Issn: 2036-3109
LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA
19 In questo numero:
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Urbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA
19 Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino dell'Istituto Nazionale di Urbanistica rivista scientifica riconosciuta dall'Anvur, l'Agenzia per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca
06 Editoriale
di Alessandro Franceschini
08 PRIMA PARTE: TRA CITTÀ E NATURA, NUOVI
STRUMENTI PER L'URBANSITICA ECOLOGICA
anno VIII - numero 19 - aprile 2016 registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008 - Issn 2036-3109 numero monografico “Pianificazione territoriale e processi ecologici” a cura di Vincenzo Cribari e Davide Geneletti comitato scientifico Andrea Brighenti, Federica Corrado, Giuseppe de Luca, Corrado Diamantini, Viviana Ferrario, Carlo Gasparrini, Raffaele Mauro, Ezio Micelli, Pierluigi Morello, Camilla Perrone, Paolo Pileri, Michelangelo Savino, Francesco Sbetti, Maurizio Tira, Andrea Torricelli, Silvia Viviani, Angioletta Voghera comitato@sentieri-urbani.eu direttore Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Elisa Coletti, Vincenzo Cribari, Pietro Degiampietro, Mario Gasperi, Davide Geneletti, Margherita Meneghetti, Francesco Palazzo, Daria Pizzini, Maurizio Tomazzoni, Giovanna Ulrici, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu fotografia e sito web Luca Chistè - web@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero Lucina Caravaggi, Chiara Cortinovis, Serena Ciabò, Micaela Delriu, Marcella Del Signore, Almo Farina, Lorena Fiorini, Maria Rita Gisotti, Federica Gobattoni, Cordula Roser Gray, Cristina Imbroglini, Daniele La Rosa, Anna Lei, Antonio Leone, Nicola Lopez, Alessandro Marucci, Raffaele Pelorosso, Bernardino Romano, Uta Schirpke, Rocco Scolozzi, Gaia Sgaramella, Maurizio Siligardi, Linda Zardo, Francesco Zullo progetto grafico Progetto & Immagine s.r.l. - Trento concessionaria di pubblicità Publimedia snc via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento - Tel. 0461.238913 © Tutti i Diritti sono riservati
prezzo di copertina e abbonamenti Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25 Per abbonarsi a Sentieri Urbani: diffusione@sentieri-urbani.eu I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono alla redazione sono presi in considerazione se coerenti con la struttura dei numeri e sono sottoposti al giudizio di lettori indipendenti.
contatti www.sentieri-urbani.eu - Tel. 328.0198754 editore Bi Quattro Editrice - via Filippo Serafini, 10 - 38122 Trento Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino - Via Oss Mazzurana, 54 - 38122 Trento
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L'ecoacustica: nuovo strumento di indagine e di interpretazione delle trasformazioni ambientali dell'Antropocene di Almo Farina
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Il modello italiano di dispersione urbana: la sfida dello "sprinkling" di Bernardino Romano, Francesco Zullo, Serena Ciabò, Lorena Fiorini, Alessandro Marucci
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Servizi ecosistemici: nuovi strumenti per la pianificazione urbana di Chiara Cortinovis, Linda Zardo, Davide Geneletti
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Paesaggi della rigenerazione di Lucina Caravaggi
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Reti ecologiche e pianificazione paesaggistica: verso la costruzione di un progetto di territorio di Maria Rita Gisotti
40 SECONDA PARTE: I TEMI, LE ESPERIENZE, I CASI STUDIO 42
Ecologie per il progetto contemporaneo: tra aspettative e metodo di Vincenzo Cribari
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Le Reti di Riserve in azione. Il caso del Parco Fluviale della Sarca di Micaela Delriu
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Ecologia fluviale e urbanistica con possibilità di dialogo di Maurizio Siligardi
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La rigenerazione ambientale attraverso l'agricoltura. La ricerca progettuale tra buone pratiche e prospettive future di Anna Lei
64
Esempi di paesaggi rigenerati di Cristina Imbroglini
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I servizi ecosistemici delle Aree Non Urbanizzate nei sistemi metropolitani di Daniele La Rosa
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Verde urbano e regolazione delle acque meteoriche: L' approccio modellistico come base per nuovi standard urbanistici di Raffaele Pelorosso, Federica Gobattoni, Nicola Lopez, Antonio Leone
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Comprendere e gestire la complessità dei serviziecosistemici: modelli dinamici per il valore ricreativo di siti Natura2000 di Rocco Scolozzi e Uta Schirpke
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Imparare da New Orleans: La costruzione di strategie resilienti per ecosistemi urbani di Marcella Del Signore, Cordula Roser Gray
90 La recensione
di Gaia Sgaramella
92 La biblioteca dell'urbanista a cura di Daria Pizzini
E D I T O R I A L E
Sistemi antropici e processi ecosistemici: una sintesi necessaria Pianificazione territoriale, qualità dell'ambiente, ruolo dei servizi ecosistemici e nuovi strumenti a supporto delle decisioni che riguardano il governo del territorio, sono al centro di questo numero monografico di Sentieri Urbani. L'idea di affrontare questo tema è nata dalla consapevolezza del ruolo sempre più importante, svolto dall'ecologia dentro la disciplina urbanistica. Una sensibilità arrivata in Italia con un certo ritardo rispetto ad altri Paese, ma proprio per questo destinata a diventare progressivamente cruciale dentro i processi decisionali orientati alla trasformazione del suolo. In un contesto sempre più antropizzato come quello italiano, infatti, il ruolo esercitato dalle dinamiche ecologiche rappresenta oramai un'esigenza imprescindibile: non solo per permettere al sistema naturale lo svolgimento delle proprie funzioni vitali, ma soprattutto per fornire al tessuto urbano, sia esso denso o diffuso, quella dimensione ambientale sempre più necessaria per elevare la qualità della vita dentro i sistemi insediativi antropici. La monografia, curato da Davide Geneletti e da Vincenzo Cribari, è stata immaginata divisa in due parti, secondo lo stile che caratterizza Sentieri Urbani: la prima dedicata a riflessioni principalmente di natura teorica, la seconda articolata in una sequenza di «casi studio», fra il locale e il globale, che hanno lo scopo di offrire uno spaccato delle esperienze, anche progettuali, che sono state recentemente messe in atto dentro e fuori la disciplina urbanistica. Apre la prima parte un saggio di Almo Farina dedicato all'«ecoacustica» e alla sua applicazione nella gestione delle risorse ambientali. Farina intende studiare quell'«oggetto complesso» che è il paesaggio a partire dalla sua accezione sonora. Una dimensione, quella acustica, che recentemente si è affiancata a quella più tradizionale visivo-percettiva, «espandendo in maniera significativa le potenzialità proattive dell'analisi dei paesaggi andando a completare analisi, diagnosi, e aspetti gestionali della pratica ecologica». Ci troviamo di fronte a nuovi strumenti teorici e metodologici della ricerca ecologica, che potranno fornire, già da domani, importanti suggerimenti a supporto della pianificazione. Il 6
gruppo di ricercatori guidato da Bernardino Romano sposta l'attenzione sul contesto della dispersione urbana, ovvero lo sprawl, quella «patologia insediativa» presente oramai in tutti i Paesi industrializzati, proponendo metodologie per perseguire una sistematica attuazione di progetti «capaci di ridurre la spontaneità tipologica e distributiva tipica degli attuali impianti espansivi». L'articolo firmato da Chiara Cortinovis, Linda Zardo e lo stesso Geneletti propone un percorso dentro nuovi strumenti di gestione ecologica a supporto della pianificazione urbana, attraverso una mappatura e valutazione dei servizi ecosistemici. Chiudono la prima parte due saggi firmati, rispettivamente, da Lucina Caravaggi e da Maria Rita Gisotti. Il tema della rigenerazione e delle sue implicazioni con i processi ecologici è al centro della riflessione di Caravaggi, attraverso un'analisi critica di alcuni paesaggi rigenerati che oramai appartengono a una tradizione consolidata. L'ultimo saggio, infine, illustra l'importanza della progettazione delle reti ecologiche nella costruzione di un territorio ecologicamente meglio articolato, partendo dall'illustrazione di alcuni aspetti del Piano paesaggistico della Puglia e del Piano paesaggistico della Toscana.
«nell'ambito di un equilibrato processo pianificatorio». Anna Lei parte invece dall'agricoltura per illustrare buone pratiche messe in atto nella rigenerazione ambientale. Cristina Imbroglini, quasi a corollario dell'articolo di Caravaggi, propone un sintetico, ma puntuale regesto critico di alcuni progetti che costituiscono un riferimento obbligato in tema di rigenerazione. Daniele La Rosa affronta il tema dei servizi ecosistemici nelle Aree Non Urbanizzate nei sistemi metropolitani, visti come elementi imprescindibili per «mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, per la creazione di connessioni ciclopedonali ed ecologiche, per il contenimento o annullamento dei processi di consumo di suolo». Il gruppo di studiosi rappresentato da Raffaele Pelorosso lavora su un tema particolare: la regolazione delle acque meteoriche nel verde urbano, proponendo un approccio modellistico orientato a individuare nuovi standard urbanistici. Chiude questa seconda parte un saggio di Rocco Scolozzi che interviene sui modelli dinamici per individuare il valore ricreativo di siti Natura2000, con lo scopo di comprendere la complessità di servizi ecosistemici. Gli spunti offerti dai saggi contenuti in questo numero di Sentieri Urbani sono molti e tutti di estremo interesse. La disciplina urbanistica, infatti, sta attraversando un'importante fase di ripensamento dei propri fondamenti teorici. Da disciplina nata per costruire le città sta ora facendo sua la grande sfida della costruzione del territorio, inteso non solo nelle sue componenti antropiche, ma anche in quelle ambientali ed ecologiche. In questa prospettiva gli urbanisti sono chiamati ad arricchire il loro vocabolario di conoscenze e di esperienze provenienti da discipline affini, in primis le scienze naturali, quelle della terra e l'ecologia. L'obiettivo è, proprio grazie all'uso delle tessere di questi saperi a supporto della pianificazione, quello di rendere i nostri territori, miracolosamente sopravvissuti alla fortissima pressione antropica degli ultimi cinquant'anni, un degno contenitore delle vicende dalla storia umana. Ancora per molti secoli. Alessandro Franceschini
La seconda parte della rivista è stata invece pensata come un prontuario di buone pratiche e di sperimentazioni sul tema oggetto del numero monografico. Cribari ci introduce in questa sezione, tracciando un percorso teso a far emergere l'uso dei riferimenti all'ecologia nelle discipline legate al progetto e il modo in cui questo concetto subisca delle modificazioni all'interno dei diversi ambiti afferenti all'architettura del paesaggio, all'urbanistica e alla pianificazione. Segue uno scritto di Micaela Deriu che illustra l'attività svolta in seno allo strumento della «Rete delle Riserve», con particolare attenzione al caso del Parco Fluviale della Sarca, in Trentino. Maurizio Siligardi pone l'attenzione sul «dialogo possibile» tra ecologia fluviale e urbanistica, invitando il lettore ad accantonare «visioni antropocentriche» nelle scelte di governo del territorio, preferendo il ruolo che ecologia e ambiente possono giocare 7
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Fotografia di L. Chistè
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TRA CITTÀ E NATURA, NUOVI STRUMENTI PER L'URBANSITICA ECOLOGICA
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TRA CITTÀ E NATURA
Teorie e principi per lo studio dei paesaggi sonori e per l'applicazione dell'ecoacustica alla gestione delle risorse ambientali di Almo Farina*
* Almo Farina, Dipartimento di Scienze Pure ed Applicate Università di Urbino, I
Introduzione L'ecologia del paesaggio rappresenta la disciplina di riferimento per tutti coloro che si occupano di territorio e più in generale di ambiente quando contestualizzato da ambiti geografici. Questa disciplina ecologica delinea in maniera dettagliata pattern e processi spaziali presenti sul territorio e per questo è costituita da una costellazione di principi e metodi non facilmente riconducibili ad una dimensione epistemica unitaria. Infatti il paesaggio è di per sé un “oggetto complesso” di cui se ne stanno occupando da molti decenni geografi, ecologi, urbanisti, agronomi, psicologi, sociologi e artisti. La sua narrativa affonda quindi in radici semantiche assai variegate. Il paesaggio è allo stesso tempo, un'entità fisica, percettiva, cognitiva e culturale, con cui si misurano durante i loro cicli vitali piante ed animali, trovando, quando l'interfaccia è quello umana, la sua dimensione fenomenologica più complessa. Lo studio ecologico del paesaggio si divide in almeno due grandi filoni: lo studio di pattern (eterogeneità, matrici, patch, ecotoni, etc.) e processi spaziali collegati (frammentazione, disturbo, connettività, etc.) e lo studio percettivocognitivo e più in generale semiotico (p.e. Umwelt ed eco-field) e culturale (processi di
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abbandono, di urbanizzazione, di utilizzo delle risorse, etc.). Gli strumenti di analisi sono di conseguenza altrettanto vari confluendo nei Geographic Information Systems che incorporano, traducendo in formati digitali ed accessibili alle numerose metriche spaziali, carte tematiche (p.e. catastali storiche, dell'uso del suolo, di rischio ambientale, di distribuzione della vegetazione e della fauna) ed informazioni multispettrali da remote sensing (Farina 2006). Recentemente alla dimensione visiva che domina la percezione del paesaggio si è aggiunta la dimensione acustica, espandendo in maniera significativa le potenzialità proattive dell'analisi dei paesaggi andando a completare analisi, diagnosi e aspetti gestionali fino ad ora largamente ignorati nella pratica ecologica. L'importanza dei suoni nell'ecologia delle specie e dei paesaggi è stata stigmatizzata dall'emergente disciplina dell'ecoacustica (Sueur e Farina 2015) che ha delimitato l'ambito delle proprie competenze riconoscendo il paesaggio come il contesto di riferimento per l'analisi dei suoni distinti per la loro origine in: geofonie (vento, acque correnti, tuoni, pioggia, etc.), biofonie (canti, richiami, allarmi, vocalizzazioni) e tecnofonie (industrie, mezzi di trasporto, etc.) (Pijanowski et al. 2011, Farina 2014).
I suoni sia in ambito terrestre che in ambito acquatico sono grandi vettori di informazione ed espressione comune di molti comportamenti animali, vitali per la sopravvivenza delle specie. Da tempo studiati in una chiave “anatomica” dalla bioacustica, di recente sono entrati a pieno titolo nel campo delle competenze ecologiche ed in particolare nei rapporti tra paesaggi geografici e informazione acustica. In particolare per l'uomo i suoni provenienti dai paesaggi siano essi paesaggi indisturbati che paesaggi modificati o artificiali come i paesaggi urbani, diventano sia fonte di informazione primaria che contesto ambientale rilevante per il proprio ben-essere. Le componenti funzionali dei paesaggi sonori Un paesaggio sonoro è il risultato dell'insieme di sorgenti geofoniche, biofoniche e tecnofoniche le cui caratteristiche dipendono dal loro livello di dominanza. La dimensione spazio temporale del paesaggio sonoro e la sua organizzazione dipendono dai caratteri e dalle dinamiche del paesaggio geografico di cui è diretta derivazione. Il paesaggio sonoro presenta una invariante eterogeneità a diverse scale e da un punto di vista funzionale è suddividibile in agenti ecologici quali: sonotope, sonotone, soundtope, comunità acustiche ed eventi ecoacustici (Fig. 1). Questa narrativa rappresenta un punto di forza nella teoria ecoacustica ma per la sua novità richiede una opportuna illustrazione. Sonotope: Ogni paesaggio sonoro è composto da patch acustiche omogenee o sonotope caratterizzate da una diversa percentuale di geo, bio e tecnofonie (Farina 2014, p. 16–17). Quindi i sonotope sono patch acustiche come lo sono le patch geografiche di una paesaggio. L'insieme dei sonotope presenti a molte scale spazio-temporali va a comporre un mosaico a grana fine che contribuisce alla complessità dei paesaggi geografici. Sonotone: Ai margini di ciascun sonotope esiste un'area di transizione tra due o più sonotope. Quest'area è considerata come un ecotono acustico o sonotone dove l'informazione dei sonotope componenti si sovrappone. Un sonotone può essere considerato una regione a grande incertezza acustica con ripercussioni sul comportamento di molte specie animali (Farina 2014, p. 19).
Soundtope: Quando un sonotope è analizzato ad una risoluzione più raffinata emerge una ulteriore eterogenità come avesse una struttura frattale e come tra l'altro accade a molti pattern e processi ecologici (Wiens 1994). L'eterogeneità che si incontra in un sonotope dipende in larga misura dalle biofonie che cambiano nel tempo e nello spazio. Queste suddivisioni vengono chiamati soundtope e sono originati dalla differente distribuzione delle biofonie (Farina 2014, p. 19). Le comunità acustiche Farina e James (sottomesso) hanno definito una comunità acustica come una aggregazione di specie che produce suoni usando sia strumenti sonori interni che esterni, e tali comunità si incontrano sia in ambienti acquatici che in ambienti terrestri. Un comunità acustica è quindi il risultato di un insieme di individui e specie che interagiscono acusticamente tra di loro. Le comunità acustiche possono essere considerate come l'impronta acustica che emerge dalla distribuzione delle frequenze emesse dalle specie che
appartengono a quella comunità acustica. Una loro caratteristica è l'estrema dinamicità legata ai cicli riproduttivi e agli effetti delle condizioni metereologiche. Il loro studio permette di meglio comprendere aspetti delle dinamiche di popolazione e di comunità altrimenti di difficile approccio. Sappiamo che ogni biofonia richiede un investimento energetico nell'animale che la emette e considerando che in natura lo “spreco” non è evolutivamente vincente, possiamo ragionevolmente considerare ogni biofonia un proxy delle condizioni di fitness degli individui e quindi può essere utilizzata per meglio comprendere i complessi rapporti tra le specie ed loro ambiente. Le comunità acustiche presentano una dinamicità molto elevata che spesso non può essere associata a pattern ambientali quali la vegetazione o la geografia di un luogo. Questo significa che la loro esistenza è effimera, variabile nello spazio e nel tempo, lasciando intravvedere meccanismi sociobiologici sui quali ancora poco si conosce e che sicuramente hanno effetti importanti a livello individuale.
Fig. 1 – Rappresentazione gerarchica delle componenti essenziali dei paesaggi sonori e dei relativi processi geografici, ecologici, comportamentali e di paesaggio (da Farina 2014, modificato).
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Gli eventi ecoacustici La parola evento deriva dal latino eventus -us, der. di evenire «accadere, riuscire» (www.treccani.it). Questo termine è ampiamente usato in molti campi della conoscenza da quello filosofico e matematico a quello storico e mediatico. In ecoacoustica definiamo un evento ogni fenomeno acustico che avviene in uno spazio ed in un intervallo temporale ristretti e tale da considerarlo fenomeno distinguibile dal contesto acustico precedente e successivo. Questa definizione riprende in maniera meno restrittiva quella data dalla fisica. L'uso dell'aggettivo “ecoacustico” è richiesto per meglio specificare il ruolo ecologico di questo evento e per il fatto che è oggetto di studio e di interpretazione dell'ecoacustica. Il significato attribuibile ai suoni dipende dalle capacità percettive e cognitive associate alle funzioni vitali ed allo stato fisiologico dell'organismo ricevente. Detto ciò, ne consegue che un evento ecoacustico è un portartore di informazione necessaria a soddisfare i bisogni che un organismo ha per mantenersi in vita. Quindi un evento è una unità funzionale riconoscibile e quindi distinta dall'ambiente acustico in cui ogni organismo è immerso e rappresenta un agente biosemiotico utilizzato da un organismo per esercitare un necessario controllo sull'ambiente. Infatti un evento ecoacustico non è semplicemente un fenomeno distinguibile ma contem-
poraneamente è un eco-field biosemiotico porta- undscape Explorer [terrestrial], Lunilettronik, tore di significato utilizzato per intercettare speci- Fivizzano, MS). fiche risorse (Farina e Belgrano 2004, 2006). EEDI è stato concepito come uno strumento di data mining per big data, come in effetti sono i Noi non sappiamo se un evento ecoacustico rico- dati che vengono prodotti da stazioni di monitonosciuto dall'uomo possa avere lo stesso significa- raggio acustico di lungo termine. EEDI presenta to per un animale ma è ragionevole ritenere che principalmente due routine: la prima serve a rinogni organismo percepisca i suoni del proprio tracciare gli eventi mentre la seconda ne stabilisce intorno non come somma di tanti suoni isolati ma l'identità. La prima routine si basa su una robusta come un unico e distinto evento acustico portato- analisi numerica dei suoni registrati dopo la loro re di significato. Secondo la teoria dell'eco-field, rappresentazione digitale a seguito della Trasforogni località geografica può avere distinti eventi mata di Fourier. La seconda routine porta al ricoacustici per un organismo e allo stesso tempo altri noscimento degli eventi selezionati attraverso una eventi per altri organismi. Per esempio il suono di loro correlazione statistica con eventi già classifiun'autoambulanza è un evento acustico ben rico- cati delle rispettive firme acustiche (Fig. 2). noscibile dall'uomo, sicuramente pur essendo udi- Questo modello consente quindi di esplorare in bile da molti animali non potrà mai avere lo stesso modo rapido ed efficace i file acustici ed allo stesso significato. tempo di lavorare allo studio degli eventi acustici, Ciò detto, anche se esistono forti incertezze sul tema che non è mai stato trattato in maniera significato attribuito dagli animali ad un evento esplicita dall'ecoacustica. acustico, il concetto di evento e la sua individuazione rappresentano una nuovo modello biose- Aspetti applicativi dell'ecoacustica miotico a disposizione dell'ecoacustica e più in Il loro ruolo ecologico dei suoni nel funzionamengenerale dell'ecologia. to dei sistemi ambientali è stato a lungo ignorato e Un modello di intercettazione ed identificazione i suoni stessi della natura appaiono oggi minacciati degli eventi denominato EEDI (Ecoacoustic Event per il mascheramento prodotto dalla accresciuta Detection and Identification) è stato presentato intrusione dell'uomo negli ecosistemi e dai camrecentemente (Farina et al. 2016) e gestito in biamenti climatici che hanno un formidabile forma semiautomatica dal software Soundscape- impatto sulla eco-fisiologia delle specie. Meter 2.0 (Farina e Salutari, 2016) che opera sui dati raccolti dai registratori digitali SET (So-
Fig. 2. Esempio di rappresentazione nello Spazio degli Eventi (Ecoacoustic Event Space) di 240 files di 1 minuto, distanziati da 5 minuti di non registrazione che coprono l'arco della giornata del 29 marzo 2016 in località Madonna dei Colli (Appennino settentrionale, Comune di Fivizzano). Sull'asse delle x è rappresentato l'Acoustic Complexity Index frequenziale (ACIf), su quello delle y la sua evenness, i colori indicano un diverso valore di evenness dell'Acoustic Complexity Index temporale (ACIt) (SoundscapeMeter 2.0, Farina e Salutari 2016). I quadratini rossi indicano i cori mattutini degli uccelli, il quadratino blu posto tra 11,64 e 13,64 è il risultato del passaggio a bassa quota di un elicottero (Farina, dati non pubblicati).
