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Issn: 2036-3109

LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno VII - numero 17 - agosto 2015 - € 10,00

CONTIENE I.P.

17 In questo numero:

Quindici anni dopo la Convenzione Europea del Paesaggio 2000-2015





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Urbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

17 Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino dell'Istituto Nazionale di Urbanistica rivista scientifica riconosciuta dall'Anvur, l'Agenzia per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca anno VII - numero 17 - agosto 2015 registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008 - Issn 2036-3109 numero monografico “Quindici anni dopo la Convenzione Europea del Paesaggio 2000-2015” a cura di Angioletta Voghera e Bruno Zanon comitato scientifico Andrea Brighenti, Federica Corrado, Giuseppe de Luca, Corrado Diamantini, Viviana Ferrario, Carlo Gasparrini, Raffaele Mauro, Ezio Micelli, Pierluigi Morello, Camilla Perrone, Paolo Pileri, Michelangelo Savino, Francesco Sbetti, Maurizio Tira, Andrea Torricelli, Silvia Viviani, Angioletta Voghera comitato@sentieri-urbani.eu direttore Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Elisa Coletti, Pietro Degiampietro, Mario Gasperi, Davide Geneletti, Margherita Meneghetti, Francesco Palazzo, Giuliana Spagnolo, Giovanna Ulrici, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu fotografia e sito web Luca Chistè - web@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero Angela Barbanente, Rose Marie Callà, Benedetta Castiglioni, Marco De Vecchi, Franco Farinelli, Viviana Ferrario, Peter Morello, Gilles Novarina, Adriano Oggiano, Riccardo Santolini, Angioletta Voghera progetto grafico Progetto & Immagine s.r.l. - Trento concessionaria di pubblicità Publimedia snc via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento 0461.238913

06 Editoriale

di Bruno Zanon

08 Intervista a Claude Raffestin A cura di Angioletta Voghera

12 PRIMA PARTE: LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO 14 Quindici anni dalla Convenzione Europea del Paesaggio di Angioletta Voghera

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La capriola del paesaggio di Franco Farinelli

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Quando il Paesaggio si dissolve nell'ecologia di Gilles Novarina

28

Educare al paesaggio. Educare attraverso il paesaggio di Benedetta Castiglioni

32

Il ruolo delle attività antropiche nel costruire/distruggere biodiversità di Riccardo Santolini

38

A cosa serve il paesaggio? Riflessioni ed esempi in area alpina di Viviana Ferrario

44 SECONDA PARTE: ESPERIENZE E STRUMENTI 46

Il Piano paesaggistico della Regione Puglia di Angela Barbanente

54

Pianificazione paesaggistica in provincia di Bolzano di Peter Morello e Adriano Oggiano

62

Osservare e governare le trasformazioni del paesaggio agrario di Marco De Vecchi

68

Studiare la percezione del paesaggio ai fini della pianificazione: Il caso del PTC della Comunità Rotaliana-Königsberg di Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini

© Tutti i Diritti sono riservati

prezzo di copertina e abbonamenti Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25 Per abbonarsi a Sentieri Urbani: diffusione@sentieri-urbani.eu I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono alla redazione sono presi in considerazione se coerenti con la struttura dei numeri e sono sottoposti al giudizio di lettori indipendenti.

contatti www.sentieri-urbani.eu 328.0198754 editore Bi Quattro Editrice via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino Via Oss Mazzurana, 54 - 38122 Trento

74 La recensione

di Bruno Zanon

76 La biblioteca dell'urbanista


E D I T O R I A L E

Il paesaggio, il nostro ambiente di vita A quindici anni dalla Convenzione Europea del Paesaggio (CEP), trattato promosso dal Consiglio d'Europa e sottoscritto da 38 paesi, è giunto il momento di fare un primo bilancio e di individuare quali sono i punti di forza e quali le criticità. Non si tratta, ovviamente, di sostituirsi a un organismo di livello internazionale ma di riflettere su quanto il nuovo approccio della CEP e le indicazioni che da essa provengono si sono potuti tradurre in azioni concrete a scala locale. I contributi qui raccolti intendono tracciare, almeno in parte, questo percorso: individuare i tratti peculiari della CEP, sia relativamente a quelli che costituiscono dei veri e propri punti di svolta, sia riguardo alle ambiguità di una definizione che, essendo comprensiva, rischia di essere vaga, per poi approfondire alcuni dei temi emergenti e descrivere delle esperienze significative. Sicuramente la Convenzione costituisce una profonda innovazione (o una “capriola”, come afferma Franco Farinelli), proponendo una definizione che sottolinea il ruolo delle popolazioni che percepiscono, definiscono e vivono il paesaggio. L'esigenza principale dei proponenti era certamente quella di integrare tradizioni diverse: quella dei paesi centro e nord-europei, che intendono per paesaggio soprattutto le aree naturali, e quella dei paesi mediterranei, che apprezzano in particolare il paesaggio antropico. Ma questo richiede di distinguere il paesaggio, in quanto rappresentazione della realtà, dal territorio, dallo spazio e dall'ambiente, come ricorda Franco Farinelli. Inoltre, il riconoscimento dei valori in gioco va fatto tramite gli occhi della collettività, con tutti i problemi bene espressi da Claude Raffestin. L'abbandono di una definizione “sostantiva” (riferita a spazi, luoghi, condizioni) a favore di una definizione “metodologica” (per riconoscere i valori del paesaggio bisogna cogliere come esso è percepito) richiede l'elaborazione di metodi e strumenti che ancora sembrano in divenire e che fanno riferimento a professionalità diverse. 6


I compiti sono quindi cambiati. Dalla tutela come protezione (l'approccio della tradizione italiana che, pur meritorio, sconta dei problemi, come sottolineato da Angioletta Voghera) si deve passare a una tutela attiva, a una consapevole costruzione del paesaggio. E questo riguarda pertanto non solo strumenti e settori specifici (la pianificazione paesaggistica e territoriale) ma coinvolge tutti i settori che intervengono materialmente sullo spazio naturale e antropico e richiede nuove azioni di coinvolgimento della popolazione, attività di ascolto e di educazione. Trattare il paesaggio dopo la CEP significa agire sempre meno in una logica di applicazione di prescrizioni normative e di semplice controllo a favore di modalità flessibili e creative, con una varietà di strumenti e di azioni. Angioletta Voghera ricorda che si tratti di una “soft law”, che richiede azioni di coordinamento e di metodi di governance. Lo snodo, è ancora Franco Farinelli a rilevarlo, è politico. Le sfide che si profilano sono quindi impegnative, ma il momento appare favorevole, in quanto il riconoscimento del ruolo del paesaggio è intervenuto in una fase che ha colto anche altri temi, con esso strettamente intrecciati: il valore della biodiversità (anche di quella prodotta dall'uomo), il riconoscimento del ruolo di molte aree esterne ai “santuari della natura”, l'approccio “reticolare” alle aree protette, l'assegnazione di valore a molti manufatti e luoghi trasformati dall'uomo e, più in generale, al paesaggio antropico. Altro tema di assoluta attualità è il legame suoloproduzione di cibo-paesaggio. Rischiamo infatti di dimenticarci che l'umanità vive grazie alla capacità di utilizzare i prodotti della terra, e che questo richiede di tutelare il suolo fertile e di tenere ben vivo il legame funzionale, ma anche simbolico e valoriale - tra terra, attività agricole, paesaggio. L'uomo, dalla rivoluzione neolitica in poi, ha prodotto – contemporaneamente suolo, biodiversità, cibo, paesaggio. E nei diversi paesaggi prodotti le comunità hanno riconosciuto il proprio ambiente di vita, stabilendo con esso forti legami di identità e di responsabilità. Per contro, nuove trasformazioni - di segno opposto stanno intervenendo sul paesaggio: l'abbandono di molti

spazi agricoli e la loro rinaturalizzazione, l'estensione delle aree urbanizzate (spesso senza crescita demografica ed economica), la costruzione di nuove infrastrutture (che creano barriere e frammentano l'ecosistema o punteggiano luoghi sensibili), la collocazione di tecnologie per la produzione di energia da fonti alternative. Di qui l'esigenza di porre fine al “consumo di suolo” e di intervenire sulle aree urbanizzate, di includere nei piani territoriali l'ambiente costruito dall'uomo e lo spazio naturale, di intrecciare le strategie di tutela e del recupero con quelle per nuove modalità di sviluppo. Servono, infine, nuove competenze e nuove professionalità. Pur dovendo apprezzare il “successo” del tema del paesaggio, che ha sostituito l'attenzione nei confronti dell'opera di architettura, del disegno urbano, del recupero dei centri storici, la complessità delle questioni richiede competenze che ancora non sono bene consolidate e che, soprattutto, non sono riconosciute. Riprendere il filo del ragionamento è quanto ci si propone con questo numero di Sentieri Urbani, offrendo una varietà di contributi che lanciano uno sguardo critico e forniscono stimoli particolarmente acuti (Claude Raffestin, Franco Farinelli, Claude Novarina), tracciano il quadro di avanzamento dell'attuazione della Convenzione in Italia e in Europa (Angioletta Voghera), ripercorrono il senso del paesaggio (Viviana Ferrario), individuano il ruolo dell'educazione al e con il paesaggio (Benedetta Castiglioni), chiariscono le connessioni tra paesaggio, biodiversità ed ecosistema (Riccardo Santolini), analizzano alcune esperienze relative a un piano paesaggistico ormai consolidato, quello della Regione Puglia (Angela Barbanente), a un osservatorio del paesaggio (Marco De Vecchi), alla individuazione delle modalità della percezione paesaggistici per la pianificazione territoriale (Rose Marie Callà e Alessandro Franceschini), a sistemi consolidati – ma in evoluzione - di governo del paesaggio (Adriano Oggiano e Peter Morello). Non è un caso che le esperienze descritte riguardano solo in parte strumenti normativi (piani), a favore di una varietà di azioni culturali, di analisi, di coinvolgimento della popolazione. Bruno Zanon 7


I N T E R V I S T A

PAESAGGIO, PERCEZIONE, SAPERE ESPERTO Un'intervista a Claude Raffestin a cura di Angioletta Voghera

Claude Raffestin è Professore Emerito di Geografia nell'Università di Ginevra

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“Ottima l'idea della Convenzione, ma non il suo contenuto e le sue definizioni. È un testo importante, ma che dovrebbe definire meglio i concetti proposti. Il maggior suo difetto è che sia stata scritta prevalentemente da giuristi. I giuristi hanno idee chiare, ma usano in questo caso concetti mal definiti”

Il paesaggio pare essere oggetto in molti paesi di una vasta attività conoscitiva e regolativa che lo pone al centro della scena. Le pare che questo possa essere uno dei meriti principali ascrivibili alla Convenzione? Penso che la CEP possa essere importante come presa di coscienza del paesaggio e della necessità di fare attenzione alla sua evoluzione. Una critica alla convenzione è relativa alla definizione di paesaggio, che provoca, anche negli ambienti universitari, riflessioni generali e generiche. Il paesaggio è, secondo la CEP, “una determinata parte di territorio, come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'interazione tra fattori naturali ed antropici”. Quale parte di territorio? E che cosa significa? Questa parte di territorio può cambiare con gli osservatori, a seconda di chi percepisce il territorio, e questo porta a far prevalentemente riferimento ad una dimensione puramente “visiva”. Inoltre questa definizione tenta di recuperare concetti relativi al rapporto tra natura e cultura, ma in modo impreciso. Quindi ottima l'idea della Convenzione, ma non il suo contenuto e le sue definizioni. È un testo importante, ma che dovrebbe definire meglio i concetti proposti. Oggi la CEP è riferimento anche per paesi che, come la Giordania, non hanno nessuna concezione di paesaggio, neanche dal punto di vista linguistico. L'idea di avere una Convenzione globale forse dev'essere ripensata perché non è possibile proporre un concetto universale di paesaggio. Faccio un esempio; i cinesi hanno due ideogrammi per il paesaggio: il primo combina montagna e acqua, il secondo vento e luce. Il paesaggio analizzato nel sistema culturale e linguistico di ogni popolazione può portare a produrre 9

riflessioni interessanti dal punto di vista teorico. La Convenzione ha fissato principi, valori, indicato possibili strade per guidare l'azione di tutela, pianificazione e gestione in diversi paesi. La CEP propone una visione comune, che può essere "omologativa" rispetto al significato del paesaggio nelle culture locali. Qual è la sua opinione in merito? Il problema dei valori del paesaggio “locali” è da affrontarsi in modo molto delicato. Per spiegarmi al meglio farò un esempio: venticinque anni fa i francesi promossero una campagna di fotografia del paesaggio con risultati molto interessanti. Purtroppo le popolazioni non riconobbero il loro paesaggio. Per questo motivo continuo a dire che la CEP è un'ottima idea, ma che dovrebbe specificare meglio i valori e i concetti culturali e operativi che vuole promuovere. Cosa si intende con gestione del paesaggio? Cosa si intende con pianificazione del paesaggio? Il maggior difetto della CEP è che sia stata scritta prevalentemente da giuristi. I giuristi hanno idee chiare, ma usano in questo caso concetti mal definiti. Paesaggio e percezione: il paesaggio nella CEP è il territorio come percepito dalle popolazioni nel suo libro “Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio” metteva in luce il ruolo dei viaggiatori che talvolta percepiscono il paesaggio prima degli stessi abitanti. Ci può spiegare la sua posizione in merito? E' una buona domanda, ma faccio una prima osservazione: noi come individui abbiamo naturalmente una percezione delle cose derivata dal sistema fisiologico/visuale e biologico. Quando si parla di “percezione collettiva”, come nella CEP, che cosa si intende richia-


“L'urbanista o il geografo, se si rifanno alla cultura del proprio settore disciplinare, vedono il paesaggio secondo una propria ottica interpretativa. Se hanno una cultura molto ampia che spazia nella letteratura, nell'arte possono rappresentare il paesaggio in maniera più efficace, secondo una visione più ricca, più completa, superando le visioni settoriali” mare? La collettività ha occhi? Ha un sistema biologico? La collettività è fisiologicamente costruita per vedere le cose come il singolo uomo? No certamente, ma non significa che non esista una percezione “collettiva”. Faccio un esempio classico: quando Humboldt si recò a Philadelphia nel 1804 fu invitato dalla American Philosophical Society dove il segretario gli disse: “Sig. Humboldt, lei parte con l'America in tasca”. Humboldt aveva infatti disegnato e descritto il paesaggio americano. Vi spiego quindi come una percezione individuale possa diventare “collettiva” con un aneddoto. Ero a Madrid nel Museo della regina Sofia con mia moglie e da lontano vidi un quadro che pensavo fosse di Humboldt. Arrivando vicino mi accorsi che era di Edward Church, pittore americano che non conoscevo. Tramite ricerche scoprii che Church lesse il “Kosmos” di Humboldt e studiò i suoi disegni, cominciando a vedere l'America attraverso i suoi occhi. In questo senso esiste una visione collettiva. Non è una percezione, ma una visione collettiva. Anche noi vediamo il Lago Maggiore con i nostri occhi, ma anche attraverso gli occhi degli scrittori che amiamo. Quindi qual è per Lei esattamente la differenza tra visione collettiva e percezione collettiva? La percezione collettiva non esiste per le ragioni che ho spiegato, ma esiste una visione collettiva, ovvero una percezione individuale comunicata agli altri. Una visione collettiva che alcuni chiamano “percezione collettiva”. Questo è un passaggio molto importante e vi faccio un esempio in proposito: due anni fa ero a Bodrum sulla costa dell'Anatolia. Bodrum è la vecchia Alicarnasso che visitai accompagnandomi con il libro di Erodoto e cercando di leggerla attraverso i suoi occhi. Naturalmente la vidi con i miei occhi, ma ricercai lo sguardo di Erodoto sulla città moderna. Erodoto ha trasmesso ai suoi lettori una percezione. Quando un piano paesaggistico elabora carte di rap10

presentazione del paesaggio propone un'interpretazione che permane nel tempo, contribuendo a costruire l'apparato normativo e progettuale. Mi chiedo, quando si passa da una interpretazione di tipo culturale, come quella di Humboldt o quella di Erodoto, a una lettura per la definizione di indirizzi e norme, qual è l'approccio che si deve adottare? È una domanda molto interessante, non facile. Prima di tutto ritengo che l'esperto non esista ma esistono persone che conoscendo bene un territorio e i suoi paesaggi, sono portatori di conoscenze tecniche. Quando gli esperti pretendono di indicare quali tipi di paesaggi occorra conservare, proteggere o valorizzare non si rendono conto di quanto la loro decisione sia il risultato di un accumulo di conoscenze del passato, mediate da diversi autori. In questo senso non esiste un esperto, o meglio esiste se e solo se è capace di dire “vi propongo di agire così perché sono influenzato da…”. Un esperto deve saper esplicitare le fonti, la propria posizione culturale. Se non lo fa esplicitamente, sta agendo in modo scorretto. Sembra un po' eccessivo parlare così dell'esperto, ma rimango della mia idea. L'esperto sarebbe accettabile come tale se fosse assolutamente cosciente di tutte le conoscenze accumulate e che entrano nei suoi ragionamenti, ma non è mai così. L'esperto dipende sul piano tecnico e sul piano generale dalle sue capacità e dalla sua cultura. È influenzato da categorie concettuali, da un accumulo di conoscenze e di informazioni. L'urbanista o il geografo, se si rifanno alla cultura del proprio settore disciplinare, vedono il paesaggio secondo una propria ottica interpretativa. Se hanno una cultura molto ampia che spazia nella letteratura, nell'arte possono rappresentare il paesaggio in maniera più efficace, secondo una visione più ricca, più completa, superando le visioni settoriali. L'esperto dev'essere una persona di cultura ampia, che si sia occupato direttamente di pianificazione paesaggistica e che dichiari sempre le fonti culturali non disci-


I N T E R V I S T A

“Quando dico che il paesaggio è distrutto intendo che non soltanto la visione è distrutta, ma la vegetazione, l'idrologia, l'ecologia sono distrutte. Importante è conservare le relazioni all'interno di un sistema naturale, non solo la morfologia nel suo aspetto visuale”

plinari cui fa riferimento. Cosa pensa delle recenti esperienze di pianificazione paesaggistica che sperimentano campagne di coinvolgimento della popolazione (osservatori, mappe di comunità, ecc.). Queste esperienze di laboratorio locale possono contribuire all'interpretazione e al progetto di paesaggio? Ottimo organizzare una comunità per testare la loro conoscenza e le loro aspirazioni per il territorio e il paesaggio. Ho fatto in Svizzera diversi piani regolatori e abbiamo sempre consultato la popolazione in una o due riunioni nei comuni. Mi sono reso conto in queste occasioni che alcune delle mie idee sul territorio non erano corrette perché gli abitanti avevano un'altra esperienza del loro spazio di vita. Utile anche per far accettare meglio le decisioni, a legittimare il piano e a rendere più facile la gestione e la sua adozione, calibrando gli errori dell'esperto. Alcuni di questi problemi sono emersi nella lettura dei miei libri da parte di esperti di diverse discipline, come in “Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio”, troppo complicato perché presuppone conoscenze necessarie per mettere in relazione territorio e paesaggio. Ma in generale i miei libri non son ben capiti. Come si può evitare il rischio di “consacrare” il paesaggio che lei evidenzia in alcuni saggi di commento alla CEP? Oppure il rischio è di guardare solo alla dimensione materiale del paesaggio? Penso che per evitare questo rischio si debba ritornare alle diverse sorgenti di informazione su questo paesaggio: letteraria, pittorica, cinematografica. Il cinema è molto importante per il paesaggio e rimprovero ai registi di non indicare precisamente dove si è girato un film. Sarebbe molto importante saperlo, sarebbe un arricchimento per il paesaggio ed eviterebbe errori o interpretazioni sbagliate del paesaggio (es. alcune immagini pubblicitarie del FAI). Utile pensare al famo11

so pittore Fernand Leger che ha scritto un piccolo libro che dimostra che era necessario trovare l'inaspettato nel paesaggio, che non è una distruzione del paesaggio. Importante è l'immateriale, la dimensione fisica del paesaggio può scomparire in un altro momento. Non ha senso “consacrare” il paesaggio. Forse non ha senso guardare alla dimensione dell'oggi, dando eccessivo peso alla tutela, alla “consacrazione” / conservazione dell'esistente, perché il paesaggio è in divenire? E' la dimensione in divenire che dovrebbe essere al centro dell'attenzione del piano. Faccio un esempio di “distruzione del paesaggio”. C'è un territorio francese al di là del confine fra Ginevra e l'alta Savoia, una montagna che si chiama Salève, in parte distrutta da scavi assolutamente inaccettabili. Avevo l'abitudine, quando avevo tra i 15 e i 18 anni, di andare a piedi sul Salève. Oggi non posso più perché tutto è stato distrutto dalle cave. E' come una ferita in questa montagna, molto famosa sul piano scientifico perché Horace-Bénédict de Saussure aveva fatto le sue prime osservazioni sulla geologia nel Salève. Purtroppo la CEP non può far nulla per questi problemi. Più utile guardare ai termini cinesi: montagna, acqua, vento e luce eccetera; non devi per forza tutelarli ma gestirli in modo dinamico. Quando dico che il paesaggio è distrutto intendo che non soltanto la visione è distrutta, ma la vegetazione, l'idrologia, l'ecologia sono distrutte. Importante è conservare le relazioni all'interno di un sistema naturale, non solo la morfologia nel suo aspetto visuale. I piani paesaggistici guardano al sistema di relazioni tra gli elementi del paesaggio. È anche vero che ci sono ricerche che in questo momento guardano prevalentemente al paesaggio nella dimensione visuale, la morfologia in relazione alla forma dell'ambiente culturale e ai singoli beni.


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Fotografia di L. Chistè


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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

Quindici anni dalla Convenzione Europea del Paesaggio di Angioletta Voghera *

* Angioletta Voghera, Professore associato in urbanistica – Dist, Politecnico di Torino, Coordinatore Commissione Ambiente e Paesaggio - INU

A quindici anni dall'approvazione della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP, Firenze, 2000), la valorizzazione del patrimonio paesaggistico diffuso è obiettivo di politiche, piani e progetti che, talvolta, coinvolgono anche le popolazioni nell'interpretazione dei valori paesaggistici e nella definizione di obiettivi di qualità e di scenari di trasformazione. Il paesaggio è diventato, da semplice oggetto di studio, a terreno di confronto per la cultura del territorio reclamando risposte nuove a domande in parte antiche e mettendo in discussione concezioni consolidate nei più diversi ambiti disciplinari. In questa prospettiva molte sono le politiche e le pratiche sviluppate dal 2000 tra i paesi che hanno aderito alla Convenzione e che convergono nel riconoscimento di principi e valori universali del paesaggio come fondamento dell'identità delle popolazioni, ma anche nel rilancio della tutela “attiva” come interazione tra protezione, pianificazione e gestione dell'intero territorio e dell'attenzione per la qualità paesaggistica delle politiche di settore (Gambino, 2007; 2015). L'applicazione in corso della CEP sul territorio è espressione, pur nella diversità di approccio e di risultato nei singoli paesi, di una crescita di consapevolezza sociale dei valori del paesaggio e del correlato impegno ai diversi livelli ammini-

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strativi per valorizzarlo e progettarlo. Ha generato, inoltre, un processo di “europeizzazione” delle politiche paesaggistiche. Tale processo è rintracciabile nel recepimento top-down delle indicazioni europee, con conseguente elaborazione di nuove normative o politiche a scala nazionale (Knill e Lehmkuhl, 1999), o nell'influenza bottom up degli stati per la definizione di strategie sovranazionali (Börzel e Risse 2000). La CEP costituisce infatti un open method of coordination (Bulmer e Radaelli, 2004) che propone agli stati membri del Consiglio d'Europa un modello di governance per la costruzione di quadri normativi e per l'azione, proponendo principi e un approccio comune; è una soft law, ad adesione “volontaria” per gli stati, definita attraverso un lungo processo di discussione e scambio di esperienze (Prieur, 2004). Essa sta orientando l'attività di ricerca e le pratiche, ispirando definizioni concettuali e modalità di azione, con una portata forse maggiore di quanto si poteva originariamente immaginare. Con il supporto della continua attività di discussione e di condivisione (convegni del Consiglio d'Europa, coinvolgimento delle università, con UNISCAPE e della società civile, con CIVILSCAPE) la CEP è stata prevalentemente applicata a macchia di leopardo per aree geografiche, livelli o settori amministrativi, temi e campi


di azione (politiche e pratiche di progettazione e gestione del territorio, sensibilizzazione, formazione; Scazzosi, 2011; Castiglioni, 2012). Infatti l'adesione alla CEP, anche nei paesi che hanno una lunga tradizione legislativa e operativa sul paesaggio (Gran Bretagna, Germania, Francia, Austria), non può derivare da azioni impositive ma necessita di un processo complesso di maturazione democratica che coinvolge molteplici strumenti legislativi, progettuali e operativi. Le buone pratiche sono oggi lo strumento diffuso a livello europeo per supportare il processo di innovazione istituzionale e guidare, con una specifica attenzione agli aspetti paesaggistici, il progetto del territorio cercando di coinvolgere e responsabilizzare gli attori locali nel processo di valutazione dei valori legati ai luoghi (art. 6 della CEP) e contestualmente di far interagire, in una politica di collaborazione e di integrazione verticale e orizzontale, le azioni. L'Unione Europea (UE) appare ancora lontana dalla possibilità di istituire una politica specifica corredata da indirizzi e finanziamenti, ma dal 1993 con la Carta del paesaggio mediterraneo¹, il paesaggio è tra i temi fondativi dell'identità territoriale. In questa direzione va lo Schema di sviluppo dello spazio Europeo (CE, 1999) che rileva l'importanza dei paesaggi europei e dei territori sensibili (aree urbane e rurali, montagne, coste e isole, eurocorridoi, bacini fluviali e valli alluvionali, aree di riconversione, regioni di frontiera), da gestirsi attraverso politiche integrate. Il documento territoriale europeo riconosce inoltre la necessità di avviare politiche di cooperazione interregionale e transfrontaliera. In accordo con le Strategie del Consiglio di Lisbona e di Gothenburg innova la concezione di paesaggio in UE, riconoscendone l'importanza per la lo sviluppo, la coesione, la competitività e la vivibilità dei territori. Il paesaggio entra nei principi comunitari e nelle politiche territoriali europee (trasporti, ambiente, città, energia, agricoltura, coesione, …), ma è ancora prevalentemente considerato in termini di effetti e impatti. Restano quindi aperte le riflessioni sui molti paesaggi di importanza comunitaria che necessitano di strategie transnazionali, oltre che sulla gestione delle trasformazioni determinate dalle politiche. Nei paesi si rintracciano alcune innovazioni che pongono il paesaggio al centro del governo del territorio, come opportunità per lo sviluppo nel

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quadro della sostenibilità e della resilienza; si possono in proposito ricordare le strategie e le politiche d'area vasta che delineano scenari di trasformazione dei paesaggi, legittimati attraverso processi di valutazione sociale delle scelte (come l'Agenda Landschap in Olanda, le Landscape guidelines in Gran Bretagna). Inoltre alcune indicazioni della CEP trovano riferimento in piani paesaggistici d'area vasta (in Italia, Germania, Austria, Spagna,...) e/o locali (in Olanda, Germania, Gran Bretagna,...) e in strategie e/o piani di governo del territorio e di settore (come quelli per lo sviluppo dell'agricol-tura, delle infrastrutture di mobilità, delle reti energetiche o quelli per la gestione delle acque. In proposito si vedano i contratti di fiume in Italia, Francia, Belgio o le Trame verte et bleue per la valorizzazione ecologica dei paesaggi in Francia). Emerge un'articolata azione di pianificazione per il paesaggio che risente dei diversi modelli culturali e legislativi degli stati (Voghera, 2011) e che esprime l'attenzione istituzionale e sociale per valorizzare, recuperare e creare paesaggi (CEP, art.1). Si tratta di un'attività di pianificazione che coinvolge attori pubblici e privati a diverse scale di governo, integrando azioni strategiche d'area vasta con il progetto d'architettura, ponendo attenzione ai valori naturali, ecologici, idrologici, culturali e sociali (CEMAT, 2007). La CEP indirizza a un quadro articolato di azioni finalizzato a rafforzare la qualità delle risorse irriproducibili (acqua, aria, suolo, ecosistemi), a ripristinare i valori identitari, oltre che ad innovare il territorio dal punto di vista ambientale e sociale, anche con le nuove tecnologie. Sostenibilità, attenzione al paesaggio nel governo del territorio e partecipazione sono le parole chiave con cui si confronta nei diversi paesi la pianificazione in accordo con la CEP. Di grande interesse sono le pratiche di partecipazione delle popolazioni al progetto che, attraverso tecniche diverse, consentono di costruire un ampio consenso sugli obiettivi, oltre che di responsabilizzare gli attori pubblici e privati. Un esempio interessante è il Village Design Statement inglese, strumento volontario a scala locale sperimentato in ambiti rurali, che colpisce la dimensione degli insediamenti, degli spazi aperti come quella del dettaglio architettonico e urbano. E' un metodo per il progetto (Bishop, 1994; Rose, 1994; Owen, 1995) perché definisce un processo per agire con successo sul paesaggio locale (Owen, 1999), a partire dalla valuta-


zione comunitaria dei caratteri dei luoghi. Attraverso il coinvolgimento locale si costruiscono conoscenze, linee guida e abachi per disegnare il futuro del paesaggio naturale e rurale, degli spazi d'aggregazione e dei servizi pubblici, del costruito, delle strade e dell'arredo urbano. In taluni casi questo ruolo di conoscenza delle aspirazioni locali, indirizzo di politiche e progetti a diversi livelli amministrativi, di monitoraggio nel tempo dell'azione è assolto dagli Osservatori che afferiscono a due tipologie: bottom-up, che esprimono il contributo diretto della società civile alla gestione del paesaggio, e top-down, istituiti dalle pubbliche amministrazioni. In Italia ritroviamo osservatori nazionali come previsto e/o regionali istituiti (in Lombardia, Provincia di Trento, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Molise, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna), ma anche molti osservatori locali (si veda l’Osservatorio del paesaggio astigiano). Quelli locali nascono spesso da azioni volontarie “dal basso”, cercando di coinvolgere popolazioni e operatori economici nelle scelte come nella realizzazione delle azioni di valorizzazione. L'approccio verso l'azione per il paesaggio è diverso nei singoli paesi. In ambito nord europeo (Gran Bretagna, Olanda, Germania, …) è fortemente ancorato alla tradizione di pianificazione e di progetto che si fonda sulla responsabilizzazione degli attori istituzionali e sociali e su pratiche consolidate di concertazione di strategie e interventi. Di rilievo è anche l'attenzione per gli impatti di politiche e progetti, valutati nel loro sviluppo attraverso metodologie consolidate, affinate negli anni attraverso le esperienze sul campo di tecnici e di amministratori pubblici (ad es. GLAM evaluation, Landscape appreciation in Olanda). In questi paesi le pratiche progettuali così costruite alle diverse scale territoriali mettono in stretta relazione la qualità del paesaggio con lo sviluppo locale, puntando alla riqualificazione della natura, del mosaico agrario, del patrimonio storico-culturale, degli insediamenti, delle infrastrutture, di fiumi e canali, come occasione per la crescita anche economica, per la fruizione turistica e il tempo libero (ne è esempio l'Agenda Landschap olandese, 2008). Il paesaggio è oggetto di intervento pubblico, con l'investi-mento di cospicue risorse derivate direttamente dalla tassazione (Landschap Task

Force olandese) e indirettamente dalle misure di compensazione e mitigazione previste dai piani locali per i progetti di trasformazione e di sviluppo urbanistico (in Germania). E' inoltre un importante mezzo per guidare il progetto del territorio verso modelli di governo sostenibili, orientati alla competitività e alla qualità. Anche in Italia, con il Codice (2004, s.m.i.) si è aperta una nuova stagione della pianificazione paesaggistica che si caratterizza per il proliferare di molte innovazioni sul piano conoscitivo e regolativo: revisione o elaborazione di piani territoriali paesistici o paesaggistici (Calabria, Campania, Basilicata, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Provincia di Trento, Umbria, Veneto); redazione di Atlanti regionali dei paesaggi come strumento di interpretazione e, talvolta, di indirizzo e valutazione degli effetti paesaggistici dei progetti; osservatori del paesaggio regionali o locali; commissioni comunali o intercomunali del paesaggio. Innovazioni queste definite sulla base anche di leggi regionali applicative del Codice. Il paesaggio è al centro del progetto di territorio, ma in Italia rimangono da risolvere alcune criticità legate al difficile passaggio dagli scenari di valorizzazione individuati dai contenuti propositivi dei piani alle indicazioni normative che guidano il progetto, che troppo spesso si limitano a identificare le condizioni di compatibilità degli interventi (Peano, 2011). Accanto alle criticità operative si riconoscono alcuni limiti legati allo stesso Codice che resta lontano dalla Convenzione in quanto ancora separa i beni culturali da quelli paesaggistici, in continuità con la tradizione italiana sancita dalle leggi del 1939, e divide le competenze della tutela e della valorizzazione da concordarsi attraverso Intese tra Stato e regioni (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia) che si dimostrano difficili da praticare e incerte negli esiti. Il Codice trascura inoltre un'importante innovazione introdotta dalla Convenzione, intrinseca alla stessa definizione di paesaggio, relativa al coinvolgimento delle popolazioni nelle decisioni e nell'attuazione, ignorando il significato anche economico riconosciuto al paesaggio e alle sue potenzialità nel produrre sviluppo e occupazione. Dà invece rilievo alla tutela e alla pianificazione paesaggistica, senza fornire indicazioni per la gestione. Inoltre resta debole il rapporto tra governo del territorio e pianifica-

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zione paesaggistica, nonostante i riferimenti introdotti nel Codice del 2008 alla limitazione al consumo di suolo e alle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio degli insediamenti in funzione della loro compatibilità con i valori paesaggistici. Sono ancora da rafforzare: l'integrazione del paesaggio nelle politiche e nella pianificazione territoriale e di settore, la partecipazione delle popolazioni, l'identificazione di soggetti pubblici e privati responsabili della gestione e dell'attuazione, oltre che di appropriate risorse finanziarie. Tuttavia si riconosce una maggiore attenzione nell'attuale stagione della pianificazione paesaggistica all'integrazione tra dimensione regolativa e di progetto, intrecciando interessi, attori e strumenti diversi della trasformazione territoriale. Interessanti a riguardo sono la Carta del paesaggio e la Carta della sensibilità paesaggistica nei piani comunali lombardi e la ricerca, in molti piani per il paesaggio, di una maggiore attenzione per la dimensione strategica e progettuale (anche attraverso strumenti di supporto metodologico come ad es. la piattaforma “Criteri e indirizzi per la tutela del paesaggio” della Provincia di Bolzano), che chiama in causa i possibili attori e introduce strumenti operativi diversi (progetti strategici, integrati, …). La definizione in alcune regioni di progetti e programmi integrati con approccio strategico, a regia regionale, di accordi di copianificazione o di intese verticali e orizzontali, ha infatti un ruolo chiave nel passaggio all'operatività. In particolare la co-pianificazione, introdotta ad esempio in Puglia dalla formazione del piano, attraverso tavoli di concertazione tra enti pubblici, ed aperta all'interazione con la società civile, consente di costruire azioni e progetti trasversali. Inoltre ispirati a modelli internazionali più consolidati, si stanno diffondendo molti strumenti di indirizzo (linee guida, abachi, manuali, buone pratiche) e si sperimentano parternariati tra pubblico e privato, oltre che progetti territoriali e paesaggistici strategici (come in Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Piemonte, Puglia)². Le molte linee guida inoltre – articolate in manuali, abachi, regolamenti - definiscono criteri e metodologie per l'inserimento, la valutazione e il progetto accompagnando la realizzazione delle indicazioni della pianificazione territoriale e paesaggistica, oltre che promuovendo-


ne l'integrazione con quella di settore (per es. le linee guida per la realizzazione degli impianti per le energie rinnovabili). Inoltre certamente ispirate alla Convenzione e alle sperimentazioni di altri paesi -come l'Olanda, la Gran Bretagna, la Germania, l'Austria- si costruiscono politiche e interventi basati su un processo interpretativo affidato alla popolazione, che assegna un ruolo attivo agli attori locali nella gestione del proprio ambiente di vita. Anche in Italia si sperimentano pratiche di inclusione degli attori locali. In Puglia si è dato largo spazio ad esperimenti “per la produzione sociale del piano”, attraverso l'istituzione di una struttura di governance e partecipazione

finalizzata a promuovere la progettualità sociale nella valorizzazione dei beni identitari (Magnaghi, 2011). Il processo partecipato è stato supportato nel tempo attraverso eventi temporalmente localizzati (conferenze d'area, premio paesaggio) ed altri di lungo periodo finalizzati a raccogliere descrizioni, problemi, progetti (mappe di comunità, sito web interattivo, forum, osservatorio regionale del paesaggio, ecomusei, parco agricolo multifunzionale, contratti di fiume). Su questa strada sono oggi molte le sperimentazioni in altre regioni, legate spesso agli osservatori del paesaggio, volte a cercare di accompagnare il processo attuativo delle azioni della pianificazione paesaggistica.

