& g3
K€"
r€#àH\rffi$^#
ffi;?s#H
à$e$
.
"ff\
s
$$$3#$$ $$ffi'g#q&n
I cLASSICI
MARKETING MYOPIA
Theodo te Levitt
o'*E4l
ORD
www.hbritalia.it
Marketing Myopia di Theodore Levitt Il Sole 24 ORE Arte e Cultura Direttore responsabile: Gianni Riotta
Il Sole 24 ORE S.p.A. Via Monte Rosa, 9L -
201.49
Milano
Registrazione Tiibunale di Milano numero 79 del1L42-1992 Sett. N.812009 @
2009 Harvard Business Schoot Publishing
Via Lanzone 2 - 20123 Milano Edizione speciale per Il Sole 24 ORE
TĂšni i diritti di copyright sono riservati. Ogri violazione sarĂ perseguita a termini di legge. Richiesta arretrati: i numeri arretrati possono essere richiesti direttamente al proprio edicolante di fiducia alprezzo di copertina.
Finito di stampare nel mese di giugno 2009 presso: Industria Grafica Graphic Scalve Loc. Ponte Formello - 24020 Vilminore di Scalve (BG).
Strategiqs
ED,z,oN,
"'*pl0(DIBIB
I Classici di <Harvard Business Review>
Ottime idee da mettere in pratica I grandi pensatori del management sono spesso definitiguru,vnvezzo al quale è difficile sottrarsi, ma che rischia di distorcere la realtà. Infatti, questi intelligenti personaggi non sono profeti o vati, bensì attenti e penetranti studiosi della realtà economica d'impresa, di cui si sforzano di comprendere le logiche e le best practice, per trarne principi di comportamento applicabili in tutte le imprese che vogliano essere ben gestite. In poche parole, sono persone che sviluppano ottime <idee da mettere in praticu che, proprio per questo, restano a lungo utilissimi strumenti di comprensione e di azione. <<solo>>
La serie di Classici della <Harvard Business Review>>
che viene qui proposta comprende alcuni dei mi gliori articoli di alcuni dei migliori autori di management del mondo. Questi articoli hanno realmente fatto la storia del pensiero e della pratica di management, ciascuno nel proprio campo, e vengono ora riproposti perché la loro capacità di influire in modo attivo e positivo sulla gestione d'impresa non si è per nulla esaurita ma, anz| appare più forte che mai. In questa serie potrete così trovare i contributi di autori come Peter E Drucker, Theodore Levitt, Philip Kotler, Robert S. Kaplan, Gary Hamel, John Kotter, Chris Argyris, Clay Christensen, C. K. Prahalad e altri. Un percorso di straordinario valore e competenza nel più innovativo e creativo <pensiero pratico> della letteratura manageriale mondiale.
Enrico Sassoon Direttore responsabile <<Harvard Business Review Italia>
wn/w.hbritalia.it
Theodore Levitt
Una pietra miliare del marketing di Walter Giorgio Scott
Marketing Myopia costituisce probabilmente I'articolo che ha maggiormente influenzato il pensiero e la pratica del marketing management a partire dalla sua pubblicazione su ..Harvard Business Review', nell'estate del 1960. La ragione di tale successo balza evidente ove si leggano o rileggano le pagine di Theodore Levitt, ancor oggi attuali e dense di stimoli sia per la riflessione che per l'operatività. In realtà, Marketing Myopia non è stato tanto un articolo quanto un manifesto, nel quale Levitt ha affermato con straordinaria efficacia il principio in base al quale le imprese non devono definirsi in funzione di ciò che producono, ma piuttosto in funzione dei bisogni dei propri clienti e dei valori da questi ricercati ed apprezzati. Conseguentemente, il management dell'impresa deve concentrare i propri sforzi nella ricerca delle modalità in base alle quali poter soddisfare le attese della clientela in misura superiore alla concorrenza attuale e potenziale. Va dunque riconosciuto a Levitt il merito della formulazione del nucleo centrale di quell'orientamento alla clientela che costituisce oggi la premessa di ogni vero e durevole successo d'impresa. Un ulteriore merito di Levitt è stato quello di aver chiarito in modo quanto mai netto la differenza
6
Marketing Myopia
fra marketing e vendite, affetmando che il marketing è focalizzato sui bisogni dell'acquirente, mentre le vendite riflettono le esigenze e gli scopi del
venditore. In altri termini, la finalità del marketing è quella di soddisfare le esigenze della domanda, mentre la finalità della funzione di vendita è quella di convertire la produzione dell'impresa in un flusso di ricavi. Marketing Myopia conserva, dunque, ancora oggi il valore di stimolo alla riflessione per i manager di ogni settore e livello che gli è stato riconosciuto nel corso dei decenni.
Marketing Myopia di Theodore Levitt Ogni grande settore industriale è stato a suo tempo un'industria in crescita. Ma alcuni settori che cavalcano attualmente l'onda di una crescita entusiasmante sono prossimi al declino. Altri, che hanno conosciuto una crescita rilevante in passato, hanno nei fatti già smesso di crescere. In tutti i casi, la ragione per cui la crescita viene minacciata, rallentata o bloccata non è la saturazione del mercato. È I'incapacità del management. Obiettivi fatali Il problema sta al vertice. Gli executive che lo determinano sono, in ultima analisi, quelli che definiscono gli obiettivi generali e le politiche. Così: o Le ferrovie non hanno smesso di crescere perché è venuto meno il bisogno di trasportare passeggeri e merci. Semmai, è aumentato. Oggi le ferrovie sono in difficoltà non perché quel bisogno sia stato soddisfatto da altri mezzi (automobili, camion, aerei, e persino telefoni), ma perché non è stato soddisfatto dalle ferrovie, che si sono lasciate sottrarre dei clienti in quanto davano per scontato di operare nel trasporto ferroviario anziché nel trasporto in ge-
il
proprio settore perché erano orientate al trasporto fernerale. Definivano erroneamente
www.hbritalia.it
Theodore Levitt
roviario anziché al trasporto in generale; erano orientate al prodotto, anziché al cliente. . Hollywood ha rischiato di essere totalmente emarginata dalla televisione. In effetti, tutte le case cinematografiche affermate hanno subito una drastica riorganizzazione. Alcune sono proprio scomparse. E tutte hanno avuto dei problemi non per le incursioni della TV, ma per la loro stessa miopia. Al pari delle ferrovie, Hollywood definiva erroneamente il proprio business. Pensava di operare nel business dei film, mentre operava nel business dell'intrattenimento. Il business del <film> implicava la presenza di un prodotto specifico e limitato e questo provocava un senso di vacua soddisfazione che ha indotto, fin dall'inizio, i produttori a vedere nella TV una minaccia. Hollywood disptezzava e rifiutava la televisione, mentre avrebbe dovuto accoglierla come un'opportunità - un'opportunità di espandere il business dell'intrattenimento. Oggi la televisione è un business più consistente di quanto non sia mai stato il vecchio business cinematografico definito in senso stretto. Se Hollywood fosse stata orientata al cliente (fornire intrattenimento) anziché al prodotto (produrre dei film), avrebbe avuto i problemi finanziari che ha avuto? Ne dubito. Ciò che ha salvato Hollywood e ne ha favorito la resurrezione è I'awento di nuovi giovani autori, produttori e registi i cui precedenti successi televisivi avevano decimato le
10
Marketing Myopia
vecchie case cinematografiche e mandato in pensione anzitempo i grandi produttori storici' Ci sono altri esempi, meno clamorosi, di settori che hanno messo, e mettono attualmente, in pericolo il proprio futuro attraverso una definizione impropria delle loro finalità. Ne esaminerò dettagliatamente alcuni più avanti, e analizzerò le politiche che li hanno mandati in crisi. Per adesso, conviene mostrare che cosa può fare un managementveramente orientato al cliente per mantenere la crescita di un settore, anche dopo l'esaurimento delle opportunitàpiù owie; mi rifaccio a due casi che esistono da molio tempo. Sono aziende che operano nel nylon e nel vetro - la E.I. DuPont de Nemours e la Corning Glass Works. Entrambe le aziende hanno una elevata competenza tecnica. Il loro orientamento al prodotto è fuori discussione. Ma ciò non basta a spiegarne il successo. Dopotutto, chi era più orgogliosamente orientato al prodotto e sensibile al prodotto delle vecchie aziende tessili del New England che sono state così pesantemente massactate? Le DuPont e le Corning hanno avuto successo non solo per l'orientamento al prodotto o alla ricerca, ma anche
perché hanno dimostrato un fortissimo orientamento al cliente. E la costante ricerca di opportunità di applicazione del loro know-how tecnico per la creazión e di utllizzi in grado di soddisfare i clienti che ne spiega il prodigioso output di nuovi prodotti di successo. Senza un'attenzione oltremodo sofisticata al cliente, la maggior parte dei l1
Theodore Levitt
nuovi prodotti rischiavano di fallire, e la loro me_ todologia di vendita rischiava di rivelarsi inutile. Anche il settore dell'alluminio ha continuato a crescere, grazie agli sforzi di due aziende, costi_ tuite nel periodo della guerra, che hanno puntato deliberatamente all'invenzione di nuovi utilizzi in grado di soddisfare i clienti. Senza la Kaiser Alu_ minum & Chemical Corporation e la Reynolds Metals Company, oggi la domanda totale di allu_ minio sarebbe enormemente inferiore. Errore di analisi. eualcuno potrebbe affermare che non ha senso confrontare le ferrovie con l,al_ luminio o il cinema con il vetro. Iialluminio e il vetro non sono naturalmente così versatili da assicurare ai relativi settori più opportunità di crescita di quelle a disposizione delle ferrovie e del ci_ nema? Questa opinione si basa esattamente sull'errore di cui parlavo prima. Definisce un settore, un prodotto o un know-how in termini così re_ strittivi da garantirne la senescenza prematura. Quando parliamo di <ferrovie> dovremmo chia_ rire che intendiamo dire <trasporto>>. In quanto vettori, le ferrovie hanno ancora buone probabi_ lità di una crescita considerevole. Non sono confi_ nate al trasporto ferroviario in quanto tale (anche se, a mio giudizio, il treno è potenzialmente un mezzo di trasporto molto più forte di quanto non si creda generalmente). Ciò che manca alle ferrovie non sono le opportu_ nità, ma un po' di quell'immaginazione e di quel_ I'audacia manageriale che le hanno portate al t2
Marketing Myopia
successo. Anche un dilettante come Jacques Barzun sembra rendersi conto di che cosa manca
quando dice: <Mi dispiace vedere l'organizzazione fisica o sociale più avanzata dell'ultimo secolo cadere in disgrazia per mancanza di quella stessa immaginazione che I'ha costruita. [Ciò che manca è] la volontà delle aziende di soprawivere e di soddisfare il pubblico con I'inventività e la competenzarrr.
L' ombra dell' obsolescenza È impossibile citare una sola grande industria che a un certo punto della sua storia non abbia meritato il magico appellativo di <settore in crescita>. In ogni singolo caso, il punto di forza attribuito al settore stava nell'apparente e indiscussa superiorità del suo prodotto. Sembrava che non ci fossero sostituti efficaci. Era esso stesso un'alternativa vincente del prodotto che aveva così efficacemente sostituito. Eppure, una dopo l'altra, queste celebrate industrie sono finite nell'ombra. Esaminiamone rapidamente alcune altre, attingendo questa volta a degli esempi che hanno ricevuto finora un po'meno attenzione. Lavaggio a secco. Era una volta un settore in crescita, con prospettive straordinarie. Nell'epoca dei capi di lana, immaginate che cosa volesse dire riuscire finalmente a farli pulire a secco senza danni e senza difficoltà. Era iniziato il boom. Ma sono passati trent'anni dall'inizio del boom e il settore è in difficoltà. Da dove è venuta la concorrenza? Da un metodo di lavaggio più efficace? No. Èvenuta dalle
13
Theodore Levitt
fibre sintetiche e dagli additivi chimici che hanno drasticamente ridotto il bisogno di pulitura a secco. Ma questo è solo l'inizio. Dietro le quinte, pronto a rendere totalmente obsoleto il lavaggio a secco tramite sostanze chimiche, si nasconde un nuovo e potente mago: la tecnologia degli ultrasuoni. Società elettriche. È un altro di quei prodotti teoricamente "privi di sostituti> che sono stati collocati su un metaforico piedistallo di crescita irresistibile. Quando è nata la lampadina incandescente, le lampade a kerosene sono finite. Successivamente, la turbina idraulica e il motore a vapore sono stati eliminati dalla flessibilità, dall'affidabi_ lità, dalla semplicità e dalla disponibilità dei motori elettrici. La prosperità delle società elettriche continua a crescere perché la casa si sta trasformando in un museo di gadget elettrici. Come si può non investire nelle utility, dove non c'è concorrenza, e per cui non si profila nient,altro che la crescita? Ma un'occhiata più attenta si rivela molto meno
confortante. Numerose aziende di altri settori sono ben awiate verso lo sviluppo di una potente pila a combustile, che si potrebbe collocare in un angolo seminascosto di tutte le case per produrre silenziosamente energia elettrica. Le linee elettriche che deturpano così tanti quartieri verrebbero eliminate. E verrebbero meno anche gli infiniti lavori stradali e le frequenti interruzioni del servizio che si verificano durante i temporali . All'orizzonte si profila anche I'energia solare, sviluppata sperimentalmente da aziende di altri settori. 14
Marketing Myopia
Chi dice che le utility non hanno concorrenza? Oggi sono dei monopoli naturali, ma domani potrebbero morire per cause naturali. Per evitare questa prospettiva dovranno sviluppare anch'esse pile a combustile, energia solare e altre fonti ener-
getiche. Per soprawivere, dovranno mettere in conto I'obsolescenza di ciò che produce attualmente le loro entrate. Negozi vs. supermercati. Molti faticano a rendersi conto che esisteva in passato una prospero business denominato <negozio dietro l'angolo>. Il supermercato I'ha sostituito con straordinaria efficacia. Ma le grandi catene alimentari degli anni Tienta hanno rischiato di essere completamente eliminate dall'aggressiva espansione dei supermercati indipendenti. Il primo vero supermercato fu aperto nel 1930 a Jamaica, [,ong Island. Nel 1933 fiorivano supermercati in California, Ohio, Pennsylvania e altrove. Ma le catene più affermate li ignoravano sdegnosamente. Quando si degnavano di prenderli in considerazione, usavano definizioni derisorie come "locali da quattro soldi", <residui del passato>>, <<posterie> e poco onesti>. "affari Il numero uno di una grande catena annunciò alI'epoca di ritenere <incredibile che la gente possa guidare per miglia per acquistare prodotti alimentari e sacrificare il servizio personale che le catene hanno perfezionato e a cui [il consumatore] si è abituato>>2. Già nel 1936 la National Wholesale Grocer Convention e la New Jersey Retail Grocer Association dicevano che non v'era nulla da te-
15
Theodore Levitt
mere. Dicevano che I'appeal dei supermercati, li_ mitato ai soli acquirenti che si interessavano unicamente alprezzo,riduceva la dimensione del loro mercato. Dovevano attirare i clienti da zone che distavano miglia. Con l'arrivo di altri imitatori, ci sarebbero state grosse svendite per compensare la caduta dei volumi. Le elevate vendite dei supermercati erano dovute parzialmente alla loro no_ vità. La gente voleva avere inegozi sotto casa. Se i negozi di quartiere avessero <<cooperato con i fornitori, tenuto sotto controllo i costi e migliorato il servizio>r, avrebbero potuto resistere alla concorrenza fin quando non si sarebbe esaurita3. Non si è mai esaurita. Le catene hanno scoperto che per soprawivere dovevano entrare nel business dei supermercati. Significava buttare via gli enormi investimenti effettuati in piccole superfici di quartiere e nei metodi tradizionali di distribuzione e di merchandising. Le aziende che avevano <il coraggio delle proprie convinzionir> sono rimaste saldamente attaccate alla filosofia del piccolo negozio. Hanno conservato l,orgoglio, ma ci hanno rimesso la camicia.
