Secolo d'Italia - 30 ottobre 2014

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IL PD PRONTO A SCARICARE LA CRISI SU NAPOLITANO. MAA DIFENDERLO SARÀ IL CAV

ANNO LXII N.251

Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76

Mario Landolfi Prendete le perplessità suscitate dal vedere Napolitano sentito come teste nell’ambito del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia; aggiungete l’interesse di Silvio Berlusconi a tenere ben saldo in sella l’attuale Inquilino del Quirinale in funzione di garante del prosieguo della legislatura; ora inserite l’endorsement (via Sole 24 Ore) di Massimo D’Alema in favore di una “presidentessa” quindi miscelate il tutto con le parole del bersagliano Alfredo D’Attorre (“a tre anni di distanza possiamo dire che il disegno politico di Napolitano per uscire dalla crisi è fallito”) e vi renderete presto conto che le tensioni tra i partiti stanno inequivocabilmente imboccando la salita che porta al Colle più alto della politica nazionale. Giù dalla torre il “compagno”

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giovedì 30/10/2014

seconde file, come D’Attorre appunto. Ma dietro di loro non è difficile scorgere le sagome dell’antica nomenklatura piddina.

Giorgio La sorgente delle fibrillazioni è il Pd. L’intemerata di Renzi contro la Cgil, seguita in ordine di tempo a quella contro l’Associazione dei magistrati, ed il suo attivismo sulla legge elettorale hanno fatto scattare l’allarme rosso nel partito. Dove non è stato difficile capire che se al premier sta riuscendo quel che non è riuscito a Berlusconi è solo perché, a differenza, del suo predecessore, lui ha spalle ben protette. E questo non

per simpatia personale o per vicinanza politica, ma solo in considerazione dell’assenza di alternative valide all’interno di uno scenario ancora dominato da una crisi economica senza precedenti. Ne consegue che nella vecchia guardia del Pd molti cominciano a pensare che se ora è difficile impallinare il “compagno” Renzi, non sarebbe però impossibile accorciare di molto il secondo settennato del “compagno” Napolitano. Per ora, sul tema intervengono le

Il Cavaliere e il Presidente nemici del voto anticipato Chi, invece, ha un interesse ancor più vitale di Renzi a difendere il Quirinale è Berlusconi. Il quale sa che fintanto che al Colle c’è Napolitano non esiste la possibilità di andare al voto anticipato. Un voto che teme come la peste perché troverebbe il centrodestra in mezzo al guado e per di più dilaniato da feroci polemiche interne. Oggi, dunque, l’attuale capo dello Stato è la polizza sulla vita politica del Cavaliere. E il Cavaliere è il miglior cuscinetto di protezione di cui Renzi possa disporre nell’arrocco a difesa di Napolitano. Il quale, a sua volta, è navigatore fin troppo esperto per non capire che lo aspetta un mare in burrasca.

Dalle torte in faccia alle parrucche in tv: vieni avanti, politico furbetto

Francesco Signoretta Politici imparruccati e travestiti. Sul nuovo reality show che andrà in onda a inizio 2015 sul canale D8, in Francia. si è già scatenata la polemica per la prima messa in scena televisiva alla quale si sono prestati anche alcuni ex ministri. Tra questi, Thierry Mariani, ex responsabile dei Trasporti ai tempi di Nicolas Sarkozy, che ha indossato i panni di un disabile in sedia a rotelle. Mentre l’ex presidente dell’Assemblea Nazionale, Bernard Accoyer, si è improvvisato barelliere di un pronto soccorso.

L’elenco dei vip politici è lungo In un primo tempo, si è parlato anche della partecipazione dell’ex super ministra (Difesa e poi Interni), Michele AlliotMarie, che appare in una foto di Le Parisien con parrucca e trucco, vestita da vigile urbano. Poi ha fatto sapere che aveva partecipato ai provini decidendo di non partecipare alla trasmissione. L’ex deputato socialista Julien

Dray “interpreta” un insegnante di liceo, mentre la senatrice socialista Samia Ghali veste i panni di una madre divorziata alla ricerca di una casa.