Note 1. La carta è stata siglata dalle Regioni Andalusia, Languedoc-Roussillon, Toscana e dalla Provincia di Siena. 2. Consolidati in Emilia Romagna i progetti strategici (art. 32, Norme del Piano Territoriale Paesistico) erano volti al recupero di aree compromesse, degradate e caratterizzate da contesti identitari, alla gestione integrata e alla valorizzazione fruitiva di ambienti fluviali, alla conservazione e integrazione delle preesistenze archeologiche e paleontologiche e del passato industriale, alla riqualificazione delle colonie marine e del territorio costiero, oltre che delle aree agricole di frangia urbana e del paesaggio rurale storico (campagna-parco). In Liguria i “progetti di sistema”, strumenti gestionali per lo sviluppo basato su pratiche concertative di territorio (Progetto Aurelia, Parco costiero del Ponente) trovano riferimento anche nella disciplina dei PTCP. In Piemonte il piano paesaggistico introduce i “progetti strategici integrati” di regia regionale, che coinvolgono nell'azione paesaggistica e responsabilizzano soggetti diversi (pubblici e privati). Se ne individuano diverse tipologie: i “progetti localizzati” a scala sovracomunale che per l'attuazione coinvolgono comunità e enti locali, i “programmi di rete” quali attività locali con supporto provinciale e regionale; le “politiche per le azioni diffuse” di scala regionale o sovra-regionale, basate su accordi intersettoriali. In Veneto i progetti strategici regionali e i Piani d'Area dovrebbero contribuire alla specificazione del PTRC, attuando le indicazioni del piano, mediante accordo di programma e fornendo risposte progettuali locali per i sistemi territoriali più rilevanti. Anche in Puglia si introducono progetti territoriali per il paesaggio regionale (rete ecologica, il sistema infrastrutturale per la mobilità dolce, la valorizzazione integrata dei paesaggi costieri, il patto città-campagna), basati su processi di co-pianificazione e co-progettazione in partnership pubblico-privata, per supportare la produzione sociale di paesaggio, responsabilizzando gli attori e verificando l'applicabilità locale di indirizzi, direttive, prescrizioni (progetti Territoriali per il paesaggio regionale, progetti Integrati di paesaggio a scala locale, premio paesaggio, buone pratiche).

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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

La capriola del paesaggio di Franco Farinelli *

* Franco Farinelli è professore ordinario di Geografia presso l'Università di Bologna

Vale oggi per il paesaggio esattamente quello che, giusto un secolo fa, stando alle Parole nel vuoto di Adolf Loos valeva (e ancora vale) per la città: non si ha idea della quantità di veleno che abili pubblicazioni riversano sull'argomento, in maniera da impedire ogni presa di coscienza. Inutile fare nomi, servirebbe soltanto a distrarsi e a perdere di vista i termini della questione. Anzi al contrario: l'assenza di termini, vale a dire, alla lettera, di limiti. Il paesaggio cioè è questione illimitata, la sua esistenza pone il problema di come possa darsi un insieme che sia allo stesso tempo visibile ma privo di confini e perciò non misurabile, e proprio per questo implica una difficoltà di oltremodo difficile soluzione: la questione della totalità. Il che vale intanto a distinguere il paesaggio stesso da tutti gli altri modelli (territorio, spazio) riferibili alla faccia della Terra, al contrario per natura delimitati, con i quali disinvoltamente e sbrigativamente si tende da qualche tempo a farlo coincidere. Sull'oggettiva attuale necessità della loro coincidenza si tornerà tra un momento. Ma se non si ha cura di separare fin dall'inizio il concetto di paesaggio da quello di spazio e territorio anche tale necessità diverrà incomprensibile. Paesaggio, territorio, spazio non sono insiemi di cose, ma modi di rappresentarsele. Nel linguaggio di Frege, dunque del fondatore della filosofia analitica contemporanea: essi non corri-

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spondono al significato della Terra (che è la Terra stessa: il significato è la cosa) ma ai suoi sensi, alle differenti, specifiche maniere con cui la Terra si presenta, si dà. E ognuna di tali maniere dipende da una particolare intenzione, da una diversa forma di collettiva volontà storicamente determinata, obbedisce ad uno sguardo che afferma un altro progetto rispetto all'esistente. La mappa è il dispositivo della traduzione (e della trasformazione) del mondo nei termini della geometria classica, dello spazio. Al contrario il paesaggio corrisponde a tutto quello che sfugge a tale presa, a tale pretesa: a tutto ciò che del mondo la mappa non riesce ad afferrare e ridurre a sé, vale a dire ad esprimere sotto il profilo della separazione tra soggetto ed oggetto, mettendo tra loro distanza. Al riguardo si deve essere ancora più taglienti: soltanto il diaframma costituito dalla mappa consente la distinzione tra soggetto ed oggetto; al contrario il modello di paesaggio si fonda proprio sull'impossibilità di tale separazione, di tale distacco, sull'inesistenza di qualsiasi intervallo tra i due termini essenziali del processo conoscitivo. Se facciamo fatica a rendercene conto è soltanto perché l'epistemologia attende ancora in maniera compiuta qualcosa di affine a ciò che nel campo della percezione visiva è stata, ancora negli anni Ottanta del secolo passato, la svolta “ecologica” di J.J.


Gibson: il riconoscimento dell'impossibilità di cogliere informazioni relative al mondo visivo senza postulare un soggetto in locomozione nell'ambiente, dove l'ambiente corrisponde, nel caso specifico, alla Terra intera e la durata della locomozione all'intera storia dell'umanità; il riconoscimento insomma che non vi è nessuna differenza tra la storia delle esplorazioni (chiamiamole ancora così per il momento) e la storia della conoscenza. Il tentativo di tenere insieme questa con quella dura nemmeno mezzo secolo, investe al massimo soltanto la prima metà dell'Otto-cento, e si chiude di fatto con il passaggio dal “pubblico culturalmente critico al pubblico consumatore di cultura”, per dirla secondo il giovane Habermas, con la fine del progetto dell'Erdkunde: di una conoscenza della Terra che fosse critica e politicamente orientata in senso civile, vale a dire in grado di trasformare il sapere borghese da sapere esteticoletterario in sapere scientifico, in grado non più soltanto di descrivere il mondo ma di controllarlo e modificarlo. E' in tal modo e all'interno di tale strategia che il concetto di paesaggio, di origine pittorica e letteraria, entra a far parte dell'analisi scientifica, per merito di Alexander von Humboldt, il principale rappresentante, insieme con Carl Ritter, dell'Erdkunde. Nel secondo volume della sua principale opera, il Cosmos, apparso a Berlino nel 1847, egli traccia la storia delle attitudini che hanno governato, dalle origini, la visione del mondo da parte dell'umanità: “mezzi d'incitamento allo studio della Natura”, come egli li chiama, tra cui spiccano la coltivazione delle piante esotiche, la descrizione poetica intesa come “il riflesso del mondo esterno sulla forza dì immaginazione”, e la pittura paesaggistica. E tutta la ricostruzione ruota appunto intorno al valore strategico rivestito dal modello di paesaggio. Al riguardo, Humboldt distingue tre stadi della conoscenza, tre tappe della relazione conoscitiva tra l'uomo e il suo ambiente, valide non soltanto sotto il profilo della filogenesi, della storia della stirpe umana nel suo complesso, ma anche sotto quello dell'ontogenesi, della storia del singolo individuo. Il primo stadio è quello della suggestione (Eindruck) che sorge nell'animo umano come manifestazione originaria, come sentimento primigenio al cospetto della grandiosità e della bellezza della natura. La sua forma conoscitiva è appunto quella del paesaggio, che corrisponde al mondo inteso come

un'armonica totalità di tipo esteticosentimentale cui ogni analisi razionale è (ancora) estranea, e che dunque riguarda soltanto la facoltà psichica del soggetto. Eindruck è una parola composta, semplice soltanto in apparenza. “Druck” significa propriamente impressione, e vale anche per quella dei caratteri tipografici sul bianco foglio di carta. Per Humboldt essa invece investe la sensibilità del soggetto che guarda: il foglio bianco è la sua anima, e i lineamenti del paesaggio sono i caratteri che vi si stampano. Ma uguale importanza riveste l'altra metà del termine, il prefisso “Ein”. Esso significa “uno”, ma ha in realtà una duplice funzione. Per un verso si riferisce alla singolarità, all'individualità del soggetto che guarda, e guardando avvia il processo della conoscenza. Allo stesso tempo, esso segnala l'attitudine del soggetto a ridurre ad unità il cumulo delle impressioni, in maniera tale che fin dall'inizio, e seppure soltanto sul piano estetico e dell'impressione, l'ambito conoscitivo si configuri come una totalità, come un tutto predisposto alla rivelazione dell'ordine “nascosto sotto la pelle dei fenomeni”, di cui il soggetto stesso è indissolubilmente parte. Sarà compito dello stadio successivo, quello dell'Einsicht, cioè dell'esame, disarticolare la totalità sentimentale ed avviarne la traduzione in termini scientifici. Nel vocabolo Ein-sicht, infatti, il prefisso, che in apparenza è identico, significa il contrario di quel che esprime nell'Ein-druck. “Sicht” vuol dire qui vista, sguardo strettamente connesso all'elaborazione riflessiva, al pensiero razionale. E l'unicità espressa dal prefisso riguarda non il soggetto ma l'oggetto, si riferisce alla concentrazione del pensiero su di un unico elemento tra quelli presenti, sottoforma di totalità, all'intima impressione di partenza. Nello stadio intermedio, che è quello dell'analisi scientifica, non vi è più né paesaggio (sentimento, impressione estetica) né di conseguenza totalità, ma soltanto la fredda e razionale dissezione delle singole componenti, rispetto alle quali il soggetto prende la propria distanza. L'eclissi della totalità è però temporanea, riguarda soltanto il secondo dei livelli di conoscenza. Essa viene completamente ristabilita nel terzo ed ultimo stadio, quello che Humboldt identifica con il concetto di Zusammenhang, appunto di totalità costituita dallo stare insieme (“zusammen”) in un rapporto di mutua interdipendenza di tutti gli elementi in precedenza analizzati. Si tratta della sintesi, del punto d'arrivo, del termi-

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ne ultimo del procedimento conoscitivo. Al suo interno, in virtù della mediazione costituita dall'esame analitico, la totalità originaria viene trasformata e ripristinata, non più sul piano estetico e dell'impressione sentimentale ma su quello scientifico. Lo sviluppo di ogni conoscenza altro non è, per Humboldt, che la traduzione in termini finalmente scientifici di un'impressione aurorale, quella espressa appunto dal paesaggio, che non è assolutamente scientifica, ma senza la quale tutta la scienza sarebbe impossibile. Nel linguaggio della scienza odierna lo Zusammenhang di Humboldt corrisponde alla complessità, anzi alla complessità globale. Ed è indubbio che quando si farà davvero la storia del pensiero globale, cioè della globalità, a Humboldt spetterà, da parte occidentale, un posto di assoluto rilievo. Ma intanto è decisivo tenere a mente che con Humboldt il paesaggio entra a far parte dei modelli conoscitivi dell'Occidente soltanto sulla base di un vero e proprio processo di politicizzazione del dato estetico, funzionale al passaggio dall'assetto aristocratico-feudale a quello borghese del quadro europeo. Ed è urgente ricordare adesso tutto questo perché oggi avviene esattamente l'opposto: dalla humboltiana politicizzazione del dato estetico si è passati, nei confronti dell'ambiente e della sua analisi e gestione, all'estetizzazione del politico, con il conseguente rovesciamento dell'impostazione ottocentesca e la diretta ed immediata riduzione dell'ambiente al paesaggio stesso (cioè alla forma del prescientifico modello adoperato all'inizio per tentare di afferrare la complessità del mondo). Prova ne sia il senso della Convenzione Europea del Paesaggio adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 19 luglio del 2000 e da anni legge anche da noi: il cui esplicito e dichiarato intento consiste appunto nella trasformazione del territorio e dell'ambiente in paesaggio, inteso non più come uno stadio del procedimento conoscitivo ma come concretissimo ambito per l'applicazione di politiche di salvaguardia, riqualificazione, gestione e progettazione all'interno dei singoli stati. Il problema al riguardo consiste nel fatto che l'idea di paesaggio si fonda sul concetto di equilibrio, di armonia, sulla pacifica coesistenza degli elementi e sulla coerenza dei loro rapporti. Al contrario oggi l'ambiente è sottoposto a pratiche sempre più squilibranti, violente e distruttive, che si traducono in effetti disastrosi. Sicché: come pensare, in termini di paesaggio, il collasso, la crisi, i disastri ambientali?


gio, il mondo della Rete è un mondo per eccellenza antikantiano, al cui interno cioè tempo e spazio non importano quasi più nulla, hanno quasi completamente smesso ogni loro funzione costitutiva. In sintesi: fin qui, o quasi, il modello della mente è stato la mappa, struttura limitata ma aperta, e tutta la modernità ha percepito e costruito il mondo a sua immagine e somiglianza, vale a dire spazialmente. Ma oggi la globalizzazione, attraverso il micidiale veicolo che è la Rete, costringe a riconoscere che il mondo non è una mappa ma una sfera, un globo appunto, la cui struttura, irriducibile a quella della mappa, è al contrario chiusa ma illimitata: il che significa anzitutto non soltanto che tra soggetto ed oggetto non vi è più distanza se non differenza, ma che ogni percezione del mondo è, proprio e soltanto come quella del paesaggio, concreta e consapevole immagine del “sensibile-infinito” come diceva Humboldt, del carattere cioè fatalmente incompleto di quel che vediamo, strutturalmente incompiuto di quel che sappiamo, programmaticamente partigiano (anche quando teso alla totalità ) di quel che facciamo. Ai tempi di Humboldt la dunstige Ferne, la “nebulosa lontananza” che faceva oscillare l'orizzonte dei paesaggi, e che tanto affascinava anche Goethe, era spia prima d'altro del mondo che restava da scoprire, ma anche dell'incertezza delle vicende politiche tedesche, sospese tra riforme e rivoluzione. Oggi essa rimanda invece direttamente alla condizione sferica della forma del mondo, alla natura globale del suo funzionamento, che non sopporta più né la logica spaziale né l'angustia e la definizione connesse all'immagine cartografica. Chi o che cosa ci impedisce a questo punto di pensare che il prossimo modello con cui ci rappresenteremo la mente sarà quello del paesaggio? Chi o che cosa ci impedisce a questo punto di pensare, perciò, che il prossimo modello con cui ci rappresenteremo la logica scientifica sarà il lavoro dell'artista, da sempre rivolto nella stessa direzione cui oggi punta il funzionamento del mondo: a mantenere aderente, se proprio tra essi deve esservi divario, il soggetto all'oggetto e viceversa?

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Fotografia di L. Chistè

Proprio nel tentare una risposta a tale domanda è forse possibile scorgere nell'appena descritta capriola del paesaggio (da forma immateriale a materialissima collezione di cose) un significato implicito e assolutamente riposto, in grado di ricondurre il concetto alle sue origini, al punto di partenza, e allo stesso tempo di illuminare in maniera inedita il rapporto tra mente e paesaggio stesso. Aveva ragione Gregory Bateson: l'ecologia è qualcosa che riguarda prima di tutto la nostra mente, i modelli di pensiero con cui tentiamo di volta in volta di venire a patti con la realtà. Cosa facciamo quando moltiplichiamo due numeri molto alti? Per mezzo di carta e matita riduciamo un problema complesso ad una serie di problemi più semplici, e troviamo la soluzione attraverso una serie interrelata di iterativi completamenti del modello, e attraverso la memoria dei risultati parziali che la carta consente. Si tratta forse della prima forma di manipolazione simbolica di cui siamo stati capaci, e in essa l'ambiente esterno diventa una estensione fondamentale per la nostra mente. Perciò l' intelligenza artificiale classica, basata sulla semplice distinzione tra il simbolo e la regola, ha commesso un errore fondamentale: ha ridotto al semplice profilo cognitivo del cervello il complesso costituito dal profilo cognitivo dell'agente e dall'ambiente circostante. Ma negli ultimi anni le cose sono cambiate, al punto che non si sa più dove la mente finisca e dove comincia il mondo. Così si parla di “mente estesa”, come fanno ad esempio Andy Clark e David Chalmers : in cui evidentemente riesce davvero difficile, se non in termini strumentali, distinguere tra le funzioni mentali dell'uomo e quelle della “macchina delle macchine”, del dispositivo cartografico da cui tutte le macchine hanno avuto origine, ma anche di tutto ciò che costituisce il complesso di elementi che chiamiamo sinteticamente “ambiente”. Questo perché nel 1969 è nata la Rete e, come ha spiegato Manuel Castells, quando diciamo “Rete” indichiamo un aggregato al cui interno è impossibile distinguere tra la macchina (l'hardware), l'intelligenza che essa incorpora (il software), e gli uomini e le donne addetti al loro funzionamento. Basta soltanto aggiungere che, proprio come il primo stadio humboldtiano della conoscenza, la forma di percezione che la Rete implica non comporta di conseguenza la distinzione cioè la distanza tra soggetto ed oggetto, proprio perché, esattamente come il paesag-


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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

Quando il paesaggio si dissolve nell'ecologia di Gilles Novarina *

* Gilles Novarina - Professore all'Istituto di Urbanistica di Grenoble (Università Pierre Mendès France), ricercatore al laboratorio PACTE Territoires

La Convenzione europea del paesaggio è stata approvata dal Consiglio d'Europa il 19 luglio 2000 a Firenze. In Francia è entrata in vigore il 1o luglio 2006 con la ratifica da parte del Parlamento. La visione del paesaggio contenuta nella Convenzione rappresenta una rottura sia con la dottrina del Ministero della cultura sia con quella del Ministero dell'ambiente, che provvedono entrambi alla tutela dei siti protetti. Eppure, secondo i responsabili politici e amministrativi a livello centrale, l'implementazione della Convenzione non doveva tradursi nell'elaborazione di una nuova legislazione. Di conseguenza, il Ministero dell'ecologia ha promosso studi e ricerche per la conoscenza dei paesaggi piuttosto che per lo sviluppo di una pianificazione paesaggistica vincolante. Nel 2010, dopo l'organizzazione di un ampio processo di concertazione al livello nazionale (Grenelle de l'environnement - dal nome della sede del Ministero dell'ecologia, dello sviluppo sostenibile e dell'energia, dove ha avuto il primo incontro), la legge Engagement National pour l'Environnement (Impegno nazionale per l'ambiente) ha istituito un nuovo strumento di protezione e valorizzazione della biodiversità, la Trame verte et bleue (Trama verde e blu). I concetti dell'ecologia del paesaggio, ripresi nei contenuti della legge, si stanno imponendo progressivamente ai tecnici e ai politici responsabili della pianificazione territoriale a

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livello regionale o locale. Un nuovo “slancio” per le politiche paesaggistiche? Un documento del Ministero dell'ecologia e dello sviluppo sostenibile del 2007¹ pone l'accento sulla nuova definizione del paesaggio proposta dalla Convenzione, che sottolinea la sua ”utilità sociale”: “il paesaggio è ovunque un elemento importante della vita delle popolazioni, nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come nelle zone considerate eccezionali come in quelle della vita quotidiana… costituisce un elemento chiave del benessere individuale e sociale”². Nella prefazione dello stesso documento, la ministra Nelly Olin aggiunge che la Convenzione non deve condurre a nuove leggi, perché le disposizioni legislative e regolamentari francesi sono, su questo tema, complete, trovando riferimento in cinque Codici (ambiente, urbanistica, rurale, foreste, patrimonio). La Convenzione europea del paesaggio favorisce quindi una messa in coerenza delle diverse politiche settoriali (sviluppo economico e sociale, pianificazione territoriale, cultura, ambiente…), che devono essere implementate tenendo conto dei paesaggi. La Francia ha, in effetti, adottato nel 1993 una legge che introduce nella legislazione nuovi strumenti in materia di protezione e valorizzazione


dei paesaggi: ·- creazione delle Directives de protection et de mise en valeur des paysages (Direttive di protezione e valorizzazione dei paesaggi); ·- obbligo per i Parchi naturali regionali di elaborazione di una Charte paysagère (Carta del paesaggio); - trasformazione delle Zone de protection du patrimoine architectural et urbain (Zone di protezione del patrimonio architettonico e urbano) in Zone de protection du patrimoine architecturale et urbain et des paysages (Zone di protezione del patrimonio architettonico, urbano e dei paesaggi), ·- approvazione del volet paysager (parte paesaggistica) del Plan local d'urbanisme (Piano regolatore) e del permesso di costruire. Tale legge anticipa parte del contenuto della Convenzione europea dei paesaggio. Rende obbligatoria la considerazione dell'impatto sul paesaggio delle costruzioni quando si esaminano le concessioni edilizie. Istituisce per la prima volta nella legislazione francese un nuovo strumento che assume la funzione di piano paesistico, la Directive de protection et de mise en valeur des paysages, che è di competenza dello Stato e ha l'obiettivo di definire indirizzi e principi di protezione delle “strutture paesistiche” nei territori che presentano un interesse straordinario dal punto di vista paesistico. I piani territoriali (Schémas de cohérence territoriale), come i piani regolatori (Plans locaux d'urbanisme) devono essere adeguati al contenuto delle Direttive. L'istituzione della Direttive da un lato s'iscrive nella vecchia tradizione francese della protezione dei soli paesaggi straordinari (i paesaggi detti remarquables), da un altro tali direttive introducono un'innovazione, con la volontà di prendere in conto le strutture paesistiche piuttosto che i soli monumenti naturali. Il bilancio dell'attuazione della legge del 1993 appare, a più di vent'anni, insoddisfacente: - due Direttive sono state approvate, la prima nel 2007 sul massiccio delle Alpilles a nord dell'agglomerazione di Aix-en-Provence, la seconda nel 2008 sul Mont-Salève a sud dell'agglomerazione di Ginevra; - una terza Direttiva, proposta nel 1997 relativamente alle visuali della cattedrale di Chartes, è sempre in corso di elaborazione, mentre una quarta (Côtes de la Meuse), dopo essere stata proposta è stata accantonata. La prudenza del Ministero dell'ambiente, riguardando l'implementazione della Convenzione euro-

pea del paesaggio, si spiega anche con le opposizioni degli enti locali all'intervento dell'amministrazione statale nella gestione del loro territorio.

basata sul bilancio della prima stagione degli atlanti (1995-2015). In questi due rapporti, l'atlante del paesaggio è definito come uno strumento di conoscenza non vincolante per gli attori pubblici locali L'attuazione della Convenzione: gli atlanti del (regioni, dipartimenti, comuni). L'obiettivo di tale paesaggio strumento è l'identificazione (definizione dell'unità L'applicazione della Convenzione non ha dunque del paesaggio), la caratterizzazione (descrizione istituito nuove leggi, bensì ha attivato politiche di delle strutture paesistiche), la qualificazione (analisi indirizzo da parte del Ministero dell'ecologia. In delle rappresentazioni associate all'unità di paeparticolare, sono stati definiti tre obiettivi: svilup- saggio) e il monitoraggio delle trasformazioni. po della conoscenza dei paesaggi, rafforzamento Ricerche o studi possono basarsi su tre concetti: della coerenza tra le politiche settoriali che produ- unità di paesaggio, strutture del paesaggio ed elecono impatti sul paesaggio, sostegno alle compe- menti del paesaggio. tenze. Il primo concetto è centrale per la metodologia: le Questi obiettivi sono stati tradotti in un program- unità di paesaggio sono “definite come dei paesaggi ma di azioni di responsabilità del Ministero, il qua- sostenuti da entità spaziali nelle quali l'insieme dei le ha promosso l'elaborazione degli atlanti del pae- caratteri del rilievo, dell'idrografia, del consumo del saggio a livello regionale o dipartimentale. Accan- suolo, della morfologia degli insediamenti e della to a questa misura, il Ministero ha proposto, indi- vegetazione presenta un'omogeneità”…“Si distinrizzandosi alle Scuole di paesaggio e alle Facoltà guono delle unità vicine a causa di una differenza di di geografia, il programma di ricerca “politiche presenza, d'organizzazione o di forma di questi pubbliche e paesaggi”, e ha finanziato dei progetti caratteri”⁴. Questa definizione, già presente nella di paesaggio da integrare in diversi progetti di legge del 1993, è direttamente ispirata dal concetgrandi infrastrutture. to di regione naturale della geografia umana franI primi atlanti del paesaggio sono stati testati, a cese della prima metà del Novecento. A livello di aree pilota, un anno dopo l'approvazione quest'epoca, la scuola vidalienne⁵ immaginava il terdella legge sulla protezione e la valorizzazione dei ritorio della Francia, ancora prevalentemente rurapaesaggi. Una metodologia è stata proposta da le, come l'articolazione di piccole regioni, omogene un gruppo di ricercatori animato dal geografo dal punto di visto della morfologia fisica, della vegeYves Linginbühl, uno dei redattori della Conven- tazione, dell'agricoltura e degli insediamenti. Per zione europea del paesaggio³. Circa dieci anni caratterizzare le specificità di tale unità, la metododopo la pubblicazione di tale rapporto, il Ministero logia del Ministero propone di identificare sia le ha ripresentato un'attuazione della metodologia strutture paesistiche sia gli elementi del paesaggio.

Figura 1: Esempi di unità di paesaggio Fonte: Méthode pour des atlas des paysages, 2015

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La metodologia esita sempre tra descrizione e analisi. Le strutture paesistiche possono per esempio essere filari d'alberi, muretti di pietra a secco o terrazzamenti coltivati. Gli elementi hanno un carattere puntuale: emergenze, alberi monumentali, beni culturali… Infine, la guida del Ministero lascia ai professionisti incaricati degli studi una larga libertà di scelta nell'organizzazione della descrizione, indicando solo la necessità di tenere conto dei paesaggi protetti dal punto di vista ambientale o culturale e rilevando l'importanza delle rappresentazioni artistiche e letterarie nella qualificazione dei paesaggi.

Quale bilancio dieci anni dopo? La pubblicazione nel 2015 della seconda versione della metodologia è anche l'occasione per la Direction générale de l'aménagement du logement et de la nature del Ministero dell'ecologia di stabilire un bilancio di dieci anni di azione per la promozione degli atlanti dei paesaggi. Gli atlanti sono stati sviluppati a larga scala e il bilancio quantitativo è piuttosto buono: 66 atlanti regionali o dipartimentali hanno permesso di identificare, di descrivere e di qualificare 2 800 unità di paesaggio.

Figura 2 : Unità di paesaggio Fonte: Méthode pour des atlas des paysages, 2015

Figura 3 : Dieci anni di atlanti dei paesaggi Fonte: Méthode pour des atlas des paysages, 2015

Il bilancio qualitativo è abbastanza diverso. Il gruppo di ricerca incaricato della metodologia prende atto della grande diversità delle metodologie utilizzate per l'elaborazione degli atlanti, ma pone l'accento su: - la necessità di descrivere in un modo più dettagliato le strutture paesistiche, - la difficoltà a seguire le trasformazioni dei paesaggi, - la mancanza d'informazioni sui paesaggi urbani e suburbani, in cui viveva, nel 2010, il 77,5% della popolazione francese. Tale stato di fatto è legato, secondo gli autori del rapporto, alla prevalenza, nel “mondo” francese del paesaggio, di una visione naturalistica: l'affermazione dell'esistenza del paesaggio urbano è oggetto di discussione per una cerchia di paesaggisti e geografi francesi che domina la ricerca in Francia⁶. La città è sempre percepita come un fattore di aggressione che conduce inevitabilmente al degrado della qualità e dei valori del paesaggio, concepito come una realtà immutabile. Tale concezione, che non corrisponde alla visione della Convenzione Europea (che applica la nozione di paesaggio a tutti territori antropizzati e naturali), impedisce di analizzare le trasformazioni in corso nei territori contemporanei. Gli atlanti dei paesaggi hanno prodotto effetti molto diversi a seconda dei contesti territoriali. Nelle zone ancora prevalentemente rurali, essi hanno permesso di definire obiettivi di qualità

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del paesaggio ordinario e hanno contribuito al miglioramento dell'ambiente di vita (cadre de vie) delle popolazioni residenti⁷; nelle zone urbane e periurbane, il carattere non vincolante degli atlanti spiega la presenza residua del paesaggio nella pianificazione territoriale sia al livello intercomunale sia al livello comunale. La stagione degli atlanti del paesaggio (19962015) si sta chiudendo progressivamente con l'emergere di nuove tematiche legate all'ecologia del paesaggio all'interno della pianificazione regionale e locale. Il Grenelle de l'environnement e la Trame verte et bleue All'inizio degli anni 2000, poco dopo la creazione del nuovo Ministero dell'ecologia e dello sviluppo sostenibile, il ministro Jean-Louis Borloo organizzò un processo di concertazione al livello nazionale con gli amministratori regionali e locali, gli attori economici e le associazioni. I temi trattati nei workshops furono molto variegati: risparmio energetico, trasporti, agricoltura biologica, protezione degli oceani e dei mari, gestione delle risorse idriche, protezione degli spazi naturali. Il risultato di tale processo, chiamato il Grenelle de l'environnement, è stata la pubblicazione delle due leggi Grenelle 1 et 2. La legge Grenelle 2 del 12 luglio 2010 –ufficialmente legge Engagement National pour l'Environnement – integra, nel Codice dell'ambiente, un nuovo strumento di protezione e di valorizzazione degli spazi naturali, la Trame verte et bleue. Tale strumento costituisce in Francia il primo tentativo per integrare nella legislazione i concetti propri dell'ecologia del paesaggio. La diffusione dei risultati scientifici di questa disciplina nel campo dell'urbanistica e della pianificazione territoriale è stata molto più tardiva in Francia che nei paesi del Nord Europa o in Italia⁸. La prima pubblicazione sull'ecologia del paesaggio urbano (2003) appare contemporaneamente ai primi esperimenti di identificazione dei corridoi ecologici (pioniera è la politica in materia di rete ecologica del Dipartimento dell'Isère). L'elaborazione, all'inizio degli anni 2000, dei primi Schémas de cohérence territoriale¹⁰ costituisce l'occasione per approfondire questa riflessione in contesti urbani o periurbani molto diversi. La legge del 2010 è dunque il risultato di un lungo processo d'integrazione dei contributi dell'ecologia del paesaggio nella

pianificazione territoriale. Essa stabilisce degli indirizzi a livello nazionale e propone una sorta di guida metodologica basata su definizioni dei differenti elementi che costituiscono la rete ecologica. La trame verte et bleue comprende: - i serbatoi di biodiversità (spazi naturali protetti o zone umide per esempio), in cui una specie animale o vegetale può adempiere l'intero ciclo di vita; - i corridoi ecologici (vettori di spostamento per la fauna e la flora) che hanno sia una struttura lineare sia una struttura discontinua in “passi giapponesi”, - e una componente aquatica (laghi, fiumi, torrenti).

L'integrazione nella pianificazione territoriale dello Schéma régional de cohérence écologique Le Regioni francesi hanno accolto con un certo entusiasmo l'iniziativa del Ministero dell'ecologia e dello sviluppo sostenibile e non hanno aspettato la pubblicazione dei decreti attuativi per coinvolgersi nell'elaborazione, in cooperazione con l'amministrazione statale, dello Schéma régional de cohérence écologique. Nel maggio 2015, 10 delle 22 regioni francesi avevano approvato il documento. Tra le regioni più avanti, vi sono Ile de France (approvazione il 21 ottobre 2013), Rhône-Alpes (16 luglio 2014) e Nord-Pasde-Calais (16 luglio 2014).

Figura 4: Elementi della Trame verte et bleue Fonte: Orientations nationale pour la préservation et la remise en bon état des continuités écologiques, 2010

L'obiettivo della trame verte et bleue è la lotta contro il degrado della biodiversità. Questo nuovo strumento di pianificazione ambientale e paesaggistica permette di proteggere e di riqualificare i corridoi ecologici, tenendo conto delle attività umane, più particolarmente dell'agricoltura nelle regioni rurali. Per raggiungere tale obiettivo, la legge del 2010 prevede l'attuazione di un processo di pianificazione che parte dal livello regionale (con la creazione dello Schéma régional de cohérence écologique) per arrivare al livello locale (integrazione degli indirizzi stabiliti dal documento regionale nei piani territoriali intercomunali e comunali).

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Rhône-Alpes, ad esempio, tenendo conto delle definizioni prodotte nella legge, ha costruito un'analisi di contesto molto completa, che integra anche i paesaggi, e ha identificato i principali punti di criticità nell'intera regione: 10 000 spazi da proteggere (che corrispondono all'incirca ai serbatoi di biodiversità e rappresentano 25% del territorio regionale), 266 corridoi, 14 620 kilometri di corsi d'acqua e 55 360 ettari di zone umide saranno i destinatari dei sette indirizzi di protezione e di riqualificazione definiti nel piano regionale d'azione. La cartografia (1:100 000) che accompagna il documento, elaborata su base di un GIS, è abbastanza precisa al fine di permettere agli enti locali di tradurre, nel loro Schéma do cohérence territoriale o nel loro Plan local d'urbanisme, i principi di connessione identificati dallo Schéma régional de cohérence écologique in indirizzi o regole (Indirizzo N°1 del SRCE).


Figure 5: Obiettivi di riqualificazione della Trame verte et bleue Fonte: Schéma régional di cohérence écologique Rhône-Alpes. Résumé non technique, 2014.

