: the winter soldier. Nel cast anche Robert Redford nei panni di un pezzo grosso dello S.H.I.E.L.D. Ad ottobre inizia anche in Italia la saga di Maze Runner, tratta da quella letteraria di James Dashner. L’esordiente Wes Ball ha diretto il primo episodio del ciclo, Il labirinto (il cui romanzo è edito da Fanucci) con un cast di soli attori giovani. Il futuro post-apocalittico descritto nella storia vede infatti SCI-FI GATE 12


una comunità di ragazzi (a cui è stata cancellata la memoria) vivere in una strana costruzione, che si scopre essere un labirinto: unire le forze per uscirne e per capire cosa ne è stato del mondo è l'unica soluzione. A marzo negli USA esordisce Divergent. Neil Burger (regista di The Illusionist e Limitless) porta su schermo il primo romanzo della saga firmata da Veronica Roth, edito in Italia nel 2012 da DeAgostini. Beatrice Prior (Shailene Woodley), Tris per gli amici e non è un soprannome casuale, si trova a vivere in un mondo futuro in cui deve scegliere a SCI-FI GATE 13


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quale dei cinque gruppi sociali nei quali è divisa l’umanità (a seconda delle facoltà maggiormente sviluppate) appartenere. Tris scopre però di avere ben tre facoltà contemporaneamente, la qual cosa la rende sì eccezionale, ma anche in pericolo di vita, se il suo segreto sarà scoperto. Arriverà a maggio in Italia l’atteso film tratto dal romanzo All You Need Is Kill (2004) di Hiroshi Sakurazaka. Edge of Tomorrow è diretto da Doug Liman, regista di ottimi thriller come The Bourne Identity e

Fair Game, e racconterà del colonnello Bill Cage (Tom Cruise)impegnato in una sanguinosa guerra contro una razza aliena. Già le cose non vanno proprio bene per la razza umana, ma la situazione peggiora quando Cage si sveglia e scopre di essere “intrappolato” temporalmente nello stesso giorno che si ripete SCI-FI GATE 14


continuamente, ritrovandosi quindi a dover combattere sempre la stessa battaglia contro gli alieni. Il 16 luglio arriverà sui nostri schermi Transformers: Age of Extinction, 4° episodio della fortunata saga dei robot alieni mutanti, diretto dal consueto Michael Bay. Lo sceneggiatore Ehren Kruger mette stavolta Cade (Mark Wahlberg) e sua figlia Tessa (Nicola Peltz) a confrontarsi con gli Autobot e i loro eterni rivali Decepticon. SCI-FI GATE 15


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Sempre a luglio sarà la volta di La conquista del pianeta delle scimmie (Dawn of the Planet of the Apes) di Matt Reeves, ennesimo rimaneggiamento del celebre romanzo di Pierre Boulle ma soprattutto sequel de L’alba del pianeta delle scimmie (2011): l’umanità sta morendo per lasciare spazio alle scimmie geneticamente evolute guidate da Cesare, ma gli scontri fra umani e scimpanzé sono ancora violenti. Nel cast anche Gary Oldman. Ad ottobre arriverà anche da noi Guardians of the Galaxy, la

grande produzione diretta e cosceneggiata da James Gunn e tratta dai comics Marvel omonimi, che dal settembre scorso sono arrivati anche nelle fumetterie italiane, grazie a Panini Comics. Nel cast nomi di spicco come Bradley Cooper e Vin Diesel, che però non appariranno di persona, limitandosi a prestare le loro SCI-FI GATE 16


voci ad alcuni degli alieni ingaggiati dal protagonista per difendere l’universo da una pericolosa minaccia: a noi ci rimarrà comunque la soddisfazione di ammirare la bella Zoe Saldana (Colombiana), nel ruolo di Gamora. Per finire, novembre sarà il mese in cui arriverà al cinema Interstellar di Christopher Nolan, il celebrato autore di Memento e della recente saga di Batman. Sceneggiato insieme al fratello Jonathan, il film racconta della scoperta di un tunnel spazio-temporale che permette di coprire distanze siderali in tempi brevi... ma cosa ci sarà dall’altra parte? Contemporanea anche l’uscita di Hunger Games: il canto della rivolta Parte 1, dal romanzo omonimo di Suzanne Collins (Mondadori 2012), in cui la “ragazza dei giochi” Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) diventa il simbolo della rivolta del mondo del futuro. SCI-FI GATE 17


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di Massimiliano h7-25

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l 1941 per gli stati uniti fu un anno di grandi tensioni per via della guerra nel vecchio continente. La necessità di un coinvolgimento militare degli USA era avvertita da mezza popolazione. L’altra metà fu convinta dal discorso di Infamia pronunciato dal Presidente Roosevelt il 7 dicembre dello stesso anno, quando fu dichiarata guerra al Giappone e alla politica Nazista, a seguito dell’attacco a Pearl Harbor. Patriottismo ed eroismo rappresentavano l’unico cibo per le menti degli americani e i fumetti incarnavano un mezzo efficace di propaganda per educare i giovani all’antinazismo. Sulla scia del successo di Batman e Superman nacque dalla creatività di Joe Simon

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e Jack Kirby, Capitan America, il personaggio migliore per dar vita all’apostolato dei valori democratici americani: giovane statunitense desideroso di servire il paese arruolandosi nell’esercito per combattere Hitler. Emblematica fu la prima copertina che ritraeva un determinato Cap mettere K.O. con un pugno, il temibile Fuhrer. Il successo del supereroe sopravvisse fino al termine del conflitto e Steve Rogers come pure il patriottismo bellico andò in ibernazione fino a quando, negli anni 60, venne risvegliato in tempo per sbandierare, in piena Guerra Fredda, l'anticomunismo. Poi ci pensò Stan Lee a dare nuova linfa vitale al personaggio, facendolo risvegliare 50 anni dopo la Grande Guerra,

sotto l'egida di Nick Fury, e reclutandolo nel team dei Vendicatori, in missione contro terroristi e supercriminali. Il primo film diretto da Joe Johnston ha rispecchiato degnamente lo spirito del fumetto, quindi grandi sono le aspettative per questo secondo capitolo di Capitan America, i cui eventi prendono il via dallo scontro alieno che abbiamo assistito nel primo film di The Avengers. Steve Rogers cerca con fatica di ambientarsi al nuovo tempo in Washington D.C. fino a quando è richiesto il suo intervento a seguito di un attacco subito da un agente dello S.H.I.E.L.D. Cap verrà coinvolto in una rete di intrighi e cospirazioni che metteranno a rischio l'organizzazione degli eroi e la sicurezza nel mondo. Tutto que-

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sto è il preludio ad una minaccia più grande:The Winter soldier. L'appellativo nasce in antitesi ai “Summer Soldiers” che in guerra erano considerati i soldati timorosi che amavano combattere solo in condizioni favorevoli. Il soldato d'inverno è invece il temerario che col suo sacrifico salva la vita ai compagni. La vera identità del personaggio che dà il titolo al secondo film (e che qui non vi sveleremo) sconvolgerà il povero Rogers alle prese con un passato che non è riuscito mai a dimenticare. Al fianco dell'eroe americano ci sarà la bella Vedova Nera Johansson e l'uomo alato, Falcon. Le premesse sono ottime. Unica nota stonata è la nuova cupa divisa. Rivogliamo la vintage tuta rossa-bianca-blu!


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ell’estate del 2014 vedremo Nicolas Cage protagonista di Left Behind, pellicola che ripropone un tema caro a milioni di lettori e spettatori nel mondo, che fonde fantascienza e religione. Non è certo una novità che autori di fantascienza amino infarcire le loro storie con elementi religiosi, ma qui abbiamo un caso contrario: un autore religioso che infarcisce la sua “fede” di elementi fantascientifici. Tim LaHaye è uno di quei predicatori televisivi che ad alcuni di noi europei fanno un po’ sorridere, ma milioni e milioni di americani amano i suoi racconti e le sue interpretazioni di fantasiose profezie. Nel 1995 LaHaye capisce che può ampliare sensibilmente il suo business fondendo due temi molto apprezzati da credenti e lettori: profezie religiose e thriller post-apocalittico. Rendendosi conto di non avere le capacità di affrontare il secondo genere, LaHaye entra in società con il prolifico romanziere Jerry B. Jenkins, un vero e proprio “grafomane” che sforna fiumi di libri sin dal 1979. Il risultato di questa collaborazione è Left Behind, un bestseller internazionale che ha venduto decine di milioni di copie nel mondo e che ha dato vita ad una saga letteraria di ben sedici volumi. Il punto di partenza è la dottrina del Rapture, il vero e proprio rapimento divino di cui già parlava il

Vangelo di Matteo (24,37-44) secondo cui ad un certo punto tutti i buoni cristiani ascenderanno al Cielo contemporaneamente e, secondo alcune interpretazioni, dopo un periodo chiamato la Tribolazione ci sarà la seconda venuta di Gesù Cristo. L’idea di LaHaye e Jenkins è davvero intrigante: una volta che i bravi cristiani si sono sistemati in Cielo... cosa succede a quelli che sono “rimasti indietro”? Gli esclusi è la traduzione con cui la milanese Armenia presenta il primo romanzo nel 2000, dando vita ad un fenomeno editoriale forse non molto noto in Italia ma da non sottovalutare, visto che dal terzo romanzo la Nord subentra alla Armenia e ne pubblica molti episodi. Il mondo dunque è sensibilmente spopolato (sebbene sia davvero difficile credere che i “buoni cristiani” siano così numerosi) e qui inizia la fantascienza apocalittica: nasce un governo unico che abbraccia l’intero pianeta, una forza armata chiamata Tribulation Force, una setta di invasati che rema contro e addirittura l’Anticristo nella persona del rumeno Nicolae Carpathia. Nella saga di LaHaye-Jenkins c’è di tutto e non stupisce che diventi ben presto un ciclo cinematografico. Dopo essere uscito solo in home video nel 2000, Left Behind viene distribuito nel mondo in un momento davvero inquietante: nel settembre 2001.

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Un film che parla dell’imminenza del Giorno del Giudizio mentre in TV scorrono le immagini delle Torri Gemelle che crollano... Sebbene i nomi di LaHaye e Jenkins siano misteriosamente omessi dai crediti, la saga ha inizio e nascono un secondo e terzo episodio, Tribulation Force (del 2002) e World at War (2005): quest’ultimo giunto anche in Italia con il titolo Gli esclusi. Il mondo in guerra. Non possono mancare a questo punto le parodie, così tanto i celebri Simpson quanto American Dad si divertono a sfottere non tanto gli autori del bestseller, che anzi vanno lodati per aver avuto un’idea di così grande successo, quanto la creduloneria di quelli che non sanno distinguere tra fantascienza e fede. In attesa del remake del 2014 con Nicolas Cage nel ruolo che fu di Kirk Cameron (attore celebre per la sua conversione religiosa), non possiamo dunque che congedarci con le parole dell’apostolo Matteo: «Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà». Forse qualcuno ricorderà il Beware! con cui si chiudevano alcuni film di fantascienza in bianco e nero.