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Il rumore Nell'attuale epoca chiamata Anthropocene dal premio nobel Paul Crutzen e dal suo collega Eugene Stoermer (Crutzen and Stoermer 2000), la popolazione umana che è in costante aumento (Cohen 2003) si sta concentrando nelle aree urbane (54% in 2014, WHO) che sono in forte espansione inglobando sempre più vaste aree naturali e diventando quindi aree relittuali caratterizzate da una elevata fragilità e da una bassissima resilienza ecologica. In queste aree il rumore è un fenomeno a crescente impatto per l'uso massiccio di tecnologie basate sui motori a combustione e sui mezzi di trasporto sempre più veloci che sprigionano nell'attrito con il medio forti emissioni sonore (Pivato 2011). Il rumore può essere definito come un suono a bassa informazione (alto livello di disordine) che maschera altri suoni e che riduce lo spazio attivo utilizzabile dagli animali per comunicare. Da un punto di vista umano il rumore è definito come un suono non voluto o spiacevole (Truax 1999) ed è stato considerato nel 1971 dalla World Health Organization (WHO) una delle maggiori minacce al benessere umano. Importanti tracce di intrusione acustica sono presenti anche negli ecosistemi più remoti, dagli oceani aperti alle aree della tundra artica. Il rumore ha una marcata influenza su numerose ed importanti funzioni animali come la selezione degli habitat, la formazione delle coppie, la ricerca delle risorse alimentari ed i meccanismi preda-predatore. Il rumore di origine naturale è meno frequente di quello presente negli ambienti modificati dall'uomo tuttavia in alcuni luoghi come in prossimità di cascate, di vulcani attivi o lungo coste rocciose il rumore può essere un elemento dominante. Piogge intense e forti venti possono andare ad influenzare frequenze fino a 5000 Hz interferendo con la maggior parte degli uccelli canori e non è quindi un caso che durante questi eventi la maggior parte degli uccelli canori rimanga silenziosa (Robbins 1981, Bruni et al. 2014). Gli effetti del rumore sugli animali sono stati molto studiati in particolare negli uccelli (c.f. Klump 1996, Slabbekoorn et al. 2010). Sono stati accertati danni agli apparati auditivi (per gli uccelli che vivono negli aeroporti), oppure reazioni di stress quali una riduzione del successo riproduttivo, cambiamenti nella comunicazione,
interferenze nell'abilità di percepire predatori (Francis et al. 2009, Ortega 2012). Per ridurre l'effetto del rumore gli animali, uomo compreso, usano diverse strategie riconducubili al ben noto effetto Lombard che prende il nome dal medico russo Lombard Etienne (1869-1920) che descrisse nel 1911 l'aumento del tono della voce nelle persone in presenza di rumore (Lombard 2011). Questa strategia è stata osservata in molte specie animali (p.e. nella quaglia giapponese (Coturnix japonica) (Potash 1972), nell'usignolo (Luscinia megarhynchos) (Brumm & Todt 2003), nel diamante mandarino (Taeniopygia guttata) (Cynx et al. 1998) e nello scoiattolo terricolo (Spermophilus beecheyi) (Rabin et al. 2003)). Una ulteriore strategie messa in atto per evitare l'effetto di mascheramento è quella di cambiare la frequenza dei suoni emessi (canti e richiami negli uccelli). E' il caso osservato da Slabekoorn e Peet (2003) nelle popolazioni urbane di cinciallegra (Parus major) e da Luther e Baptista (2010) in Zonotrichia leucophrys della penisola di San Francisco (California). Negli ambienti marini gli effetti dei rumori antropici sono ancora più drammatici per la velocità con cui i suoni si propagano in questo mezzo, circa 5 volte superiore alla velocità di propagazione nell'aria. Le maggiori conseguenze sono state osservate nella comunicazione dei grandi cetacei quali Megaptera novaeangliae (Au e Green 2000), Eubalena glacialis e E. australis (Parks et al. 2007). All'aumentato traffico marino responsabile del ruomore si deve aggiungere l'aumento di acidità delle aque per effetto di una maggiore CO2 che andrà a produrre un aumento della diffusione dei rumori 2.5-3 Db per decennio nella banda di frequenza di 30-50 Hz (e.g., Etter 2012, McDonald et al. 2006, Simpson et al. 2011). Ma anche nei crostacei è stata dimostrata una forte sensibilità verso i rumori (Tolimieri et al. 2000, McCauley et al. 2003). La conservazione della biodiversità del nostro pianeta passa anche dallo studio degli effetti del rumore ed dalla individuazione delle sue cause.
effetti nelle aree polari, in quelle montane e soprattutto nelle regioni tropicali dove le specie già vivono al limite della loro tolleranza termica. Lo spostamento dei biomi verso nord a seguito delle modificazioni climatiche (temperatura e piovosità) (IPPC 2014) crea nuove condizioni ambientali che avvengono ad una velocità a cui i meccanismi adattativi delle specie spesso non possono adeguarsi (Parmesan 2006). Questo produce la riduzione degli areali specie-specifici e spesso determina l'estinzione definitiva di specie (Easterling et al. 2000, Alois e Cheng 2007). Tutto questo comporta massicci spostamenti di specie ridisegnando i loro areali e creando nuove condizioni nei rapporti competitivi tra specie. I suoni per la loro estrema plasticità sono fra i caratteri specie specifici a modificarsi per primi al cambiare delle condizioni ambientali. Quindi ci aspettiamo tra gli effetti del cambio climatico vistosi effetti sulle manifestazioni canore e quindi sulle conseguenze ecologiche e comportamentali prevedibili. Il cambiamento climatico è atteso influenzare sia l'ambiente fisico come previsto dalla Acoustic Adaptation Hypothesis) (Morton 1975, Marten e Marler 1977, Cosens e Falls 1984, Ey e Ficher 2009) che i rapporti comportamentali tra le specie (Acoustic Niche Hypothesis, Krause 1987, 1993, 2012). Strategie per ottimizzare la propagazione dei suoni dovranno essere trovate dalle specie, come pure meccanismi di riduzione della competizione sonora. Le novità ambientali determinate dal cambiamento climatico rappresentano un banco di prova per molte specie che saranno sottoposte ad una specie di lotteria dove perdenti e vincenti andranno ad alternarsi con conseguenze sulla risultante biodiversità al momento di difficile previsione. Lo studio dei suoni nell'ambito della tematica del cambiamento climatico assumerà una importanza crescente proprio per la grande plasticità che le manifestazioni acustiche possiedono ed il loro studio potrà individuare per tempo i segnali di cambiamento in corso che per esempio nelle piante richiedono tempi assai più lunghi e quindi le piante non potranno essere buoni indicatori ma soltanto descrittori di cambiamenti già avvenuti.
Il cambiamento climatico Il cambiamento climatico causato soprattutto dall'accumulo di gas serra nell'atmosfera è stato ampiamente dimostrato dalla ricerca scientifica che da tempo denuncia il rischio di una progressiva irreversibilità dei processi di riscaldamento del Commenti conclusivi nostro pianeta (IPPC 2013). L'aumento della temperature fa sentire i suoi Il ruolo ecologico dei suoni come espressioni feno-
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tipiche a forte plasticità, sta assumendo una crescente rilevanza grazie ai nuovi studi di ecoacustica che stanno mettendo a fuoco le loro molteplici implicazioni ecologiche. L'ecoacustica, supportata da una avanzata tecnologia digitale, come emergente disciplina ecologica (Sueur & Farina 2015) offre quindi nuovi strumenti teorici e metodologici alla ricerca. In particolare raccogliere informazioni sui suoni è un esercizio a basso impatto sia in termini di disturbo arrecato all'ambiente per attuare la sensorship, sia per il basso costo di questo metodo di raccolta delle informazioni ambientali (Farina et al. 2014). I suoni diventano quindi proxy privilegiati per la valutazione dell'intrusione sonora umana (tecnofonie) nei sistemi ambientali e degli effetti del cambiamento climatico sulle specie. La possibilità di immagazzinare grandi quantità di dati e di elaborarli on-board, assieme a nuovi strumenti di data mining per la ricerca di eventi acustici (Farina e Salutari 2016) rende questa tecnologia immediatamente spendibile per una applicabilità estesa a molti campi di interesse sociale ed economico in un'ottica di ricerca sostenibile. Inoltre il basso costo della ricerca in ecoacustica e la sua elevata automazione nell'elaborazione rendono questo approccio immediatamente esportabile in realtà socialmente ed economicamente svantaggiate.
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TRA CITTÀ E NATURA
Il modello italiano di dispersione urbana: la sfida dello "sprinkling" di Bernardino Romano, Francesco Zullo, Serena Ciabò, Lorena Fiorini, Alessandro Marucci*
* Bernardino Romano, Francesco Zullo, Serena Ciabò, Lorena Fiorini, Alessandro Marucci, dipartimento di Ingegneria Civile, Edile-Architettura, Ambientale dell'Università degli Studi dell'Aquila
Introduzione Lo sviluppo urbano disperso a bassa densità su grandi estensioni di territorio (conosciuto come sprawl) è una patologia insediativa da molti anni segnalata alla scala mondiale che si presenta, con modalità poco diverse, in tutti i Paesi sia industrializzati che in crescita (Frenkel e Ashkenazi, 2008; Jaeger et al., 2010; Ding e Zhao, 2011; BarringtonLeigha e Millard-Ballb, 2015). Il fenomeno riguarda anche tutto il continente europeo, pur se gli schieramenti distributivi dell'Europa meridionale, e in particolare quelli dei Paesi dell'area iberica, mediterranea e balcanica, si distaccano generalmente da quelli settentrionali. A modelli diversi corrispondono problemi variamente declinati e la ricerca esposta nel presente lavoro ha indagato e diagnosticato queste forme della trasformazione insediativa del suolo, concentrandosi sul caso italiano, uno dei più significativi dell'Europa Occidentale. La fisionomia attuale del paesaggio urbano nazionale inizia a svilupparsi dal secondo dopoguerra. Inoltre, dagli anni '80 in poi, i momenti di pianificazione regionale, provinciale e comunale si sono sempre più divaricati ed indeboliti (Cabiddu, 2014) e l'urbanizzazione è dilagata pressoché liberamente in forma estremamente dispersa, soprattutto nelle pianure agricole (Paolinelli, 2005; Diamantini e Cribari, 2014), nelle valli fluviali, ma anche nelle fasce collinari e pedemontane.
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Ne è derivata l'alterazione sistematica di importanti paesaggi agrari e culturali e l'invasione di vaste aree a rischio idrogeologico, con drammatiche conseguenze sulla sicurezza delle aree abitate e produttive che ogni anno mostrano la loro altissima vulnerabilità, anche a causa delle variazioni climatiche in atto (Filpa, 2014; Musco e Fregolent, 2014). Le conseguenze che ne sono derivate hanno riguardato seri decrementi della qualità della vita antropica: gli insediamenti molto diffusi presentano alti costi di gestione energetica, bassa resilienza complessiva (Galderisi e Ferrara, 2012; Geneletti e Zardo, 2016), difficoltà di dotazione dei servizi e dei trasporti pubblici e quindi una generalizzata dipendenza dalla mobilità privata (Camagni e Travisi, 2006). Inoltre è stata causata una profonda alterazione di paesaggi agricoli, montani e costieri alcuni dei quali sono oggi decisamente lontani dall'immagine storicamente apprezzata dalla cultura turistica internazionale. Un ulteriore effetto, già evidenziato da molti anni, riguarda la riduzione di qualità degli ecosistemi e dei relativi servizi a causa della grave erosione e frammentazione ecologica dovuta alle linearizzazioni urbane e alla proliferazione delle strade di ogni categoria che la dispersione urbana richiede (Romano, 1999; Battisti, 2003; Scolozzi et al., 2012). Alcuni dei dati che vengono di seguito utilizzati
derivano da una ricerca durata quasi dieci anni L'evoluzione del modello insediativo nazionale rispondono ad una superficie dell'ordine degli (2006-2015) che ha consentito di valutare la dina- La relazione con la demografia 800.000 ettari, cioè poco meno del 3% della mica evolutiva delle aree urbanizzate italiane a La superficie urbanizzata italiana, estratta dalle estensione nazionale. Questo calcolo porterebbe partire dal secondo dopoguerra, in modo misu- carte di uso del suolo regionali aggiornate media- ad una credibile valutazione complessiva del tasso rato e non campionato, con un livello di dettaglio mente dopo il 2000, è oggi attendibilmente sti- medio di artificializzazione dei suoli italiani intorno dell'1:20.000 per la sezione anni '50 (fonte: carto- mabile in 2 milioni di ettari (7% del Paese), ad al 10%, ma con un errore di stima troppo elevato grafia IGM) e dell'1:10.000 -5.000 per quella suc- esclusione delle strade esterne agli agglomerati per cui i dati esposti in seguito non tengono conto cessiva al 2000 (fonte: Carte regionali di uso del densi. I dati a disposizione alla scala nazionale non del contributo della viabilità. Si è trattato di una suolo). Sono stati utilizzati diversi indicatori per consentono di misurare con elevata precisione accelerazione rapidissima negli ultimi 50 anni, concomprendere i fenomeni quali-quantitativi legati l'area coperta dalle strade, ma il database disponi- siderando che nell'immediato dopoguerra la denalla crescita urbana e poi per delineare i modelli bile su https://openstreetmap.it/ denuncia uno sità di urbanizzazione non raggiungeva il 2%. La prevalenti nelle varie aree del Paese (Romano et sviluppo complessivo di oltre 1 milione di chilome- velocità media di trasformazione è stata superiore al. 2015a; Romano e Zullo, 2012, 2014, 2015). tri delle categorie infrastrutturali veicolari, che cor- agli 80 ha/giorno (Figg. 1 e 2). Sono stati evidenziati alcuni valori di soglia e traiettorie inedite di convergenFigure 1 - Le variazioni regionali delle densità di urbanizzazione dal dopoguerra agli anni successivi al 2000 za regionale verso questi valori in un arco temporale di notevole validità statistica. Gli indicatori utilizzati hanno permesso di classificare i “comportamenti insediativi” attraverso la penisola che, come è ben noto, presenta da sempre profonde differenze economiche, sociali e culturali tra nord e sud che le politiche governative non sono mai riuscite ad equilibrare. Un risultato significativo ha riguardato la configurazione di un nuovo schema dispersivo, alternativo allo “sprawl”, denominato “sprinkling”, e che meglio esprime le caratteristiche e la struttura funzionale del sistema urbano italiano attuale (Romano et al., 2015b). Si tratta peraltro di un modello molto meno controllato e ben più difficilmente gestibile e rimediabile in proFigure 2 – Tassi di variazione e velocità medie di consumo di suolo dal dopoguerra agli anni successivi al 2000 nelle regioni italiane. spettiva che non quello standard internazionale noto appunto come “sprawl”. Uno degli aspetti più importanti riguarda la correlazione tra crescita urbana e variazione demografica: la ricerca ha dimostrato che questa corrispondenza è inapprezzabile a livello locale, mentre è significativa ai livelli regionali e nazionale. Nel Paese viene oggi riconosciuta una assoluta necessità di riorganizzare la distribuzione dell'edificato e delle sue aree funzionali accessorie, per contenere la loro espansione e renderle più sostenibili sia in termini ambientali che sociali ed economici, e le conclusioni a cui la ricerca è pervenuta sono sostanziali per poter ricalibrare le regole future in base ai comportamenti insediativi delle varie comunità regionali.
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Le modificazioni degli assetti urbani hanno riguardato in maniera diversa i comuni italiani, con una forte dipendenza dalla quantità di popolazione e dalle relazioni geografiche con le principali aree metropolitane del Paese. La Figura 3, sulla base delle classi di ampiezza demografica dei comuni utilizzate dall'ISTAT, mostra una distribuzione polinomiale pressoché analoga per
entrambi i fenomeni di variazione demografica (∆Dem) e urbana (∆Urb) (R² superiore a 0,85 fino a 0,92). I piccoli centri (fino a 3000 abitanti) hanno perso popolazione anche in modo consistente, pur avendo incrementato le aree urbanizzate fino al raddoppio. I centri che hanno manifestato le dinamiche più importanti sono quelli collocati tra i 5000 e i 60.000 abitanti (città medie per le dimen-
sioni italiane), nei quali ad incrementi di popolazione contenuti intorno al 50% hanno corrisposto aumenti di urbanizzato superiori al 300% (6 volte di più). Una dinamica demografica quasi stabile e urbanizzazioni incrementate solo di una volta e mezza le troviamo poi nuovamente nei grandi comuni con oltre 250.000 abitanti.
Figura 3 – Le variazioni nella popolazione e nella urbanizzazione nelle diverse categorie demografiche selezionate dall'ISTAT.
Ma in queste grandi unità amministrative le mag- più volte che non c'è proporzionalità tra dinamigiori variazioni in mezzo secolo non sono state che demografiche e di urbanizzazione, dipendenregistrate al loro interno, bensì nelle corone di do queste ultime da forzanti spesso sganciate comuni circostanti entro un raggio di 10 km. Se i dagli interessi residenziali permanenti. Già alla grandi comuni hanno infatti avuto mediamente scala regionale invece questa proporzionalità è un ∆Urb=136% e un ∆Dem = 14%, gli analoghi ben verificata. L'indice di disproporzionalità valori nei loro hinterland sono stati del 200% e demo-urbana riferito all' i-esimo ambito (regione) del 38% a certificare la ben nota tendenza alla di un sistema territoriale dato (Paese) formato da periferizzazione insediativa indubbiamente n ambiti (regioni) è definito come segue: comune a molti Paesi, ma che in Italia assume connotati problematici molto più gravi, come si è S urb i anticipato e si vedrà anche in seguito. nS 1 urb Un indicatore molto significativo del comportaI ds N inhab i mento insediativo è poi l'urbanizzazione procapinN te. I valori del dopoguerra si differenziavano net1 inhab tamente tra le regioni ad economia più agricola Dove (inferiore ai 100 m2/ab) e quelle già industrializS urb i = Superficie urbanizzata dell' i-esimo ambito del sistema territoriale considerato zate e terziarizzate (oltre 200 m²/ab). AttualmennS te la gran parte delle regioni si è allineata su una 1 urb = Superficie urbanizzata totale del sistema territoriale considerato media di 360 m²/ab (con una deviazione stanN inhab i = Numero di abitanti residenti nell' i-esimo dard che si è dimezzata, passando dal 60 al 30%) ambito del sistema territoriale considerato nN che è anche la media dell'Europa occidentale. 1 inhab = Numero totale di abitanti del sistema territoriale considerato Gli studi locali a scale comunali hanno mostrato
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Quando I ds 1 si verifica la perfetta proporzionalità tra popolazione e superfici urbanizzate. La Figura 4 mostra come, nel caso del sistema territoriale nazionale, su 20 ambiti regionali ben 5 sono allineati quasi rigorosamente sul valore 1 di perfetta proporzionalità e comunque 11 nel complesso ricadono nel range di leggera disproporzionalità compreso tra 0,80 e 1,20. Tra queste compaiono regioni molto turistiche o molto industrializzate quali la Lombardia, il Trentino e la Toscana. Altre regioni con le stesse caratteristiche socioeconomiche (Piemonte, Sardegna, Emilia Romagna e Veneto) presentano aree urbane sovradimensionate rispetto alla loro entità demografica. La maggior parte delle regioni meridionali si collocano invece nella posizione opposta, con un livello di urbanizzazione più limitato rispetto alla demografia. In questa fascia compare solo una regione del nord, la Liguria, molto industrializzata, ma con forti limitazioni orografiche a causa di un territorio costretto tra il mare e l'arco alpino. Per le altre regioni il motivo principale è la più contenuta presenza di insediamenti industriali che, nel caso di
Figura 4 - Indice di disproporzionalità demo-urbana.
Lazio e Campania, si coniuga anche con una forte terziarizzazione e con le più elevate densità demografiche del Paese (doppie della media nazionale). In un contesto di proporzionalità demo-urbana verificata il valore medio di urbanizzazione procapite detto (circa 360 m²/ab) assume una sua importanza nel merito previsionale degli scenari di eventuale incremento della popolazione nei decenni futuri. La relazione con la morfologia Le differenze morfologiche e storicoeconomiche che contraddistinguono l'Italia, soprattutto in direzione meridiana, provocano una distribuzione delle aree urbane molto differenziata nelle 20 regioni in cui il Paese è diviso. Metà delle superfici urbane ricadono nelle pianure (una morfologia che interessa meno di un quarto del territorio) conferendo a queste una densità di urbanizzazione del 12%. Si
tratta di un valore più che doppio degli anni '50 (quando questo indice era inferiore al 5%), con una velocità media di trasformazione vicina ai 43 ha/giorno. Ma anche le colline, meno della metà del territorio nazionale, sono urbanizzate al 6%, il che vuol dire che concentrano il 22% dell'urbaniz-
Figura 5 Il fenomeno di incremento della densità urbana lungo alcune valli alpine negli ultimi 50 anni
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zato totale (con una velocità media che è stata di poco inferiore ai 20 ha/giorno). Le stesse aree montane sono urbanizzate al 2% contro il 6 per mille negli anni '50 e con forti concentrazioni lungo le linee di fondovalle (Fig. 5).
I maggiori valori di densità urbana delle regioni pianeggianti sono evidentemente dovuti alla facilità di collegamento che queste zone presentano rispetto alle localizzazioni industriali, commerciali e di servizio in genere, mentre le colline attraggono molti interessi residenziali per ragioni climatiche e paesaggistiche e le montagne per motivi essenzialmente legati al turismo. L'influenza della morfologia è molto evidente lungo l'arco peninsulare del Paese, dove la linea meridiana della catena appenninica ha sempre limitato lo sviluppo urbano delle aree interne, mentre questo è stato molto intenso lungo le coste. Attualmente meno del 30% degli oltre 4.000 km di costa peninsulare sono liberi da urbanizzazione (26% dei 788 km della costa Jonica, 30% dei 1940 km della costa tirrenica e 31% dei 1472 km della costa adriatica) contro oltre il 60% degli anni '50. La densità di urbanizzazione della fascia costiera dei 500 m è pari a 5 volte quella media nazionale (34% contro il 7%) con punte del 40 e financo del 50% in alcuni settori regionali come la Liguria, l'Emilia Romagna, il Friuli e la Calabria. Gli incrementi di densità urbana sono
piuttosto pronunciati anche nelle aree retrocostiere che hanno risentito positivamente dei vantaggi economici e di trasporto delle linee infrastrutturali veloci che percorrono l'Italia sui due versanti litoranei. I modelli insediativi locali vengono quindi condizionati dall'orografia, ma anche dalla limitata forza regolativa della pianificazione attuativa che, è opportuno ricordare, in Italia è gestita individualmente da più di 8.000 Comuni, cioè ad un livello decisionale amministrativo molto basso se si pensa che la dimensione media nazionale del comune è di 36 km² (6x6 km). Come già detto in precedenza nelle pianure e nelle aree bassocollinari di tutto il Paese si è stabilizzata la configurazione di dispersione estrema, con aggregati dimensionalmente molto variabili (dal singolo edificio alla piccola conurbazione) distribuiti nella matrice agricola, con alta commistione funzionale di residenza, industriale/artigianale, direzionale e commerciale/terziario di vario tipo. Questo schema insediativo, come già detto recentemente ridefinito come “sprinkling”, presenta alcune differenze dal modello internazionale dello sprawl in
primo luogo per origine e poi per parametri caratteristici: Sprawl - Impianto urbano progettato mediante dispositivi di lottizzazione, con unità prevalentemente mono-bifamiliari. Interventi coordinati di realizzazione degli spazi e dei servizi collettivi, spesso anche nelle architetture degli edifici. Tessuti urbani omogenei per uso. Densità edilizia: 10-20 ed/ha. Densità residenziale: 20-25 ab/ha, Rapporto di copertura: 10-12%. Sprinkling - Insediamento a sviluppo parzialmente spontaneo o comunque a basso tenore di controllo, additivo su matrice storica. Aggregati urbani disomogenei per dimensione e uso, con commistione di funzioni rurali, residenziali, industriali, terziarie. Densità edilizia: 0,1 ed/ha, Densità residenziale: 0,2-0,5 ab/ha, Rapporto di copertura: 0,5-1% Questa tipologia urbana prevale nelle maggiori pianure settentrionali (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), ma si trova analogamente anche nei settori collinari costieri mediterranei e nelle più piccole pianure litoranee o interne centro-meridionali. La distribuzione della urbanizzazione cambia invece nelle aree montane dove l'insediamento si concentra nei fondovalle con linearizzazioni lunghe anche decine di chilometri e densità variabili (Fig. 6)
I modelli di crescita delle aree urbanizzate sono ancora stati meglio indagati mediante un indice di dispersione (Urban Dispersion Index – UDI) formulato come segue e applicato a tutte le regioni italiane su una griglia discreta di maglia 1x1km (Fig. 7).