Un ciclo di autoinganno. Ma i ricordi durano poco. Per esempio, è difficile per coloro che oggi acclamano i due messia dell'elettronica e della chimica capire come le cose possano andar male in questi settori in fortissima crescita. probabilmente non riescono neppure a capire come un uomo d'affari di normale intelligenza possa essere tanto miope come il celebre milionario di Boston che, I6
Marketing Myopia
all'inizio del XX secolo, condannò involontariamente i suoi eredi alla povertà vincolando per sempre il suo intero patrimonio all'investimento nei titoli delle società tranviarie. La sua dichiarazione postuma <Ci sarà sempre una domanda elevata per dei trasporti urbani efficienti> non è di nessuna consolazione per i suoi eredi, che si guadagnano da vivere rifornendo di benzina le automobili nelle stazioni di servizio. Ma in un'indagine informale che ho effettuato presso un gruppo di manager particolarmente intelligenti, quasi metà di loro concordavano sul fatto che sarebbe stato difficile danneggiare gli eredi investendo per sempre i loro patrimoni nell'elettronica. Quando poi ho citato loro l'esempio delle tranvie di Boston, mi hanno risposto in coro: .,È un'altra cosa!> Ma lo è veramente? La situazione di base non è esattamente identica? Io sono convinto che in realtà non esista un settore in crescita. Ci sono solo delle aziende organizzate e gestite per creare e sfruttare opportunità di crescita. I settori che sono convinti di trovarsi su una sorta di ascensore automatico finiscono invariabilmente nella stagnazione. La storia di tutte le industrie <in crescita> che sono morte o moribonde evidenzia un ciclo di autoinganno, caratterizzato da una grandissima espansione e da una malcelata decadenza. Ci sono quattro condizioni che garantiscono di solito questo ciclo: 1. la convinzione che la crescita sia assicurata da una popolazione in espansione e più benestante;
l7
Theodore Levitt
la convinzione che non esista un'alternativa competitiva al prodotto principale del settore; ^ 3. una fiducia eccessiva nella proàu zione di massa e dei vantaggi di una rapida diminuzione dei . costi unitari grazie all,incremento dell,output; 4. la fissazione ossessiva per un prodotto che si presta a una sperimentazione scientifica atten_ tamente controllata, a un continuo migliora_ mento e alla riduzione dei costi di produzione. Vorrei ora esaminare con un certo dettaglio ognuna di queste condizioni. per rendere it pit convincente possibile la mia tesi, farò riferimento a tre settori: il petrolio, le automobili e l,elettro_ nica. Mi concentrerò in particolare sul petrolio, perché abbraccia un periodo più prolùngato e ha conosciuto maggiori vicissitudini. euesti tre settori hanno un' eccellen te r eputazione presso I'opinione pubblica e godono della fiducia di investitori sofi_ sticati, e i loro management sono noti per la loro modernità di pensiero in aree come il controllo fi_ nanziaio,la ricerca di prodotto e la forma zione manageriale. Se I'obsolescenza può colpire anche questi settori, può verificarsi ovunque. 2.
Il mito della popolazione La convinzione che i profitti siano assicurati da una popolazione in espansione e più agiataè profondamente radicata in tutti i seitori. attenua le
apprensioni che tutti, comprensibilmente, provano per il futuro. Se i consumatori si moltiplicano e ac_ quistano il vostro prodotto o il vostrò servizio in 18
Marketing Myopia
quantità maggiori, potete affrontare molto più serenamente di come fareste
il
futuro se il mer-
cato si stesse riducendo. Un mercato in espansione sottrae il produttore all'obbligo di riflettere approfonditamente o creativamente. Se il pensiero è la risposta intellettuale a un problema, I'assenza
di un problema conduce all'assenza di pensiero. Se il vostro
prodotto ha un mercato che si espande
automaticamente, non dovrete preoccuparvi troppo di come farlo crescere. Uno degli esempi più interessanti di questa dinamica è offerto dall'industria petrolifera. Questo settore, probabilmente quello che può vantare il più lungo trend di crescita, ha un record invidiabile. Anche se oggi si manifestano alcune preoccupazioni per il suo tasso di crescita, il settore tende all'ottimismo. Ma io credo che si possa dimostrare che sta vivendo un cambiamento radicale, ancorché tipico. Non solo sta smettendo di crescere, ma potrebbe essere addirittura in declino rispetto ad altri business. Nonostante la diffusa ignoranza di questo fatto, è ipotizzabile che, nel tempo,l'industria petrolifera si ritrovi nella stessa condizione di gloria retrospettiva in cui si trovano attualmente le ferrovie. Pur essendo all'avanguardia nello sviluppo e nell'applicazione del metodo di valutazione degli investimenti basato sul net present value (NPV o valore atttalizzato netto, VAN, NdT), nelle relazioni con il personale, e nel lavoro con i Paesi in via di sviluppo, il settore petrolifero è un esempio
l9
Theodore Levitt
inquietante di come l,autocompiacimento e la per_ severanza nell'errore possano decisamente tra_ sformare un'opportunità in una mezzacatastrofe. Una delle caratteristiche di questo e di altri settori che hanno creduto fermamente nelle conseguenze benefiche di un'espansione della popolazione, avendo nel contempo un prodotto generico per cui non sembrava esserci alcuna alternativa competi_ tiva, è che le singole aziende hanno cercato di far meglio dei concorrenti diventando più brave in ciò che fanno già. Ciò ha senso, naturalmente, se si as_ sume che le vendite siano legate alla crescita nu_ merica della popolazione, perché il consumatore può confrontare i prodotti solo caratteristica per caratteristica. Ritengo significativo, per esempio, che da quando John D. Rockefeller inviò graìui_ tamente lampade a kerosene in Cina, l,industria petrolifera non abbia fatto nulla di veramente ec_ cezionale per creare una domanda. Neppure nel miglioramento del prodotto si è coperta di gloria. Il più grande miglioramento in asioluto _ lo svi_ luppo del piombo tetraetile - è venuto dall,esterno del settore, in particolare dalla General Motors e dalla DuPont. I grandi contributi del settore pe_ trolifero si riducono alla tecnologia dell,esplora_ zione, della produzione e della raffinazione. Andare a caccia di guai. In altre parole, gli sforzi dell'industria petrolifera si sonoconcentrati sul miglioram ento dell' fficienza nell,acquisizione e nella fabbricazione del prodotto, non sul miglio_ ramento di quel prodotto generico" o del suo mar20
Marketing Myopia
keting. Inoltre, il prodotto principale è stato costantemente definito nei termini più restrittivi possibili - ossia benzina, e non energia, carburante o trasporto. Questo atteggiamento ha contribuito a fare in modo che: . I principali miglioramenti introdotti nella qualità della benzina non provenissero, tendenzialmente, dall'industria petrolifera. Lo sviluppo di combustibili alternativi più validi deriva anche da altri settori, come vedremo più avanti. . Le innovazioni principali nel marketing dei carburanti per automobili vengono da piccole compagnie petrolifere neo-costituite che non si occupano principalmente di produzione o di raffinazione. Queste compagnie hanno creato delle stazioni di rifornimento multipompa in rapida espansione, che mettono a disposizione strutture ampie e pulite, un servizio assistito rapido ed efficiente, e benzina di qualità a prezzi bassi. Lindustria petrolifera è dunque in cerca di guai da parte degli outsider. Prima o poi, in questa terra di investitori e imprenditori famelici, arriverà certamente una minaccia. Questa possibilità diventerà più evidente quando esamineremo la seconda convinzione pericolosa di molti gruppi dirigenti. Per coerenza espositiva, dato che la seconda convinzione è strettamente legata alla prima, continuerò con lo stesso esempio. L'idea di indispensabilità. Lindustria petrolifera è fondamentalmente convinta che non ci sia nessuna alternativa competitiva al suo prodotto prin-
21,
Theodore Levitt
cipale, labenzina - o che se c'è, continuerà a es_ sere un derivato del greggio, come il gasolio o il kerosene per gli aeroplani. Alla base di questo assunto c'è molto wishful thin_ king automatico. Il problema è che quasi tutte le aziende raffinatrici possiedono enormi riserve di greggio. Thli riserve valgono solo se c,è un mercato per i prodotti in cui il greggio si può convertire. Di qui l'ostinata convinzione della costante superiorità dei carburanti per automobili derivati dal petrolio. Questa idea persiste ad onta di tutte le evidenze storiche del contrario. Le prove dimostrano non solo che il petrolio non è mai stato a lungo, e per nessun impiego, un prodotto superiore; ma anche che l'industria petrolifera non è mai stata un set_ tore in crescita. È stata, invece, una successione di settori che hanno attraversato i consueti cicli sto_ rici di crescita, maturità e declino. La soprawi_ venza complessiva del settore è dovuta a una serie di miracolosi salvataggi dall,obsol escenza,di inat_ tese e fortunose coincidenze che gli hanno consentito di sfuggire al disastro. I pericoli del petrolio. per chiarire il mio pensiero, citerò solo gli episodi principali. All'inizio,il pe_ trolio era prevalentemente un medicinale brevet_ tato. Ma ancor prima che quella moda passeggera si esaurisse, la domanda venne significativamente ampliata dall'utilizzo del petrolio nelle lampade a kerosene. La possibilità di alimentare le lampade di tutto il mondo diede origine alla promessa di una crescita straordin aria. Le prospettive erano si_ 22
Marketing Myopia
mili
a quelle che si presentano attualmente per la
benzina in altre parti del mondo. I produttori non vedono I'ora che nei Paesi sottosviluppati ci sia un'auto in ogni garage. All'epoca della lampada a kerosene, le aziende petrolifere competevano tra di loro e con I'illuminazione a gas cercando di migliorare le caratteristiche illuminanti del kerosene. Poi, improwisamente, awenne l'impossibile. Edison in-
ventò una lampadina che era del tutto
indipendente dal petrolio greggio. Non fosse stato per il sempre maggiore utilizzo del kerosene nel riscaldamento degli ambienti, la lampadina incandescente avrebbe messo completamente fine alla crescita del settore petrolifero. Il petrolio sarebbe servito unicamente a ingrassare gli assali. Poi è ricominciata la sequenza dei disastri e dei salvataggi miracolosi. Sono subentrate due grandi innovazioni, nessuna delle quali proveniva dal settore petrolifero. In primo luogo,lo sviluppo dei sistemi di riscaldamento centrale a carbone ha mandato in obsolescenza le stufe a kerosene. Mentre il settore vacillava, è arrivato il suo più grande alleato: il motore a combustione interna, inventato anch'esso al di fuori dell'industria petrolifera. Poi, negli anni Venti, quando la prodigiosa espansione della domanda di benzina cominciava finalmente astabilizzarsi, è saltata fuori la miracolosa invenzione del riscaldamento centrale a petrolio. Ancora una volta, la via di fuga è venuta dall'esterno. E quando il mercato si è indebolito, è
23
Theodore Levitt
venuta in soccorso la domanda bellica di carburante per gli aeroplani. Dopo la guerra, I'espansione del_ l'aviazione civile, il passaggio al dieselàeile ferrovie
e il boom della domanda di automobili e camion hanno sostenuto la crescita del settore.