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DI DAVIDE TARO'

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ra il giugno del 2011, Leiji Matsumoto invitato d'onore al Festival dell'animazione di Annecy presentava e commentava il progetto pilota di un nuovo adattamento del suo mitico personaggio, un futuro film interamente diretto in 3D-CGI e proiettato in 3D Stereoscopico (cioè il 3D degli occhialini). In realtà il film pilota di Capitan Harlock (pochi minuti di girato) prodotto dal veterano colosso Toei Animation (che produsse la serie anime originale) era già stata presentato in anteprima assoluta nel marzo del 2010 durante il Tokyo Anime Fair. Ad Annecy Matsumoto insieme agli altri invitati dello staff quali Shinji Aramaki come regista, e i produttori Yoshiyuki Ikezawa e Joseph Chou spiegava che in realtà, il corto proiettato non avrebbe avuto quasi nulla a che fare con il progetto definitivo. Quello che in effetti sarebbe stato conservato nel progetto definitivo era il character design di Yutaka Minowa, un animatore dello studio Madhouse (Paprika, Ninja Scroll, Vampire Hunter D Bloodlust tra i tantissimi) e il mecha design di Atsushi Takeuchi (Armitage III, Ghost in the Shell, Avalon tra i tanti) amato da Leiji Matsumoto in persona, per il quale il design dei macchinari era “organico e vegetale oltre che credibile” (Olivier Fallax, Albator dans une autre dimension, in ANIME-LAND 177 Decembre/Javier 2011/2012).

Rispetto al progetto originale c'è stata la la ferma volontà di utilizzare la tecnica della motion capture, molto “pericolosa” per il popolo di Yamato che ha quasi sempre raggiunto livelli di eccellenza con l'animazione tradizionale. Il budget è stato impressionante, l'equivalente di 30 milioni di dollari, e l'ambizione era quella di diffondere la pellicola capillarmente in tutto il mondo, alla maniera americana, cosa mai successa per un prodotto nipponico. In Giappone esistono pochi esempi di “veri lungometraggi d'animazione così come li concepisce Hollywood” se si considerano le produzioni dello Studio Ghibli e del regista Hayao Mi-yazaki, o di Hideaki Anno con i suoi Evangelion che fanno storia a sé più unica che rara, tutte le altre produzioni fanno parte di una grande e non ben definibile schiera che si può annettere concettualmente all'universo anime e manga e che si indirizza per sua stessa natura ad un ben preciso pubblico di ragazzi ed otaku. In Giappone sono convinti che le loro produzioni abbiano un potenziale enorme e potrebbero rivaleggiare con le grandi produzioni della Pixar o della Breamworks, anche

se mancano i corrispettivi mezzi finanziari (vedere, per credere, la serie anime, L'ATTACCO DEI GIGANTI, venduta in tutta Europa e negli USA, graditissima ogni dove e blockbuster mondiale). Il regista Shinji Aramaki (suoi i rivoluzionari Appleseed 1 e 2, Star Ship Troopers invasion, Halo Legends) insieme ai produttori, ha messo su un gran bel film con una bellezza visiva debordante, nonostante non fosse così scontato in considerazione della differenza di budget tra un prodotto americano (100 milioni di dollari all'incirca) e il nuovo Capitan Harlock 3D/CGI. nelle sale italiane lo scorso 1° gennaio e distribuito dalla meritoria Lucky Red (la stessa che importa per

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lo stivale tutti i film di Miyazaki/Studio Ghibli). Sono stati utilizzati per il rendering e per l'acquisizione delle posture e delle espressioni dei visi sia ARNOLD, un renderer rivoluzionario che FACEWARE, già utilizzati entrambi per The Hobbit e Rise of the Planet Of The Apes, capaci di donare alla capigliatura di Harlock movimenti diversi a seconda degli stati di animo. Per forte volere del regista, il lato oscuro del personaggio di Harlock è stato esaltato in ogni modo, nella forma del character fino alla sceneggiatura, quest'ultima curata da Harutoshi Fukui, scrittore popolare di science fiction (suo il best seller Lorelei) e sceneggiatore della belle serie anime del 2010 Mobile Suit Gundam Unicorn. Questo film è un reboot e non

un proseguo della serie Anime. Dopo secoli di esplorazioni e dopo aver conquistato l'universo e sfruttato tutte le risorse, l'umanità vorrebbe ritornare sulla Terra, ma il piccolo pianeta è ormai incapace e contrario a riaccogliere i miliardi di umani dispersi nel cosmo che vorrebbero tornare alla loro patria madre. Una guerra è alle porte, ma il Governo Universale, La Coalizione di Gaia, decide di far diventare il pianeta un santuario eterno proibito a chiunque. La Terra ben presto diventa un simbolo, il sogno di un ritorno a casa impossibile per i tanti viaggiatori. Un solo uomo non è disposto ad accettare questa imposizione e il suo obiettivo diventa quello di riportare gli umani al loro pianeta d'origine. Il suo codice è S-00999, il suo SCI-FI GATE 25

nome è Harlock. Sfidando le autorità, Harlock diventa il capitano di una astronave pirata, reclutando a bordo tutti i reietti che osano sfidare chiunque impedisca loro il ritorno a casa. Una nuova giovane recluta dell'Arcadia, Yama, un ragazzo volontario che salva la bella Kei (un membro dell'equipaggio) a rischio della propria vita, viene a sua volta salvato da Harlock in persona. Il giovane Yama però nasconde un segreto che lo rende un personaggio dai toni drammaticamente grigi. Capitan Harlock ha incassato in Italia $6,687,566, cifre superiori rispetto a quelle registrate in Francia e nello stesso Giappone.


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a minaccia di un nemico silenzioso che si insinua nel nostro organismo compromettendone le difese immunitarie genera nell'uomo una delle peggiori paure: il terrore biologico. La fantascienza, sapiente interprete della realtà proiettata in una dimensione futuristica ed esasperata, ha esplorato in lungo e in largo il pericolo di un contagio della razza umana ad opera di contaminanti provenienti dallo spazio. Lo ha fatto il grande Carpenter con “La cosa”, Nyby con “La cosa da un altro mondo” (solo per citarne alcuni), e, in TV, Chris Carter in X-Files, sia con la sua idea della colonizzazione aliena, sia, prescindendo da razze extraterrestri con velleità da Conquistadores, attraverso l'episodio “Ice” , in cui ci ha raccontato una delle più affascinanti lotte tra entità biologiche differenti: l'uomo e il batterio non classificato. Helix, serie creata da Ronald Moore (Battlestar Galactica) ed ancora inedita in Italia, possiede un po' tutto di questi ingredienti: la claustrofobica narrazione, l'efficace resa estetica prodotta dal bianco tipico delle distese artiche e da quello più asettico dei laboratori, la cospirazione, la fiducia, il tradimento, la mano dell'uomo intento a fare Dio, la straniante percezione della realtà che inganna i personaggi nel comprendere ciò che sia vero o infondato. 13 episodi che ruotano attorno alla missione di un gruppo di scienziati appartenenti al Centro Controllo Prevenzione Malattie chiamati ad isolare un misterioso virus diffusosi all'interno di una base in Artide. A capo della spe-

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dizione vi è Alan Farragut (Once and Again, 4400, The Killing) che sarà emotivamente coinvolto per via della presenza nella base del fratello Peter (Neil Napier già visto in 300 e Immortals) contaminato dal virus.

Moore ha le idee chiare sul perché il terrore biologico attiri il pubblico al cinema e in tv: “La gente è da sempre affascinata dal tema delle piaghe che distruggono la civiltà come la conosciamo, sin dal Medioevo. Si tratta di un fascino malato, di un interesse che muove dalla terribile paura di essere infettati. Helix non è La Cosa in cui c'è una dozzina di persone e il posto è isolato. Parliamo invece di qualche centinaia di persone che lavorano in strutture di ricerca, ma anche in settori diversi riservati alla manutenzione delle attrezzature o al rastrellamento pavimenti”. Helix, trasmesso su SyFy, al suo debutto è stato visto da 1.800.000 spettatori. Sebbene siano state mosse anche severe critiche su dialoghi ed alcuni aspetti della recitazione, sopravvive grazie ad un mix interessante di sci-fi, horror, thriller, glore. Aspettiamo Helix doppiato in Italiano. Fiduciosi che i nostri bravi doppiatori compiano il miracolo di salvare alcune performance non certo da Oscar.


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opo il 23 novembre, l’universo delle serie TV non è più lo stesso. Doctor Who, la serie più longeva della televisione inglese, ha festeggiato un compleanno molto importante, il Cinquantennale della sua esistenza, consacrando la simpatia e soprattutto lo charme del suo irriverente protagonista. Day of The Doctor, questo è il titolo dell’episodio celebrativo, si è trasformato in un vero e proprio evento mediatico e, grazie a Rai 4, anche il pubblico italiano ha potuto gustarsi questo appuntamento imperdibile per gli appassionati (un po’ meno per chi non abbia perfetta conoscenza di tutto il mondo di Doctor Who, specie delle ultime stagioni televisive, perché nel migliore dei casi capirebbe poco o nulla di quel che che è accaduto in questo episodio). Superando le nostre più rosee aspettative, la puntata è stata davvero epica in tutti i sensi. Potevamo immaginare che il buon Steven Moffat (ora al lavoro anche su Sherlock) potesse portare sul piccolo schermo un prodotto del genere, dal sapore quasi cinematografico? Il Day of The Doctor, infatti, non si è rivelato essere soltanto una chiara e ben studiata mossa commerciale, ma è stato soprattutto un atto d’amore verso un personaggio eclettico ed irriverente, che in punta di piedi è entrato nel cuore di tutti. Un episodio, questo, lungo un’ora e 16 minuti che

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ha saputo miscelare armoniosamente sia il dramma fantascientifico che la commedia, confermando nuovamente la formula vincente di questa collaudata commistione di generi. Grandi emozioni, dunque, per un appuntamento che ha dato una svolta significativa alle avventure del Dottore, riuscendo non solo ad alzare il velo su un capitolo del suo tormentato passato, ma soprattutto mettendo il carismatico personaggio davanti ad una scelta senza precedenti. Coraggio, determinazione e destino sono le tre costanti di questo importante anniversario che si sono intrecciate inesorabilmente, dando vita ad un’interessante ed affascinante linea narrativa. Dalla Londra del 2013 all’Inghilterra del 1500, senza dimenticare un viaggio sul pianeta Gallifrey sconvolto dall’insurrezione dei temibili Dalek. Un quadro in 3D, ritrovato nei sotterranei di Trafalgar Square, è stato il punto di partenza di questa incredibile avventura.