UDI Nuc
A
Figura 6 Modelli di linearizzazione morfologica nelle aree vallive e collinari della costa adriatica (a sin.) e delle valli alpine (a destra). In basso: Modelli di linearizzazione infrastrutturale e di dispersione estrema (sprinkling) nelle aree pianeggianti agricole (pianura Padana)
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Dove
Nuc = numero dei nuclei urbani A
= area di riferimento (km²)
Fotografia di L. Chistè
Figura 7 – Indicatori e modelli di crescita urbana nelle regioni italiane.
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Dai diagrammi di Fig. 7 si può notare come in quasi tutte le regioni il modello prevalente di accrescimento urbano sia quello a dispersione accentuata (UDI+). Fa eccezione il Veneto, con un importante ruolo del modello UDI-, dovuto ai fenomeni di linearizzazione lungo la viabilità delle pianure, come anche l'Abruzzo e la Calabria in cui l'aspra morfologia ha indotto l'affermazione di linearizzazioni lungo le valli. Regioni ad economie deboli o a morfologia difficile denunciano inoltre modelli di invariabilità (no change) che interessano oltre il 50% del territorio (fino ad oltre l'80% della Basilicata): è il caso di Valle d'Aosta, Trentino A.A., Liguria, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sardegna. Il modello nettamente contrario è costituito da Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Puglia dove il fenomeno dispersivo ha interessato oltre la metà del territorio regionale. Tutte le regioni hanno mediamente saldato poco (al max sul 30% del territorio) e sostanzialmente evitato la crescita urbana in aggregato (UDI0+DU) che rappresenta invece uno standard generalizzato per i Paesi dell'Europa settentrionale. Una ulteriore precisazione sui connotati del modello in esame proviene dal calcolo dell'indice di sprinkling, espresso come segue, di cui si dà un esempio di campionamento per il caso della regione Umbria (Fig. 8) sempre con riferimento ad una maglia regolare di 1 km2:
SPX =
Figura 8 - Campionamento dell'Indice di sprinkling (SPX) e sua restituzione geostatistica nella regione Umbria
( xi - x*) 2 + ( yi - y*) 2 R
Dove xi e yi sono le coordinate dei centroidi
de, praticate fino ad ora. Nella percezione media il piano urbanistico è da anni catalogato in Italia tra le interferenze alle libertà individuali e gli ostax* e y* sono le coordinate del mean center dei centroidi ottenuto come media pesata coli allo sviluppo economico. A fronte di ciò si sta attraverso le superfici delle distanze tra da qualche tempo attivando un dibattito sulla i centroidi stessi all'interno del plot di 1x1km effettiva possibilità di contenere-mitigareR = Raggio dell'area circolare di dimensioni analoghe a quelle della somma delle aree riconformare-invertire le dinamiche di crescita urbanizzate presenti nel plot di 1x1km dell'insediamento così come si sono manifestate. In ogni caso per poter avanzare in questa direzioI margini di riqualificazione Il titolo del presente lavoro non a caso parla di ne è necessario avere la capacità di registrare, cen“sfida dello sprinkling”. Le patologie del modello sire, calcolare, e quindi controllare, la conversione esposte in precedenza non sono facili da affron- urbana dei suoli, con metodi e metriche omolotare, soprattutto perché la situazione attuale gati nelle definizioni e nei processi, il che, tecnicaderiva da una sedimentazione pluridecennale di mente, non è ancora attuabile all'oggi, almeno ai comportamenti politici, tecnici, amministrativi più alti livelli amministrativi (Murgante et al., ed economici che hanno contribuito a formare 2014). Sono poche e ancora scoordinate le strutuna cultura urbanistica sociale fortemente ture nazionali o regionali di monitoraggio dei suoli distorta e ormai quasi incapace di accettare urbani, non ci sono protocolli definitori condivisi, i forme di pianificazione più incisive di quelle, blan- dati disponibili sono piuttosto approssimati e dei singoli poligoni di urbanizzato presenti nel plot di 1x1km
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anche questa condizione è imputabile alle descritte forme distributive dell'insediamento. Altri Paesi, con urbanizzato più compatto ed omogeneo, possono efficacemente avvalersi di prodotti di telerilevamento a gestione europea, come il CORINE Land Cover. Ciò non è però possibile per l'Italia proprio a causa delle dimensioni e della struttura dei nuclei urbani che non possono essere intercettati da una lettura satellitare con una unità minima cartografabile di 25 ettari e una larghezza minima dei poligoni rilevabili di 100 m. Da test effettuati su molte regioni è risultato che la differenza tra il rilevamento satellitare e quello fotografico a scala di dettaglio è mediamente del 60% in meno, con punte, in qualche caso, di oltre l'80%, quando i nuclei insediati sono molto piccoli, al livello del singolo edificio residenziale annegato in una matrice agricola. Si deve comunque rilevare che alcuni sforzi per superare almeno l'ostacolo “censuario” dei suoli urbanizzati sono già in corso da parte di organismi istituzionali quali l'ISTAT e l'ISPRA (Munafò et al., 2010, 2013; ISPRA, 2014), il che porta a prevedere che entro qualche anno sia disponibile almeno un database standard delle superfici artificializzate italiane. Sul versante normativo, peraltro già piuttosto animato sia al livello nazionale che regionale, impegni concettuali e metodologici più decisi saranno richiesti verso il superamento di semplici limitazioni quantitative ed una proiezione invece verso un approccio di “bilancio” e un controllo anche localizzativo dell'edificato, tenendo conto di alcuni ostacoli ed effetti “parassiti” inevitabili. Non si può infatti trascurare come le pratiche progettuali di densificazione dell'edificato, come l'infilling (Freilich et al., 2010; Alfirevic et al., 2015)
vengano guardate da molte parti con contrarietà in quanto ritenute causa di impatti a vario titolo deleteri. Si deve anche aggiungere che eventuali regole limitativo-aggregative avrebbero poi significativi riverberi sull'attuale insofferenza urbanistica sociale già poco fa citata, tali da richiedere una profonda azione, quasi “pedagogica”, di riaffermazione dell'interesse pubblico nella pianificazione, anche per allinearsi con gli orientamenti europei, tesi verso un obiettivo di azzeramento nella conversione urbana dei suoli (2011):
lo mondiale la percentuale di occupazione dei terreni sarà conforme all'obiettivo di arrivare a quota zero entro il 2050; l'erosione dei suoli sarà ridotta e il contenuto di materia organica aumentato, nel contempo saranno intraprese azioni per ripristinare i siti contaminati.
4.6. Terra e suoli, Tappa: entro il 2020 le strategie dell'UE terranno conto delle ripercussioni dirette e indirette sull'uso dei terreni nell'UE e a livel-
La Tab. 1 sintetizza un possibile processo di recupero e riassestamento del modello dispersivo descritto. Un processo che, realisticamente, investe un orizzonte temporale molto ampio, complessivamente dell'ordine dei trent'anni. Le procedure da attuare e gli obiettivi da conseguire gradualmente devono inserirsi in un cronogramma che preveda l'uso di più strumenti in successione,
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all'interno di una linea di coerenza politicamente robusta e convinta. Le azioni di incentivazione e di fiscalità dovranno coordinarsi con quelle di pianificazione e di progetto a vari stadi e gradi, ma con la consapevolezza che si sta affrontando un tema di estrema difficoltà che necessita di dispositivi in parte da sperimentare ex novo (De Santis e Romano, 2013). Alla luce di queste osservazioni già una sistematica attuazione di progetti di assetto delle parti urbane che riducano la spontaneità tipologica e distributiva tipica degli attuali impianti espansivi, cioè il conseguimento degli esiti di medio termine fino al punto 3 della Tab. 1, costituirebbe oggi di per sé, a fronte della condizione attuale, indubbiamente un gran risultato. strumenti per l'analisi spaziale dei fenomeni di sprawl urbano. In: Musco F., Fregolent L., Pianificazione urbanistica e clima urbano, Manuale per la riduzione dei fenomeni di isola di calore urbano. 104-105, Il Poligrafo. Musco F., Fregolent L., 2014. Pianificazione urbanistica e clima urbano, Manuale per la riduzione dei fenomeni di isola di calore urbano. Il Poligrafo. Paolinelli G., 2005. L.O.T.O. - Landscape Opportunities for Territorial Organization. Frammentazione paesistica: permanenze e interferenze - parte prima: le analisi. RI-VISTA 3:71-85. Romano B., 1999. La continuità ambientale nella pianificazione, Urbanistica 112:156-160 Romano B., Zullo F., 2012. Land urbanization in Central Italy: 50 years of evolution. Journal of Land Use Science, 9(2):143164 Romano B., Zullo F., 2014.The urban transformation of Italy's Adriatic coastal strip: fifty years of unsustainability. Journal of Land Use Policy 38:26-36 Romano B., Zullo F., 2015. Half a century of urbanisation in Southern European lowlands a study on the PoValley (Northern Italy). Journal of Urban Research and Practice, DOI: 10.1080/17535069.2015.1077885. Romano B., Zullo F., Ciabò S., Fiorini L., Marucci A., 2015a. Geografie e modelli di 50 anni di consumo di suolo in Italia. Scienze e Ricerche, 6:17-28 Romano B., Zullo F.,Tamburini G., Fiorini L., FiordigigliV., 2015b. Il riassetto del suolo urbano italiano: questione di “sprinkling”?. Territorio, 74:146-153. Scolozzi R., Morri E., Santolini R., 2012. Pianificare territori sostenibili e resilienti: la prospettiva dei servizi ecosistemici. Territorio, 60:167-175.
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TRA CITTÀ E NATURA
Servizi ecosistemici: nuovi strumenti per la pianificazione urbana di Chiara Cortinovis*, Linda Zardo**, Davide Geneletti***
*Chiara Cortinovis, dottoranda in Ingegneria Civile e Ambientale – DICAM, Università degli Studi di Trento **Linda Zardo, dottoranda in Ingegneria Civile e Ambientale – DICAM, Università degli Studi di Trento ***Davide Geneletti, professore associato in Tecnica e pianificazione urbanistica – DICAM, Università degli Studi di Trento.
Aree verdi urbane e pianificazione Fin dalla sua nascita, l'urbanistica moderna ha riconosciuto un ruolo rilevante alle aree verdi urbane. La revisione delle teorie e delle pratiche pianificatorie necessaria a far fronte alle conseguenze della rivoluzione industriale è infatti caratterizzata da un uso funzionale del verde, esplicitamente mirato a rendere gli spazi della vita cittadina vivibili e salubri. Così i nuovi insediamenti progettati per il boom demografico e industriale seguono il modello della città giardino e gli interventi che conseguono all'inurbamento nelle città storiche prevedono la realizzazione di ampi parchi urbani, significativamente definiti “i polmoni verdi” delle città. Howard teorizza una connessione diretta tra la presenza della natura e la salute e il benessere dei cittadini: il modello della città giardino consente di “elevare lo standard di salute e comfort di tutti i lavoratori di qualsiasi grado […] essendo una salubre, naturale ed economica combinazione tra vita di città e di campagna”¹. D'altra parte, già alcuni decenni prima, Frederick Law Olmsted, interessato a capire come progettare il paesaggio, aveva indagato i benefici dell'esperienza ricreativa della natura: “E' un fatto scientificamente provato che la contemplazione occasionale di scene naturali di notevole carattere […] sia favorevole alla salute e al benessere degli uomini e specialmente alla salute e al benessere del loro intelletto oltre a qualsiasi altra condizione che può essere loro offerta, ché essa non solo dà piacere per il tempo
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in cui viene sperimentata ma accresce la successiva capacità di essere felici e i mezzi per garantire la felicità”². Più di recente, è la logica degli standard urbanistici ad affermare, ancora una volta, la necessità di disporre di aree verdi all'interno della città. In Italia, con il DM1444/68, il verde diventa una delle categorie di servizi che i piani urbanistici devono garantire a tutti i cittadini, in misura corrispondente ad una quantità fissa per ciascun abitante. La definizione del valore dello standard, tuttavia, rispecchia una logica empirica che trova pochi riscontri negli effettivi benefici generati dal verde, come dimostra il fatto che lo stesso è stato ripetutamente oggetto di modifiche e negoziazioni rispondenti a fattori ideologici e politici più che a fondamenti scientifici. Di fatto, questo approccio empirico può essere letto come il risultato di una conoscenza ancora poco approfondita dei molteplici meccanismi attraverso cui il verde presente all'interno dell'ambiente urbano può incrementare il benessere dei cittadini. Nella pratica e nella percezione comune, la funzione delle aree verdi urbane è stata ed è tuttora prevalentemente associata all'uso ricreativo e alla possibilità di un'esperienza diretta della natura. Oggi, con l'aumentare della conoscenza e della consapevolezza dei numerosi e diversi benefici che le aree verdi urbane sono in grado di produrre, il tema della loro pianificazione e progettazione si
arricchisce di nuovi aspetti. In particolare, il potenziamento e un'accurata pianificazione delle aree verdi urbane sono indicati da più parti come la possibile soluzione (o quantomeno come un contributo potenzialmente significativo) a numerose problematiche che affliggono le città contemporanee, dall'inquinamento dell'aria alla gestione delle acque meteoriche. Il tema sta emergendo con forza data la relazione con i cambiamenti climatici: sempre più spesso si cita e propone l'adozione di soluzioni “nature-based”, cioè di strategie che utilizzano le funzioni e i processi naturali, come strategie di adattamento. La stessa Unione Europea promuove con forza questo tipo di misure e ne supporta l'adozione e realizzazione, in quanto in grado di ottenere risultati efficaci con costi ridotti e producendo al tempo stesso molteplici co-benefici (EC, 2015). A cosa può servire il concetto di servizi ecosistemici urbani La molteplicità di benefici prodotti dalle aree verdi all'interno della città può essere inquadrata all'interno del concetto di servizi ecosistemici. I servizi ecosistemici sono definiti come “i benefici che gli uomini ottengono dagli ecosistemi” (MA, 2005) o, secondo una definizione ormai consolidata, come “i contributi diretti e indiretti degli ecosistemi al benessere umano” (TEEB, 2010). Questo concetto è stato primariamente adottato in quanto funzionale a rendere evidente la connessione tra benessere umano e funzionalità delle aree naturali del pianeta, e quindi a promuovere il riconoscimento del valore della natura e della biodiversità fornendo argomentazioni valide, anche in termini di “convenienza”, alla loro tutela. Tuttavia, proprio questo approccio concettuale che si presta anche ad una lettura “utilitaria”, si adatta perfettamente alle aree verdi urbane, che rappresentano ormai il tipo di ecosistema³ più presente nella vita di gran parte della popolazione mondiale. La caratteristica fondamentale delle aree verdi urbane, infatti, è il loro essere “infrastrutture verdi”, cioè essere pianificate⁴ con l'obiettivo di fornire ai cittadini specifici benefici. E' quindi evidente come il concetto possa essere impiegato dalla pianificazione per inquadrare il ruolo delle infrastrutture verdi urbane come fornitrici di servizi. Non è un caso, ad esempio, che la legge regionale lombarda sul governo del territorio, nella parte relativa alla pianificazione comunale, assegni la gestione del tema allo strumento del “Piano dei Servizi”, equiparando quelli forniti dalle infrastrutture verdi a quelli forniti dagli altri sistemi e infrastrutture urbane. Dal punto di vista concettuale è quindi l'assunzione della prospettiva dei beneficiari, cioè dei destinatari del servizio, che rende il concetto di servizio ecosistemico particolarmente adeguato a indicare alla
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pianificazione gli elementi su cui puntare nella progettazione e gestione delle infrastrutture verdi. Tuttavia esiste un altro aspetto per cui il concetto può essere utile alla pianificazione, e innovativo nelle sue implicazioni pratiche: il fatto che tutte le infrastrutture verdi sono potenziali produttori di servizi. La fornitura di servizi ecosistemici, infatti, dipende dalle funzioni che gli ecosistemi sono in grado di espletare, cioè dalla loro struttura e dalle loro condizioni. Ad esempio, un albero è in grado di catturare più o meno anidride carbonica a seconda della specie, delle dimensioni, dal suo “stato di salute” e dal tipo di manutenzione a cui è sottoposto. Tuttavia il fatto che questo albero sia all'interno di un parco pubblico o in un giardino privato non modifica, in questo caso, il servizio fornito. Certamente ci sono aspetti legati alla domanda e all'accessibilità/fruibilità che modificano l'utilità del servizio ecosistemico determinando la quantità di benefici generati, tuttavia l'esistenza di servizi in potenza caratterizza tutte le componenti dell'ecosistema urbano. La conseguenza di questa riflessione è duplice: da un lato significa che il ventaglio di possibilità per sfruttare al massimo il potenziale delle infrastrutture verdi all'interno della città è molto più ampio di quello a cui la pianificazione urbana tradizionalmente si limita, dall'altro mostra come gli strumenti regolatori tradizionali non siano sufficienti a gestire i servizi ecosistemici urbani in un'ottica complessiva e integrata. Da questo punto di vista, la pianificazione di area vasta orientata all'integrazione di soluzioni “nature-based” sta cominciando a sperimentare strumenti nuovi, come quello dei PES (Payments for Ecosystem Services – pagamenti per i servizi ecosistemici), ad esempio per riconoscere ai privati il valore anche economico del servizio fornito da una gestione delle aree agricole funzionale al controllo delle esondazioni fluviali. Dal punto di vista operativo, il riferimento al quadro concettuale dei servizi ecosistemici può essere, per la pianificazione, la chiave di accesso ad una vasta e recente letteratura scientifica che negli ultimi 10 anni si è occupata del tema analizzando in dettaglio la produzione dei servizi dal punto di vista biofisico, ma anche e sempre più con attenzione all'applicazione del concetto come strumento decisionale. Oggi numerosi metodi e modelli sono disponibili per la quantificazione di una molteplicità di servizi ecosistemici, inclusi quelli urbani, e per la loro mappatura a diverse scale. Le analisi spaziali, in particolare, possono essere strumenti efficaci per leggere e progettare la multifunzionalità delle infrastrutture verdi urbane.
Alcune riflessioni sui servizi ecosistemici urbani Quali sono, dunque, i servizi ecosistemici prodotti all'interno delle città? Esistono diverse classificazioni dei servizi ecosistemici urbani. Per comodità e chiarezza, quella che proponiamo di seguito riprende la distinzione tra servizi di fornitura, servizi di regolazione, servizi culturali e servizi di supporto proposta dal Millennium Assessment (MA, 2005). • Servizi di fornitura: produzione di cibo, fornitura di acqua. • Servizi di regolazione: purificazione dell'aria, regolazione del microclima urbano, riduzione del rumore, moderazione degli eventi climatici estremi, drenaggio dell'acqua e controllo del run-off, regolazione del clima globale (cattura di carbonio), depurazione e trattamento delle acque reflue. • Servizi culturali: ricreazione, valore estetico, identità dei luoghi e coesione sociale, sviluppo cognitivo. • Servizi di supporto: fornitura di habitat, pollinazione e dispersione dei semi⁵. Dalla lettura di questo elenco, limitato ai servizi generalmente più rilevanti all'interno delle aree urbane, emergono alcune riflessioni sui molteplici ruoli che le infrastrutture verdi svolgono nella e per la città. La prima riflessione riguarda la numerosità dei servizi di regolazione e la loro importanza nel controllo delle variabili e delle componenti ambientali (acqua, aria, suolo) all'interno dello spazio urbano. Molto più che i servizi di fornitura, che gli ecosistemi urbani sono in grado di produrre comunque in una percentuale molto ridotta rispetto al fabbisogno totale della città, i servizi di regolazione hanno rilevanza locale in quanto, spesso, non possono essere trasferiti o trasportati e devono essere “consumati” nello stesso luogo di produzione. Tutti i servizi di regolazione citati nell'elenco, ad esclusione della regolazione del clima globale mediante la cattura e lo stoccaggio del carbonio, agiscono a livello locale in un bacino di consumo prevalentemente coincidente con l'area di produzione. Questo dà una misura dell'importanza delle infrastrutture verdi all'interno della città e di come il loro ruolo non sia interscambiabile con la presenza di aree verdi all'esterno dell'ambiente urbano, le quali producono servizi differenti. I servizi di regolazione forniti dalle infrastrutture verdi sono anche quegli stessi che, nelle città, sono generalmente sostituiti dai servizi forniti dalle infrastrutture grigie. La gestione dell'acqua ne è un tipico esempio. Tuttavia è stato più volte dimostrato come, nel lungo termine, le infrastrutture grigie siano più costose da costruire e da mantenere, meno flessibili, e soprat-
tutto non in grado di fornire contemporaneamente la molteplicità di servizi forniti dalle infrastrutture verdi, che rappresentano il loro vero valore aggiunto, raramente considerato nella valutazione. La seconda riflessione, strettamente legata alla prima, riguarda l'importanza dei servizi ecosistemici per la salute dei cittadini. Richiamando la definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto l'assenza di malattia o infermità” (OMS, 1948), e confrontandola con i benefici generati dai servizi ecosistemici, si comprende immediatamente il loro ruolo in questo aspetto. I servizi ecosistemici urbani, infatti, agiscono su tutte e tre le dimensioni della salute individuale: fornendo le condizioni per il raggiungimento di un maggiore benessere fisico, tutelando il benessere psicologico e moderando i fattori ambientali che rappresentano un rischio per la salute. Inoltre, le aree verdi contribuiscono al benessere sociale fornendo spazi e occasioni di ricreazione collettiva che rafforzano l'identità e la coesione sociale. Nonostante la percezione empirica del ruolo delle aree verdi nel rendere le città più vivibili e salubri richiamata nell'introduzione, quello della salute è un aspetto ancora poco indagato. Questa mancanza è dovuta alla complessità dei meccanismi che determinano le risposte fisiologiche all'esposizione agli spazi verdi e alla numerosità delle variabili che entrano in gioco nella relazione. Tuttavia, studi sempre più numerosi si stanno occupando di questi aspetti dal punto di vista della scienza medica, e la conferma di meccanismi di causa-effetto alla base delle correlazioni valutate empiricamente stanno cominciando ad emergere, ad esempio per quanto riguarda la riduzione dei fattori di rischio di depressione conseguente alla frequentazione delle aree verdi. Un'ultima riflessione riguarda l'importanza dei servizi culturali offerti dalle infrastrutture verdi urbane e la loro presenza diffusa e trasversale a fianco di altri servizi. Ad esempio, gli orti condivisi forniscono cibo, ma sono forse prima di tutto aree di ricreazione. Lo stesso si può dire per i viali alberati, che ombreggiano le strade contribuendo a ridurre la temperature estive e catturano l'inquinamento prodotto dai veicoli, ma allo stesso tempo abbelliscono la città e rendono più piacevole l'ambiente urbano, fatto per altro testimoniato da un aumento della rendita nelle aree circostanti. Come discusso in precedenza, questi servizi trovano un posto privilegiato all'interno della pianificazione urbana, dove tradizionalmente al verde urbano è assegnato prima di tutto il ruolo di fornire spazi per la ricreazione e rendere più piacevole il paesaggio costruito. Proprio la fornitura di servizi culturali può quindi rappresenta-
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re un'opportunità e un punto di accesso per integrare il concetto di servizio ecosistemico nella pianificazione al fine di promuovere una maggiore consapevolezza della multifunzionalità delle infrastrutture verdi urbane.