Nel frattempo, il riscaldamento centraljzzato a olio combustibile - il cui potenziale di espansione era stato riconosciuto solo da poco tempo _ si è trovato a fronteggiarela dura concorfenzadel ri_ sca-ldamento a gas. Le compagnie petrolifere pos_ sedevano il gas che faceva concórrenra al ioro petrolio, ma non è stato il settore ad awiare la ri_ voluzione del gas naturale, né fino a oggi ha tratto grossi profitti dalla disponibilità di quèsta risorsa. La rivoluzione del gas naturale è stàta awiata da nuove aziende di distribuzione che commercializ_ zavano il prodotto in modo molto aggressivo. eue_ ste aziende hanno dato vita a,ln s"ttore di grandi prospettive, prima contro i consigli e poi contro la resistenza delle aziende petrolifere. In base alla logica, la rivoluzione del gas naturale avrebbero dowto lanciarla le compagnie petroli_ fere. Oltre a possedere il gas, erano ie uniche ad avete un'esperienza adegtata di gestione, depu_ razione e utilizzo, e le uniche u .onorc"re a fondo le tecnologia di compressione e di distribuzione. Conoscevano anche i problemi del riscaldamento. Ma, in parte perché erano consapevoli che il gas naturale avrebbe fatto concorÍenza all'olio com_ bustibile, le aziende petrolifere hanno preso alla leggera il potenziale del gas. Alla fine, la rivolu_
Marketing Myopia
zione è stata awiata da alcuni responsabili di oleo-
dotti che, non riuscendo a convincere le proprie aziende a entrare con decisione nel gas naturale,
trasmissione del gas, baciate da uno straordinario successo. Anche quando hanno dovuto prendere se ne sono andati e hanno creato le aziende di
dolorosamente atto di tale successo,le compagnie
petrolifere non sono comunque entrate nella distribuzione del gas. Il business multimilionario che doveva essere loro è andato ad altri. Come in passato, l'industria petrolifera si è lasciata accecare dalla propria fissazione per un prodotto specifico, e dal valore delle riserve che aveva nei depositi. Non si è preoccupata dei bisogni e delle prefeÍenze elementari dei suoi clienti. Il periodo postbellico non ha visto alcun cambiamento. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, I'industria petrolifera ha trovato fondati motivi di incoraggiamento nella rapida crescita della domanda per i suoi prodotti tradizionali. Nel 1950, la maggior parte delle compagnie prevedevano tassi di crescita annua della domanda interna intorno al6Vo, almeno fino al 1975. Benché nel mondo libero il rapporto tra riserve di greggio e domanda fosse circa 20 a I (negli Stati Uniti si considerava ragionevole un rapporto di 10 a 1), il boom della domanda ha stimolato ulteriori esplorazioni senza un'adeguata riflessione su ciò che prometteva realmente il futuro. Nel 1952, i ricercatori hanno <fatto centro>> in Medio Oriente; il rapporto tra riserve e domanda è schizzato a42 al.Se
24 25
Theodore Levitt
I'incremento delle riserve continuerà
Marketing Myopia
al tasso
medio degli ultimi cinque anni (37 miliardi di ba_ rili all'anno), ora del 1970 il rapporto tra riserve e domanda salirà a 45 a 1. euesta sovrabbondanza di petrolio ha indebolito ilprezzo dei greggio e dei prodotti in tutto il mondo. Un futuro incerto. Il management non può trovare grossi motivi di consolazione nella ,upidu espan_ sione dell'industria petrolchimica, untaltra forma di utilizzo del petrolio che non ha avuto origine nelle aziende leader. La produzione petrolchimica totale degli Stati Uniti corrisponde a circa il2To (in volume) della domanda complessiva di pro_ dotti petroliferi. Anche se per I'industria peirolchimica si prevede attualmente un tasso di ciescita intorno al l0% all'anno, ciò non compenserà altri freni alla crescita del consumo di greggio. per giunta, mentre i prodotti petrolchimici sono tanti e in crescita, è importante ricordare che ci sono fonti extrapetrolifere della materia prima princi_ pale, come il carbone. Inoltre, grandi volumi di plastica si possono produrre con un quantitativo relativamente basso di petrolio. Oggi una raffine_ ria da 50.000 barili al giorno si considera alla soglia minima di efficienza. Ma un impianto chimico da 5.000 barili al giorno è una struttura colossale. Il settore petrolifero non è mai stato costante_ mente in crescita. È cresciuto a sbalzi, sempre salvato miracolosamente da innovazioni e sviluppi non di origine interna. Non è cresciuto s"gr"rrdo una progressione lineare perché ogni volta che 26
di avere un prodotto superiore, al riparo da possibili alternative competitive, il prodotto si rivelava inferiore e inesorabilmente destinato alI'obsolescenza. Se le ricerche di un'azienda non renderanno un prodotto obsoleto, lo faranno quelle di un'altra azienda. Se un settore non è particolarmente fortunato, come è toccato finora alI'industria petrolifera, rischia di trovarsi con i conti pesantemente in rosso - come è successo alle ferrovie, ai produttori di fruste per postiglioni, alle catene di piccoli negozi alimentari, a quasi tutte le grandi case cinematografiche e a molti altri settori. Il modo migliore che ha a disposizione un'azienda per essere fortunata è costruire la propria fortuna. Significa sapere che cosa garantisce il successo di un business. Uno dei peggiori nemici di questa conoscenza è la produzione di massa. pensava
Pressioni della produzione I settori caratterizzati dalla produzione di massa sono dominati da una fortissima spinta a produrre più che possono. La prospettiva di ottenere una sensibile riduzione dei costi unitari con l'incremento dell'output è pressoché irresistibile per la maggior parte delle aziende. Le possibilità di profìtto appaiono spettacolari. T[tti gli sforzi si concentrano sulla produzione. La conseguenza è che il marketing viene trascurato. John Kenneth Galbraith sostiene che awenga esattamente I'opposto.a IJoutput è così formidabile che tutti gli sforzi si concentrano sul tentativo di ven-
27
Theodore Levitt
derlo ad ogni costo. Ciò spiega, a suo dire,la proliferazione degli spot televisivi, la devastazione delle campagne con i cartelloni pubblicitari, e altre pratiche dispendiose e volgari. Galbraith punta il dito su un fenomeno reale, ma perde di vista I'aspetto strategico. La produzione di massa genera effettivamente una fortissima pressione per <muovere> il prodotto. Ma ciò che viene enfatizzato di solito è la vendita, non il marketing. Il marketing, un processo più sofisticato e complesso, viene ignorato. La differenza tra marketing e vendita è tutt'altro che semantica.Lavendita si concentra sui bisogni del venditore, il marketing si concentra sui bisogni dell'acquirente. La vendita mette al centro il bisogno del venditore di convertire il prodotto in denaro liquido, il marketing mette al centro la soddisfazione dei bisogni del cliente per mezzo del prodotto e dell'intera catena di attività che si associano alla sua creazione, alla sua fornitura e infine al suo consumo. In alcuni settori, le lusinghe della produzione di massa sono state così forti da indurre il top management a dire sostanzialmente alle vendite: <Voi fate fuori il prodotto; noi ci occuperemo dei profitti>. Per contro, un'azienda veramente orientata al marketing tenta di creare prodotti e servizi ad alto valore aggiunto che i consumatori vorranno acquistare. Ciò che offre in vendita include non solo il prodotto o il servizio generico, ma anche il modo in cui viene messo a disposizione del cliente, in che forma, quando, a quali condizioni, e con quali ragioni
28
Marketing Myopia
di scambio. Ma soprattutto, ciò che offre in vendita non è determinato dalvenditore ma dall'acquirente' È il venditore a raccogliere le imbeccate del cliente, per cui il prodotto diventa una conseguenza dello sforzo di marketing, e non viceversa. Il ritardo di Detroit. Può apparire una regola elementare di business, ma ciò non impedisce che venga violata in continuazione. E sicuramente più violata che rispettata. Prendete il caso dell'industria automobilistica. Qui la produzione di massa è particolarmente rinomata e utilizzata, e ha un impatto importante sull'intera società. Lindustria automobilistica ha legato la propria fortuna al principio irrinunciabile del rinnovamento annuale dei modelli, una politica che rende assolutamente imprescindibile i'orientamento al cliente. Di conseguenza, le case automobilistiche spendono ogni anno milioni di <lollari in ricerche sui clienti. Ma il fatto che le nuove compatte vendano così bene nel primo anno indica che le ampie ricerche di Detroit non hanno mai rivelato ciò che volevano realmente i clienti. Le case automobilistiche americane non crano convinte che la gente volesse qualcosa di diverso da ciò che aveva a disposizione, finché non hanno perso milioni di clienti che si sono orientati su altri produttori di vetture più piccole. Come ha potuto perpetuarsi tanto a lungo questo incredibile ritardo sui desideri dei clienti? Perché
le ricerche non hanno rivelato le preferenze dei consumatori prima che fossero le loro decisioni di 29
Theodore Levitt
acquisto a rivelarle? Le ricerche sui consumatori non servono proprio a scoprire in anticipo quello che accadrìfl Larisposta è che Detroit non ha mai indagato veramente sui desideri dei clienti. Ha studiato solo le preferenze tra i vari modelli che aveva già deciso di offrire loro. perché Detroit è prevalentemente orientata al prodotto, non al cliente. Sapendo che il cliente ha dei bisogni che il produttore dovrebbe tentare di soddisfare, agisce di solito come se quel lavoro si potesse fare interamente con dei cambiamenti di prodotto. Di tanto in tanto ci si preoccupa anche del finanziamento, ma lo si fa più per vendere che per mettere il cliente in condizione di acquistare. Quanto alla soddisfazione di altri bisogni dei clienti, si è fatto veramente poco. Le aree di maggiore insoddisfazione vengono ignorate, o nel migliore dei casi ricevono un,attenzione molto scarsa. Riguardano il punto vendita e la manutenzionelassistenza. Detroit attribuisce a queste aree problematiche un'imp oîtanza secondaria. Lo conferma il fatto che la vendita al dettaglio e I'assistenza tecnica non sono né gestite né controllate dai produttori. Una volta fabbricata l,automobile, il gioco passa nelle mani inadeguate del rivenditore. Latteggiamento distaccato delle case automobilistiche americane è dimostrato dal fatto che nonostante le enormi opportunità di promozione delle vendite e incremento dei profitti che si accompagnano all' assiste nza tecnica. appena 5 7 concessionari della Chevrolet su 7.000 offrono un 30
Marketing Myopia
servizio di riparazione e manutenzione notturna. Gli automobilisti esprimono ripetutamente insoddisfazione per il servizio e disagio per il processo di acquisto così come si concretizzaoggi. Le ansie e i problemi che sperimentano nei processi di acquisto e manutenzione dell'auto sono probabilmente più intensi e più diffusi oggi di quanto non fossero tanti anni fa. Ma le case automobilistiche non sembrano ascoltare, né voler assecondare, l'angosciato consumatore. E se lo ascoltano, lo fanno attraverso il filtro della loro preoccupazione ossessiva per la produzione. Lo sforzo di marketing si considera ancora una consegvenza necessaria del prodotto - non viceversa, come dovrebbe essere. E I'eredità della produzione di massa, con la sua visione ristretta che colloca prevalentemente il profitto nella produzione a basso costo. Quello che Ford metteva al primo posto. La prospettiva di profitto che deriva dalla produzione di massa ha owiamente un posto di rilievo nei piani e nella strategia del management aziendale, ma deve sempre segrrire un ragionamento approfondito sul cliente. E una delle lezioni più importanti che possiamo apprendere dal comportamento contraddittorio di Henry Ford. In un certo senso,
Ford è stato I'imprenditore più brillante e più privo di buon senso della storia americana. Era privo di buon senso perché si rifiutava di offrire al cliente qualcosa di diverso da un'automobile nera. Ed era brillante perché aveva ideato un sistema di produzione perfettamente in grado di rispondere
31
Theodore Levitt
Marketing Myopia
ai bisogni del mercato. Noi di solito lo celebriamo per la ragione sbagliata: il suo genio produttivo. Il suo vero genio concerneva il
un costo, e naturalmente tutti nostri costi vengono calcolati esattamente, nessuno sa quale dovrebbe
marketing. Pensiamo che sia riuscito a ridurre il prezzo di vendita, e quindi a vendere milioni di vetture da 500 dollari, perché I'invenzione della catena di montaggio aveva fatto diminuire i costi. In realtà, inventò la catena di montaggio perché sapeva che al prezzo di 500 dollari avrebbe potuto vendere milioni di automobili. La produzione di massa era l'effetto, non la causa, dei suoi bassi prezzi. Ford lo ripeteva in continuazione, ma una nazione di manager orientati alla produzione si rifiuta di ascoltare la grande lezione che ci ha insegnato. Ecco come sintetizzava la sua filosofia operativa. La nostra politica è ridurre ilprezzo, estendere le operation e migliorare il prodotto. Noterete che la
fissare vnprezzo così basso da obbligare tutti i soggetti coinvolti ad adottare il massimo livello di efficienza. Il prezzo basso spinge tutti a cercare dei profitti, Facciamo più scoperte in tema di produzione e di vendita con questo metodo che con qua-
riduzione delprezzo viene per prima. Non abbiamo mai considerato fisso nessun costo. Perciò ridurremo anzitutto il prezzo al livello in cui siamo convinti di poter avere maggiori vendite. Poi andremo avanti e cercheremo di abbassare ulteriormente i prezz| Non ci preoccupiamo dei costi. Il nuovo prezzo fa scendere i costi. Il processo tradizionale è prendere i costi e determinare llprezzo; e, pur essendo scientifico in senso stretto, quel metodo non lo è in senso lato, perché a che cosa mai serve conoscere il costo se ti dice che non puoi produrre al pÍezzo a cui si può vendere I'articolo? Ma conta di più il fatto che, pur potendo calcolare esattamente
32
essere un costo. Uno dei modi per scoprirlo
...
è
lunque altro metodo di investigazione teorica.s
Provincialismo di prodotto. Le allettanti possibilità di profitto offerte da bassi costi unitari di produzione sono alla base del più grave atteggiamento di autoinganno che possa affliggere un'azienda, specie un'azienda <in crescita>>, dove un'espansione della domanda apparentemente garantita tende già a relegare in secondo piano una doverosa preoccupazione per I'importanza del marketing e del cliente. Il risultato abituale di questa fissazione per i cosiddetti <aspetti concreti> è che, invece di crescere, il settore declina. Significa di solito che il prodotto non si adatta alla costante evoluzione dei bisogni e dei gusti dei clienti, a pratiche e istituzioni di marketing nuove e modificate, o allo sviluppo di nuovi prodotti in settori concorrenti o complementari. Il settore è talmente fossilizzato sul suo prodotto specifico da non rendersi conto che sta diventando obsoleto. Il classico esempio in proposito è l'industria delle fruste da postiglione. Non c'era miglioramento del prodotto che potesse impedirne la condanna a
33
Theodore Levitt
morte. Ma se il settore si fosse definito in modo più ampio, come una branca del trasporto, avrebbe potuto soprawivere. Avrebbe fatto ciò che comporta sempre la soprawivenza- avrebbe messo in atto un cambiamento. Anche se avesse definito il proprio business semplicemente come la catalizzazione o la stimolazione di una fonte di energia, avrebbe potuto soprawivere riconvertendosi alla produzione, mettiamo, di cinghie per le ventole o di depuratori d'aria. Quello che un giorno potrebbe diventare un altro esempio classico è, ancora una volta, il settore petrolifero. Visto che si era già lasciato rubare meravigliose opportunità (tra cui il gas naturale, come abbiamo già detto; i combustibili per i missili e i lubrificanti per gli aerei a reazione), ci si potrebbe aspettare che intraprendesse delle azioni per evitare nuove disawenture dello stesso tipo. Invece no. Stiamo attualmente assistendo a dei nuovi e straordinari sviluppi nei sistemi di alimentazione per le automobili. A parte il fatto che questi sviluppi si concentrano in aziende estranee all'industria del petrolio, essa li ignora pressoché sistematicamente, accontentandosi del proprio indissolubile legame con l'oro nero. È la riedizione del confronto impari tra lampada a kerosene e lampadina a incandescenza. Lindustria petrolifera sta cercando di migliorare i combustibili a idrocarburi, anziché sviluppare nuovi combustibili pienamente rispondenti ai bisogni dei loro utilizzatorl anche se fabbricati con altre modalità 34
Marketing Myopia
e con materie prime diverse dal petrolio.