La cooperazione per l'elaborazione dello schema regionale con i rappresentanti degli enti locali e il mondo associativo e il coinvolgimento della rete dell'agenzie di urbanistica¹¹ negli studi preliminari appaiono come una garanzia del buon adeguamento dei piani territoriali allo schema regionale. I piani territoriali delle più importanti aree metropolitane (Schémas de cohérence territoriale di Grenoble e Lione, Progetto d'agglomerazione della Grande Ginevra) come quelli di agglomerazioni medie integrano la riqualificazione delle connessioni ecologiche nel Projet d'aménagement et de développement durables (Progetto d'assetto e di sviluppo sostenibile, parte strutturale dello Schéma de cohérence territoriale); inoltre numerosi sono i comuni, spesso residenziali e periurbani, che hanno lavorato ad una traduzione operativa degli indirizzi regionali. Accanto alla formalizzazione di un regolamento specifico, i comuni hanno privilegiato, nel Plan local d'urbanisme, il ricorso ad un nuovo strumento, meno vincolante per i progetti urbani, le Orientations d'aménagement et de programmation (indirizzi d'assetto e di programmazione). In effetti, tale

strumento prevede un rapporto di compatibilità e non di conformità dei programmi edilizi con gli indirizzi di riqualificazione della rete ecologica e permette aggiustamenti in fase di attuazione dei progetti. Il contratto come mezzo d'azione operativa La pianificazione vincolante non costituisce l'unica via d'azione per ricostruire una rete ecologica che garantisca il libero spostamento delle specie animali o vegetali. La Regione RhôneAlpes, che dall'inizio degli anni 2000 ha assunto un ruolo da pioniere – nel 2009 aveva già elaborato una cartografia delle reti su tutto il suo territorio¹² -, ha nel suo Schéma régional de cohérence écologique identificato diciannove settori territoriali sui quali focalizzare gli interventi operativi. Propone in proposito un nuovo strumento, il contratto territoriale di corridoio biologico, che permette di far convergere finanziamenti della Regione, dell'Unione Europea, dello Stato e dell'Agenzia dell'Acqua. Il contratto di corridoio biologico (2009) è guidato da un ente pubblico di cooperazione intercomunale e persegue la cooperazione tra soggetti

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pubblici (Regione, enti locali, amministrazioni dello Stato) e privati (associazioni di protezione della natura, sindacati agricoli, associazioni di cacciatori o di pescatori), per promuovere azioni di restauro degli ambienti naturali (fiumi, torrenti e ruscelli, paludi e prati umidi, foreste…), di attraversamento delle infrastrutture di trasporto (micro gallerie o passerelle per gli animali) e di protezione giuridica dei corridoi nei piani e regolamenti. Tali azioni considerano anche la necessità, per il loisir degli abitanti, di cinture verdi attorno alle zone urbanizzate¹³. Il contratto, pur essendo uno strumento specializzato, opera per l'integrazione della lotta contro il degrado della biodiversità nella pianificazione sostenibile, che si attua alle diverse scale di governo del territorio. In conclusione, si può affermare che la Convenzione Europea del Paesaggio non si è tradotta nello sviluppo di una pianificazione paesaggistica a scala regionale o locale. Nella fase post decentramento, il governo francese si è rifiutato di proporre una nuova riforma della legislazione sul paesaggio, accontentandosi di sostenere la


Figura 6: I settori prioritari d'intervento della Region Rhône-Alpes Fonte: Schéma régional di cohérence écologique Rhône-Alpes. Résumé non technique, 2014

ricerca e di promuovere l'elaborazione di atlanti che non hanno carattere vincolante per le politiche locali. L'approccio metodologico proposto è basato più sulla descrizione che sull'analisi e sull'anteporre i paesaggi rappresentativi di un mondo rurale vissuto rispetto al mondo della nostalgia. I concetti sviluppati in quest'occasione (unità di paesaggio, strutture paesistiche, elementi di paesaggio) non sono l'oggetto di definizioni precise e di conseguenza non possono servire alla costruzione di azioni condivise

dagli attori professionali e politici. Invece, l'attuazione della Trame verte et bleue è accompagnata da un processo di diffusione delle nozioni di base dell'ecologia del paesaggio (serbatoi di biodiversità, zone filtro, corridoi) e di approfondimento delle definizioni. Il nuovo strumento, benché legato sia al Codice dell'ambiente sia a quello dell'urbanistica, è oggi attuato dagli ambientalisti, come dai paesaggisti o dai pianificatori, per costruire veri progetti di spazi naturali in un approccio territoriale globale.

Note 1. Ministère de l'écologie et du développement durable, La Convention européenne des paysages. Mise en oeuvre en France, mars 2007. 2. Testo della Convenzione del paesaggio citato in La Convention européenne des paysages. Mise en oeuvre en France, op. cit., p.3. 3. Luginbuhl Y., Bontrou J.C., Cros Z. (1994), Méthode pour des atlas des paysages. Identification et qualification, Paris, STRATES, SEGESA, DAU, Ministère de l'aménagement du territoire, de l'équipement et des transports. 4. Franchi A., Raymond R., Luginbuhl Y. Seguin J.f., Cedelle Q., Grare H. (2015), Les atlas de paysages. Méthode pour l'identification, la caractérisation et la qualification des paysages, Ministère de l'écologie, du développement durable et de l'énergie, p.12. 5. Scuola di geografia umana creata da Paul Vidal de la Blache e definita come possibilista perché rifiutava la determinazione dei comportamenti sociali dall'inquadramento fisico.

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L'ecologia del paesaggio ha oggi superato la vecchia tradizione francese che vedeva nel paesaggio un monumento, certo diverso dai beni culturali, ma da tutelare con le stesse regole di protezione.

6. Franchi A. et al (2015) op.cit, p.17. 7. Donadieu P., «Quel bilan tirer des politiques de paysages en France?», Projets de Paysage, www.projetsdepaysage.fr, 26 juin 2009. 8. Novarina G., (2003) “Ville diffuse et système du vert”, in Revue de Géographie Alpine, Tome 91, N°4, pp 9-17. 9. Clergeau Ph. (2007), Une écologie du paysage urbain, Paris, Editions Apogée. 10. Piani territoriali di coordinamento attuati al livello dell'area metropolitana. 11. Agenzie pubbliche (istituite dai comuni e dalle comunità metropolitane) il cui ruolo tecnico è la pianificazione territoriale. 12. Cartografia detta Réseaux écologiques en Rhône-Alpes (RERA). 13. Garin C., Gayte X., Guilloy H., Navette B. (a cura di) (2001), Contrats de territoire corridors biologiques Bauges Chartreuse Belledonne, Conservatoire du Patrimoine Naturel de Savoie, Métropole Savoie.


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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

Educare al paesaggio Educare attraverso il paesaggio di Benedetta Castiglioni *

* Benedetta Castiglioni - professore associato di Geografia, Università di Padova

Dalla Convenzione Europea alla pratica educativa sul paesaggio La Convenzione Europea del Paesaggio (CEP) e il dibattito seguito alla sua entrata in vigore hanno negli ultimi 15 anni contribuito a portare alla ribalta le questioni della sensibilizzazione e dell'educazione, ad attribuire loro dignità pari a quella di altre questioni inerenti il paesaggio e a favorire la sperimentazione e l'implementazione di progetti e attività. Come è noto, tra i contenuti più significativi della CEP, vanno sicuramente ricordati quelli legati al ruolo di primo piano assegnato alla popolazione (Priore, 2009): nella definizione stessa di paesaggio, “porzione di territorio così come è percepita dalle popolazioni” (art. 1), nell'attenzione posta ai paesaggi della vita quotidiana, per la loro natura di paesaggi vissuti (preambolo e art. 2) e nelle fasi di azione nei confronti del paesaggio, in cui è esplicitamente previsto un ruolo attivo delle popolazioni nelle fasi decisionali (artt. 1, 5 e 6). In particolare, gli obiettivi di qualità paesaggistica che dovranno guidare le politiche per il paesaggio sono definiti come “la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un determinato paesaggio, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita” (art. 1, c). Le persone che

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abitano i paesaggi da un lato contribuiscono quindi a definire le politiche di salvaguardia, gestione e pianificazione, a partire dalle loro attribuzioni di valore; dall'altro lato rappresentano i destinatari ultimi di queste politiche, sulla base delle quali potranno godere di paesaggi di qualità, e ciò contribuirà al loro benessere. Il paesaggio non è quindi inteso come un argomento del quale si occupano solo gruppi ristretti di esperti; e non è nemmeno qualcosa di lontano, presente solo in luoghi eccezionali. Il paesaggio della CEP è “dappertutto”, “di tutti”, “per tutti”. Il ruolo attribuito alla popolazione nel suo complesso trova riscontro nell'indicazione delle prime misure specifiche richieste dalla CEP agli Stati firmatari: “Sensibilizzazione” e “Formazione ed educazione” (art. 6, A e B). Se il rapporto tra popolazione e paesaggio assume un significato così importante, allora non sorprende che l'impegno debba essere rivolto alla popolazione prima ancora che direttamente ai paesaggi. Gli ambiti di riferimento sono plurimi: è richiesta innanzitutto una vasta opera di crescita di una diffusa consapevolezza dei valori di cui i paesaggi sono portatori. Vi è poi il grande campo della formazione, che, secondo la CEP, non deve essere limitato alla formazione tecnica o specialistica mirata alla conoscenza e all'intervento sui paesaggi (si pensi in particola-


re ai percorsi di studi superiori in ambito architettonico- pianificatorio e in tutte le discipline che approfondiscono lo studio dei paesaggi), ma anche indirizzarsi verso una preparazione generale di chi indirettamente ha a che fare con il paesaggio nell'ambito della sua professione e, infine, verso una maggiore diffusa conoscenza di queste tematiche in ambito scolastico e universitario, al fine di rendere ogni cittadino più attento e più competente rispetto al proprio e all'altrui contesto di vita. Senza addentrarsi nella dimensione della formazione professionale e specialistica, si proverà in queste pagine a presentare alcuni aspetti e alcune riflessioni in merito alla sensibilizzazione e alla necessità di una crescita culturale diffusa, nel mondo della scuola ma non solo, temi su cui chi scrive ha intrecciato da diversi anni la dimensione della ricerca con quella delle esperienze sul campo¹.

paesaggio vanno intesi cioè soprattutto come luoghi di “allenamento dello sguardo”, affinché tutti possano imparare a riconoscere di quali parti è composto il paesaggio stesso e i valori (necessariamente plurali) di cui è portatore nella sua dinamicità. Vale la pena di fermarsi a riflettere brevemente sul termine “valori”, esplicitamente richiamato dal testo della CEP, in relazione con l'attenzione da porre a tutti i paesaggi, indipendentemente da una loro attribuzione pregiudiziale di “qualità”. L'ottica non pare quella dei paesaggi di valore, quanto piuttosto quella dei valori del paesaggio. Ad ogni “porzione di territorio”, proprio in quanto “percepita dalle popolazioni” è infatti attribuito un ventaglio di significati. Gli studi sulle percezioni sociali del paesaggio di volta in volta hanno messo in luce diverse dimensioni valoriali entro cui il paesaggio acquista significato, nell'ambito di un determinato contesto: valore ecologico, valore funzionale, valore estetico e storico-culturale, valore I valori del paesaggio Una prima osservazione generale pare neces- di identità collettiva, valore per le relazioni saria, in quanto potrà guidare le puntualizza- sociali, valore affettivo (De Nardi, 2011). Se il zioni successive ed alcune potenziali indicazioni valore ecologico o quello storico-culturale emermetodologiche: oltrepassando un approccio gono esplicitamente nei discorsi, nei documenche si riduca a una conoscenza delle tipologie ti, nelle valutazioni che muovono dal sapere dei paesaggi delle diverse regioni del globo o esperto, le dimensioni funzionale, affettiva o ad attività rivolte a determinati paesaggi ecce- sociale del paesaggio sono quotidianamente zionali, in cui l'azione divulgativa venga limitata vissute nei paesaggi ordinari dal cittadino comualla richiesta di una specifica salvaguardia, la ne, ma in genere non vengono espresse. È tutCEP propone – in coerenza con la sua filosofia tavia necessario ricordare l'importanza di quecomplessiva - azioni di sensibilizzazione “al valo- sto secondo gruppo di attribuzioni di valore nel re dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasfor- definire le scelte quotidiane del semplice cittamazione" (art. 6, A) e “insegnamenti scolastici e dino e le pratiche di trasformazione di molti universitari che trattino, nell'ambito delle paesaggi, in particolare quelle non pianificate. rispettive discipline, dei valori connessi con il Dalla pluralità e varietà dei valori attribuiti paesaggio e delle questioni riguardanti la sua nell'ambito di una comunità dai diversi attori, salvaguardia, la sua gestione e la sua pianifica- portatori di molteplici interessi, nascono infine i conflitti palesi o latenti che affliggono di frezione” (art. 6, B, c). A tal fine, non appare sufficiente “insegnare” il quente i nostri paesaggi. Se infatti il cittadino paesaggio, proponendo in maniera acritica e comune non viene aiutato a fare proprio e a precostituita quanto emerge dalla conoscenza condividere, partendo da una base di conoesperta; la crescita diffusa della consapevolez- scenza, il valore storico o ecologico che gli za non sembra cioè nascere dalla semplice tra- esperti attribuiscono ad un determinato contesmissione di contenuti su questo o quel pae- sto paesaggistico, con difficoltà riuscirà a comsaggio. Sembra piuttosto di dover puntare prendere – e di conseguenza a rispettare – sull'acquisizione di un modo di “guardare” - o eventuali restrizioni d'uso e di trasformazione meglio “leggere” – il paesaggio, nella sua natu- assegnate a tale contesto; viceversa, se norme ra dinamica e complessa, e nella sua doppia e piani non sono in grado di prendere in consinatura di materialità e immaterialità, di ogget- derazione i valori affettivi e quelli legati alle attività locali e alle pratiche di una comunità, e le tività e soggettività. I percorsi di sensibilizzazione e di educazione al eventuali conflittualità generate dalla loro plu-

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ralità, non è possibile promuovere davvero il “benessere” e la “soddisfazione degli esseri umani” auspicati nel preambolo della CEP. Pare quindi di poter affermare che la crescita di consapevolezza richiesta dalla prima misura specifica miri soprattutto ad una presa di coscienza diffusa e ad una capacità di esplicitazione e di condivisione dei valori attribuiti al paesaggio. La lettura del paesaggio come landscape literacy Ma come si può costruire questa consapevolezza? In primo luogo va osservato che l'acquisizione di consapevolezza non è un percorso automatico reso possibile da qualche iniziativa sporadica, ma è piuttosto un processo di lunga durata, un progetto educativo da promuovere in ambiti formali e informali, che comprende diversi fronti di azione, tutti volti alla maturazione della capacità di “leggere il paesaggio” e di condividerne le letture. Non è un approccio nuovo: già Eugenio Turri proponeva un'“educazione a vedere, a vedere per capire (cioè capire il funzionamento dell'organismo territoriale sotteso al paesaggio e riconoscere i valori simbolico-culturali che vi si connettono) che rappresenta un atto fisiologico fondamentale per ogni società al fine di stabilire un rapporto positivo con il territorio in cui vive, valorizzandone le potenzialità in quanto spazio di vita e difendendolo nei suoi valori simbolici in quanto specchio di sé” (Turri, 1998, p.24). Le attività di educazione al paesaggio vanno quindi intese essenzialmente come una forma di landscape literacy, di “alfabetizzazione” al paesaggio (Spirn, 2005; Castiglioni, 2015), rivolta all'acquisizione degli strumenti di base per “imparare a vedere”, riconoscendo nel paesaggio dinamiche e valori sottesi. Si possono quindi individuare quattro diverse direzioni attraverso cui si può leggere un paesaggio, tra loro complementari e al tempo stesso intrecciate in maniera ipertestuale²: - lettura denotativa che considera i diversi elementi del paesaggio osservato (naturali e antropici) e le relazioni che tra di essi si strutturano; - lettura connotativa che pone l'attenzione sugli aspetti emozionali, le sensazioni, la dimensione immateriale e quindi i significati e i valori attribuiti a quel preciso paesaggio; - lettura interpretativa, volta a cercare una spiegazione dei caratteri peculiari di ciascun paesag-


gio; - lettura temporale, che mette in evidenza le trasformazioni del paesaggio tra passato e presente e si proietta verso scenari futuri possibili, desiderabili, sostenibili (Castiglioni, 2012). La landscape literacy è allora il processo necessario per attivare il potenziale strumentale connaturato al paesaggio stesso. Imparare a “leggere” il paesaggio e conoscere il suo linguaggio permette da un lato una migliore comprensione delle dinamiche territoriali che lo trasformano e dei processi che lo hanno costruito (nella sua oggettività) e dall'altro di acquisire consapevolezza della contemporanea presenza e della eventuale conflittualità delle diverse soggettività interessate. È il percorso necessario per riuscire a fare del paesaggio l'“organizzazione in un'unità visiva del processo di territorializzazione” (Turco, 2011, p. 122). Va tuttavia ricordato che il concetto di literacy, o di alfabetizzazione, non va inteso in senso restrittivo, come processo top down che coinvolge unicamente la sfera cognitiva, come a volte il termine può far intendere; anche la sfera affettiva e quella dell'azione devono e possono essere coinvolte in un percorso che muove dal basso. Possiamo a questo proposito fare riferimento ai tre passaggi successivi della literacy funzionale, culturale e critica (Stables, 1998). La literacy funzionale, che in generale si riferisce alla comprensione del significato letterale ad un livello superficiale, può riguardare la conoscenza oggettiva degli elementi del paesaggio, dei contesti in cui sono inseriti e delle dinamiche da cui traggono origine; può essere cioè ricondotta ai percorsi di lettura denotativo e, in parte almeno, interpretativo. La literacy culturale consiste – in termini generali – nell'acquisire le conoscenze relative a “ciò che tutti devono sapere”; si può riferire quindi alla conoscenza di ciò che in un determinato contesto culturale viene ritenuto “paesaggio di valore” o “patrimonio”, secondo le attribuzioni di valore esperte; si tratta di un processo passivo, senza implicazione diretta del soggetto, come nel passaggio precedente. La profondità, la creatività e il coinvolgimento personale caratterizzano invece la literacy critica: se, in generale, si tratta della capacità di dare senso in termini personali al testo, di reagire ad esso e di comprendere le forze culturali, sociali e politiche che danno forma al testo stesso (ibidem, p. 157), la literacy critica in ambito pae-

saggistico può concernere la dimensione del cambiamento e delle dinamiche attuali di trasformazione, che traggono origine proprio da queste forze. Qui vi è inoltre lo spazio per riflettere su domande quali: “che cosa ciò significa questo paesaggio per me, per noi, per gli altri? Quali sono le conseguenze se continuiamo a comportarci così? Dovremmo comportarci diversamente? Come? In che modo trasferiamo i nostri valori in azioni concrete, che siano il risultato di ciò che noi conosciamo o sentiamo?” (ibidem, p. 160). Si tratta di un approccio riconducibile da un lato alla lettura connotativa del paesaggio, che prende in considerazione la dimensione dei significati e dei valori, attribuiti da se stessi e dagli altri, e dall'altro a quella temporale, in particolare nella sua dimensione orientata al futuro (Castiglioni, 2012). Un tale approccio risulta coerente con la prospettiva che caratterizza oggi l'educazione alla sostenibilità, orientata all'acquisizione delle conoscenze, delle abilità, degli atteggiamenti e dei valori necessari per costruire un futuro sostenibile. Risulta evidente che l'obiettivo finale è la crescita globale delle persone e della loro competenza civica: è possibile cioè educare “al” paesaggio ma anche, e nello stesso tempo, “attraverso” il paesaggio, con percorsi articolati e aperti, che mirano alla formazione di un cittadino consapevole e sensibile, capace di partecipare alle scelte del suo territorio e della comunità in cui vive (ibidem). Il paesaggio come strumento educativo I percorsi di lettura del paesaggio o di landscape literacy così come li abbiamo intesi, al di là dell'acquisizione di contenuti, si presentano quindi come percorsi attivi di scoperta in cui possono essere coinvolte sia le fasce giovanili della popolazione all'interno dei contesti scolastici, sia target più ampi di popolazione, in percorsi educativi non formali³; in entrambi i casi si tratta di percorsi ricchi di interessanti potenzialità educative sotto diversi profili⁴. Con particolare riferimento al primo contesto, e quindi ai percorsi didattici per i vari ordini di scuola, si può sottolineare in primo luogo come la lettura del paesaggio aiuti a sviluppare contemporaneamente capacità di analisi e di sintesi, sia nelle fasi di individuazione dei diversi elementi e delle relazioni tra gli elementi, sia attraverso l'indicazione dei singoli fattori e delle relazioni tra le dinamiche che costruiscono il pae-

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saggio stesso; la dimensione della relazione - in primo luogo tra natura e cultura - che è insita nel paesaggio promuove lo sviluppo tanto della capacità di approfondimento quanto di visioni di insieme, capaci di far dialogare i diversi approcci settoriali. Analogamente, questi processi possono promuovere l'acquisizione di un modo di procedere scientifico. In secondo luogo, le attività di lettura del paesaggio vedono coinvolte, come si è già evidenziato, sia la dimensione sensoriale-emotiva (stimolando l'espressione delle emozioni e dei sentimenti suscitati dal paesaggio) sia quella della razionalità (necessaria per interpretare in che modo le forme del paesaggio si radichino nelle dinamiche territoriali). Educazione scientificorazionale ed educazione artistico-umanistica possono dunque incontrarsi ed integrarsi a vicenda nei percorsi di avvicinamento e di scoperta del paesaggio, contribuendo ad una crescita equilibrata della persona, nella sua totalità. La considerazione dei significati attribuiti al paesaggio e ai suoi elementi da un lato e dei fattori socio-culturali che intervengono nella costruzione dei paesaggi stessi dall'altro contribuiscono a fare dei percorsi di lettura anche un'occasione di educazione all'interculturalità, nel confronto possibile tra paesaggi costruiti in diversi contesti culturali e/o percepiti attraverso modelli culturali di riferimento pure diversi; ad esempio, esperienze di lettura condivisa del paesaggio “vicino” e di paesaggi “lontani” in gruppi multietnici (a partire da quelli di provenienza di alcuni componenti del gruppo stesso) possono rappresentare un'occasione assai interessante di apertura e di confronto reciproco (De Nardi, 2013). Un altro grande campo di potenzialità educative insite in questi percorsi muove dalla “dimensione pragmatica” del paesaggio (Zanato Orlandini, 2007) e si apre in maniera più incisiva all'ambito dell'educazione alla cittadinanza: d'altronde, la landscape literacy consiste in una “pratica culturale che riguarda sia la comprensione del mondo che la sua trasformazione” (Spirn, 2005, p.410), poiché, come ci ricorda Turri (1998), imparare a vedere è il presupposto per imparare ad agire. Mi sembra importante sottolineare tre aspetti di come il paesaggio possa diventare uno strumento utile alla formazione di cittadini responsabili. In primo luogo acquista valore il riconoscimento – attraverso la lettura dei segni di per-


sistenze storiche nel paesaggio o attraverso specifici approfondimenti con l'utilizzo di fonti delle diverse tappe di trasformazione del paesaggio e la riflessione sulle cause delle trasformazioni stesse. Si può riflettere sul valore culturale di ciò che ci è stato trasmesso e sul significato patrimoniale che può assumere. Si può riflettere anche su ciò che è andato perduto, si sta perdendo o si rischia di perdere. Leggere il paesaggio aiuta perciò a situarsi nel tempo (oltre che nello spazio), riallacciando legami con le generazioni precedenti e recuperando il senso delle identità dei luoghi. Questa riflessione sul passato non si esaurisce in se stessa, ma apre ad un secondo aspetto, per certi versi ancora più rilevante. Il confronto tra passato e presente porta ad aprire lo sguardo sui paesaggi futuri e sulle opzioni di scelta da compiere oggi (Morelli e Cepollaro, 2013). L'attenzione ai fattori e alle dinamiche che hanno guidato le trasformazioni passate può venire trasposta alle dinamiche attuali e alle tendenze future. Lo sguardo al futuro non è scontato; ma “leggere il paesaggio è anche anticipare il possibile, raffigurarsi, scegliere e dare forma al futuro” (Spirn, 2005, pag. 400); e, forse, lo sguardo emotivamente coinvolto è quello più capace di esprimere i timori così come i desideri e le aspirazioni, di guardare con preoccupazione ad alcune tendenze ma anche di immaginare scenari più positivi. Allo stesso modo la riflessione sul passato e lo sguardo al futuro sono i presupposti per l'acquisizione della necessaria consapevolezza per scegliere e agire con responsabilità. Attraverso la lettura del paesaggio è possibile sviluppare un atteggiamento competente e, appunto, responsabile nei confronti delle questioni territoriali, che rappresenta un essenziale riferimento per un'attiva e costruttiva partecipazione alla vita della propria comunità, secondo il dettato della CEP. Capiamo dunque che le questioni della conoscenza di questo o quel paesaggio (di questo o quel paesaggio eccezionale) e della tutela di questo o quel particolare elemento o contesto non sono accantonate, ma possono rientrare in un approccio decisamente più ampio, capace di prestare attenzione alla dimensione valoriale del paesaggio. Il paesaggio (un paesaggio) non va considerato (solo) in quanto “oggetto” di conoscenza e/o tutela, ma diventa “strumento” per giungere ad un rapporto complessivamente migliore con il territorio, con tut-

ti i territori. Analogamente, e qui veniamo al terzo aspetto, il paesaggio può permettere relazioni più positive e responsabili nei rapporti con l'“altro”; vi si ritrova cioè una valenza “sociale”, in conseguenza della pluralità di attori (in rapporto dialettico tra loro) che lo hanno costruito e lo costruiscono e della pluralità di sguardi (tra loro più o meno coerenti o contraddittori) che lo osservano, lo rappresentano, lo rivestono di significati. Il paesaggio stesso è un'interfaccia (Turri, 1998, p. 18; Palang e Fry, 2003), un intermediario (Dematteis, … ), un luogo di relazione (Turco, 2002, p.42); lo possiamo allora considerare una sorta di tavolo attorno a cui è utile sedersi per esplicitare e cercare di comporre le diverse competenze, le diverse culture, i diversi sguardi e i diversi significati attribuiti. Tanto negli ambiti in cui si opera, si valuta, si decide, tanto in ambito educativo. In questo senso il paesaggio può oggi svolgere in modo nuovo il suo ruolo di riferimento identitario che la CEP richiama, quale prodotto culturale non più unicamente e definitivamente determinato, ma aperto e sempre in divenire, costruito grazie all'apporto e al confronto tra sguardi diversi e culture diverse.

Note 1. In particolare, chi scrive ha redatto le linee guida “Education on landscape for children” in qualità di esperto del Consiglio d'Europa (Castiglioni, 2012; traduzione italiana in Castiglioni, 2010) 2. Sull'idea di paesaggio come ipertesto si veda Cassatella, 2001. 3. È capitato in più casi a chi scrive di animare incontri pubblici in contesti diversi (associazioni culturali, gruppi di genitori, circoli per anziani, ecc.) in cui sono state affrontati i temi del paesaggio non attraverso una lezione frontale, ma cercando di coinvolgere i partecipanti: in primo luogo nell'espressione del proprio modo di “guardare” ai paesaggi, e successivamente nel confrontarsi e nello scoprire insieme al gruppo la complessità delle questioni. 4. Percorsi di educazione al paesaggio in ambito scolastico ed extrascolastico si vanno diffondendo sempre più in Europa e in Italia. In Provincia di Trento negli ultimi anni la Scuola per il Territorio e il Paesaggio (tsm-step) ed altri soggetti (il MUSE, la Rete di Riserve delle Alpi Ledrensi, la SAT) hanno posto in essere diversi progetti formativi per un pubblico adulto e per il mondo della scuola, sia con il coinvolgimento diretto di bambini e ragazzi, sia attraverso una formazione specifica per gli insegnanti. Si ricordano ad esempio le due edizioni del progetto “Io vivo qui. Cittadini in Erba” che negli anni scolastici 2011-12 e 2012-13 hanno coinvolto i ragazzi di numerose scuole secondarie di I grado delle valli trentine (http://iovivoqui.tsm.tn.it/).

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Riferimenti bibliografici Cassatella C. (2001), Iperpaesaggi, Testo & Immagine, Torino. Castiglioni B. (2010), Educare al Paesaggio, Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna. Castiglioni B. (2012), Il paesaggio come strumento educativo, Educación y futuro, n° 27, pp. 51-65 Castiglioni B. (2012), “Education on landscape for children”, in Council of Europe, Landscape facets. Reflections and proposals for the implementation of the European Landscape Convention, Strasbourg, Council of Europe Publishing, p. 217-267. Castiglioni B. (2015), “La landscape literacy per un paesaggio condiviso”, in Geotema 47, pp.15-27 Dematteis G. (2010), “La fertile ambiguità del paesaggio geografico”, in Ortalli G. (a cura di), Le trasformazioni dei paesaggi e il caso veneto, Bologna, Il Mulino, pp. 151-173. De Nardi A. (2011), “L'analisi dei materiali raccolti”, in Castiglioni B. (a cura di), Paesaggio e popolazione immigrata: primi risultati del progetto LINK, Materiali del Dipartimento di Geografia 31, pp. 63-74. De Nardi A. (2013), Il paesaggio come strumento per l'educazione interculturale, Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna. Morelli U. e Cepollaro G. (a cura di) (2013), Paesaggio lingua madre, Edizioni Centro Studi Erickson. Palang H., Fry G. (eds.) (2003), Landscape Interfaces. Cultural heritage in changing, landscapes, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht. Priore R. (2009), No people no landscape. La Convenzione europea del paesaggio: luci e ombre nel processo di attuazione in Italia, Milano, FrancoAngeli, 2009. Spirn A.W. (2005), Restoring Mill Creek: landscape literacy, environmental justice and city planning and design, Landscape Research, 30, 3, pp. 395-413. Stables A. (1998), Environmental Literacy: functional, cultural, critical. The case of the SCAA guidelines, Environmental Education Research, 4, 2, pp. 155-164. Turco A. (2002), “Paesaggio: pratiche, linguaggi, mondi”, in Turco A. (a cura di), Paesaggio: pratiche, linguaggi, mondi, Reggio Emilia, Diabasis, pp. 7-49. Turco A. (2001), Configurazioni della territorialità, Milano, Franco Angeli. Turri E. (1998), Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia. Zanato Orlandini O. (2007), “Lo sguardo sul paesaggio da una prospettiva pedagogico- ambientale”, in Castiglioni B., Celi M., Gamberoni E. (a cura di), Il paesaggio vicino a noi. Educazione, consapevolezza, responsabilità, Atti del convegno, Padova, 24 marzo 2006, Museo Civico di Storia Naturale e Archeologia, Montebelluna, pp. 39-50.


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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

Il ruolo delle attività antropiche nel costruire/distruggere biodiversità di Riccardo Santolini *

* Riccardo Santolini, Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell'Ambiente (DiSTeVA), Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo"

Affrontare il problema del paesaggio dal punto di vista delle dinamiche ecosistemiche implica necessariamente uno sforzo di semplificazione, ma spero non di banalizzazione, attraverso la rivisitazione di concetti chiave che spesso perdono il loro significato reale perché usati in modo superficiale o strumentale, come si è fatto nel tempo con i termini ecologico e sostenibile e come si sta rischiando ora di fare con resiliente. “L'abitudine è, fra tutte le piante umane, quella che ha meno bisogno di un suolo nutritivo per vivere…” (Marcel Proust) perché rende la vita più comoda e meno impegnativa. Se chiediamo cosa sia una dinamica ecologica, pochi sanno esprimere il suo vero significato, quali siano le forze che la regolano e in quali contesti si possa esplicare. Perché questo esito? Senza addentrarci nelle pieghe della didattica delle Scienze Naturali in Italia, mancano o sono assolutamente superficiali i concetti base di ecosistema, di funzione ecologica e di biodiversità. “Ci troviamo davanti a un mondo che è minacciato dalla distruzione dell'ambiente e noi, oggi, non siamo ancora in grado di pensare con chiarezza ai rapporti che legano un organismo al suo ambiente” (G. Bateson 1970). Se supponiamo che la diversità di specie (animali e vegetali) di un ecosistema corrisponda alla complessità delle loro interazioni, cioè al numero delle vie lungo le quali l'energia e l'informazione può

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attraversare una comunità, l'alterazione della biodiversità (determinata da fattori diretti e indiretti e indotta anche dalle trasformazioni del paesaggio) causa cambiamenti nella stabilità ecosistemica, induce riduzione della funzionalità di habitat ed ecosistemi e può determinare la loro possibile scomparsa. L'alterazione degli ecosistemi determina, perciò, una modificazione della loro funzionalità e spesso una progressiva distrofia (perdita di funzioni). Campanello d'allarme per questi fenomeni è la rarefazione della biodiversità, il cui monitoraggio può determinare il controllo costante della funzionalità degli ecosistemi. Se noi consideriamo, per esempio, una mano, sappiamo che è formata da cellule appartenenti ad apparati diversi (cioè elementi della diversità organica: scheletrico, muscolare, vascolare, nervoso ecc.) che hanno una precisa funzione ai diversi livelli di scala, e che ogni apparato è integrato con l'altro in un “gioco” di dipendenza e controllo reciproco. Questo meccanismo è indispensabile per far funzionare la mano nella sua pluralità di azioni, dalla carezza al pugno! Ogni elemento, struttura, sottosistema che funziona in maniera parzialmente autonoma, complessivamente permette di svolgere movimenti che sono l'integrazione tra le funzioni degli elementi del sistema mano (proprietà emergenti). Per un


ecosistema è la stessa identica cosa: è necessario salvaguardare gli elementi nella loro diversità se non vogliamo farci “sfuggire di mano” la Vita, perdere funzioni, limitare la plurifunzionalità e quindi le opportunità di adattamento. In sostanza, aumentare la resistenza ambientale e diminuire i tempi di resilienza. Per questi motivi è necessario recuperare il significato di funzione ecologica intesa come un'attività svolta con mansioni specifiche da una cellula, un apparato, una persona, un congegno. Se estrapoliamo il concetto di funzione applicandolo a un'entità più complessa come l'ecosistema (un bosco, uno stagno ecc.), il salto di scala si esplica nell'aumento di complessità del sistema, dove la perfetta adattabilità, arricchita dei vettori tempo e spazio, si sviluppa e si manifesta nel concetto di dinamica ecologica. Una pianta fissa anidride carbonica, produce ossigeno, trattiene suolo, riproduce se stessa, ecc. Svolge, cioè, delle funzioni. L'insieme di piante della stessa specie e di specie diverse concorrono nel formare un aggruppamento che sviluppa funzioni che sono l'integrazione di funzioni e ruoli ecologici di ogni specie e sviluppa dinamiche quali la colonizzazione degli spazi più aperti. Si tratta di una “semplice” dinamica naturale chiamata successione ecologica che, se non contrastata (ruolo dell'uomo come potenziale regolatore), tenderà a chiudere determinate zone aperte, tanto che l'aumento della copertura forestale è stato l'effetto di questa dinamica in questi ultimi decenni. Come disse Einstein, “la Vita è come andare in bicicletta, se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”, e tutti gli elementi del sistema ecologico seguono questa regola. Mantenendo le modalità cicliche e quindi dinamiche di riutilizzo dell'energia e dei materiali, gli ecosistemi (anche urbani), hanno in sé la potenzialità di conservare la vita, stabilizzare i suoli, controllare i cicli degli elementi (atmosferici e dell'acqua), tamponare i fenomeni estremi (temperatura, umidità, precipitazioni ecc.), permettendo un migliore adattamento ai fattori di cambiamento globali e rendendo i sistemi naturali e antropici meno vulnerabili e più resilienti, vale a dire in grado di raggiungere un equilibrio dinamico dopo un evento di alterazione. Infatti, tutti i cicli ecosistemici, i cui i fattori principali sono i cicli biogeochimici, il flusso di energia e le comunità, elaborano energia e informazioni e li rioffrono agli ecosistemi vicini pronti per essere riutilizzati.