La Figura 1 mostra le due mappe del potenziale di raffrescamento e dell'effetto di raffrescamento delle infrastrutture verdi urbane della città di Trento. La prima consente di identificare le componenti dell'infrastruttura verde che hanno maggiore potenziale di raffrescamento (ad esempio i corsi d'acqua o i parchi urbani). La seconda permette di capire come l'effetto di raffrescamento è distribuito all'interno della città, ad esempio mostrando aree che grazie alla presenza delle infrastrutture verdi rispondono meglio agli stress termici generati dalle ondate di calore estive. Un incrocio tra le informa-
zioni fornite dalla seconda mappa e la distribuzione spaziale delle forzanti termiche (distribuzione delle temperature durante le ondate di calore) e delle caratteristiche della popolazione (densità, classi demografiche, ecc.) permette di identificare aree più vulnerabili all'incremento delle temperature estive dove è quindi più necessario intervenire in modo da garantire una copertura equa del servizio ecosistemico e dei relativi benefici. Più in generale, quindi, la conoscenza fornita da questo tipo di analisi rappresenta il primo passo per progettare e valutare soluzioni nature-based che si basano sul potenzia-
Un esempio di analisi Un esempio di analisi e mappatura dei servizi ecosistemici a scala urbana è stato realizzato per il servizi di regolazione microclimatica all'interno della zona di fondovalle, la più urbanizzata, della città di Trento. La potenzialità delle infrastrutture verdi urbane di fornire raffrescamento e il raffrescamento effettivamente prodotto sono stati mappati Figura 1: Mappa del potenziale di raffrescamento (sinistra) e dell'effetto di raffrescamento (destra) delle infrastrutture grazie all'applicazione di un metodo specificamen- verdi urbane nell'area di fondovalle della città diTrento. te realizzato per supportare la valutazione di alternative a scala urbana (Zardo et al., under review). Il metodo è basato sul “modello a cascata” (Haines-Young e Potschin, 2010), che consente di risalire concettualmente dalla fornitura di un servizio ecosistemico alla funzione che l'ha generato e da questa alla struttura dell'ecosistema che ne supporta la produzione. Nel caso del raffrescamento, le due principali funzioni coinvolte sono l'ombreggiamento e l'evapotraspirazione. L'ombreggiamento dipende della copertura arborea, mentre l'evapotraspira-zione è influenzata in modo determinante dalla copertura dal suolo, dall'ombreggiamento e dal clima. Il modello applicato al caso di Trento è stato costruito sommando gli effetti delle due funzioni, in modo da fornire una misura del potenziale totale di raffrescamento per classi di copertura del suolo e di copertura arborea e per ciascuna area climatica. Poiché il contributo delle due funzioni al potenziale di raffrescamento complessivo dipende dalla dimensione dell'area considerata, il modello opera anche una classificazione in base alla dimensione. L'applicazione richiede quindi di valutare per ogni area della città con copertura del suolo omogenea la dimensione, il tipo di copertura del suolo e la percentuale di copertura arborea rispetto alla superficie totale. Il potenziale complessivo di raffrescamento è classificato in 6 classi, dalla “E” alla “A+”, dove “A+” rappresenta il potenziale maggiore. Ogni classe può essere associata ad un intervallo indicativo di differenza di temperatura tra l'interno dell'area e il suo esterno. Infine, il modello fornisce una misura dell'effetto di raffrescamento prodotto oltre i confini dell'area verde sul suo intorno. Applicando diverse funzioni di decadimento in dipendenza dalla dimensione e dalla forma dell'area analizzata, è possibile mappare il suo effetto di raffrescamento e valutare quanto la presenza dell'infrastruttura verde influenza il microclima della città.
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mento dei servizi ecosistemici urbani per migliorare le performance della città nell'adattamento ai cambiamenti climatici.
cessi di pianificazione, includendo sia la definizione del piano urbanistico sia quella di alcuni piani di settore e i relativi processi di VAS (Geneletti e Cortinovis, 2015). Come rendere operativo il concetto nei processi Conoscenza e baseline - I risultati della mappatura e valutazione possono fornire una migliore conodi pianificazione I risultati della mappatura e valutazione dei servizi scenza di base circa la quantità e la distribuzione ecosistemici possono dunque informare e suppor- spaziale dei servizi ecosistemici all'interno della tare i processi di pianificazione a scala urbana. In città e la loro relazione con i beneficiari. Ad esemparticolare, è possibile identificare diversi contri- pio, questioni relative all'equità nella distribuzione buti, corrispondenti all'integrazione del concetto dei servizi e dei relativi benefici tra la popolazione di servizio ecosistemico in diversi momenti dei pro- possono essere affrontate grazie a questi dati. Inoltre, la valutazione effettuata sulle condizioni esistenti è necessaria a fornire lo scenario di riferimento per il confronto con condizioni future e la valutazione di scenari di trasformazione. Obiettivi e strategie – La multifunzionalità delle infrastrutture verdi è un tema strategico su cui la pianificazione urbana può lavorare. La consapevolezza che la pianificazione e gestione delle infrastrutture verdi urbane può affiancare all'obiettivo di fornire spazi ricreativi, primario per alcuni suoi elementi, altri molteplici obiettivi può aiutare a identificare meglio le priorità di intervento e a individuare strategie appropriate per aumentare l'efficienza complessiva del sistema. Azioni e scelte – All'interno dei piani, sono molte le azioni che hanno ricadute, dirette o indirette, sulle infrastrutture verdi. Spesso si tratta di prescrizioni (ad esempio la percentuale di superficie da mantenere permeabile o l'inserimento di opere verdi di “mitigazione” dei nuovi interventi) che si ritrovano abitualmente ripetute nei piani urbanistici, nella convinzione che saranno in grado di apportare comunque un qualche miglioramento alle condizioni urbane. Queste indicazioni, tuttavia, sono raramente supportate da una valutazione preventiva della loro necessità e, ancora più raramente, da una definizione di risultati attesi. Strumenti di analisi dei servizi ecosistemici possono contribuire alla formulazione di soluzioni alternative e alla loro valutazione e sono necessari al fine di includere soluzioni nature-based che rispondano agli obiettivi strategici definiti per la città. Monitoraggio – Nuovi indicatori, basati sul concetto di servizio ecosistemico e finalizzati a misurare i benefici e i beneficiari dei servizi forniti dalle infrastrutture verdi possono essere inclusi negli schemi di monitoraggio dei piani, con l'obiettivo di controllare le variazioni della domanda e dell'offerta di servizi e di valutare l'efficacia delle azioni nel perseguire gli obiettivi di piano.
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TRA CITTÀ E NATURA
Paesaggi della rigenerazione di Lucina Caravaggi*
*Lucina Caravaggi, professore associato di Architettura del Paesaggio. DiAP – Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma.
Non credo molto alla potenza chiarificatrice delle “definizioni” ma nel caso della rigenerazione, forse, richiamare la varietà di significati che questo termine assume all'interno di diversi contesti culturali e disciplinari può risultare utile ai fini della ricognizione che mi propongo di fare, centrata su strategie e progetti orientati appunto alla rigenerazione. Si può cominciare dall'accezione più diffusa del termine, caratterizzata da un elevato potere figurativo, per cui la rigenerazione diventa sinonimo di forze rinnovate, rinvigorimento, rinascita, entrando per questa via in diversi linguaggi (da quello politico a quello spirituale, a quello sportivo, ecc.). In secondo luogo evidenzierei il significato biologico, forse il maggiore responsabile del successo contemporaneo di questo termine, per cui rigenerare significa ricostituire un tessuto (o un organo) che ha subito danni, lesioni, o comunque che non funziona più come prima (i limiti di questa interpretazione sono molto incerti, e spesso si sconfina in terreni infidi, come, per es., quello della manipolazione genetica). Infine c'è un'accezione tecnologica del termine “rigenerazione” in rapporto ai significati del “riciclo”, cioè alla ricerca di nuovi cicli di vita per materiali utilizzati-usurati-scartati (nell'uso corrente si parla di “pneumatici rigenerati”, o di “rigenera-
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zione della plastica”, ecc.). L'insieme di questi significati delinea un campo di applicazione del termine variegato, e quanto mai open, disponibile cioè a molte possibili declinazioni in differenti ambiti disciplinari e culturali. Nel campo di interesse delle politiche urbane il termine “rigenerazione urbana” ha finito con il sovrapporsi ai termini codificati di “recupero”, “rinnovamento”, “sostituzione”, soppiantandoli ben presto¹. Questa accezione ha avuto una così grande diffusione da appiattire la polisemica fertilità del termine. Le critiche che da più parti sono venute alle iniziative definite di “rigenerazione urbana” evidenziano come molti progetti di successo si siano risolti in un processo di valorizzazione immobiliare, di gentrification². Quello che appare più significativo nelle strategie e nei progetti di rigenerazione rivolti al territorio, soprattutto nel contesto delle politiche comunitarie, mi sembra invece proprio l'intreccio tra significati biologici, tecnologici e sociali, una sorta di trasversalità genetica del termine che davvero non si concilia con interpretazioni settoriali³. A questo fine può essere utile muovere da una sintetica ricognizione di alcuni paesaggi rigenerati, che ormai appartengono a una tradizione
Centrale geotermica Bagnore 3. Reinterpretazione dei rapporti tra la nuova centrale e le trame paesistiche e ambientali del monte Amiata: riconoscimento elementi del paesaggio vegetale (siepi, filari, macchie boscate).
consolidata. Paesaggi rigenerati La rigenerazione, nell'arco degli ultimi trent'anni, ha prodotto paesaggi di elevato interesse collettivo, e di significato simbolico, dai quali è opportuno ripartire per affrontare le prospettive future. La schematica classificazione che propongo muove dal riferimento ai significati biologici, dai quali prendono avvio le sperimentazioni più importanti e rispetto ai quali la rigenerazione acquista un elevato significato sociale, producendo spazi collettivi riconosciuti e amati. a. Ritorno alla permeabilità Si può dire che il successo del concetto di rigenerazione cominci con la rinaturalizzazione di spazi impermeabilizzati. Sull'onda delle prime rilevazioni delle isole di calore urbano⁴, dal greening dei grandi cortili interni agli edifici della città ottocentesca ai primi tetti verdi delle sperimentazioni nord europee e tedesche, matura la convinzione che le superfici verdi devono riconquistare lo spazio urbano, sempre più spesso collegate a connessioni pedonali e ciclabili, a nuovi parchi urbani direttamente connessi alle residenze (dai caratteri spaziali molto diversi rispetto a quelli del passato) e alla riscoperta dell'acqua come elemento di comfort climatico primario (grandi fiumi e piccoli corsi d'acqua, zone umide, laghi, fontane, ecc.)⁵. In particolare i significati “biologici” della rigenerazione hanno guidato la creazione-riscopertariappropriazione- di molti spazi preziosi, spesso sottratti alla trasformazione immobiliare grazie a una forte mobilitazione popolare e trasforma-
ti in spazi pubblici per eccellenza. Si tratta in primo luogo delle simboliche passeggiate verdi realizzate sui tracciati delle infrastrutture dismesse che, dalla Promenade Plantée⁶ alla High Line⁷, hanno rappresentato prima un'occasione di aggregazione per la loro difesa, e dopo nuovi paesaggi collettivi di grande successo e di forte identificazione urbana. Questi spazi, modulati sul tema della biodiversità intesa come nuova categoria estetica (legata alle dinamiche spontanee dell'abbandono), hanno ben presto generato trasformazioni urbane di grande significato economico determinando un'elevatissima valorizzazione immobiliare dei contesti attraversati. Sono progetti che hanno significato anche il mantenimento di assetti spaziali otto-novecenteschi, che hanno avuto un grande peso nella costruzione delle città, e che in qualche modo devono continuare ad esistere, tracce preziose di un'evoluzione urbana che altrimenti non potrebbe più essere compresa e comunicata. Anch'io ho potuto sperimentare l'efficacia delle infrastrutture dismesse (in stato di degrado e destinate alla distruzione) per la creazione di nuovi spazi collettivi di elevato valore ambientale. È stato il caso del tracciato ferroviario in disuso lungo la Valnerina, nei pressi di Terni, trasformato in passeggiata a più livelli per osservare da vicino (quasi “da dentro”) la cascata delle Marmore. Ai significati della rilettura di una fase industriale considerata ormai “storica” si aggiungono quelli della sostenibilità turistica e del miglioramento ecologico delle aree investite dall'acqua, attraverso l'innesco di un processo evolutivo specifico e forse irripetibile, in riferimento ai caratteri di originalità dal punto di vista climatico, geologico e vegetazionale⁸.
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Anche la rilettura-rigenerazione di alcuni ritrovamenti archeologici, paesaggi dismessi per eccellenza, ha costituito l'occasione per realizzare insperate aree permeabili nei territori della diffusione insediativa contemporanea dell'area romana, condannati a un destino di impermeabilizzazione selvaggia per effetto di autostrade, parcheggi e grandi recinti di servizio (fiere, interporti, magazzini, ecc.)⁹. Oggi tutte le infinite forme di greening, dalla guerrilla gardening ai community gardens, dai tetti coltivati agli orti nomadi, stanno diffondendo rapidamente molte diverse e forme di riappropriazione del suolo dal basso, così che la rigenerazione di suoli urbanizzati diventa inscindibile da nuove forme di socialità e di autorappresentazione. b. Rinascita biologica di suoli compromessi In questo periodo ho rivisto più volte il progetto di Haag per la centrale del Gas di Seattle¹⁰ che può essere considerato il capostipite della rigenerazione di “suoli morti”, terreni cioè che per tornare a vivere hanno bisogno di passare per una impegnativa fase di bonifica. Si tratta di progetti molto costosi e questo elemento è stato spesso un ostacolo alla loro possibile rigenerazione, almeno nel nostro Paese¹¹, ma quando questo è accaduto, come a Seattle o come nella Rhur, il valore ecologico delle operazioni ha generato rapidamente un elevatissimo plusvalore sociale, economico e culturale, trasformando questi paesaggi, riscattati da un passato distruttivo, in altrettanti simboli di una possibile riconciliazione con quello stesso trascorso. Questi due esempi sono stati un riferimento per tanti altri progetti di rigenerazione. Recentemente ci siamo confrontati con questo
Centrale geotermica Bagnore 3. Reinterpretazione delle possibili declinazioni d'uso dello spazio: proposta di realizzazione di un parco tematico dell'energia rinnovabile in corrispondenza degli impianti.
Centrale geotermica Bagnore 3. Il progetto di sistemazione delle aree investite dalla realizzazione della centrale ha consentito l'innesco di una rigenerazione biologica dell'intero versante del monte Amiata. Solo oggi, a tredici anni dall'impianto, è possibile valutare il grado di stabilizzazione ecologica e le dinamiche evolutive in atto, soprattutto negli impianti boschivi. La nuova biodiversità endogena che caratterizza l'area è l'esito di un intervento di rigenerazione ambientale rivolto ai suoli divenuti aridi per l'effetto dei drenaggi permanenti e di un lungo-stressante cantiere. Foto di Alessandro Cimmino.
tema all'interno del Piano Strategico di Fornovo sul Taro, un Comune della Provincia di Parma in cui una raffineria dagli anni Trenta occupa una vasta area fluviale posta in contiguità con il centro abitato del capoluogo¹². Le questioni economiche e amministrative connesse alla bonifica di questa vastissima area spingono in direzioni opposte: da una parte l'esigenza della comunità e del Comune di riappropriarsi di un'area preziosa dai punti di vista ambientale, urbanistico e sociale (ipotesi che presuppone la costosa bonifica del suolo, prevista peraltro dalle leggi vigenti e in particolare dal Nuovo testo unico in materia ambientale)¹³; dall'altra le esigenze della proprietà di risparmiare sulla bonifica e guadagnare sull'urbanizzazione realizzando una zona industriale, e un nuovo quartiere (se si costruisce il grado di bonifica è più basso, in quanto il suolo inquinato viene ricoperto di cemento!). Questa situazione è frequente e si ripete con la medesima dinamica in molte aree industriali dismesse del Paese che richiedono lavori di bonifica per essere “rigenerate”. Mentre ho potuto verificare personalmente i forti significati sociali e ambientali di questo tipo di rigenerazione estrema, quando si riesce a portarla avanti. Il progetto di sistemazione delle aree investite dalla realizzazione di una centrale geotermica sull'Amiata ha comportato infatti
una vera e propria riorganizzazione morfologica, e il “ri-avvio” di un processo biologico interrotto dal violento impatto dei lavori sull'ambiente¹⁴. Sono stati necessari interventi graduali e differenziati che hanno coinvolto il terreno, i fossi, i drenaggi e gli impianti vegetazionali, e che, solo dopo alcuni anni, hanno dato luogo a un nuovo funzionamento ecologico autonomo. La centrale geotermica di Bagnore, soprattutto dal punto di vista delle popolazioni locali che ne avevano fortemente osteggiato la costruzione, è diventata un simbolo del dialogo possibile tra paesaggio e geotermia. Più in generale si potrebbe dire che la riconciliazione tra produzione di energie rinnovabili e paesaggio passa attraverso una profonda rigenerazione dei suoli coinvolti dagli impianti, che spesso invece sono abbandonati a un destino di degrado progressivo¹⁵. c. Rivitalizzazione di suoli usurati Esistono suoli permeabili, ricoperti di un verde spontaneo o coltivati ma che sono in realtà suoli degradati e usurati. Esistono molti tipi di usura del suolo che spesso non percepiamo come tali. Alcuni sono visibili ma non sempre considerati nella loro pericolosità, come l'erosione idro-geologica e la compattazione del suolo; altri sono meno evidenti ma non per
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questo meno temibili, come l'acidificazione, la salinizzazione o la perdita di sostanze organiche. La rigenerazione di questi suoli comporta una correzione di rotta rispetto agli usi consolidati che ne hanno determinato il degrado e l'impoverimento, richiedendo talvolta una radicale trasformazione. Le cause sono da ricercarsi negli effetti dell'urbanizzazione (inquinamento di aria, acqua, suolo), nelle fratture provocate dalle infrastrutture con conseguente indebolimento degli ambienti naturali e della loro capacità di reazione, e soprattutto nelle pratiche colturali dell'agricoltura industrializzata, votata alla quantità della produzione attraverso la meccanizzazione e la chimica. La crisi di questo tipo di agricoltura sta modificando rapidamente l'assetto dei territori coltivati, anche per l'effetto delle nuove politiche comunitarie in questo settore: i significati del “coltivare” vengono cioè rimodulati in rapporto alla sostenibilità ambientale, biodiversità agraria, multifunzionalità delle aziende, ecc. Il ruolo che questa nuova agricoltura può assumere nella rigenerazione dei suoli usurati è centrale, quale dispositivo duttile e pragmatico, caratterizzato da evidenti significati sociali, soprattutto nei territori della diffusione insediativa¹⁶. Le possibilità di pervenire alla rigenerazione di suoli usurati attraverso
Centrale geotermica Bagnore 3. Sistemazione ambientale e paesaggistica: vista della scarpata del ripiano principale.
Centrale geotermica Bagnore 3. Sistemazione ambientale e paesaggistica: in primo piano, l'impluvio per la raccolta delle acque provenienti dai drenaggi profondi.
Foto di Alessandro Cimmino.