Ecco alcuni progetti su cui stanno lavorando aziende di altri settori. . Più di una decina di queste aziende hanno sviluppato modelli avanzati di sistemi energetici che, una volta perfezionati, sostituiranno il motore a combustione interna e faranno venir meno la domanda di benzina. Il merito che accomuna questi sistemi è l'eliminazione delle frequenti e fastidiose fermate per il rifornimento. La maggior parte di questi sistemi impiegano le pile a combustibile per creare energia elettrica direttamente dalla reazione chimica, senza combustione. Utilizzano in prevalenza sostanze chimiche che non derivano dal petrolio - generalmente I'idrogeno e I'ossigeno. . Diverse altre aziende hanno sviluppato modelli avanzati di batterie elettriche per le automobili. Tia di loro c'è un produttore di aeroplani che lavora in sinergia con varic società elettriche. Que-
ste ultime vorrebbero sfruttare il surplus di capacità per ricaricare le batterie durante la notte. Un'altra azienda, che impiega anch'essa
l'approccio delle batterie, è un'impresa elettronica di medie dimensioni con una vasta esperienza sulle batterie miniaturizzate,che ha sviluppato lavorando sulle protesi per non udenti. Que-
st'azienda sta collaborando con una casa automobilistica. I miglioramenti nati recentemente dall'esigenza di inserire potentibatterie mi-
niaturizzate
nei razzi hanno awicinato
la
35
Theodore Levitt
realazazione di una batteria relativamente piccola in grado di reggere grossi sovraccarichi di corrente. I diodi al germanio e le batterie che impiegano piastre sinterizzate e una miscela di nichel e cadmio promettono di introdurre una rivoluzione nelle nostre fonti energetiche. . Anche i sistemi di conversione dell'energia solare sono oggetto di sempre maggiore attenzione. Un executive di Detroit solitamente cauto ha affermato recentemente che entro il 1980Ie auto a batterie solari potrebbero essere di uso comune.
Quanto alle aziende petrolifere, stanno più o meno <alla finestra>>, come mi ha detto un direttore della ricerca. Poche fanno ricerche sulle pile combustibile, e queste ricerche riguardano quasi sempre lo sviluppo di pile alimentate da sostanze chimiche derivanti dagli idrocarburi. Nessuna sta lavorando con entusiasmo sulle pile a combustibile, sulle batterie o sui sistemi di conversione delI'energia solare. Nessuna sta investendo in queste aree critiche una percentuale minima di ciò che investe in problematiche del business tradizionale come ridurre i depositi che si formano nella camera di combustione dei motori a benzina. Una grande azienda petrolifera integrata ha studiato recentemente la pila a combustibile e ha concluso che ,.per quanto le aziende che ci lavorano attivamente mostrino di credere nel successo ... i tempi e I'entità del suo impatto sono troppo remoti per giustificarne l'inserimento nelle nostre previsioni>. a
36
Marketing Myopia
Ci si potrebbe naturalmente domandare perché le compagnie petrolifere dovrebbero agire diversamente. Le pile a combustibile, le batterie o I'ener-
gia solare non rischiano di uccidere le linee di prodotto in essere? La risposta è che rischiano veramente di farlo, ed è proprio per questo che le aziende petrolifere devono sviluppare queste fonti di energia prima che lo facciano i concorrenti, per non ritrovarsi a non avere più un business. ll management avrebbe maggiori probabilità di fare ciò che è necessario per auto-preservarsi se pensasse di operare nel business dell'energia. Ma non basterà neppure quello, se continuerà ad auto imprigionarsi in quel rigido orientamento al prodotto. Deve convincersi che il suo compito istituzionale è soddisfare i bisogni dei clienti, e non trovare, raffinare o vendere il petrolio. Quando si convincerà effettivamente che il suo business è soddisfare i bisogni di trasporto della gente, nulla potrà impedirgli di mettere in atto una crescita straordinariamente profittevole. Distruzione creativa. Siccome le parole costano poco e i fatti sono impegnativi e costosi, conviene spiegare che cosa implica questo modo di pensare, e dove porta. Partiamo dall'inizio, ossia dal cliente. Si può dimostrare che gli automobilisti odiano il fastidio, la perdita di tempo e l'esperienza stessa di acquistare la benzina. In realtà non acquistano la benzina. Non possono vederla, gustarla, percepirla, apprezzarlae neppure testarla. Ciò che acquistano ò il diritto di continuare a guidare la propria mac-
37
Theodore Levitt
china. La stazione di servizio è una sorta di esattore delle tasse a cui le persone sono costrette a pagare un pedaggio periodico per utihzzare la propria automobile. E questo rende la stazione di servizio un'istituzione alquanto impopolare. Non si potrà mai rendere popolare o piacevole, ma solo meno impopolare e meno sgradevole. Minimizzarne totalmente I'impopolarità significa eliminarla. A nessuno piacciono gli esattori delle tasse, neppure se sono simpatici e divertenti. Nessuno è contento di interrompere un viaggio per acquistare un prodotto fantomatico, neppure da un bellissimo Adone o da una Venere seducente. Di conseguenza, le aziende che stanno lavorando su combustibili alternativi che elimineranno la necessità di rabbocchi frequenti, si stanno gettando direttamente nelle braccia dell'automobilista inferocito. Stanno cavalcando un'onda di inevitabi-
Marketing Myopia
Quando comprenderanno la logica di soddisfazione del cliente insita in ciò che può fare un altro sistema
produttori di aspirapolvere non avevano alternative alla produzione di semiconduttori. Per il loro bene, le aziende petrolifere dovranno distruggere i propri asset ultraprofittevoli. Non c'è wishful thinking che possa risparmiare loro l'esigenza di impegnarsi in questa forma di <distruzione creativa>>. Esprimo questo bisogno in termini così enfatici perché penso che il management debba fare un grosso sforzo per abbandonare le logiche convenzionali. Di questi tempi, è decisamente troppo facile, per un'azienda o per un'industria, lasciare che il senso dei propri fini venga dominato dalle economie di scala insite nella produzione di massa, e sviluppare un orientamento al prodotto pericolosamente sbilanciato. In sostanza, se il management si lascia trasportare da questa deriva, tende invariabilmente a considerarsi un produttore di beni e servizi, e non di soddisfazioni per il cliente. Anche se probabilmente non si abbasserà a ordinare ai venditori <Voi fate fuori il prodotto, noi ci preoccuperemo dei profìtti" rischia, senza saperlo, di applicare precisamente quella formula per il declino. Alla base del deterioramento di tutti i settori in crescita c'è stato un provincialismo di prodotto suicida.
di alimentazione,le aziende petrolifere si renderanno conto di non avere alternative allo sviluppo di un carburante efficace e di lunga durata (o alI'ideazione di un sistema per distribuire i carburanti in essere senza irritare l'automobilista), così come le grandi catene alimentari non avevano alternative
I pericoli dell'R&S Un altro grosso pericolo per la crescita continuativa di un'azienda si determina quando il top management è totalmente accecato dalle possibilità di profitto offerte dall'attività di ricerca e sviluppo. Per
lità, non perché stiano creando
qualcosa di tecnologicamente superiore, o di più sofisticato, ma perché stanno soddisfacendo un bisogno primario dei clienti. Stanno anche eliminando esalazioni nocive e inquinamento atmosferico.
38
a entrare nel business dei supermercati, o i
39
Theodore Levitt
chiarire questo punto, mi occuperò prima di un nuovo settore - I'elettronica * e poi tornerò ancora unavolta alle aziende petrolifere. Confrontando un esempio innovativo con un esempio tradizionale, spero di riuscire a mettere in luce la prevalenza e f insidiosità di un modo di pensare assai pericoloso. Sottovalutazione del marketing. Nel caso delI'elettronica, il maggior pericolo che si pone alle nuove e brillanti aziende che operano in questo settore non è quello di non dedicare abbastanza attenzione alla ricerca e sviluppo, ma è quello di dedicarvi un'attenzione eccessiva. E il fatto che le aziende elettroniche più in crescita debbano la loro preminenza alla fortissima enfasi che pongono sulla ricerca tecnologica è totalmente fuor-
viante. Queste aziende hanno fatto leva su un'improwisa ondata di ricettività generale a nuove idee tecnologiche. Il loro successo si è determinato inizialmente nel mercato praticamente garantito delle forniture militari, ed è stato alimentato da ordinativi militari che in molti casi precedevano l'esistenza stessa degli stabilimenti. In altre parole, la loro espansione è stata quasi totalmente priva di uno sforzo di marketing. Di conseguenza, stanno crescendo in condizioni che sono pericolosamente vicine a creare I'illusione che un prodotto superiore possa vendersi da solo. Non c'è da sorprendersi se, avendo creato un'azienda di successo attraverso la fabbricazione di un prodotto superiore, il management continua a essere orientato al prodotto anziché alle persone 40
Marketing Myopia
che lo utilizzano. Si convince che la crescita conti-
nuativa dipenda dall'innovazione costante e dal miglioramento continuo del prodotto. Diversi altri fattori tendono arafforzare e a sostenere questa convinzione: l. Poiché i prodotti elettronici sono altamente complessi e sofisticati, i gruppi dirigenti si riempiono di ingegneri e di ricercatori. Ciò crea un pregiudizio selettivo a favore della ricerca e della produzrone, a spese del marketing. IJorganizzazione tende a vedere la propria missione nella produzione di beni anziché nella soddisfazione dei bisogni dei clienti. Il marketing viene trattato come un'attività residuale, <<un'altra cosa>> che bisogna fare dopo aver espletato il compito fondamentale di creare il prodotto e direalizzare la produzione. 2. A questo pregiudizio a favore della ricerca, dello sviluppo e della produzione, si aggiunge il pregiudizio a favore delle variabili controllabili. Ingegneri e ricercatori sono totalmente a loro agio in un mondo di cose concrete come i macchinari, le provette, le linee di produzione e persino i bilanci. Le astrazioni con cui si trovano bene sono quelle testabili o manipolabili in laboratorio; oppure, se non testabili, quantomeno funzionali, come gli assiomi di Euclide. In sostanza, i dirigenti delle nuove aziende tecnologiche in crescita tendono a favorire delle attività di business che si prestano allo studio, alla sperimentazione, al controllo - le realtà pratiche e concrete del laboratorio, dell'officina e dei libri.
4t
Theodore Levitt
Ciò che viene sottovalutato sono le realtà delmercato. I consumatori sono imprevedibili, variegati, volubili, stupidi, miopi, ostinati e generalmente fastidiosi. Non è quello che dicono i manager-ingegneri, ma nel profondo della loro coscienza è ciò che pensano. E ne spiega la concentrazione su ciò che sanno e su ciò che possono controllare - vale a dire la ricerca di prodotto, I'engineering e la produzione. I-enfasi sulla produzione diventa particolarmente attrattiva quando il prodotto si può fabbricare a dei costi unitari declinanti. Non c'è modo più attraente di fare i soldi che far girare la fabbrica a pieno regime. Oggi, l'orientamento fortemente scientifico, ingegneristico e produttivo di tante aziende elettroniche funziona ragionevolmente bene perché stanno penetrando in nuove frontiere in cui le forze armate hanno creato dei mercati praticamente sicuri. Queste aziende sono nella felice condizione di dover sfruttare, e non trovare, dei mercati; di non dover scoprire che cosa chiede e che cosa desidera il cliente, ma di ricevere direttamente le sue richieste specifiche in ordine ai nuovi prodotti. Se un team di consulenti avesse dovuto progettare una situazione di business strutturata in modo da impedire la nascita e lo sviluppo di un marketing orientato al cliente, non avrebbe potuto immaginare nulla di meglio delle condizioni testé descritte. Thattamento inferiore. Lindustria petrolifera è un clamoroso esempio di come la scienza,la tecnologia e la produzione di massa possano distogliere
42
Marketing Myopia
un intero gruppo di aziende dal loro compito prin-
cipale. Nella misura, non certo elevata, in cui il consumatore viene studiato, lafocalizz:azione è costantemente sull'acquisizione di informazioni strutturate per aiutare le aziende petrolifere a migliorare ciò che fanno attualmente. Cercano di scoprire temi pubblicitari più convincenti, promozioni commerciali più efficaci, le quote di mercato delle varie compagnie, ciò che piace e non piace agli utenti delle stazioni di servizio e delle compagnie petrolifere, e così via. Nessuno sembra interessato a indagare approfonditamente i bisogni fondamentali che il settore potrebbe tentare di soddisfare tanto quanto lo è ad analizzare le proprietà fondamentali delle materie prime che impiegano le imprese per tentare di soddisfare i clienti. Le domande più importanti sui clienti e sui mercati non si pongono quasi mai. Questi ultimi hanno evidentemente uno status inferiore. Si sa che esistono e che bisogna prendersene cura, ma non meritano una particolare riflessione o una particolare attenzione. Nessuna azienda petrolifèra si interessa dei propri clienti nella stessa misura in cui si interessa del petrolio disponibile nel deserto del Sahara. Nulla documenta più chiararnente la sottovalutazione del marketing del trattamento che riceve nella stampa di settore. I i e dizi one del cen tena r io dell' Ame ric an Pe t ro I e um Institute Quarterly, pubblicata nel 1959 per festeggiare la scoperta del petrolio a Titusville, in Pen-
rrsylvania, conteneva ventuno
articoli
che
43
Theodore Levitt
esaltavano la grandezza del settore. Solo uno di essi parlava dei risultati conseguiti dal marketing, e si trattava di una descrizione illustrata di come si è evoluta I'architettura delle stazioni di servizio. Quel numero della rivista conteneva anche una sezione speciale sui <Nuovi Orizzonti>r, dedicata allo straordinario ruolo che avrebbe avuto il petrolio nel futuro dell'America. Tutti i commenti erano ispirati a un grandissimo ottimismo, e non si accennava minimamente al fatto che il petrolio avrebbe potuto incontrare una dura concorrenza. Persino il riferimento all'energia atomica era un catalogo positivo delle modalità con cui il petrolio potrebbe contribuire al successo dell'energia nucleare. Non si accennava minimamente al fatto che il benessere dell'industria petrolifera potrebbe essere minacciato, né che un <<nuovo orizzonte>> potrebbe includere soluzioni innovative più efficaci per servire i clienti attuali delle aziende petrolifere. Ma I'esempio più rivelatore del trattamento inferiore che riceve il marketing si trova in un'altra serie di articoli brevi su <Il potenziale rivoluzionario dell'elettronica>. Sotto quel titolo appariva nell'indice il seguente elenco di articoli: <La ricerca del petrolio" <Le attività di produzione> <I processi di raffinazione> .,La conduzione degli oleodotti>. Significativamente, vengono elencate tutte le principali aree funzionali del settore, tranne il marketing. Perché? O si crede che l'elettronica non abbia
44
Marketing Myopia
alcun potenziale rivoluzionario per il marketing del petrolio (il che è visibilmente sbagliato), oppure i redattori si sono dimenticati di parlare del marketing (il che è più probabile e ne documenta lo status inferiore). Anche I'ordine in cui vengono elencate le quattro aree funzionali tradisce la distanza che separa l'industria petrolifera dal consumatore. Il settore viene implicitamente definito come se iniziasse dalla ricerca del petrolio e terminasse con la sua distribuzione dalla raffineria. Ma a me sembra che in realtà il settore inizi dai bisogni del cliente. Da quel punto di partenza, la sua definizione risale ad aree progressivamente sempre meno importanti finché non arriva alla ricerca del petrolio. L'inizio e la fîne. Lidea che un settore sia un processo di soddisfazione del cliente, e non un processo di produzione di beni, è d'importanza fondamentale per tutti i manager. Un settore inizia dal cliente e dai suoi bisogni, e non da un brevetto, da una materia prima o da una competenza commerciale. Di fronte ai bisogni del cliente, il settore si sviluppa a ritroso, concentrandosi anzitutto sulla erogazione materiale delle soddisfazioni per il cliente. Poi risale allacreazione delle cose attraverso cui si ottengono in parte queste soddisfazioni. Il modo in cui si creano queste cose è indifferente per il cliente, giacché la forma specifica per produrlo, processarlo o quant'altro non si può considerare un aspetto fondamentale dell'industria specifica. Infine, il settore risale ulterior-
Theodore Levitt
mente alreperimento delle materie prime necessarie per la fabbricazione dei suoi prodotti. Il paradosso di alcuni settori orientati alla ricerca e allo sviluppo tecnologico è che gli scienziati che siedono nelle posizioni di vertice hanno un approccio del tutto ascientifico per quanto riguarda la definizione dei bisogni e dei fini complessivi delle loro aziende. Violano le prime due regole del metodo scientifico: essere consapevoli dei problemi delle loro aziende e definirli, e poi sviluppare ipotesi testabili su come risolverli. Usano un approccio scientifico solo dove gli fa comodo, come negli esperimenti di laboratorio e di prodotto. Il cliente (e la soddisfazione dei suoi bisogni più profondi) non si considera <il problema> - non perché vi sia la ceÍfezza che non esiste alcun problema al riguardo, ma perché la lunga milizia aziendale ha condizionato il management a guardare nella direzione opposta. Il marketing è un figliastro. Non intendo dire che la vendita sia ignorata. Tútt'altro. Ma lo ripeto, la vendita non è il marketing. Come ho già osservato, la vendita si preoccupa dei trucchi e delle tecniche che inducono le persone a scambiare i loro soldi con il vostro prodotto. Non si preoccupa deivalori su cui si fonda quello scambio. E, diversamente da quanto fa invariabilmente il marketing, non considera I'intero processo di business uno sforzo strettamente integrato per scoprire, creare, stimolare e soddisfare i bisogni del cliente. Il cliente è un'entità indefinita che, con la tecnica giusta, si può separare dai suoi soldi.
