Raccontare il gioco scout 2

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€ 11,00

ISBN 978-88-8054-893-5

Raccontare il gioco scout

Raccontare il gioco scout • Con questo libro, curato da Vincenzo Schirripa, il Centro documentazione prosegue la sua attività volta a conservare, diffondere e valorizzare la memoria associativa. Memoria che non è costituita solo da documenti ma anche da persone significative per la storia associativa che raccontano la loro esperienza scout, come sono venuti in contatto con lo scautismo e quali tracce indelebili esso ha lasciato nella loro vita. I personaggi e gli anni qui presi in considerazione sono quelli immediatamente seguenti la fusione fra Asci e Agi e la nascita dell’Agesci. In tutti gli interventi si respira l’entusiasmo di quegli anni, la convinzione e quindi la capacità di costruire qualcosa di nuovo sia pur nella fedeltà profonda ai valori dello scautismo.

testimonianze scritte dagli anni ottanta dell’Agesci

Introduzione • Nota del curatore • Franco La Ferla Ornella Fulvio • Ottavio Losana • Agnese Cini Tassinario • Giancarlo Lombardi • Claudia Conti • Maurizio Millo • Alessandro Alacevich • Cristina De Luca • Lele Rossi • Anna Contardi • Roberto Lorenzini • Federico Colombo • Giulia e Romano Forleo • Antonio Albites Coen • Annamaria Mezzaroma • Gualtiero Zanolini • Tavola rotonda • Profili dei testimoni •

edizioni scout fiordaliso

Quaderni del Centro Documentazione Agesci

edizioni scout fiordaliso

Centro Documentazione Agesci 2

Raccontare il gioco scout


ISBN 978-88-8054-893-5

Incaricata del Comitato editoriale @ Laura Galimberti • A cura di @ Vincenzo Schirripa • segreteria Centro Documentazione @ Maria Cristina Bertini • Progetto grafico @ Giovanna Mathis • Impaginazione Luigi Marchitelli • Fiordaliso soc. coop. @ Corso Vittorio Emanuele II, 337, 00186 Roma, www.fiordaliso.it • Finito di stampare @ dicembre 2011 Centro Documentazione Agesci @ Piazza Pasquale Paoli 18, 00186 Roma • telefono 06 68166203 • fax 06 68166236 • www.agesci.org/centrodocumentazione/home • e-mail: biblio@agesci.it


Quaderni del Centro Documentazione Agesci

a cura di Vincenzo Schirripa

Raccontare il gioco scout testimonianze scritte dagli anni ottanta dell’Agesci



Indice

Michele Pandolfelli

Introduzione

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Vincenzo Schirripa

Nota del curatore

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Franco La Ferla Ornella Fulvio Ottavio Losana Agnese Cini Tassinario Giancarlo Lombardi Claudia Conti Maurizio Millo Alessandro Alacevich Cristina De Luca Lele Rossi Anna Contardi Roberto Lorenzini Federico Colombo Giulia e Romano Forleo Antonio Albites Coen Annamaria Mezzaroma Gualtiero Zanolini

Per i ricordi più seri non c’è qui lo spazio Pulirono le scarpe di tutta la famiglia Un quintale di pane occupa una stanza Lo stile non è acqua Con Baden in canotto sul Rodano Alla Gervasutti non prendevano ragazze Il sapore del sale Una scuola di responsabilità Un cammino che si apre Oltre il volontariato, per un servizio adulto Mi regalarono Il libro dei capi Ci si accapigliava sulla coeducazione e la politica Il quadro come intellettuale morale Siamo capi a disposizione per narrare la nostra storia Dall’Asci all’Agesci, vent’anni dopo Sono una innamorata dello scautismo Esploratori dell’invisibile

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«L’esperienza si compie quando viene narrata»

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Tavola rotonda con Duccio Demetrio, Sergio Gatti, Paolo Jedlowski, Saretta Marotta, Anna Perale, Giuseppe Tognon

Profili dei testimoni

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Introduzione

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on questo libro, curato da Vincenzo Schirripa, il Centro documentazione prosegue la sua attività volta a conservare, diffondere e valorizzare la memoria associativa. Memoria che non è costituita solo da documenti ma anche da persone significative per la storia associativa che raccontano la loro esperienza scout, come sono venuti in contatto con lo scautismo e quali tracce indelebili esso ha lasciato nella loro vita.