Il Dottore, un convincente e bravissimo Matt Smith, insieme alla sua fedele Clara, ha incrociato il suo cammino con ben altri due Dottori: David Tennant (più in forma che mai) ed il bravissimo, seppur un po’ attempato, John Hurt. Tre Dottori uniti da un solo scopo: salvare Londra ed il mondo intero dal collasso, anche se questa avventura riapre una ferita non rimarginata a sufficienza nell’animo del Dottore stesso. C’è un modo per cambiare la storia e dare una speranza al popolo di Gallifrey, e solo la sinergia di tre personaggi così diversi tra loro può sovvertire le sorti della vicenda. Un nuovo inizio, dunque, per l’intera esistenza del Signore del Tempo, che spiana già da ora il campo per lo speciale di Natale. Tutto fila liscio in questo Day Of The Doctor. Se da una parte la trama si fonda su solide basi, risultando intensa e mai banale, sono gli attori e le atmosfere a convincere davvero. Perfetto e really cool è Matt Smith, che offre al suo Dottore un lato comico senza precedenti; ineccepibile David Tennant, che torna ad indossare i panni di un personaggio che gli ha donato grande successo; John Hurt, che rappresenta il Dottore saggio e tormentato, è l’ago della bilancia per tutti gli eventi dell’episodio. Clara, interpretata da Jenna-Louise Coleman, colpisce per i suoi splendidi vestiti, mentre piacevole è anche il ritorno di Rose Tyler.

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ianeta Australia negli anni Ottanta propone un nuovo aggiornamento della tematica post apocalittica (già affrontata dagli USA negli anni Sessanta, con pellicole derivanti della preoccupazioni ingenerate dalla Guerra Fredda, e Settanta, con le conseguenze di tipo urbano di un conflitto atomico), indagando sulla fine della civilizzazione e il ritorno ad un’epoca di nuovi barbari, di pionieri, di predoni e di colonizzatori in lotta in un ambiente ostile e desolato. Siamo quindi in piena ambientazione western. A lanciare la nuova moda, anche se non andrebbero dimenticati gli anticipatori “Gli avventurieri del pianeta Terra” (“The Ultimate Warrior”), 1975, di Robert Clouse, e “I predoni del-l’anno 2000” (“Ravages”), 1979, di Richard Compton, entrambi con una forte componente western (almeno nelle caratterizzazioni dei personaggi protagonisti), è il film “Interceptor-Il guerriero della strada” (“Mad Max 2”), 1982, di George Miller, sequel di un precedente “Interceptor” sempre diretto da Miller e capostipite della trilogia che si chiuderà con “Mad Max oltre la sfera del tuono” (“Mad Max Beyond Thunderdome”), 1985. In un mondo devastato dall’olocausto atomico, in cui il bene più prezioso è la benzina, con cui i pochi superstiti si muovono su auto rabberciate, la società si è dissolta, imbarbarendosi, e solo il più forte e spietato può sperare di sopravvivere. Max Rockatansky (Mel Gibson), ex poliziotto, ora solitario ed indifferente wanderer senza più scopo se non quello di “tirare avanti”, s’imbatte in una comunità di sopravvissuti asserragliata attorno ad un pozzo di petrolio nel mirino degli Humungus, feroci predoni motorizzati. Dopo aver salvato la vita ad uno degli assediati, Max è costretto (pena la vita) ad aiutare la piccola comunità nel rintracciare una motrice che possa trasportare la benzina e i superstiti verso la costa. Con l’aiuto del bizzarro Capitan Gyro (Bruce Spence), pilota di un girottero, Max procura la motrice e ferma un attacco dei razziatori guidati dai

sadici Wez (Vernon Wells) e Lord Homungus (Kiel Nillson). Libero da ulteriori obblighi Max se ne va per la sua strada ma viene gravemente ferito dalla banda di Wez, che distrugge la sua auto Interceptor. Salvato in extremis da Capitan Gyro, Max accetta di guidare la motrice mentre i superstiti, per altra via, si dirigono verso la costa. Il convoglio si lancia nel deserto, seguito da tutti gli Humungus in una feroce e spettacolare caccia. Uno dopo l’altro i predoni muoiono in catastrofici incidenti e la motrice, dopo essersi liberata di Lord Homungus e Wez (disintegratisi in un sanguinoso scontro frontale l’un contro l’altro), si rovescia a fine corsa. Nel suo interno, sabbia… Max si rende conto di essere stato l’involontaria esca per permettere ai sopravvissuti di allontanarsi con la benzina a bordo dei loro mezzi. “Interceptor-Il guerriero della strada” è un film strepitoso, irripetibile per equilibrio delle sue parti, forsennato nel montaggio e nel ritmo, tesissimo e iperviolento, con sequenze da cardiopalma (magistrale l’attacco dei predoni alla motrice). George Miller “crea” un piccolo universo post-atomico funzionante e credibile, fondendo diversi generi tra loro, in primis il western, giocando sulla tipologia dell’eroe solitario e apparentemente senza valori (resa celebre soprattutto da Clint Eastwood), il paesaggio desertico, l’assedio al fortino, il legame con il bambino muto (echi da “Il cavaliere della valle solitaria”), la tipologia “indiana” dei nemici (in particolare di Wez), l’inseguimento alla motrice (aggiornamento moderno di tipici assalti alla diligenza, da “Ombre rosse” in avanti), la solitudine finale del protagonista (ovvio rimando a “Sentieri selvaggi”), dando l’avvio alla moda del Medioevo Prossimo Venturo, più volte imitato, mai più eguagliato. Tecnicamente perfetta (encomiabili musica e fotografia), con virtuosismi di macchina da lasciare a bocca aperta, a volte “incredibile” per ciò che si

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vede sullo schermo, questa pellicola è un caso più che raro di sequel decisamente migliore dell’originale. Immediatamente fiorirono tutta una serie di film cloni, che ereditarono il “look” barbarico futurista del capostipite, senza però rinnovarne i fasti e annegando in una generale mediocrità. E’ il caso di un vacuo e soporifero “Alba d’acciaio” (“Steel Dawn”), 1987, di Lance Hool, definito, impropriamente, un fallimentare remake futuribile di “Il cavaliere della valle solitaria”, in cui il guerriero vagabondo Nomad (Patrick Sway-ze), in un desertico paesaggio post-atomico insegue l’assassino del suo mentore, scoprendo che è diventato il sicario di un dispotico proprietario terriero che dispensa a suo volere il bene più prezioso, l’acqua. Diventato amico di una bella vedova e di suo figlio, Nomad fa piazza pulita dei cattivi e ristabilisce i giusti equilibri, andando poi alla ricerca del suo destino. Storia banale e stereotipata, neppure supportata da una spettacolarità che l’avrebbe perlomeno resa vedibile (goffi gli stessi scontri e duelli all’arma bian-

ca). Ma furono soprattutto produzioni italiane a saturare il mercato con pellicole derivative e realizzate con quattro soldi, che fecero coincidere il genere post apocalittico con un breve revival di spaghetti-western. Se va segnalata l’indubbia (e scaltra) artigianalità di registi in grado di realizzare film in pochi giorni e con budget ridotti all’osso, come Enzo Castellari (“I nuovi barbari”), Steven Benson-Aristide Massaccesi (“Endgame-Bronx lotta finale”), Lucio Fulci (“I guerrieri dell’anno 2072”), Joe D’Amato e George Eastman-Luigi Montefiori (Anno 2020: i gladiatori del futuro”), le pellicole da loro dirette vanno spesso oltre il plagio bello e buono, con buona pace degli estimatori dei nostri giorni del “trash italiano”. Recuperabile invece il TV movie del 1987 “I cacciatori del tempo” (“Timestalkers”), diretto da Michael Schultz, fantasiosa pellicola incentrata sulle sempre affascinanti implicazioni temporali, ben interpretata da un istrionico Klaus Kinski nel ruolo di Cole, uno scienziato del 26° secolo che per ottenere tutti i vantaggi della macchina del

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tempo uccide i colleghi e fugge nel passato, dove pensa bene di eliminare il futuro presidente degli USA di fine Ottocento per creare paradossi temporali a lui favorevoli. Ma Georgia (Lauren Hutton), figlia di un suo collega, è decisa a rintracciarlo con l’aiuto di Scott McKenzie (William Devane), studioso di storia del Far West del 1986. Analizzando una vecchia fotografia scattata cent’anni prima, scoprono che uno dei personaggi raffigurati (Cole) ha una pistola ultramoderna in fondina. I due, tornando indietro nel tempo, sfidano l’astuto scienziato, troppo fiducioso della sua abilità nei duelli a mano armata, tant’è che viene freddato in duello dal timido Scott. In cambio dell’aiuto fornitole, Georgia, giocando con le linee temporali, fa sì che Scott possa intervenire in tempo per salvare da un incidente mortale la propria famiglia, persa anni prima. Ancora confusione temporale, stavolta di stampo western, nell’ultimo tassello della trilogia “Ritorno al futuro”, 1990, diretta da Robert Zemeckis, sotto l'egida protettiva di Spielberg, in grado di recuperare parte dell’origi-