46
Marketing Myopia
In effetti, in alcune aziende tecnologiche neppure la vendita riceve una grossa attenzione. Poiché c'è un
mercato praticamente garantito per I'abbondante flusso di nuovi prodotti, quelle aziende non sanno neppure che cosa sia un vero mercato. È come se vivessero in una economia pianificata, in cui si limitano a trasferire i prodotti dalla fabbrica al punto di distribuzione al dettaglio. Il successo della loro tocalizzazione sul prodotto le induce a convincersi della validità di ciò che hanno fatto, per cui non vedono le nubi che si vanno addensando sul mercato.
Meno di settantacinque anni fa le ferrovie americane avevano la piena fiducia dei finanzieri di Wall Street. I monarchi europei investivano pesantemente su di esse. La ricchezza eterna era la beneclizione che attendeva chiunque riuscisse a mettere insieme qualche migliaio di dollari da investire nelle azioni delle ferrovie. Nessuna altra forma di trasporto poteva competere con le ferrovie per velocità, flessibilità, durabilità, economia di esercizio e potenziale di crescita. Come spiegava Jacques Barzun, r,all'alba del nuovo sccolo era un'istituzione, un'immagine, una tradizione, un codice di onore, una fonte di poesia, un vivaio di desideri giovanili, il più sublime dei giocattoli c la macchina più solenne - dopo il carro funebre che contrassegna le epoche nella vita dell'uomo>.0 Anche dopo l'awento delle automobili, dei ca-
47
Theodore Levitt
mion e degli aerei, i magnati delle ferrovie restavano imperturbabilmente sereni. Se sessant'anni fa aveste detto loro che di lì a trent'anni sarebbero stati in ginocchio, senza un soldo e disperatamente a caccia di finanziamenti pubblici vi avrebbero giudicati del tutto dementi. Un futuro di questo tipo si considerava semplicemente impossibile. Non era neppure un argomento da discutere, una domanda da porre o un tema che qualunque persona sana di mente giudicasse degno di essere preso in considerazione. Ma tantissime idee r<pazze>> sono ormai accettate - per esempio, l'idea che esistano dei tubi di metallo da cento tonnellate che si spostano agevolmente nell'aria a seimila metri di altezza, dentro i quali cento cittadini sani di mente e rispettabili bevono tranquillamente un Martini - e hanno inferto durissimi colpi alle ferrovie. Che devono fare esattamente le altre aziende per evitare questo destino? Che cosa comporta l'orientamento al cliente? A queste domande hanno risposto in parte gli esempi e l'analisi di prima. Ci vorrebbe un altro articolo per spiegare in dettaglio che cosa occorre per ogni specifico settore. In ogni caso, dovrebbe essere evidente che la costruzione di un'azienda efficace orientata al cliente comporta ben altro che buone intenzioni o trucchi promozionali; comporta solide capacità organbzative e di leadership. Per il momento, mi limito a suggerire quelli che potrebbero essere i requisiti generali. Il senso viscerale della grandezza. Owiamente, I'azienda deve fare ciò che impone la soprawi-
48
Marketing Myopia
venza. Si deve adattare alle esigenze del mercato,
e deve farlo al più presto. Ma la mera soprawivenza è un'aspirazione mediocre. Chiunque può soprawivere in un modo o nell'altro, anche il vagabondo. Il trucco è soprawivere alla grande, percepire I'impulso irresistibile della potenza commerciale: non limitarsi ad assaporare il dolce profumo del successo, ma avere il senso viscerale della grand ezza impr enditoriale. Nessuna organizzazione può arrivare alla grandezza senza un leader vigoroso che sia animato da una palpitante voglia di successo. Un leader deve avere una visione di grandeur, una visione che è in grado di produrre un gran numero di seguaci entusiasti. Nelbusiness, i seguaci sono i clienti. Per produrre questi clienti,l'intera aziendava considerata un organismo per la creazione e la soddisfazione dei clienti. Il management deve convincersi non di fabbricare prodotti, ma di fornire soddisfazioni che creano valore per i clienti. Deve diffon-
dere questa idea (e tutto ciò che significa e comporta) in tutti gli angoli dell'organizzazione. Deve farlo continuamente e con un approccio tale da eccitare e stimolare le persone che ne fanno parte. Altrimenti l'azienda sarà unicamente una serie di compartimenti stagni, priva di un senso di finalità o di direzione che la tenga assieme. In poche parole,l'organizzazione deve imparare a considerarsi non un'entità che produce beni o servizi, ma un'entità che acquista clienti, in quanto fa le cose che inducono le persone avoler acquistare
49
Theodore Levitt
da lei. E il CEO ha il compito ineludibile di creare questo ambiente, questo punto di vista, questo atteggiamento, questa aspirazione. Deve definire lo stile, la direzione e gli obiettivi dell'azienda. Significa sapere esattamente dove vuole andare, e fare in modo che I'intera organizzazione sia entusiasticamente consapevole di quella meta. È un primo requisito della leadership, perché se un leader non sa dove sta andando, nessuna strada ce lo porterà. Se qualunque strada andasse bene, il CEO potrebbe anche chiudere la sua 24 ore e andarsene a pescare. Se un'organizzazione non sa dove sta andando o non se ne preoccupa, non ha alcun bisogno di farlo sapere in modo formalizzato. Tìrtti se ne accorgeranno molto presto.
Note 1.
Jacques Barzun, <iTiains and the Mind of Manr, Ho-
liday, febbraio 1960.
2.Per maggiori dettagli, vedi M. M. Zimmerman, The Super Market: A Revolution in Distibution, (McGrawHill, 1955). 3. Ibid., pp. 45-47. 4. John Kenneth Galbraith, The Affluent Society (Houghton Mifflin, 1958).
5.Henry Ford, My
Lift and Work (Doubleday, tgZ3).
6. Barzun, .iTiains and The Mind of Mano.
50
Marketing Myopia
L'idea in breve In quale business operaterealmente? Ìluna domanda apparentemente semplice, ma che dovremmo farci tutti prima che la domanda per i prodotti o i servizi della nostra azienda si riduca sensibilmente. Le ferrovie non si sono poste questa domanda e hanno smesso di crescere. Perché? Non perché la gente non avesse più bisogno di spostarsi. E non perché altre innovazioni (automobili e aeroplani) soddisfacessero totalmente i bisogni di trasporto. Le ferrovie hanno smesso di crescere perché non si sono preoccupate di soddisfare quei bisogni. I loro executive pensavano erroneamente di operare nel business del trasporto ferroviario, e non in quello del trasporto in ge-
nerale. Erano convinti di fornire un prodotto, anziché un servizio. Tanti altri settori commettono lo stesso errore - sottoponendosi al rischio di diventare obsoleti. Come assicurare alla vostra azienda una crescita continuativa? Concentratevi sulla soddisfazione dei bisogni dei clienti, anziché limitarvi a vendere dei prodotti. Il colosso chimico DuPont ha tenuto costantemente d'occhio i bisogni più pressanti dei suoi clienti - e ha utilizzato il proprio know-how tecnico per creare una gamma in continua espansione di prodotti che attraevano i clienti e ampliavano costantemente il suo mercato. Se la DuPont si fosse limitata a trovare ulteriori utilizzi per la sua invenzione storica, il nylon, forse oggi non esisterebbe nemmeno più. 5t
Marketing Myopia
Theodore Levitt
L'idea in pratica Mettiamo il nostro business a rischio di obsolescenza quando accettiamo uno dei seguenti miti: Mito n. 1: una popolazione in continua espansione e più benestante ci assicurerà la crescita. Quando i mercati sono in espansione, assumiamo spesso di non dover riflettere creativamente sui nostri business. Cerchiamo invece di far meglio dei concorrenti limitandoci unicamente a migliorare quello che facevamo già. Di conseguenza, aumentiamo l'efficienza con cuifabbrichiamo i nostri prodotti, anziché accrescere il valore che quei prodotti creano per i clienti. Mito n.2: non ci sono alternative competitive per il prodotto principale del nostro settore. La convinzione che i nostri prodotti non abbiano rivali rende le nostre aziende vulnerabili a innovazioni significative provenienti da altri settori - introdotte spesso da aziende più piccole e più originali che si concentrano sui bisogni dei clienti, anziché sui prodotti stessi.
Mito n.3: possiamo proteggerci attraverso la produzione di massa. Pochi di noi riescono a resistere alla prospettiva dei maggiori profitti che derivano da una forte riduzione dei costi unitari. Ma la scelta di concentrarsi sulla produzione di massa enfatizza i bisogni della nostra azienda - mentre dovre mmo enfatizzar e q ue I I i dei no s tri c I i e nt i. 52
Mito n.4: la ricerca e lo sviluppo ci assicureranno la crescita. Quando I'R&S genera prodotti rivoluzionari, potremmo provare la tentazione di organizzare le nostre aziende intorno alla tecnologia, anziché intorno al consumatore. Invece, dovrem mo rimanere focalizzati sulla sodd isfazione dei bisogni dei clienti.
Ltautore Theodore Levitt è stato per molti anni professore emerito di Business Administration alla Harvard Business School di Boston. In precedenza è stato presidente dell'area Marketing e direttore della ,.Harvard Business Reviewo. Tia i suoi libri più importanti vi sono Thinking About Management (1990) e The Marketing Imagination (1983), pubblicati ambedue da Free Press. Levitt è stato anche autore o coautore di numerosi articoli, che hanno vinto diversi riconoscimenti, su argomenti di economia, politica, management e marketing.
53
Marketing Myopia
Marketing Myopia by Theodore Levitt Every major industry was once a growth industry. But some that are now riding awave of growth enthusiasm are very much in the shadow of decline. Others that are thought of as seasoned growth industries have actually stopped growing. In every case, the reason growth is threatened, slowed, or stopped is not because the market is saturated. It is because there has been a failure of management. Fateful Purposes The failure is at the top. The executives responsible for it, in the last analysis, are those who deal with broad aims and policies. Thus: . The railroads did not stop growing because the need for passenger and freight transportation declined. That grew. The railroads are in trouble today not because that need was filled by others (cars, trucks, airplanes, and even telephones) but because it was not filled by the railroads themselves. They let others take customers away from them because they assumed themselves to be in the railroad business rather than in the transportation business. The reason they defined their industry incorrectlywas that theywere railroad oriented instead of transportation oriented; they were product oriented instead of customer oriented.
www.hbritalia.it -55
Theodore Levitt
. Hollywood barely
Marketing Myopia
escaped being totally ravished
by television. Actually, all the established film companies went through drastic reorganizations. Some simply disappeared. All of them got into trouble not because of TV's in-roads but because of their own myopia. As with the railroads, Hollywood defined its business incorrectly. It thought it was in the movie business when it was actually in the entertainment business. "Movies" implied a specific, limited product. This produced a fatuous contentment that from the beginning led producers to view TV as a threat. Hollywood scorned and rejected TV when it should have welcomed it as an opportunity-an opportunity to expand the entertainment business. Today, TV is a bigger business than the old narrowly defined movie business ever was. Had Hollywood been customer oriented (providing entertainment) rather than product oriented (making movies), would it have gone through the fiscal purgatory that it did? I doubt it. What ultimately saved Hollywood and accounted for its resurgence was the wave of new young writers, producers, and directors whose previous successes in television had decimated the old movie companies and toppled the big movie moguls. There are other,less obvious examples of industries that have been and are now endangering their futures by improperly defining their purposes. I shall discuss some of them in detail later and analyze the kind of policies that lead to trouble. Right now, it
56
may help to show what a thoroughly customer-oriented management can do to keep a growth industry
growing, even after the obvious opportunities have been exhausted, and here there are two examples that have been around for a long time. They are nylon and glass E.I. duPont de Ne- specifically, mours and Company and Corning Glass Works. Both companies have great technical competence. Their product orientation is unquestioned. But this alone does not explain their success. After all, who was more pridefully product oriented and product conscious than the erstwhile New England textile companies that have been so thoroughly massacred? The DuPonts and the Cornings have succeeded not primarily because of their product or research orientation but because they have been thoroughly customer oriented also. It is constant watchfulness for opportunities to apply their technical know-how to the creation of customersatisfying uses that accounts for their prodigious output of successful new products. Without a very sophisticated eye on the customer, most of their new products might have been wrong, their sales methods useless. Aluminum has also continued to be a growth industry, thanks to the efforts of two wartime-created companies that deliberately set about inventing new customer-satisfying uses. Without Kaiser Aluminum & Chemical Corporation and Reynolds Metals Company, the total demand for aluminum today would be vastly less.