I personaggi e gli anni qui presi in considerazione sono quelli immediatamente seguenti la fusione fra Asci e Agi e la nascita dell’Agesci. In tutti gli interventi si respira l’entusiasmo di quegli anni, la convinzione e quindi la capacità di costruire qualcosa di nuovo sia pur nella fedeltà profonda ai valori dello scautismo. Mi auguro che questo entusiasmo, questa freschezza e voglia di costruire possa contagiare nel profondo il lettore e l’Associazione.

scout raccoglieva le trascrizioni di ventidue testimonianze orali, il dato delle esperienze significative che lo scautismo ha offerto, da bambini o ragazzi, agli autori degli interventi: episodi forti di vita all’aperto, incontro con adulti significativi, avventure, imprese, giochi affascinanti. È comune altresì il

Introduzione

È comune al volume precedente, che sempre con il titolo Raccontare il gioco

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riconoscimento dell’apporto rilevante che lo scautismo ha impresso alla vita familiare, professionale, sociale e politica degli intervistati per il tramite dell’educazione del carattere, dello spirito di avventura e del saper lavorare di squadra.

Anche in questo caso mi auguro che il lettore scout ne venga contagiato, riflettendo sull’importanza della qualità dell’esca per i ragazzi: attività impegnative, entusiasmanti ed evocative che lascino il segno dell’educazione scout nella preparazione agli impegni della vita adulta.

Il volume si completa con una tavola rotonda sul rapporto fra esperienza e

Raccontare il gioco scout

narrazione, tradizione e mondo simbolico nello scautismo: «L’esperienza si compie quando viene narrata». Abbiamo pensato di concludere la raccolta delle testimonianze chiedendo ad alcuni esperti una riflessione sulla narrazione, strumento di cui già intuiva le potenzialità Baden-Powell quando ha impostato Scouting for Boys in forma di “chiacchierate” con i ragazzi. La tavola rotonda ci offre così una lettura a più voci, talora esterne ai nostri abituali orizzonti, e ci arricchisce di conferme e suggerimenti su un tema molto rilevante per gli educatori. Anche la più recente riflessione associativa ha toccato il tema della narrazione come strumento peculiare e fondamentale dello scautismo, del lupettismo, del roverismo: riscopriamone, anche attraverso questa raccolta, tutte le incredibili possibilità. La narrazione, infatti, non è solo comunicazione di un’esperienza ma è una consegna di valori e messaggi con intenzionalità educativa, mai del tutto unidirezionale; raccontare, prendersi cura delle forme e dei contenuti, dei tempi e dei luoghi, delle relazioni che questa pratica intesse e delle condizioni che la rendono feconda, ci consente di coltivare ricche risorse di esperienza e memoria in una forma accessibile per i ragazzi, e non solo per loro.

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Michele Pandolfelli Incaricato nazionale alla Documentazione


Nota del curatore

Valgono per queste testimonianze le avvertenze di cui al volume precedente, e fra queste in particolare una: in questo libro è possibile mettere a confronto letture e punti di vista di alcune guide e alcuni scout che hanno par-

Nota del curatore

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uesto libro segue e in qualche modo completa il precedente Raccontare il gioco scout. Ventidue testimonianze dall’archivio orale dell’Agesci. La raccolta di interviste che diede corpo a quel volume aveva lasciato in dote al Centro documentazione alcune storie di vita scout, se così possiamo chiamarle, che per vari motivi erano state trasmesse per iscritto tramite Giovanna Pongiglione e Michele Pandolfelli. Si trattava di materiali densi e preziosi che tuttavia non potevano essere inclusi in quella raccolta di testimonianze rese a viva voce: era questa, infatti, la caratteristica del volume precedente. Ma a partire da quelle abbiamo pensato di lanciare lo sguardo un po’ più in là, oltre la vicenda dell’Agi e dell’Asci e della loro unificazione, per raccogliere un po’ di voci sugli anni ottanta dell’Agesci: sulla fase, cioè, che comincia ovviamente un po’ prima del 1980 e nella quale sedimentano i fermenti che hanno animato la fase fondativa dell’Associazione, se ne stabilizzano le strutture organizzative, se ne mette a punto la proposta metodologica sulla scorta di una entusiasmante stagione di confronto e di lavoro comune.