In Italia altre luci della ribalta La deriva della politica-spettacolo non è nuova. A partire da Matteo Renzi che, per conquistare nuovo pubblico, andò ad Amici di Maria de Filippi vestito stile Fonzie, chiodo nero e jeans. Ma le critiche più forti travolsero i malcapitati ospiti politici del Bagaglino. tra torte in faccia e giochini. «Caro ministro Alfonso Pecoraro Scanio (L’Unità, gennaio 2007) ma che c’è andato a fare allo spettacolo-tv, targato BagaglinoCanale 5? Passi per un’ospitata in parterre, con inquadratura assicurata, ma salire sul palco e prestarsi al «confronto» con la deputata di Forza Italia, Fiorella Ceccarini Rubino ce lo poteva risparmiare. Anche perché il «confronto» consisteva nel solito giochino: «Chi butteresti giù dalla torre?», baga-

glianisticamente tradotto da Pippo Franco in amletici dilemmi del tipo: «Ma lei, onorevole ministro, tra Rosy Bindi e Monica Bellucci, tra Margherita Hack e Simona Ventura con chi preferirebbe restare su un’isola deserta?». Per non parlare delle polemiche che travolsero Antonio Di Pietro e Renato Schi-

fani immortalati, sempre al Bagaglino, con le torte in faccia. O della partecipazione post-politica di Luxuria all’Isola dei famosi e di un gruppo di parlamentari che si esibirono sul palco del Festival di Sanremo. Tutto fa spettacolo, tutto fa notorietà. A perderci è solo la credibilità politica.


“Oltre ogni muro”: la Fondazione An celebra l’Unità nazionale e la libertà Secolo

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Valeria Gelsi La festa dell’Unità nazionale e delle Forze armate e il 25esimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Due ricorrenze che cadono a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, una il 4 e l’altra il 9 novembre, cui la Fondazione Alleanza Nazionale dedica «una due giorni di cultura e politica», organizzata a Milano per l’8 e il 9 novembre. Nella tradizione della destra italiana Il titolo dell’iniziativa, che – spiega l’organizzazione – vedrà la partecipazione dei «principali esponenti nazionali del centro destra e della società civile», è Oltre ogni muro. Uno slogan che fa parte della storia della destra italiana, la prima realtà politica a voler celebrare con un appuntamento nazionale annuale la fine della Guerra fredda. Era il 1999 quando un gruppo di ragazzi, per lo più giovani militanti di

An, diede vita al comitato che si chiamava proprio in quel modo e che promuoveva quei lavori della libertà, cui poi anche la Repubblica italiana, nel 2005, ha deciso di dedicare una festa: la Giornata della li-

bertà, appunto, che ricorre non a caso nel giorno della caduta del Muro di Berlino. Un programma politico, non solo celebrativo Ma il programma della due

giorni milanese, che si svolgerà in piazza Città di Lombardia, sarà tutt’altro che solo celebrativo. Sabato 8, alle 15, i lavori si apriranno con un dibattito su “Costruire l’alternativa a Renzi”, proseguiranno alle 20 con una cena tricolore in onore dei Marò, a quali va un dovuto pensiero nell’occasione in cui si festeggiano le Forze armate. Durante la cena saranno anche premiati i soldati in missione e i familiari di coloro che sono caduti nell’adempimento del loro dovere. Alle 22 la giornata si concluderà con il concerto della band Appassionante. Domenica 9 le celebrazioni saranno tutte dedicate alla caduta del Muro di Berlino. Alle 11 si terrà l’incontro “Abbattere oggi ogni muro in Italia e in Europa” e poi, alle 12, la conclusione con la cerimonia simbolica della “Caduta del Muro”.

Centrodestra al bivio: o fa scelte coraggiose o è destinato al cappotto Silvano Moffa Alle prossime elezioni regionali in Calabria e in Emilia Romagna il centrodestra, o per dir meglio, quel che rimane del centrodestra, rischia il cappotto. Tutta colpa di Renzi che sfrutta senza pudore alcuno temi e argomenti che solleticano l’elettorato cosiddetto moderato? Colpa dello sfaldamento di una alleanza che ruotava, fino a poco tempo fa, intorno a Berlusconi e che ora si è frantumata, disperdendosi in rivoli inconsistenti? Colpa del destino cinico e baro che ha fatto implodere il ceto medio, relegandolo in uno status più prossimo alla povertà che al benessere, il tutto per effetto di una crisi devastante e, ancor più, di un cambiamento profondo che ha toccato gli anelli portanti della stratificazione sociale, alterando i paradigmi del nostro vecchio stato sociale?

Il crollo al Comune di Reggio Calabria Ammettiamolo. Forse le cause del più che probabile prossimo cappotto elettorale, evento annunciato dal crollo registrato al Comune di Reggio Calabria, sono nell’insieme di tutti questi fattori. Una vecchia regola della

politica ci ricorda che quando soffia il vento del “cambiamento”, e non ci sono alternative credibili rispetto a chi, bene o male, quel “cambiamento” interpreta, la partita è persa in partenza. Sono i processi, le fasi della storia, che si susseguono, si accavallano e a volte si elidono. Cambiano forme, protagonisti, e persino il linguaggio, influenzato dai tweet e da Facebook, impoverisce il pensiero riducendo ogni idea ad iperbole, spezzone, frattaglie.