Time machine nalità del primo film e un certo grado di “indipendenza” dagli episodi precedenti, anche se girato senza soluzione di continuità con la parte seconda (dieci mesi di lavorazione complessivi). Stavolta una lettera “centenaria” raggiunge il giovane Marty McFly (Michael Fox), spedita dallo scienziato “matto” Doc Emmett (Christopher Lloyd), inventore di una macchina del tempo (nel vero senso della parola, visto che si tratta di una DeLorean), dopo che questi ha trovato nel Far West di fine ‘800 l’anima gemella Clara, decidendo di restare lì. Ma il ragazzo scopre da un vecchio giornale che Doc è finito ucciso in una sparatoria poco tempo dopo l’aver scritto la lettera, per mano di un antenato del solito avversario di sempre, Biff Tannen. Riesumata la DeLorean (in giacenza in una miniera abbandonata), Marty si lancia nel passato per salvare Doc, piombando in pieno Far West. Col nome propiziatorio di Clint Eastwood rimette le cose a posto, evita lo scontro mortale tra Doc e Biff e riguadagna il proprio futuro. Ma Doc ne sa una più del diavolo: questa volta ha costruito un intero treno “temporale”, con cui prende a scorrazzare per i secoli con la propria famiglia… Sempre bravi tutti gli attori, sempre brillanti i dialoghi e le situazioni, piacevole ritrovare ambientazioni western in salsa fantastico/brillante. Toni epici e seriosi invece per la seconda regia di Kevin Costner, dopo il pluripremiato western "Balla coi Lupi", un kolossal post apocalittico, che recupera le certo non più originali atmosfere di "Mad Max", e di decine di altri Bmovie "del giorno dopo l’olocausto nucleare" per creare un vasto affresco avventuroso a sua volta debitore del classico western di John Ford ("I cavalieri del Nord-Ovest"). Nel 2013 descritto in “L’uomo del giorno dopo”, 1997, gli Stati Uniti non esistono più, l'America devastata dalla guerra nucleare sta risorgendo in piccole comunità rurali isolate e soggette a pericoli di ogni tipo. Solo chi ha forza, carisma e armi può vantare diritti sui più deboli, come il sedicente generale Bethlehem (Will Patton), dittatore del clan degli Holnisti, che tiene in un pugno di ferro alcune comunità agricole. Qui giunge un

attore itinerante di cui non è rivelato il nome (Kevin Costner), che dopo essere sfuggito agli Holnisti si rifugia nella carcassa d'auto di un portalettere morto. Travestendosi da postino, l'attore cerca rifugio nelle varie comunità, raccontando false storie riguardanti la rinascita degli USA e il ripristino, lento ma costante, delle comunicazioni. Accolto come un eroe, l'uomo rimane vittima del meccanismo da lui innestato e costretto a sostenere quel ruolo. Il giovane Ford Mercury (Larenz Tate) chiede a sua volta di diventare portalettere ma l'attacco degli Holnisti porta la devastazione nel villaggio. Il falso portalettere e la giovane Abby (Olivia Williams) riescono a scampare e, mesi dopo, scoprono che Ford ha costruito un'intera leggenda attorno al portalettere, organizzando giovani corrieri per rinforzare i vincoli tra le comunità. La cosa funziona e il portalettere è costretto ad assumersi le sue responsabilità, in aperto contrasto con Bethlehem. I due gruppi finiscono per scontrarsi e la superiorità delle armi degli Holnisti causa la sconfitta dei corrieri. Ma l'ideale e la leggenda si rinsaldano ulteriormente e alla fine il portalettere, che pure ha cercato di infrangere la spirale di violenza da lui suscitata, si ritrova a capo di un esercito davanti agli uomini di Bethlehem. Un duello a singolar tenzone tra i due, secondo le leggi stesse stabilite dagli Holnisti, vede il portalettere vittorioso sul dittatore, ucciso poi da un suo stesso SCI-FI GATE 38

gregario. La pace può così regnare tra i due gruppi e infine, nel 2043, la figlia del portalettere può rendere onore al padre, grazie al quale gli USA sono risorti. Il film, completamente snobbato ovunque, sia negli USA che in Europa, forse a causa anche dell'eccessiva lunghezza (170 minuti), riesce a comunicare comunque l'afflato epico/avventuroso di certa passata cinematografia, complici gli stupendi paesaggi naturali dell'Arizona e dell'Oregon (oltre che di Mateline Falls e delle montagne dello Stato di Washington), diventando davvero una sorta di western resuscitato, più efficace di molti vacui epigoni realizzati ai nostri tempi che hanno tentato di osannare le tradizioni, i principi e i valori della storia americana. Non esente dalla solita retorica patriottica all American, stavolta fondata sull'apologia del glorioso Servizio Postale dei pionieri del Nuovo Mondo, istituzione che ha contribuito alla nascita e alla crescita degli USA, il film di Costner funziona come avventura dall'ampio respiro, a volte ingenua, a volte coinvolgente, un po' troppo prolissa ma alla fine gradevole. Costato 76 milioni di dollari mai più recuperati… eppure meritevole di una rivisitazione per l’anima western che lo permea, nel suo riproporre una nuova espansione ad Ovest, in territori tornati selvaggi, in vista di


un ritorno dell’ordine, della legge e della civiltà dopo la caduta nelle barbarie. Fallimentare anche il remake di un originalissimo serial TV di fine anni Sessanta, "Selvaggio West", in grado di coniugare felicemente western, fantascienza ed ironia, che ebbe già una riduzione cinematografica con la pellicola "West selvaggio" nel 1980, con gli originali protagonisti dei telefilm, gli agenti governativi Jim West (Robert Conrad) e Artemus Gordon (Ross Martin). “Wild, Wild West”, 1999, di Barry Sonnenfeld, vede il pazzo sudista menomato Arliss Loveless (Kenneth Branagh) rapire tutti gli scienziati americani per far loro costruire un gigantesco aracnide meccanico con cui minacciare gli USA. Per fermarlo sono ingaggiati lo spavaldo agente Jim West (Will Smith) e l’ex sceriffo inventore Artemus Gordon (Kevin Kline), che sul loro avveniristico treno ingaggeranno battaglia col folle, vincendolo dopo rocambolesche vicissitudini. Per molti non è stata una buona idea trasformare il "serio" Jim West di un tempo nel parodico Jim West attuale, per di più interpretato dall’attore di colore Will Smith. Il regista Barry Sonnenfeld aveva sperato di bissare il successo di "MIB-Men in Black", utilizzando nuovamente Smith e la formula di fantastico improntato alla comicità, ma questa volta i risultati sono pessimi e la pellicola passa pressoché ignorata da pubblico e critica. Effettivamente, al di là dei bellissimi effetti speciali digitali (la tarantola da guerra è straordinaria), la trama è solo un pretesto, le battute non sono brillanti, le situazioni risapute. L'idea di realizzare un vero western fantastico era lodevole ma qui finisce malamente sprecata. Ci prova quindi il regista John Carpenter, che più volte ha sottolineato il suo amore per il genere western, indicando come maestri personalità come John Ford e Howard Hawks e iniettando in molti suoi film valenze tipicamente western. Il suo ritorno alla regia, nell’emblematico “Fantasmi da Marte” (“Ghost of Mars”), 2001, si traduce in un fedele remake del suo primo film, "Distretto 13: Le brigate della morte" (con influenze anche dai successivi "Il signore del male" e "Vampires"): stessa storia, stessa ambientazione notturna, stesse situaziotipicamente western (il tema del-

l'assedio, l'alleanza tra buoni e cattivi, il cinismo, le battute ironiche), stessi personaggi (James “Desolation” Williams è un ripetitivo Napoleon Wilson-Jena Plissken del futuro) con la differenza che ci troviamo su un altro pianeta. Ormai colonizzato dall’uomo e fornito d’atmosfera, Marte è una terra di frontiera dove sono sorti villaggi minerari. In uno di questi è detenuto il criminale James "Desolation" Williams (Ice Cube), che deve essere prelevato da una squadra di polizia, che però si trova ad affrontare una drammatica situazione: gli abitanti dell’avamposto sono stati posseduti dai fantasmi energetici degli antichi marziani, liberati per sbaglio dalla loro prigione sotterranea, e si scatenano in un’orgia di morte. Solo Williams e il tosto tenente Melanine Ballard (Natasha Henstridge), momentaneamente alleati, sfuggono all’ecatombe, dirigendosi su un treno alla volta della città più vicina, dopo aver fatto esplodere una centrale atomica che annienta i posseduti. Ma l’energia dei fantasmi marziani si spinge sin lì, costringendo i nostri a tornare in azione. Del tutto assente una presunta valenza politica, che vedrebbe nei mostri posseduti il riflesso dei nativi d'America di fronte all'avanzare dell'uomo bianco (sebbene il regista dichiari che il trucco rimandi proprio a costumi e maquillage indiani, alla fine questi sembrano più simili ad emuli di Mary

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lin Manson) anche se è evidente che l'asse portante del film è quello western con tutti i suoi tipici ingredienti: assedio del fortino, "cowboys e indiani", assalto al treno, addirittura l’utilizzo della "dinamite". Si direbbe che l'hawksiano Carpenter ripeta sempre lo stesso film, tutto a detrimento dei contenuti e dell'originalità, sebbene tecnicamente la mano del regista si faccia sentire in positivo: buon ritmo (nonostante i ripetuti ed inusuali flashback), impianto classico, effetti speciali ridotti ma efficaci, rifiuto di high-tech futuribile, basso budget, attori adeguati (discreta l'interpretazione molto fisica della statuaria modella Natasha Henstridge). Successo mediocre, purtroppo. E concludiamo questa comunque rapida carrellata sul fantawestern con un accesso al divertente “Tremors 4 – Agli inizi della leggenda” (“Tremors 4: The Legend Begins”, 2004), di S. S. Wilson, ennesimo episodio della saga dei carnivori vermoni sotterranei gabroidi iniziata nel 1990 con “Tremors” di Ron Underwood. In questa poco nota pellicola ci troviamo nel Nevada del 1880, quando misteriose creature vermoidi attaccano i minatori di un filone d’argento. Toccherà al pavido Hiram Gummer (avo del Burt Gummer che appare in tutta la serie, interpretato sempre da Michael Gross) fronteggiare la minaccia pesantemente armato, fondando poi la cittadella di Perfection, sede di tutti gli attacchi dal sottosuolo dei tempi a venire…


SCI-FI ROBOTS

“Robot alti come palazzi di venticinque piani che affrontano mostri della stessa taglia, ecco l'essenza di Pacific Rim” (Guillermo Del Toro, Full Metal Robots in MAD MOVIES 261, marzo 2013, pag 56)

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n’epigrafe che ben stigmatizza il pensiero di Guillermo Del Toro per sua opera titanica, tanto bramosamente voluta e tanto combattuta per farla uscire come abbiamo potuto vedere nei cinema di tutto il mondo, l'estate scorsa. Eh si, perché non era tutto garantito, nulla lo è stato fino alla fine per questo enorme punto nero del cinema mainstream americano: troppo intelligente e più sentito (con il cuore e l'acciaio delle giunture meccaniche sotto sforzo...) dei “Transformers” di Michael Bay e perciò “punito” sin dall'inizio della sua travagliata produzione, un blockbuster 'altro' davvero troppo potente e robotico per piacere a tutti, o quantomeno per avere la fiducia incondizionata dei manager che dettano le leggi del mercato. I robot di “Pacific Rim” non sono deliri meccanici alla “Transformers”, ma possiedono un design leggermente rétro, con meccanismi e bulloni su cui si può sentire la fatica del movimento. La storia narrata è questa: minacciata dalla comparsa continua di mostri giganteschi provenienti dal bordo del Pacifico, chiamati in codice kaiju ('mostro' in giapponese), che distruggono una ad una tutte le città del mondo, l'umanità intera finanzia la costruzione di mostruosi giganti d'acciaio pesantemente armati, chiamati in codice jaeger ('cacciatore' in tedesco), il cui movimento fisico è prodotto da un pilotaggio in duo,

due piloti in perfetta simbiosi mentale e simmetria fisica... un argomento mai visto e trattato in questi termini nel contesto di una produzione fotorealistica occidentale. Dopo una prima delusione con l’Universal (con cui il regista firmò i due “Hellboy”) e con l'incontro altrettanto deludente con i patron Donna Langley e Adam Fogelson, il regista, nel marzo del 2011, firma il contratto con Warner e Legendary Pictures. La Warner compra il progetto “Pacific Rim” grazie al successo planetario della trilogia dei “Transformers” di Michael Bay (inutile negarlo, gli investitori sono tutti molto contenti di poter “commissionare” alla Industrial Light & Magic dei robot dieci volte più grandi ed imponenti di Optimus Prime) le battaglie urbane e le successive vendite dei modellini nei negozi si annunciano favolose. Poi qualcosa accade in corso d'opera, il merchandising tanto atteso non riesce ad essere venduto alle grandi case (Mattel ecc...) perché i temi trattati dal film non sono così 'leggeri' (anche se rimane un film sostanzialmente per tutti) e ci si accorderà per un merchandising più 'scelto' e 'curato' della casa