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tecipato a questa stagione dai vertici delle strutture associative, mentre sono meno presenti i livelli non apicali e le periferie dell’Agesci. Occorre tenerne conto, cogliendo a un tempo l’importanza di questi contributi e l’opportunità di aggiungere a queste altre voci.

Poco ho da aggiungere, se non che questo progetto ha camminato sulle intuizioni, sulla determinazione e sull’impegno di Maria Cristina Bertini: coloro che sono stati intervistati potranno testimoniare anche questo. Michele Pandolfelli ha già presentato la tavola rotonda conclusiva: mi limito ad augurarvi di leggerla con la stessa curiosità con cui l’abbiamo vista nascere e prendere forma; e grazie ancora a tutti.

Raccontare il gioco scout

Vincenzo Schirripa

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Franco La Ferla

Per i ricordi più seri non c’è qui lo spazio Costruire una capanna con i materiali trovati sul posto, sistemarsi per la notte con la squadriglia completamente isolata dal reparto, sentire i rumori del bosco che generano anche timore, intravvedere le stelle negli inevitabili buchi della copertura… beh, questa è una cosa che non si dimentica più.

no, e trovarono nell’oratorio salesiano vicino casa un luogo protetto dove potevo giocare e crescere. Ne erano molto contenti, tanto da farsi coinvolgere anche loro nei legami che univano i genitori a sostegno del gruppo scout. Come avviene poi quasi sempre, venuto il momento di fare il capo e di dedicare molto tempo ed entusiasmo a farlo, i miei genitori si prodigarono in buoni consigli sul pensare di più a me stesso, agli studi universitari da completare, al lavoro da intraprendere, alla nuova famiglia che intanto si era allargata. Fra i miei ricordi più belli il primo è la costruzione di una capanna al campo estivo, con il pernottamento della mia squadriglia sotto un cielo stellato che non ho più dimenticato. Costruire tane era già stata un’arte abituale nelle cacce di branco, ma costruire una capanna con i materiali trovati sul posto, sistemarsi per la notte con la squadriglia completamente isolata dal reparto, sentire i rumori del bosco che generano anche timore, intravvedere le stelle negli inevitabili buchi della copertura… beh, questa è tutt’altra cosa e non la si dimentica più. La si ripete da rover quando, in modo più sbrigativo, si sceglie in montagna un posto riparato fra le rocce: si ritrovano le stesse stelle e ci si accorge che si sta rivivendo la notte della capanna.

Testimonianze • Per i ricordi più seri non c’è qui lo spazio

Sono entrato negli scout per il motivo più abituale: i miei genitori lavorava-

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Il secondo ricordo è l’impresa in bicicletta da Torino a Oslo nel 1958, pochi mesi prima di compiere sedici anni. “Impresa” nel Torino XXIV era un termine usato con parsimonia: solo ogni due anni, quando si montava in bicicletta per visitare i paesi europei e, più tardi, anche la Turchia e il Marocco. L’impresa di Oslo fu particolarmente significativa. Intanto per il numero di partecipanti, cinquanta suddivisi in due file distaccate per non avere né creare problemi di traffico: oggi ce ne vorrebbero non meno di sei, di file distaccate… Il contorno del viaggio fu entusiasmante: le iniziative per raccogliere soldi e comperare cinquanta biciclette nuove fiammanti e ben attrezzate; gli allenamenti, non tanto per pedalare quanto per imparare ad andare in fila, trasferendo con le braccia segnali convenuti dal primo all’ultimo della colonna: svolta a destra o a sinistra, rallentare, stop eccetera (su una strada poco battuta provammo anche a viaggiare sulla sinistra, come avremmo dovuto poi circolare in Svezia); i contatti con la municipalità di Torino per i saluti da portare a quella di Oslo. Poi le iniziative al ritorno per raccontare con scritti, immagini, spettacoli il vissuto di quel mese di luglio. Il viaggio fu appunto una impresa: a dispetto della minuziosa preparazione non mancarono gli imprevisti – aver sbagliato giorno per il pranzo previsto con i tre calciatori svedesi, Gren, Nordahl e Liedholm, che avevano giocato in Italia – e le sorprese: due lauti pranzi presso gli ambasciatori italiani in Danimarca e Norvegia. Dal riferimento costante ai pranzi si capisce che questi sono i miei ricordi di allora in un’impresa a regime di cibi assai misurati, anzi, decisamente scarsi!