È tempo di imprese coraggiose In questo marasma, il centrodestra annaspa disunito e inconcludente. Chi sta al governo, chi lo sostiene standone fuori, e chi si oppone. La confusione è totale. Saltano i riferimenti per un elettorato deluso, sbandato, incazzato e rassegnato. La partita si fa impari. Anzi, non c’è partita. Il giocatore (Renzi) scorrazza per tutto il campo senza avversari. E questo, in democrazia, è una iattura. Allora: che fare? Aspettare che la valanga sommerga tutto e tutti in una melassa disgustosa e omologante? Oppure reagire? Ecco: il termine giusto è reagire. Subito. Facendo i

conti con gli errori commessi. E mettendo in campo un Progetto per l’Italia. Vero, entusiasmante, forte. È tempo di imprese coraggiose.


Manganellate agli operai. Landini all’attacco: «Non finisce qui» Secolo

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Mariano Folgori Brutta storia quando la polizia carica i lavoratri. Il “fattaccio” è successo a Roma , durante la manifestazione degli operai dell’Acciaieria di Terni (Ast), che erano giunti nella capitale per manifestare contro il piano industriale della ThyssenKrupp. La manifestazione è degenerata a piazza Indipendenza, quando si sono verficati tafferugli tra le forzedell’prdine ei lavoratori. Denuncia il segretario nazionale Fim-Cisl Marco Bentivogli: «Stavamo facendo un corteo assolutamente pacifico verso il Mise che è stato interrotto da una carica immotivata da piazza Indipendenza. Non c’era e non c’è nessun problema di ordine pubblico, lo crea chi ha caricato».

Tre all’ospedale Diversa la versione dei fatti offerta dalla Questura di Roma: «Non c’è stata nessuna carica, ma un’azione di contenimento quando i manifestanti hanno tentato di forzare il cordone di poliziotti per andare

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gretario della Fiom: «Vogliamo chiedere un incontro al governo e alla polizia perché non si picchia così».

verso la stazione Termini». Il sottosegretario Graziano Delrio: «Il governo continua a essere impegnato nell’affrontare la crisi di Ast Terni ed effettuerà una puntuale verifica per quanto accaduto oggi con il ferimento di alcuni operai». Va all’attacco Maurizio Landini,

D’Alema a gamba tesa su Renzi: «Stai facendo solo chiacchiere» Redazione Sceglie il Sole 24 Ore Massimo D’Alema, per sferrare un attacco in piena regola a Matteo Renzi. Una scelta mirata. Il giornale della Confindustria è la tribuna ideale per sbertucciare un premier fin troppo coccolato dall’establishment di viale dell’Astronomia senza esporsi all’accusa di passatismo operaista. “Il premier punta a spaccare il Paese” Lo stile è quello consueto di D’Alema: ragionamenti sui grandi scenari e poi, quando meno te lo aspetti, il fendente scaricato con malcelata supponenza. L’incipit non lascia spazi ad interpretazioni: «Per ora – dice – vedo soltanto molti annunci. E uno stile di

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governo preoccupante che punta a creare fratture nella società». La preoccupazione maggiore nasce dalla tensione con la Cgil di Susanna Camusso, con cui (ma anche con le altre sigle) Renzi si è dichiarato indisponibile a trattare. «Questo modo di fare – continua l’ex presidente del Consiglio – spacca il Paese, prima ancora che il Pd. Vengono usate parole sprezzanti verso i magistrati, verso i funzionari pubblici. Sull’articolo 18 si è condotta una polemica tutta ideologica». La scissione del Pd, l’Italicum, il Quirinale… La scissione del Pd, tuttavia, non è dietro l’angolo: «Sarebbe un errore – avverte l’ex-presidente del Consiglio -. Si deve rendere più

che era presente agli scontri: «Hanno caricato i lavoratori, tre sono in ospedale. Appena siamo partiti in corteo stiamo stati caricati senza alcuna motivazione. Anch’io ho preso le botte dai poliziotti. Tre dei nostri sono finiti in ospedale, non finisce qui». Annuncia il se-