57
Theodore Levitt
Error of Analysis. Some may argue that it is foolish to set the railroads off against aluminum or the movies off against glass. Are not aluminum and glass naturally so versatile that the industries are bound to have more growth opportunities than the railroads and the movies? This view commits precisely the error I have been talking about. It defines an industry or a product or a cluster of know-how so narrowly as to guarantee its premature senescence. When we mention "railroads," we should make sure we mean "transportation". As transporters, the railroads still have a good chance for very considerable growth. They are not limited to the railroad business as such (though in my opinion, rail transportation is potentially a much stronger transportation medium than is generally believed).
What the railroads lack is not opportunity but some of the managerial imaginativeness and audacity that made them great. Even an amateur like Jacques Barzun can see what is lacking when he says, "I grieve to see the most advanced physical and social organization of the last century go down
in shabby disgrace for lack of the same comprehensive imagination that built it up. [What is lacking is] the will of the companies to survive and to satisff the public by inventiveness and skill."l Shadow of Obsolescence It is impossible to mention a single major industry that did not at one time qualiff for the magic appellation of "growth industry." In each case, the
58
Marketing Myopia
industry's assumed strength lay in the apparently unchallenged superiority of its product. There appeared to be no effective substitute for it. It was itself a runaway substitute for the product it so triumphantly replaced. Yet one after another of these celebrated industries has come under a shadow. Let us look briefly at a few more of them, this time taking examples that have so far received a little less attention. Dry Cleaning. This was once a growth industry with lavish prospects. In an age of wool garments, imagine being finally able to get them clean safely and easily. The boom was on. Yet here we are 30 years after the boom started, and the industry is in trouble. Where has the competition come from? From a better way of cleaning? No. It has come from synthetic fibers and chemical additives that have cut the need for dry cleaning. But this is only the beginning. Lurking in the wings and ready to make chemical dry cleaning totally obsolete is that powerful magician, ultrasonics. Electric Utilities. This is another one of those supposedly "no substitute" products that has been enthroned on a pedestal of invincible growth. When the incandescent lamp came along, kerosene lights were finished. Later, the water wheel and the steam engine were cut to ribbons by the flexibility, reliability, simplicity and just plain easy availability of electric motors. The prosperity of electric utilities continues to wax extravagant as the home is converted into a museum of electric gadgetry.
59
Theodore Levitt
How can anybody miss by investing in utilities, with no competition, nothing but growth ahead? But a second look is not quite so comforting. A score of non utility companies are well advanced toward developing a powerful chemical fuel cell, which could sit in some hidden closet of every home silently ticking off electric power. The electric lines that vulgarize so many neighborhoods would be eliminated. So would the endless demolition of streets and service interruptions during storms. Also on the horizon is solar energy, again pioneered by non utility companies. Who says that the utilities have no competition? They may be natural monopolies now, but tomorrow they may be natural deaths. To avoid this prospect, they too will have to develop fuel cells, solar energy, and other power sources. To survive, they themselves will have to plot the obsolescence of what now produces their livelihood. Grocery Stores. Many people find it hard to realize that there ever was a thriving establishment known as the "corner store". The supermarket took over with a powerful effectiveness. Yet the big food chains of the 1930s narrowly escaped being completely wiped out by the aggressive expansion of independent supermarkets. The first genuine supermarket was opened in 1930, in Jamaica, Long Island. By 1933, supermarkets were thriving in California, Ohio, Pennsylvania, and elsewhere. Yet the established chains pompously ignored them. When they chose to notice them, it
60
Marketing Myopia
was with such derisive descriptions as "cheapy," " horse-and-buggy," "cracker-barrel storekeeping, " and "unethical opportunists". The executive of one big chain announced at the time that he found it "hard to believe that people will drive for miles to shop for foods and sacrifice the personal service chains have perfected and to which [the consumer] is accustomed".2 As late as 1936, the National Wholesale Grocers convention and the New Jersey Retail Grocers Association said there was nothing to fear. They said that the supers' narrow appeal to the price buyer limited the size of their market. They had to draw from miles around. When imitators came, there would be wholesale liquidations as volume fell. The high sales of the supers were said to be partly due to their novelty. People wanted convenient neighborhood grocers. If the neighborhood stores would "cooperate with their suppliers, pay attention to their costs, and improve their service," they would be able to weather the competition until it blew over.3 lt never blew over. The chains discovered that survival required going into the supermarket business. This meant the wholesale destruction of their huge investments in corner store sites and in established distribution and merchandising methods. The companies with "the courage of their convictions" resolutely stuck to the corner store philosophy. They kept their pride but lost their shirts. A Self-Deceiving Cycle. But memories are short. For example, it is hard for people who today
6l
Theodore Levitt
confidently hail the twin messiahs of electronics and chemicals to see how things could possibly go wrong with these galloping industries. They probably also cannot see how a reasonably sensible businessperson could have been as myopic as the famous Boston millionaire who early in the twentieth century unintentionally sentenced his heirs to poverty by stipulating that his entire estate be forever invested exclusively in electric streetcar securities. His posthumous declaration, "Therewill always be a big demand for efficient urban transportation," is no consolation to his heirs, who sustain life by pumping gasoline at automobile filling stations. Yet, in a casual suwey I took among a group of intelligent business executives, nearly half agreed that itwould be hard to hurt their heirs by tying their estates forever to the electronics industry. When I then confronted themwith the Boston streetcar example, they chorused unanimously, "That's different!". But is it? Is not the basic situation identical? In truth, there is no such thing as a growth industry, I believe. There are only companies organized and operated to create and capitalize on growth opportunities. Industries that assume themselves to be riding some automatic growth escalator invariably descend into stagnation. The history of every dead and dying "growth" industry shows a self-deceiving cycle of bountiful expansion and undetected decay. There are four conditions that usually guarantee this cycle: 1. The belief that growth is assured by an expan-
62
Marketing Myopia
ding and more affluent population; 2. The belief that there is no competitive substitute for the industry's major product; 3. Too much faith in mass production and in the advantages of rapiclly declining unit costs as output rises; 4. Preoccupation with a product that lends itself to carefully controlled scientific experimentation, improvement, and manufacturing cost reduction. I should like now to examine each of these conditions in some detail. To build my case as boldly as possible, I shall illustrate the points with reference to three industries: petroleum, automobiles, and electronics. ['ll focus on petroleum in particular, because it spans more years and more vicissitudes' Not only do these three industries have excellent reputations with the general public and also enjoy the confidence of sophisticated investors, but their managements have become known for progressive thinking in areas like financial control, product research, and management training. If obsolescence can cripple even these industries, it can happen anywhere. Population Myth The belief that profits are assured by an expanding and more affluent population is dear to the heart of every industry. It takes the edge off the apprehensions everybody understandably feels about the future. If consumers are multiplying and also buying more of your product or service, you can
OJ
Theodore Levitt
face the future with considerably more comfort than if the market were shrinking. An expanding market keeps the manufacturer from having to think very hard or imaginatively. If thinking is an intellectual response to a problem, then the absence of a problem leads to the absence of thinking. If your product has an automatically expanding market, then you will not give much thought to how to expand it. One of the most interesting examples of this is provided by the petroleum industry. Probably our oldest growth industry, it has an enviable record. While there are some current concerns about its growth rate, the industry itself ends to be optimistic. But I believe it can be demonstrated that it is undergoing a fundamental yet typical change. It is not only ceasing to be a growth industry but may actually be a declining one, relative to other businesses. Although there is widespread unawareness of this fact, it is conceivable that in time, the oil industry may find itself in much the same position of retrospective glory that the railroads are now in. Despite its pioneering work in developing and applying the present-value method of investment evaluation, in employee relations, and in working with developing countries, the petroleum business is a distressing example of how complacency and wrongheadedness can stubbornly convert opportunity into near disaster. One of the characteristics of this and other industries that have believed very strongly in the be-
64
Marketing Myopia
neficial consequences of an expanding population, while at the same time having a generic product forwhich there has appeared to be no competitive substitute, is that the individual companies have sought to outdo their competitors by improving on what they are already doing. This makes sense, of course, if one assumes that sales are tied to the country's population strings, because the customer can compare products only on a feature-byfeature basis. I believe it is significant, for example, that not since John D. Rockefeller sent free kerosene lamps to China has the oil industry done anything really outstanding to create a demand for its product. Not even in product improvement has it showered itself with eminence. The greatest single improvement-the development of tetraethyl lead-came from outside the industry, specifically from General Motors and DuPont. The big contributions made by the industry itself are confined to the technology of oil exploration, oil production, and oil refining. Asking for Tbouble. In other words, the petroleum industry's efforts have focused on improving the fficiency of getting and making its product, not really on improving the generic product or its marketing. Moreover, its chief product has continually been defined in the narrowest possible terms-namely, gasoline, not energy, fuel, or transportation. This attitude has helped assure that: .Major improvements in gasoline quality tend not to originate in the oil industry. The development
65
Theodore Levitt
of superior alternative fuels also comes from outside the oil industry, as will be shown later. .Major innovations in automobile fuel marketing come from small, new oil companies that are not primarily preoccupied with production or refining. These are the companies that have been responsible for the rapidly expanding multipump gasoline stations, with their successful emphasis on large and clean layouts, rapid and efficient driveway service, and quality gasoline at low prices. Thus, the oil industry is asking for trouble from outsiders. Sooner or later, in this land of hungry investors and entrepreneurs, a threat is sure to come. The possibility of this will become more apparent when we turn to the next dangerous belief of many managements. For the sake of continuity, because this second belief is tied closely to the first, I shall continue with the same example. The ldea of Indispensability. The petroleum industry is pretty much convinced that there is no competitive substitute for its major product, gasoline---or, if there is, that it will continue to be a derivative of crude oil, such as diesel fuel or kerosene jet fuel. There is a lot of automatic wishful thinking in this assumption. The trouble is that most refining companies own huge amounts of crude oil reserves. These have value only if there is a market for pro'ducts into which oil can be converted. Hence the tenacious belief in the continuing competitive superiority of automobile fuels made from crude oil. This idea persists despite all historic evidence
66
Marketing Myopia
against it. The evidence not only shows that oil has never been a superior product for any purpose for very long but also that the oil industry has never really been a growth industry. Rather, it has been a succession of different businesses that have gone through the usual historic cycles of growth, maturity, and decay. The industry's overall survival is owed to a series of miraculous escapes from total obsolescence, of last-minute and unexpected reprieves from total disaster reminiscent of the perils of Pauline. The Perils of Petroleum. To illustrate,I shall sketch in only the main episodes. First, crude oil was largely a patent medicine. But even before that fad ran out, demand was greatly expanded by the use of oil in kerosene lamps. The prospect of lighting the world's lamps gave rise to an extravagant promise of growth. The prospects were similar to those the industry now holds for gasoline in other parts of the world. It can hardly wait for the underdeveloped nations to get a car in every garage. In the days of the kerosene lamp, the oil companies competed with each other and against gaslight by trying to improve the illuminating characteristics of kerosene. Then suddenly the impossible happened. Edison in-vented a light that was totally non dependent on crude oil. Had it not been for the growing use of kerosene in space heaters, the incandescent lamp would have completely finished oil as a growth industry at that time. Oil would have been good for little else than axle grease. Then disaster and reprieve struck again. Two great
67
Theodore Levitt
innovations occurred, neither originating in the oil industry. First, the successful development of coalburning domestic central-heating systems made the space heater obsolete. While the industry reeled, along came its most magnificent boost yet: the internal combustion engine, also invented by outsiders. Then, when the prodigious expansion for gasoline finallybegan to level offin the l92}s,along came the miraculous escape of the central oil heater. Once again, the escape was provided by an outsider's invention and development. And when that market weakened, wartime demand for aviation fuel came to the rescue. After the war, the expansion of civilian aviation, the dieselization of railroads, and the explosive demand for cars and trucks kept the industry's growth in high gear. Me anwhile, centr alized oil he ating-whose boom potential had only recently been proclaimed-ran into severe competition from natural gas. While the oil companies themselves owned the gas that now competed with their oil, the industry did not originate the natural gas revolution, nor has it to this day greatly profited from its gas ownership. The gas revolution was made by newly formed transmission companies that marketed the product with an aggressive ardor. They started a magnificent new industry, first against the advice and then against the resistance of the oil companies. By all the logic of the situation, the oil companies themselves should have made the gas revolution. They not only owned the gas, they also were the
68
Marketing Myopia
only people experienced in handling, scrubbing, and using it and the only people experienced in pipeline technology and transmission. They also understood heating problems. But, partly because they knew that natural gas would compete with their own sale of heating oil, the oil companies pooh-poohed the potential of gas. The revolution was finally started by oil pipeline executives who, unable to persuade their own companies to go into gas, quit and organized the spectacularly successful gas transmission companies. Even after their success became painfully evident to the oil companies, the latter did not go into gas transmission. The multibillion-dollar business that should have been theirs went to others. As in the past, the industry was blinded by its narrow preoccupation with a specific product and the value of its reserves. It paid little or no attention to its customers' basic needs and preferences. The postwar years have not witnessed any change.
Immediately after World War II, the oil industry was greatly encouraged about its future by the rapid increase in demand for its traditional line of products. In 1950, most companies projected annual rates of domestic expansion of around 6% through at least 1975. Though the ratio of crude oil reserves to demand in the free world was about 20 to l, withl0 to 1 being usually considered a reasonable working ratio in the United States, booming demand sent oil explorers searching for more without sufficient regard to what
69
Marketing Myopia
Theodore Levitt
the future reallypromised. In 1952,they
"hit" in the
Middle East; the ratio skyrocketed to 42 to
l.If.
gross additions to reserves continue at the average rate of the past five years (37 billion barrels annually), then by 1970, the reserve ratio will be up to 45 to I. This abundance of oil has weakened crude and product prices all over the world.