Per ricordi più seri non c’è qui lo spazio.

Raccontare il gioco scout

Questi due primi episodi sono legati soprattutto alla fortuna e al privilegio di aver avuto capi come Luciano Ferraris, Mario Dal Canton, Lullo Losana e assistenti ecclesiastici come don Dusan Stefani. Per ognuno di loro servono più pagine, e occorrerà scriverle.

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Il terzo ricordo è la route nazionale di branca Rover/Scolte alla Mandria (Venaria, Torino) nel 1975, la prima all’indomani della nascita dell’Agesci. Impressionante trovarci in cinquemila ed entusiasmante essere uniti dallo slogan «Costruiamo il nostro tempo»: nella società, nella Chiesa, nell’Associazione. Si definirono in quell’occasione delle modalità di incontro che si


Tutto quello che posso aver dato all’Associazione deriva dal fatto che mi è stato chiesto, direttamente o indirettamente. Non ricordo una sola azione che sia derivata da un mio propormi: mi sono quasi sempre limitato ad accettare, non sempre con entusiasmo, quanto mi veniva chiesto per servizio. Mi è sempre mancata la convinzione di essere io la persona giusta per qualcosa.

Testimonianze • Per i ricordi più seri non c’è qui lo spazio

sarebbero poi ripetute: forte preparazione nei clan a casa; campi mobili intergruppo con scambio di pensieri ed esperienze; campo fisso per ascoltare/partecipare a varie occasioni di approfondimento, spesso guidate da persone di grande rilievo provenienti da ambiti extra associativi, veglie e altro ancora. Carlo Guarnieri ha scritto che «la route è stato uno dei momenti più alti in cui il roverismo/scoltismo si è riconosciuto anche come un movimento di giovani che si vuole qualificare per la sua maturità e per la qualità del suo messaggio, in un momento in cui il clima sociale del nostro paese era caratterizzato da una diffusa insicurezza, dall’emergere del fenomeno della violenza politica e dalla crisi economica». Per me fu poi anche l’occasione di sviluppare un maggiore senso associativo, grazie all’incontro con persone significative come Giancarlo Lombardi. E poi ebbi la soddisfazione di coinvolgere più persone nella veglia Una nuova Torre di Babele, che voleva far riflettere sul significato che può avere un incontro di tante esperienze e suggerire un metodo per coglierne gli aspetti importanti e per stare in guardia dalla facile esaltazione favorita dal numero. La prima cosa viva e utile che devo allo scautismo è il rispetto dei primi due articoli della Legge scout, porre il proprio onore nel meritare fiducia ed essere leali: regole che mi hanno aiutato e spronato molto nel rapporto con gli altri, anche nella mia vita professionale. La seconda è il piacere di lavorare in gruppo, cavando il buono che c’è in ognuno di noi. La terza è l’importanza dell’esempio personale e dunque la necessità di tener conto del bene ma anche del male che possiamo fare con persone che guardano a noi con simpatia e attenzione. La quarta è la curiosità di spingersi un po’ oltre il dovuto: nelle cose da fare, in quello che si è già visto, che si sa, in quello che non ci compete ma ci interessa. La quinta è il viaggiare leggeri e dunque la ricchezza della sobrietà e della semplicità. La sesta è la concretezza, il fatto che mentre stiamo ancora parlando già cerchiamo di intravvedere anche il “da farsi”.