Esasperazione sociale Susanna Camusso prende la palla al balzo per criticare il governo: «Ci sono persone che rischiano il posto di lavoro che oggi sono state picchiate dalla polizia. Si parli di questo e non delle sciocchezze». Anche il segretario della Uil, Luigi Angeletti, ha fatto sentire la sua voce. «Oggi è successo un fatto grave e inaccettabile: i lavoratori della Ast di Terni che hanno manifestato davanti al consolato tedesco, in Piazza Indipendenza, sono stati, improvvisamente e senza motivo, caricati dalla polizia». Comunque la si voglia vedere, gli incidenti di Roma rimangono un fatto che deve impensierire tutti. Sono il segno del clima di grave esaperaziuone sociale che si respira in Italia. E la politica del governo Renzi sembra acuire le tensioni, invece di risolverle.

visibile e incisiva la presenza delle posizioni autenticamente riformiste». Nell’analisi dalemiana non poteva mancare il riferimento alla legge elettorale, che Renzi vorrebbe veder approvata entro l’anno con la modifica del premio di maggioranza alla lista. Il giudizio di D’Alema non consente repliche: «È un pasticcio». L’ultimo

“pensiero” è dedicato al Quirinale, il colle che ai tempi della bicamerale per le riforme poi abortita D’Alema aveva pensato di scalare. Ambizioni ormai tramontate. «Penso che i tempi siano maturi per individuare una personalità femminile». E così, oltre a Renzi, è “servito” anche Napolitano.


Legge elettorale, al via la partita decisiva. E rispunta il Mattarellum 4

Mario Aldo Stilton Ormai è chiaro. È sulla legge elettorale che si giocherà la partita decisiva per la legislatura. Né potrebbe essere diversamente. Dopo le schermaglie delle scorse settimane, il via alle danze l’ha dato oggi il piddino di stretta osservanza renziana Roberto Giachetti, che ha deciso di presentare una versione del Mattarellum senza scorporo. Iniziativa singola e personale, ha spiegato sornione il vice presidente della Camera, cercando di tenere così al riparo il premier. Ma a ben guardare la complicità e la convenienza di Matteo Renzi c’è tutta. L’idea di Renzi è fare tabula rasa Lo scontro coi sindacati, l’attacco alla burocrazia di Bruxelles e persino il durissimo confronto all’interno del Pd con tanto di ventilata scissione, non avrebbero altrimenti senso. Così come non si capirebbe la strategia dell’inquilino di palazzo Chigi. Renzi sa che se

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vuol mettere radici deve fare tabula rasa del vecchio assetto del partito per promuovere e consolidare un nuovo e più affidabile gruppo dirigente; al contempo, deve anche cercare di sostituire e svecchiare il sistema di potere, anzitutto quello economico bancario: ecco spiegato perchè il suo primo pensiero non può che essere il voto politico. Voto il più anticipato possibile.

Certo, c’è il patto con Berlusconi e per questo Renzi è assai cauto a proporre alternative a quello che fu chiamato pomposamente l’Italicum. Ma comunque appena se ne presenta l’occasione le fa, le ipotizza. Così è accaduto per l’uscita sul premio alla lista e non alla coalizione: idea che ha trovato nel Cavaliere, al di là dei dinieghi, orecchie attente. Adesso è la volta del fido Giachetti. Mandato in avanscoperta con una proposta che

suona come un’ipotesi ammazzacoalizioni a tutto vantaggio dei partiti maggiori. Anche stavolta, nonostante l’iniziale niet del capogruppo al senato di Forza Italia, Paolo Romani, è chiaro che Silvio Berlusconi ci penserà bene. Anche perchè il rischio di essere emarginato sul tema da una inedita maggioranza Pd grillini non si può sottovalutare.

«Ma per noi non è stato fatto nulla» A distanza di molti mesi però quella promessa resta senza seguito. «Avevano detto che ci avrebbero ricollocato in altre

aziende partecipate così come previsto dalla legge di stabilità 2014. Ma per noi – ha detto un altro dipendente – non hanno fatto ancora nulla. Ci hanno lasciato letteralmente in mutande».

Napoli, dai lavoratori di Bagnolifutura mutande e sirene contro la sinistra Redazione Mutande stese, striscioni e cartelli con la celebre frase di Totò «E io pago». Si presenta così piazza Municipio a Napoli, dove circa 50 lavoratori di Bagnolifutura stanno protestando contro l’amministrazione comunale di centrosinistra. Lavoratori senza soldi da nove mesi I lavoratori, che presidiano Palazzo San Giacomo, manifestano da giorni per ricordare che sono senza sussidio economico da nove mesi. Ad accompagnare la protesta anche le sirene dell’ex Italsider di Bagnoli. «La situazione è difficile molte famiglie non sanno come arrivare a fine mese», ha spiegato

Berlusconi ci penserà bene

uno dei lavoratori di Bagnolifutura, società di trasformazione urbana che dal 2002 gestisce il progetto di riconversione dell’area di Bagnoli. «Siamo qui – ha aggiunto – per ricordare al Comune di Napoli di mantenere gli impegni presi quasi un anno fa».