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NECA, con una distribuzione internet e non da supermercato. Questa decisione deve aver inficiato non poco sulla data di uscita del bockbuster: praticamente attaccato al kolossal “Man Of Steel”, sempre della Warner, che la dice lunga sulla aspettative di incasso e la fiducia dei produttori sul film dei robottoni. Eppure il film funziona, alla critica piace, ad un pubblico scelto piace molto, pur non arrivando alla grandissima ed indiscriminata audience, negli USA e in Europa guadagna abbastanza ma è nell'appetibile mercato cinese che ottiene un insperato boom e successo commerciale. In questo film l'approccio ai movimenti e alla messa in scena dei robot/Jaeger è molto deciso e propende per il “gigantismo”, John Knoll, supervisore degli effetti speciali di Industrial Light & Magic, dichiara che sotto le indicazioni di Del Toro, attraverso l'utilizzo dell'acqua, degli elementi atmosferici come vento e pioggia e le numerose fonti di luci della baia e dalle città, i movimenti degli Jaeger sembrano più realistici, e servono per fondere nelle inquadrature queste enormi creature meccaniche, alte dai 75 ai 105 metri. La regia predilige inquadrature dal basso per calcare la sensazione di gigantismo dei robot e dei mostri, lo scontro a Hong Kong di 25 minuti da solo vale tutta la

visione del film, come la singola scena in cui un Kaiju colpisce e spinge violentemente uno Jaeger verso il mare, e questi si ferma in tempo per non affondare ma sposta con la sua enorme massa una boa in acqua, dalla quale prende il volo un gabbiano, scena che crea un trait d'union fortissimo tra l'ambiente e gli attori virtuali, mentre il flashback della pilota giapponese Macko, testimone ancora bambina della distruzione completa della sua città e della morte dei suoi cari, interpretata da Rinko Kikuchi, è commovente e cita apertamente e poeticamente le distruzioni dei kaiju eiga (film di mostri) giapponesi degli anni 50/60. Ci voleva un messicano che arriva dal cinema spagnolo per immettere, come un virus mutogeno, nel cinema mainstream dei blockbuster americani il gigantismo e la poetica dei robot giapponesi, perfettamente ricreata con istanze personali, di Go Nagai (creatore di Mazinger Z, Getter Robot, Jeeg Robot, Great Mazinger ecc...). Il film si nutre di un sostrato che film quali “Godzilla” di Ishiro Honda o serie anime quali “Neon Genesis Evangelion” e “Patlabor” hanno creato negli anni.“Pacific Rim” era il film che mancava nel sistema produttivo sempre più in mano a capitali finanziari, piuttosto che alle case produttrici.

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el secondo appuntamento con la nostra rubrica dal titolo un po’ bizzarro, questa volta dal calderone immenso delle serie sci-fi, peschiamo una vera chicca. Amata e poi odiata dal pubblico, Terminator – le Cronache di Sarah Connor, è stata una serie trasmessa su Fox Usa per appena 2 stagioni e poi finita tristemente nel dimenticatoio. Nonostante le buone intenzioni però, le avventure adrenaliniche ed al limite dell’assurdo di Sarah Connor e di suo figlio, non hanno attecchito sul pubblico. Magnetica la prima mini-stagione da 9 episodi, bella la prima parte della seconda, scialba ed insipida la coda finale. La cancellazione quindi non è stata del tutto inaspettata e tanti fattori hanno compromesso non solo l’insuccesso, ma la qualità della serie stessa. Le Cronache di Sarah Connor avevano l’insano compito di ridare linfa ad un noto marchio della fantascienza moderna che, negli ultimi anni, era stato appannato da altri fenomeni commerciali. L’incursione di Terminator nel campo televisivo, è stata vista di buon occhio dai fan della saga tanto è vero che il solo pilot è stato visto da quasi 18 milioni di telespettatori. Nel 2008 fu una manna dal cielo per un network come quello della Fox, che cercava di trovare la sua dimensione nell’universo seriale. La qualità della serie tv ha retto per qualche mese, fino a quando il il fattore sci-fi ha lasciato spazio al teen ed al family drama. Un’occasione sprecata per una produzione televisiva che potenzialmente aveva di fronte un futuro roseo.

Ambientata qualche anno dopo Terminator 2 – il giorno del giudizio, la serie ideata da Josh Fiedman e prodotta da David Nutter (X-Files), avrebbe dovuto inizialmente colmare il vuoto temporale creatosi tra il secondo e il terzo lungometraggio. Poi si è preferito sfruttare lo show televisivo per fornire indicazioni narrative utili per la comprensione dell’allora imminente Terminator Salvaltion (quarto e deludente capitolo della saga) uscito nelle sale proprio durante la trasmissione del serial, sebbene quest’ultimo abbia però deliberatamente ignorato l’interessante linea narrativa che la serie tv aveva creato alle sue spalle. Una mossa piuttosto azzardata che non ha fatto altro che produrre grossolani errori nella continuity temporale. SCI-FI GATE 43


SCI-FI INTERRUPTUS Siamo di fronte ad un’opera iper-pop, magnetica, irriverente, con dialoghi ferrati, tanta azione ed impreziosita da una dose eccessiva di retorica. Sarah Connor interpretata da una convincente Lana Heady (vista in svariate pellicole ma amata per il suo ruolo di Cercei Lannister nella serie Game Of Thones), da il volto ad una moderna Sarah Connor, più bella ma con meno fascino rispetto alla storica Linda Hamilton. Insieme a suo figlio John (interpretato da un troppo effeminato Thomas Dekker approdato poi successivamente in The Secret Circle), sono fuggiti dal 1999 a causa dell’arrivo di un Cyborg dal futuro che vuole uccidere il leader della Resistenza. Aiutati da una robot dal grande fascino, ovvero Cameron con il volto di una bellissima Summer Glau ora in Arrow, si ritrovano catapultati nel 2007. Decisi a tenersi a distanza dal loro passato, madre e figlio iniziano una nuova vita anche se la minaccia del futuro e dell’apocalisse continua ad aleggiare sulle loro teste. Durante quest’avventura John incontra suo zio Derek (interpretato da Brian Austin Green) e si trova a vivere un rapporto di odio/amore con Cameron. Enigmi e rovesci di fortuna non mancano, eppure la serie dopo aver spiccato il volo, è rimasta impigliata in una rete fatta di frasi già dette, pallide rivelazioni perdendo tutto il suo magnetico appeal. Gli stessi sceneggiatori infatti, trovandosi di fronte ad un’opera di questa portata, hanno deciso di introdurre nuovi personaggi, salti nel tempo (interessanti erano quelli ambientati dopo l’Apocalisse), nuovi misteriosi avversari, il tutto per cercare di dar vita ad una serie tv completa e di ampio respiro. Nonostante sia solo il tempo a poter decretare l’ingresso di “Le Cronache di Sarah Connor” nel novero dei prodotti cult della fantascienza, per ora è opinione diffusa, che la serie avrebbe potuto dare molto di più.

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Tre infatti sono gli errori determinanti che hanno decretato l’insuccesso della serie: 1) nel tentare di creare un ponte tra cinema e tv, l’ideatore ha dato vita ad un prodotto che si distanziava troppo dalle linee guida lanciate da Terminator; 2) la fantascienza è stata ben presto scalzata dalla tematica teen; 3) la non convincente caratterizzazione dei personaggi: se Sarah era molto vicina al suo alter ego, John è stato raffigurato come un ragazzo insicuro, viziato, che vuole crescere troppo in fretta e soprattutto dall’indole troppo pacata per potersi poi ergere come leader della Resistenza. Una vera occasione sprecata per la serie di Josh Friedman che preso da un delirio di onnipotenza, ha portato alla distruzione (almeno sul piccolo schermo), di un mito che arde ancora nel cuore di ognuno. Il telefilm è stato Interrotto dopo 31 episodi e con una puntata che lascia tutto al caso, Born To Run (il finale di serie), cambiò nuovamente le carte in tavola, proiettando John in un futuro alternativo dove la sua Cameron è umana e lui non il leader della Resistenza. Così le Cronache di Sarah Connor ci lasciano con l’amaro in bocca, con la consapevolezza che la serie proprio sul più bello (ed ora che aveva ritrovato la sua verve), è stata tristemente cassata. I poco più di 2 milioni di telespettatori parlano chiaro. Terminator in salsa serie tv, è arrivata anche qui in Italia, prima sulle frequenze di Italia 1 (insieme alla serie flop Bionic Woman) e poi sulla piattaforma di Mediaset Premium.