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Sono stato fortunato, perché una certa mia predisposizione all’ozio mi avrebbe fatto perdere le innumerevoli cose belle che lo scautismo mi ha permesso di vivere e avrebbe limitato la conoscenza di me stesso e la mia crescita. In branca Rover/Scolte, prima a livello regionale e poi nazionale, credo di aver portato qualche elemento di concretezza che era più proprio delle branche precedenti, consolidando la cultura di strumenti metodologici come la strada, la veglia, le tematiche ambientali, l’espressione, lo scouting in generale. Ricordo la stesura del primo regolamento metodologico, formidabile esperienza di raccolta di pensieri e ricerche di tutta la branca e poi di sintesi scritta di tutto ciò. Ricordo l’approfondimento della tematica del servizio extra associativo, che aiutò a connotare la branca come età educativa e non più solo come fucina di capi. Ricordo i Cantieri del nostro tempo che miravano a fornire competenze anche tecniche per costruirlo davvero, il nostro tempo.

Raccontare il gioco scout

Del mio servizio con la pattuglia nazionale Ambiente ricordo il salto cultura-

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le cui tutti venimmo forzati. Spinti da persone come don Tonino Moroni ed Enver Bardulla, comprendemmo per la prima volta la differenza fra educazione e pedagogia e ci sforzammo di rileggere il metodo dello scautismo in chiave di educazione ambientale. Curammo la sostenibilità di eventi come il campo nazionale esploratori/guide del 1983 e la route nazionale rover/scolte del 1986. Il lavoro fu lungo, serio e appassionante, con risultati però non duraturi. Si era riflettuto a fondo sui tre orientamenti dell’educazione ambientale: quello sull’ambiente, dove prevale l’educazione alla conoscenza e quanto poi ne consegue; quello attraverso l’ambiente, visto come ambito privilegiato per crescere, ma senza necessariamente conoscerlo a fondo o interagirvi fortemente; quello per l’ambiente, votato principalmente a intervenire in tema di protezione e sviluppo sostenibile. Pur nella necessaria integrazione fra le tre possibilità, la nostra scelta era per la seconda: ma forse non si è stati capaci di essere incisivi nel proporre, anche se gli strumenti furono elaborati sul campo e pure divulgati. Resta così il dubbio forte che in uno scautismo vissuto necessariamente come esperienza sporadica e di conseguenza sempre più intellettualizzata, e forse scolasticizzata, la natura e la vita all’aperto non riescano più a essere “ambiente come fattore di educazione”, ma si riducano a semplice sfondo o spazio fisico del tutto ininfluente


sullo svolgimento delle attività. Dove si può addirittura arrivare a fare delle attività all’aperto che meglio si sarebbero svolte al chiuso, evitando di trasportare con sé un vasto armamentario di attrezzature elettriche ingombranti. Bardulla conclude che, dopo lo sforzo di passare “dalla natura all’ambiente” che si è cercato di fare in Agesci, si tratterebbe oggi di compiere il percorso inverso: cioè riscoprire la natura, affinché essa possa essere davvero vissuta come ambiente e come ambiente educativo. In altri termini, si tratterebbe di riequilibrare l’accento posto rispettivamente sull’educazione su-attraverso-in favore dell’ambiente, nella consapevolezza che integrare la dimensione naturalistico-ambientale nel grande gioco dello scautismo in modo sufficientemente “naturale” riesce oggi di gran lunga più difficile di quanto non lo fosse in passato.

di insuccesso; feci solo due dei tre anni richiesti, in quanto mi sentivo fuori luogo. Per la prima volta di tutte quelle in cui avevo risposto «eccomi», capii che avevano chiesto alla persona sbagliata. Il servizio come Capo scout: anche qui mi sono sentito molto spesso al di sotto delle attese. L’impegno che si chiede a questa figura associativa è molto variegato e la fortuna/scappatoia è poi quella che si è comunque in due, Capo guida e Capo scout, per cui la vicinanza di Ornella Fulvio è stata associativamente preziosa. Io soccombevo spesso però, sia nel cercare di risolvere le liti associative come ultimo grado di giudizio nei casi di conflitto, sia nel presiedere il Consiglio generale. Il resto del servizio mi ha salvato, ma non così tanto dal rispondere «eccomi» a un secondo mandato.