Le promesse di de Magistris Dopo la sentenza di fallimento della società, Luigi de Magistris, allora ancora sindaco con pieni poteri, promise che non vi sarebbe stato alcun licenziamento. Promessa poi ribadita nel tempo, assicurando che «c’è mio impegno preciso affinché ci possa essere una ricollocazione dei dipendenti di Bagnolifutura in altre società partecipate».


Nozze gay, il “celebrante” Pisapia nel mirino della Procura Secolo

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Alessandra Danieli Milano come Roma. Sulla trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero, anche nel capoluogo lombardo si consuma il braccio di ferro tra il sindaco di provata fede progressista e il prefetto che è intervenuto per sollecitare l’applicazione della circolare di Alfano. Ora il caso milanese potrebbe finire al tavolo della Procura come richiesto dal consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Riccardo De Corato, che invoca il rispetto della legge italiana che non prevede matrimoni omosessuali. Il sindaco Giuliano Pisapia, infatti, con un chiaro gesto provocatorio a 48 ore dalla circolare del Viminale, il 9 ottobre, si era precipitato a firmare «personalmente, in qualità di ufficiale di stato civile» le trascrizioni di sette matrimoni gay celebrati all’estero. Con tanto di annuncio trionfale su Facebook nel nome della “città dei diritti”. L’altolà del prefetto Dopo il fattaccio, con una nota

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di quattro righe il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, aveva invitato il sindaco Pisapia, nella sua qualità di ufficiale di stato civile e di ufficiale di governo, «a procedere alla cancellazione delle trascrizioni dei matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso». Ma il primo cittadino, che finora

Pd-Cgil: volano gli stracci fra “poteri forti” e “tessere false” Redazione Volano gli stracci tra Pd e Cgil. A stretto giro di distanza tra l’intervista della leader sindacalista rilasciata a Repubblica in merito al sospetto da lei più che paventato che dietro l’insediamento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi ci siano le manovre dei cosiddetti «poteri forti», arriva la replica di Pina Picierno, sganciata come un missile dal salotto televisivo di Agorà su Raitre, diretto a colpire e affondare la corazzata Cgil. «La Camusso dice a qualche giornale che Renzi è al governo per i poteri forti? – si chiede con tono ironico l’eurodeputata dem in diretta tv – io, allora, potrei ricordare che la Camusso è stata eletta con tessere false o che la piazza è stata riempita con pullman pa-

ha evitato di replicare ufficialmente, proprio come il collega Ignazio Marino, non sembra intenzionato a fare passi indietro appellandosi alla tesi di aver compiuto un atto legittimo, perché si tratta di matrimoni validi nelle giurisdizioni dove si sono celebrati. La partita si annuncia lunga e difficile.

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Milano fuorilegge Dopo il rifiuto del primo cittadino a rispettare l’invito del prefetto, dal centrodestra non intendono restare a guardare. De Corato ha infatti inviato una lettera al procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, perché intervenga per fare rispettare la legge. «Ho chiesto l’intervento della Procura sulla questione della trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero – spiega l’esponente di FdI – in quanto il sindaco di Milano ha infranto la normativa nazionale che prevede matrimoni esclusivamente tra persone di sesso opposto e ha ignorato le richieste del prefetto di tornare nella legalità». Secondo il consigliere d’opposizione, «da tre settimane ormai Milano è fuorilegge». Qualche perplessità arriva anche dall’ala cattolica del Pd a Palazzo Marino. Durante la votazione dell’aula, che ha chiesto a larghissima maggioranza al sindaco di andare avanti, il vicepresidente del consiglio comunale si è astenuto.

gati, ma non lo farò».

L’indignazione della Cgil «Siamo indignati per le parole dell’eurodeputata del Pd, Pina Picierno», ha commentato l’organizzazione dei lavoratori di sinistra in una nota, aggiungendo a sua volta che «potremmo dire che l’on. Picierno dice delle falsità e delle sciocchezze, forse figlie di una fase di nervosismo e di tensioni, essendo il tesseramento della Cgil certificato». E non mancando di sottolineare poco dopo come, sempre a sua volta, la Cgil potrebbe – e fa: esattamente come nel caso del condizionale affermativo utilizzato nel discorso indiretto della Picierno – «ad esempio, parlare delle primarie in Campania. Potremmo dire tutto

questo e altro ancora ma – si conclude nella nota – come si usa adesso, non lo faremo».