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na delle più antiche leggende giapponesi riguardanti la robotica e i meccanismi risale al XII secolo ed è contenuta nella raccolta di racconti Konjaku Monogatari (“Racconti del empo che fu”), in cui fa la sua apparizione un automa, tra i più antichi della storia del Giappone. La prima serie disegnata, invece, che vede come protagonista un robot si chiama Tanku Tankuro di Gajo Sakamoto, apparsa per la prima volta nel 1934 sulle pagine di “Yonen Club” della Kodansha, il protagonista è un androide dalle fattezze tozze di un antico samurai con arti rientranti, facenti posto ad armi, raffinati strumenti, ali o ruote per gli spostamenti celeri. Nel 1956 l'autore di fumetti Mitsuteru Yokohama serializza Tetsujin 28 Go! (“Uomo di ferro 28”), dove un robot gigante telecomandato da un radiocomando è protagonista, insieme al piccolo orfano Shotaro che lo guida contro un'organizzazione criminale mondiale. Diventerà una serie di telefilm dal vivo e qualche anno dopo, nel 1963, una serie a cartoni in bianco e nero, poi ancora un remake a colori nel 1980, ed una serie di special per l'Home Video negli anni '90. Negli USA avrà immediato successo negli anni '60 sotto il nome di Gigantor. Nel 1952 verrà serializzato sulla rivista “Shonen” della Kobunsha lo storico ed amatissimo Tetsuwan Atom (“Atom dal braccio di ferro”) di Osamu Tezuka. Qui la personalità di un bambino morto, figlio di uno scienziato, trapiantata in un tenero androide dalle fattezze del caro defunto diventa protagonista delle storie, che diventeranno anche una serie animata televisiva in bianco e nero nel 1963, destinata a diventare celebre come prima serie giapponese importata negli USA, con il titolo di “Astroboy”. Ragazzi con innesti cyborg che combattono la malvagia organizzazione Black Ghost saranno protagonisti di Cyborg 009 di Shotaro Ishimori, serializzati su carta dal 1964 e trasposti in animazione nel biennio 1966/67, con due film animati per il cinema, mentre nel 1968 fu tratta la serie televisiva. Il primo robot di forma zooide ad essere protagonista fu Doraemon, gatto robot col marsupio dai contenuti pressoché illimitati, creato da una coppia di disegnatori chiamata Fujiko Fujio e trasposto in animazione nel 1973 e in una serie remake negli anni 90'. Nel 1972 Go Nagai crea il robot Mazinger Z per la casa produttrice TOEI Animation, e per la prima volta nella storia dell'entertainment nipponico l'umano protagonista pilota dall'interno, in fusione mentale e fisica, il robot, mentre nel 1973 viene creata sempre dallo stesso autore l'ammiccante, irriducibile e fascinosa Cutie Honey, androide dalle prosperose forme femminili in grado di trasformarsi in sette personaggi differenti, che combatte contro un super gruppo di formose donne androidi/mostro (Black Panther) e il perbenismo istituzionale macchiettistico della direttrice dell'istituto femminile in cui Honey vive. I robot del prolifico Go Nagai continueranno negli anni con Great Mazinger (“Il Grande Mazinga”, 1974-75), Getter Robot (1974-75), Getter Robot G (“Getta Robot”, 1976), Kotetsu Jeeg (“Jeeg Robot d'acciaio”, 1975-76) e Ufo Robot Grandizer (“Atlas Ufo Robot”-Goldrake, 1975-1977). E' interessante notare che i robot cominciano ad entrare in contesti fino a quel momento avulsi a SCI-FI GATE 47


SCI-FI ANIME loro come i kaiju eiga (film di mostri). Nel film dal vivo Chikyu Kogeki meirei- Gojira tai Jigan (“Gozilla contro i giganti”, 1972) di Jun Fukuda fanno la loro prima apparizione robot mostri che combatteranno contro l'enorme lucertolone radioattivo. Anche nelle serie dal vivo tokusatsu (effetti speciali) qualcosa sta cambiando e l'elemento robotico comincia ad infiltrarsi nelle storie. Nel serial live “Spectreman”, prodotto dalla Fuji Television nel 1971, il protagonista George Gamo (George Kandor) trasformandosi in un gigante combatte robot mostri altrettanto colossali. Realizzata nel 1971 e tratta dall'omonimo manga di Shotaro Ishimori, di qualche anno prima, la serie Kamen Rider parla del giovane motociclista Takeshi Hongo, a cui capita un incidente mortale durante una gara. Viene messo in salvo e trasformato in cyborg dall'organizzazione segreta criminale Shocker. cui però presto si ribella, diventando l’eroe noto come Kamen Rider. Negli anni successivi saranno altre serie tokusatsu a prendere a prestito l'elemento robotico, come nella serie live/animata Kyouryu daisenso I-Zenborg (“I-Zemborg”, 1977), dove i corpi meccanici dei due protagonisti Hai e Zen, fondendosi ed unendosi, diventano un robot gigante. Nel 1975 la serie tokusatsu nota come Himitsu Sentai Gorangen, di Shotaro Ishinomori, diventerà il prototipo di mille altre produzioni: cinque eroi, quattro ragazzi ed una ragazza, con i colori delle tute e dei caschi rosso, giallo, rosa, verde, nero, che combattono vari nemici, alla fine dell'episodio creano un robot gigante, formatosi dai cinque velivoli che all'occorrenza il gruppo usa, dopo un coreografico combattimento generalmente a mani nude. Se tutto questo vi ricorda le tantissime produzioni, tutt'ora in corso, dei sino/ americani “Power Rangers” non vi sbagliate, questa serie ne è stata il primissimo prototipo. Le produzioni con robot raggiungono livelli drammaturgici quasi amletici, con nemici tormentati come non mai, con le serie animate, inedite da noi, Raideen (1975-76), Con-Battler V (197677) e Chodenji Machine Voltes V

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(1977-78), per la regia di Tadao Nagahama, futuro regista di alcuni episodi della serie shojo Versailles No Bara (“Lady Oscar”). I robot sono ancora tre modelli singoli combinabili in una forma umanoide più grande, come i modelli nagaiani (soprattutto quelli di Getter Robot), che facevano la gioia dei produttori di giocattoli Popy (la futura Bandai). Nell'aprile 1977 lo studio Nippon Sunrise, sulla base delle esperienze accumulate nella precedente serie Raideen, inaugura un nuovo filone robotico, quello edipico, in cui i valori del padri non vengono più accettati (o accettati di malavoglia) dai figli. Citiamo Muteki Chojin Zanbot 3 (“L'invincibile Zambot 3”, 1977), Muteki Kojin Daitarn 3 (“L'invincibile uomo d'ac-ciaio Daitarn 3”, 1978) e, soprattutto, la mitica e rivoluzionaria Kidosenshi Gundam (“Guerriero meccanico Gundam”, 1979), tutte dirette da Yoshiyuki Tomino. In queste tre serie, ma soprattutto in Gundam, il robot diventa un mero meccanismo di guerra, uno strumento spersonalizzato costruito in più esemplari e reso il più realistico possibile per gli spettatori. L'alone quasi mitico che permeò la figura del robot in tutte le serie precedenti (soprattutto della TOEI Animation) viene così spazzato via, Gundam diventa un grandissimo successo commerciale con la vendita dei modellini del Mobil Suit, che continua sino ai nostri giorni. Nel 1980 viene creata dalla Ashi Productions una serie robotica singolare e sfortunata, tra la space opera, con personaggi amatissimi dai fan (l'indomita Rosa Aphrodia che assomiglia a Lady Oscar), e la SF più rinomata, dove il robot è solo elemento di contorno, intitolata Uchu Senshi Baldios (“Baldios, il guerriero dello spazio”, 1980), interrotta all'episodio 31, proprio nella fase cruciale della sua storia, a causa degli indici d’ascolto bassi, proprio quando gli ultimi otto episodi erano stati già pianificati ma purtroppo mai realizzati. Il 29 dicembre 1981 Baldios risorge per volontà dei fan e grazie al sostegno delle riviste di animazione in un film inedito, dal titolo laconico Baldios The Movie, che ne illustra il travolgente ed apocalittico finale. Bisogna aspettare invece il 1982 per vedere i 32 episodi della serie culto Choji Sora Yosai Macross (“Fortezza ultra spazio temporale Macross”) di Shoji Kawamori, prodotta dallo Studio Nue e Big West per assistere ad una nuova concezione di robot realistico e di storia d'amore. I Valkyrie sono aerei da guerra trasformabili in tre moduli, di cui uno è anche in una forma umanoide stilizzata, i meccanismi delle astronavi e dei moduli robotici di combattimento sono estremamente curati, in maniera tale da creare un nuovo tipo di merchandising ludo-bellico, prodotto poi dalla Takatoku Toys. La storia d'amore nasce e cresce tra un giovane pilota di Valkyrie e una cantante idol dal nome esotico di Lynn Minmay (disegnata dal fine tratto di Haruhiko Mikimoto) e viene raccontata anche tramite le musiche e le parole delle canzoni della giovanissima idol. Nel 1984 verrà prodotto un film per il cinema intitolato Macross – Ai Oboete imasu ka (“Macross, Ricordi l'amore?”) che è anche uno dei titoli delle canzoni della graziosa e ingenua adolescente infiocchettata Lynn Minmay. Nel 1987 venne prodotta direttamente per l'Home Video (e quindi chiamata OAV,Original Anime Video) una serie intitolata Bubble Gum Crisis, diretta da Toshimichi Suzuki, in cui quattro ragazze che combattono il crimine tecnologico vengono rivestite di potentissime armature corazzate, che aderiscono però ai loro corpi come delle perfette silhouettes e da cui emerge la loro seducente e prorompente figura femminile. Questa fusione estetica tra il corpo femminile e la macchina già intravista nel “Metropolis” di Fritz Lang non era ancora stata raffigurata in questo modo nell'animazione giapponese. Non più “semplice” robot quindi, ma l'umano che diventa cyborg. Nel 1995 la più completa e mistica fusione tra metallo e suadente corpo femminile si avrà con il personaggio del cyborg Motoko Kusanagi nel seminale capolavoro “Ghost In The Shell” (Kokaku Kidotai), pellicola animata per il cinema diretta dal regista Oshii Mamoru e tratta molto liberamente dall'omonimo manga di Masamune Shirow. Il regista Oshii tornerà sul personaggio di Motoko molti anni dopo, nella pellicola animata Ghost In The Shell 2: Innocence, del 2004. Nel 1988 nasce l'originale progetto “Patlabor” (Kido Keisatsu Patlabor), serie OAV, serie televisiva e tre film di animazione, per la massima parte con la regia di Mamoru Oshii e del gruppo Headgear, in cui il robot subisce un'altra capitale trasformazione: non più macchine usate a fini bellici ma elaborati mezzi bipedi a forma umanoide (dal nome Ingram), prodotti in serie, che la polizia metropolitana di una Tokyo del 1988 ha in dotazione per far fronte al nuovo crimine tecnologizzato. Nel 1995 tutto cambia nuovamente, il nuovo si fonde sapientemente con il vecchio e nasce la serie televisiva animata dello studio di produzione Gainax dal titolo “Neon Genesis Evangelion” (Shin Seiki Evangelion) per la regia di Hideaki Anno. Qui le misteriose macchine umanoidi multifunzione, dalla forma longilinea, denominate EVA accolgono giovani ragazzi e ragazze nel loro grembo materno in perfetta fusione di spirito e corpo, il robot è nuovamente credibile e realizzato nei minimi dettagli. Il suo grandissimo successo impone alle case di produzione di giocattoli i colori meno accesi e fino a quel momento aborriti, come il verde e il viola per l'unità EVA 01. Un anno dopo, la Sunrise produrrà la serie televisiva Tenku no Esukafurone (“I cieli di Escaflowne”, 1996) che immette il concetto del robot nel fantasy (non per la prima volta, data la serie precedente Rayheart, tratta dal lavoro del gruppo di fumettiste Clamp), cui viene aggiunto sapientemente il magico mondo della “visione” e dei tarocchi e una storia molto articolata e complessa. I grandi robot con mantelli e lunghi spadoni hanno meccanismi che ricordano da vicino il genere steampunk, fuso armoniosamente con la concezione di mecha robotico giapponese. Nel 1998 la nuova serie di OAV Shin Getter Robot immette il robot componibile di concezione nagaiana degli anni '70 in un contesto più inquieto, terribile, dannato e apparentemente senza speranza, inventandosi un sofisticato e titanico prototipo da combattimento del vecchio Getter, vivificato da demoniaci bulbi oculari che fissano inquietantemente lo spettatore. La serie della Gainax (senza però l'Hideaki Anno di Evangelion) Tengen Toppa Guren Ragan (“Gurren Lagann”, 2007) fa tornare in auge dopo molti anni i robot componibili di stile nagaiano, con tre piloti che hanno il comando di tre componenti del robot, in uno stile volutamente deformato e deformante. In questo caso la meccanica del robot non funziona perfettamente come nel trentennio passato, anche a causa di trapani/trivelle inverosimili ma molto importanti per la storia, riuscendo a ricreare però perfettamente, questo si, il mito glorioso del robot degli anni '70.