Per tutto il resto invece non so valutare. Seguo sempre con affetto tutto l’operare dell’Agesci, cercando anche di contribuire un poco attraverso le colonne della rivista «R.S. Servire». Ma non sono capace di collegare l’allora con l’oggi. Mi sembra solo che le difficoltà del fare educazione siano molto aumentate rispetto a ieri; e la mia stima per quanti si buttano in questa avventura è sconfinata. Dunque, grazie.

Testimonianze • Per i ricordi più seri non c’è qui lo spazio

Dal mio servizio nel Comitato europeo dello scautismo ricavo invece un senso

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Ornella Fulvio

Pulirono le scarpe di tutta la famiglia

Raccontare il gioco scout

Al primo campo da guida, nella notte, le urla e le minacce di giovani “scherzosi” indussero la capo reparto a portarci tutte nei pressi di un casolare abitato da una famiglia dove il padre, fucile da caccia alla mano, minacciò urlando i disturbatori, che fuggirono; il giorno dopo alcune ragazze, tra cui Ornella, pulirono le scarpe di tutta la famiglia come segno di gratitudine!

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Maria Ornella Fulvio è nata a Como il 30 gennaio 1944. È entrata nell’Agi nel maggio del 1957 per un atto di volontà propria, forzando la mano ai genitori poco propensi: allora era quasi impensabile che una ragazza andasse in giro da sola. Era stata appassionata dalle trasmissioni dei coniugi [Riccardo] Varvelli [e Maria Ludovica Lombardi], che parlavano e mostravano in tv lo scautismo, tanto da imporsi alla propria famiglia. Ha fatto la Promessa il 23 dicembre dello stesso anno e percorso tutto il cammino scout fino alla Partenza. Dopo il campo di formazione, ha fatto la capo cerchio. Quel campo fu una esperienza molto bella, ancora viva nei suoi ricordi, anche perché in quella occasione ha conosciuto quella che ancora oggi è la sua più grande amica! Fare scautismo era ancora una avventura ulteriore per le donne: muoversi in uniforme ricordava le Piccole italiane del fascismo, sollecita-


Alla route di fuoco sulle Apuane, mentre si avvicinavano ad una cava, furono salvate da un giovane che, correndo loro incontro a proprio rischio, le fece mettere al riparo appena in tempo da una mina che sarebbe scoppiata pochi secondi dopo. Per problemi di salute ha lasciato l’Associazione per qualche anno ed è rientrata nel 1971 come segretaria regionale dell’Agi toscana. Si è iscritta a Padova al corso di laurea in Psicologia, appena aperto, ma ha abitato a Rovigo, dove ha fatto Raksha in branco per l’Asci, partecipando alla formazione capi provinciale, e la capo ceppo per l’Agi, seguendo la vicenda dell’unificazione. Nel 1975, rientrata in Toscana dopo la laurea, è stata capo del cerchio misto del Lucca 1. Chiamata in regione a candidarsi per la branca Coccinelle, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta è stata eletta al Comitato centrale: incaricata alla branca per sei anni, ha lavorato all’organizzazione ed al nuovo assetto dell’Agesci e al nuovo regolamento metodologico, in particolare approfondendo tutte le fondamentali tematiche tipiche della educazione scout in età lupetti/coccinelle. Nella seconda metà degli anni ottanta è stata responsabile nazionale alla formazione capi, anche qui collaborando alla stesura del regolamento e alla riorganizzazione dei contenuti e delle modalità dei campi di formazione ai vari livelli. Successivamente è stata responsabile regionale ed infine Capo guida insieme a Franco La Ferla. Si era già candidata allo stesso servizio, ma le era stato imputato come fatto negativo di essere candidata al Consiglio comunale della sua città. La delusione fu molto forte, in quanto la candidatura le era sembrata coerente con il Patto

Testimonianze • Pulirono le scarpe di tutta la famiglia

va i giovanotti a fare delle avances! Al primo campo da guida, nella notte, le urla e le minacce di giovani “scherzosi” indussero la capo reparto a portarci tutte nei pressi di un casolare abitato da una famiglia dove il padre, fucile da caccia alla mano, minacciò urlando i disturbatori, che fuggirono; il giorno dopo alcune ragazze, tra cui Ornella, pulirono le scarpe di tutta la famiglia come segno di gratitudine!