Foto di Alessandro Cimmino.
l'agricoltura sono ampie: dagli interventi di riforestazione naturalistica, come quello che ho sperimentato con il Bosco Brussa nella Laguna di Marano (impiantato secondo modelli sperimentali su un terreno “consumato” dalla coltivazione di mais)¹⁷, alla riconversione aziendale, alle infinite declinazioni dell'agricoltura sociale. Esperienze recenti condotte dal nostro gruppo di ricerca sui temi del contrasto alla fragilità e alla marginalità nelle aree metropolitane, riunite sotto il titolo di “Paesaggi socialmente utili” hanno confermato questa prospettiva come realistica e auspicabile, confermando l'agricoltura sostenibile come rigenerazione efficace di terreni, piante, animali e uomini¹⁸.
fici (invecchiamento della popolazione), per le fasi sempre più prolungate di stagnazione economica, per le disparità crescenti di reddito (aumentano i poveri e lo diventano sempre di più), per l'aumento della polarizzazione e segregazione sociale, per la pressione crescente a cui sono sottoposti gli ecosistemi. I rischi connessi alla dimensione urbana sembrano aumentare proprio quando la consapevolezza del rischio è più forte e cresce la ricerca di resilienza. Rispetto a questo sfondo poco rassicurante, in cui nelle città si rischia una pericolosa concentrazione di problemi e tensioni sociali, la strategia “Europa 2020” ha definito l'azione riformatrice dell'Unione Europea per uscire dalla crisi e preparare l'economia europea ad affrontare le sfide del prossimo decennio, individuando tre priorità Modelli in crisi e rigenerazione resiliente Questi paesaggi, già sperimentati nella loro posi- strettamente interconnesse: crescita intelligente tiva efficacia, devono poter trovare spazio nei (economie basate sulla conoscenza e contesti amministrativi e finanziari contempo- sull'innovazione), crescita sostenibile (economie più efficienti dal punto di vista delle risorse naturanei, piuttosto diversi rispetto al passato. Già nella riflessione recentemente avviata rali, più verdi e più competitive), crescita inclusiva dall'INU il concetto di rigenerazione urbana è (economie con un alto tasso di occupazione tali stato accostato in modo significativo a quello di da favorire coesione sociale e territoriale)²⁰. resilienza¹⁹. Questo implica un radicale cambia- In questo quadro l'innovazione sociale è intesa mento di molti punti di vista consolidati, soprat- come un nuovo modo di intraprendere un protutto nel rapporto con i soggetti locali. Ogni poli- getto, uno strumento che sappia offrire risposte tica di resilienza è connotata infatti da modalità nuove ai bisogni emergenti a livello di comunità. di lavoro dialogiche e collaborative, sia Il presupposto essenziale è la capacità di “fare nell'individuazione e messa a punto di progetti sistema” mettendo insieme diversi attori (istitusia nello sviluppo di nuovi sistemi di governance, zioni, imprese, associazioni e cittadini) che cona cui si chiede di creare visioni condivise, conci- tribuiscono sia sul piano degli strumenti, sia nella liando obiettivi contrastanti e modelli di svilup- definizione dei contenuti. po divergenti. Soprattutto nella fase attuale, Con l'innovazione sociale si sostiene un cambiaquando il modello europeo di sviluppo urbano m e n t o d i p a r a d i g m a p e r r a f f o r z a r e sostenibile, codificato negli anni passati, appare l'interdipendenza tra obiettivi economici, molto indebolito: per i cambiamenti demogra- ambientali e sociali, ai fini di un maggiore equili-
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brio tra l'aspetto qualitativo e quello quantitativo dello sviluppo. E' attraverso tale via che dovrà essere perseguita la costruzione di sistemi urbani resilienti a livello socio-economico e ambientale, in grado di garantire alla società civile “protezione e sviluppo”, governando e, laddove possibile, anticipando le crisi e i cambiamenti di scenario economico e sociale. Rispetto a queste indicazioni le esperienze raccolte sotto il termine “rigenerazione” delineano un campo di progettazione aperta, integrata e programmaticamente sostenibile, tale da arricchire i temi della rigenerazione sul terreno sociale, dopo anni di appiattimento sui significati di recupero urbano, piuttosto distanti dai paradigmi della resilienza. Tra le politiche comunitarie (assunte in questa sede come scenario di strategie condivise) più attuali e pertinenti rispetto ai temi della rigenerazione si possono evidenziare: la lotta e l'adattamento ai cambiamenti climatici (CE, COM(2013) 216 final. Strategia UE per l'adattamento ai cambiamenti climatici); la tutela del suolo (CE, SWD(2012) 101 final/2, Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l'impermeabilizzazione del suolo); la tutela della biodiversità (CE, COM(2011) 244 def. La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020). In base all'attuale bilancio dell'UE (2014-2020), sebbene l'agricoltura non compaia mai come voce “visibile”, questa è presente all'interno della rubrica intitolata alle risorse attraverso la Politica di sostegno all'agricoltura che si configura come politica principale della Rubrica 2 – Crescita sostenibile: risorse naturali, diventando il luogo deputato per la
Bosco Brussa. Radura interna. Foto di Alessandro Cimmino.
costruzione di un equilibrio tra ambiente, territorio e beni pubblici²¹. Nello stesso bilancio, in riferimento alla Rubrica 1 – Crescita intelligente e inclusiva, le strategie di rigenerazione possono trovare ampio spazio all'interno della politica di coesione²². Se tradizionalmente, la Politica di coesione ha sempre sostenuto la creazione di posti di lavoro, la competitività tra imprese, la crescita economica, ecc., tra le novità del periodo di finanziamento 2014-2020 c'è da sottolineare il potenziamento della dimensione urbana e la lotta a favore dell'inclusione sociale²³. La dimensione urbana delle politiche di coesione, connessa al riconoscimento delle città come motori dell'economia europea ma anche luoghi di concentrazione di disoccupazione, segregazione e povertà, è dimostrata infine sia dall'impegno alla promozione dello Sviluppo urbano sostenibile integrato, sia alla messa a punto di strumenti innovativi di finanziamento della politica stessa. In particolare, l'ITI – Investimento territoriale integrato, ha lo scopo di promuovere l'uso integrato dei fondi (FERS Fondo europeo di sviluppo regionale, FSE Fondo sociale europeo e Fondo di coesione) al fine di raggiungere risultati globali migliori a parità di investimenti pubblici. In altri termini, lo scenario è quello dello sviluppo di politiche multisettoriali su base locale, aumentando l'attenzione verso i territori piuttosto che verso i settori economici.
Roma, dal titolo Progetto Pontili (avviando uno scambio con l'Atelier de la Grand Paris)²⁴. Gli obiettivi tipici della resilienza diventano veri e propri materiali del progetto di innovazione spaziale, sociale e ambientale. Lo spazio dei sempre più estesi territori urbanizzati che osserviamo oggi è infatti molto diverso dalle periferie consolidate dei decenni passati. Si tratta di individuare gli elementi principali dai quali muovere per immaginare una metropoli verde, capace di coltivare la resilienza in modo innovativo. I significati della resilienza ben si prestano a riassumere le potenzialità di innovazione di una metropoli verde. Gli spazi aperti permettono infatti di coltivare i parametri fisici della resilienza, quali la robustezza, la ridondanza, e l'affidabilità (per es. la messa in sicurezza idro-geo-morfologica, o la ridondanza di accessi e percorrenze). Ma permette anche di rafforzare i parametri della resilienza riferiti alle società locali, riconducibili alla flessibilità, cioè la capacità di metabolizzare i cambiamenti sulla base di nuove prove ed esperienze diverse dal passato, soprattutto al livello delle attività economiche e sociali; all'intraprendenza, cioè la capacità di raggiungere obiettivi di vitalità economica e prospettive di sviluppo attraverso nuove vie, innovative e creative; all'inclusività, intesa come capacità di coinvolgere insiemi “eterogenei” di persone e luoghi; ed infine all'integraziane, definita come abitudine a sviluppare obiettivi comuni e assicurare il coordinamento degli sforzi²⁵.
Abbiamo messo queste strategie al centro di alcune sperimentazioni recenti portate avanti dal nostro gruppo di ricerca sul tema delle condizioni di vita metropolitana nel territorio di
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Bosco Brussa. La riforestazione naturalistica di cui il bosco è esito, ha fatto ricorso a modelli sperimentali d'impianto e ha consentito la rigenerazione ecologico-ambientale di un terreno letteralmente “consumato” dalle pratiche di coltivazione intensiva di mais. Il fronte arboreo compatto del bosco nel paesaggio della pianura coltivata. Foto di Alessandro Cimmino.
Bosco Brussa. Depressione umida ripristinata all'interno del bosco al momento dell'impianto forestale. Foto di Alessandro Cimmino.
Note 1. Cfr. C. Couch, C. Fraser, S. Percy (2003), Urban Regeneration in Europe, Blackwell Science, Oxford. 2. Cfr. G. Semi (2015), Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, Il Mulino, Bologna. 3. fr.: CESE, Comitato economico e sociale europeo, ECO/273, Riabilitazione urbana: approccio integrato, Bruxelles, 26 maggio 2010; CE, COM(2010) 2020 final. EUROPA 2020 Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; A. Bonomi, R. Masiero (2014), Dalla smart city alla smart land, Marsilio, Venezia. 4. Già all'inizio degli anni Sessanta si diffonde la coscienza dei primi cambiamenti micro-climatici all'interno delle città attraverso lo svolgimento di rilevazioni ad hoc, come quelle eseguite da Tony Chandler sul clima di Londra nel 1959. Con isola di calore urbano si cominciò a designare il fenomeno del progressivo innalzamento delle temperature all'interno delle aree urbane, rispetto alle circostanti zone periferiche e rurali. Cfr. T.J. Chandler (1965), The climate of London, HUTCHINSON & CO., London. 5. Moltissimi sono i progetti di recupero dei waterfront urbani come nuovi spazi permeabili e a diretto contatto con l'acqua da dedicare al tempo libero, alla socializzazione, alla pratica sportiva: dal progetto dei London Docklands, al progetto Lyon Confluence e Madrid Rio Manzanares, dal Brooklyn Bridge Park di New York, fino alle proposte per la riapertura dei Navigli a Milano. 6. Cfr. Promenade Plantée, inaugurata nel 1993. XII Arrondissement di Parigi. Progettisti: Jacques Vergely, Philippe Mathieux 7. Cfr. High Line, inaugurata nel 2008. Manhattan, New York. Progettisti: James Corner Field Operation, Diller Scofidio + Renfro, and Piet Oudolf. 8. La cascata rimane una preziosa testimonianza dell'industrializzazione otto-novecentesca, trattandosi del “troppo pieno” di un sistema di accumulo per la produzione di energia idroelettrica, un tempo circondata da condotte forzate e da centrali idroelettriche che fornivano elettricità a molti importanti comuni umbri. Cfr. L. Caravaggi (1999), Natura ed energia-conflitti e progetti di ricomposizione, in: R. Pavia (a cura di), Paesaggi elettrici-territori architetture culture, Venezia: 97-116. 9. Cfr. L. Caravaggi, C. Morelli (2014), Paesaggi dell'archeologia invisibile. Il caso del distretto Portuense, Quodlibet, Macerata; L. Caravaggi, O. Carpenzano (2008), Interporto Roma-Fiumicino. Prove di dialogo tra archeologia, architettura e paesaggio, Alinea, Firenze. 10. Gas Works Park, inaugurato nel 1975. Seattle,
Washington. Progettista: Richard Haag. Cfr. W. S. Saunders (1998): Richard Haag. Bloedel Reserve and Gas Works Park, Princeton Architectural Press, NewYork. 11. Si pensi, per es., al caso dell'ex area ILVA-Italsider di Bagnoli. Dopo molti ritardi, il progetto di rigenerazione ha subito, nel maggio 2014, il definitivo arresto con la sentenza di fallimento della Società di trasformazione urbana (Società “Bagnoli futura”, i cui azionisti erano il Comune di Napoli, la Città metropolitana e la Regione Campania). Sono state così lasciate incompiute le opere di bonifica il cui importo era stato stimato in 107 milioni di euro (di cui: 75 milioni di euro a carico dello Stato, 15 a carico della Regione, 17 a carico di Bagnoli Futura).C. V. Viola, Cala il sipario su Bagnolifutura, in: «Il sole 24 ore», 30maggio 2014. 12. Cfr. R. Cantarelli, L. Caravaggi, M. Ghillani, C. Imbroglini, R. Panella (2012), Fornovo DiTaro Piano Strategico del territorio, Mattioli, Fidenza. 13. Cfr. D. Lgs. N. 152/2006, aggiornato al 10 febbraio 2012 14. Cfr. L. Caravaggi (2012), Paesaggio e produzione. Centrale geotermica Bagnore 3. In: «Architettura del paesaggio», n. 27/2012: 44-49. 15. Abbiamo indagato con continuità il rapporto tra produzione di energia da fonti rinnovabili e paesaggio, sia attraverso diverse ricerche per enti locali sia in alcune esperienze di progettazione. Cfr.: Linee guida per la definizione del rapporto tra centrali eoliche e paesaggio nella provincia di Macerata (2004); Consulenza specialistica ai fini dell'adeguamento del PTPR al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, finalizzato a contemperare le esigenze di produzione elettrica da fonti rinnovabili con l'assetto paesaggistico e ambientale regionale - Regione EmiliaRomagna. Servizio Valorizzazione e Tutela del Paesaggio e Insediamenti Storici (con A. Lei, 2011. Documento disponibile on-line); progetto dell'impianto eolico di Pescopagano (PZ), progetto secondo classificato al Concorso nazionale: “Paesaggi del Vento” (L. Caravaggi, con S. Boeri, C. Imbroglini, V. Azzone). Cfr. E. Zanchini (a cura di) (002), Paesaggi del vento, Meltemi, Roma: 84-89. 16. Per es., cfr.: J. Sabaté Bel (2004), Parc Agrari del Baix de Llobregat. In: «Quaderns d'Arquitectura i Urbanisme», n° 240/2004. 17. Cfr. L. Caravaggi (1989), Il Bosco Brussa a Palazzolo dello Stella (UD). In: «Verde Ambiente», n° 2/1989: 56-63. 18. Cfr. L. Caravaggi, C. Imbroglini (2015), Paesaggi socialmente utili. Accoglienza e assistenza come dispositivi di progetto e di trasformazione urbana, Quodlibet, Macerata. 19. Cfr. INU, Position Paper: la rigenerazione della città diffusa del Gruppo di lavoro nazionale sulla città diffusa,
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XXVIII Congresso Nazionale INU, Salerno 24/26 Ottobre 2013. 20. Così affermava il presidente Manuel Barroso il 19 novembre 2013: “Nel periodo 2014-2020 l'Unione europea ha deciso di investire circa 1000 miliardi di euro nella crescita e nell'occupazione. I fondi del nuovo bilancio permetteranno di gettare le basi per superare la crisi, dando sostegno finanziario a quanti vivono al di sotto della soglia di povertà o che sono in cerca di lavoro, offrendo opportunità di investimento alle imprese di piccole dimensioni e garantendo assistenza alle comunità locali, agli agricoltori, ai ricercatori e agli studenti”. 21. Il bilancio dell'UE relativo all'attuale fase di programmazione, prevede per la prima volta nella storia dell'UE stanziamenti minori rispetto al periodo precedente. Alla seconda rubrica sono destinati il 39% dei finanziamenti totali del bilancio, e di questa percentuale i 3/4 circa sono destinati al primo pilastro della Pac. Cfr. F. De Filippis (a cura di) (2014), La PAC 2014-2020. Le decisioni dell'UE e le scelte nazionali, Edizioni Tellus, Roma. 22. La Rubrica 1 – crescita intelligente e inclusiva si compone di due voci: la competitività per crescita e occupazione (rubrica 1a) e la coesione economica, sociale e territoriale (rubrica 1b) assorbendo il 47% circa delle risorse totali dell'attuale periodo di programmazione. Sempre rispetto al bilancio complessivo, i soli Fondi della Politica di coesione rappresentano il 32,5%. 23. In relazione alla dimensione urbana delle politiche di coesione, nel periodo 2014-2020 è previsto che almeno il 50% delle risorse del FESR per questo arco di tempo sarà investito in aree urbane e lo stanziamento potrà essere incrementato in un secondo momento. Circa 10 miliardi di euro provenienti dal FESR verranno assegnati direttamente alle strategie integrate per lo sviluppo sostenibile dell'ambiente urbano, che circa 750 città dovranno trasporre sul piano pratico. Infine, rispetto alla semplice inclusione sociale, c'è da ricordare come nella Pac la sua promozione compaia nella sesta e ultima priorità insieme alla riduzione della povertà e allo sviluppo economico nelle sole zone rurali. 24. Cfr. L. Caravaggi, C. Imbroglini (2015), Pontili Corviale. Dispositivi per l'accessibilità dei territori metropolitani, Quodlibet, Macerata. 25. Un'interessante iniziativa è quella lanciata di recente dalla Rockefeller Foundation che ha dato vita a una piattaforma di collaborazione e diffusione delle buone pratiche per la resilienza a cui partecipano, collaborando e scambiano esperienze significative, 100 città di tutto il mondo.
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TRA CITTÀ E NATURA
Reti ecologiche e pianificazione paesaggistica: verso la costruzione di un progetto di territorio di Maria Rita Gisotti*
* Maria Rita Gisotti, Dipartimento di Architettura, Università di Firenze
Il rapporto tra ambiente e paesaggio è stato un tema per molto tempo oggetto di attenzione nel dibattito scientifico e all'interno delle esperienze di pianificazione territoriale e paesaggistica. A lungo questi due termini si sono “confusi” e spesso la nozione di paesaggio si è dissolta in quella di ambiente (Settis, 2010; Baldeschi, 2011), specie in una stagione in cui le tematiche ecologiche diventavano preponderanti e contemporaneamente si affermavano i primi importanti provvedimenti legislativi per la tutela del territorio italiano¹. Oggi il concetto di paesaggio, anche sulla scorta di rilevanti innovazioni in campo legislativo che ne hanno sancito lo statuto, ha raggiunto un'autonomia consolidata rispetto ad altri termini a esso prossimi, come quello di ambiente. Parallelamente la riflessione sulle tematiche ecologiche, specie in rapporto con quelle economiche, ha prodotto nuovi paradigmi, tra i più noti quello di servizi eco-sistemici (Costanza et al., 1997; MEA, 2005). Questi nuovi concetti favoriscono il dialogo e l'interazione tra la pianificazione e le scienze ecologiche da un lato e quelle territoriali-paesaggistiche dall'altro, consentendo di mettere a punto strumenti innovativi di carattere marcatamente multidisciplinare, come per esempio le reti ecologiche comprese all'interno di alcuni dei piani paesaggistici elaborati dall'approvazione del Codice dei Beni Culturali e
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del Paesaggio in poi. Nuovi paradigmi Le evoluzioni sopra tratteggiate prendono le mosse da una diversa concezione di paesaggio, acquisita come paradigma di sfondo da molti dei piani paesaggistici di nuova generazione. Alla sua maturazione e propagazione hanno concorso in modo determinante la Convenzione Europea del Paesaggio e il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Cartei G.F., 2007; Sciullo, 2008; Voghera, 2011). La prima, soprattutto specificando il suo campo di applicazione, e facendo così coincidere il paesaggio con “tutto il territorio delle Parti”, ivi compresi “gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani […] i paesaggi terrestri, le acque interne e marine […] i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati”². Il secondo, attraverso la definizione di pianificazione paesaggistica: “lo Stato e le Regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesag-
gistici, entrambi di seguito denominati 'piani paesaggistici'³. Il paesaggio non corrisponde più quindi alle sole aree protette per ragioni di eccezionalità (estetico-percettive, storico-testimoniali, ambientali) ma coincide con l'intero territorio. Quali siano i caratteri che rendono un territorio paesaggio lo spiega chiaramente il Codice quando, riprendendo la formulazione contenuta nella Convenzione Europea, definisce paesaggio un territorio “espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”⁴. La concezione strutturale del paesaggio introdotta da Codice e Convenzione Europea, sebbene riecheggi alcuni paradigmi propri della geografia storica⁵, si può considerare come una delle novità più cariche di conseguenze operative degli ultimi anni in materia di pianificazione paesaggistica. Essa infatti: - consente di legare l'identità paesaggistica non tanto a fattori di tipo estetico-percettivo quanto all'esistenza di relazioni tra le componenti territoriali che rendono riconoscibile quel dato contesto; - permette di superare una nozione specialistica e settoriale di paesaggio e apre la strada
all'adozione di un approccio analitico e progettuale di tipo multidisciplinare in grado di interpretarne la complessità; - individuando nel paesaggio la dimensione di sintesi delle tante componenti del territorio, giustifica il carattere sovraordinato della pianificazione paesaggistica rispetto alla pianificazione ordinaria e a piani e programmi di settore⁶. Numerosi piani elaborati (o in corso di elaborazione) ai sensi del Codice si sono basati su di un'interpretazione strutturale del paesaggio⁷: il PPR del Piemonte, il PPR della Lombardia⁸, il QTRP della Calabria, il PPR della Sardegna⁹, il PUP di Trento, il PPR del Friuli Venezia Giulia. All'interno dell'interpretazione strutturale del paesaggio è inoltre maturato l'approccio patrimoniale, ben esemplificato dai due piani paesaggistici attualmente approvati secondo la normativa prevista dal Codice: il Piano Paesaggistico Territoriale della Puglia e il Piano d'Indirizzo Territoriale della Toscana con valenza di piano paesaggistico¹⁰. Secondo questo tipo di approccio il paesaggio può essere concettualizzato come patrimonio in quanto deposito di valori, sia in senso materiale che immateriale¹¹. Come “insie-
La Rete per la conservazione della biodiversità (REB) del Piano paesaggistico della Puglia (fonte: PPTR Puglia).
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me delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani”¹², il paesaggio costituisce un patrimonio dal quale poter estrarre soprattutto regole di trasformazione rispettose di un equilibrio tra uomo e ambiente che è frutto del loro del reciproco adattamento (Magnaghi, 2000; Antrop, 2005; Zetti, 2008; Gambino, 2009; Sgard, 2010; Poli 2015). Il valore del patrimonio paesaggistico è storicotestimoniale, estetico, culturale ma, in una prospettiva progettuale, è soprattutto funzionale ed economico (Barrère et al., 2005; Landel et al., 2009) poiché contiene principi che consentono di modificare il territorio in modo sostenibile, preservandone le risorse e prevenendo quei malfunzionamenti derivanti da approcci miopi e settoriali, che spesso si traducono in costi aggiuntivi per opere di riparazione e compensazione. In altre parole il paesaggio è un efficiente fornitore di funzioni e servizi ecosistemici di utilità collettiva che vanno dal mantenimento della stabilità dei suoli, alla preservazione dell'equilibrio idraulico, alla tutela della biodiversità e della connettività ecologica, ai contributi per la regolazione del clima, alle funzioni di produttività agricola e di
approvvigionamento energetico, oltre che a tutte quelle attinenti la sfera ricreativa, didattica, culturale (Rovai et al., 2010; Santolini, 2015). Questo approccio ormai consolidato che identifica nessi di primaria importanza tra paesaggio, funzioni ecologiche ed economia¹³ (TEEB, 2010) è ben leggibile anche nella Strategia dell'Unione Europea sulla Biodiversità 2020, che si pone come obiettivo “porre fine alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici nell'UE entro il 2020 e ripristinarli nei limiti del possibile, intensificando al tempo stesso il contributo del'UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale”¹⁴. Queste rilevanti innovazioni teoriche incominciano a informare i piani paesaggistici più recenti. Da una pianificazione che mitiga effetti e impatti sull'ambiente si sta passando a un approccio progettuale che assume come oggetto della tutela il valore ecologico e di servizio ecosistemico dell'intero paesaggio regionale e che pertanto promuove una gestione delle trasformazioni guidata da tale principio piuttosto che volta a politiche di compensazione. Le reti ecologiche presenti in alcuni piani paesaggistici elaborati ai sensi del Codice sono strumenti
che interpretano efficacemente questa visione. Esperienze di pianificazione paesaggistica regionale Il piano pugliese è stato tra i primi a promuovere tale approccio attraverso il Progetto Territoriale per il Paesaggio Regionale denominato “La rete Ecologica Regionale” che “delinea in chiave progettuale, secondo un'interpretazione multifunzionale ed ecoterritoriale del concetto di rete, un disegno ambientale di tutto il territorio regionale, volto a elevarne la qualità ecologica e paesaggistica”¹⁵. Essa è infatti concepita come “scenario eco-sistemico multifunzionale di medio periodo”¹⁶, definito in relazione con la presenza antropica sul territorio. La Rete Ecologica Regionale è articolata su due livelli: la Rete Ecologica della Biodiversità (REB) e lo Schema direttore della Rete Ecologica Polivalente (REP-SD). La REB identifica tutti gli elementi di naturalità che stanno alla base della biodiversità regionale e ne costituiscono il patrimonio ecologico. Comprende le unità ambientali naturali, i sistemi di naturalità primari e secondari, le principali connessioni ecologiche basate su elementi attuali o potenziali di naturalità¹⁷. Il secondo livello della
Lo Schema direttore della Rete ecologica polivalente (REP-SD) del Piano paesaggistico della Puglia (fonte: PPTR Puglia).