An Uncertain Future. Management cannot find much consolation today in the rapidly expanding petrochemical industry, another oil-using idea that did not originate in the leading firms. The total U.S. production of petrochemicals is equivalent to about 2Vo (by volume) of the demand for all petroleum products. Although the petrochemical industry is now expected to grow by about I}Vo per year, this will not offset other drains on the growth of crude oil consumption. Furthermore, while petrochemical products are many and growing, it is important to remember that there are non petroleum sources of the basic raw material, such as coal. Besides, a lot of plastics can be produced with relatively little oil. A 50,000-barrel-per-day oil refinery is now considered the absolute minimum size for efficiency. But a 5,000-barrel-per-day chemical plant is a giant operation. Oil has never been a continuously strong growth industry. It has grown by fits and starts, always miraculously saved by innovations and developments not of its own making. The reason it has not grown
in a smooth progression is that
each time it thought it had a superior product safe from the
70
possibility of competitive substitutes, the product turned out to be inferior and notoriously subject to obsolescence. Until now, gasoline (for motor fuel, anyhow) has escaped this fate. But, as we shall see later, it too may be on its last legs. The point of all this is that there is no guarantee against product obsolescence. If a company's own research does not make a product obsolete, another's will. Unless an industry is especially lucky, as oil has been until now, it can easily go down in a sea of just as the railroads have, as the bugry red figures whip manufacturers have, as the corner grocery chains have, as most of the big movie companies have, and, indeed, as many other industries have. The best way for a firm to be lucky is to make its own luck. That requires knowingwhat makes a business successful. One of the greatest enemies of this knowledge is mass production. Production Pressures Mass production industries are impelled by a great drive to produce all they can. The prospect of steeply declining unit costs as output rises is more than most companies can usually resist. The profit possibilities look spectacular. All effort focuses on production. The result is that marketing gets neglected. John Kenneth Galbraith contends that just the opposite occurs.4 Output is so prodigious that all effort concentrates on trying to get rid of it. He says this accounts for singing commercials, the desecration of the countryside with advertising signs,
71
Theodore Levitt
and other wasteful and vulgar practices. Galbraith has a finger on some-thing real, but he misses the strategic point. Mass production does indeed ge-
nerate great pressure to "move" the product. But what usually gets emphasized is selling, not marketing. Marketing, a more sophisticated and complex process, gets ignored. The difference between marketing and selling is more than semantic. Selling focuses on the needs of the seller, marketing on the needs of the buyer. Selling is preoccupied with the seller's need to convert the product into cash, marketing with the idea of satisfying the needs of the customer by means of the product and the whole cluster of things associated with creating, delivering, and, finally, consuming it. In some industries, the enticements of full mass production have been so powerful that top management in effect has told the sales department, "You get rid of it; we'll worry about profits". By contrast, a truly marketing-minded firm tries to create value-satistring goods and services that consumers will want to buy. What it offers for sale includes not only the generic product or service but also how it is made available to the customer, in what form, when, under what conditions, and at what terms of trade. Most important, what it offers for sale is determined not by the seller but by the buyer. The seller takes cues from the buyer in such a way that the product becomes a consequence of the marketing effort, not vice versa.
72
Marketing Myopia
A Lag in Detroit. This may sound like an elementary rule of business, but that does not keep it from being violated wholesale. It is certainly more violated than honored. Thke the automobile industry. Here mass production is most famous, most honored, and has the greatest impact on the entire society. The industry has hitched its fortune to the relentless requirements of the annual model change, a policy that makes customer orientation an especially urgent necessity. Consequently, the auto companies annually spend millions of dollars on consumer research. But the fact that the new compact cars are selling so well in their first year indicates that Detroit's vast researches have for a long time failed to reveal what customers really wanted. Detroit was not convinced that people wanted anything different from what they had been getting until it lost millions of customers to other small-car manufacturers. How could this unbelievable lag behind consumer wants have been perpetuated for so long? Why did not research reveal consumer preferences before consumers' buying decisions themselves revealed the facts? Is that not what consumer research is for-to find out before the fact what is going to happen? The answer is that Detroit never really researched customers' wants. It only researched their preferences between the kinds of things it had already decided to offer them. For Detroit is mainly product oriented, not customer oriented. To the extent that the customer is recognized as
73
Theodore Levitt
having needs that the manufacturer should try to satisff, Detroit usually acts as if the job can be done entirely by product changes. Occasionally, attention gets paid to financing, too, but that is done more in order to sell than to enable the customer to buy. As for taking care of other customer needs, there is not enough being done to write about. The areas ofthe greatest unsatisfied needs are ignored or, at best, get stepchild attention. These are at the point of sale and on the matter of automotive repair and maintenance. Detroit views these problem areas as being of secondary importance. That is underscored by the fact that the retailing and servicing ends of this industry are neither owned and operated nor controlled by the manufacturers. Once the car is produced, things are pretty much in the dealer's inadequate hands. Illustrative of Detroit's arms-length attitude is the fact that, while servicing holds enormous sales-stimulating, profit-building opportunities, only 57 of Chevrolet's 7,000 dealers provide night maintenance service. Motorists repeatedly express their dissatisfaction with servicing and their apprehensions about buying cars under the present selling setup. The anxieties and problems they encounter during the auto buying and maintenance processes are probably more intense and widespread today than manyyears ago. Yet the automobile companies do not seem to listen to or take their cues from the anguished consumer. If they do listen, it must be
74
Marketing Myopia
through the filter of their own preoccupation with production. The marketing effort is still viewed as a necessary consequence of the product-not vice versa, as it should be. That is the legacy of mass production, with its parochial view that profit resides essentially in low-cost full production. What Ford Put First. The profit lure of mass production obviously has a place in the plans and strategy of business management, but it must always follow hard thinking about the customer. This is one of the most important lessons we can learn from the contradictory behavior of Henry Ford. In a sense, Ford was both the most brilliant and the most senseless marketer in American history. He was senseless because he refused to give the customer anything but a black car. He was brilliant because he fashioned a production system designed to fit market needs. We habitually celebrate him for the wrong reason: for his production genius. His real genius was marketing. We think he was able to cut his selling price and therefore sell millions of $500 cars because his invention of the assembly line had reduced the costs. Actually, he invented the assembly line because he had concluded that at $500 he could sell millions of cars. Mass production was the result, not the cause, of his low prices. Ford emphasized this point repeatedly, but a nation of production-oriented business managers refuses to hear the great lesson he taught. Here is his operating philosophy as he expressed it succinctly:
75
Theodore Levitt
Our policy is to reduce the price, extend the operations, and improve the article. You will notice that the reduction of price comes first. We have never considered any costs as fixed. Therefore we first reduce the price to the point where we believe more sales will result. Then we go ahead and try to make the prices. We do not bother about the costs. The new price forces the costs down. The more usual way is to take the costs and then determine the price; and although that method may be scientific in the narrow sense, it is not scientific in the broad sense, because what earthly use is it to know the cost if it tells you that you cannot manufacture at a price at which the article can be sold? But more to the point is the fact that, although one may calculate what a cost is, and of course all of our costs are carefully calculated, no one knows what a cost ought to be. One of the ways of discovering...is to name a price so low as to force everybody in the place to the highest point of efficiency. The low price makes everybody dig for profits. We make more discoveries concerning manufacturing and selling under this forced method than by any method of leisurely investigation.s
Product Provincialism. The tantalizing profit possibilities of low unit production costs may be the most seriously self-deceiving attitude that can afflict a company, particularly a "growth" company, where an apparently assured expansion of demand already tends to undermine a proper concern for the importance of marketing and the customer. 76
Marketing Myopia
The usual result of this narrow preoccupation with so-called concrete matters is that instead of growing, the industry declines. It usually means that the product fails to adapt to the constantly changing patterns of consumer needs and tastes, to new and modified marketing institutions and practices, or to product developments in competing or complementary industries. The industry has its eyes so firmly on its own specific product that it does not see how it is being made obsolete. The classic example of this is the b.rggy whip industry. No amount of product improvement could stave off its death sentence. But had the industry defined itself as being in the transportation business rather than in the buggy whip business, it might have survived. It would have done what survival always entails-that is, change. Even if it had only defined its business as providing a stimulant or catalyst to an energy source, it might have survived by becoming a manufacturer of, say, fan belts or air cleaners. What may someday be a still more classic example is, again, the oil industry. Having let others steal marvelous opportunities from it (including natural gas, as already mentioned; missile fuels; and jet engine lubricants), one would expect it to have taken steps never to let that happen again. But this is not the case. We are now seeing extraordinary new developments in fuel systems specifically designed to power automobiles. Not only are these developments concentrated in firms out-
77
Theodore Levitt
side the petroleum industry, but petroleum is almost systematically ignoring them, securely content in its wedded bliss to oil. It is the story of the kerosene lamp versus the incandescent lamp all over again. Oil is trying to improve hydrocarbon fuels rather than develop any fuels best suited to the needs of their users, whether or not made in different ways and with different raw materials from oil. Here are some things that nonpetroleum companies are working on: . More than a dozen such firms now have advanced working models of energy systems which, when perfected, will replace the internal combustion engine and eliminate the demand for gasoline. The superior merit of each of these systems is their elimination of frequent, time-consuming, and irritating refueling stops. Most of these systems are fuel cells designed to create electrical energy directly from chemicals without combustion. Most of them use chemicals that are not derived from oil generally, hydrogen and oxygen. . Several other- companies have advanced models of electric storage batteries designed to power automobiles. One of these is an aircraft producer that is working jointly with several electric utility companies. The latter hope to use off-peak generating capacity to supply over-night plug-in battery regeneration. Another company, also using the battery approach, is a medium-sized electronics firm with extensive small-battery experience that it developed in connection with its work on hea-
78
Marketing Myopia
ring aids. It is collaborating with an automobile manufacturer. Recent improvements arising from the need for high-powered miniature power storage plants in rockets have put us within reach of a relatively small battery capable of withstanding great overloads or surges of power. Germanium diode applications and batteries using sintered plate and nickel cadmium techniques promise to make a revolution in our energy sources. . Solar energy conversion systems are also getting increasing attention. One usually cautious Detroit auto executive recently ventured that solar-powered cars might be common by1980. As for the oil companies, they are more or less "watching developments," as one research director put it to me. A few are doing a bit of research on fuel cells, but this research is almost always confined to developing cells powered by hydrocarbon chemicals. None of them is enthusiastically researching fuel cells, batteries, or solar power plants. None of them is spending a fraction as much on research in these profoundly important areas as it is on the usual run-of-the-mill things like reducing combustion chamber deposits in gasoline engines. One major integrated petroleum company recently took a tentative look at the fuel cell and concluded that although "the companies actively working on it indicate a belief in ultimate success...the timing and magnitude of its impact are too remote to warrant recognition in our forecasts." One might, of course, ask, Why should the oil '79
Theodore Levitt
companies do anything different? Would not chemical fuel cells, batteries, or solar energy kill the present product lines? The answer is that they would indeed, and that is precisely the reason for the oil firms'having to develop these power units before their competitors do, so they will not be companies without an industry. Management might be more likely to do what is needed for its own preservation if it thought of itself as being in the energy business. But even that will not be enough if it persists in imprisoning itself in the narrow grip of its tight product orientation. It has to think of itself as taking care of customer needs, not finding, refining, or even selling oil. Once it genuinely thinks of its business as taking care of people's transportation needs, nothing can stop it from creating its own extravagantly profitable growth. Creative Destruction. Since words are cheap and deeds are dear, it may be appropriate to indicate what this kind of thinking involves and leads to. Let us start at the beginning: the customer. It can be shown that motorists strongly dislike the bother, delay, and experience of buying gasoline. People actually do not buy gasoline. They cannot see it, taste it, feel it, appreciate it, or really test it. What they buy is the right to continue driving their cars. The gas station is like a tax collector to whom people are compelled to pay a periodic toll as the price of using their cars. This makes the gas station a basically unpopular institution. It can never
80
Marketing Myopia
be made popular or pleasant, only less unpopular, less unpleasant.
Reducing its unpopularity completely means eliminating it. Nobody likes a tax collector, not even a pleasantly cheerful one. Nobody likes to interrupt a trip to buy a phantom product, not even from a handsome Adonis or a seductive Venus. Hence, companies that are working on exotic fuel substitutes that will eliminate the need for frequent refueling are heading directly in to the outstretched arms of the irritated motorist. They are riding a wave of inevitability, not because they are creating something that is technologically superior or more sophisticated but because they are satisfing a powerful customer need. They are also eliminating noxious odors and air pollution. Once the petroleum companies recognize the customer-satisfying logic of what another power system can do, they will see that they have no more choice about working on an efficient, long-lasting fuel (or some way of delivering present fuels without bothering the motorist) than the big food chains had a choice about going into the supermarket business or the vacuum tube companies had a choice about making semiconductors. For their own good, the oil firms will have to destroy their own highly profitable assets. No amount of wishful thinking can save them from the necessity of engaging in this form of "creative destruction." I phrase the need as strongly as this because I think management must make quite an effort to
8t
Theodore Levitt
break itself loose from convention always. It is all too easy in this day and age for a company or industry to let its sense of purpose become dominated by the economies of full production and to develop a dangerously lop-sided product orientation. In short, if management lets itself drift, it invariably drifts in the direction of thinking of itself as producing goods and services, not customer satisfactions. While it probably will not descend to the depths of telling its salespeople, "You get rid of it; we'll worry about profits," it can, without knowing it, be practicing precisely that formula for withering decay. The historic fate of one growth industry after another has been its suicidal product provincialism. Dangers of R&D Another big danger to a firm's continued growth arises when top management is wholly transfixed by the profit possibilities of technical research and development. To illustrate, I shall turn first to a new industry-electronics-and then return once more to the oil companies. By comparing a fresh example with a familiar one, I hope to emphasize the prevalence and insidiousness of a hazardous way of thinking. Marketing Shortchanged. In the case of electronics, the greatest danger that faces the glamorous new companies in this field is not that they do not pay enough attention to research and development but that they pay too much attention to it.