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associativo, come scelta di servizio alla comunità. Ma non avendo possibilità di parola – era solo invitata al Consiglio generale ed il Capo scout non ritenne di autorizzarla – non le fu possibile esprimersi. Per giunta nelle elezioni comunali della settimana successiva non raggiunse un numero sufficiente di voti. Tuttavia quell’episodio, le numerose votazioni, gli interventi appassionati a favore e contro misero chiaramente in luce che era necessaria una riflessione di tutta l’Associazione sul tema: venne chiamata a far parte di un gruppo di lavoro che elaborò un documento, poi approvato dal Consiglio generale, con indicazioni chiare in merito ai rapporti con l’impegno in politica.

Di tutti questi anni rimane vivo l’impegno, la fatica ma anche la soddisfazione di costruire insieme, con la massima partecipazione di tutti, con la convinzione che posizioni opposte che abbiano intento costruttivo, per quanto faticose da gestire, sono un contributo alla crescita di tutti. Che i rapporti personali e diretti sono spesso la miglior soluzione. E un ricordo molto vivo rimane il momento della approvazione del regolamento L/C, preparato da un lungo e attento lavoro di coinvolgimento della base e delle regioni, con un’ottima gestione da parte degli incaricati della commissione del Consiglio generale, che richiese tuttavia una intera notte di votazioni e discussioni: il solo momento di intervallo fu l’annuncio dell’alba, che ci portò tutti fuori dal tendone a gustare lo spettacolo ma anche la soddisfazione di aver quasi portato a termine il compito, che si concluse infatti poco dopo: avevamo il regolamento della branca Lupetti e Coccinelle!

Raccontare il gioco scout

Rientrata in comunità capi ha fatto la maestra dei novizi, la capo

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clan/fuoco e la capo gruppo. Nel frattempo ha continuato a fare la capo campo negli eventi nazionali di formazione fino al 2000. Ed anche qui ci sono immagini cariche di emozioni: la più angosciosa riguarda il giorno in cui uno degli allievi, Emilio, è “finito fuori della cartina”: si trattava di un trasferimento in hike partendo la sera prima, durante la messa, da una località per arrivare all’Eremo di


Camaldoli, in realtà pochi chilometri! È arrivato con un ritardo di quattro ore, bagnato come un pulcino perché pioveva a dirotto. Era stata conclusa la cerimonia di accoglienza, la narrazione rituale dell’esperienza e lo staff stava ragionando come e dove andarlo a cercare. Così il pranzo che seguiva è diventato una grande festa!

Ponte 1, dove svolge servizi e incontri occasionali anche a livello di zona. È membro della comunità Foulards blancs e continua a far servizio a Lourdes. Psicologa presso l’Azienda sanitaria, ha sempre impostato il suo lavoro non solo nell’aiutare le persone, ma nel trasmettere loro valori e significati, nel cercare di far arrivare anche a loro la convinzione che si è felici nella misura in cui si aiuta gli altri ad esserlo, in cui si sa cogliere il bello in ogni piccola cosa. Nel trasmettere una visione spirituale della vita. Oggi è convinta profondamente che tutto quello che è, come persona, è filtrato attraverso lo scautismo e le esperienze vissute nello scautismo. La vita associativa dei quadri, le sembra, si è complicata ed in qualche modo distanziata dalla base e dal lavoro quotidiano dei capi: vorrebbe che lo spirito di coinvolgimento e di attenzione e partecipazione del tempo avventuroso dei primi passi dell’Agesci tornasse a far sentire anche il capo più giovane coinvolto e responsabile della vita di tutta l’Associazione.

Testimonianze • Pulirono le scarpe di tutta la famiglia

Ornella è attualmente censita nella comunità capi del gruppo Lucca

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