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Rete, definito dallo Schema Direttore (REP-SD), è un elaborato di carattere marcatamente progettuale che combina gli elementi della Rete della Biodiversità con altre componenti territoriali cui viene riconosciuta una valenza strategica per la costruzione di una rete ecologica di tipo polivalente (Malcevschi, 2010). Si tratta di elementi tratti da alcuni dei Progetti Territoriali per il Paesaggio Regionale: per esempio le principali greenways identificate dal “Il sistema infrastrutturale per la mobilità dolce” (SIMD), le aree del ristretto o i Parchi della CO2 definiti dal “Patto città-campagna” (PCC), i paesaggi costieri ad alta valenza naturalistica de “La valorizzazione e la riqualificazione integrata dei paesaggi costieri” (VPC), ma anche i paesaggi agrari storici molto presenti in Puglia (uliveti monumentali, vigneti, frutteti) che rappresentano una vera rete ecologica minore di ruolo multifunzionale. Lo Schema direttore della Rete ecologica polivalente è quindi l'ambito del PPTR in cui si integrano politiche ambientali (più propriamente riferite alla REB) e politiche del territorio e del paesaggio rappresentate dai Progetti Territoriali per il Paesaggio Regionale. La scelta di definire la Rete ecologica come Progetto Territoriale e di “darle gam-
be” anche attraverso elementi tratti da altri Progetti Territoriali porta a delle conseguenze operative importanti. Ai Progetti Territoriali il PPTR ha infatti attribuito il valore di direttiva¹⁸, di conseguenza sia la REB che lo REP-SD (con tutti i loro contenuti) costituiscono riferimento essenziale per le pianificazioni di livello provinciale e settoriale e per i piani e i programmi di settore, oltre che per formulare i quadri di sostenibilità delle VAS relative ai vari livelli di pianificazione¹⁹. Anche il piano paesaggistico toscano affida al progetto di Rete ecologica regionale un ruolo portante e lo colloca all'interno di una delle quattro Invarianti Strutturali che sorreggono il suo impianto, la seconda Invariante “I caratteri ecosistemici del paesaggio”²⁰. Gli elementi strutturali della rete ecologica sono suddivisi in elementi della rete forestale, di quella degli agroecosistemi, degli ecosistemi palustri e fluviali, costieri, rupestri e calanchivi. A queste componenti strutturali si integrano gli elementi funzionali della rete ecologica, concepiti con una forte valenza progettuale: per esempio le direttrici di connettività da mantenere/ ricostituire/ riqualificare, i corridoi ecologici fluviali/costieri da riqualificare, le aree critiche per la funzionalità della rete per processi diversi (per lo più artificializzazione e abbandono colturale). Un primo elemento di innovazione del progetto di Rete Ecologica Toscana (RET) è legato alla metodologia con cui è stato realizzato, “basata sull'individuazione di specie focali, sulla disponibilità di banche dati faunistiche e di aggiornate cartografie vettoriali di uso del suolo e sull'applicazione di modelli di idoneità ambientale [il che] ha permesso di individuare gli elementi delle reti ecologiche, dai nodi alle matrici, sulla base della reale distribuzione delle specie e sulle reali caratteristiche degli ecosistemi, indipendentemente dalla rete di Aree protette e Siti
Natura 2000” (Lombardi, 2015, p. 1). È così emerso che solo il 12,9% dei nodi forestali primari e l'8,2% dei nodi degli agroecosistemi forestali rientrano nel sistema delle Aree protette, mentre circa il 45% del territorio agricolo toscano risulta attribuibile a elementi della rete ecologica degli agroecosistemi di alta idoneità ambientale e di alta valenza ecologica (Hnvf-Aree agricole ad alto valore naturalistico) (ibidem). Si tratta soprattutto di oliveti, prati da sfalcio, pascoli, aree agricole eterogenee, seminativi infrastrutturati da siepi e filari alberati, praterie sommitali e brughiere, ovvero di paesaggi agricoli di impronta tradizionale che costituiscono elementi di grande valore non solo dal punto di vista paesistico, ma anche ecologico²¹. Il progetto RET ha dunque evidenziato il ruolo strategico del territorio agroforestale (soprattutto di quello esterno al sistema di aree protette e siti di rilevanza naturalistica) per la conservazione della biodiversità, come pure per la molteplicità di servizi ecosistemici che è in grado di fornire. Questi risultati hanno consentito di rafforzare e legittimare uno degli obiettivi di fondo del Piano paesaggistico toscano e, più in generale, della politica regionale in materia di governo del territorio espressa anche dalla recente L.R. 65/2014²²: l'arresto del consumo di suolo, la preservazione del territorio agroforestale come riserva di valori patrimoniali, “la salvaguardia e la valorizzazione del carattere multifunzionale dei paesaggi rurali regionali, che comprendono elevate valenze estetico-percettive, rappresentano importanti testimonianze storico-culturali, svolgono insostituibili funzioni di connettività ecologica e di presidio dei suoli agroforestali, sono luogo di produzioni agro-alimentari di qualità e di eccellenza, costituiscono una rete di spazi aperti potenzialmente fruibile dalla collettività, oltre a rappresentare per il futuro una forte potenzialità di sviluppo economico”²³.
L'integrazione tra politiche dell'ambiente e politiche del territorio e del paesaggio realizzata attraverso la Rete Ecologica Polivalente del Piano paesaggistico territoriale regionale della Puglia (fonte: PPTR Puglia).
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Nel Piano paesaggistico del Piemonte la Rete ecologica regionale è definita dai nodi (formati principalmente dal sistema delle aree protette), dalle connessioni ecologiche, dalle aree di progetto (aree tampone, contesti fluviali, contesti dei nodi, contesti fluviali, varchi ambientali), e dalle aree di riqualificazione ambientale comprensive anche delle aree agricole in cui ricreare connettività diffusa²⁴. La Rete ecologica regionale si integra con la rete storico-culturale (data da sistemi di valore testimoniale variamente caratterizzati) e con quella fruitiva (itinerari che connettono mete di interesse storico-culturale e naturale) per formare un sistema polivalente e multifunzionale, la Rete di Connessione Paesaggistica²⁵. Il Quadro Territoriale Regionale Paesaggistico della Calabria individua, oltre a una Rete Ecologica Regionale (RER) concepita in modo tradizionale, un Progetto Strategico per il Paesaggio denominato Rete Polivalente, ovvero una “matrice paesaggistico territoriale intesa come sistema di relazioni in grado di creare l'armatura portante delle scelte di sviluppo”²⁶. Il principale obiettivo del progetto di Rete Polivalente è promuovere il miglioramento della qualità dell'ambiente e del paesaggio regionali in un'ottica multifunzionale. Il progetto intende quindi integrare, attraverso un insieme di connessioni di varia natura, elementi della Rete Ecologica Regionale e delle reti storico-culturale, fruitiva-percettiva, della mobilità, della sicurezza. Componenti di pregio naturalistico come le fiumare e le aree naturali protette diffuse nel territorio regionale, risulterebbero così connesse con le aree agricole di pregio, con il sistema dei beni architettonici territoriali diffusi (parchi archeologici, ecomusei) e dei beni paesaggistici regionali. Reti ecologiche e progetto di territorio L'interpretazione strutturale all'interno della quale si inscrivono le esperienze di pianificazione fin qui descritte legge il paesaggio come luogo di ricomposizione della complessità del territorio e di sintesi delle sue componenti (idrogeomorfologica, ecologica, insediativa, storico-culturale ecc.) (Marson, 2016). A partire dal riconoscimento di questa complessità il paesaggio può essere concettualizzato come patrimonio, come fornitore di una molteplicità di funzioni utili per la collettività (servizi ecosistemici in un altro filone di studi), come bene comune sulla tutela e valorizzazione del quale appoggiare lo scenario progettuale. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio sembra voler tra-
Un particolare della carta della rete ecologia (scala 1:50.000) del Piano paesaggistico della Toscana (fonte: PIT Toscana)
durre nella prassi questa visione quando, all'art. 145, sancisce il carattere sovraordinato del piano paesaggistico rispetto agli altri livelli di pianificazione e programmazione, ordinaria e settoriale. In quest'ottica il piano paesaggistico, come dimostrano gli esempi richiamati in questo scritto, può diventare lo strumento operativo per la definizione di un progetto di territorio (Lanzani, Fedeli, 2004; Magnaghi 2007; AA.VV., 2012; Schilleci, 2012), multidisciplinare quanto alla fase di elaborazione e multisettoriale per quanto riguarda quella attuativa e gestionale. Un progetto che coniuga tutela del paesaggio, innalzamento della qualità ambientale del territorio e sviluppo economico. I progetti di rete ecologica presenti in alcuni dei piani paesaggistici esaminati, e in particolare le reti ecologiche polivalenti, operano in questa
direzione perché possono portare sviluppo economico (in termini di accesso per esempio ai fondi strutturali e di opportunità occupazionali legati alla loro realizzazione) e al tempo stesso propongono una visione di sviluppo durevole, legata alla preservazione del paesaggio e ai benefici e servizi collettivi che ne derivano (Barbanente, 2011). Le reti ecologiche dei piani identificano e proteggono i valori ambientali presenti nel territorio superando la visione che li vede tradizionalmente relegati nelle sole aree protette o nei siti di rilevanza naturalistica. Riconoscendo il valore multifunzionale e di servizio ecosistemico del territorio agrosilvopastorale, esse attribuiscono un ruolo importante per la preservazione e il miglioramento delle qualità ecologiche del paesaggio anche alle aree antropizzate, in particolare a quelle a uso agricolo. Si tratta di un avanzamento rilevante che consen-
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te di andare oltre il tradizionale approccio che identifica da un lato poche aree per lo più isolate da proteggere e dall'altro un contesto regionale deputato allo “sviluppo”, e perciò il più possibile indipendente da apparati regolativi. Gli esiti realizzati da questa stagione progettuale saranno valutabili solo in pochi casi da qui a breve, visto che i piani paesaggistici approvati sono solo due e che i processi di pianificazione in atto mostrano in vari casi rallentamenti significativi, dovuti a criticità tecniche o politico-amministrative. Un impulso all'avanzamento degli iter di pianificazione paesaggistica attraverso il superamento di queste criticità e l'identificazione di alcuni elementi metodologici comuni sarebbe perciò quanto mai auspicabile, anche in vista del raggiungimento di un'integra-zione più matura tra paesaggio e ambiente.
Note 1. Il riferimento è al periodo che ha visto l'approvazione della Legge “Galasso” 431/85. Ricordiamo che negli anni immediatamente successivi si aprì un'intensa stagione di dibattito sul paesaggio, tenutosi per lo più sulle pagine delle riviste Urbanistica e Casabella. A questo proposito rimangono fondamentali Gambi, 1986; Gambino, 1988; Lanzani, 1986. 2. Convenzione Europea del Paesaggio, art. 2. 3. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, art. 135, c.1. 4. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, art. 131, c.1. 5. La tradizione di studi a cui si fa riferimento è quella che vede tra i suoi esponenti più rappresentativi Emilio Sereni e Lucio Gambi. Scrive Gambi nel 1986: “Quando diciamo territorio, evochiamo non uno spazio qualunque, ma uno spazio definito e determinato da caratteristiche, o per meglio dire da un sistema di rapporti che unificano queste caratteristiche” (Gambi, 1986, pp. 103-104). Una definizione per certi versi analoga di territorio è quella di Giuseppe Dematteis: “La terra diventa territorio quando è tramite di comunicazioni, quando è mezzo e oggetto di lavoro, di produzione, di scambi, di cooperazione” (Dematteis 1985, 74).Tra i primi piani urbanistici a impiegare un paradigma strutturale di territorio ricordiamo il PRG di Siena di Bernardo Secchi degli anni '90. 6. Secondo quanto stabilito dall'art. 145, c.3 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. 7. E' opportuno ricordare il contributo importante dato a questo tipo di approccio da altre esperienze di pianificazione “con specifica considerazione dei valori paesistici” come il PTC della Provincia di Arezzo coordinato da Gianfranco Di Pietro e quello della Provincia di Siena, entrambi approvati nel 2000. Come pure il PTC della Provincia di Prato approvato nel 2003 e coordinato da Alberto Magnaghi. 8. Il PPR della Lombardia è stato redatto a prescindere dalla stipula dell'Intesa di copianificazione con il MiBACT prevista dall'art. 143
del Codice almeno per quanto riguarda i beni paesaggistici. 9. Il PPR della Sardegna è stato approvato nel 2006 solo relativamente al “Primo ambito omogeneo” regionale (costiero). 10. I due piani sono stati approvati rispettivamente nel febbraio e nel marzo del 2015. 11. Cfr. la definizione di patrimonio territoriale del piano pugliese: “l'insieme interagente di sedimenti persistenti dei processi di territorializzazione di lunga durata” (Regione Puglia 2015, PPTR. Piano PaesaggisticoTerritoriale Regionale, NTA, art. 7, c.1). 12. La definizione è presente nel PIT toscano (RegioneToscana 2015, PIT. Piano d'indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico. Disciplina del piano, art. 6, c.1) e nella L.R 65/2014 “Norme per il governo del territorio”, art. 3, c.1. 13. A questo proposito l'ISTAT sta sviluppando un progetto per la misurazione del Benessere Equo e Sostenibile (Progetto BES) da sostituire al PIL.Tra i 12 indicatori di benessere presi in considerazione compaiono, oltre all'Ambiente, i temi “Paesaggio e Patrimonio culturale” concepiti primariamente come beni comuni, fornitori di servizi ecosistemici e come “asset di valore incalcolabile nella competizione economica globale” (ISTAT, BES 2015, p. 213). 14. Commissione Europea (2011), Strategia dell'UE sulla Biodiversità 2020, p. 2. Il tema viene ripreso nella Strategia Nazionale per la Biodiversità. Si veda l'Annesso 1, dove viene trattato l'argomento della diversità biologica e delle sue funzioni (ecologica, economica, sociale e culturale, etica) e il suo rapporto con i servizi ecosistemici. 15. Regione Puglia 2015, PPTR. Piano PaesaggisticoTerritoriale Regionale, NTA, art. 30. c.1. 16. Regione Puglia 2015, PPTR. Piano PaesaggisticoTerritoriale Regionale, Scenario strategico. Cinque progetti territoriali per il paesaggio regionale. La rete ecologica regionale, p. 8. 17. Per approfondimenti su questo punto si veda “La rete ecologica regionale. Rapporto tecnico”, in Allegato 9 al PPTR Puglia. 18. Regione Puglia 2015, PPTR. Piano PaesaggisticoTerritoriale
Regionale, NTA, art. 29. 19. Alcuni elementi della REP-SD (aree naturali e sistemi di naturalità, fiumi principali, connessioni ecologiche su vie d'acqua permanenti e temporanee, nuclei naturali isolati) sono inoltre già normati nella “Disciplina dei beni paesaggistici e degli ulteriori contesti paesaggistici” (Titolo VI delle NTA). 20. Il gruppo di lavoro della II Invariante del PIT è così composto: Giacomo Santini (responsabile scientifico - BIO/UNIFI), Paolo Agnelli, Cristina Castelli, Laura Ducci, Bruno Foggi, Michele Giunti, Tommaso Guidi, Leonardo Lombardi, Filippo Frizzi, Luca Puglisi, StefanoVanni. 21.Tali risultati sono coerenti con i contenuti della Strategia Regionale per la Biodiversità dellaToscana che individua nel paesaggio agricolo tradizionale e in particolare nelle Aree agricole ad alto valore naturale (Hnvf) uno dei principali target di conservazione della biodiversità regionale (Lombardi, 2015, p. 2). 22. Una delle principali innovazioni della L.R.Toscana 65/2014 è l'aver introdotto l'individuazione del perimetro del territorio urbanizzato, al di fuori del quale nuovi consumi di suolo sono consentiti solo “qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti” (art. 4, c.8). 23. RegioneToscana 2015, PIT. Piano d'indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico. Disciplina del piano, art. 11, c.2. 24. Regione Piemonte, PPR. Piano Paesaggistico Regionale, NTA, art. 42. 25. Per la realizzazione del progetto di Rete di Connessione Paesaggistica il PPR Piemonte predispone la Rete diValorizzazione Ambientale (RVA), concepita come strumento integrato e di carattere intersettoriale (NTA, art. 44, c. 3). 26. Regione Calabria, QTRP. QuadroTerritoriale Regionale Paesaggistico,Tomo 2, p. 86.
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Fotografia di L. Chistè
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I TEMI, LE ESPERIENZE, I CASI STUDIO
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TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
Ecologie per il progetto contemporaneo: tra aspettative e metodo di Vincenzo Cribari*
Introduzione Nel presente contributo, partendo da una rapida disamina critica di alcune delle accezioni che il termine ecologia ha assunto, contaminando saperi umanistici e scientifici che evidentemente non afferiscono alla sola scienza in quanto tale, si evidenziano taluni dei processi culturali che discutono le valenze di tali accezioni alla luce di prospettive culturali ampie, e che mettono in evidenza, aspettative differenti se non contrapposte. In particolare si vuol fare emergere l'uso dei riferimenti all'ecologia nelle discipline legate al progetto e il modo in cui questo vari all'interno dei diversi ambiti afferenti all'architettura del paesaggio, all'urbanistica e alla pianificazione. Infine, con riferimento all'urbanistica e ad alcuni suoi sviluppi recenti confluiti, in particolare, nell'Ecological Urbanism, si coglie l'occasione per fare alcune considerazioni che, si ritiene, possano essere utili per una più chiara ed efficace applicabilità dell'ecologia nel progetto di territorio e di paesaggio.