Il Paesaggio La CEP (Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze 2000) considera il paesaggio un sistema complesso. Il termine paesaggio viene definito come “una zona o un territorio, quale viene percepito dagli abitanti del luogo o dai visitatori, il cui aspetto e carattere derivano dall'azione di fattori naturali e/o culturali” (ossia antropici). Tale definizione tiene conto dell'idea che i paesaggi evolvono col tempo, per l'effetto di forze naturali e per l'azione degli esseri umani. Rafforza l'idea che il paesaggio forma un'unica entità, i cui elementi naturali e culturali vengono considerati parti equivalenti di un insieme (Gibelli, 2010). La convenzione si applica all'insieme del territorio europeo, che si tratti degli spazi naturali, rurali, urbani o periurbani. Non la si potrebbe limitare unicamente agli elementi culturali od artificiali, oppure agli elementi naturali del paesaggio: si riferisce all'insieme di tali elementi e alle relazioni esistenti tra di loro. Possiamo quindi dire che il paesaggio è un insieme unico e indivisibile, costituito da entità da un lato proprie dell'ecologia come gli ecosistemi (i prati, i boschi, i corsi d'acqua, le montagne, le pianure ecc.) da cui emergono però gli oggetti e le azioni proprie dell'uomo, poiché estremamente differenti per tipologia e regime dagli eventi derivanti dagli agenti naturali in senso stretto (strade, edifici ecc.) (Diamond, 2006) sebbene appartenenti al tutto. Questi oggetti concreti, come cellule e strutture diverse di un grande organismo, hanno una vita propria e sviluppano funzioni che generano e mantengono i processi. Queste sono le dinamiche generate dalle forze fisiche e biologiche, naturali e antropiche, cioè quelle relazioni richiamate dalla convenzione deputate allo scambio di energia e informazione. Siamo comunque nel campo dell'ecologia per cui questi sistemi sono caratterizzati dalle comunità di specie (tra cui l'uomo), dal flusso di energia e informazione che attraversa e fa funzionare i sistemi, e dai cicli biogeochimici, cioè quei processi che sono alla base dell'autopoiesi dei sistemi naturali e paranaturali e che l'uomo, solo recentemente, si è accorto di avere la necessità di riprodurre e simulare all'interno dei processi antropici, chiamandola “Economia circolare”. Agli elementi e ai processi si aggiunge un aspetto decisamente soggettivo, la percezione, che attiene alla natura propria degli individui ed alla loro capacità di decodificazione e interpretazione del mondo che li circonda, e che permette di

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interpretarlo, viverlo e modificarlo ognuno a proprio modo. La CEP sembra escludere qualsiasi riferimento a paesaggi per specie diverse dall'uomo, limitando il proprio interesse alla percezione umana, pur conferendo importanza ai processi naturali al pari di quelli antropici nella costruzione dei paesaggi (Gibelli, 2010). Dunque, il paesaggio è costituito da parti oggettivamente rilevabili, concrete, costituite da elementi e forze definibili e misurabili, e da una parte decisamente soggettiva, ma fortemente condizionata dalla prima. Le due parti si influenzano a vicenda attraverso continui scambi di informazioni che determinano l'evoluzione dei paesaggi. I paesaggi dipendono anche da altri fattori, come il tempo, nel cui scorrere avvengono le trasformazioni per effetto dei processi antropici e naturali, e lo spazio, alle cui scale le dinamiche si esplicano e interagiscono fra loro, ai e tra i diversi livelli. Le analisi e le valutazioni dei fenomeni hanno qui l'aspetto più critico poiché ogni evento ha una sua scala di riferimento che può influenzare i livelli limitrofi (scale adiacenti). Un ulteriore aspetto di complessità riguarda le dinamiche di generazione, crescita e ricostituzione del capitale naturale e delle sue funzioni. Tali dinamiche, per potersi compiere con completezza, richiedono tempi che sono notevolmente sempre più lunghi rispetto ai paesaggi costruiti dall'uomo. Ma il paesaggio ha una connotazione anche ecologico-economica. La Fig. 1 descrive i rapporti dinamici tra i Capitali propri dell'Economia ambientale nella formazione del paesaggio in relazione ai tempi di trasformazione ed ai servizi ecosistemici prodotti (Santolini, 2008) evidenziati anche da Costanza et al. (2014) nella sua valutazione del valore globale dei Servizi Ecosistemici, i cui capitali sono caratterizzati dagli elementi strutturanti il paesaggio sopra descritti. Ogni capitale ha una propria dinamica che, come è stato accennato, manifesta tempi molto diversi tra loro. Il capitale economico è fortemente dipendente dal capitale sociale attraverso il capitale costruito dall'uomo, tanto che, se entra in crisi il capitale economico (es. recessione), si hanno effetti negativi sul capitale sociale. In sintesi, questo loop è il risultato di un'economia lineare misurata dal PIL che mal rapporta l'obiettivo della crescita economica con i problemi ambientali e di conservazione delle risorse. Invece, “uno sviluppo economico che non si ponga il problema del rapporto con l'ambiente naturale, non solo rischia di non poter essere mantenuto, ma perde qualità e


quindi perde valore” (Musu, 2008). Sviluppo economico e qualità dell'ambiente sono le due facce di una stessa medaglia; esse diventano riferimento fondamentale di un percorso che mette in atto metodi e tecniche di contabilità che tengono conto anche dei costi ambientali e della risorsa, diventano un paradigma di lavoro importante e sinergico con il concetto della sostenibilità che comincia a permeare obiettivi e priorità dei governi nazionali. La inevitabile considerazione riguardante la sostenibilità e la “durabilità” dello sviluppo legata alla non scambiabilità del Capitale Naturale critico con

Figura 1. Rapporti dinamici tra i Capitali propri dell'Economia ambientale nella formazione del Paesaggio in relazione ai tempi di trasformazione ed ai servizi ecosistemici prodotti.

altri capitali antropici, proprio della sostenibilità forte, evidenzia la stretta dipendenza di questi capitali “antropici” dal Capitale Naturale e dai suoi beni e funzioni che diventano servizi ecosistemici nel momento in cui questi sono fondamentali per il benessere umano di cui il Capitale Naturale Critico ne è la “riserva aurea” non scambiabile (Santolini et al., 2012). Prende quindi corpo e valore la plurifunzionalità del Paesaggio come una “parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni (art. 131, comma 1 del DLgs 22 n. 42 del 2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio) la cui tutela e la valorizzazione (del paesaggio) salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili” (art. 131, comma 2) anche attraverso la consapevolezza delle funzioni di interesse collettivo che esso esprime attraverso il Capitale Naturale. Il ruolo dell'uomo L'uomo è uno degli elementi che concorrono al funzionamento della “mano”, un “agente biologico” come gli altri che, però, a causa di una storia evolutiva e di una crescita culturale del tutto peculiari rispetto alle altre specie, attraverso le sue azioni ha portato a conseguenze non sempre positive sugli ecosistemi, in termini di ampiezza, durata e intensità (Battisti et al., 2013). I disturbi conseguenti alle attività umane possono essere caratterizzati da una distribuzione e capacità di pressione e impatto sugli ecosi-

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stemi terrestri ed acquatici tali da dover essere considerati separatamente rispetto a quelle attuate da altri organismi biologici (Diamond, 2006), poiché estremamente differenti per tipologia e regime dagli eventi derivanti dagli agenti naturali in senso stretto. L'alterazione nel regime di disturbi naturali causata dall'interferenza dell'aumento in intensità dei disturbi antropogeni rispetto agli equivalenti eventi naturali, “costituisce la causa della riduzione drastica e irreversibile della complessità e della capacità di resilienza dei sistemi ambientali, che vengono resi più fragili e vulnerabili a successivi eventi” (Farina, 2001). Come hanno illustrato Battisti et al. (2013), i disturbi antropogeni possono agire, direttamente o indirettamente, a tutte le scale spaziali (da puntiforme, a locale, regionale e globale) e temporali, dipendendo da fattori legati alla sfera umana, di carattere storico, politico, economico, culturale e sociale. I loro effetti possono essere differenti in relazione alla composizione, struttura e funzione degli ecosistemi e delle diverse componenti sui quali essi agiscono. Molto spesso, disturbi antropogeni diversi possono sovrapporsi e manifestare un'azione cumulativa o sinergica sullo stesso sistema naturale, arrivando a modificare, anche profondamente, le caratteristiche del sistema stesso innescando fenomeni a cascata. Quando le perturbazioni sugli ecosistemi, generalmente originate dall'azione dell'uomo (Rapport et al., 1985) possono portare ad un cambiamento nel ciclo dei nutrienti, nella produttività,


nella dimensione delle specie dominanti e nello shift di dominanza tra specie, si assiste a una vera e propria sindrome chiamata ecosystemlevel distress, oggetto di quel settore disciplinare chiamato Stress Ecology. Di fatto, la diversa intensità delle perturbazioni e dei fattori tempo e spazio cui abbiamo accennato precedentemente, può rendere la maggior parte degli ecosistemi e degli organismi (uomo compreso), incapaci di innescare risposte adattative adeguate in tempi utili per la sopravvivenza delle popolazioni, delle comunità e degli ecosistemi stessi. Infatti, nel corso dell'ultimo secolo, la struttura degli ecosistemi è andata modificandosi molto più rapidamente del passato (MEA, 2005). L'Antropocene potrebbe essere, e per alcuni lo è già (Global Environment Outlook, UNEP, 2007), l'inizio di una sesta estinzione di massa che, a differenza delle precedenti cinque avvenute da quando, 3,8 miliardi di anni fa, la biodiversità ha iniziato a evolversi, non è dovuta a cambiamenti globali naturali (Crutzen, 2005), ma all'azione dell'uomo attraverso la distruzione degli habitat delle specie, al sovrasfruttamento delle risorse naturali, all'effetto delle immissioni delle specie alloctone, ecc. I processi umani (produzione agricola, produzione industriale e consumo o uso dei beni materiali) utilizzano beni, materia ed energia ricavate dal Capitale Naturale che passano attraverso i processi produttivi e arrivano alla fase di consumo, utilizzando energia e producendo CO2. Sia nella fase di produzione, sia in quella di uso delle risorse/merci, si generano scorie e rifiuti che vengono scaricati nell'ambiente. Di fatto, in un ecosistema naturale, l'energia e i materiali che escono dal processo sono materia ed energia per l'ecosistema ricevente, mentre

nei processi umani la circolazione di materia ed energia non ha subìto un processo evolutivo utile a garantire efficienza da parte del sistema ricevente per riuscire ad utilizzare tali elementi. Le motivazioni ulteriori di queste differenze possono consistere: - nella velocità con cui vengono asportate le risorse del Capitale Naturale e con cui i “rifiuti” vengono restituiti agli ecosistemi riceventi (sfruttamento eccessivo delle risorse naturali esauribili e rinnovabili). I rifiuti, inoltre, vengono prodotti in quantità e ad un ritmo di gran lunga superiore alle capacità di depurazione e assimilazione degli ecosistemi riceventi, anche perché, in molti casi, si tratta di rifiuti non biodegradabili in tempi brevi; - nelle caratteristiche del sistema che non ha capacità di rigenerazione energetica e gli output costano energia e non sono sempre energia per gli ecosistemi riceventi immediatamente utilizzabili; - nella qualità dei materiali che partecipano a tale flusso (inquinamento); - la non dipendenza dall'area di prelievo/produzione: i fattori che determinano un uso fuori scala della risorsa/prodotto, inducono una mancanza di interesse verso gli ecosistemi che generano tale risorsa. Tali effetti sono motivo della scomparsa di funzioni degli ecosistemi utili all'uomo chiamate Servizi Ecosistemici. Questi fattori costituiscono un limite spesso insormontabile alla gestione degli ecosistemi artificiali e possono concorrere a compromettere la loro esistenza e forse quella di molti altri ecosistemi naturali. Il Capitale Naturale deve essere utilizzato rispettando la funzionalità ecosistemica e i suoi tempi di rigenerazione, non potendo così alimentare nuovi processi. In

assenza di un controllo e di azioni correttive nonché di comportamenti corretti e rispettosi della ciclicità dei sistemi ecologici, produttivi si rischia comunque di esaurire la risorsa e di danneggiare il processo e di conseguenza quella parte di Capitale naturale denominato Critico perché indispensabile al benessere di base dell'uomo. Funzioni ecologiche e biodiversità. Se gli ecosistemi tendono a un equilibrio dinamico le cui funzioni sono indispensabili agli ecosistemi vicini, il risultato dell'azione antropica è spesso un'alterazione profonda di questi equilibri che trasformano componenti del paesaggio interferendo sui cicli ecologici. Tali azioni hanno trasformato ecosistemi collocandoli in stadi instabili, consumando suolo e risorse naturali, alterando ed estinguendo funzioni vitali di ecosistemi che erogavano, ad esempio, aria e acqua di qualità rarefacendo i servizi ecosistemici ed aumentando la vulnerabilità del sistema ed i tempi di resilienza (Fig. 2). Dal momento che l'umanità ha modificato la capacità degli ecosistemi di assorbire e tamponare i disturbi, non possiamo più dare per scontato che questi possano mantenere un sostenuto flusso di servizi ecosistemici essenziali per il nostro benessere (Elmqvist et al. 2003). Abbiamo visto come gli aspetti multifunzionali degli ecosistemi che caratterizzano le componenti strutturali di un paesaggio emergono progressivamente in modo determinante nel momento in cui viene messa in relazione la funzionalità degli ecosistemi con i servizi prodotti, mettendo in luce relazioni positive tra biodiversità e produzione primaria (Costanza et al. 2007) o tra biodiversità, funzioni ecologiche/servizi ecosistemici e benessere umano (Hai-

Stati ecosistemici e risilienza Distrofia ecosistemica = diminuzione di funzioni e di servizi

Servizi ecosistemici Stato desiderabile

Stato non desiderabile

Stato instabile

RESILIENZA

Bosco

Sovra sfruttamento Incendio...

«Pulizia dl bosco» Azioni di recupero Pscolo Erosione

Bosco degradato

Fig. 2 - Cambiamenti del bosco da uno stadio stabile ad uno stato meno desiderabile a seguito di azioni dirette di utilizzo non sostenibile procura una diminuzione di funzionalità ecologica un aumento dei temi di resilienza ed una maggiore vulnerabilità (da Elmqvist et al 2003, mod.)

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nes-Young e Potschin, 2010). Di conseguenza, la biodiversità, in rapporto con il flusso regolare di beni e servizi ecosistemici, diventa elemento chiave per raggiungere obiettivi di gestione economica, sociale ed ecologica (Hooper et al. 2005). Infatti, la perdita di biodiversità e di ecosistemi nonché l'alterazione conseguente della funzionalità dei paesaggi, minaccia il funzionamento del nostro pianeta, della nostra economia e della società umana (TEEB 2010). Attualmente vengono riconosciute numerose cause per la perdita di biodiversità sia di tipo indiretto (Bonifiche delle zone umide, modificazioni e trasformazioni dell'habi-tat quali costruzione, edifici, strade, porti, cementificazione degli argini fluviali, variazioni climatiche dovute ad influenze antropiche, sbarramenti sui corsi d'acqua, captazioni idriche, modifiche delle portate; uso di pesticidi e inquinamento delle acque ecc.) che diretto (caccia, vandalismo, inquinamento genetico, pesca eccessiva, ecc.). Tralasciando i processi che avvengono su tempi propri dell'evoluzione biologica, gli effetti sulle specie ma anche su habitat ed ecosistemi possono essere raggruppati in quattro categorie principali (Walther et al., 2002): impatti sulla fisiologia e sul comportamento; impatti sul ciclo vitale; impatti sulla distribuzione geografica; impatti sulla composizione e sulle interazioni delle specie nelle comunità ecologiche. Ad esempio, le tendenze clima-

tiche in atto e quelle previste dagli scenari dell'IPCC sposteranno verso latitudini maggiori o altitudini più elevate le condizioni climatiche e ambientali tipiche in particolare dell'area mediterranea. Questo significa che tutti gli ecosistemi e le specie a loro legate tenderanno a spostarsi verso l'Europa centro occidentale e settentrionale o verso l'alto lungo i versanti delle catene montuose del Paese fino alla loro scomparsa. Queste azioni, quindi, sia in forma diretta che indiretta, hanno una forte interazione con i cicli ecologici, innescando processi di distrofia, eliminando progressivamente funzioni ecologiche, specie, habitat ed ecosistemi. Recentemente (Monastersky 2014) sono state quantificate le cause principali di perdita di biodiversità sintetizzate percentualmente come segue: sfruttamento delle risorse (suolo, minerali, foreste ecc.) (37%), degradazione o trasformazione degli habitat (31%); diminuzione degli habitat (13%); cambiamento climatico (7%); specie alloctone (5%); Inquinamento (4%); malattie (2%). I driver che determinano questi fattori di perdita della biodiversità e di servizi ecosistemici non mostrano segni di declino nel corso del tempo e stanno aumentando di intensità (MEA 2005): lo vediamo analizzando il fenomeno del consumo di suolo in Italia (ISPRA, 2015) che riguarda prevalentemente le aree agricole, seguite dalle aree urbane e dalle terre naturali, esponendosi sem-

pre di più a rischi idrogeologici. Viene trasformata e considerata irrimediabilmente persa quasi il 20% della fascia costiera italiana: oltre 500 Kmq, l'equivalente dell'intera costa sarda. Persi anche 34.000 ettari all'interno di aree protette, il 9% del territorio di zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di laghi e fiumi. Consumiamo mediamente circa 55 ettari ogni giorno in seguito principalmente alla costruzione di nuove infrastrutture, di insediamenti commerciali e all'espansione di aree urbane a bassa densità. Queste dinamiche portano a una riduzione della biodiversità, attraverso degrado e banalizzazione degli ecosistemi ed estinzione locale di molte specie, in primis di quelle ecologicamente più sensibili e quelle endemiche o localizzate, banalizzando quella trabecolatura di rapporti ecologici tra specie e ambienti che rappresentano invece, la resistenza e la resilienza di un ecosistema e la sua adattabilità ai cambiamenti non solo climatici. Considerazioni conclusive Solo uno stile di vita realmente attento all'ambiente non può non avere ripercussioni sulle scelte quotidiane, qualunque sia il ruolo del cittadino che le esegue. Scelte che, se ben indirizzate e responsabilmente condivise, a loro volta, si possono riflettere sulla politica, sui produttori, indirizzando le loro scelte verso pratiche più attente all'ambiente: per l'alimentazione, l'energia, i tra-

Fig. 3 – Gli ecosistemi anche antropici ed alcuni dei servizi forniti alla popolazione umana. La loro capacità di fornire servizi dipende da complesse interazioni ecologiche e da processi circolari che possono essere utili per aumentarne la resilienza e l'adattabilità degli ecosistemi alle diverse scale (MEA 2005, mod.).

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sporti, il territorio ecc. la variabile ecologica prende sempre più peso. Il tema del comportamento corretto deve diventare implicito in ogni azione qualunque sia il ruolo del cittadino ed è necessario assumerne piena consapevolezza. E' necessario comprendere come qualsiasi azione necessiti di energia ed informazione “sana” e, dopo l'elaborazione fatta da qualsiasi sistema, debbano essere restituite energia e informazione utile a ricominciare il ciclo. Questo approccio non è stato sempre implicito e spesso l'azione sviluppata è mancata di quell'energia, anche finanziaria, che potesse permettere di offrire output utili. Pensiamo solo alle migliaia di progetti realizzati e abbandonati di qualunque tipo, che non hanno mai considerato uscite funzionali ai vari livelli di scala e quindi funzionalmente estinti perché non autosostenibili. Al contrario, mai come in questo momento abbiamo bisogno di produrre strategie e innescare progetti che siano autopoietici sia economicamente che ecologicamente, che internalizzino i costi ambientali e della risorsa, inserendosi al giusto livello di scala (Fig.3). La risoluzione del parlamento europeo del 20 aprile 2012 evidenzia, infatti, come la perdita della biodiversità abbia avuto effetti economici devastanti per la società in quanto sinora questi costi non sono stati integrati adeguatamente nelle politiche economiche e nelle altre politiche. Il tema della funzionalità ecologica e dei servizi ecosistemici diventa sempre più presente anche nella Strategia dell'UE sulla Biodiversità proiettata al 2020, nella quale l'Obiettivo 2 afferma come sia fondamentale preservare e ripristinare gli ecosistemi e i loro servizi entro il 2020, valorizzando gli ecosistemi e i relativi servizi mediante l'infrastruttura verde e il ripristino di almeno il 15% degli ecosistemi degradati, migliorando la conoscenza degli ecosistemi e dei relativi servizi (Azione 5), definendo delle priorità volte a ripristinare gli ecosistemi e promuovere l'uso delle infrastrutture verdi (Azione 6), garantendo che non si verifichino perdite nette di biodiversità e di servizi ecosistemici (Azione 7). L'approccio ecosistemico, così come definito dal documento di lavoro della COP 5 (UNEP/CBD/ COP/5/23, 103-109), entra quindi in gioco. E' una prima strategia per la gestione integrata della terra, dell'acqua e delle risorse viventi che promuove la conservazione e l'uso sostenibile in modo giusto ed equo. Si tratta di un riferimento esplicito non solo alla conservazione ma anche all'utilizzo delle risorse, con un accenno alla giu-

stizia e alla equità sociale, in quanto diventa chiave il coinvolgimento diretto e sostanziale dei portatori di interesse locali nella gestione del territorio, come processo integrato in cui è compresa la sfera sociale e non solo quella ambientale. E' un modo di pensare orientato a raggiungere un equilibrio socialmente e scientificamente accettabile tra le priorità della conservazione della natura, l'uso delle risorse e la suddivisione dei benefici Occorre però andare oltre lo sviluppo sostenibile e la green economy. Al centro delle politiche ambientali europee c'è da qualche tempo la cosiddetta “economia circolare”. Secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, è un termine generico per definire un'economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un'economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera. L'economia circolare è dunque un sistema in cui tutte le attività, a partire dall'estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro imitando ciò che fanno gli ecosistemi da sempre e generando così servizi ecosistemici. Nell'economia lineare, invece, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto, che diventa rifiuto, costringendo la catena economica a riprendere continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. Questo approccio tenta di rimuovere le barriere dell'economia classica integrando nuove prospettive con le aspirazioni sociali e l'ambiente naturale inteso come Capitale Naturale vivo e funzionale, ponendo fermamente l'uomo all'interno dei modelli ecosistemici. Siamo così nell'ambito dell'Economia ecologica, una visione nettamente diversa dell'interazione tra sistema economico ed ecosistema in cui il sistema economico è inserito nell'ecosistema (e non viceversa) (Fig.1) ed il sistema ambientale pone limiti invalicabili alla crescita quantitativa della produzione di cui bisogna tenere conto nelle decisioni di carattere economico e territoriale.

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LA CONVENZIONE QUINDICI ANNI DOPO

A cosa serve il paesaggio? Riflessioni ed esempi in area alpina di Viviana Ferrario *

* Viviana Ferrario, Università Iuav di Venezia

Dire che il termine paesaggio è polisemico è un'affermazione ormai scontata ed è a volte usata per giustificare una certa confusione nei discorsi che riguardano il paesaggio, sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista normativo¹. A me sembra invece che l'uso un po' disinvolto del termine che è stato fatto in questi ultimi anni richieda al contrario uno sforzo di precisazione. Questo sforzo non dovrebbe tanto riguardare la sua definizione teorica, quanto piuttosto l'esplorazione dei suoi significati nelle loro conseguenze operative. È proprio questo il punto di partenza per le riflessioni che seguono. Se osserviamo in prospettiva il contesto italiano ci accorgiamo facilmente che il termine paesaggio ha incorporato via via diversi significati. Al significato prevalentemente estetico e visivo della prima metà del novecento si sono sovrapposti aspetti strategici e poi ambientali. Infine la Convenzione Europea del Paesaggio ha allargato il termine paesaggio nella direzione degli aspetti sociali. Alla popolazione viene attribuito un ruolo centrale: le si riconosce un diritto al paesaggio, e contemporaneamente le si attribuisce una responsabilità nella sua gestione. Questo allargamento del significato sta mutando poco alla volta non solo il modo con cui usiamo la parola paesaggio nei discorsi scientifici e nella vita di tutti i giorni, ma sta cambiando pro-

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gressivamente anche le ragioni per cui impieghiamo la parola stessa e il modo con cui “usiamo” il paesaggio stesso. Proprio questo ci obbliga a riflettere non solo sul significato del termine, ma sulla funzione del paesaggio nel processo continuo di costruzione del rapporto tra popolazione e territorio. Insomma ci obbliga a chiederci a cosa serve il paesaggio. Il paesaggio: interfaccia, intermediario, mediatore Nella tradizione geografica, in quanto prodotto del rapporto costruttivo e continuativo tra una popolazione e uno spazio geografico, il paesaggio è “oggetto di studio e al tempo stesso strumento conoscitivo” (Scaramellini, 1998, p. VII), in quanto fa da “interfaccia” tra società e territorio². Il paesaggio è plasmato da valori, saperi, pratiche, conoscenze, desideri e bisogni, che si incontrano con i caratteri fisici dello spazio geografico, lo modificano e ne sono modificati durante il processo di territorializzazione. Il paesaggio è dunque il frutto percepibile di questa co-modificazione o, in altre parole, la “manifestazione empirica della territorialità” (Turco, 2002, p. 7) e come tale è esito di conflitti e compromessi. Questa interfaccia può essere, ed è, impiegata, a diversi livelli e con gradi diversi di consapevolezza, da soggetti diversi, con obiettivi diversi per


leggere e interpretare le forme del territorio. Schematizzando, proveremo ad ipotizzare come questo avviene nel caso di tre soggetti, in particolare: l'abitante, lo studioso del territorio, il progettista. Per l'abitante il leggere e interpretare le forme del territorio presenta delle similitudini con l'azione del guardarsi allo specchio per controllare il proprio aspetto. Come sul viso si possono rintracciare intuitivamente gli effetti di una notte insonne o gli indizi di una malattia incipiente e nelle forme del corpo (sia pure fino ad un certo punto) gli effetti di una vita disordinata o al contrario di una vita sana, così nel paesaggio si possono leggere le tracce del modo in cui una società ha scelto di interagire, in quel momento storico, con il proprio territorio³. Come il guardarsi allo specchio, così l'osservare il proprio paesaggio implica due azioni volontarie: una assunzione di distanza, anche se momentanea, e una attività riflessiva, una forma di autovalutazione. Come il guardarsi allo specchio, così l'osservare il proprio paesaggio è un'attività che non si fa continuativamente, ma solo in determinate circostanze. Come spesso accade, quando siamo troppo indaffarati (oppure quando sappiamo che tutto va bene) lanciamo al nostro aspetto solo uno sguardo distratto, spesso senza accorgerci dei segnali che esso ci manda, fino a che non diventano macroscopici. Nello stesso modo gli abitanti (e collettivamente le società insediate) spesso non si avvedono dei segnali di pericolo che il paesaggio potrebbe rivelare loro. Quando ci osserviamo allo specchio infatti, quello che è sottoposto a valutazione non è solo l'aspetto in sé, ma lo sono anche le cause presunte di quell'aspetto, i processi sottostanti. È questo il senso – mi sembra – dell'analogia del paesaggio con il teatro proposta da Eugenio Turri, in cui i soggetti giocano contemporaneamente il ruolo di spettatori e di attori, osservando continuamente l'effetto delle loro azioni nel programmare quelle successive: il paesaggio è “interfaccia tra il fare e il vedere quello che si fa” (Turri, 1998, p. 13). L'analogia non finisce qui. Come a volte, dopo un trauma, non ci si 'riconosce nello specchio', così a volte le società insediate si ritrovano di colpo con un'immagine del rapporto tra sé e il territorio che non riconoscono più. E come a volte copriamo i segni del tempo o quelli della malattia sotto il trucco o dentro un bel vestito, così tendiamo a fare con il territorio, illudendoci che un bel pae-

saggio si possa ottenere semplicemente attraverso un buon lavoro sartoriale o di maquillage. A questo livello osservare le forme del territorio attraverso il paesaggio è un'operazione intuitiva ma pur sempre complessa (come del resto non è affatto elementare il gesto di guardarsi allo specchio) perché implica un processo percettivo “da intendere non tanto come l'azione fisiologica della visione, ma quale momento in cui ciascuno attribuisce una pluralità di significati e di valori ai diversi elementi del paesaggio e/o al paesaggio nel suo complesso” (Castiglioni, 2015). Ad un diverso livello di consapevolezza si situa la lettura e l'interpretazione dello studioso del territorio: per lui il paesaggio-interfaccia è potenzialmente un immenso deposito di informazioni, utili appunto alla comprensione scientifica dei processi sottostanti, in particolare del rapporto che intercorre tra una popolazione e il suo territorio. Se il paesaggio è “manifestazione empirica della territorialità”, esso può essere impiegato per comprenderla. L'interfaccia-paesaggio, cioè, può essere letta e interpretata per rintracciare l'andamento diacronico e la condizione contingente della complessa vicenda del processo di territorializzazione. Anche in questo caso si tratta di una operazione complessa, che non può prescindere dalla duplice dimensione immateriale del paesaggio: quella dei processi che influenzano il paesaggio ma “che non lasciano riflessi nella topografia”⁴, ma anche quella legata all'attribuzione individuale e collettiva di significati e di valori (filtrati culturalmente) che influenzano a loro volta i comportamenti reali. Insomma lo studio del territorio non può prescindere dalla percezione che ne hanno le società insediate. Non dimentichiamo infine che anche gli studiosi del territorio e gli esperti in generale, nell'impiegare il paesaggio per i loro studi, percepiscono le forme del territorio a loro volta in modo filtrato dalla loro preparazione disciplinare e culturale. Paesaggio come intermediario Proprio questi filtri culturali e disciplinari generano sia negli esperti, sia nelle diverse componenti della società insediata, una molteplicità di interpretazioni, spesso non coincidenti, di una stessa parte di territorio⁵. A questo proposito per il paesaggio-interfaccia è stato proposto un ruolo di 'intermediario'. Il paesaggio può essere messo al centro dei discorsi e dei saperi, come “objet-

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intermédiaire”, oggetto intermedio, e in quanto tale almeno parzialmente condiviso pur se entro interpretazioni non condivise (a volte, ma non necessariamente, anche conflittuali). Il suo impiego è qui dunque quello di far emergere le diverse idee che diversi attori possono avere sul medesimo territorio, nonché di mettere in luce e precisare proprio le aree di non sovrapposizione di quelle idee (Bigando et al., 2011; Briffaud, Ferrario, 2015). Il ruolo di intermediario del paesaggio-interfaccia può svolgersi nel presente, oppure anche nel passato, nel caso in cui l'oggetto della ricerca non sia il processo di territorializzazione corrispondente al momento attuale, ma sia invece riferito ad un momento situato addietro nel tempo. La ricostruzione (in senso archeologico) dei paesaggi del passato, accompagnata per quanto possibile dalle informazioni relative ai modi in cui le forme del territorio erano percepite, complete di valori e significati attribuiti, è uno strumento potenzialmente molto efficace per la storia del territorio (Briffaud, Ferrario, 2015). La capacità di 'leggere' l'interfaccia-paesaggio non è dunque scontata, non solo per l'insider, ma neanche per l'esperto. Il paesaggio-interfaccia diventa infatti intermediario efficace “solo se l'osservatore è capace di organizzare in un'unità visiva il processo di territorializzazione, e seppure solo per parti, le traiettorie logiche e storiche che ne hanno inquadrato il dispiegamento, tanto sul piano simbolico, quanto sul piano materiale e strutturale” (Turco, 2002, p. 39). Paesaggio come mediatore Per la sua capacità intermediatoria il paesaggiointerfaccia può diventare vero e proprio 'mediatore' entro processi di condivisione delle scelte territoriali. È così che può essere impiegato dal progettista e dal pianificatore, sia in modo diretto che indiretto. Esso può essere messo al centro di una discussione, di un confronto, perfino di un conflitto, nel campo del governo del territorio: dietro ad un conflitto territoriale o ambientale si può per esempio ipotizzare la presenza di un conflitto di paesaggio (O'Neill, Walsh, 2000; Davodeau, 2008). E d'altra parte il paesaggio stesso, in quanto immagine del territorio, può essere impiegato per “favoriser la sensibilisation de différents types d'acteurs à la définition et à la gestion des projets territoriaux pour accompagner la mise en oeuvre durable des politiques paysagères”(Paradis, Lelli, 2010).


Queste procedure basate sulla percezione del paesaggio, proposte intorno alla metà degli anni Duemila in Francia e successivamente progressivamente formalizzate, assumono appunto il nome di médiation paysagère, che per certi versi si associa o addirittura tende a sostituirsi alla 'partecipazione'. In questo caso il paesaggio come mediatore è impiegato nei progetti e nei processi di costruzione dei piani territoriali, per indirizzare verso una maggior sostenibilità, anche sociale, quel circuito tra rappresentazioni collettive e scelte individuali che trasforma il territorio, producendo i paesaggi del futuro. Come nota Jones, l'impiego del paesaggio nelle pratiche di partecipazione, suggerito nel quadro della Convenzione Europea del Paesaggio, dovrebbe garantire le democraticità, la legittimità, lo scambio di informazioni, una migliore gestione dei conflitti e l'attenzione a che proprio il paesaggio non diventi strumento di discriminazione sociale (M. Jones, 2007). Paesaggio come strumento Ho già avuto modo di osservare in altra occasione (Ferrario, 2011 b) l'esistenza di due diversi modi con i quali le diverse discipline – e in particolare le discipline del progetto – approcciano il paesaggio: anche sulla scorta di alcune suggestioni diYves Luginbuhl (2004), mi sembrava allora che il modo con il quale il paesaggio entrava nei discorsi e nelle pratiche oscillasse tra un paesaggio-oggetto e un paesaggio-strumento e che queste due diverse concezioni del paesaggio non fossero affatto equivalenti, né dal punto di vista della lettura dei fenomeni, né dal punto di vista delle pratiche di governo del territorio. Credo che la disamina sopra delineata confermi questa interpretazione, non solo nel caso della mediazione, dove è palese, ma anche nel caso del paesaggio-intermediario e perfino nel caso del paesaggio semplice interfaccia. In tutti i casi sopra analizzati il paesaggio è sempre impiegato come uno strumento. Ma se il paesaggio è uno strumento, a cosa serve? Alcune delle risposte possibili sono state già implicitamente date più sopra. Il paesaggio serve in primo luogo nella sua funzione di deposito, di archivio, per rintracciare informazioni sui processi territoriali, non disgiuntamente dai valori e dai significati attribuiti ad essi dagli individui e dalle popolazioni.