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narrativa

I

mmaginatevi un pianeta del tutto privo di metalli, con un raggio di 26.000 km e un diametro equatoriale di 160.000, grande circa quindi quattro volte la terra, e che solo grazie alla sua bassa densità (l'assenza di metalli) è paragonabile per gravità a quella terrestre. Aggiungeteci che questo mondo, grazie alla sua estensione e gravità, è stato popolato dai terrestri fuggiti o semplicemente espatriati, formando stati, regni, territori indipendenti, creando anche delle comunità "aliene". Colonizzato da decine di piccoli gruppi, composti da fanatici religiosi, spostati, eccentrici miliardari e ogni genere di minoranze a disagio nella pur progredita società terrestre, il mondo in questione ospita società eccentriche e diversissime tra loro, dai semibarbarici gitani ai raffinati e snob (almeno in apparenza) abitanti di Kirstendale.

di un sabotaggio interno, si schianta sul pianeta a 60.000 chilometri dalla colonia terrestre, e lo sparuto gruppo di sopravvissuti dovrà percorrere quella distanza enorme con i pochi mezzi che riuscirà a reperire, con l'aggravante di avere tra i componenti un traditore, senza contare che il sabotatore è riuscito a fuggire e ad avvisare i soldati del Bajardum.

Ecco quindi il Grande Pianeta. Qui si sviluppa l'odissea di Claude Glystra, inviato dal governo centrale della Terra, per indagare su un presunto contrabbando di armi (il pianeta, essendo privo di metalli, non possiede armi, energia elettrica, comunicazione a distanza aerei, ferrovie etc.) e per contrastare Charley Lysidder, il malvagio e astuto Bajarnum del Beaujolais, presunto responsabile di tale contrabbando, il quale, a causa delle sue mire espansionistiche sull'intero pianeta, necessita di armi e di metallo. Ma l'astronave che trasporta il nostro eroe, a causa

Glystra comunque non si abbatte ed inizia la marcia verso la colonia terrestre, incontrando nell'estenuante viaggio foreste, animali carnivori, strane società, affrontando tradimenti e molto altro. Al gruppo si unisce anche Nancy, una graziosa nativa, che poi avrà un ruolo determinante nella parte finale della storia. Questo romanzo è una delle prime opere di Jack Vance, e leggendolo si riconoscono i temi tanto cari all'autore, innanzitutto il protagonista che cerca di portare a termine un compito

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a piedi, su un pianeta sconosciuto), poi la capacità di creare e descrivere sistemi sociali esotici, strani ma sempre credibili nella loro ferrea logica esistenziale. Vance, nei suoi romanzi, suscita sempre meraviglia e divertimento, sorprendendoci con le sue trovate. Ad esempio, l'invenzione della monolinea è grandiosa (immaginatevi una corda tesa attraverso centinaia di km con un palo a tenere tale corda ogni 15 metri, a cui sono legati dei carri di legno per il trasporto), il particolare sistema alberghiero di Kirstendale (città fondata da milionari che non volevano pagare tasse sulla Terra, ma che sul Grande Pianeta, per mantenere il loro tenore di vita, a turno fanno i portieri d'albergo, i vetturini, i facchini etc). Ci troviamo quindi di fronte ad un romanzo pieno di idee, di popolazioni e società diverse dalla nostra, di trovate ingegnose, che inducono ad una lettura sempre attenta e partecipe.


"L'odissea di Glystra" ha un evidente punto in comune con il "Ciclo di Tschai", là ove è il pianeta il vero protagonista dell'opera. Un romanzo di facile lettura, quindi, mai banale, non impegnativo ma divertente e rilassante come la maggior parte delle opere di Vance, il quale, con questa sua idea del Grande Pianeta, ha aperto la strada ad autori come Larry Niven e al suo "Ringworld", Bob Shaw e la sua immensa "Sfera di Dyson", sino a giungere all'incredibile disco immaginato da Charles Stross in "Universo distorto". Concludo consigliando, a chi ancora non lo avesse fatto, la scoperta o riscoperta delle altre opere di Vance, dal "Ciclo di Tschai" a quello dei "Principi Demoni", dal "Ciclo degli Asutra" alla "Trilogia di Durdane" e al "Ciclo della Terra Morente", uno più bello dell'altro!

L’odissea di Glystra (The Big Planet), di Jack Vance, uscito per la prima volta su “Startling Stories”, 1952. Pubblicazioni italiane: “Urania”, Arnoldo Mondadori, n. 177 (1958) e n. 680 (1973, ristampa), poi in “Urania collezione” n. 66 (1975) e “Classici di Urania” n. 86 (1984). Tradotto da Hilia Brinis.

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anem et Circenses: ovvero “pane e divertimenti”. Una locuzione latina attribuita a Giovenale che afferma sostanzialmente che, in cambio di pancia piena e spettacoli, il popolo avrebbe rinunciato alle proprie responsabilità politiche e, di conseguenza, al proprio potere. Locuzione che è l’essenza stessa di “Hunger Games”, fortunata e pluri-ristampata trilogia di Suzanne Collins, dalla quale sono già stati tratti due film (il secondo è uscito a fine novembre) ed altri due, entrambi tratti dall’ultimo volume della trilogia, sono schedulati per i prossimi due anni, in omaggio al detto: “non uccidere (troppo presto) la gallina dalle uova d’oro!” E’ notizia di questi giorni però che il secondo film, in America, non abbia incassato quanto ci si aspettava. Panem et Circenses dicevamo. E guarda caso, Panem è proprio il nome della nazione dove è ambientata la storia. Una nazione composta da Capitol City, superficiale, frivola ed opulenta cittàstato ai cui abitanti è diretto il senso della locuzione di cui sopra, e da 12 distretti (ma una volta erano 13) che producono di tutto e dai quali Capitol City di fatto dipende, ma tenuti in stato di sostanziale schiavitù. Quanto ai “Circenses”, questi sono proprio gli Hunger Games. I giochi della fame, letteralmente. Quando infatti gli abitanti del 13° distretto insorsero contro Capitol City ne derivò una guerra sanguinosa che si concluse con la completa distruzione del distretto. Da allora, per “ricordare” agli abitanti degli altri distretti di quelli che la Collins chiama “i giorni bui”, Capitol City ha inventato gli Hunger Games: una volta l’anno in ogni distretto, nel giorno della “mietitura” (chiamarla “nomination” era forse troppo sfacciato), vengono estratti a sorte i nominativi di due tributi, un maschio ed una femmina, scelti esclusivamente tra i ragazzi tra i 12 ed i 16 anni. I 24 tributi così individuati vengono… deportati a Capitol City e, dopo un breve addestramento durante il quale intravedono l’opulenza della capitale, vengono al fine rinchiusi in un’arena a combattere a morte tra di loro, fin quando non ne resterà uno solo, che assicurerà a sé stesso, alla sua famiglia, e marginalmente al suo distretto almeno di che mangiare per tutto l’anno successivo. Il tutto è ripreso dalle telecamere e trasmesso sui televisori di tutti gli abitanti di Capitol City con tanto di presentatori, interviste, rubriche di approfondimento, riassunto dei momenti salienti della giornata, nella migliore tradizione dei peggiori reality show. Hunger Games non è inquadrato precisamente né geograficamente né temporalmente. Sappiamo che ci troviamo sulla Terra, certamente, in un futuro presumibilmente non

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troppo prossimo per la presenza di hovercraft e per la straordinaria capacità di Capitol City di creare, tramite mostruose manipolazioni genetiche, ibridi letali. Nel terzo romanzo la Collins fa riferimento (sempre guarda caso) all’antica Roma come ad un impero che aveva prosperato “migliaia di anni fa”. E questo è tutto. Sappiamo anche che questa “cura” è andata avanti uguale a sé stessa per 73 anni, durante i quali i distretti si sono visti regolarmente strappare di mano i propri figli solo per vederli morire in televisione per l’esclusivo divertimento del sanguinario pubblico di Capitol City. Fin quando, in occasione dei 74° Hunger Games, nel più povero e bistrattato distretto 12 non viene “nominata” la piccola Primrose Everdeen, la sorellina dodicenne di Katniss, che prontamente si offre volontaria al suo posto. Solo che Katniss ha solo 16 anni, non è particolarmente coraggiosa, né forte, né sicura di sé, anzi. Il distretto 12 è quello delle miniere di carbone, ed il padre di Katniss era morto nelle miniere anni prima, lasciando la famiglia senza alcun sostentamento e la madre incapace di reagire al lutto. Dopo la morte del padre, Katniss era stata costretta a fare di necessità virtù ed aveva imparato a cacciare nei boschi (cosa che sarebbe anch’essa proibita) con l’inseparabile amico Gale e coi risultati della sua caccia riusciva a sfamare la sua famiglia ed aiutare quella di molti altri, al distretto. Ma Katniss ha anche un debito di riconoscenza… e i debiti di riconoscenza non vanno molto d’accordo con le lotte all’ultimo sangue. Questa è la situazione che descrivono i primissimi capitoli del primo volume. Poi la vicenda si dipanerà attraverso i 74esimi ed i 75esimi Hunger Games, l’ “edizione della Memoria”, fino all’inevitabile conclusione. La Collins sostiene di aver avuto l’idea dei giochi facendo zapping, in televisione, tra le immagini dei finti reality show e quelle della vera guerra. I romanzi sono scritti in uno stile molto piacevole, adatto ai ragazzi, ed in effetti la trilogia è diretta ad un pubblico adolescente, almeno nelle intenzioni, perché poi alcune sequenze soprattutto nel terzo libro sono francamente piuttosto crude. Ma leggendola la cosa più interessante è che questi Hunger Games sembrino prendere a prestito molto dal nostro passato, più o meno recente, e dal nostro presente. Il paragone ovvio sono le arene dei gladiatori dell’antica Roma, i Circenses appunto, i giochi del circo, dove gli schiavigladiatori provenienti da ogni angolo dell’impero si scannavano tra di loro per il piacere dell’Imperatore e del pubblico. Il paragone un po’ meno ovvio ma altrettanto evidente è dato dai distretti, nei quali le condizioni di vita sono terribili, e che vengono descritti – il distretto 12 almeno – come un Auschwitz giusto un pelo meno estremo, con tanto di neve e di recinzioni di filo spinato elettrificato. Solo che Auschwitz è durato 4-5 anni, non 74. E poi c’è il presente, con i nostri reality show che un po’ vanno anche loro in questa direzione: anche il pubblico di Capitol City può infatti decretare, con i propri voti, le proprie simpatie, a quali tributi indirizzare preziosissimi doni (cibo, acqua, armi o medicine) e chi invece ignorare e di fatto condannare a morte. E poi c’è la guerra, naturalmente, a completare il quadro descritto da questi romanzi di fanta-realtà. Hunger Games è una bella trilogia, che giusto nell’ultimo volume si concede qualche lungaggine di troppo, ma era forse inevitabile dopo aver tenuto i lettori sulla corda per i primi due