82
Marketing Myopia
And the fact that the fastest-growing electronics firms owe their eminence to their heavy emphasis on technical research is completely beside the point. They have vaulted to affluence on a sudden crest of unusually strong general receptiveness to new technical ideas. Also, their success has been shaped in the virtually guaranteed market of military subsidies and by military orders that in many cases actually preceded the existence of facilities to make the products. Their expansion has, in other words, been almost totally devoid of marketing effort. Thus, they are growing up under conditions that come dangerously close to creating the illusion that a superior product will sell itself. It is not surprising that, having created a successful company by making a superior product, management continues to be oriented toward the product rather than the people who consume it. It develops the philosophy that continued growth is a matter of continued product innovation and improvement. A number of other factors tend to strengthen and sustain this belief: 1. Because electronic products are highly complex and sophisticated, managements become topheavy with engineers and scientists. This creates a selective bias in favor of research and production at the expense of marketing. The organization tends to view itself as making things rather than as satisffing customer needs. Marketing gets treated as a residual activity, "something else" that must 83
Theodore Levitt
be done once the vital job of product creation and production is completed. 2. To this bias in favor of product research, development, and production is added the bias in favor
of dealing with controllable variables. Engineers and scientists are at home in the world of concrete things like machines, test tubes, production lines, and even balance sheets. The abstractions to which they feel kindly are those that are testable or manipulatable in the laboratory or, if not testable, then functional, such as Euclid's axioms. In short, the managements of the new glamour-growth companies tend to favor business activities that lend themselves to careful study, experimentation, and control-the hard, practical realities of the lab, the shop, and the books. What gets shortchanged are the realities of the market. Consumers are unpredictable, varied, fickle, stupid, shortsighted, stubborn, and generally bothersome. This is not what the engineer managers say, but deep down in their consciousness, it is what they believe. And this accounts for their concentration on what they know and what they can control-namely, product research, engineering, and production. The emphasis on production becomes particularly attractive when the product can be made at declining unit costs. There is no more inviting way of making money than by running the plant full blast. The top-heavy science-engineering-production orientation of so many electronics companies
84
Marketing Myopia
works reasonably well today because they are pushing into new frontiers in which the armed services have pioneered virtually assured markets. The companies are in the felicitous position of having to fill, not find, markets, of not having to discover what the customer needs and wants but of having the customer voluntarily come forward with specific new product demands. If a team of consultants had been assigned specifically to design a business situation calculated to prevent the emergence and development of a customer-oriented marketing viewpoint, it could not have produced anything better than the conditions just described. Stepchild Theatment. The oil industry is a stunning example of how science, technology, and mass production can divert an entire group of companies from their main task. To the extent the consumer is studied at all (which is not much), the focus is forever on getting information that is designed to help the oil companies improve what they are now doing. They try to discover more convincing advertising themes, more effective sales pro-motional drives, what the market shares of the various companies are, what people like or dislike about service station dealers and oil companies, and so forth. Nobody seems as interested in probing deeply into the basic human needs that the industry might be trying to satisfy as in probing into the basic properties of the raw material that the companies work with in trying to deliver customer satisfactions.
85
Theodore Levitt
Basic questions about customers and markets seldom get asked. The latter occupy a stepchild status. They are recognized as existing, as having to be taken care of, but not worth very much real thought or dedicated attention. No oil company gets as excited about the customers in its own backyard as about the oil in the Sahara Desert. Nothing illustrates better the neglect of marketing than its treatment in the industry press. The centennial issue of theAmerican Petroleum Institute Quarterly, published in 1959 to celebrate the discovery of oil in Titusville, Pennsylvania, contained 2I feature articles proclaiming the industry's greatness. Only one of these talked about its achievements in marketing, and that was only a pictorial record of how service station architecture has changed. The issue also contained a special section on "New Horizons," which was devoted to showing the magnificent role oil would play in America's future. Every reference was ebulliently optimistic, never implying once that oil might have some hard competition. Even the reference to atomic enerry was a cheerful catalog of how oil would help make atomic enerry a success. There was not a single apprehension that the oil industry's affluence might be threatened or a suggestion that one "new horizon" might include new and better ways of serving oil's present customers. But the most revealing example of the stepchild treatment that marketing gets is still another special series of short articles on "The Revolutionary
86
Marketing Myopia
Potential of Electronics." Under that heading, this list of articles appeared in the table of contents: ."In the Search for Oil" . "In Production Operations" ."In Refinery Processes" . "In Pipeline Operations" Significantly, every one of the industry's major functional areas is listed, except marketing. Why? Either it is believed that electronics holds no revolutionary potential for petroleum marketing (which is palpably wrong), or the editors forgot to discuss marketing (which is more likely and illustrates its stepchild status). The order in which the four functional areas are listed also betrays the alienation of the oil industry from the consumer. The industry is implicitly defined as beginning with the search for oil and ending with its distribution from the refinery. But the truth is, it seems to me, that the industrybeginswith the needs of the customer for its products. From that primal position its definition moves steadily back stream to areas of progressively lesser importance until it finally comes to rest at the search for oil. The Beginning and End. The view that an industry is a customer-satisffing process, not a goods-producing process, is vital for all businesspeople to understand. An industry begins with the customer and his or her needs, not with a patent, a raw material, or a selling skill. Given the customer's needs, the industry develops backwards, first concerning itself with the physicaldelivery of customer
87
Marketing Myopia
Theodore Levitt
satisfactions. Then it moves back further to creating the things by which these satisfactions are in part achieved. How these materials are created is a matter of indifference to the customer, hence the particular form of manufacturing, processing, or what have you cannot be considered as a vital aspect of the industry. Finally, the industry moves back still further to finding the raw materials necessary for making its products. The irony of some industries oriented toward technical research and development is that the scientists who occupy the high executive positions are totally unscientific when it comes to defining their companies'overall needs and purposes. They violate the first two rules of the scientific method: being aware of and defining their companies' problems and then developing testable hypotheses about solving them. They are scientific only about the convenient things, such as laboratory and product experiments. The customer (and the satisfaction of his or her deepest needs) is not considered to be "the problem"-not because there is any certain belief that no such problem exists, but because an organizational lifetime has conditioned management to look in the opposite direction. Marketing is a stepchild. I do not mean that selling is ignored. Far from it. But selling, again, is not marketing. As already pointed out, selling concerns itself with the tricks and techniques of getting people to exchange their
88
with the values that the exchange is all about. And it does not, as marketing invariably does, view the entire business process as consisting of a tightly integrated effort to discover, cĂ?eate, arouse' and satisff customer needs. The customer is somebody "out there" who, with proper cunning, can be separated from his or her loose change. Actually, not even selling gets much attention in some technologically minded firms. Because there is a virtually guaranteed market for the abundant cash for your product.
It
is not concerned
flow of their new products, they do not actually know what a real market is. It is as if they lived in a planned economy, moving their products routinely from factory to retail outlet. Their successful concentration on products tends to convince them of the soundness of what they have been doing, and they fail to see the gathering clouds over the market.
Less than 75 years ago, American railroads enjoyed a fierce loyalty among astute Wall Streeters. European monarchs invested in them heavily' Eternal wealth was thought to be the benediction for anybodywho could scrape together a few thousand dollars to put into rail stocks. No other form of transportation could compete with the railroads in speed, flexibility, durability, economy' and growth potentials. As Jacques Barzun put it, "By the turn of the cen-
89
Theodore Levitt
tury it was an institution, an image of man, a tradition, a code of honor, a source of poetry, a nursery of boyhood desires, a sublimest of toys, and the most solemn machine-next to the funeral hearse-that marks the epochs in man's life."6 Even after the advent of automobiles, trucks, and airplanes, the railroad tycoons remained imperturbably self-confident. If you had told them 60 years ago that in 30 years they would be flat on their backs, broke, and pleading for government subsidies, they would have thought you totally demented. Such a future was simply not considered possible. It was not even a discussable subject, or an askable question, or a matter that any sane person would consider worth speculating about. Yet a lot of "insane" notions now have matter-of-fact acceptance-for example, the idea of lO0-tontubes of metal moving smoothly through the air 20,000 feet above the earth, loaded with 100 sane and solid citizens casually drinking martinis-and they have dealt cruel blows to the railroads. What specifically must other companies do to avoid this fate? What does customer orientation involve? These questions have in part been answered by the preceding examples and analysis. It would take another article to show in detail what is required for specific industries. In any case, it should be obvious that building an effective customer-oriented company involves far more than good intentions or promotional tricks; it involves profound matters of human organization and lea-
90
Marketing Myopia
dership. For the present, let me merely suggest what appear to be some general requirements. The Visceral Feel of Greatness. Obviously, the company has to do what survival demands. It has to adapt to the requirements of the market, and it has to do it sooner rather than later. But mere survival is a so-so aspiration. Anybody can survive in some way or other, even the skid row bum. The trick is to survive gallantly, to feel the surging impulse of commercial mastery: not just to experience the sweet smell of success but to have the visceral feel of entrepreneurial greatness. No organization can achieve greatness without a vigorous leader who is driven onward by a pulsatingwill to succeed. A leader has to have a vision of grandeur, a vision that can produce eager followers in vast numbers. In business, the followers are the customers. In order to produce these customers, the entire corporation must be viewed as a customer-creating and customer-satisfying organism. Management must think of itself not as producing products but as providing customer-creating value satisfactions. It must push this idea (and everything it means and requires) into every nook and cranny of the organization. It has to do this continuously and with the kind of flair that excites and stimulates the people in it. Otherwise, the company will be merely a series of pigeonholed parts, with no consolidating sense of purpose or direction. In short, the organization must learn to think of
9T
Theodore Levitt
Marketing Myopia
itself not as producing goods or services but as buying customers, as doing the things that will make people want to do business with it. And the chief executive has the inescapable responsibility for creating this environment, this viewpoint, this attitude, this aspiration. The chief executive must set the company's style, its direction, and its goals. This means knowing precisely where he or she wants to go and making sure the whole organization is enthusiastically aware of where that is. This is a first requisite of leadership, for unless a leader knows where he is going, any road will take him there. If any road is okay, the chief executive might as well pack his attachĂŠ case and go fishing. [f an organization does not know or care where it is going, it does not need to advertise that fact with a ceremonial figurehead. Everybody will notice it soon enough.
The ldea in Brief What business are you really in? A seemingly obvious question-but one we should all ask before demand for our companies' products or services dwindles. The railroads failed to ask this same question-and stopped growing. Why? Not because people no longer needed transportation. And not because other innovations (cars, airplanes) filled transportation needs. Rather, railroads stopped growing because railroads didn't move to fill those needs. Their executives incorrectly thought that they were in the railroad business, not the transportation business. They viewed themselves as providing a product instead of serving customers. Too many other industries make the same mistake-putting themselves at risk of obsolescence.
How to ensure continued growth for your cclmpany? Concentrate on meeting customers' needs rather than selling products. Chemical powerhouse DuPont kept a close eye on its customers' most pressing concerns-and deployed its technical know-how to create an ever-expanding array of products that appealed to customers and continuously enlarged its market. If DuPont had merely found more uses for its flagship invention, nylon, it might not be around today.
References L.
Jacques Barzun, "Tiains and the Mind of Man," Holi-
day, February 1960. 2. For more details, see M.M. Zimmcrman, The Super
A Revolution in Distibution (McGraw-Hill, less). 3.Ibid., pp.4547. 4. John Kenneth Galbraith, The Affiuent Society (HoughtonMifflin, 1958).
Market:
5. Henry Ford, My Life and Work (Doubleday, 1923).
6.Barzun, "Tiains and the Mind of Man."
92
93
,&,
Theodore Levitt
Marketing Myopia
About the Author
The Idea in Practice We put our businesses at risk of obsolescence when we accept any of the following myths:
Theodore Levitt was the Edward W. Carter Professor of Business Administration, Emeritus, at Harvard Business School. He was formerly a chairman of the Marketing Area at HBS and the Editor of Harvard Business Review. He is the author or coauthor of seven books and numerous award-winning articles on economic, political, management, and marketing subjects.
1: An ever-expanding and more aflluent population will ensure our growth. When markets are expanding, we often assume we don't have to think imaginatively about our businesses. Instead, we seek to outdo rivals simply by improving on what we're already doing. The consequence: We increase the efficiency of making our products, rather than boosting the value those products deliver to customers.
Myth
Myth 2: There is no competitive substitute for our industry's major product. Believing that our products have no rivals makes our companies vulnerable to dramatic innovations from outside our industries<ften by smaller, newer companies that are focusing on customer needs rather than the products themselves.
Myth 3: We can protect ourselves through mass production. Few of us can resist the prospect of the increased profits that come with steeply declining unit costs. But focusing on mass production emphasizes our company's needs- when we should be emphasizing our customers'.
Myth 4: Technical research and development will ensure our growth. When R&D produces breakthrough products, we may be tempted to organize our companies around the technology rather than the consumer. Instead, we should remain focused on satisffing customer needs. 95
94
tu
HBR f,'ITALIA
w
Direttore responsabile Enrico Sassoon (sassoon@hbritalia.it)
Comitato editoriale Roger Abravanel, Umberto Bertelè, Armando Brandolese, Federico Butera, Roberto Casaleggio, Maurizio Decina, Alessandro Di Fiore, Vito Di Bari, Guido Di Stefano, ManuelaDoglio, FranoGiacomazzi,Lrca Paoceq Elserino Piol, StefanoPredq WalterG. Scott
Responsabile Marketing
l,etizia Affinito (laffinito@hbritalia.it) Collaborazione grafrca Roberto Nova Segreteria editoriale Eva Sportoletti Baduel (sportoletti@hbritalia.it)
Pubblicità StrategiQs Edizioni srl \/ia Lanzone 2, 20123 Milano
îbl.
02.3ó51.4980
- Fx
O2.3651.4984
Email: info@hbritalia.it Andrea De Rose Te.l. 02.89243412 - Fax 02-8928-3419
Email: pubblicita@hbritalia.it
Informazioni abbonamenti e senizio arretrati Eva Sportoletti Baduel (info@hbritalia.it)
Strategiqs
EDrZroNrs,r
Consiglio di Amministrazione: Nessandro Di Fiore Presidente Enrico Sassoon Amministratore Delegato Donato Pinto Consigliere Yia latuane 2, ?1123 Milano - www.hbritalia.it Tbstata registrata presso il Tlibunale di Milano n. 192 del 20/O3|2OM Stampa Industria Grafica -Graphic Scalve, Loc. Ponte Formello Vilminore di Scalve (BG) Distributor€ per I'Italia: Amoldo Mondadori Editore S.p.d 2fi)90 Segrate (Mi) Abbonamenti: hess-Di, Milano Oltre, via Cassanese 224, 20090 Segrate (MI). Per informazioni: tel. 199.111.999;
per gli abbonati di Milano e provincia: 02.66.814.363i fax 030.3198.202; e-mail:
-
abbonamenti@mondadori.iî. Indirizzo postale: Servizio Abbonati - Casella Postale 97 25197 Brescia. Abbonamento annuale: Euro 99,90 (Euro 135,00, sconto 26Vo),oltre spese di spedizione secondo tariffe per l'estero. Garanzia di riserratezza per gli abbonatl UEditore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell'art. 7 del D. leg. 196120[3 scrivendo a Press Di srl Distribuzione Stampa e Multimedia - Ufficio Privacy - Milano Oltre - Via Cassanese, 224 - 2fi)90 Segrate (MI)
-
ln quale business operate realmente? E una domanda apparentemente semplice, ma che dovremmofarci tuttiprima che la domanda per i prodotti o i servizi della nostra azienda cominci a perdere colpi.
ll celeberrimo esperto di marketing, Theodore Levitt, dimostra in che modo u n'azienda puo diventare progressivamente obsoleta se non riesce a comprendere le esigenze del mercato e, perciò, quello che i suoi clienti le chiedono realmente. ln Marketing Myopia,Levitt identifica i quattro miti piÚ diffusi che mettono in pericolo le aziende e spiega con lucidità e chiarezza in che modo i leader aziendali possono concentrare la loro attenzione sui bisogni del consumatore.