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Il paesaggio serve a capire in profondità e a visualizzare il processo di territorializzazione nel suo farsi: in quanto elemento fondativo del processo di percezione delle forme del territorio che influenza i comportamenti individuali e le decisioni collettive, esso è espressione dei diversi progetti impliciti che guidano le trasformazioni in corso, e dunque permette di individuare, leggere e interpretare le trasformazioni territoriali mentre avvengono, sia pure, come vedremo, solo attraverso tracce e indizi. Il paesaggio serve a creare le condizioni per la costruzione di un sapere interdisciplinare. Il paesaggio serve a tener conto dei diversi sguardi sul territorio per favorire l'elaborazione di una azione locale o di un progetto condiviso (Michelin, Candeau, 2009; Derioz, 2008). Vorrei qui di seguito soffermarmi sul secondo e sull'ultimo dei modi di “usare” il paesaggio più sopra elencati, che mi sembrano particolarmente preziosi in questo momento storico. Individuare le trasformazioni territoriali mentre avvengono: seminativi di versante Quando impieghiamo il paesaggio come strumento interpretativo osserviamo le trasformazioni territoriali in una doppia dimensione: da un lato rileviamo il cambiamento delle forme fisiche, e dall'altro non possiamo trascurare il cambiamento dell'immagine del territorio che si produce nei soggetti che lo trasformano o che subiscono le sue trasformazioni. Si tratta di due dimensioni strettamente e indissolubilmente intrecciate tra loro, che procedono però a velocità diverse; perché possa prodursi una trasformazione è necessario che si modifichi, almeno in una parte dei soggetti interessati, un cambiamento della percezione. Mano a mano che nuove immagini del territorio si affermano, esse cominciano a influenzare i comportamenti di un numero crescente di attori e quindi a guidare le trasformazioni territoriali. Semplificando un po', nel caso in cui una società si muova compatta le trasformazioni appariranno coerenti tra loro, mentre se la società è frammentata e conflittuale le immagini del territorio saranno multiple e non convergenti e dunque le trasformazioni potranno apparire in contrasto tra loro. Nel corso della loro affermazione le trasformazioni territoriali disseminano indizi, che se riconosciuti e opportunamente connessi con altri dati, danno, per quanto in maniera necessariamente imperfetta, informazioni sulle trasformazioni in


41 Fotografia di L. Chistè


corso. Si possono così individuare, in via ipotetica, dei frammentari “paesaggi tendenziali”, nuove forme del territorio plasmate da nuove pratiche e rappresentazioni sociali emergenti, che in certa misura possono essere considerate “indizi di un possibile futuro” (Castiglioni, Ferrario, 2013). Questo modo di “usare” il paesaggio consente di raccogliere indizi su trasformazioni territoriali di particolare interesse, perché sono i primi segni dell'inversione di un trend. Un esempio attuale riferito a certe aree alpine del nord-est italiano può essere fatto per le trasformazioni dell'uso del suolo sui versanti alpini. La letteratura degli ultimi cinquant'anni si è concentrata sul fenomeno dell'avanzamento del bosco a spese dei prati e dei pascoli, sull'abbandono dei terrazzamenti e più recentemente sulla scomparsa dei seminativi in favore del prato stabile (tra gli altri Ferrario, 2012). Quest'ultimo processo in particolare ha interessato le zone più settentrionali del Veneto e del Friuli, trasformando profondamente il paesaggio dei versanti vallivi. Questa trasformazione, dovuta a diversi fattori, tra i quali primeggia la specializzazione zootecnica dell'agricoltura alpina, fino a pochi anni fa sembrava irreversibile. Oggi però in diversi luoghi dell'Agordino, del Cadore e della Carnia, i prati vengono nuovamente dissodati per essere messi a coltura, sul modello di altre realtà alpine più produttive (orzo, ortaggi, varietà tardive, frutteti e vigneti). In molti casi si tratta di iniziative autonome di singoli agricoltori. In altri, come nel noto caso dell'Antico orzo delle valli bellunesi Presidio Slow-Food, dietro le trasformazioni del paesaggio si profila già una filiera complessa (in questo caso orzo-birra). I nuovi seminativi vanno generalmente ad occupare ex coltivi poi trasformati in prato nel corso del novecento (esempi in Cadore, Comelico e Agordino). Il fenomeno, per ora del tutto marginale in termini quantitativi, è interessante in quanto costruisce un nuovo paesaggio complesso, che presenta analogie con quelli del passato. Tuttavia esso potrebbe, alla lunga, generare un conflitto con l'uso dei prati da parte delle attività zootecniche. È dunque necessaria una attività ricognitiva che interessi non solo il cambiamento dell'uso del suolo ma anche le motivazioni e le percezioni che lo precedono. Una conoscenza anticipata del fenomeno può prevenire e gestire eventuali futuri conflitti. L'espansione dei seminativi potrebbe essere incoraggiata ove opportuno, a patto di compen-

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sarla con il recupero a fini produttivi di prati e pascoli abbandonati. In questo caso il paesaggio potrebbe “servire” a studiosi e istituzioni per individuare per tempo le trasformazioni e indirizzare così le future politiche settoriali e territoriali. Favorire l'elaborazione di una azione locale o di un progetto condiviso: nuovi paesaggi microidroelettrici Secondo Derioz le funzioni del paesaggiostrumento si possono riassumere come segue: il paesaggio inizia, permette di formulare domande e ipotesi e facilita la “libertà di parola”, mobilitando le parti interessate; indica poi le possibili direzioni del cambiamento, permettendo di confrontare i vari punti di vista e, infine, integra diversi approcci settoriali, domande e opinioni (Derioz, 2008). Una lettura ed interpretazione delle dinamiche territoriali “attraverso il paesaggio” rende espliciti i valori nascosti dietro le azioni o nelle discussioni, facendo emergere le ragioni degli attori coinvolti (Ferrario, Castiglioni, 2015). È questa la base per l'elaborazione di azioni locali coerenti e condivise. Anche in questo caso un esempio in area alpina può chiarire meglio questa funzione del paesaggio. Come è noto l'investimento nelle energie rinnovabili sta sollevando profonde controversie a scala globale e numerosi conflitti locali. Uno di questi riguarda lo sviluppo del microidroelettrico, basato sulla costruzione di piccole centrali sui corsi d'acqua minori, sostenuta da politiche pubbliche a favore delle energie rinnovabili. In ambito scientifico sono noti gli impatti negativi del fenomeno, che è stato oggetto di attenzione anche da parte della Commissione per la Protezione delle Alpi (CIPRA 2005, Convenzione delle Alpi 2011). Anche se questi impianti sono normalmente meno "visibili" e più dispersi sul territorio rispetto al grande idroelettrico diffusosi sulle Alpi nel Novecento, essi sono al centro di numerosi conflitti ambientali e sociali. Il territorio della montagna bellunese è uno dei luoghi in cui questo conflitto è più acceso, anche per la presenza di associazioni di stampo ambientalista, che tengono alta l'attenzione sul fenomeno e ne documentano alcune evidenti storture. Queste associazioni hanno recentemente prodotto un interessante dossier per documentare gli effetti che il mancato rispetto del rilascio del deflusso minimo vitale ha sugli habitat fluviali minori. Il dossier fotografico è un esempio molto significativo di come si può “usare” il paesaggio per raccogliere


l'opinione pubblica attorno ad un progetto diverso di sviluppo. Notizia recentissima è che alcune amministrazioni locali precedentemente favorevoli e addirittura promotori della costruzione di nuove centraline sembrano oggi sposare le tesi degli ambientalisti, e lo fanno motivando la loro opposizione ai nuovi progetti di centraline anche con ragioni di tipo “paesaggistico”⁶. Ricapitolando Gli esempi sopra riportati mi pare facciano riflettere sulla disponibilità del paesaggio ad essere

usato nella costruzione di una nuova riflessività rispetto alle trasformazioni del territorio. Il paesaggio viene impiegato in quanto strumento concreto e condivisibile, disponibile all'osservazione di tutti, capace di avvicinare le scelte politiche e la conoscenza scientifica all'esperienza comune. Per sua capacità di raccontare le relazioni che si stabiliscono in un determinato territorio tra la società e i modi dello sfruttamento delle risorse, il paesaggio permette di percepire gli effetti territoriali diretti e indiretti delle scelte effettuate nel passato e in certa misura, se osservato con occhi non distratti anche nel pre-

sente. In questo modo il paesaggio può giocare un ruolo di supporto, raccogliendo gli attori e i soggetti interessati attorno ad un medesimo oggetto di riflessione e permettendo di pensare simultaneamente le connessioni esistenti tra le complesse questioni di gestione territoriale e di sviluppo locale che in esso si intrecciano. Come intermediario, il paesaggio serve a mettere meglio a fuoco i termini di questa complessità, come mediatore può avere la funzione di aiutarci ad immaginare insieme un futuro diverso.

Note 1. Una prima versione di questo saggio è comparsa in un Quaderno del Dipartimento di Culture del Progetto dell'Università Iuav di Venezia (Ferrario, 2015). 2. Il carattere di interfaccia del paesaggio si manifesta in diversi modi: secondo Turco esso è interfaccia fra agire territoriale del soggetto e della collettività (Turco, 2002, p. 41), ma anche “interfaccia nel più ampio senso” (Turco, 2010, p. 126). Altre interpretazioni del paesaggio-interfaccia sono descritti in Palang, Fry (eds) 2003, p. 3 e ss. 3. Secondo alcuni studiosi “per l'insider non vi è una separazione definita del sé dalla scena, del soggetto dall'oggetto” e quindi “applicare il termine paesaggio

alle loro condizioni ambientali sembra inopportuno a chi occupa e lavora in un posto come insider” (Cosgrove, 1990, p. 38); questa posizione mi pare descriva bene la condizione dell'abitante poco consapevole che, tuttavia, può benissimo diventare un vero osservatore del suo paesaggio, nel momento in cui acquisisce consapevolezza. 4. “Fatti […] che in più di un caso figurano alle origini del paesaggio, ma la cui riduzione a termini di paesaggio […] è impossibile (Gambi, 1973, p. 162). Con questa celebre raccomandazione, indirizzata ai geografi suoi contemporanei, Lucio Gambi invita a non 'fidarsi' solo degli aspetti esteriori ed evidenti del paesaggio. È dunque necessario scavare sotto l'apparenza, nei

processi territoriali che modificano il paesaggio stesso. 5. Questa constatazione restituisce profondità e complessità alla definizione data dalla Convenzione Europea del Paesaggio, apparentemente elementare e auto-evidente. Quel “people” cui la definizione fa riferimento pone seri problemi interpretativi, aprendo al dibattito (Ferrario, 2011 a). Per i modelli e i filtri di diversa natura che influenzano la percezione del paesaggio si veda Luginbuhl, 2012. 6. “L'alveo del torrente perderebbe di fatto la sua identità, coprendosi di arbusti, ontani, abeti…” (Corriere delle Alpi, 31 luglio 2015)

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Fotografia di L. Chistè


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ESPERIENZE E STRUMENTI

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ESPERIENZE E STRUMENTI

Il piano paesaggistico della Regione Puglia di Angela Barbanente *

* Angela Barbanente è professore di Tecnica urbanistica e pianificazione territoriale presso il Politecnico di Bari

Principi e concetti in pratica fra Convenzione europea e Codice del paesaggio Il Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr) della Puglia, come ogni esperienza di pianificazione di una certa complessità, può essere raccontato ponendo l’accento su aspetti diversi. In questo scritto mi pare interessante offrire qualche spunto di riflessione sulla traduzione in pratica di alcuni concetti chiave della Convenzione europea del paesaggio, anche in relazione alla disciplina della pianificazione paesaggistica introdotta dalla terza parte del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che ha avuto nel Pptr della Puglia una prima completa applicazione. Per questo concentrerò l’attenzione sulla struttura del Piano e su alcuni dispositivi operativi attivati nel corso della elaborazione, senza soffermarmi sulle motivazioni culturali, politiche e socio-economiche che hanno indotto la Regione Puglia a dedicarsi con grande impegno alla approvazione di uno strumento di pianificazione volto alla tutela, valorizzazione e riqualificazione del paesaggio¹. Il Pptr è entrato in vigore nel marzo 2015. Esso è frutto di un lungo e articolato percorso culturale, tecnico e amministrativo, che ha avuto avvio con la costituzione, presso il Servizio regionale Assetto del Territorio, di un gruppo di lavoro interdisciplinare affidato al coordinamento scientifico di

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Alberto Magnaghi, e con la sottoscrizione, nel novembre 2007, dell’intesa interistituzionale con i Ministeri per i Beni e le attività culturali e dell’Ambiente per l’elaborazione congiunta dell’intero Piano². Sin dal principio, dunque, la Regione si è mostrata disposta alla collaborazione istituzionale, decidendo di cogliere come un’opportunità utile al rafforzamento del percorso politico e culturale intrapreso con la decisione di dotare la Puglia di un piano paesaggistico territoriale, l’orientamento del Codice in favore della cooperazione tra amministrazioni pubbliche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio (art. 133) e l’elaborazione congiunta dei piani (art. 143, comma 2). Questo, non senza la consapevolezza dei rischi comportati da tale scelta, in assenza sia di abitudine alla collaborazione interistituzionale fra Ministero per i Beni e le attività culturali e Regione sia di indirizzi ministeriali in materia, ed essendo i frames cognitivi e operativi dei referenti ministeriali assai distanti da quelli del gruppo di lavoro insediato presso l’Assessorato regionale³. Non sarà sfuggito ai lettori di questo scritto che il piano della Puglia non è né un piano paesaggistico né un piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, ma un piano paesaggistico territoriale. La denominazione non è casuale: nell’affrontare il “terreno


assai accidentato” dell’intrico normativo venutosi a determinare nella legislazione italiana fra i concetti di paesaggio, territorio, ambiente (Settis, 2010), si è scelto di dare centralità al paesaggio e piena attuazione ai principi della Convenzione, fondando sulla rappresentazione patrimoniale e identitaria del paesaggio, gli obiettivi di qualità, indirizzi e prescrizioni previsti dal Codice. Ma vi è di più. Al paesaggio, inteso quale “bene patrimoniale identitario”, il Pptr assegna un ruolo attivo, di componente del processo di sviluppo socioeconomico dell’intero territorio regionale: “I paesaggi delle Puglie, prodotti nel tempo lungo della storia dalle “genti vive” (Sereni) che li hanno abitati e che li abitano, costituiscono il principale bene patrimoniale (ambientale, territoriale, urbano, socio culturale) e la principale testimonianza identitaria per realizzare un futuro socioeconomico durevole e sostenibile della regione. In un’epoca di crisi della globalizzazione economica, questo futuro […] [risiede] nella capacità di innovare, produrre e scambiare beni che solo in quel luogo del mondo possono venire alla luce in quanto espressione culturale di

una identità di lunga durata che il paesaggio, a ben interpretarlo, racconta.”⁴ Ben nota e oggetto di ampia discussione è la valenza identitaria attribuita al paesaggio dalla Convenzione e ripresa nella definizione generale offerta dal Codice, per quanto privata, nella versione vigente, della relazione tra processi identitari e popolazioni⁵. È anche noto che il vivace dibattito scientifico in corso sui concetti di patrimonio e identità mostra particolare consonanza di posizioni nell’evidenziare il carattere ambiguo e scivoloso di entrambi⁶. E’ opportuno rilevare che, nell’esperienza di pianificazione in Puglia, tali concetti sono stati intenzionalmente utilizzati con un forte orientamento al futuro, a supporto della realizzazione di un progetto da costruire socialmente e in costante evoluzione. Questo progetto, lungi dall’ancorarsi a un’identità data o dal definirla in modo arbitrario, muove da un’interpretazione densa dei luoghi, delle civilizzazioni che li hanno attraversati e delle loro possibilità evolutive. Nel percorso di formazione del Pptr, come è evidente esaminando l’Atlante del Patrimonio o ripercorrendo i momenti più signi-

Fig. 1 - Una struttura per interpretare il paesaggio

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ficativi della “costruzione sociale del piano”, il paesaggio è stato interessato da un processo di attribuzione di valori e significati, e di rappresentazione di tali valori da parte dei tanti e molteplici saperi coinvolti, con l’intento dichiarato di costruire una prospettiva di sviluppo diverso per il territorio regionale. A tal fine, il Pptr, lungi dall’esprimere una progettualità autoreferente (Gambino, 2000), cerca di intercettare dinamiche in atto nei territori, dando impulso alla creatività di coloro che vivono ed operano nelle realtà locali, e ricerca l’interazione con altri progetti in corso o potenziali volti a promuovere la rinascita dei luoghi e la loro cura. Il paesaggio, come bene patrimoniale identitario, è interpretato dal Pptr nella sua dinamica complessiva, cogliendone le regole generative ed evolutive. Tale interpretazione si pone in contrasto con le idee di fissità, immobilità, difesa, comunemente associate al significato dei concetti di patrimonio e identità, e ai rischi sottesi di scivolamento in un conservatorismo angusto o addirittura reazionario. Il patrimonio, in questo contesto, non è una cosa o un sito, ma un processo cul-


turale che richiede partecipazione attiva, impegno, esperienza⁷. Patrimonio, identità, e le relative percezioni delle popolazioni non sono un dato, ma “un processo di presa di coscienza che il paesaggio è stato costruito dalle generazioni passate ed è trasformato da quelle presenti anche per quelle future”. Peraltro, “non si dà nei territori locali una identificazione stretta fra popolazioni e luoghi: si dà una molteplicità socio-culturale dei luoghi dell’abitare; “abitanti” significa abitanti “locali” ma anche nuovi, residenti stabili, ma anche temporanei, ospiti, city users, presenze multietniche, giovani, anziani, ecc., con percezioni differenziate e a volte conflittuali dei valori del paesaggio⁸.

L’innovazione in pratica: struttura e processo I principi della Convenzione hanno informato le parti più innovative della struttura e del processo di elaborazione, e in particolare: - la connotazione fortemente identitaria e statutaria del quadro conoscitivo; - la connotazione strategica e progettuale del pia-

Fig. 2 - Interpretazione identitaria e statutaria - Stralcio

Fig. 3 - Figura territoriale “Sistema ad anfiteatro dei laghi di Lesina e Varano” - Interpretazione identitaria e statutaria

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no, tesa ad armonizzare le azioni di tutela con quelle di valorizzazione, riqualificazione e riprogettazione, per elevare la qualità paesistico-ambientale dell’intero territorio regionale; - l’importanza attribuita alla costruzione sociale del paesaggio, con la previsione di specifici strumenti di partecipazione e di governance atti a dar voce alla percezione sociale del paesaggio e dei suoi valori da parte delle popolazioni. La struttura del Piano può essere rappresentata evidenziando quattro parti strettamente legate le une alle altre, schematizzate nella Figura 1. La struttura non può essere scissa dal processo che l’ha determinata: in particolare, la produzione sociale del paesaggio, attuata attraverso l’attivazione di forme di governance allargata e di democrazia partecipativa, nelle quali interagiscono una molteplicità di attori pubblici e privati, sociali, economici e culturali. Il processo di produzione sociale del paesaggio connota in modo trasversale l’attività di formazione del piano,

dall’Atlante del patrimonio e dalle sue componenti statutarie, allo Scenario strategico, al sistema normativo, e la gestione sociale del territorio e del paesaggio nella fase attuativa. La Figura elenca l’ampia gamma di strumenti utilizzati nel tentativo di intercettare, coinvolgere, attivare popolazioni diverse, sensibilità diverse, generazioni diverse nella produzione sociale del paesaggio. Nella struttura del Piano la parte identitaria e statutaria, compresa nell’Atlante del patrimonio, è chiaramente distinta da quella strategica. Essa definisce e rappresenta non solo i caratteri identitari dei paesaggi della Puglia ma anche le regole statutarie per la loro conservazione /valorizzazione, riqualificazione/ricostruzione. Queste, confluendo negli obiettivi di qualità paesaggistica, incidono direttamente, come evidenziato dalla freccia in Figura 1, sulla disciplina dei beni paesaggistici e le specifiche prescrizioni d’uso che il Codice richiede di definire per assicurare la conservazione dei valori espressi. Le regole sono intese “come punto di partenza, come metanor-

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me, socialmente condivise attraverso la produzione sociale del Piano, che informano e condizionano azioni e progetti, prescrizioni, indirizzi e direttive”. Rispetto ad esse si misura la coerenza di tutte le trasformazioni territoriali. “L’Atlante, in questa accezione, non ha solo valore interpretativo dei valori patrimoniali ambientali territoriali e paesaggistici, ma assume anche valore di documento statutario che definisce i requisiti fondamentali per trasformazioni socioeconomiche e territoriali”⁹. L’Atlante del patrimonio fornisce la descrizione, interpretazione e rappresentazione identitaria dei paesaggi della Puglia sia alla scala regionale sia per ciascuno degli undici ambiti paesaggistici nei quali il territorio regionale è articolato. Questi ultimi sono stati individuati attraverso la valutazione integrata di una pluralità di fattori¹⁰ e sono a loro volta articolati in figure territoriali che rappresentano le unità minime paesaggistiche riconoscibili per la specificità dei caratteri morfotipologici che persistono nel processo storico di territorializzazione.


Fig. 4 - Scenario strategico - Progetto territoriale “Patto città campagna” - Stralcio dell’Ambito paesaggistico Puglia Centrale

Fig. 5 - Scenario di sintesi: i cinque progetti territoriali per il paesaggio regionale - Stralcio

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Il Piano comprende regole di trasformazione, politiche, azioni, progetti, volti a favorire l’elevamento della qualità dei paesaggi dell’intero territorio regionale, urbano e rurale, includendo oltre che dispositivi volti alla conservazione, azioni di valorizzazione, di riqualificazione, di ricostruzione, in coerenza innanzitutto con la Convenzione europea del paesaggio ma anche con il Codice¹¹. Indirizzi, direttive, prescrizioni e misure di salvaguardia e utilizzazione dettati dal Piano per i beni paesaggistici e gli ulteriori contesti paesaggistici, non si limitano a definire le condizioni di compatibilità degli interventi ma formano parte integrante del Piano. Questo si deve al fatto che la disciplina prevista dalle norme tecniche di attuazione per i beni e gli ulteriori contesti si lega strettamente alle descrizioni dense delle diverse strutture, idrogeomorfologica, ecosistemica e ambientale, antropica e storico-culturale, contenute nell’Atlante del patrimonio. Tali descrizioni riguardano i sistemi e le componenti che strutturano la figura territoriale, ossia le invarianti strutturali, e il relativo stato di conservazione e le criticità che le interessano (fattori di rischio ed elementi di vulnerabilità). Cosicché le regole di riproducibilità volte a elevare la qualità dei paesaggi regionali consistono in regole non solo di salvaguardia, ma anche di riqualificazione, rigenerazione, ricostruzione, valorizzazione. Nei modi sopra indicati è stato affrontato, nell’esperienza concreta di pianificazione pugliese, il problema della distinzione introdotta dal Codice tra i beni paesaggistici, costituiti da aree vincolate in forza della legge, di specifici provvedimenti o degli stessi piani, e il paesaggio, inteso quale forma percepibile del territorio ed esteso all’intero territorio regionale. Una distinzione fra vincoli puntiformi e piani paesaggistici di larga estensione e respiro che il Codice ha cercato di regolare e mettere fra loro in armonia e in gerarchia (Settis, 2010), ma che indubbiamente permane quale fattore che discosta il Codice dalla Convenzione, la cui innovazione principale è individuabile proprio nell’aver fondato il proprio dettato normativo sull’idea che il paesaggio rappresenti un bene in sé, indipendentemente dal valore concretamente attribuitogli¹². Lo Scenario strategico è il cuore della visione progettuale del Piano. Esso comprende l’insieme delle strategie volte a migliorare la qualità del paesaggio regionale, contrastare i processi di degrado, favorire la fruizione socioeconomica

degli elementi patrimoniali identitari. Lo scenario è approfondito, per ciascuno degli undici ambiti paesaggistici, mediante la individuazione delle invarianti strutturali, degli obiettivi di qualità e dei progetti e azioni che il PPTR propone di attivare, per iniziativa di soggetti pubblici o privati. Essi sono riconducibili a categorie progettuali a prevalente indirizzo: a) di conservazione (salvaguardia), b) di valorizzazione (del potenziale inespresso), c) di riqualificazione (delle aree compromesse e degradate), d) di trasformazione (nuovi paesaggi e interventi ricostruttivi). Gli obiettivi generali sono rivolti alla realizzazione dell’equilibrio idrogeomorfologico dei bacini idrografici; allo sviluppo della qualità ambientale del territorio; alla valorizzazione dei paesaggi e delle figure territoriali di lunga durata, dei paesaggi rurali storici, del patrimonio identitario culturale-insediativo e della struttura esteticopercettiva dei paesaggi; alla riqualificazione dei paesaggi degradati delle urbanizzazioni contemporanee; alla progettazione della fruizione lenta dei paesaggi; la riqualificazione, valorizzazione e riprogettazione dei paesaggi costieri; alla definizione di standard di qualità territoriale e paesaggistica nello sviluppo delle energie rinnovabili e nell’insediamento, la riqualificazione e il riuso delle attività produttive, delle infrastrutture e degli insediamenti residenziali urbani e rurali. Il perseguimento degli obiettivi generali e specifici è affidato a cinque progetti territoriali per il paesaggio regionale, la cui finalità è elevare la qualità paesaggistica dell’intero territorio attraverso politiche attive di tutela e riqualificazione in cinque campi che presentano particolari criticità e/o potenzialità e rivestono particolare rilievo anche per le interconnessioni che li legano ad altre politiche regionali: - la Rete Ecologica Regionale (coordinato con l’Ufficio Parchi regionale), per rafforzare le relazioni di sinergia/complementarità con le politiche di conservazione della natura e della biodiversità; - il sistema infrastrutturale per la mobilità dolce (coordinato con il Piano regionale dei trasporti), per rendere fruibili, sia per gli abitanti che per il turismo escursionistico, enogastronomico, culturale ed ambientale, i paesaggi regionali, attraverso una rete integrata di mobilità ciclopedonale, ferroviaria e marittima che recupera strade panoramiche, sentieri, ferrovie minori, stazioni, attracchi portuali, creando punti di raccordo con le grandi infrastrut-

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ture di viabilità e trasporto; - il patto città-campagna (coordinato con le misure di politica agro-forestale e di riqualificazione urbana), per rafforzare le funzioni pregiate delle aree rurali e riqualificare i margini urbani, e così arrestare il lungo ciclo dell’espansione urbana e i relativi inaccettabili livelli di consumo di suolo, mediante il recupero dei paesaggi degradati delle periferie, la ricostruzione dei margini urbani, la realizzazione di cinture verdi perturbane, di parchi agricoli multifunzionali di valorizzazione e di riqualificazione, e di interventi di forestazione urbana (Parchi CO2) intorno alle piattaforme produttive delle città costiere ad alto rischio di crisi ambientale (Taranto, Brindisi, Manfredonia); - la valorizzazione e riqualificazione integrata dei paesaggi costieri con particolare riguardo a waterfront urbani, sistemi dunali, zone umide, urbanizzazioni periferiche, collegamenti infrastrutturali con gli entroterra costieri, navigabilità dolce; - i sistemi territoriali per la fruizione dei beni culturali e paesaggistici censiti dalla Carta dei beni culturali, per integrare questi ultimi nelle invarianti strutturali delle figure territoriali e paesistiche e negli altri progetti territoriali per il paesaggio regionale, oltre che nelle politiche regionali di valorizzazione dei beni culturali. Completano lo Scenario strategico i Progetti integrati di paesaggio sperimentali e le Linee guida. I primi sono parte importante della costruzione sociale del paesaggio, in quanto volti a “far capire dal vivo” agli attori locali la progettualità integrata, multisettoriale e multiattoriale, promossa dal Piano. Essi sono stati promossi sin dalla fase di formazione del Piano, coinvolgendo una cinquantina di enti locali e associazioni nella coprogettazione del parco agricolo multifunzionale dei Paduli nel basso Salento e di un tratto della rete ecologica del torrente del Cervaro in Capitanata, nella riqualificazione di periferie urbane e aree dismesse, nella definizione di percorsi di mobilità lenta, nella creazione di ecomusei e mappe di comunità. Le Linee guida sono raccomandazioni sviluppate in modo sistematico per orientare la redazione di piani e progetti in settori che richiedono un quadro di riferimento unitario di indirizzi e criteri metodologici: dalla qualificazione paesaggistica e ambientale delle infrastrutture viarie alla installazione di impianti energetici da fonti rinnovabili, alla realizzazione di


aree produttive paesisticamente e ecologicamente attrezzate (APPEA), alla riqualificazione delle periferie e delle aree agricole perturbane, al recupero e riuso dei manufatti in pietra a secco, dell’edilizia e dei beni rurali. Le prospettive del Piano paesaggistico della Puglia sono incerte, come sempre accade nel “gioco del piano”, destinato a produrre “effetti sociali e fisici che possono essere conosciuti solo alla fine” (Ferraro, 1998). È certo, invece, che le innovazioni introdotte dalla Convenzione potranno continuare ad avere in Puglia un contesto di ampia sperimentazione solo se si sarà capaci di mantenere attive e costantemente partecipi le popolazioni coinvolte nella produzione sociale del Piano. L’esperienza pugliese dimostra, comunque, che non può darsi per scontato che per coerenza con i principi della Convenzione occorra prevedere il decentramento delle responsabilità pubbliche in materia di paesaggio, e che bisogna fare attenzione a non cadere nella trappola del locale¹³. Maggiore importanza rivestono, nell’applicazione della Convenzione, la visione politica, la propensione all’innovazione di ogni livello di governo, l’apertura alle forme di autorganizzazione e di mobilitazione dal basso per la tutela, valorizzazione e riqualificazione del paesaggio, quali parti rilevanti di politiche di sviluppo locale durevole e autosostenibile. paesaggistica e ambientale delle infrastrutture viarie alla installazione di impianti energetici da fonti rinnovabili, alla realizzazione di aree produttive paesisticamente e ecologicamente attrezzate (APPEA), alla riqualificazione delle periferie e delle aree agricole perturbane, al recupero e riuso dei manufatti in pietra a secco, dell’edilizia e dei beni rurali. Le prospettive del Piano paesaggistico della Puglia sono incerte, come sempre accade nel “gioco del piano”, destinato a produrre “effetti sociali e fisici che possono essere conosciuti solo alla fine” (Ferraro, 1998). È certo, invece, che le innovazioni introdotte dalla Convenzione potranno continuare ad avere in Puglia un contesto di ampia sperimentazione solo se si sarà capaci di mantenere attive e costantemente partecipi le popolazioni coinvolte nella produzione sociale del Piano. L’esperienza pugliese dimostra, comunque, che non può darsi per scontato che per coerenza con i principi della Convenzione occorra prevedere il decentramento delle responsabilità pubbliche in materia di paesaggio, e che bisogna fare attenzione a non cadere nella

trappola del locale¹³. Maggiore importanza rivestono, nell’applicazione della Convenzione, la visione politica, la propensione all’innovazione di ogni livello di governo, l’apertura alle forme di

autorganizzazione e di mobilitazione dal basso per la tutela, valorizzazione e riqualificazione del paesaggio, quali parti rilevanti di politiche di sviluppo locale durevole e autosostenibile.

Fig. 6 - Sito web interattivo: Il paesaggio visto dagli abitanti

Fig. 7 - Mappa di comunità del Sistema degli ecomusei salentini

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Riferimenti bibliografici Barbanente A. (2011), Un piano paesaggistico per la difesa dei beni comuni e uno sviluppo diverso, in Mininni M. V. (a cura di), La sfida del Piano paesaggistico per una nuova idea di sviluppo sociale sostenibile, Urbanistica, n. 147, pp. 60-64 Barbanente A. (2014), Processi e pratiche di pianificazione del paesaggio in Puglia, Urbanistica Informazioni, n. 255, pp. 5-6. Cartei G. F. (2008), Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto”, Aedon. Rivista di arti e diritto on-line, n. 3 (http://www.aedon.mulino.it/archivio/2008/3/ ). Ferraro G. (1998), Rieducazione alla speranza. Patrick Geddes planner in India (1914-1924), Jaca Book, Milano, p. 176 Gambino R. (2000), Intervento in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Conferenza Nazionale per il Paesaggio, Lavori preparatori e Atti, Roma, Gangemi, p. 125. Graham, B.J. and Howard, P. (eds.) (2008), Heritage and Identity, Ashgate, Aldershot, pp. 425–38. Harvey D. (2013), Emerging landscapes of heritage, in

Howard P., Thompson I., Waterton E. (eds.), The Routledge Companion to Landscape Studies, Routledge, London and NewYork, pp. 152-165 Magnaghi A. (ed.) (1998), Il territorio degli abitanti, Milano, Dunod. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Torino, Bollati Boringhieri. Magnaghi A. (2011), “La via pugliese alla pianificazione del paesaggio”, in Mininni M. V., cit., pp. 9-19. Priore R. (2009), No people, no landscape. La Convenzione europea del paesaggio: luci e ombre nel processo di attuazione in Italia, FrancoAngeli, Milano, e i contributi di Purcell M. (2006), Urban democracy and the local trap, Urban Studies, 43, 1921–41 Sciullo G. (2008), Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, Aedon. Rivista di arti e diritto on-line, n. 3 (http://www.aedon.mulino.it/archivio/2008/3/ ). Settis S. (2010), Paesaggio, Costituzione, Cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi, Torino.

Note 1. Mi si permetta di rinviare ad altri scritti per approfondimenti su questi aspetti: Barbanente, 2011 e 2014. Un’illustrazione ampia del piano è in Magnaghi, 2011. 2. Merita ricordare in proposito che l'articolo 135, comma 1, terzo periodo, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, obbliga alla elaborazione congiunta dei piani con il Ministero per i Beni e le attività culturali, limitatamente ai beni paesaggistici, mentre l’art. 143, comma 2, dà facoltà alle Regioni di stipulare intese con i Ministeri sopra indicati “per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici”. 3. A ben guardare, al conflitto in corso da decenni fra Stato e Regioni è imputabile non solo l’indebolimento dei poteri pubblici in termini di defunzionalizzazione e deresponsabilizzazione delle amministrazioni (Settis, 2010), ma anche la parcellizzazione dei saperi tecnici e la mancata condivisione di linguaggi, metodi e tecniche fra i diversi enti pubblici con competenze in materia di paesaggio. 4. Pptr, Elaborato 1, Relazione Generale, p. 12. Per approfondimenti sull’approccio territorialista alla base del piano, si rinvia soprattutto a Magnaghi, 1998 e 2010. 5. I giuristi si sono molto soffermati su questo aspetto, con un approccio che privilegia l’esegesi delle norme rispetto alla osservazione dei percorsi di innovazione che le pratiche possono innescare consentendo di superare i limiti del Codice. Cfr., fra gli altri, Priore, 2009; Cartei, 2008; Sciullo, 2008. 6. Fra tutti, cfr. Graham and Howard, 2008. 7. Su questi temi, cfr. Harvey, 2013. 8. Pptr, Elaborato 1, Relazione Generale, p. 23. 9. Pptr, Elaborato 1, Relazione Generale, pp. 45-46.