* Vincenzo Cribari, docente nei Laboratori di Progettazione Urbanistica e collaboratore di ricerca presso il DICAM dell'Università di Trento
tribuendo a tracciare, in modo non secondario, i caratteri della post-modernità, o, parafrasando alcuni autori, di una riscoperta e rinnovamento della modernità stessa. L'aumento della quantità di riferimenti ai temi ecologici e il conseguente valore polisemico che il termine ha assunto col tempo, intercettando ambienti culturali via via più ampi, fanno correre il rischio però, di ridurne il significato a parola contenitore, utilizzata per veicolare iniziative di vario carattere, finendo per decostruire, in definitiva, il valore “sovversivo” attribuito alla disciplina in una determinata fase storica (Sheperd & McKinley, 1969). Questo processo è avvenuto attraverso la costruzione di differenti aspettative sociali correlate agli approcci ecologici, spesso non convergenti, che hanno contribuito a costruire progressivamente punti di vista anche opposti. Oppure, ancora, come emerso col tempo, la costruzione di alcuni di questi punti di vista è divenuta strumentale, per rispondere ad alcune delle istanze poste dalla società, rispetto ai temi Aspettative ambientali sollecitati da una parte sempre più L'ecologia - soprattutto come riferimento alle ampia dell'opinione pubblica. scienze ambientali, in generale, e all'interno degli All'interno di taluni di questi orientamenti, sono sviluppi più ampi legati alla sostenibilità - è entra- state individuate, negli anni, iniziative sulle cui ta con sempre più insistenza a far parte finalità si sollevano dubbi e rispetto alle quali, in dell'immaginario collettivo contemporaneo, con- definitiva, il carattere “ecologico” o “ambienta-
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le” risulta estremamente artefatto e consumato spesso a scopo prettamente commerciale, promozionale o d'immagine. Termini come “ecopornography”¹ (Mander, 1972; Turner, 1970) o “greenwashing”², sono stati coniati, e divenuti anche di uso comune, per descrivere questo tipo di pratiche. Ulteriori punti di vista critici possono essere ricondotti, invece, con estrema sintesi, all'immagine prodotta da quello che è stato definito ecologismo scientista, che finirebbe per rivelarsi “intimamente una figura della crisi ecologica, piuttosto che la via d'uscita da essa” (Russo, 2010). In maniera analoga, l'idea che alcuni gruppi o élite di tecnici esperti siano in prima fila per definire e gestire le agende politiche e organizzare la gestione del rischio, anche di tipo ecologico, è un tema che negli anni è stato dibattuto da più parti e in modo critico (Beck, 1986; Paccino, 1972). Viene sviluppato, infine, il concetto di ecosofia: all'ecologia non è attribuito un valore esclusivamente ambientale, il suo valore va rapportato anche alle istanze sociali e umane, concetto che Guattari ha strutturato nelle “tre ecologie” (1989). Vale la pena soffermarsi su alcuni sviluppi recenti, culturali e scientifici, che si relazionano con temi di carattere ecologico. Queste posizioni seguono un dibattito riconducibile a quelle correnti di pensiero che possono essere riconosciute come “post-environmentalist” (Shellenberger & Nordhaus, 2011). Il gruppo del Breakthrough Institute, in particolare, prende posizione rispetto ai movimenti ambientalisti tradizionali, riferendosi principalmente a quelli americani; a quest'ultimi vengono attribuite, infatti, posizioni ritenute ormai ostative in quanto considerate superate e non più capaci di fornire risposte adeguate a questioni ambientali che si propongono in termini nuovi e, probabilmente, ancora più drammatici rispetto al passato. Vengono criticate anche molte posizioni scientifiche e, in tal senso, vengono messe in discussione tra le altre: le politiche di tipo esclusivamente conservativo operate attraverso i modelli tradizionali di tutela e salvaguardia ambientale, sia sul piano della loro efficacia, effettiva e storica, che su quello della stanca riproposizione di una wilderness “never existed, at least not in the last thousand years” (Kareiva et al., 2011); vengono sollevate la scarsa attenzione a temi
quali la distruzione di habitat e la perdita di biodiversità, piuttosto che la costante riproposizione di tematiche quali il riscaldamento climatico e la produzione energetica; vengono messi in discussione l'approccio dell'Ecological Economics (Sagoff, 2011), per la sostanziale riproposizione di modelli basati sulla decrescita e per la “distanza scettica” che prendono dai progressi tecnici. Ma la posizione che più chiaramente esprime l'orientamento del gruppo, è quella del contributo di Latour (2011), che in sintesi vede nell'uso e nello sviluppo di nuove tecnologie, non un “mostro” da cui rifuggire - morale riproposta attraverso il “Frankenstein” di Mary Shelley - quanto piuttosto una via “da amare”, in quanto prodotto della civiltà umana, attraverso il cui contributo, forse, si potrà dare risposta alla crisi ecologica in atto. In definitiva, la posizione di questo gruppo, riferendosi soprattutto a sviluppi scientifici recenti, individua, come via possibile alla crisi ecologica, una soluzione che deve essere rintracciata nello sviluppo umano, nella modernizzazione e nell'innovazione tecnologica, individuando nell'uomo, un agente responsabile, probabilmente l'unico, capace di guidare il processo di conservazione della vita e delle risorse del pianeta nella fase attuale dell'Antropocene (Crutzen, 2006) e di rinnovare, attraverso questo processo, l'idea stessa di modernità. Questa condizione, relativa in particolare al ruolo centrale che l'uomo ha assunto, e che dovrà assumere per il pianeta, è delineata di recente da più parti, anche se, con diversi approcci. Ultimamente anche importanti studiosi, enfatizzano l'importanza che la responsabilità delle scelte umane assumerà, come fattore decisivo e fondamentale, per la qualità e le possibilità dello sviluppo futuro della vita e dell'uomo nella biosfera terrestre. «Ciò che resta di questo secolo sarà un collo di bottiglia in cui si assisterà a un sempre maggiore impatto umano sull'ambiente e alla diminuzione della biodiversità³. Dobbiamo assumerci la responsabilità di portare noi stessi e il maggior numero possibile di tutte le altre forme di vita attraverso quel collo di bottiglia …» (Wilson, 2015). Ecologie nelle discipline del progetto. Le discipline che tradizionalmente afferiscono al campo dell'architettura e del progetto (pianificazione, urbanistica, architettura del paesaggio), non sono esenti da questo processo di attribuzione di significati e valenze molto differenti al ter-
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mine ecologia, generando al contempo altrettante aspettative e utilizzi. Le dicotomie e contraddizioni si palesano, talvolta, in maniera evidente in alcune produzioni architettoniche recenti, dal momento in cui i nuovi prodotti sono divulgati e ricondotti a un carattere “ecologico”. Alcuni di questi casi, ad esempio, potrebbero manifestare questa tendenza: i benefici ecologici sembrano a vantaggio di pochi, o appaiono relegati perlopiù a declinazioni di carattere esclusivo e che pertanto assumerebbero una valenza parziale, in termini sociali, rispetto al mandato di discipline quali l'urbanistica, la pianificazione e il paesaggio. Al contrario, però, possono contribuire alla costruzione di un'immagine iconica e produrre, al contempo, innovazione nel campo della produzione tecnologica e architettonica. Possono essere assunti come casi esemplificativi due progetti recenti: il “Bosco Verticale” (Boeri et al., 2014) e “Masdar City” (Foster & Partners, 2015) - primo progetto di città al mondo a emissioni zero su larga scala. Essi sembrerebbero, però, incappare nello stesso “Equivoco delle Città Giardino”, già sollevato da Doglio (1953) rispetto ai modelli urbani di Howard, in cui si ripresenterebbe secondo stilemi aggiornati, quella condizione dell'abitare, in cui la predominante visione tecnologica e tecnica, rischia di essere declinata come l'invenzione di un nuovo particolare prodotto del mercato piuttosto che come modello di un nuovo organismo urbano autonomo. Bisognerebbe valutare allora, quanto queste sperimentazioni, come peraltro indicava Samonà (1959) in riferimento all'esperienza di Howard, potrebbero assumere la valenza di modelli utili per l'urbanistica, escludendo i rischi di una debole o scarsa riproducibilità rispetto alle condizioni attuali e reali delle città. La dicotomia sostanziale fra visioni contrastanti legate al rapporto fra ecologia e progetto, è evidenziata di recente da Waldheim (2014), con riferimento a un saggio di Cristopher Hight. Egli pone in evidenza, in particolare, i passaggi in cui si sostiene che l'ecologia, trascendendo i suoi caratteri originali di scienza naturale, sia divenuta il più importante framework epistemologico della nostra epoca. “The slippage of ecology from natural science to cultural lens remains the source of quite a bit of confusion and limits communication within and across the disciplines of landscape architecture, urban design and planning” (Waldheim, 2014). Nelle conclusioni dello stesso
saggio, Waldheim sottolinea come la confusione nell'uso dell'ecologia dipenda dal modo in cui questa è stata “importata” dalle diverse discipline. Infatti, da parte della landscape architecture e dell'urban planning essa è stata vista storicamente come scienza applicata, mentre da parte dell'architettura e delle arti, è stata importata come metafora dalle scienze sociali, da quelle umanistiche e dalla filosofia. Una terza via è proposta, infine, ed è quella che viene esposta in Projective Ecologies (Chrees, Lister, 2014), in cui l'ecologia dovrebbe assume un carattere “proiettivo” (Waldheim, 2014), attraverso gli sviluppi e le applicazioni legate al progetto. Questa articolazione di visioni culturali e saperi, insieme al relativo scostamento culturale che è stato prodotto, è maturata in stretta relazione con i processi che hanno contraddistinto la crescita e la trasformazione delle città europee e nordamericane, e con le figure che, in vario modo, si sono sovrapposte negli ultimi decenni all'abaco dei paesaggi tradizionali della città industriale. Processi che, progressivamente, hanno contribuito a traslare l'attenzione dal corpo tradizionale della città, a uno più esteso e contaminato (terrain vague⁴, città diffusa⁵ e post-industriale, spazi aperti), ampliando il quadro delle discipline di riferimento dell'urbanistica e portando a guardare la città, prima attraverso la lente del paesaggio - sostituzione del “building block” tradizionale dell'architettura, con quello del paesaggio, operato dal Landscape Urbanism (Waldheim, 2006) - e poi, più di recente, attraverso quella dell'ecologia (Mostafavi, 2010; Waldheim, 2016). Lo stesso Secchi (2000), nell'accostarsi ai temi della dispersione urbana, individua nella costruzione della città contemporanea, il coinvolgimento di parti considerevoli di paesaggio agrario o di quello che “impropriamente chiamiamo natura”. Tale riavvicinamento allo studio degli spazi aperti, egli sottolinea, avrebbe imposto nuovamente l'articolazione complessiva dell'intera questione “ponendo problemi ancor più vasti e complessi dei centri antichi” (Secchi, 2000). Seppure i caratteri del paesaggio americano (nel caso dell'Ecological Urbanism) e di quello italiano, nella condizione appena introdotta, sono evidentemente molto differenti, nei due approcci si possono scorgere delle analogie, derivanti dalla necessità evidente d'informare l'urbanistica di un nuovo “building block” complesso. Nel caso del Landscape Urbanism dunque, questo corpo complesso, riconosciuto nel paesaggio, diviene il
nuovo corpo principale dell'urbanistica e, a sua volta, questo sarà progressivamente sostituito, o integrato, dall'ecologia. Questo implica da parte dell'Ecological Urbanism il riconoscimento formale, dell'ecologia come nuovo livello che informa l'urbanistica. Disambiguazioni sul metodo. Una caratteristica chiave dell'Ecological Urbanism è dunque il riconoscimento della scala e dell'estensione dei processi ecologici ben oltre i limiti del territorio urbano. Come evidenziato da Mostafavi questa condizione apre a un “approccio olistico” e a una “moltitudine” di campi che necessitano un'integrazione di tipo “transdisciplinare”, indispensabile ai progettisti per affrontare le sfide poste dall'estensione concettuale legata al “nuovo” ambiente urbano⁶. A ogni modo, Mostafavi individua in via teorica, la necessità di dover ricorrere a degli approcci epistemologici, per ricomporre le interazioni fra i diversi campi disciplinari; processo fondamentale evidentemente, per integrare le informazioni di tipo “ecologico”. Egli, in particolare, indica che questa capacità può essere realizzata attraverso lo sviluppo di un approccio di tipo transdisciplinare (Mostafavi, 2010). Tale tesi, legata alla necessità di integrare un corpus metodologico per operare su dei livelli di scambio delle informazioni, oltre che non nuova nelle discipline del progetto, non è evidentemente esclusiva dell'Ecological Urbanism. Piuttosto, tale condizione va delineandosi e assumendo una sua specificità, e diviene sempre più ricorrente, in tutti quei momenti e contesti, culturali o scientifici, in cui è divenuto necessario superare la frammentazione disciplinare per costruire dei modelli, che possano, o abbiano la necessità, di porsi come ipotesi inclusive e risolutive per rispondere in modo efficace alle differenti istanze poste, in particolare, dalla sostenibilità. Quest'ultima, infatti, sempre più spesso è legata alla soluzione di problemi complessi. Appare ormai chiaro come le differenti discipline specialistiche, quando agiscono in modo isolato, non sono sufficientemente capaci, o informate, per riuscire a fornire risposte a processi con driver molto diversi e fortemente interrelati, come accade in tutti i sistemi complessi (Wells, 2013); siano essi processi ecologici o condizioni legate allo studio del paesaggio, piuttosto che a sviluppi decisionali legati, ad esempio, alla produzione o valutazione di scenari progettuali o di piano.
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Vale la pena, però, sottolineare, che il processo legato alla gestione delle informazioni, soprattutto nell'ambito dell'urbanistica, non deve essere interpretato come guidato in maniera prevalente dall'ecologia, per almeno due aspetti. Il primo, riguarda le modalità con le quali l'urbanistica, in particolare, ha integrato l'ecologia, e in tal senso sembra utile fare alcune precisazioni, peraltro già discusse da Waldheim (2014). L'urbanistica presenta infatti un corpo ormai ibridato da una molteplicità di caratteri. Oltre ai propri, da quelli provenienti dall'architettura (e dall'architettura del paesaggio) - e quindi, come visto in precedenza, con l'ecologia che può essere integrata anche attraverso le scienze sociali, le discipline umanistiche e l'arte - sia da quelli provenienti dalla pianificazione - caso in cui, invece, divengono prevalenti le informazioni strutturate su base scientifica, fra le quali ha assunto un ruolo centrale l'Ecologia del Paesaggio⁷. In tal senso è opportuno di volta in volta operare dei distinguo e capire quale tipo di condizione intendiamo integrare nei nostri processi cognitivi o progettuali, potendo ricorrere evidentemente a un particolare tipo di ecologia, così come declinato nella prima parte del testo. In questo caso, in estrema sintesi, potremmo considerare quella ecologica, come un'informazione che al pari di altre, interagisce con il processo complessivo di formazione dei diversi tipi di output progettuale (a prescindere dal loro tipo e valenza). Il secondo aspetto, è relativo al fatto che, seppure l'ecologia si collochi tra le scienze “complesse” per eccellenza (Wells, 2013), molte delle teorie che gestiscono tale “complessità”, vengono integrate in essa solo progressivamente. È il caso della Teoria Generale dei Sistemi (von Bertalanffy, 1969), per citarne una fra le più importanti e utile al nostro ragionamento, che, seppure inizialmente ha avuto origine in biologia, a partire dalla necessità di trovare una risposta al riduzionismo analitico e ricercare un nuovo approccio allo studio dei sistemi viventi (Montuori, 2007), è divenuta, in seguito, un caposaldo delle teorie legate allo studio della complessità (Farina, 2001), assumendo un proprio ruolo e riconoscibilità. Tornando al caso dell'urbanistica (o dell'Ecological Urbanism), potremmo precisare, in conclusione, che, la gestione dei processi d'integrazione e scambio delle informazioni, andrebbe declinata in termini di costruzione di processi che richiedono il superamento della frammentazione disciplinare. Questo campo emergerebbe e si definirebbe
come dominio proprio - eventualmente attingendo a framework articolati come quelli necessari per la gestione della complessità. L'ecologia, al contrario, dovrebbe emergere all'interno del progetto, nelle diverse declinazioni, adattando la propria valenza polisemica alle condizioni specifiche.
Volendo quindi escludere l'ecologia dal dominio dell'organizzazione generale dei processi di gestione delle informazioni (o se preferiamo, dal dominio del metodo complessivo), dovremmo ritrovarla piuttosto - oltre che in qualità di informazione - attraverso le sue caratteristiche proiettive. In definitiva, volendo ricondurci nuovamente a
Guattari, potremmo immaginare che questo possa avvenire, nel migliore dei casi, utilizzando un triplice registro (ambientale, sociale e umano), attraverso il quale declinare e condurre gli orientamenti del progetto legati alla costruzione di luoghi (maggiormente) sostenibili.
Note 1. Come riportato in, Karliner, Joshua. "A Brief History of Greenwash", CorpWatch, March 22, 2001. Accessed April 14, 2016. Jerry Mander, "Ecopornography: OneYear and Nearly a Billion Dollars Later, Advertising Owns Ecology" Communication and Arts Magazine, Vol. 14, No. 2, 1972, pp. 45-56; Thomas Turner "Eco-Pornography or How to Spot an Ecological Phony" in Garrett de Bell ed., The Environmental Handbook: Prepared for the First National Environmental Teach-In, April 22, 1970, pp. 263-267. 2. Termine coniato da Jay Westerveld nel 1986. In, Cohen N., Philipsen D., Green Business (op. cit.). 3. Si stima che un'importante conseguenza diretta, generata dai processi di distruzione di habitat sovrappopolazione, inquinamento chimico, sovrasfruttamento delle risorse, cambiamento climatico - sia rappresentato dalla consistente perdita di biodiversità verso la quale il mondo andrebbe dirigendosi, in quella che di recente è stata tratteggiata come la VI estinzione (Barnoski et al, 2011, Eldridge, 2001, Kolbert, E. 2014). L'ultima grande estinzione la V, secondo quanto riferiscono i paleontologi e gli scienziati (Eldridge, 2001), è avvenuta alla fine del Cretaceo (circa 65 milioni di anni or sono), quella attuale invece sarebbe iniziata circa 100.000 anni fa con la distribuzione dell'Homo sapiens sul pianeta, per acuirsi intorno a 20/12.000 anni fa, momento nel quale (fra il Pleistocene e l'inizio dell'Olocene), si sarebbe registrato il passaggio dalle culture di cacciatori-raccoglitori, alla diffusione dell'agricoltura. Non appaiono chiari quali siano i tassi secondo i quali la nuova estinzione attualmente stia prendendo piede, principalmente perché è impossibile allo stato attuale quantificare il numero di specie presenti sulla superficie terrestre. Alcune stime “ottimistiche” ipotizzavano una perdita di circa 27.000 specie estinte ogni anno (Wilson, 1992). Rapporti recenti come quello del WWF (Living Planet Report 2014), effettuati su un campione di base di 3.038 specie di anfibi, uccelli, pesci, mammiferi e rettili provenienti da tutto il mondo, stimano che tra il 1970 e il 2010 il pianeta ha perso circa il 52 per cento della sua biodiversità. 4. Ignasi de Solà-Morales, in, Anyplace (op. cit.) 5. Indovina F. (1990, op. cit.) 6. In tal senso vale la pena riportare anche le osservazioni che vengono poste da Steiner (2011), rispetto alla scarsa attenzione che nell'Ecological Urbanism viene corrisposta agli avanzamenti operati dall'Urban Ecology. 7. In Italia questo passaggio avviene a partire dalle esperienze degli studi legati alla valutazione ambientale di opere, piani e progetti, incorporando progressivamente anche discipline come la Landscape Ecology. Si veda la prefazione di Virginio Bettini, in Ecologia del Paesaggio, di Farina A. (2001, op. cit.).
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TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
Le Reti di Riserve in azione. Il caso del Parco Fluviale della Sarca di Micaela Deriu*
* Micaela Deriu, coordinatrice Reti di Riserve alto e basso Sarca
Negli ultimi anni si è affermata in Trentino la nascita delle Rete di Riserve: un nuovo strumento introdotto dalla L.P. 11/07 "Governo del territorio forestale e montano, dei corsi d'acqua e delle aree protette" a cui viene affidata l'innovazione gestionale nell'ambito della conservazione e tutela attiva dell'ambiente. Nel panorama nazionale essa ha il merito di collocarsi quale prima sperimentazione di conversione del concetto di rete ecologica in termini istituzionali, rinforzando i principi di partecipazione, sussidiarietà responsabile e integrazione tra politiche di conservazione e sviluppo locale sostenibile. Tale innovazione risponde alla lunga evoluzione dei paradigmi che sottendono la pianificazione e la gestione delle aree protette che vede nel Congresso di Durban 2003 il completo superamento del modello a “isole” a favore di quello a “rete” in virtù di alcune evidenze diffuse: l'inefficacia di politiche di conservazione della biodiversità applicate solo entro confini definiti; il progressivo avanzamento della frammentazione ecologica a causa dell'espansione di insediamenti e infrastrutture; l'aumentata consapevolezza delle comunità locali verso il diritto di uso e gestione diretta delle risorse primarie indipendentemente dai confini amministrativi. A tal proposito è utile ricordare che progetti europei quale “Rete Natura 2000” per la conservazione
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della biodiversità ed Econecct per il miglioramento della connettività ecologica nelle Alpi ponevano a fondamento della loro impostazione un approccio ecologico sistemico tra le aree protette e le altre risorse naturali o semi naturali.¹ Nel solco di questo cambio di paradigma è ancora l'Unione Europea che nel 2006 ricorda che “l'approccio politico dell'UE riconosce che la biodiversità non è diffusa uniformemente e che alcuni habitat e specie sono più a rischio di altri. Per questo attribuisce particolare importanza alla creazione e alla protezione di una rete consistente di siti a elevato valore naturalistico: la rete Natura 2000. Questo approccio riconosce però anche che gran parte della biodiversità si trova al di fuori di questi siti. (…)”. Purtroppo è rilievo comune che ancora oggi sussiste un deficit di integrazione tra le politiche di conservazione della biodiversità e altre politiche settoriali. A ciò si aggiunga che sebbene il concetto di rete ecologica sia andato affermandosi diffusamente, le modalità per la sua individuazione e applicazione continuano a trovare difficoltà interpretative, anche in mancanza di approcci condivisi. Anzi, si può osservare che soprattutto nell'ultimo decennio la logica reticolare sia uscita dal campo strettamente biologico per assumere significati diversi, come quelli della fruizione paesistica o quelli dei legami storici e culturali. E' quindi assumen-
Intervento di riqualificazione naturalistica ARCO
do tali premesse e prospettive ancora dense di incertezze che si comprende come l'avvio delle Reti di Riserve nella Provincia Autonoma di Trento si caratterizzi per i connotati sperimentali ed evolutivi, tipici di un work in progress attraverso cui affinarne caratteristiche, modalità attuative e prassi gestionali. Il carattere ambizioso della novità legislativa trentina risulta evidente ed apprezzabile e, a nove anni dalla sua emanazione, con questo contributo proviamo ad abbozzare qualche prima riflessione a partire dalle esperienze in corso, con specifici approfondimenti sul caso del “parco fluviale della Sarca”. Il sistema territoriale di riferimento e il piano di gestione: questioni aperte Ad oggi le Reti di Riserve istituite in Trentino sono 9 e riguardano complessivamente circa 44.000 ettari di territorio, pari al 7% di quello provinciale.² Sono direttamente responsabili della gestione di 44 Zone di Conservazione Speciale, pari al 31% dei siti Natura 2000 trentini a cui si si aggiungano circa 26.000 ettari di altre aree protette e ambiti di connessione ecologica. Alcune Reti presentano la comune caratteristica di avere al centro della loro matrice ambientale l'ambito fluviale quale naturale (o a volte solo potenziale) corridoio ecologico, introducendo ulteriori fattori di complessità territoriale e gestionale. La definizione dell'ambito territoriale “di competenza” di una Rete è affare complesso. Diversamente dai parchi naturali che presentano un corpo definito dai confini precisi, le Reti di Riserve possono presentare forme fluide, anche non compatte o contigue. A tal proposito si osserva infatti come la norma assuma a fondamento dell'istituzione di una Rete il concetto di “sistema territoriale”, all'interno del quale ricercare quei “valori naturali, scientifici, storico-culturali e paesaggistici di particolare interesse, o per le interconnessioni funzionali tra essi” che si prestano “ad una gestione unitaria”. Definito quindi il sistema territoriale di riferimento, esso è da gestire con “preminente riguardo alle esigenze di valorizzazione e di riqualificazione degli ambienti naturali e seminaturali e delle loro risorse - nonché allo sviluppo delle attività umane ed economiche compatibili con le esigenze di conservazione”. Il richiamo alla matrice reticolare nella sua accezione più moderna, ma ancora oggi ampiamente dibattuta scientificamente, appare chiaro. Come darne concreta attuazione è
Intervento riqualificazione naturalistica PONTE MASO del GOBBO
Realizzazione fascinata di salici_intervento di riqualificazione naturalistica argini sarca