E le scuse dell’eurodeputata dem Un botta e risposta che alza di ora in ora la temperatura della polemica, arrivata nella zona calda dei «pesci in faccia». Tanto che, per abbassare il tiro dopo i ripetuti inviti alla moderazione arrivati da più parti da Largo del Nazareno, la stessa Picierno si è vista costretta alla retromarcia. «Non era mia intenzione lanciare

accuse. Se le mie affermazioni hanno dato questa impressione, mi dispiace», ha rettificato l’esponente Pd, che poi ha anche aggiunto: «Rispetto il sindacato e il popolo della piazza, ma altrettanto rispetto chiedo nei confronti di chi pensa che la sinistra sia cambiamento e riforme, e anche nei confronti dell’attuale governo a cui è stata data la fiducia dal Parlamento. E non certo dai “poteri forti”». E al prossimo suono del gong ci si attendono nuovi colpi sotto la cintura…


Ecco 5 motivi per cui Obama finirà presidente dimezzato 6

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sima settimana più che chiedersi in che direzione andrà il Paese che nel 2008 ha eletto il primo presidente nero, e che nel 2012 lo ha confermato alla Casa Bianca per un altro mandato, gli elettori Usa saranno chiamati a interrogarsi sull’impopolarità di Obama: solo una minoranza pensa che stia lavorando bene.

Priscilla Del Ninno Barack Obama alla prova delle urne: le Midterm del 4 novembre, che tradizionalmente segnano un esame molto temuto sull’amministrazione in carica, sono vissute oltreoceano come un vero e proprio referendum popolare sull’operato presidenziale, l’ultima inappellabile sentenza sulla gestione Obama a poco meno di due anni dall’addio alla Casa Bianca. L’inquilino della Casa Bianca verso lo sfratto Il numero uno di Washington avrà poteri molto probabilmente dimezzati da un verdetto delle urne su cui non si scommette a cuor leggero.

Dunque, le prossime elezioni di medio termine, in cui gli elettori statunitensi voteranno per il rinnovo completo della Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato, più che gli umori politici degli americani per il 2016, andranno ad indicare quale sarà il capitale residuale della governance che l’inquilino della Casa Bianca potrà sfruttare nell’immediato futuro. Ecco i 5 motivi per cui Obama potrebbe essere un presidente a metà. 1-L’impopolarità di Obama A giudicare dai sondaggi degli ultimi giorni, decisamente sfavorevoli alla leadership di Obama, dalla pros-

2-I precedenti della storia elettorale La storia della consultazione di metà mandato annovera nella maggioranza dei casi la “punizione” elettorale della presidenza in carica. Anzi, una tendenza ufficiosamente in voga del Midterm, detta Balance of powers, è proprio quella secondo cui se alla Casa Bianca c’è un presidente democratico è meglio avere un Congresso repubblicano, e viceversa. 3-Le Midterm del 2010 Il presidente è già stato severamente bocciato alle consultazioni di medio termine del 2010: un insucesso elettorale che testimoniò l’insoddisfazione e la frustrazione degli elettori americani, legate soprattutto a scelte infruttuose operate dalla presidenza in materia di politica economica, che non garantirono né

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ripresa, nè nuovi livelli occupazionali.

4-L’elettorato democrat e repubblicano I Repubblicani contano su un elettorato prevalentemente wasp, fedele e poco incline all’astensione. Il profilo dell’elettore democrat è invece meno costante e più propenso alla grande consultazione che alle partecipazioni intermedie. Dunque contro Obama si profila all’orizzonte anche l’incognita astensionismo, un nemico sempre in agguato. 5-L’alternanza tra conservatori e progressisti La fisiologica oscillazione tra destra e sinistra, preannunciata anche da un recente sondaggio pubblicato dal Pew Research Center, sembra freddare a suon di percentuali le agognate speranze di recupero dei democratici, se è vero che il 52% degli elettori Usa pensa che Obama perderà la maggioranza sia alla Camera sia al Senato, interpretando afflusso alle urne e probabile esito negativo come una promozione stentata o una sonora bocciatura dell’amministrazione Obama.