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10. Segnatamente, la conformazione storica delle regioni geografiche, i caratteri dell’assetto idrogeomorfologico, i caratteri ambientali ed ecosistemici, le tipologie insediative (città, reti di città, infrastrutture, strutture agrarie), l’insieme delle figure territoriali costitutive dei caratteri morfotipologici dei paesaggi, l’articolazione delle identità percettive dei paesaggi. 11. Per evitare che, nella pratica, si ignori la soft law e prevalgano interpretazioni riduttive delle norme cogenti, è bene richiamare in proposito non solo l’articolo 2 della Convenzione, ma anche l’articolo 135 del Codice, che prevede che “tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito” e che, per ciascun ambito, i piani paesaggistici definiscano apposite prescrizioni e previsioni ordinate non solo alla conservazione dei beni paesaggistici ma anche alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate, alla riduzione del consumo del territorio, e alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali. Questo, nonostante la ben nota discrasia fra la nozione di paesaggio introdotta dalla Convenzione e la distinzione fra paesaggio e beni paesaggistici contenuta nel Codice. Fra tutti, si vedano Priore, 2009 e Settis, 2010, i cui punti di vista rivestono particolare importanza per i ruoli rispettivamente assunti nella redazione della Convenzione e del Codice. 12. Cfr. Priore, 2009. 13. In questa trappola si cade quando si ritiene che il locale sia in ogni caso da preferirsi ad altre scale, presumendo che le decisioni assunte a quella scala siano più democratiche e che, conseguentemente, comportino maggiore giustizia sociale e sostenibilità ambientale (Purcell, 2006, pp.1923–4)


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ESPERIENZE E STRUMENTI

Pianificazione paesaggistica in provincia di Bolzano di Peter Morello e Adriano Oggiano *

* Peter Morello, Urbanista libero professionista in Bolzano; Adriano Oggiano, Ufficio Tutela del paesaggio della Provincia autonoma di Bolzano.

Qualità e diffusione della conservazione del paesaggio agrario alpino Nella Provincia autonoma di Bolzano (Sudtirolo) il paesaggio ha assunto storicamente una rilevante importanza nei processi di definizione e conservazione dei valori fondanti del sistema sociale locale. Degli oltre 500 mila abitanti censiti nel 2011, il 62,3% appartiene al gruppo etnico tedesco, il 23,4% al gruppo italiano e il 4,1% al gruppo ladino¹. Gli italiani risiedono qui da poche generazioni e sono il risultato di una politica di popolamento italiano di questa terra promosso dal fascismo. Le popolazioni sudtirolesi autoctone hanno sempre coltivato attivamente la propria identità etnica riconoscendo, oltre che nella lingua, nel paesaggio agrario tradizionale la matrice fondamentale della loro cultura. Il territorio è formato da 7.400 kmq di ambiente tipicamente alpino: il 59,5% è al disopra dei 1.600 metri sul livello del mare; il 32,2% è tra i 1.600 e gli 800 metri; solo l'8,3% è sotto gli 800 metri di altitudine. E' dunque una regione di accentuata montuosità con consistenti limiti agli usi antropici del territorio. Eppure l'intero territorio presenta un altissimo tasso di antropizzazione diffusa e capillare secondo gli originari modelli di agricoltura alpina. Dai dati del censimento dell'agricoltura del 2010 emerge

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un uso agricolo di oltre il 65% di un territorio impervio caratterizzato da 2.405 kmq di superficie propriamente agricola e 2.006 kmq di superficie boschiva². Ciò avviene ancor oggi, come da molti secoli, con una conservazione del popolamento diffuso della montagna. Altamente armonizzato con il paesaggio naturale, il paesaggio agrario tradizionale e le strutture insediative in esso diffuse sono l'esito storicamente determinato di una lenta ed equilibrata evoluzione del modello di colonizzazione originaria dell'area alpina, iniziato in fase pre-romana dalle popolazioni retiche e perfezionato in fase altomedievale con l'avvento delle popolazioni baiuvare. Attraverso un processo millenario, i contadini della montagna sudtirolese hanno elaborato una compiuta strategia di adattamento ambientale e di comportamento ecologicamente virtuoso, maturando una cultura materiale altamente specializzata, con il maso al centro del sistema della produzione agricola, fondata sulla valorizzazione delle risorse materiali locali e sull'autonomia della produzione e del consumo e una cultura sociale fondata sul rango primario del contadino (Bauer).


I caratteri permanenti del paesaggio sudtirolese I caratteri essenziali del modello di colonizzazione originario hanno improntato il paesaggio antropico sudtirolese diventandone i caratteri permanenti. I limiti geo-morfologici dello spazio fisico, la sintonia ambientale delle modalità d'uso del territorio e la coerenza socio-culturale del sistema hanno prodotto una fondamentale stazionarietà del modello. La marginalità politico-economica dell'area ne ha permesso la resistenza alle tendenze modificatorie che, dall'ottocento in poi, sono state prodotte dai processi di industrializzazione ed urbanizzazione. Un peculiare modello di sviluppo Ad un simile modello paesaggistico ha corri-

sposto negli ultimi decenni la realizzazione di un coerente modello di sviluppo socio-economico che ha garantito a quest'area un alto livello di salvaguardia ambientale e alle sue popolazioni un diffuso benessere economico. Il peculiare modello di sviluppo sudtirolese è il risultato di una strategia politico-culturale che, puntando alla salvaguardia etnica delle popolazioni autoctone, ne ha individuato una condizione essenziale nella conservazione degli assetti territoriali e paesaggistici tradizionali. All'attuazione di tale modello il Sudtirolo è pervenuto con esiti riconoscibili e assai apprezzabili. Basti citare l'impareggiabile esito di salvaguardia paesaggistica così riassumibile: tutta la provincia è sottoposta a pianificazione paesaggistica di dettaglio e il 37,1% del suo territorio è vincolato direttamente in qualità di aree protette.

Territori sotto tutela della natura e del paesaggio (situazione al 31.12.2013) Categoria N. Superficie Percentuale della di tutela ha superficie provinciale Parco nazionale dello Stelvio 1 53.447 7,2 Parchi naturali 7 124.920 16,9 Zone di tutela paesaggistica³ 92.941 12,6 Biotopi 236 3.081 0,4 Monumenti naturali1. 155 Totale 274.389 37,1 Fonte: Ripartizione provinciale natura e paesaggio

Pianificazione e controllo delle trasformazioni L'antropizzazione diffusa e la conservazione del paesaggio alpino-rurale è l'esito di un progetto politico-sociale di conservazione dell'identità etnica che si è esplicitato attraverso il governo delle trasformazioni fin dagli anni '60 e dunque in tempo ancora utile rispetto alle forti pressioni sul territorio conseguenti ai processi di sviluppo economico. Basato sul particolare quadro istituzionale derivante dallo statuto di autonomia speciale, tale progetto si è esplicato: - nei documenti di pianificazione territoriale (“Alto Adige '81” del 1972, il LEP nel 1980 e il LEROP nel 1995); - in un coerente intreccio tra legislazione e tempestive politiche di settore in merito ad alcune questioni nodali (località centrali e servizi alla popolazione; politiche delle aree industriali di interesse provinciale accentrate

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in poli e di aree artigianali diffuse; individuazione di un sistema di aree protette e, specularmente, degli ambiti di sviluppo turistico e degli impianti di risalita; sostegno all'agricoltura e infrastrutturazione viabilistica minore); - in una puntuale e diffusa pianificazione urbanistica alla scala comunale, fortemente controllata dall'amministrazione provinciale, che ha garantito il controllo dell'edificazione e del consumo di suolo e la netta separazione tra insediamenti e paesaggio rurale (tutti i comuni hanno dagli inizi degli anni '70 un proprio piano urbanistico; i piani attuativi redatti dal 1970 ad oggi per nuove zone residenziali sono oltre 1.500); - un sistema articolato di pianificazione paesaggistica di iniziativa provinciale, che oltre al Parco nazionale dello Stelvio, ha istituito e pianificato alla scala di dettaglio 7 Parchi naturali; ha elaborato 7 Piani paesaggistici intercomunali per zone omogenee di notevole valore paesaggistico-naturale, sottoposte a


pesanti assalti antropici; ha elaborato e attuato Piani paesaggistici comunali, coprendo la totalità dei comuni. L'evoluzione della legislazione e degli strumenti operativi Il “maso chiuso” La normativa provinciale prevede che l'azienda agricola costituisca un tutto indivisibile che viene trasmesso a un solo erede, che svolgerà materialmente l'attività produttiva. L'istituto riguarda circa 13 mila masi chiusi⁴ e si configura come uno strumento formidabile contro il frazionamento delle proprietà fondiarie e a favore di una buona gestione del territorio montano. La prima legislazione in materia di paesaggio, urbanistica ed edilizia abitativa Dalla fine degli anni cinquanta la Provincia esercita la propria competenza primaria emanando nel 1957 la prima legge di tutela del paesaggio e nel 1960 la prima legge urbanistica. Tra il 7 novembre 1959 e l'8 novembre 1960 vengono emessi 56 decreti del Presidente della Giunta Provinciale che recano il titolo “Approvazione dell'elenco delle località meritevoli di tutela paesaggistica”, mentre si avvia un processo di pianificazione capillare del territorio. La legislazione del nuovo Statuto di autonomia provinciale L'attività legislativa della Provincia di Bolzano si intensifica negli anni settanta con l'approvazione nel 1970 del Testo unico delle leggi provinciali sull'ordinamento urbanistico e della nuova legge sulla tutela del paesaggio. La legge sulla tutela del paesaggio assume una forma più compiuta della precedente, in quanto supera il puro valore estetico del bene paesaggistico sottolineandone invece le componenti naturalistiche e culturali. Accanto ad una tutela generica, estesa a tutto il territorio provinciale, la legge prevede la possibilità di porre sotto tutela, tramite il “decreto di vincolo paesaggistico”, diverse categorie di beni: tale vincolo ha efficacia a tempo indeterminato e può riguardare singoli beni, interi territori comunali o parti di essi, zone omogenee a livello intercomunale (è il caso dei parchi naturali o dei piani paesaggistici intercomunali).

L'edificazione in verde agricolo La possibilità di costruire nel verde agricolo è disciplinata da un articolo esclusivo dell'ordinamento urbanistico, che presenta dirette connessioni con la tutela del paesaggio. La legge impone l'esplicito divieto di qualsiasi nuova costruzione nel verde agricolo che non sia legata ad una “minima unità colturale” (4 ettari coltivati estensivamente oppure 2 ettari di colture intensive). La residenza rurale ammessa può arrivare ai 1.000 mc. Si è così risolto in modo generalmente soddisfacente il problema di evitare la dispersione edilizia specialmente sui versanti vallivi dove ha storicamente sede il paesaggio più tipico dell'insediamento umano nelle Alpi. I piani paesaggistici intercomunali I piani paesaggistici intercomunali hanno avuto un ruolo ed un'importanza di rilievo, soprattutto negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore della legge di tutela del paesaggio, per la loro funzione talvolta sostitutiva degli strumenti urbanistici, allora ancora in fase di elaborazione. Per zone morfologicamente omogenee di notevole valore paesaggistico-naturale, sottoposte al rischio di pesanti pressioni stagionali e contemporaneamente prive di strumento urbanistico regolatore (Alpe di Siusi, Renon, Merano 2000, laghi di Monticolo e Caldaro, Monzoccolo, ecc.) l'intervento di tutela attraverso un piano paesaggistico intercomunale ha rappresentato l'unico modo concreto per arginare la compromissione irreversibile del territorio. I parchi naturali Accanto al Parco nazionale dello Stelvio, la Provincia ha istituito con decreto sette Parchi provinciali (Sciliar 1974, Gruppo di Tessa 1976, Puez-Odle 1978, Fanes-Sennes-Braies 1980, Monte Corno 1981, Dolomiti di Sesto 1982, Vedrette di Ries 1988). Essi comprendono zone di grandi dimensione con diversa tipologia di paesaggio culturale e naturale, per lo più localizzate nella fascia di bosco e pascolo alpino fino all'alta montagna. Nei Parchi provinciali è ammessa ed anche promossa l'utilizzazione agricola e alpestre tradizionale, ma vengono vietate l'edificazione, la costruzione di linee elettriche ed impianti di risalita, l'attività mineraria ed

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estrattiva, lo sfruttamento delle risorse idriche, la circolazione dei veicoli a motore, la raccolta di fiori, funghi, minerali. I Parchi provinciali privilegiano l'interesse scientifico-naturalisticoeducativo, piuttosto che quello ricreativo e pertanto si differenziano nettamente dalla maggioranza degli altri Parchi regionali italiani. I piani paesaggistici comunali Entro la prima metà degli anni settanta tutti i comuni della provincia si dotano di propri Piani urbanistici comunali. Gli spazi per la pianificazione paesaggistica si riducono ed è inevitabile il ripiego sul vincolo, come unica forma di argine a scelte di usura ambientale. L'attività di istituzione dei vincoli è stata particolarmente intensa: dal primo decreto di vincolo paesaggistico comunale del 1977 ad oggi la totalità dei comuni risulta pianificata, per iniziativa diretta della Provincia. Il vincolo paesaggistico comunale, dal 1980 ridenominato piano paesaggistico comunale, si presenta nei contenuti come uno strumento articolato e puntuale. Da un lato parte da un criterio di zonizzazione ricalcando l'impostazione dei piani urbanistici comunali ed individuando zone corografiche che possono essere costituite da zone di rispetto, verde agricolo, zone di paesaggio naturale e di interesse storico-culturale; dall'altro interviene evidenziando e tutelando elementi puntuali del paesaggio come monumenti naturali od oggetti singoli di interesse etnologico. Infine può introdurre strumenti attivi che possono andare dalla previsione di nuovi percorsi pedonali, ciclabili o di parcheggi, alla regolamentazione del traffico, dal ripristino di danni paesaggistici, fino alla previsione di particolari strumenti di salvaguardia su realtà che si ritengano di eccezionale interesse paesaggistico. Divieti assoluti vigono solo in poche e limitate zone come i biotopi, i parchi e i giardini. Un bilancio della conservazione Ciò che maggiormente colpisce di questo modello di conservazione virtuosa è la sua omogenea diffusione su tutto il territorio provinciale. Siamo obiettivamente di fronte all'esito positivo di una strategia organica ed efficace di gestione del territorio. Merita dunque interrogarsi sulle ragioni della efficacia del modello sudtirolese.


Gli specifici strumenti pianificatori e amministrativi, sopra analizzati, non paiono contenere in sé le ragioni esclusive dell'efficacia. Si tratta di strumenti “semplici e ordinari” che coprono l'intero territorio, vengono concretamente applicati, se ne controllano gli esiti e sono regolarmente aggiornati. Ci sono inoltre risorse finanziarie, notevoli e certe, riservate alle problematiche paesaggistiche e obiettivamente incentivanti. Tali risorse vengono impiegate bene e diffusamente, sono di facile accessibilità, sono erogate con prontezza, sono rigorosamente controllate. C'è, in sostanza, un costume serio e pragmatico di buona amministrazione che garantisce l'indispensabile pre-condizione di efficacia della pianificazione. Sarebbe però assai riduttivo pensare che il successo della pianificazione paesaggistica (e territoriale) derivi dalla buona amministrazione, seppur fondamentale. Concorrono a questo successo una serie di condizioni peculiari della realtà sudtirolese che meritano di essere riconosciute all'interno della fondamentale coincidenza tra il progetto di territorio e il progetto di società che in questa terra si realizza al massimo grado possibile. Intendiamo dire che la ragione prima e fondamentale dell'efficacia del progetto di conservazione-valorizzazione paesaggistica e dei suoi esiti virtuosi sta nel profondo radicamento identitario delle popolazioni sudtirolesi nel loro territorio e, nella fattispecie, nelle forme storicamente determinate del paesaggio culturale. E' proprio nella forte coincidenza di topos e di ethnos che si fonda il logos di un progetto attuabile in quanto

condiviso.

guida natura e paesaggio devono quindi essere integrati nelle diverse politiche settoriali.

Problemi e prospettive di innovazione Pur in presenza di una situazione complessiva di perdurante equilibrio socio-economico e ambientale, il modello sudtirolese è oggi esposto a grandi rischi che devono essere fronteggiati con una rinnovata progettualità capace di intervenire sui caratteri essenziali e positivi del modello sudtirolese, rinnovandone le capacità di interpretazione dei valori ambientali e delle attese socio-culturali più autentiche. In questo quadro si collocano positivamente le “Linee guida: natura e paesaggio in Alto Adige” approvate nel 2002. Senza sostituire gli strumenti classici della pianificazione paesaggistica fondata sui vincoli di tutela, il nuovo strumento ne unifica e perfeziona gli obiettivi strategici, gli ordinamenti classificatori e la finalizzazione strumentale. Il Piano di settore si prefigge di regolamentare lo sviluppo futuro del paesaggio altoatesino mantenendo una “natura intatta” e la “varietà del paesaggio”. Elaborato con modalità partecipativa e un approccio intersettoriale, affianca a politiche di tutela strategie di prevenzione e cooperazione con gli altri soggetti (istituzioni, comuni e organizzazioni ambientaliste). Il punto centrale delle “linee guida natura e paesaggio” sta nell'analisi delle interazioni tra la tutela della natura e del paesaggio e le diverse forme di utilizzazione del territorio, come l'agricoltura, la selvicoltura e la caccia, la gestione delle risorse idriche e l'energia, il turismo, il tempo libero, la ricreazione e la pianificazione territoriale. Gli elementi maggiormente rilevanti per le linee

Valutazione e controllo degli interventi nel paesaggio Questa intensa e dettagliata pianificazione paesaggistica trova la sua efficacia nei motivi più generali cui abbiamo fin qui accennato, ma certamente anche nella gestione della tutela del paesaggio. Risulta quindi necessario e utile riassumere come sia strutturato attualmente il sistema di valutazione e controllo degli interventi nel paesaggio in Sudtirolo. Autorizzazione paesaggistica Anche in Sudtirolo la prima autorità paesaggistica è il sindaco di ogni comune. Nella commissione edilizia comunale il sindaco è affiancato da un esperto in urbanistica e tutela del paesaggio nominato dall'assessore provinciale competente che esamina e verifica la compatibilità degli interventi con gli strumenti urbanistici e paesaggistici e la relativa normativa in vigore. La legge tutela del paesaggio e le norme di attuazione dei singoli strumenti di piano paesaggistico definiscono le tipologie di interventi che sono sottoposte ad autorizzazione provinciale (nel 2014 sono stati 1.166 i progetti provenienti dal territorio e valutati dall'amministrazione provinciale, di cui 448 trattati dalla commissione provinciale per la tutela del paesaggio, 408 direttamente dall'ufficio competente e 310 attraverso la procedura di valutazione di impatto ambientale).

Richieste di esame interventi nel paesaggio

Commissione tutela del paesaggio Parere d'ufficio Conferenza di servizi in materia ambientale e Comitato Ambientale Pareri emessi con autorizzazione paesaggistica provinciale

2012 N. 620 361

% 47,2 27,5

2013 N. 472 387

% 39,1 32,1

2014 N. 448 408

% 38,4 35,0

333

25,3

348

28,8

310

26,6

1.314

100,0

1.207 100,0

1.166

100,0

Fonte: Ufficio Tutela del Paesaggio – PAB – 2015

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Concretamente questa procedura significa che in Sudtirolo, fin dal livello comunale è prevista una valutazione e discussione sull'impatto degli interventi nel paesaggio e che è in qualche modo condivisa grazie alla presenza a livello locale di un sistema di valutazione diffuso su tutto il territorio il cui “garante” è l'esperto provinciale che siede nella commissione edilizia. Per condividere una piattaforma comune di valutazione degli interventi sono stati elaborati “Criteri ed indirizzi per la tutela del paesaggio” (http://www.provincia.bz.it/naturaterritorio/te mi/kriterien-richtlinien.asp), che forniscono un metodo di redazione dei progetti anche attraverso la compilazione di una check-list (sintesi degli elementi significativi del paesaggio, dei dati progettuali, delle mitigazioni e compensazioni) per definire con più coerenza le misure di valorizzazione degli elementi paesaggistici adottate nel progetto (con la redazione di una relazione paesaggistica, strumento già contenuto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio). Da una parte si garantisce così una certa valutazione omogenea su scala territoriale, dall'altra si crea però necessariamente un affiancamento dell'autonomia decisionale locale comunale attraverso la presenza di un esperto esterno provinciale. Questo è un tema la cui efficacia dovrebbe essere meglio approfondita: come può la delega della decisione verso l'autonomia comunale garantire anche qualità e attenzione nei confronti delle caratteristiche del territorio, riconosciute come valore della/dalla comunità e bene comune spesso non riproducibile o reversibile? Quali devono essere le strutture e il sistema che possono consentire anche nel futuro, insieme, la trasformazione consapevole del territorio e la conservazione dei suoi valori culturali? Questa strategia va attuata per livelli su scala territoriale? Tutela degli insiemi La legge urbanistica provinciale ha introdotto nel 2007 la procedura di tutela degli insiemi che rientra tra le competenze e le iniziative dei Comuni. È stato istituito invece a livello provinciale il Comitato di esperti per la tutela degli insiemi (tre membri interni all'amministrazione dei settori urbanistica, tutela del paesaggio e dei beni culturali) che svolge una fun-

zione consultiva: fornisce supporto ai Comuni nelle questioni tecniche. La responsabilità per la conservazione dell'identità culturale e delle specificità locali è dunque compito delle amministrazioni locali, che sono tenute a: - predisporre un elenco degli immobili da sottoporre a tutela con i relativi interventi conservativi, - a fornire a questi insiemi un'efficace tutela giuridica tramite il loro inserimento nel piano urbanistico comunale. Per l'individuazione di un insieme devono ricorrere almeno due dei dieci criteri che la Giunta Provinciale ha definito nel 2004: 1. valore storico 2. carattere pittoresco 3. carattere monumentale riferito alla disposizione delle costruzioni in rapporto reciproco e col paesaggio 4. connotazione stilistica, e cioè unitarietà stilistica oppure voluta commistione stili diversi 5. figurabilità, quali leggibilità, apparescenza, capacità di orientare 6. panoramicità, quali vedute focalizzate e scorci prospettici verso l'esterno e prospettiva 7. memoria collettiva 8. permanenza dell'impianto urbano, e cioè leggibilità di un piano, di un programma oppure di un atto fondativo, che hanno determinato la morfologia insediativa 9. permanenza della tipologia edilizia 10. elementi naturali e di geomorfologia, carattere naturale se collegato all'opera dell'uomo Gli “insiemi” sono gruppi di elementi di particolare rilevanza storica, culturale ed estetica, che determinano in misura sostanziale il carattere, l'immagine e l'identità di un dato luogo, conferendogli un particolare valore (la legge urbanistica li definisce così: “Insiemi di elementi (Ensemble), in particolare vedute di strade, piazze e parti edificate, come pure i parchi e giardini con edifici, compresi i singoli elementi di tali impianti costituiti dal verde, da spazi liberi e specchi d'acqua, sono sottoposti nel piano urbanistico a particolare tutela, se il loro mantenimento è dettato da motivi di ordine scientifico, artistico o di cultura locale”). La proposta si concretizza con la redazione di specifiche norme di conservazione che indicano i parametri entro i quali va orientata l'eventuale successiva adozione di un parere su progetti di trasformazione dei beni. La tute-

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la degli insiemi non equivale però al divieto di intervento e/o di trasformazione, ma può consentire interventi che si adeguino ai valori indicati al momento dell'individuazione. Per centri più grandi è stato implementato un procedimento interno all'amministrazione comunale: in caso d'insiemi molto grandi e complessi (interi quartieri) è talvolta molto difficile elencare in maniera dettagliata ed esauriente le possibili regole e le norme che sarebbero necessarie per un'efficace tutela. Le città di Bolzano e Bressanone hanno previsto un organo di valutazione per gli insiemi a livello comunale (composto da esperti nei settori architettura, urbanistica, tutela dei monumenti e tutela paesaggistica). Questo modello comporta un notevole impiego di tempo e risorse, ma consente anche, in situazioni difficilmente inquadrabili sul piano normativo, di proseguire un'attività edilizia qualitativamente valida nel rispetto delle caratteristiche dell'insieme. Dall'adozione della delibera vige una clausola di salvaguardia (sono vietate le opere in contrasto con le norme del piano per la tutela degli insiemi adottate dal Comune). In caso di individuazione di insiemi o di varianti al piano urbanistico che interessino insiemi di elementi sottoposti a tutela, un rappresentante del Comitato di esperti è invitato a partecipare alle sedute della Commissione provinciale per la natura, il paesaggio e lo sviluppo del territorio (questo il nome della Commissione che si occupa dei piani) che valuta la modifica del piano. Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio La ripartizione Natura, paesaggio e sviluppo del territorio ha istituito nel dicembre 2005 il Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio per offrire a tutti i cittadini e alle amministrazioni che si occupano di edilizia un servizio di consulenza, destinato a promuovere la qualità del paesaggio. Il Comitato è nato con l'intento di contribuire alla creazione di un fattivo dialogo fra committenti, autorità, Comuni e progettisti su interventi di qualità realizzati nel paesaggio. Svolge un'attività facoltativa di consulenza in caso di interventi particolarmente delicati o significativi. Può essere paragonato all'attività svolta dal Gestaltungsbeirat, per primo insediato dalla Città di Salisburgo nel 1983. Il metodo di parte-


Tutela degli insiemi nei Piani Comunali su 116 Comuni

non ancora inseriti 30 (26%)

(stato 27.04.2015)

in elaborazione 33 (28%) gia inseriti 53 (46%) Fonte: Uffici Urbanistica Nord-ovest e Sud-est – PAB – 2015

cipazione è stato in parte anche ripreso dalla “negoziazione” in materia edilizia (mündliche Bauverhandlung) prevista con sopralluogo dalle normative austriache per il rilascio dei permessi di costruire (Baubewilligung). Con la differenza che mentre quella procedura presente in quasi tutto il territorio austriaco è obbligatoria e si conclude con l'iter di emissione del permesso, i pareri del Comitato possono essere richiesti liberamente da tutti i cittadini e

non contengono prescrizioni, ma solo suggerimenti per un miglioramento dei progetti. Il Comitato, grazie alla partecipazione di tutti i possibili soggetti coinvolti, sviluppa alternative progettuali alla ricerca di un equilibrio favorendo un incremento della cultura architettonica locale. Le competenze e i compiti degli organi decisionali e consultivi vigenti e gli iter autorizzativi dei progetti, rimangono del tutto invariati.

Il Comitato al suo quarto mandato è composto da tre architetti che, grazie alle loro opere nel contesto alpino, godono di un riconoscimento internazionale, anche se non vivono e lavorano in Alto Adige (attualmente provengono dalla Carinzia, Canton Grigioni e Veneto). Ciò garantisce un punto di vista esterno e neutrale nella valutazione dei progetti e al tempo stesso una visione d'insieme della complessa problematica specifica dell'architettura alpina.

Il Comitato sul luogo in dialogo con proprietari, progettisti e amministratori locali. Fonte Ufficio tutela del paesaggio 2015

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Un esempio di progetto nel centro del paese di Sluderno esaminato in piÚ consulenze dal Comitato e richiesto dal Comune – Fonte Ufficio tutela del paesaggio 2015

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Anche in questa attività sono definiti criteri di particolare importanza che ricorrono sempre nella valutazione dei progetti che si analizzano: - sviluppo degli insediamenti urbani e prevenzione della dispersione edilizia; - inserimento nel contesto paesaggistico e in quello edificato: progettazione attenta alle caratteristiche del luogo, controllate modifiche della morfologia del suolo, utilizzo contenuto di muri di sostegno e riporti di terra; - proporzioni e volumi degli edifici: la dimensione delle costruzioni si dovrà conformare alla forma del terreno e agli edifici esistenti; - allacciamento stradale dei lotti: l'allacciamento stradale della nuova costruzione dovrà avvenire utilizzando meno superficie possibile; - creazione di spazi di relazione: particolare attenzione dovrà essere dedicata alla configurazione e alla qualità degli spazi esterni tra gli edifici; - scelta dei materiali: materiali il più possibile locali, reinterpretandoli per le esigenze attuali; - scelta delle forme: forme elementari, semplici, chiare e riferite alla tradizione costruttiva invece che scelta casuale di elementi stilistici o contrasti spettacolari. Il comitato si ritrova ogni due mesi. Vengono ammesse proposte che si trovano in fase preliminare di progettazione. La richiesta è

corredata da una descrizione del progetto (1 pagina DIN-A4), fotografie del luogo e delle sue immediate vicinanze, schizzi progettuali, eventuali progetti di massima, plastici, ecc. e si conclude con l'emissione di un parere. L'esperienza ha già creato delle ulteriori iniziative a livello comunale come per esempio a Merano. Nei prossimi mesi si promuoveranno iniziative oltreconfine con i Länder Tirol e Steiermark (Innsbruck, Graz) in modo da condividere una rete culturale per lo scambio delle conoscenze e si guarda al modello della Fondazione per la cultura architettonica germanica (Bundesstiftung für Baukultur) di Berlino. È interessante notare che l'esperienza del Sudtirolo si differenzia da queste d'oltralpe per la sua estensione al di fuori dei centri urbani e per la sua attenzione all'edificazione in stretta connessione con il valore del contesto paesaggistico. Elemento quest'ultimo unico nel panorama della rete culturale appena citata. La rete consentirà in futuro di integrare le esperienze tra territori omogenei o, almeno, confrontabili per tipo di economia, morfologia, cultura, lingua. Aiuterà soprattutto a implementare un metodo più raffinato, grazie alle esperienze consolidate, agli aspetti vincenti e ai limiti dei processi in atto nelle diverse regioni e amministrazioni.

Attività del Comitato per la cultura architettonica ed il paesaggio: 2006 - 2014

Giornate di consulenza Prime consulenze Accompagnamento successivo dei progetti Totale consulenze

2006 - 2008 35 128 37 165

2009 - 2011 31 113 50 163

2012 - 2014 21 69 36 105

Totale 87 310 123 433

Note 1. La quota rimanente, pari al 10,3%, classificata come “altri”, comprende le dichiarazioni non valide, le persone temporaneamente assenti e gli stranieri residenti. 2. Merita evidenziare che rispetto al precedente censimento del 2000 vi è stato un calo consistente della superficie agricola utilizzata (SAU) e di quella boschiva e quindi della superficie agricola totale (SAT). La SAU era pari a 2.674 kmq, la superficie boscata a 2.374 kmq e la superficie agricola totale a 5.502 kmq, pari al 74% della superficie territoriale. 3. Superfici con specifici vincoli paesaggistici nei 113 Piani paesaggistici comunali e 4 intercomunali. 4. Nel 2009 i masi chiusi erano 13.334, pari ad oltre la metà di tutte le 26.285 aziende agricole.