volumi. Il primo film è piuttosto aderente al primo volume, a parte una sensazione generale di “affrettamento” e, soprattutto, la quasi totale assenza di uno dei protagonisti assoluti del libro, che da’ anche il titolo: la fame. Fame che nel libro governa le azioni, i pensieri e le decisioni di Katniss ma che nel film quasi non si percepisce affatto. Il film tende inoltre a rendere troppo ed inutilmente fantascientifica l’ambientazione di base, privando la storia della sua componente più importante: che la storia che narra non necessariamente è lontana da noi perché l’uomo ha già fatto, tranquillamente, ben di peggio.

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INTERVISTA

I ROBOT PRECARI DI DAVIDE TARO’

Intervista di Elena Romanello

A

ppassionato ed esperto di manga ed anime ma anche di cultura geek in generale, Davide Tarò ha recentemente pubblicato il suo primo romanzo, EMINA Orfani RoboT, per la casa editrice 001 Edizioni di Torino, che da sempre si occupa di fumetti d’autore di varia provenienza, e che è anche lei al debutto nella narrativa. Un omaggio a Goldrake e ai cartoni animati giapponesi, ma anche una riflessione, non sempre tenera e positiva, su una generazione, come ci racconta appunto l’autore. ***

Come è nata l'idea di EMINA OrfaniRoboT? L'idea è nata nel 2009, quando avevo trentatré anni e ho pensato come dovesse essere un romanzo fantascientifico sull'animazione giapponese, fuso con la realtà “vera” di tutti i giorni e dei nostri tempi. Il risultato era una terra ucronica dove Goldrake/Grendizer poteva davvero ben essere esistito segretamente, tra le pieghe nascoste della storia recente oltre che essere il cartone animato giapponese che conosciamo, e se questo fosse successo, COSA e COME sarebbe davvero cambiato il nostro mondo? Ho pensato inoltre di fondere queste tematiche con le tematiche della generazione precaria 'da 1000 euro al mese' (quando va bene), constatando che la generazione che amava gli anime e Goldrake/Grendizer quando arrivò in Italia ed in Europa, era la stessa che ora più o meno in tutta l'Europa (ma soprattutto in Italia) doveva fronteggiare la precarietà e la disoccupazione forzosa, nemici questi ben più letali e subdoli degli invasori spaziali di Vega. EMINA OrfaniRoboT non vuole assolutamente essere un romanzo ironico, o leggero, che irride o cita superficialmente gli anime come Goldrake/Grendizer... vuole essere piuttosto un romanzo che fonde seriamente gli anime con una realtà molto vicina alla nostra che io chiamo 'Animeucronia' (da 'Anime': termine coniato dai giapponesi per definire l'animazione, e 'Ucronia' dal greco nessun tempo) e che verrà sviluppata in altri miei romanzi e racconti. Quanto pensi che l'animazione giapponese abbia influenzato, nel bene e nel male, la tua generazione? Moltissimo. Penso che se ora la mia generazione conoscesse a memoria il codice civile o penale, o meglio i diritti che le spetterebbero invece che le sigle (pur mitiche) degli anni Ottanta, la storia non sarebbe andata come è andata, soprattutto in Italia, soprattutto dopo la Legge Biagi. SCI-FI GATE 54


Secondo te, cosa avevano di così strano e innovativo i robottoni e le altre storie di manga ed anime? Tutto. Avevano quel senso del sacrificio per il bene comune, non una idilliaca visione di mondo, ma avevano ben chiaro come questo mondo dovesse essere e che purtroppo non era, e i personaggi facevano del loro meglio, sempre per cambiare le sorti della partita e sempre con i valori della fratellanza duramente imparati ed acquisiti con il proprio sudore della fronte. Dopo anni di intrattenimento animato basato sui valori a stelle e strisce, dove tutto era dato per scontato ed acquisito alla nascita, creò non pochi sconvolgimenti questo sforzo enorme per essere persone buone da parte di personaggi umani, in disaccordo con la visione manicheista di scuola Disneyana di 'essere persone buone' tout court, dalla nascita come un diritto divino. Il tuo libro potrebbe dare vita secondo te ad un nuovo filone letterario basato sull'immaginario fantastico? Chiamo 'Animeucronia' questo filone, in effetti sono stato molto onorato e fortunato ad essere menzionato e ad avere partecipato al PREMIO ITALIA della WORLD SF 2013 perché capisco perfettamente come questo “mio” filone narrativo possa destabilizzare per esempio i lettori abituali di fantascienza (genere molto affine a questo romanzo) producendo il risultato di non sapere dove piazzarlo effettivamente. Il PREMIO ITALIA WORLD SF 2013 ha giudicato EMINA OrfaniRoboT un libro di fantascienza, io ne sono fiero,

felice e pienamente d'accordo. Cosa pensi della cultura otaku e della cultura fantastica in Italia? Penso che, come tutti i settori, soffra di estrema parcellizzazione culturale. Molti pensano al proprio orticello e non fanno 'rete', tutti dicono la loro, pochi fanno qualcosa di concreto per aiutare a diffondere la cultura fantastica. Pochi ma buoni, almeno. Prossimi progetti? Ho finito di scrivere il soggetto e la sceneggiatura per Ankoku Grendizer Fan Movie del regista Daniele Spadoni, disponibile in rete dal Dicembre scorso. Inoltre a fine ottobre uscirà nelle librerie una antologia di racconti fantastici dal titolo TOnirica a cura di Alessandro Del Gaudio dove farà la sua comparsa KODOMO TauriNoruM, un mio piccolo “continuo sui generis” di EMINA OrfaniRoboT, leggibile e godibile però in perfetta autonomia dal romanzo. Ho inoltre scritto il breve racconto di fantascienza Corazzata Spaziale Mussolini, che ha partecipato al premio 'Stella Doppia' dei ragazzi di Delos Book nel 2012 ma che è ancora temporaneamente inedito: un progetto che conto di ampliare come portata concettuale e come numero di pagine nell'immediato futuro. Mentre nel 2014 dovrebbe vedere la luce il mio secondo romanzo sull' 'Animeucronia'... ma non sarà un continuo di EMINA OrfaniRoboT... sarà qualcosa di totalmente nuovo e diverso!

CORAZZATA SPAZIALE MUSSOLINI di Davide Tarò Sopra i cieli dell'Italia della seconda guerra mondiale, una corazzata vola libera e ribelle... XXI Anno dell'era fascista, un ragazzo delle campagne italiane, Attalo Agricanto di anni dieci , viene salvato dalla Corazzata Spaziale Mussolini...“Tu sia il benvenuti sulla Corazzata Spaziale Mussolini!” si sente urlare a bordo. “Io, comandante Furio Matteotti, ti invito ad entrare! Il mio vessillo è libertà...Ecco, tutto ciò che rifugge il Fascismo io e il mio equipaggio dentro la corazzata, la nostra nuova casa e patria, lo avremmo perseguito con una forza centuplicata. Con il sudore ed il sangue delle nostre anime libere” parole che come anime disperse nel vento danno forza alle bandiere ed ai vessilli. “Ormai in volo nello spazio quindi, decisi così che la Corazzata Spaziale Mussolini sarebbe diventata la Corazzata Misterioso Futuro” Queste le ultime parole sentite dal Fascio prima che la Corazzata prendesse il volo, non autorizzata, e si eclissasse nei cieli per sempre. FINO ad ORA. Anno attuale: 1945 Luglio, Ubicazione: Pianeta Terra. Un nuovo capitolo dell'ANIMEUCRONIA: I personaggi, le astronavi e la tecnologia di questa opera (come già nel primo romanzo di Tarò, EMINA OrfaniRoboT) si muovono, funzionano con un preciso scopo, sono figli di una storia risorgimentale “realmente” esistita quasi identica alla nostra, e di una storia degli anni venti del secolo che arriva spietata (e segreta) fino all'esplosione delle bombe nucleari in Giappone, nel 1945. Tutto sembra parlare della nostra realtà quindi... ANIMEUCRONIA, termine per un “genere” letterario coniato da Davide Tarò stesso, che deriva dalla infausta ed empia fusione di anime (cartone animato giapponese) e ucronia (nessun tempo) per dare vita ad una storia che si svolge in una realtà assai simile alla nostra, ma che per qualche evento storico diverso ha creato, per esempio, una multinazionale che produce robot Simulacra assai simili a quelli che si vedevano negli anime robotici degli anni '70 a Torino.... o la costruzione di una Corazzata Spaziale poco prima della Seconda Guerra Mondiale assai (troppo) simile a quella che si vedrà in televisione una trentina di anni dopo nella serie Corazzata Spaziale Yamato di Leiji Matsumoto . Si scoprirà il perché di questi occulti legami solo all'apparenza, forse, pretestuosi. Una realtà anime ucronica assai più vasta ed espandibile, e che si sta espandendo, in altri titoli ed opere che lo scrittore Davide Tarò sta tessendo... CORAZZATA SPAZIALE MUSSOLINI di Davide Tarò autore del romanzo EMINA OrfaniRoboT edito da 001Edizioni ( Collana Ungraphic), già segnalato al prestigioso premio di Fantascienza edizione 2013 del WORLD SF ITALIA. Illustrazioni di Andrea Gatti

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