Il bluff di Triton a tre giorni dallo start. La Marina Militare “processa” Alfano Romana Fabiani Dell’operazione Triton non c’è ancora traccia. La nuova spedizione internazionale che dal prossimo primo novembre dovrebbe sostituire Mare Nostrum è tutt’altro che in via di decollo e i militari italiani, in assenza di ordini, sono ancora impegnati sul campo nell’opera di soccorso e sorveglianza delle nostre coste letteralmente invase dall’escalation di sbarchi. A denunciare il bluff è stato l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, comandante in capo della flotta navale italiana e primo responsabile dell’operazione Mare nostrum, che dai microfoni della Conferenza del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli ha smentito gli impegni solenni del ministro dell’Interno, Angelino Alfano.

Il j’accuse della Marina Militare «Ancora nessun ordine ufficiale è stato ricevuto dalla Marina Mi-

Militare italiana che prima si spingeva a ridosso delle acque territoriali libiche e con l’avvio di Triton potrà al massimo prendere a bordo i migranti, salvati entro trenta miglia da Lampedusa, per uno screening sanitario.

litare italiana per la cessazione di Mare nostrum», ha dichiarato Foffi puntando l’indice contro la regia europea. A tre giorni dall’ora X non esistono documenti ufficiali sull’impegno delle forze messe in campo dall’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Ue e la missione umanitaria italiana va avanti esattamente come è cominciata un anno fa (il 18 ottobre 2013). Le parole dell’ammiraglio hanno messo in difficoltà i piani alti del Viminale che

nelle prossime, insieme al ministero della Difesa, è chiamato a dipanare la matassa e a fornire la piattaforma per l’uscita di scena di Mare nostrum, un impegno costosissimo tutto a carico dell’Italia che ha finito per incrementare i “viaggi della speranza” a vantaggio degli scafisti. Finora non esistono documenti ufficiali ma soltanto bozze contraddittorie che, stando alle anticipazioni, prevederebbero uno svilimento del ruolo della Marina

La smentita del Viminale Alfano, già oggetto di critiche da ogni latitudine per l’isolamento italiano nella gestione dell’emergenza immigrazione, ha smentito seccamente l’impasse. «L’ordine arriverà in tempi strettissimi. E l’Italia uscirà da Mare nostrum». Le prossime ore si incaricheranno di chiarire lo stato dell’arte. Di sicuro la fase due voluta dal ministro dell’Interno coinvolgendo i partner europei parte con il piede sbagliato e le adesioni a Triton non fanno ben sperare. Berlino e Londra hanno già annunciato che non saranno della partita.


Ricordo di Mario Zicchieri, ucciso dai killer antifascisti a soli 16 anni Secolo

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Antonio Pannullo «Era morto un fascista, non valeva la pena di guastarsi l’appetito o rovinarsi la cena. Era morto un fascista, andava in fretta sepolto: avevan paura anche di un morto…». Questa canzone del gruppo alternativo Zpm era stata scritta per Sergio Ramelli, il giovane missino assassinato a sprangate a Milano da elementi di Avanguardia Operaia, ma si adatta benissimo anche a Mario Zicchieri, “cremino” per i suoi camerati, sedicenne del Prenestino ucciso a fucilate davanti la sezione del Msi di via Gattamelata da killer a tutt’oggi sconosciuto. Ramelli ea stato ucciso pochi mesi prima, Mikis Mantakas lo stesso, e il 29 ottobre toccò a Cremino. Le Brigate Rosse, e in genere tutti i gruppi della sinistra estremista, teorizzavano da tempo la necessità di incutere terrore nei fascisti del Msi perché, spiegarono qualche anno dopo, nonostante le bombe, gli incendi, le aggressioni, i ferimenti, non mollavano né davano segni di cedimento. E infatti era proprio così: i giovani del Msi e del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del partito, non cedettero mai, si difesero e continuarono a propagandare le loro idee e continuarono a tentare di cambiare il mondo. Neanche dopo la strage di Acca Larenzia (anch’essa impunita, come gli omicidi di Cecchin, Di Nella e tanti altri) la comunità missina arretrò, anzi. E così fu al Prenestino, quartiere rosso (benché costruito dal fascismo) dove il Msi ebbe sempre una sede sin dall’immediato dopoguerra. E nel quartiere gli attivisti del Movimento Sociale svolsero sempre una intensa

attività sociale, politica, culturale. Attività che i comunisti di qualsiasi tipo non avevano mai tollerato, perché poi funzionava.