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ESPERIENZE E STRUMENTI

Osservare e governare le trasformazioni del paesaggio agrario di Marco Devecchi *

*Marco Devecchi – Presidente dell'Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano

Premessa In Italia, il paesaggio appare sempre più come l'elemento essenziale di uno sviluppo economico sostenibile legato alle peculiarità ambientali e alle eccellenze alimentari. In campo agrario, l'aspetto vincente delle produzioni non si misura più, infatti, solo in termini meramente “organolettici”, ma anche sui temi della salvaguardia ambientale e della cura ed attenta gestione del paesaggio, quali caposaldi della qualità e tipicità dei prodotti stessi. I paesaggi agrari che ancor'oggi rappresentano un elemento di forte caratterizzazione delle singole realtà territoriali sono quelli che denotano un intervento equilibrato dell'uomo sugli elementi naturali; sono quelli che offrono una chiara presenza di segni storici e di nessi leggibili tra struttura e uso del suolo. Il settore agricolo, in questi ultimi anni, appare sempre più deputato a svolgere una pluralità di funzioni, oltre ai riconosciuti ambiti tradizionali. Quanto mai importanti appaiono il mantenimento dell'assetto idrogeologico, la conservazione dei paesaggi dotati di rilevanti valenze storico-culturali, il mantenimento della biodiversità. Gli agricoltori, in questa prospettiva, possono certamente contribuire a conservare e a produrre in modo efficace paesaggi di alta qualità, attraverso una attenta “cura” del territorio in cui operano, affinché esso mantenga e rafforzi i

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caratteri di qualità formale e di identità storica, evitando in modo scrupoloso inutili compromissioni. Questi obiettivi possono nel complesso essere conseguiti anche con adeguati incentivi/sostegni economici, così come promuovendo studi e iniziative per il mantenimento e il miglioramento del paesaggio agrario. In questa lungimirante prospettiva di azione, la pianificazione alle diverse scale deve necessariamente prestare una costante e continua attenzione al paesaggio, valorizzando gli elementi di singolarità, di identità e di equilibrio e prevenendo nel contempo le trasformazioni fonte di alterazione e dissonanza. In quest'ottica si colloca il dettato innovativo della Convenzione Europea del Paesaggio, che ribadisce il principio per cui “il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale” e soprattutto che esso “costituisce una risorsa favorevole all'attività economica, e che, se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro”. Il valore del paesaggio agrario: il caso del Monferrato astigiano Il Piemonte, con particolare riferimento alla realtà collinare del Monferrato astigiano, ha espresso nel tempo uno dei paesaggi più singolari e cul-


turalmente rilevanti a livello internazionale, trovando in particolare nella coltivazione della vite l'elemento cardine della connotazione del territorio. La rilevanza di questo patrimonio è tale da aver giustamente ottenuto l'alto riconoscimento internazionale da parte dell'UNESCO, come “Patrimonio dell'Umanità” insieme a Langhe e Roero, potendo configurarsi come fattore di crescita positivo per innescare un circolo virtuoso di azioni finalizzate ad un concreto e sostenibile sviluppo del territorio. Nel paesaggio agrario del Monferrato è possibile chiaramente leggere la lunga e faticosa attività dell'uomo per adattare alle esigenze delle diverse colture le asperità del territorio. Si tratta di un lavoro che ancor'oggi trova un puntuale riscontro nella scansione dei campi, nei fossati e canali irrigui e nei poderosi interventi di sistemazione dei rilievi collinari¹. La bellezza ed originalità del paesaggio agrario del Monferrato e dell'Astigiano deriva, infatti, dall'ordinata successione dei filari, dall'organizzazione del territorio secondo moduli geometrici, ripetuti regolarmente da un colle all'altro, secondo peculiari disegni, dovuti alle attente sistemazioni idraulico-agrarie dei versanti. Si tratta, in altri termini, di un paesaggio agrario frutto non solo di radicate attività produttive, ma, in primo luogo, espressione di una cultura in “campo agronomico”, ispirata ad una sapiente gestione del territorio che ha saputo preservarlo nel passato da gravi fenomeni di dissesto. Il paesaggio agrario dell'Astigiano e del Monferrato acquista da questo punto di vista un importante valore di memoria e di testimonianza dell'antico rapporto tra uomo e natura nella continua reinterpretazione delle potenzialità del territorio. In quest'ottica, il paesaggio nella realtà monferrina sta fortunatamente divenendo l'elemento essenziale anche di un nuovo turismo legato alle tipicità ambientali² e alle eccellenze enogastronomiche³. Le produzioni legate al benessere e al tempo libero, come il vino, hanno infatti assolutamente bisogno di luoghi in cui identificarsi, essendo il loro valore intimamente legato alla qualità dei paesaggi agrari di origine⁴. Il Monferrato e l'Astigiano vantano un'ampia gamma di eccellenze enogastronomiche riconosciute a livello internazionale, comprendenti numerosi vini DOC e DOCG, formaggi DOP e, non ultimi, i PAT⁵ (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) che annoverano produzioni con tradizioni consolidate nel tempo (almeno un quarto di secolo). Legare il prodotto al territorio risponde piena-

mente alle attuali tendenze del consumatoreviaggiatore che nella scelta di un luogo turistico ricerca il connubio tra ricchezza paesaggisticoculturale e quella enogastronomica. In quest'ottica, un buon paesaggio deve essere attraente e, quindi, armonioso e ordinato, ma non per questo monotono. Gli itinerari enogastronomici, quali ad esempio le Strade dei Vini e dei Sapori, esprimono compiutamente il successo dei tentativi volti a sensibilizzare il consumatore verso prodotti di qualità, valorizzando quindi le produzioni agroalimentari regionali⁶. Si tratta di percorsi destinati ad ottimizzare la fruibilità delle zone vitivinicole, ove insistano importanti valori naturali e culturali, quali vigneti e cantine di aziende singole o associate aperte al pubblico in una cornice di attrattive paesaggistiche, storiche ed artistiche di pregio. In tale prospettiva, sempre più viticoltori astigiani iniziano ad unire la produzione vinicola all'offerta di servizi per il tempo libero, come la degustazione dei prodotti aziendali e l'agriturismo. Un paesaggio del vino di qualità deve manifestare chiari caratteri di ruralità, intesa come equilibrato insieme di elementi naturali e presenza antropica. Appare soprattutto fondamentale che gli agricoltori, ma anche gli agronomi, gli architetti e i pubblici amministratori si accordino in ogni singola realtà sulle regole per produrre paesaggi che siano cornici adeguate al “buon cibo”. Altre realtà di pari pregio paesaggistico, quali le Cinque Terre in Liguria, hanno trovato nel riconoscimento a livello internazionale da parte dell'UNESCO uno strumento estremamente efficace per conciliare le differenti esigenze di promozione del territorio viticolo e la salvaguardia attiva del paesaggio. In questa logica di nuova attenzione ai temi del paesaggio, appare fondamentale che le “azioni attive” di coinvolgimento delle comunità locali possano portare alla definizione di modelli di governance sempre più avanzati nello spirito della Convenzione europea del paesaggio. Grande interesse rivestono, in questa prospettiva, gli Osservatori del paesaggio – previsti espressamente nelle linee guida (Art. 10), emanate dal Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d'Europa, in data 8 febbraio 2008. Tali realtà associative, già ampiamente diffuse in Piemonte e in altre regioni italiane, possono certamente rappresentare una importante opportunità anche per la governance dei contesti agrari. In Italia sono stati costituiti nel corso dell'ultimo decennio diversi tipi di Osservatori del paesag-

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gio, denominati bottom-up quelli di espressione diretta della società civile e top-down quelli invece istituiti dalle pubbliche amministrazioni. Il ruolo degli osservatori del paesaggio bottomup Gli Osservatori del Paesaggio bottom-up sono associazioni aventi come finalità specifiche la conoscenza, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio paesaggistico dei territori di pertinenza, attraverso la condivisione dal basso delle diverse sensibilità, esperienze ed aspirazioni sociali e culturali in tema di paesaggio, nell'ottica di una più ampia partecipazione democratica alle scelte di governo. Il paesaggio appartiene a tutti gli individui che in esso vivono e si riconoscono. Gli Osservatori del paesaggio credono, infatti, nell'apporto privilegiato dei fruitori del paesaggio al processo di definizione dei principi e linee guida della gestione del territorio, essendo evidente che chiunque alteri un paesaggio, lo modifichi o lo distrugga sottrae un bene non rinnovabile alla collettività ed una memoria materiale e spirituale che è l'identità di ciascuno. Il paesaggio, infatti, non può e non deve essere più considerato come bene illimitatamente disponibile e gratuito. Gli Osservatori del paesaggio individuano proprio nella preliminare ed attenta lettura storica del paesaggio il punto di partenza per qualunque trasformazione, essendo possibile scorgere nel paesaggio i segni lasciati da ogni generazione che si è succeduta. Gli Osservatori del paesaggio fanno esplicitamente riferimento a metodologie di studio, valutazione e pianificazione improntate alla multidisciplinarietà, riconoscendo il fondamentale ruolo svolto dalle associazioni culturali e professionali che operano sul territorio con finalità di tutela/valorizzazione paesaggistico-ambientale. Gli Osservatori intendono, inoltre, promuovere una crescita culturale e di sensibilità verso le tematiche della salvaguardia e valorizzazione del paesaggio, favorendo iniziative volte a stimolare studi ed interessi, presso scuole e pubbliche amministrazioni. In questo contesto culturale di crescente attenzione nei riguardi delle tematiche ambientali e del paesaggio ha avviato la propria attività il 24 maggio 2003 l'Osservatorio del paesaggio, per il Monferrato e l'Astigiano⁷, frutto di una proficua convergenza di differenti sensibilità e competenze di studiosi e professionisti a vario titolo operanti nella realtà astigiana. Il lavoro preparatorio alla costituzione della nuova associazione ha trovato un pun-


to qualificante di sintesi nel “Manifesto di intenti”⁸, sottoscritto poi dai soci fondatori dell'Osservatorio del paesaggio astigiano. Progettare il paesaggio nel contesto astigiano, con particolare riferimento a quello agrario, non costituisce certamente un fatto ascrivibile alla sola estetica, ma rappresenta un problema complesso che investe la sfera della cultura, della scienza e della tecnica. Investe cioè tutti gli aspetti dell'operare sul territorio, rendendo essenziale un approccio di tipo strettamente multidisciplinare per poter giungere ad una approfondita conoscenza di tutti i diversi e complessi aspetti storico-culturali ed ambientali tra loro fortemente connessi ed interagenti⁹. Fortunatamente la crescente sensibilità verso le tematiche ambientali ha avuto nel corso degli ultimi anni l'importante merito di far emergere il principio basilare della gestione territoriale che individua proprio nel paesaggio una risorsa straordinaria di sviluppo economico, se correttamente compresa, fruita e valorizzata. In questa logica l'Osservatorio del paesaggio ha portato avanti diverse iniziative – di cui si dà conto nel presente saggio - che hanno riscosso un ampio interesse con proficue ricadute operative. Attività di osservazione e conoscenza del paesaggio agrario astigiano Particolare importanza è stata riservata dall'Osservatorio astigiano allo studio ed osservazione del paesaggio agrario locale, anche nella prospettiva di una più efficace valorizzazione del patrimonio esistente. In particolare, la comprensione puntuale delle peculiarità del paesaggio è stata condotta tramite la realizzazione dell'Atlante del paesaggio Astigiano con la raccolta di oltre 25.000 immagini dei diversi comuni del territorio provinciale, fornite da parte di decine di fotografi volontari. Si tratta di uno strumento di osservazione gestito on-line, grazie alla pubblicazione di tutto il materiale raccolto sul sito internet dell'Osservatorio. A conforto dell'interesse per le informazioni contenute nell'Atlante e nel sito in generale, sono giunti i dati relativi alle statistiche di fruizione che nel corso del 2014 hanno visto un numero di visitatori superiore alle 400.000 unità. Questo tipo di iniziativa fa seguito ad esperienze analoghe maturate in Italia e all'estero, in cui - tramite la fotografia - si è conseguito il duplice obiettivo di favorire l'osservazione precisa e puntuale del paesaggio e nel contempo la condivisione delle infor-

mazioni attraverso la rete internet. Tale approccio rappresenta, inoltre, una formidabile opportunità di documentazione costante e continua dei paesaggi locali, utile anche per poterne verificare nel tempo le trasformazioni. Nello sforzo di conoscenza e lettura puntuale dei paesaggi agrari astigiani, un'attenzione particolare è stata rivolta, in oltre un decennio di attività, alla singolare realtà paesaggistica del nord della provincia di Asti caratterizzata da una sorprendente commistione di coltivi, boschi e Chiese romaniche. La comprensione delle ragioni di una presenza sparsa nelle campagne astigiane di oltre una quarantina di chiese romaniche “campestri” è stata oggetto di appositi studi incentrati sulle modificazioni intervenute nel periodo medioevale circa la localizzazione degli insediamenti abitativi. La singolarità di questi paesaggi agrari astigiani così come ora sono percepiti a distanza di molti secoli dai primi fenomeni insediativi - accanto alla pregevolezza architettonica delle pievi, ha consentito l'avvio di una loro efficace valorizzazione a livello internazionale. Al riguardo, con un proficuo lavoro congiunto tra l'Osservatorio del paesaggio, la Soprintendenza di Torino e la Regione Piemonte si è riusciti ad inserire nel 2009 la Canonica di Santa Maria di Vezzolano, quale esempio più noto del Romanico astigiano, all'interno del grande Itinerario culturale del Consiglio d'Europa, denominato Transromanica, in precedenza connesso per la realtà italiana solo ai celeberrimi monumenti di Modena e a Reggio Emilia. La divulgazione delle attività di osservazione ed interpretazione dei paesaggi astigiani, improntate ad un forte approccio multidisciplinare, si è inoltre concretizzata attraverso la pubblicazione di una collana editoriale sul paesaggio da parte della locale Cassa di Risparmio di Asti con i volumi su “Il paesaggio del Romanico astigiano”, “Il paesaggio dipinto. Astigiano, Langhe e Roero” e “Il paesaggio astigiano. Identità, Valori, Prospettive”. Attività di partecipazione pubblica alla definizione del piano paesaggistico regionale: gli “stati generali del paesaggio astigiano” Nel corso del 2008, sulla scia della procedura prevista dalla Regione Piemonte¹⁰ per la definizione del nuovo Piano paesaggistico regionale, è stato avviato in modo autonomo dall'Osservatorio un processo di elaborazione di nuove strategie di governo del paesaggio - denominato “Stati generali del paesaggio astigiano” - attraverso il coin-

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volgimento delle comunità locali. In questa prospettiva sono stati realizzati numerosi incontri pubblici sul territorio provinciale ad Asti, Rocca d'Arazzo, Moncucco Torinese, Rocchetta Tanaro, Villafranca d'Asti ed Antignano per meglio conoscere i contenuti del Piano Paesaggistico Regionale, in riferimento alle diverse Unità di Paesaggio dell'Astigiano, e per contribuire concretamente alla definizione di linee di azione utili per la salvaguardia del paesaggio stesso. Tale capillare lavoro di ascolto è stato realizzato con il contributo corale e fattivo di numerose associazioni e gruppi operanti in ambito locale, interessati ad una nuova modalità di gestione delle problematiche inerenti le trasformazioni del paesaggio, con particolare riferimento al contesto agrario. I risultati conclusivi sono stati messi a disposizione dei diversi Enti territoriali interessati (provincia, regione e singole realtà comunali), nella prospettiva di una più efficace azione di governo del paesaggio, anche grazie alla conoscenza delle aspettative e sensibilità delle popolazioni locali. L'approccio metodologico, così realizzato, ha rappresentato un originale caso di studio - di interesse non solo in ambito locale - per l'applicazione concreta dei principi ed auspici della Convenzione europea del paesaggio. Attività di governo del paesaggio: i “bandi di concorso” per la qualità progettuale In riferimento alle iniziative di governo innovativo e partecipato del paesaggio astigiano, sono stati emanati, a partire dal 2006, in collaborazione con la Provincia di Asti, tre Bandi di Concorso per la Promozione di interventi progettuali di qualità nel paesaggio astigiano e del Monferrato che hanno permesso di individuare le esperienze più virtuose sul fronte della progettazione e della pianificazione paesaggistica da parte dei professionisti e delle amministrazioni comunali. Un punto qualificante del processo di crescita e di sensibilizzazione sui temi della qualità del paesaggio, con particolare riferimento all'ambito agrario, ha riguardato l'elaborazione del “Decalogo di buone pratiche” sottoposto a tutte le 118 amministrazioni comunali astigiane per una loro formale adesione, recependolo negli strumenti amministrativi. Le dieci “Regole d'oro” per la gestione lungimirante del paesaggio hanno contemplato: a) Adeguamento del proprio P.R.G.C. al Piano Provinciale Territoriale; b) Rinuncia alla asfaltatura ed impegno alla conservazione delle strade bianche ancora presenti sul territorio comunale;


c) Rinuncia su tutto il territorio comunale di installazione di nuovi cartelloni pubblicitari stradali e mitigazione dell'impatto di quelli esistenti; d) Rinuncia alla realizzazione di nuovi punti luce nelle campagne per prevenire l'inquinamento luminoso notturno se non necessari a fini di sicurezza; e) Divieto in tutte le aree agricole e forestali di nuove attività di motocross e simili; f) Abolizione dell'utilizzo delle trince meccaniche per la sramatura di alberi ed arbusti di strade campestri; g) Impegno all'utilizzo della flora autoctona in tutti gli interventi di progettazione e riqualificazione ambientale per la conservazione della biodiversità e delle siepi campestri; h) Censimento delle case vuote e dei capannoni non utilizzati sul territorio comunale nella prospettiva di una valorizzazione del patrimonio edilizio esistente prioritario rispetto ad un nuovo consumo di suolo; i) Individuazione delle aree di pregio paesaggistico del Comune nella prospettiva di una loro più efficace conoscenza e conservazione; l) Moratoria comunale della costruzione di nuovi capannoni in assenza di adeguate valutazioni di impatto paesaggistico, specifiche tipologie ed impiego di materiali tradizionali ed impegno alla riqualificazione paesaggistica degli esistenti per un miglior inserimento nel contesto agricolo. Questo approccio innovativo alla gestione del paesaggio, tramite l'adesione formale di numerosi comuni astigiani, ha concorso significativamente alla crescita della sensibilità sulle tematiche della gestione accorta e della progettazione di qualità del paesaggio, nella prospettiva del raggiungimento di un equilibrio virtuoso tra le esi-

genze di salvaguardia delle peculiarità paesaggistiche e di sviluppo delle attività economiche del territorio. Attività di tutela e valorizzazione del paesaggio: le “dichiarazioni di notevole interesse pubblico del paesaggio” Nell'ambito della tutela partecipata del paesaggio astigiano, una iniziativa innovativa in termini metodologici ha riguardato l'avvio delle pubbliche richieste di Dichiarazioni di notevole interesse pubblico del paesaggio, in base al Codice dei Beni culturali e del Paesaggio (Codice Urbani) agli Art. 136 e seguenti. L'esame della possibilità di intervento con tale innovativo strumento ha trovato una prima pubblica elaborazione in un apposito convegno a Cortiglione (AT) nel 2007. Nel corso del 2010 sono state, quindi, elaborate dalle popolazioni le prime richieste per i territori di San Marzanotto (Frazione di Asti), Canelli, Isola Villa nel comune di Isola d'Asti e Schierano nel comune di Passerano Marmorito. Nel 2013 hanno trovato presentazione le richieste di dichiarazione della Riviera del Tanaro e dell'Alberata storica di Montafia, nel 2014 e nel 2015 sono state rispettivamente elaborate le richieste per i paesaggi di Mombercelli e per quelle dei paesaggi del Paludo a Calosso-Agliano-Costigliole e di Mombarone (Frazione di Asti). L'iter ha già trovato conclusione con l'emanazione di un apposito decreto di vincolo di tutela per le realtà territoriali di Isola Villa ad Isola d'Asti e per Schierano a Passerano Marmorito. Questo riconoscimento rappresenta un elemento di fondamentale importanza in una prospettiva di azione lungimirante e condivisa dalle popolazioni per la gestione dei paesaggi astigiani, soprattutto nella consapevolezza che ogni

Manifestazione di cittadini astigiani consapevoli del valore del proprio paesaggio di vita quotidiana ed interessati a preservarne la qualità rispetto ad inutili compromissioni conseguenti all'edificazione di nuovi capannoni, spesso inutilizzati.

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trasformazione incoerente e avulsa dal contesto di riferimento ha dirette, immediate e spesso irreversibili conseguenze sul complesso dei lineamenti del paesaggio locale nell'immediato e soprattutto negli anni a venire con conseguenze negative a carico delle generazioni future. Conclusioni L'Osservatorio del paesaggio astigiano, in oltre un decennio di attività, ha costantemente registrato una diffusa preoccupazione per una perdita di identità dei luoghi, per una compromissione di un patrimonio prima di tutto culturale, oltre che fisico, e per uno svilimento di beni collettivi appartenenti non solo alla presente generazione. Nel sentire comune è vivissima la consapevolezza di come non abbiano dignità di cittadinanza nel paesaggio agrario astigiano i famigerati capannoni prefabbricati, accanto ad altre opere ed infrastrutture similari, che con una invasività allarmante sono proliferati anche in contesti ambientali di pregio, compromettendone seriamente la leggibilità e riconoscibilità. La consapevolezza della necessità di agire in modo sollecito e tempestivo per preservare il comune patrimonio ha fortunatamente trovato negli ultimi anni un sempre più ampio riscontro a tutti i livelli della società. E', al riguardo, da interpretare in modo quanto mai positivo l'avvenuto riconoscimento dei paesaggi viticoli del sud Piemonte a Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO che certamente concorrerà ad una più salda presa di coscienza del valore paesaggistico delle realtà interessate. Su queste basi dovrà essere portato avanti il lavoro di osservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio paesaggistico locale.


Camminate nella campagna astigiana realizzate insieme a Legambiente per conoscere gli elementi di pregio e di detrimento della qualità del paesaggio.

Incontro di avvio degli stati generali del paesaggio Astigiano per poter contribuire attraverso il coinvolgimento della popolazione all'elaborazione del piano paesaggistico regionale.

Momento di incontro e riflessione della popolazione di San Marzanotto (Frazione della Città di Asti) interessata alla salvaguardia del paesaggio locale, attraverso l'applicazione dell'Art. 9 della Costituzione italiana e delle norme contenute nel Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, relativamente alle dichiarazioni di notevole interesse pubblico.

Momento della pubblica sottoscrizione a San Marzanotto dei poster per l'avvio della procedura di tutela del paesaggio attraverso la Dichiarazione del notevole interesse pubblico secondo quanto previsto agli Art. 136 e seguenti del codice dei beni culturali e del paesaggio.

Riferimenti bibliografici 1. Cfr. AA.VV. (1993) - Carta dei paesaggi agrari e forestali del Piemonte. Regione Piemonte, 97 pagg. 2. M. Devecchi, E. Cerrato, Tradizioni enogastronomiche e qualità del paesaggio astigiano. CultureIncontri, Vol. III, 2005, pag. 11. 3. E. Ercole, Il turismo rurale. In “Sociologi e ambiente”, a cura di M.C. Belloni, E. Ercole, C. Guala e A. Mela, Asti, Diffusione Immagine, 2004, CD-Rom. 4. Carta del paesaggio del vino – Carta elaborata nell'ambito del seminario su “Il paesaggio del Vino” – Cividale del Friuli 23 giugno 2003, organizzato dall'Istituto per lo studio del paesaggio e dell'architettura rurale – ISPAR (Pubblicato su www.ilpaesaggio.it). 5. Ai sensi dell'art.8 del Decreto Legislativo 30/4/1998 n.173 e dell'art. 1 del Decreto 8/9/1999 n. 350. 6. F. Dell'Arciprete – Regione Emilia-Romagna: le strade dei vini e dei sapori. (Pubblicato su www.ambienteeuropa.info) 7. Cfr. www.osservatoriodelpaesaggio.org (Sito dell'associazione “Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano”, attivamente impegnata nella conoscenza e salvaguardia del patrimonio paesaggistico del territorio astigiano e monferrino). 8. Il testo del Manifesto è integralmente riportato al termine della presente nota. 9. Cfr. G. Ferrara, G. Campioni, E. Accati, R. Carniello, P. Cornelini, R. Cigliano, B. Cillo, M. Devecchi, M. Di Fidio, A. Di Gennaro, R. Gambino, G. Gibelli, M. Gruccione, G. Longhi, G. Nigro, F. Orlandi, C. Panerai, A. Pochini, G. Pivellini, G. Sauli, L. Scazzosi, F. Vallone, P. Villa (1999) – Carta di Napoli. Il parere degli specialisti sulla riforma degli ordinamenti di Tutela del paesaggio in Italia. Mozione approvata al Convegno “La trasformazione sostenibile del paesaggio”, FEDAP - AIAPP, Napoli, 8 ottobre 1999. 10. http://www.regione.piemonte.it/sit/argomenti/pianifica/pubblic/dwd/present_semin.pdf La Regione Piemonte, con l'avvio del Piano paesaggistico, il primo esteso a tutto il territorio regionale, intende modificare radicalmente l'approccio alle tematiche del paesaggio, superando la semplice gestione dei vincoli di tutela, che si è operata fino a ora, per attuare una politica attiva, capace di grandi ricadute e opportunità per la Regione stessa, da tempo impegnata a cercare nuove vie di sviluppo e nuove immagini identitarie, attraverso un confronto con gli enti locali, le forze economiche, sociali e culturali che operano nel territorio. L'iniziativa regionale trova riscontro nel nuovo assetto normativo definito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, entrato in vigore nel 2004 e da poco modificato, nonché nei principi contenuti nella Convenzione Europea del Paesaggio, firmata a Firenze nel 2000 dai 45 paesi del Consiglio d'Europa e recentemente ratificata anche dal nostro paese. Più in particolare, la Regione intende basare la sua azione sull'affermazione che gli obiettivi di qualità paesaggistica da perseguire non riguardano solo pochi “brani” di paesaggio di indiscusso valore, ma intende dare pieno riconoscimento al significato complesso del paesaggio in quanto “parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (…). D'altro canto, alla luce della Convenzione, le politiche devono rispondere alla crescente domanda di paesaggio, assai più incisiva di qualche decennio fa, che tende a diventare e a configurarsi come un vero e proprio “diritto”, al quale le popolazioni sembrano non poter più rinunciare. (…) Il piano paesaggistico regionale dovrà essere elaborato attraverso il riscontro e il coinvolgimento delle comunità locali e con procedure di condivisione e partecipazione sin qui poco sperimentate. E' importante che i piani provinciali costituiscano, da un lato, un quadro di riferimento organico delle iniziative di programmazione sul territorio, avanzate dai vari soggetti pubblici o privati e, dall'altro, un osservatorio delle trasformazioni in atto o previste, per consentire una governance del piano coerente con quella della promozione dello sviluppo. In questo senso pare indispensabile stabilire un rapporto strategico con i comuni capoluogo, in molti casi centro delle trasformazioni del paesaggio più incisive e con forte identità territoriale. Per un nuovo piano paesaggistico del Piemonte - Sergio Conti, Assessore regionale alle Politiche Territoriali.

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Manifesto di intenti MANIFESTO PER LA COSTITUZIONE DI UN OSSERVATORIO DEL PAESAGGIO DEL MONFERRATO ASTIGIANO

Dalla constatazione che il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale, rappresentando una straordinaria risorsa economica, se adeguatamente salvaguardato e valorizzato, si intende costituire, con specifico riferimento alla realtà astigiana e monferrina, un OSSERVATORIO DEL PAESAGGIO PER IL MONFERRATO E L'ASTIGIANO

quale strumento nuovo per soddisfare gli auspici delle popolazioni di godere di un paesaggio di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione, nella piena consapevolezza che il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale. Art. 1 – Finalità dell'Osservatorio è la condivisione delle diverse sensibilità, esperienze ed aspirazioni sociali e culturali in tema di paesaggio, nell'ottica di una più ampia partecipazione democratica alle scelte di governo. Il paesaggio appartiene, infatti, a tutti gli individui che in esso vivono e si riconoscono. Art. 2 – L'Osservatorio crede nell'apporto privilegiato dei fruitori del paesaggio al processo di definizione dei principi e linee guida della gestione del territorio, essendo evidente che chiunque alteri un paesaggio, lo modifichi o lo distrugga sottrae un bene non rinnovabile alla collettività ed una memoria materiale e spirituale che è l'identità di ciascuno. Il paesaggio non può e non deve essere più considerato come bene illimitatamente disponibile e gratuito. Art. 3 – L'Osservatorio si offre quale strumento operativo per la lettura, il confronto ed l'interpretazione delle peculiarità del paesaggio dell'Astigiano e del Monferrato, attraverso un'analisi delle dinamiche e delle pressioni esistenti, riconoscendo l'importanza delle azioni di prevenzione, volte ad evitare o ridurre i danni derivanti da interventi impropri o scorretti. Art. 4 – L'Osservatorio individua nella preliminare ed attenta lettura del paesaggio storico astigiano il punto di partenza per qualunque trasformazione, essendo possibile scorgere nel paesaggio i segni lasciati da ogni generazione che si è succeduta. Art. 5 – L'Osservatorio fa riferimento a metodologie di studio, valutazione e pianificazione improntate alla multidisciplinarietà, riconoscendo il fondamentale ruolo svolto dalle associazioni, culturali e professionali che operano sul territorio con finalità di tutela/valorizzazione paesaggisticoambientale. Art. 6 – L'Osservatorio promuove una crescita culturale e di sensibilità verso le tematiche della salvaguardia e valorizzazione del paesaggio dell'Astigiano e del Monferrato, favorendo iniziative volte a stimolare studi ed interessi, presso scuole e pubbliche amministrazioni. Art. 7 – L'Osservatorio si pone come obiettivo l'affermazione di una cultura giuridica rispettosa del paesaggio per una attiva azione di tutela delle peculiarità paesaggistiche dell'Astigiano e del Monferrato. Art. 8 – L'Osservatorio crede nell'importanza del mantenimento della bio-diversità e del giusto grado di eterogeneità dei paesaggi, nell'ottica di una armoniosa interazione tra natura e cultura, perseguibile attraverso la continuazione degli usi del suolo, delle pratiche costruttive e delle manifestazioni sociali espresse dalla comunità in una logica di continuità con le tradizioni durature che sono alla base di ogni innovazione e miglioramento finalizzati ad una contemporaneità e ad un futuro sostenibile. Art. 9 – L'Osservatorio è consapevole delle straordinarie potenzialità economiche del paesaggio astigiano, da intendersi sia come risorsa, sia, soprattutto, come patrimonio da salvaguardare. Art. 10 – L'Osservatorio si propone al termine di un primo periodo di attività di giungere alla stesura di una Carta del paesaggio del Monferrato Astigiano, da presentarsi a Soglio, nella quale verranno individuate le linee operative per una effettiva salvaguardia e valorizzazione del paesaggio locale. Soglio, 24 maggio 2003

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ESPERIENZE E STRUMENTI

Studiare la percezione del paesaggio ai fini della pianificazione: il caso del PTC della Comunità Rotaliana-Königsberg di Rose Marie Callà* e Alessandro Franceschini

* Rose Marie Callà, sociologa, docente a contratto presso l'Istituto universitario Ciels di Padova

Un appunto metodologico L'obiettivo di questo scritto è quello d'illustrare sinteticamente il percorso metodologico sviluppato durante la redazione del Piano Territoriale della Comunità Rotaliana-Königsberg, per quanto riguarda specificatamente la redazione della «Carta del Paesaggio». Il piano è in corso di realizzazione da parte di un'equipe multidisciplinare coordinata dal prof. Corrado Diamantini del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell'Università di Trento. Tra gli ambiti disciplinari attivati per redigere lo strumento urbanistico, particolare attenzione è stata data al tema del paesaggio, non solo perché la legge urbanistica indica espressamente che il PTC contenga una apposita «Carta del paesaggio», ma anche perché proprio la conoscenza approfondita del paesaggio si presta per essere un efficace input per la pianificazione. Fra gli «Obiettivi e contenuti del piano territoriale della Comunità» (art. 21), al punto b, la Legge urbanistica provinciale prevede che il piano contenga, tra le altre cose, «l'approfondimento e l'interpretazione della carta del paesaggio delineata dal piano urbanistico provinciale con riguardo all'ambito territoriale della comunità». Il Piano territoriale della Comunità, spiega la legge, deve essere un'occasione per approfondire e delineare con maggiore precisione e puntualità i contenuti della Carta del Paesaggio. Per que-

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ste ragioni, l'indagine del paesaggio è stata organizzata di due approfondimenti: uno dedicato al «paesaggio degli abitanti», avente l'intento di studiare la percezione collettiva del paesaggio da parte degli abitanti, l'altro dedicato al «paesaggio esperto e comunicato», che indaga le rappresentazioni fotografiche, cartografiche, narrative, veicolate sul web del paesaggio. La Comunità Rotaliana-Königsberg è stata istituita con legge provinciale nr. 3 del 16 giugno 2006 ed è costituita dall'accorpamento di otto territori comunali (Faedo, Lavis, Mezzocorona, Mezzolombardo, Nave San Rocco, Roverè della Luna, San Michele all'Adige e Zambana) collocati nella Valle dell'Adige, dalla foce del torrente Avisio, correndo a settentrione, fino al confine provinciale. Si tratta di una comunità che nasce dallo «scompattamento» del Comprensorio della Valle dell'Adige (C5), e dall'accorpamento di tre aree omogenee: la Piana Rotaliana, propriamente detta, il territorio immediatamente a nord della foce del Torrente Fersina e che occupa le aree dei comuni di Lavìs e di Zambana e, infine, le colline in sinistra orografica dell'Adige, dominate dagli abitati di Sorni, Pressano e Faedo. Questo scritto si soffermerà soprattutto sulla parte metodologica dell'esperienza, rimandando ad altre sedi l'illustrazione dell'intero percorso di piano con i risultati ottenuti.


Un frammento del paesaggio della Rotaliana-Königsberg: su diciotto immagini questa è quella scelta dai partecipanti all'indagine come il «paesaggio più rappresentativo»

Il «paesaggio degli abitanti» In linea con le recenti acquisizioni in tema di pianificazione territoriale, il processo di elaborazione della «Carta del Paesaggio» ha previsto, accanto alle valutazioni e ai giudizi degli esperti, una fase di ricostruzione del punto di vista e delle percezioni degli abitanti rispetto ai paesaggi della Comunità di valle Rotaliana Konigsberg, finalizzata a comprendere il sistema di valori e le attribuzioni di significato che le popolazioni locali associano ad alcuni luoghi del Trentino, coerentemente con quanto sancisce la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) nella definizione del paesaggio come «quella determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (art. 1a). In tale prospettiva teorica, il concetto di paesaggio assume una connotazione eminentemente relazionale: il paesaggio è qualcosa di più e di diverso dal modo di comporsi dei caratteri oggettivi del territorio, naturali o antropici, e il suo valore non può ridursi a una dimensione meramente estetica, rappresentando invece un bene culturale identitario di individui e collettività. Come viene affermato dall'Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale), il concetto di paesaggio è definito «soprattutto dalle trasformazioni che le popolazioni riversano sui loro territori, per determinare un connubio che

ci permette di osservare quel paesaggio e riconoscerlo come tale» (ISPRA n.d.). Il paesaggio si caratterizza, dunque, come un prodotto sociale determinato dalla percezione che la popolazione ne ha. Secondo Denis Cosgrove (1990), nella sua relazione con l'azione dell'uomo, la percezione del paesaggio è frutto dell'interazione dinamica di tre elementi: i caratteri oggettivi dell'ambiente, fisici e tangibili, ovvero lo statico scenario naturale che esprime le proprietà naturali del paesaggio legate o alla posizione o alle proprietà materiali (come la struttura morfologica, il tipo di suolo); i caratteri dell'antropizzazione, ovvero le peculiarità organizzative del gruppo sociale legate ai bisogni di sopravvivenza e riproduzione (come l'uso del suolo, gli insediamenti urbani); i mediatori socio-culturali connessi alle matrici identitarie di un gruppo sociale su un determinato ambiente, ovvero il sistema di significati e simboli che la cultura non materiale ha impresso sugli elementi precedenti, che costituiscono la coscienza (Jacob 2009) soggettiva e collettiva. Paesaggio e territorio, dunque, come nota Turri, costituiscono due entità distinte anche se in stretta relazione tra loro. Se il territorio è lo spazio organizzato dall'uomo, il paesaggio è la «proiezione soggettiva del territorio»; questo «è il risultato dell'operare fisico dell'uomo, delle azioni che lo trasformano, lo umanizzano (…); il paesaggio è la rappresentazione, la proiezione

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visiva, o la corrispondente proiezione mentale e sentimentale del territorio agito» (Turri, 2003). Castiglioni (2002) riprende e specifica tale differenziazione sostenendo che ogni realtà geografica comprende sia i processi strettamente connessi con l'ambiente (quindi, fattori climatici, geologici, morfologici), sia i processi sociali concernenti aspetti economici, relazionali, politici, demografici. E questi ultimi comprendono anche i significati e i valori che vengono attribuiti a un dato paesaggio. Assumendo la percezione come elemento costitutivo del paesaggio, la Convenzione chiarisce implicitamente la differenza con il concetto di territorio e sottolinea, al tempo stesso, il forte legame esistente tra la popolazione e i suoi luoghi: il paesaggio si definisce solo in relazione allo sguardo che la popolazione ne ha. La percezione non è considerata banalmente come una risposta umana agli stimoli provenienti da un certo paesaggio, ma come un fattore in grado di contribuire a determinare il significato stesso di quel paesaggio, quello che Zube ha denominato prospettiva “transazionale” proprio per denotare la dinamicità del rapporto tra uomo e paesaggio: «Landscape perceptions» afferma l'autore «are a product of the transactions between individuals and landscapes» (Zube 1987: 39). L'orientamento suggerito dalla Convenzione viene esteso, nello stesso documento, a tutti gli spazi vissuti, dunque naturali, rurali, urbani e periur-


bani e a tutte le esperienze umane, della vita quotidiana o extraordinarie (art. 2): «Il campo di applicazione definito dalla Convenzione è volutamente vasto in quanto ogni paesaggio costituisce un ambito delle popolazioni la cui qualità paesaggistica ha una grande influenza sulla loro vita. L'inclusione di tutto il territorio dipende dalla constatazione che ciascun spazio riesce a instaurare delle relazioni e delle interconnessioni complesse tra luoghi, come i paesaggi urbani e rurali; o ancora dipende dalle profonde modifiche che subiscono i paesaggi europei, come quelli periurbani, oppure dalla concentrazione della popolazione europea nella città, con la necessità di assicurare loro una qualità del paesaggio urbano» [Ispra n.d.]. Da un punto di vista strettamente metodologico, dunque, la Convenzione introduce nuove scale di valutazione del paesaggio sulla cui base elaborare le politiche paesaggistiche locali, derivanti dall'analisi del valore che la popolazione attribuisce al paesaggio, nella necessità di preservare una componente importante del patrimonio culturale e identitario delle popolazioni. La politica del paesaggio deve consentire di adottare «misure specifiche finalizzate a salvaguardare gestire e pianificare il paesaggio» (art. 1b) al fine di soddisfare le «aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita» (art. 1c). La politica del paesaggio deve procedere sia alla salvaguardia dei paesaggi esistenti che alla pianificazione dei paesaggi realizzando «azioni fortemente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi» (art. 1f) e comprendendo «sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati» (art. 2). In questo nuovo orientamento al paesaggio introdotto dalla Convenzione, i cui concetti principali sono qui assunti come approccio di riferimento, si propone una visione integrata e trasversale del paesaggio alla base della quale quest'ultimo è considerato “un bene in sé” in quanto variamente vissuto dagli individui. Nello specifico della letteratura di settore, la misurazione e valutazione della percezione del paesaggio costituisce da alcuni decenni e in diversi ambiti disciplinari un focus sempre più importante, cosi che si sono perfezionate nel tempo ricerche empiriche e riflessioni teoriche che hanno dato vita ad un corpo teorico estremamente

eterogeneo, anche in virtù delle differenti connotazioni che sono state date al concetto di percezione dello spazio, di per sé multidimensionale e composito, e delle differenti metodologie di indagine utilizzate. In analogia con le esperienze precedenti di riflessioni e ricerca nel settore di Mattiucci (2010), e interpretando il paesaggio attraverso le immagini e gli immaginari «per effetto dei quali il paesaggio stesso si costituisce come significato simbolico e valore collettivo» (Caravaggi 2002: 78), in questa sede sono state assunte a riferimento le teorie che, superando la concezione di “percezione” come dimensione meramente estetico/visiva, la interpretano in tutta la sua complessità e polisemanticità. Una complessità derivata dall'intreccio di diverse componenti, ovvero quella fisico/naturale, simbolico/culturale, psicologico/personale e intersoggettiva/collettiva (Backhaus et al. 2008) e di tre elementi costitutivi, ovvero le componenti fisiche, le attribuzioni di senso individuali e le attività che vi si praticano (Canter 1977). L'analisi della percezione aiuta a «cogliere i legami, le trame, le continuità, le appartenenze, le permanenze; tutti quei segnali che sono utili a interpretare la perspicuità del racconto dei luoghi, la loro qualità differenziale» (Maciocco 2001: 7). I luoghi, i paesaggi, sono percepiti attraverso azioni che appartengono allo “stare nei luoghi”. È qui infatti che si realizza quella interazione individuo-societàterritorio che diventa condizione preliminare alla percezione del paesaggio al punto che tale percezione non esiste senza l'esperienza. Il paesaggio è, dunque, prodotto delle attività umane (Cosgrove 1984; Debarbieux 2007) e manifestazione delle società locali, nei termini in cui

esso registra «l'uso che una società ha fatto del suo territorio» (Turri 1979) e le «dinamiche di trasformazione che si stanno compiendo nella società e, di conseguenza, nell'organizzazione dello spazio» (De Carlo 1961: 23-26) e nei termini in cui concorre a esprimerne peculiarità e legami di appartenenza. A partire da questa impostazione teorica, l'indagine che si presenta in questa sede ha avuto una funzione essenzialmente esplorativo-interpretativa dell'immaginario sociale costruito sui (e nei) paesaggi della Comunità di valle Rotaliana-Königsberg dai propri abitanti. Proprio per questa sua finalità orientativa, da un punto di vista metodologico si è preferito differenziare gli strumenti e le tecniche di indagine, utilizzando quindi un approccio multi-metodo, sacrificando la rappresentatività statistica in favore della significatività delle informazioni ottenute, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Gli strumenti utilizzati, in definitiva, sono stati i seguenti: la distribuzione di cartoline finalizzate a identificare l'immagine di paesaggio considerato significativo, con poche e semplici domande a risposta chiusa, somministrate a un campione di oltre 600 persone che hanno partecipato alle manifestazioni più significative della RotalianaKönigsberg; la discussione del paesaggio significativo emergente dalle cartoline in tre focusgroup realizzati con 24 testimoni privilegiati, selezionati tra i componenti della Commissione Paesaggio della Rotaliana, i componenti del Tavolo di confronto e consultazione del Piano e un gruppo di residenti; le interviste semistrutturate a un collettivo di riferimento di 31 abitanti della Rotaliana, finalizzate a definire con maggiore profondità l'immaginario del paesaggio