Un quartiere difficile Solo un anno prima, in occasione del 25 aprile, c’era stata un’aggressione armata contro la sezione del Msi, a suon di bombe molotov, revolverate e accettate (nel senso di colpi di accetta). Neanche allora i ragazzi erano scappati, ma avevano ripreso la loro attività in favore delle fasce sociali più deboli con rinnovato vigore. Finché – è stato raccontato molte volte – in un primo pomeriggio di 39 anni fa si ferma una Fiat davanti alla sezione, ne scendono due ragazzi ben vestiti, che sparano sui giovani che si trovavano davanti al portone, uccidendo Zicchieri e ferendo gravemente Marco Luchetti. L’auto poi fugge, inseguita da un iscritto al Msi del Prenestino che però dopo pochi metri viene minacciato con le armi e costretto a desistere. L’allora segretario della Penestino Gigi D’Addio apprese la notizia nei locali della Federazione, in diretta, perché qualcuno telefonò al partito dicendo quanto era accaduto. D’Addio, che ancora oggi

al ricordo si commuove, prese la sua vecchia Dyane e dal centro arrivò in pochi minuti, guidando come un folle, alla sede, dove apprese tutto. Fu subito assaltata la vicina sezione del Pci, i cui membri non c’entravano nulla, alcuni ragazzi missini entrarono nella sezione comunista e malmenarono i presenti, sull’onda di una comprensibile reazione emotiva: occorre ricordare che in quegli anni ai funerali dei missini partecipavano solo i missini, nessun esponente politico né nazionale né locale, veniva mai a portare il suo cordoglio. I partiti dell’arco costituzionale – il “sistema” dicevamo noi missini – glielo proibiva. E così andò avanti per oltre dieci anni. Intimidazioni continue contri i missini Ma non so di nessuno che se ne andò dal Msi per questo motivo, per questa discriminazione odiosa, per questa emarginazione vergognosa. Cremino aveva solo sedici anni: non poteva essere colpevole di nulla, se non di avere un’idea controcorrente, alternativa ai partiti del consociativismo che hanno rovinato l’Italia, e i cui effetti di malgoverno li stiamo pagando ancora oggi. In questi 39 anni Mario Zicchieri è stato sempre ricordato dai suoi amici e camerati, e così è anche stavolta. Pochi anni fa, recentemente, l’amministrazione comunale guidata da Gianni Alemanno gli ha dedicato un giardino nei pressi, la cui lapide commemorativa è stata più volte distrutta dagli antifascisti. E i “fascisti” ogni volta l’hanno ripristinata….

Nella “guerra sporca” contro Putin in campo i giornali Usa: «Ha un tumore» Gabriele Farro Vladimir Putin dà fastidio agli americani. Dà fastidio ai poteri forti dell’Europa. Dà fastidio ad Angela Merkel, alle banche, alla sinistra. Ma fino ad oggi nessuno è stato capace di mettergli un freno, di ostacolare in qualche modo la sua ascesa, la popolarità che ha conquistato anche fuori dai confini moscoviti. Leadership scomoda per l’Occidente Il leader russo crea problemi. So-

prattutto alle grandi economie. E quando tocchi il dio denaro corri sempre grossi rischi. Come accaduto in passato, ai tempi delle spie e delle strategie di fango studiate a tavolino, il pericolo è essere travolto da notizie messe in giro con astuzia, proprio per indebolire l’immagine dell’avversario, toccando le sue condizioni di salute. Notizie che, se poi fossero vere, sarebbero utilizzate con ancor più violenza politica. Ecco che spunta l’indiscrezione: «Putin è grave». E appare sul quotidiano

americano New York Post: il leader russo ha un tumore al pancreas ed è curato da un medico tedesco incontrato tanti anni fa quando l’attuale presidente era un agente del Kgb a Dresda, allora in Germania Est. Perfetto, così spunta anche il passato nel Kbg, rispolverato ogni volta che fa comodo. Teatrino sui problemi di salute Già due anni fa accadde più o meno lo stesso, con voci di aggravamento della salute che venivano dal Giap-

Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale Editore SECOLO D’ITALIA SRL Fondatore Franz Turchi

d’Italia

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pone. Una storia dietro l’altra. Nei primi anni Ottanta, ci si interrogava sulle fugaci apparizioni di Leonid Brezhnev. Poi la ricerca di segni e sintomi sullo stato di salute riguardò Andropov, succeduto a Brezhnev. E poi ancora con Fidel Castro. Ora c’è Putin nel mirino. Delle strane democrazie occidentali. Con la smentita del Cremlino: il presidente non ha problemi di salute. Un teatrino che poteva essere evitato, perché, con questo tipo di lotta politica, si raggiunge livelli bassissimi.

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