Il retro della “cartolina-questionario” utilizzata durante l'indagine

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nelle sue declinazioni di quotidiano, rappresentativo e ideale. I risultati di tale indagine possono essere così sinteticamente descritti: - è presente una soddisfazione diffusa degli abitanti residenti sul territorio della Comunità Rotaliana-Königsberg rispetto al luogo nel quale vivono; - vengono privilegiati i paesaggi caratterizzati da una prevalenza dell'elemento naturale o subnaturale, si rileva un bisogno di natura; - il valore del paesaggio della RotalianaKönigsberg per i residenti è riconducile a una componente estetica che si lega a ciò che è bello, alla coerenza compositiva degli elementi costitutivi e ai sentimenti da esso evocati; - la componente estetica è fortemente influenzata dalla riconoscibilità degli elementi costitutivi del paesaggio, che si lega a processi di significazione maturati nel tempo nella relazione con il proprio contesto sociale; - l'Identità nell'immaginario dei residenti è fortemente legata alla produzione agricola/vinicola; - gli elementi fondanti di questa scenografia virtuale che compongono il paesaggio percepito e rappresentativo della Comunità RotalianaKönigsberg sono le montagne e vigneti. Il «paesaggio degli esperti» ed il paesaggio «comunicato» All'interno degli studi predisposti per la realizzazione del Piano territoriale della Comunità Rotaliana-Königsberg, ed in particolare allo scopo di raccogliere dati ed informazioni utili alla redazione della Carta del Paesaggio, è stata predisposta anche un'apposita indagine conoscitiva dedicata al paesaggio “esperto” e “comunicato”. Il primo passo di questa indagine è stato quello di arrivare ad una definizione di cosa sia, per l'appunto, l'«esperto». Alcuni studi di psicologia (Bonini e Rumiati, 1991) hanno definito come «il grado di expertise sia in qualche modo relato alla capacità dell'esperto di utilizzare le diverse modalità cognitive». Una delle differenze principali di tali modalità riguarda i processi «intuitivi» ed «analitici». In particolare si può ritenere un giudizio intuitivo quando esso viene raggiunto seguendo una linea di ragionamento non strutturato, ovvero senza usare metodi analitici o calcoli consapevoli (Kahneman e Tversky, 1982). Altre indagini

sono significative nel descrivere il comportamento decisionale degli esperti. In particolare Shanteau (1988) ha individuato come emergano dei profili abbastanza stabili «basati su caratteristiche comuni a molti esperti». Secondo lo studioso l'attività degli esperti può essere catalogata in base a queste caratteristiche: gli esperti sembrano aver sviluppato in maniera sensibile le abilità percettivo-attenitive che gli consentono di estrarre informazioni che sfuggono ai meno esperti; gli esperti hanno una capacità nel discriminare le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti ai fini della decisione; gli esperti hanno la capacità di semplificare i problemi complessi che possono apparire caotici ai decisori principianti; gli esperti hanno una spiccata abilità nell'individuare e selezionare le situazioni apprezzabili dal punto di vista decisionale; i decisori esperti manifestano una maggiore creatività nella scoperta di nuove strategie di decisione; diversamente dai principianti gli esperti sembrano prendere le loro decisioni facendo ricorso ad un automatismo cognitivo che li porta a concentrare l'attenzione su quegli espetti della situazione che hanno un peso effettivo nella decisione». Per quanto riguarda più specificatamente gli studi relativi alla pianificazione urbanistica può essere interessante riferirsi agli studi di Alfredo Mela. In particolare nello scritto «Sapere esperto e spere diffuso nella panificazione territoriale» (Mela, 2003) lo studioso parte dalla crisi della pianificazione come attività «problem solving» caratterizzata da un approccio scientifico, «ispirato dall'idea di un intervento di una pluralità di saperi tecnico-scientifici (di carattere urbanistico, ingegneristico e progettuale, ma anche connessi alle discipline economiche, sociali e giuridiche), ciascuno dei quali era responsabile di una valutazione rigorosa sugli aspetti di propria competenza». In questa prospettiva, il processo di pianificazione era caratterizzato da una rigida distinzione tra competenze esperte e non esperte: «il ruolo di “esperto” era attribuito solo alle figure “tecniche” impegnate nelle diverse fasi di elaborazione del piano; solo ad esse è dato, innanzitutto, di definire esattamente il problema che il piano deve superare. E, in seguito, proporre delle soluzioni». Gli altri tipi di rapporti (con i funzionari pubblici, con i mass media, con l'opinione pubblica) erano intesi come rapporti «tra figure esperte e figure non esperte». La crisi della cit-

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tà contemporanea e la correlata crisi del piano urbanistico, ha portato anche ad un ripensamento di queste relazioni in un'ottica che va da quella del «problem solving» a quella del «problem building» che porta «ad una definizione di un quadro problematico condiviso, che rappresenti uno scenario di riferimento, in direzione della quale possano essere fatti convergere tentativi incrementali di soluzione (indicazioni di piano, interventi progettuali, accordi in vista dell'attivazioni di politiche…)». Tutte questioni che hanno rimesso in discussione anche le interazioni tra i due tipi di sapere. A questo proposito può essere interessante riprendere la distinzione che Hannerez (1992) pone tra due figure di esperti, rispettivamente designati come «intellighenzia» e «intellettuali». La prima, secondo lo studioso, è portatrice di un sapere essenzialmente tecnico, in quanto è composta da soggetti che si dedicano a risolvere problemi, anche di notevole complessità, ma collocati entro schemi scientifici dati. La seconda categoria, invece, è caratterizzata da individui che si muovono entro ambiti di significati di versi, stabilendo delle connessioni non prevedibili in base agli schemi dominanti. Semplificando, seguendo ancora il ragionamento di Mela (2003) «il vecchio paradigma della pianificazione sembrava privilegiare soprattutto il ruolo dell'intellighenzia», mentre quello più recente basato sul «problem building», è caratterizzato «da un aumento dell'importanza, nella pianificazione, dei ruoli esperti degli “intellettuali” specie per quanto riguarda il compito di stabilire interconnessioni tra ambiti di significati apparentemente lontani e tra saperi esperti e non esperti». All'interno di una ricerca sul paesaggio realizzata a supporto dell'attività di pianificazione, ecco gli il ruolo degli intellettuali, nell'accezione qui sopra descritta, diventa fondamentale: il riconoscimento ed il coinvolgimento di quelle conoscenza, tipiche si vari soggetti, che, ciascuno in base al proprio ruolo e al proprio interesse, sono chiamati a partecipare come stakeholder, o come testimoni qualificati di una specifica modalità di interazione e di impego nei confronti del territorio. Diversi a quelli dell'equipe del piano, questi saperi possono comprendere conoscenze specializzate sul contesto territoriale in cui si svolge il piano o su alcuni aspetti della sua realtà sociale, naturale, economica». Nella ricerca condotta sul territo-


Il territorio della Rotaliana-Königsberg: in marron i “coni” ottici che rappresentano i paesaggi immortalati da Gabriele Basilico durante la sua indagine. Da notare la sua insistenza su alcune parti del territorio.

compreso anche il territorio della Piana Rotaliana, ed i fotografi che hanno partecipato alle recenti iniziative promosse all'interno di alcune iniziative culturali (ad esempio l'indagine “A nord di Trento, a sud di Bolzano”). - la seconda parte dell'indagine è legata più specificatamente alla “comunicazione” di un territorio quando utilizza il mezzo del web per veicolare la propria immagine. In particolare è stato interessante capire quali sono le fotografie “caricate” sullo spazio virtuale di Internet, attraverso le quali l'immagine della RotalianaKönigsberg viene veicolata nella rete ad uso dei potenziali fruitori del territorio (turisti, acquirenUna fotografia di Gabriele Basilico sulla Piana Rotaliana (foto Archivio Provincia autonoma di Trento)

rio della Rotaliana-Königsberg, si è inteso scegliere come sapere «esperto» quello articolato nell'opera intellettuale di lettura del territorio, sia essa eseguita in maniera rappresentativa che narrativa. È inoltre stato dato spazio alla comunicazione del paesaggio, ovvero come certi tipi di sapere veicolano l'immagine del paesaggio per averne un vantaggio economico, tramite la vendita di prodotti o servizi legati direttamente al territorio. Nella parte più concreta, l'indagine è stata suddivisa in tre parti: - la prima parte dell'indagine ha inteso delineare le caratteristiche della percezione “esperta” del paesaggio, intesa come capacità d'indagine volta alla produzione di un risultato grafico, cartografico o fotografico di un particolare contesto territoriale. L'indagine è stata sviluppata lavorando sui seguenti temi: la comprensione del paesaggio rappresentato nelle immagini e nelle cartoline storiche; la codificazione del paesaggio “esperto” del Piano urbanistico provinciale; la codificazione del paesaggio derivante dall'indagine sul paesaggio trentino sviluppata dentro le ricerche “Fondo del paesaggio” eseguite dalla Provincia autonoma di Trento e dall'Università di Trento nel corso del 2011/2012; la codificazione del paesaggio derivante dalle immagini fotografiche “esperte”: in primis Gabriele Basilico, che nel 2003 ha compiuto un'approfondita indagine sul Trentino, ivi

Una cartolina storica: il «panorama» nei pressi dell'abitato di Mezzocorona

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ti di prodotti specifici, come il vino, la frutta o gli ortaggi). Sono stati indagati due tipi di comunicazione: la prima tesa a comprendere «qual è l'immagine della Rotaliana» nello spazio web. Utilizzando un motore di ricerca e delle parole chiave sono stati individuati i tipi di immagini che “rappresentano” il territorio; la seconda tesa a capire quale tipo d'immagine (con che tipo di taglio, verso quali vedute ecc…) scelgono le aziende che decidono di “vendere” anche il territorio (come ad esempio i vignaioli) quando si presentano al mondo dei fruitori che frequentano il web, attraverso il proprio sito aziendale. La lettura di queste due indagini, anche se foriere di interessanti risvolti particolari, ha portato anche all'articolazione di una metafora che racconta in maniera efficace il paesaggio della Rotaliana-Königsberg: ovvero quella della rappresentazione comunitaria e della scena ambientale. Se è vero, come ci ha insegnato Eugenio Turri (1998), che ogni paesaggio è assimilabile ad un teatro è ancor più vero che ve ne sono alcuni che sono doppiamente paragonabili ad un teatro perché a fianco della sua immagini evocazione, lo sono anche concretamente grazie alle caratteristiche della propria forma morfologica. È il caso della del paesaggio della Rotaliana-Königsberg che può essere assimilato, senza indugio, ad un grande teatro all'aperto, strutturato nelle seguenti parti: - il palco e la scenografia sono rappresentati dalle ultime propaggini della piana e dai bastioni rocciosi che si innalzano in verticale, come veri e proprie scenografie teatrali; - la platea è rappresentata dalla piana nella sua interezza; Riferimenti bibliografici Bonini N., e Rumiati R., 1991, “Il processo di decisione e gli aiuti decisionali”, in Giornale italiano di Psicologia, 18, pp. 547-576. Canter D. (1977), The Psychology of Place, The Architectural Press, London. Caravaggi L. (2002), Paesaggio di paesaggi, Meltemi, Roma. Castiglioni B. (2002), Percorsi nel paesaggio, Giappichelli, Torino. Cosgrove D. E. (1984), Social formation and symbolic landscape, Croom Helm, London. Cosgrove D. (1990), Realtà sociali e paesaggio simbolico, Unicopli, Milano. Debarbieux B. (2007), Actualité politique du paysage, “Journal of Alpine Research”, 95(4): 101-114. De Carlo, G. (1961), I piani paesistici e il codice dell'urbanistica, “Urbanistica”, 33: 23-26 Hannerez (1992) citato da Mela Mela A., (2003), “Sapere e esperto e sapere diffuso nella pianificazione

territoriale”, in Maciocco G. e Pittaluga, (a cura di), Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in senso ambientale, FrancoAngeli, Milano. ISPRA (n.d.), Convenzione Europea del Paesaggio, reperibile al sito internet http://www.sinanet.isprambiente.it . Ultima consultazione 9 gennaio 2015. Kahneman D. e Tversky A., (1982), “On a study of satistical intuitions”, in Cognition, 11, pp. 123-141. Ferrari E., Turella A. (a cura di) (2003), Trentino. Viaggio fotografico di Gabriele Basilico, Nicolodi editore, Rovereto. Maciocco G. (2001), “Presentazione”, in Pittaluga P. (2001), Progettare con il territorio. Immagini spaziali delle società locali e pianificazione comunicativa, FrancoAngeli, Milano. Mattiucci C. (2010), A kaleidoscope on ordinary landascapes. The perception of the landascape between complexity of meaning and operating reduction,

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- la galleria, o il loggione, sono rappresentati dalla collina, naturalmente affacciata su palco e platea. Questa evocazione specifica della Rotaliana-Königsberg all'essere “luogo teatrale”, sia in senso metaforico che in senso squisitamente fisico, esplicita la capacità di percepire e di costruire il paesaggio coniugando la coscienza ecologica con la propensione a difendere le identità e la memoria che vi sono riflesse, è una delle immagini che emerge dall'analisi dei dati del paesaggio esperto, visivamente orientato verso la percezione della montagna, ed in particolare dei “bastioni” vera quinta scenografica sotto alla quale si svolge la vita degli abitanti della Rotaliana-Königsberg . La metafora del paesaggio come teatro è quindi una chiave di lettura che ci porta a riflettere sul valore e sull'incidenza che ogni nuovo scenario può avere sull'uomo e sulla sua propensione a rispecchiarvisi e a sentirlo come proprio. Verso la «carta del paesaggio» Il lavoro attualmente in corso intende sintetizzare le conoscenze emerse nelle indagini qui descritte in una cartografia di sintesi, capace di contenere tutti gli elementi stabilendo i valori e le mappe che possono rappresentare al meglio le diverse “percezioni” del paesaggio da parte degli abitanti e degli esperti, arrivando a delle riflessioni conclusive che cercano di sintetizzare l'immagine di paesaggio esperto del territorio della Rotaliana-Königsberg. Immagine utile non solo all'auto-riconoscimento di una comunità, ma indispensabile per raccogliere stimoli a supporto del processo progettuale di pianificazione.

Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Università degli studi di Trento. Mela A., (2003), “Sapere e esperto e sapere diffuso nella pianificazione territoriale”, in Maciocco G. e Pittaluga, (a cura di), Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in senso ambientale, FrancoAngeli, Milano. Jacob M. (2009), Il paesaggio, Il Mulino, Bologna. Shanteau J., (1988), “Psychological characteristic and strategies of expert decision maker”, in Acta Psychologica, pp. 204-215. Turri E. (2003), Il paesaggio degli uomini: la natura, la cultura, la storia, Zanichelli, Bologna. Turri E., (1998), Il paesaggio come teatro, Marsilio, Padova. Zube E. H. (1987), Perceived land use patterns and landscape values, “Landscape Ecology”, 1(1): 37-45.


LA RECENSIONE

Antonio De Rossi,

La costruzione delle Alpi. Immagini e scenari del pittoresco alpino (1773-1914).

Roma, Donzelli Editore, 2014, pp. XXVI-420, 44 tav. di Bruno Zanon

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Le Alpi, a partire dalla fine del '700, si sono collocate al centro della cultura europea, diventando non solo il territorio privilegiato per la scoperta e la narrazione di paesaggi straordinari, ma anche - e soprattutto - il luogo centrale per l'elaborazione di nuove concezioni del rapporto tra uomo e natura. L'assegnazione di valore a uno spazio che fino ad allora era stato visto spesso come una semplice “imperfezione della natura” ha costituito uno dei temi guida del dibattito intellettuale, ponendo le basi del concetto di paesaggio. Ma questo ha richiesto un lungo percorso di indagine, elaborazione scientifica e culturale, divulgazione, modificazione dell'immaginario collettivo, oltre che interventi di trasformazione materiale. Una vera e propria “costruzione” delle Alpi. Antonio De Rossi ha affrontato tali temi in un libro complesso e avvincente, basato su una estesa indagine delle fonti storiche, letterarie, artistiche italiane, francesi, inglesi e tedesche relative alle Alpi occidentali. Non si tratta però solo di una ricostruzione storica ma dell'analisi del processo di formazione di concezioni che, in modo consapevole o meno, guidano ancora i nostri atteggiamenti e il nostro agire sul territorio alpino e, in modo più esteso, sul paesaggio naturale e umano. Il percorso indagato ha visto le Alpi al centro di un intreccio tra le nascenti scienze naturali, l'esplorazione geografica, la descrizione dei luoghi e delle culture locali, lo sviluppo della cultura romantica, il mito dell'esplorazione e della scoperta, la nascita dell'alpinismo, l'evoluzione della cultura architettonica e, in modo più esteso, la formazione del gusto e delle mode che connettono in modo contraddittorio mondo urbano e montagna. Riferendosi allo scienziato settecentesco De Saussure, l'autore osserva che è “dentro l'osservazione del paesaggio, dei suoi caratteri morfologici e sensibili, che nascono le congetture e le teorie sull'origine e la struttura delle montagne”. E aggiunge che in tale contesto “conoscenza scientifica e sensibilità artistica nei confronti della natura costituiscono un luogo d'incontro orientato sentimentalmente”. Il processo analizzato non riguarda, infatti, solo la progressiva conoscenza e comprensione di fatti e di luoghi relativi a quelli che, a lungo, erano stati ritenuti territori inutili e orrendi, ma anche e soprattutto la formazione di nuove tendenze e nuovi atteggiamenti sociali, la valorizzazione di spazi poco accessibili, la realizzazione di opere impegnative e l'invenzione di tipi e stili architettonici.


«Se le Alpi... si urbanizzano e si modernizzano sempre più, esse al contempo vengono sottoposte a un parallelo e crescente processo di occultamento della realtà storicamente determinata... sostituita da una visione idealizzata frutto di una reinvenzione.» Antonio De Rossi

Ovviamente sono le molteplici condizioni morfologiche, geologiche, di altitudine, di copertura vegetale dell'arco alpino che ne fanno un vero e proprio “laboratorio della natura” in grado di mettere alla prova una varietà di saperi. Ma è la capacità di suscitare emozioni che crea le motivazioni per la conoscenza, l'esperienza, la narrazione. La descrizione dell'ambiente alpino è avvenuta infatti mediante il testo scientifico, la poesia, il racconto, la rappresentazione pittorica, le stampe e poi la fotografia. In questo, va ricordato come tali descrizioni e rappresentazioni non siano strumenti neutri, costituendo strategie “di conoscenza attiva delle cose” e processi di assegnazione di valori. Naturalmente, riguardando luoghi sconosciuti e impervi, il percorso scientifico si è intrecciato con il cammino tra le montagne motivato dalla scoperta e dal gesto atletico, dando vita a una pratica che si è diffusa molto presto e che – non a caso – ha preso il nome di alpinismo. La scoperta della montagna alpina è stata infatti un gioco intellettuale delle élites urbane mosse sia dall'amore per la conoscenza sia dalla spinta alla scoperta e all'esperienza di luoghi caratterizzati da varietà e irregolarità, dalla dimensione enorme dei fatti geologici e dall'estensione degli orizzonti. Si tratta di un passaggio culturale e sociale importante, pervaso dal sentimento di attrazione e allo stesso tempo di repulsione prodotto dall'orrido del territorio aspro delle montagne. Tale sentimento stimola all'elevazione, induce all'immaginazione e consente, come ricorda l'autore a proposito dei romantici inglesi, la “rielaborazione poetica interiore del paesaggio”. In breve, quello che si indaga, si scopre, si mette alla prova di fronte al paesaggio alpino non è tanto la realtà che si ha di fronte, quanto il sé, la persona che si pone i problemi e intende affrontare le sfide. La montagna, in questo modo, “si trasforma da lente, che consente di studiare e comprendere il funzionamento del mondo, in una sorta di specchio, tramite cui scrutare la dimensione interiore delle persone e delle cose”. La “scoperta delle Alpi”, carica com'è di finalità scientifiche, culturali, emozionali, costituisce una vera e propria “costruzione delle Alpi”. Questo avviene sia impiegando “dispositivi” analitici e narrativi in grado di comunicare la complessità, la varietà, le contraddizioni dell'ambiente - naturale e umano – alpino, sia traducendo le conoscenze degli esperti in narrazioni che danno un senso alle emozioni e alle suggestioni che si iscrivono nei concetti del pittoresco (l'emozione prodotta dalla varietà e dall'apparente disordine) e del

sublime (il sentimento che si prova di fronte alla grandezza dei fenomeni, e che ci fa elevare). E' in particolare il “contrasto complementare” il “dispositivo” che meglio esprime le diverse combinazioni di diversità del paesaggio alpino, relative ai caratteri spaziali, di dimensione dei luoghi, nonché di natura temporale – in quanto nelle Alpi sono posti accanto passato e presente, moderno e arcaico -. La presenza dei contrasti, rileva l'autore, definisce il contesto alpino come un “paesaggio che è anche morale, perché migliorato e trasformato in concordia con quanto offerto da Dio”. La descrizione delle Alpi comporta un confronto tra fatti naturali - la cui logica è difficile da comprendere - e fatti umani, tra le creazioni della natura (o di Dio) e le costruzioni dell'uomo. Si ricorre pertanto a un linguaggio che fa uso di analogie tra le montagne e le cattedrali o le fortezze, con termini quali torri, bastioni, mura, campanili, che spesso ricorrono anche nei toponimi. Tale percorso, del resto, avviene entro il clima ottocentesco di rivalutazione del Medioevo e delle costruzioni antiche che, entro molte delle vallate alpine rimaste ai margini dei grandi fatti storici si ritrovano numerose e costituiscono elementi della scenografia di una vita arcaica delle comunità locali. Il viaggio pittoresco nelle Alpi costituisce anche un viaggio nel tempo. La “costruzione delle Alpi” comporta naturalmente anche trasformazione materiale, ad iniziare dalle strade, che dall'epoca napoleonica iniziano a connettere i diversi versanti attraverso passi ad alta quota, passando ai piedi delle vette più alte, attraversando corsi d'acqua tumultuosi. Le strade e le ferrovie di attraversamento delle Alpi costituiscono un banco di prova della tecnica e fondano “il mito dell'infrastruttura in grado di inventare e valorizzare il paesaggio”. La ferrovia, in particolare, consente di avvicinare rapidamente luoghi molto diversi, diventando una “macchina che… fabbrica paesaggi” e il treno diventa un “belvedere in movimento”. Altro momento cruciale di trasformazione del paesaggio riguarda la frequentazione turistica e le nuove costruzioni richieste a tale scopo, che iniziano a punteggiare le località più note e che creano nuovi poli di attrazione. Il turismo, infatti, è nato in buona parte sulle Alpi, come – ovviamente – l'alpinismo. Tali pratiche hanno comportato un intreccio tra la “scoperta” di luoghi meritevoli di essere visitati e le loro descrizioni e rappresentazioni (in particolare mediante le guide turistiche), che hanno via via formato un “catalogo” di destinazioni in grado di riflettere l'evoluzione del gusto e delle voghe della nascen-

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te classe borghese. Mentre le prime forme di frequentazione avevano come finalità la cura, riguardando località dove erano presenti acque termali, lasciando le montagne come un semplice sfondo, ben presto i “materiali” della montagna (“aria, acqua, neve, ghiaccio, freddo, latte, erba”, ricorda l'autore) divennero le attrattive per nuove pratiche. Naturalmente un ruolo importante è stato svolto dall'alpinismo, vale a dire la conquista delle vette, che ha avviato un filone di esperienze, narrazioni, costruzione di sfide, che è tutt'ora in corso. E' la fase in cui le Alpi vengono definite da Leslie Stephen, padre di Virginia Woolf, “il terreno di gioco d'Europa”, definizione che “rappresenta davvero la cifra dell'epoca”. In parallelo alle descrizioni delle guide, alla costruzione del nuovo spazio turistico e alla selezione dei modelli alpini da riprendere in altri contesti (è il caso emblematico dello chalet svizzero), si svolge il processo di “tipizzazione” delle Alpi. Si tratta di una descrizione selettiva, “sempre in bilico tra ironia e paternalismo” dei caratteri umani, delle tradizioni, delle forme di vita delle comunità rurali svolte entro il pittoresco contesto alpino. Nel libro trova spazio naturalmente l'analisi del ruolo del Club Alpino Italiano, associazione fondata dall'élite sociale torinese, che sancì il legame stretto tra l'ambiente urbano e la montagna alpina. Nel corso dell'800 i destini di tali ambiti vennero ancora più intrecciati in ragione degli interventi infrastrutturali, dei sistemi difensivi, della fornitura di materie prime e di energia, oltre che, naturalmente, per l'avvento del turismo. Non si è trattato però di un rapporto di sudditanza della montagna alla città, ma dell'attivazione di un sistema di rapporti reciproci, retti dalla spinta alla conoscenza scientifica e antropologica e dalla accettazione delle sfide poste dall'ambiente alpino. In conclusione, si tratta di un libro che pone delle solide basi per una lettura critica dei temi che fanno delle Alpi un paradigma di riferimento per il rapporto tra uomo e natura e in particolare per il concetto di paesaggio. Sulla base del quadro interpretativo proposto in apertura, l'autore affronta i diversi temi qui sommariamente citati per applicarsi, nella parte finale, alla lettura di alcune esperienze significative delle Alpi Occidentali. Facile affermare che il libro rimarrà a lungo nelle bibliografie.


LIBRI

La biblioteca dell’Urbanista

Angioletta Voghera “Dopo la Convenzione Europea del Paesaggio. Politiche, Piani e Valutazione”

Riccardo Priore “No people, no landscape. La Convenzione europea del paesaggio: luci e ombre nel processo di attuazione in Italia”

Chiara Rizzi “Quarto paesaggio”

Alinea editrice, Firenze 2011, 18 euro

FrancoAngeli, Milano 2009, 33 euro

Actar/List, Barcelona/Trento 2014, 16 euro

Sostenibilità, necessaria integrazione del paesaggio nel governo del territorio e partecipazione sono Ie parole chiave con cui si confronta nei paesi Ia pianificazione per il paesaggio, in attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP). La Prima parte della pubblicazione affronta questi temi evidenziando il ruolo che il paesaggio dovrebbe giocare nell UE per Ia costruzione dello sviluppo a lungo termine; inoltre si sofferma sull'analisi dell approccio, dei risultati e delle criticità del processo di innovazione della pianificazione per il paesaggio conseguente alla CEP in alcuni paesi (in particolare in Olanda, Gran Bretagna, Germania, Austria, Danimarca, Francia, Spagna, Italia). La Seconda parte della pubblicazione racconta il protagonismo del paesaggio e Ia chiave di Iettura di due casi studio: l Olanda e Ia Gran Bretagna, paesi che anche secondo il Consiglio d'Europa attuano Ia CEP.

Secondo la Convenzione europea del paesaggio (Firenze, 2000) il concetto di paesaggio risulta indissolubilmente legato, oltre che al territorio, all'apporto percettivo/progettuale fornito dalle popolazioni. In virtù delle sue disposizioni, gli Stati sono tenuti a prendersi quindi cura del paesaggio in riferimento all'intero territorio, anche quando degradato, anonimo o apparentemente privo di interesse. Questo impegno deve prendere la forma di politiche del paesaggio predisposte associando gli enti territoriali con l'obiettivo di integrare la preoccupazione paesaggistica nelle politiche relative ad altri interessi pubblici e realizzare interventi dinamici e differenziati nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. In Italia, l'attuazione della Convenzione, ratificata con Legge 14/2006, appare ostacolata dalla persistenza di principi legislativi elaborati nella prima metà del secolo scorso. Tali principi identificano il paesaggio con aree o beni di notevole interesse pubblico sotto il profilo ambientale o culturale, da tutelare essenzialmente attraverso misure di vincolo.

Quarto paesaggio rimanda a quarto mondo (conflitto), a "quarto potere" (mass media), a quarto stato (militanza). Conflitto inteso come generatore d'innovazione sociale e culturale per "fuggire dalle passioni tristi" (cfr. M. Benasayag, 2008); comunicazione come condizione del paesaggio postmoderno che si fa immagine e rappresentazione (cfr. M. Jakob, 2009); militanza come azione, ovvero capacità di agire anche in maniera inattesa ed improbabile (cfr. H. Arendt, 1958). In questo senso il quarto paesaggio è, a differenza del Terzo paesaggio teorizzato da G. Clément, un paradigma dell'azione.

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CON IL PATROCINIO DI:

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CONVEGNO - VENERDÌ 18 SETTEMBRE SALA CONFERENZE DELLA FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO TRENTO E ROVERETO VIA CALEPINA, 1 TRENTO, ORE 10,00 - APERTO A TUTTI

ANTICHI SAPORI DA VISITARE CIBO E CULTURA NELLE DOLOMITI Le dinamiche che investono i flussi turistici nazionali ed internazionali risentono, sempre di più, di questioni legate alle tradizioni enogastronomiche delle località ospitanti. Il turista moderno è costantemente alla ricerca dell'autenticità dell'esperienza della vacanza ed è attratto dalla proposta culturale del luogo visitato, inteso nella sua accezione più ampia: cultura come arte, come ambiente e, appunto, come tradizione culinaria. Per questa ragione i territori interessati ad attrarre flussi turistici si stanno attrezzando per proporre ai visitatori quanto di meglio la loro tradizione possa offrire: vengono così riscoperti prodotti enogastronomici oramai dimenticati, ma anche antiche modalità artigianali di trasformazione e conservazione dei cibi e ricette per la loro preparazione. L'edizione 2015 della Borsa Internazionale del Turismo Montano intende interrogarsi su questi argomenti. I territori di montagna, infatti, si prestano perfettamente per riflessioni legate alla storia enogastronomica dei luoghi, proprio grazie alla loro capacità di aver conservato, meglio che altrove, pratiche e tradizioni nell'elaborazione enogastronomiche. Il nostro territorio in questa prospettiva può lavorare per crescere ulteriormente, elevando il proprio «appeal turistico» ed affiancando alla proposta naturale (fatta di un patrimonio di ambiente, paesaggio, cultura materiale locale) un preciso progetto sui “sapori”; obiettivi impegnativi che potranno essere realizzati sia attraverso la messa in rete delle proposte che attraverso iniziative estemporanee.

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WORKSHOP - SABATO 19 SETTEMBRE MUSEO DELLE SCIENZE CORSO DEL LAVORO E DELLA SCIENZA RISERVATO AGLI OPERATORI

L’INCONTRO TRA TOUR OPERATOR STRANIERI E ITALIANI Nella splendida scenografia del Museo della Scienza – MUSE – è previsto il workshop internazionale di BITM. I tour operators della più selezionata domanda nazionale, europea ed intercontinentale specializzata nella commercializzazione del prodotto “Montagna Italia” incontreranno gli operatori turistici nazionali, che avranno modo di presentare la propria offerta, di aumentare la loro visibilità, di acquisire nuovi clienti e nuovi rapporti di collaborazione. Sono stati invitati sia operatori dei paesi che rappresentano un bacino di arrivi già consolidato come Germania, Paesi Bassi, Paesi dell'Est Europa ma anche operatori provenienti da quei paesi “emergenti” interessati al mercato Italia.

PROMOZIONE DELLE CONOSCENZE TURISTICHE DELLA CINA E DELL’ ASIA DELL’EST Quest'anno BITM , in collaborazione con il Centro Studi Mar no Mar ni si propone di favorire la conoscenza turis ca della Cina e dell'Asia dell'Est con un'a enzione par colare agli aspe enogastronomici.

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SALONE VACANZE - SABATO 19 E DOMENICA 20 SETTEMBRE PIAZZA FIERA DALLE ORE 10,00 ALLE ORE 19,00 INGRESSO GRATUITO - APERTO A TUTTI

LA MOSTRA MERCATO SUL TURISMO E I PRODOTTI DI MONTAGNA TRA LE MURA DI PIAZZA FIERA Arrivata alla XVI edizione, la Borsa Internazionale del turismo montano arriva a Trento e si propone, anche per questo 2015, come un momento importante per la promozione del territorio alpino. Il «cuore» dell'iniziativa è rappresentato dal Salone Vacanze Montagna, la mostra mercato sul turismo e i prodotti di montagna che sarà allestita in Piazza Fiera a Trento nelle giornate di sabato 19 e domenica 20 settembre. Dentro la scenografia delle mura medievali della città sarà possibile incontrare enti culturali e museali, istituzioni e operatori privati che lavorano «per» e «con» la montagna.

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