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invece questione più confusa. A ciò si aggiunga che la natura volontaria dell'attivazione di una Rete da parte di comuni e comunità interessate, genera di frequente uno spostamento di attenzione verso le reti funzionali volte a perseguire il miglioramento fruitivo del territorio. L'approccio partecipativo, se praticato sin dalle prime fasi di avvio delle Reti, offre l'occasione di volgere positivamente quelle che potrebbero apparire solo come ostacoli ed ambiguità, riportando alle comunità locali la responsabilità di promuovere una riflessione di ampia portata, volta a trovare soluzioni pertinenti e specifiche per ciascun contesto. L'attivazione di momenti di confronto strutturato tra esperti ambientali e tecnici di varie discipline, amministratori, cittadini, associazioni e soggetti economici consente una integrazione dei saperi, delle differenti letture e istanze territoriali e contribuisce a delineare lo scenario di riferimento condiviso. Ad oggi, nonostante l'importante contributo scientifico apportato dal progetto LIFE+Ten e il dialogo collettivo con gli attori locali maturato in nelle prime nove esperienze, restano comunque aperti alcuni aspetti di metodo e di processo riferiti alle modalità, allo scopo e agli effetti di tracciare cartograficamente le porzioni di territorio interessate dalla gestione delle Reti nonché il rapporto tra il Piano di Gestione e altri strumenti di gestione del territorio. L'art.47 della L.P. 11/2007 individua infatti nel piano di gestione delle Reti di Riserve lo strumento operativo di riferimento e pare riconoscere il portato di conoscenze ecosistemiche prodotte in fase di redazione. Infatti la norma recita che esso “può individuare ulteriori misure di tutela per ogni zona o gruppi di zone gestite attraverso la rete di riserve, in coerenza con le misure di conservazione generali e specifiche disposte ai sensi della normativa vigente, nonché ulteriori misure rispetto a quelle previste ai sensi della vigente normativa per le riserve naturali provinciali, per le riserve locali, per le aree di protezione fluviale e per gli ambiti fluviali che in essa ricadono. Il piano può individuare, inoltre, ambiti territoriali per l'integrazione ecologica dei siti e delle riserve che costituiscono la rete, individuando eventuali apposite misure di tutela degli ambiti stessi”. A tal proposito occorre però ricordare che la perimetrazione delle aree di integrazione ecologica coinvolte nella Rete di Riserve e le eventuali misure di tutela attiva indicate nel Piano di Gestione, non producono effetti cogenti né sul piano urbanistico, né sul
fronte delle norme o dei vincoli esistenti e non hanno rilevanza formale ai fini dei pareri rilasciati dagli organi e servizi competenti. Quale sia quindi il rapporto o il contributo atteso tra il piano di gestione della Rete di Riserve e gli altri strumenti di pianificazione territoriale e settoriale o quelli di programmazione vigenti resta tema aperto. D'altronde nemmeno le modifiche apportate nel tempo al testo della L.P.11/2007 aiutano a chiarire o introducono riferimenti specifici a tali piani gestionali.³ Se consideriamo che coerentemente con i presupposti normativi, il territorio gestito dalle Reti di Riserve è composto oggi da aree protette per circa il 40% mentre il restante 60% è definito quale “area di integrazione ecologica”, i tempi paiono maturi per delineare con maggiore chiarezza le ricadute procedurali ed operative, convinti che anche “migliorando la pianificazione, (si) possono conciliare le esigenze di utilizzo del territorio e di sviluppo con quelle di conservazione della biodiversità e di mantenimento dei servizi ecosistemici.”⁴ Parco Fluviale della Sarca: primo focus Il caso della Rete basso Sarca, avviato nel 2009 da soli 4 comuni (Arco, Dro, Riva del Garda e Nago Torbole), prende le mosse dalla volontà di realizzare un parco fluviale. Il percorso di elaborazione progettuale si è svolto tramite un ampio processo partecipato svoltosi in 6 mesi, all'interno del quale si è lavorato sulla codifica dei diversi scenari espressi dai partecipanti, per giungere alla definizione di quello condiviso in ragione del quale individuare obiettivi, strategie ed azioni coerenti. Tre le ipotesi prevalenti attorno cui si addensavano istanze progettuali diverse per obiettivi, finalità e risultati attesi: 1. Parco fluviale come tutela del solo ambito del fiume; 2. Parco fluviale come strumento di valorizzazione dell'intero territorio; 3. Parco fluviale come porzione di un sistema territoriale a larga scala. Nel confronto collettivo è maturato un orientamento preferenziale verso lo scenario di Parco fluviale come strumento di valorizzazione dell'intero territorio, teso alla ricerca di un equilibrio tra i valori e le potenzialità ambientali, sociali ed economiche. Tale scenario proponeva un parco fluviale non chiuso entro confini definiti bensì fortemente integrato con altri elementi territoriali - ambientali, agricoli e paesaggistici in primis – tramite la definizione di specifiche misu-
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re gestionali e interventi progettuali puntuali o diffusi. In questa prospettiva si è individuato nel territorio agricolo e seminaturale la matrice ecologica di connessione tra aree protette esistenti, ambito fluviale e reticolo idrografico minore, in piena coerenza con l'approccio di Rete Natura 2000. Tramite un'attenta analisi delle unità di paesaggio e degli ambiti agricoli di pregio individuati dal PUP e degli ambiti fluviali idraulici, ecologici e paesaggistici cartografati nel PGUAP si è profilata la proposta tecnica del sistema territoriale di riferimento per il parco fluviale della Sarca. Complice forse la concomitante fase di istituzione delle Comunità di Valle e il dibattito relativo alle sue competenze in materia di pianificazione, tale proposta, su indicazione delle amministrazioni locali, ha poi trovato una sua applicazione “ridotta” nella fase di attuazione della Rete di Riserve basso Sarca, conclusasi con la sottoscrizione dell'Accordo di Programma nel settembre del 2012 tra la Comunità Alto Garda e Ledro, la Comunità Valle dei Laghi, 9 comuni, il BIM Sarca Mincio Garda e la PAT. Medesimo approccio metodologico ha accompagnato la successiva istituzione della Rete di Riserve dell'alto e medio Sarca con la sottoscrizione da parte di 27 comuni, la Comunità delle Giudicarie, il BIM e la PAT, avvenuta a solo un anno di distanza. Le due Reti di Riserve stanno affrontando la fase di redazione del Piano di gestione Unitario, la cui stesura è stata affidata al Parco Naturale Adamello Brenta. L'obiettivo comune è di fondersi e assumere la denominazione di Parco Fluviale della Sarca ai sensi della L.P.11/2007, per conservare e valorizzare l'imponente corridoio ecologico che coinvolge 75 Km di fiume, 5 laghi e 18 aree protette tra riserve naturali e siti Natura2000, passando dai paesaggi alpini della Val Rendena sino a quelli mediterranei del Garda. Tra gli obiettivi del piano c'è anche quello di definire l'ambito territoriale complessivo “di competenza” del Parco Fluviale. A tal fine fungono da importante supporto gli studi territoriali prodotti nell'ambito del processo di redazione dei PTC delle tre Comunità di Valle aderenti, e le approfondite analisi su corridoi ecologici floristici e faunistici elaborate tramite l'Inventario delle azioni di tutela attiva e di ricostruzione della connettività nell'Ambito Territoriale Omogeneo del fiume Sarca da cui scaturiscono utili localizzazioni ai fini di una più efficace conservazione della biodiversità. Nella prossima primavera saranno avviati gli incontri di presentazione e discussione della bozza di Piano elaborata da PNAB, che
mette a sistema sia gli studi specialistici sia i contributi raccolti negli 8 incontri dei forum partecipativi territoriali organizzati nel corso del 2015. L'azione delle Reti di Riserve tra conservazione e sviluppo locale sostenibile In coerenza con il duplice obiettivo, di valorizzazione e riqualificazione degli ambienti naturali e seminaturali e di sviluppo delle attività umane ed economiche compatibili con la conservazione, il campo di azione assegnato alle Reti risulta essere molto ampio e vario: a) piani studi e monitoraggi, b) comunicazione, educazione e formazione, c) sviluppo locale sostenibile (azioni immateriali), d) azioni concrete per la fruizione e valorizzazione, e) azioni concrete di conservazione e tutela attiva. L'analisi effettuata in occasione dell'ultima Conferenza provinciale delle Aree Protette del novembre 2015⁵ mostra un sostanziale equilibrio di interventi e risorse suddivise tra le 5 categorie, con un ammontare complessivo di risorse pari a circa 7 milioni di euro per il periodo 2012 – 2016. Il programma complessivo prevede la realizzazione di 211 linee di azione diverse, di cui il 76% risulta avviato se non addirittura completato. In materia di conservazione l'attività delle Reti di questi primi anni si è concentrata prevalentemente all'interno delle Riserve Naturali e siti Natura 2000, portando avanti il lavoro avviato dall'ex Ufficio Biotopi della Pat. In tema di valorizzazione e sviluppo locale sostenibile tutte le Reti hanno promosso attività e interventi volti a migliorare la diffusione e condivisione dei saperi sui temi ambientali e della biodiversità. Alcuni numeri possono offrire un'idea del lavoro prati-
cato negli ultimi tre anni: 262 iniziative di sensibilizzazione sul campo, 85 insegnanti aderenti alla formazione su biodiversità e paesaggio, 4372 studenti coinvolti nei progetti didattici, 190 operatori turistici coinvolti in varie attività, 61 imprese agricole partecipanti a corsi di formazione specifici per la tutela attiva. Strutture informative leggere, allestimenti di percorsi fruitivi, piccole aree ricreative depliant, guide, siti web e molto altro completano la rosa di attività comuni al sistema delle Reti. Inoltre in ogni contesto si sono tenuti percorsi di condivisione e confronto sulle misure di conservazione e tutela attiva proposte dagli Inventari del LIFE+Ten con la collaborazione del Servizio Aree protette e sviluppo sostenibile. Sono stati attivati workshop progettuali per una prima declinazione locale della strategia provinciale TurNAT a favore del turismo sostenibile nelle aree protette con la collaborazione di Trentino School of Management, i cui risultati saranno approfonditi nel corso del 2016 con l'avvio del percorso di elaborazione e adozione della Carta Europea del Turismo Sostenibile con il coinvolgimento strutturato degli operatori locali.⁶ Parco fluviale della Sarca: secondo focus Nel periodo 2012-16 il parco fluviale della Sarca usufruisce di circa 3 milioni di euro cofinanziati per il 34% dagli enti locali (BIM Sarca Mincio Garda e le tre Comunità di Valle) che sostengono il progetto. Le azioni da realizzare entro il 2015 risultano concluse al 95%, mentre nell'anno in corso sono da avviare nuovi interventi per un ammontare di circa 700.000 euro. L'approfondimento analitico delle due Reti Sarca mostra nel tempo un significativo aumento delle
azioni e delle risorse dedicate agli interventi di tutela attiva. Se la prospettiva di usufruire degli imminenti bandi PSR 2013-2020 facilita tale incremento, anche altre riteniamo siano le ragioni a supporto: una più ampia disponibilità di studi in materia di conservazione con dettagliate misure gestionali locali; un'accresciuta consapevolezza degli attori locali rispetto alle responsabilità e potenzialità delle azioni di tutela della biodiversità, frutto anche dell'impegno profuso nelle attività di informazione e coinvolgimento degli organi di gestione delle Reti e delle comunità locali; l'affermarsi di un cambiamento nelle prassi operative interne al Servizio Aree Protette e Sviluppo Sostenibile che pur mantenendo il ruolo di guida e supporto scientifico in coerenza con la qualificata gestione praticata negli anni passati, consolida le funzioni gestionali dirette delle Reti. Nel corso dell'anno proseguiranno gli interventi di conservazione all'interno dei principali siti di Natura 2000, in particolare per quanto concerne la gestione dei prati aridi nella Riserva del Monte Brione e nella Riserva del Lago di Toblino e la gestione del fragmiteto nella Riserva di Fiavè a cui si aggiungono nuovi interventi di mantenimento dei prati abbandonati nelle Riserve di Flanginech, Tione Villa e Le Sole. Sono inoltre previste alcune azioni di ricostruzione di habitat igrofili e aree umide lungo i corsi d'acqua e l'importante avvio di tre progetti collettivi d'area in ambiti territoriali differenti.⁷ Rispetto all'ambito fluviale le Reti Sarca condividono l'obiettivo generale di incrementare la capacità del fiume di agire come corridoio ecologico, contribuendo attivamente all'implementazione degli indirizzi di riqualificazione fluviale contenuti nel PGUAP, nel PUP e
I diversi canali di finanziamento del PFSarca 2012-16
Classificazione delle tipologie di azioni nel PFSarca 2012-16
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nella L.P. 11/2007, in coerenza con le direttive europee Acque, Alluvioni e Nitrati. In particolare promuovono la mitigazione degli impatti idromorfologici a carico di corsi d'acqua e laghi derivanti dal sistema di produzione di energia idroelettrica e dagli altri usi della risorsa idrica e perseguono il miglioramento della qualità chimicofisica dell'acqua. Trasformare questi ambiziosi indirizzi in azioni e interventi concreti ad elevato grado di fattibilità, richiede tuttora una costante mediazione politica e tecnico - scientifica per avvicinare interessi divergenti e approcci metodologici diversi attraverso il coinvolgimento di una pluralità di soggetti pubblici e privati, nella ricerca di soluzioni condivise. In questa direzione le Reti Sarca hanno stipulato una convenzione con il DICAM dell'Università di Trento per uno studio innovativo coordinato dal prof. Guido Zolezzi, inerente tematiche di gestione fluviale sulle quali non esistono tuttora approcci di indagine che possano ritenersi consolidati a livello nazionale ed internazionale.⁸ Sul finire dello scorso anno i risultati sono stati presentati al Servizio Bacini Montani della Provincia Autonoma di Trento, dove hanno riscontrato apprezzamento e interesse. A breve saranno discussi all'interno degli organi di gestione delle Reti cui seguirà la successiva presentazione a tavoli provinciali. Contestualmente sono stati realizzati due interventi di rinaturalizzazione fluviale con la collaborazione del Servizio Bacini Montani e l'Agenzia Provinciale per la Protezione dell'Ambiente in località Maso del Gobbo (Sarche) e Moletta (Arco), specificatamente mirati a migliorare la morfologia dell'alveo, a potenziare la funzione ecologica della vegetazione ripariale
e a ripristinare habitat favorevoli per la fauna ittica. Un diffuso apprezzamento sociale di questi interventi e l'aumentata fruizione delle aree interessate, mostra come un intervento ambientale possa contribuire anche a favorire l'accessibilità e la riappropriazione del fiume da parte delle comunità. Lungo Sarca sono stati inoltre realizzati circa 8 km di interventi sperimentali in applicazione delle Linee Guida per la gestione sostenibile della vegetazione fluviale, elaborati nell'ambito del Life+TEN, che introducono modalità di taglio selettivo della vegetazione calibrate in funzione delle differenti caratteristiche e tipologia di alveo, integrando le esigenze di sicurezza a quelle di ecologia. Ricordiamo che gli interventi sono stati affidati prevalentemente ad aziende agricole del territorio certificate, nell'intento di promuovere piccole ma positive ricadute sull'economia locale. Al fine di giungere a un Parco Fluviale che operi in modo coordinato e sinergico tra le due Reti si è lavorato all'individuazione di strategie comuni da attuarsi in modo mirato e nel rispetto delle esigenze specifiche dei diversi contesti territoriali. In materia di Sviluppo Locale Sostenibile quattro sono le strategie prioritarie individuate attorno alle quali si intendono sostenere interventi concreti di valorizzazione: 1. Il Camminare - per valorizzare gli itinerari pedonali di fondovalle e di lunga percorrenza volti ad una fruizione autonoma e accompagnata, facilitando lo sviluppo di un sistema integrato di servizi di accoglienza, mobilità e ricettività. 2.La biodiversità dalla terra alla tavola – per ampliare di concerto con tutti gli attori che sul territorio si occupano di sostenibilità in agricoltura e turismo, le proposte e le occasioni di intera-
zione tra realtà produttive locali, a partire dalla valorizzazione delle reti di Woof, Slow Food, Gruppi di Acquisto Solidale e altre esperienze locali. 3. il Cicloturismo – per favorire la mobilità sostenibile realizzando un itinerario unitario di cicloturismo lento per pedalare nel territorio del Parco Fluviale Sarca, da proporre in maniera integrata a servizi di accoglienza e ricettività. 4. le dolci acque- per tutelare l'ambiente fluviale e valorizzare l'offerta fruitiva esistente aumentandone il valore ambientale, in un'ottica di rispetto del fiume e di convivenza tra le diverse attività sportive e del tempo libero legate all'acqua. Alla luce delle molteplici progettualità ed esperienze già in atto sul territorio, avviate da diversi enti e realtà territoriali, uno dei ruoli fondamentali assegnati al nascente Parco Fluviale è quello di fungere da coordinamento e messa in rete dei territori, per selezionare e delineare progettualità di sistema coerenti con le quattro strategie, sostenendone la loro implementazione quando già in corso o avviandole ex novo anche al fine di evitare duplicazioni o polverizzazione delle risorse in micro interventi di scarso impatto. Sul fronte della Comunicazione-InformazioneEducazione sono state coinvolte in progetti specifici circa 60 classi, da Carisolo a Riva del Garda. Sulla scorta della positiva collaborazione avviata con il Parco Naturale Adamello Brenta nell'attivazione di progetti esperienziali sul fiume, si sta ora ragionando della possibilità di estenderli per giungere ad un'offerta educativa maggiormente strutturata e innovativa. Tra le tante altre esperienze condotte si è distinta quella del ManiFlù - “Manifesto Fluviale di iniziative coordinate del Parco Fluviale della Sarca” - che promu-
Variazione tipologia di azioni nel tempo Rete di Riserve Alto Sarca
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ove il coinvolgimento diretto delle realtà locali nella realizzazione di iniziative volte a diffondere la conoscenza e fruizione del Parco Fluviale. Con la partecipazione ai workshop territoriali di co-progettazione si attivano le energie e le idee diffuse, favorendo la creatività e la costituzione di nuove reti di relazioni. Al bando 2016 sono state presentate 40 iniziative di altissima qualità che verranno valutate a breve dalla Commissione ai fini della graduatoria e assegnazione del contributo forfettario alle associazioni proponenti per avviarne la realizzazione nel periodo maggio-dicembre 2016. Consolidare l'esperienza Per approfondire il ruolo potenziale delle Reti a sostegno dello sviluppo locale sostenibile, pare rilevante ricordare che alla scala nazionale ed internazionale i tentativi di invertire i fenomeni di de-territorializzazione, perdita di biodiversità, consumo di suolo e di paesaggio trovano una loro manifestazione nella oramai diffusa sperimentazione di progettualità sociali che esprimono nuove domande all'arena scientifica e a quella politico-istituzionale. Esse affermano un'idea di partecipazione fondata sull'interazione sociale quale strumento di produzione di apprendimento reciproco collettivo orientato a modificare stili di vita e gestione del territorio che riconosce alle comunità locali la capacità (e il diritto) di scegliere criteri ed azioni per uno sviluppo sostenibile strettamente riferito alle risorse naturali. Ci pare possibile affermare che i risultati complessivi del sistema provinciale delle Reti di Riserve e le esperienze locali diano dimostrazione concreta della volontà
delle aree protette trentine di sperimentare nuove forme di governance collaborative, tramite le quali ricercare equilibri fra le diverse istanze. Tale modello prova a dare una risposta nuova alla domanda di efficace gestione delle aree protette e di tutela attiva della biodiversità, spostando il focus principale dal concetto di vincolo alla dimensione corale del piano e delle progettualità e alle sue modalità di attuazione fortemente connesse ai soggetti del territorio, siano essi pubblici o privati. La sperimentazione in corso, ispirata anche a migliorare l'institutional capacity, richiede alle istituzioni, ai professionisti e agli attori locali di mettere in atto cambiamenti culturali importanti fondati sulla “logica dell'appropriatezza” e sul “principio della leale collaborazione” affinchè alcune modalità possano divenire prassi maggiormente consolidate e diffuse. Si tratta di proseguire concretamente per imparare a: 1) individuare obiettivi e progetti comuni; 2) rispettare i reciproci impegni e le funzioni condivise; 3) ricercare l'azione pertinente in base alle diverse situazioni, con una interpretazione attenta di fatti, valori e ruoli; 4) ridefinire ogni volta attori e interessi implicati, ampliando il ventaglio dei soggetti coinvolti grazie ad adeguate pratiche inclusive; 5) assumere la dimensione adattiva che incorpora l'esperienza e l'apprendimento per tentativi ed errori. Le contraddizioni, le difficoltà e i conflitti che ancora attraversano alcune prassi gestionali delle Reti ci ricordano dell'importanza di continuare a lavorare per il consolidamento di questo cambiamento culturale, se ne condividiamo gli obiettivi di fondo.
Incidenza dei costi di gestione PFSARCA con uno staff unitario composto da 1 coordinatore tempo pieno, 1 tecnico ambientale 3gg/settimana, 1 amministrativo part time
Note 1. Nel solco di questo cambio di paradigma già nel 1998 il Secondo Report sullo stato dell'ambiente in Europa evidenziava che “la conservazione della biodiversità non è realizzabile separatamente dalle decisioni concernenti altri settori economici. Anche le specie e le aree meglio gestite e protette non sono isolate dall'ambiente che le circonda. Per la sua importanza cruciale, la politica di protezione delle aree naturali dev'essere integrata da misure di più ampia portata (…).La scarsa integrazione delle problematiche relative alla biodiversità in altre politiche attualmente è uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione degli obiettivi di conservazione”. 2. Fonte dei dati Servizio Sviluppo Sostenibile e Aree Protette Provincia Autonoma di Trento. 3. Al mero fine di aprire una riflessione ci pare lecito assumere a riferimento l'art.50 della L.P 11/2007 segnalando che nella sua prima versione la legge indicava che “i piani dei parchi e delle riserve naturali provinciali specificano e integrano gli indirizzi contenuti nei piani forestali e montani, nel piano faunistico provinciale e nella carta ittica” mentre nella versione vigente il testo recita che “I piani dei parchi e delle riserve naturali provinciali devono essere coerenti con gli indirizzi (…)”. 4. (2006) Bruxelles COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 e oltre - Sostenere i servizi ecosistemici per il benessere umano http://eur-lex.europa.eu/legalcontent/EN/ALL/?uri=CELEX:52006DC0216 5. I dati raccolti sono riferiti a sei Reti di Riserve – basso Sarca, alto e medio Sarca, monte Baldo, Alpi ledrensi, Fiemme destra Avisio, Cembra . Sono state escluse dall'analisi le Reti Val di Sole e Fassa perché di recentissima istituzione e la ReteTrento Monte Bondone in quanto gli organi di gestione sono stati istituiti solo nell'autunno 2015. 6. Le Reti di Riserve hanno siglato nel 2015 un Protocollo di intesa mirato alla certificazione CETS dell'intero sistema provinciale delle Reti di Riserve che prevede percorsi partecipativi specifici per ogni contesto territoriale. 7. I progetti collettivi d'area sono una novità del PSR 2013-20 e il parco fluviale intende avviare: il primo nelle zone attraversate dai torrenti Dal e Carera con un particolare coinvolgimento degli agricoltori; il secondo nelle Giudicarie Esteriori con l'obiettivo di consolidare la pratica gestionale dei prati da pascolo con le pecore; il terzo in parte del territorio della Valle dei Laghi e dell'Alto Garda per la gestione dei prati aridi e il recupero di terreni semi abbandonati. 8. Attraverso l'applicazione sperimentale della metodologia MesoHABSIM si sono analizzati quantitativamente lo stato ambientale e i relativi processi eco-idro-morfo-dinamici dei principali corpi idrici superficiali, per giungere alla definizione di nuovi criteri di gestione delle portate solide e liquide integrando indicatori di qualità idromorfologica, ecologica, rilievi dell'habitat fluviale, analisi statistiche e modellazione matematica. http://www.parcofluvialesarca.tn.it/basso.sarca/pdf/me todologia.studio.qualita.ecosistemica.corpi.idrici.pdf
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TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
Ecologia fluviale e urbanistica con possibilità di dialogo di Maurizio Siligardi*
*Maurizio Siligardi, docente a contratto di Ecologia Fluviale presso l'Università di Trento
Premessa Spesso le scelte di governo del territorio sono state dettate da visioni antropocentriche, senza considerare altre esigenze e, soprattutto, ruoli che la struttura ambientale e le caratteristiche ecologiche possono giocare nell'ambito di un equilibrato processo pianificatorio. Il sistema fluviale esplica un ruolo essenziale nelle relazioni ecologiche di un territorio. Per troppo tempo i corsi d'acqua sono stati considerati come una massa liquida che scorre secondo la linea di massima pendenza e, per tale motivo, in grado di pulire il territorio portando verso valle le scorie del bacino idrografico. Da circa tre decenni, grazie anche al diffondersi di una coscienza più sensibile agli aspetti ambientali, ma soprattutto al crescere degli interessi della comunità scientifica verso gli aspetti ecologici degli ambienti acquatici, ci si ritrova con un vasto complesso di conoscenze che vanno sotto in nome di Ecologia Fluviale. Un corso d'acqua è a tutti gli effetti un ecosistema dove le frazioni abiotiche e biotiche si relazionano in modo stretto e dove la parte biotica è variamente composta. In un ecosistema fluviale esistono diversi comparti che svolgono un ruolo di trasformazione dell'energia, sia essa sotto forma di materia o energia solare, in composti biologici, lavoro e
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calore. Comprendere il funzionamento degli ecosistemi è quindi uno degli scopi fondamentali della nostra scienza. La forma di queste interazioni è diversissima. Possiamo indicare alcune classificazioni approssimative: - Condizionamento fisico di un altro organismo; esempio, la vegetazione riparia può produrre ombra sul corso d'acqua riducendo la disponibilità di luce per l'attività di fotosintesi di alghe sommerse o emergenti; - Modificazioni dell'ambiente fisico-chimico; esempio, il fitoplancton (alghe unicellulari) di un lago con l'attività di fotosintesi aumenta la concentrazione di ossigeno dell'acqua rendendo da un lato più facile l'attività di respirazione degli organismi presenti e dall'altro creare problemi di iperossigenazione; viceversa l'abbondante presenza di batteri aerobi può creare anossia e sviluppo di anaerobiosi - Scambio di elementi o composti chimici o energia tra gli organismi; le foglie che cadono in un corso d'acqua forniscono energia a numerose specie di organismi che vivono sul fondo dell'alveo (macroinvertebrati)(fig 1) i quali, a loro volta, sono cibo per grandi e piccoli predatori. - Condizionamento di un gruppo biotico; è il caso di dominanze da parte di un gruppo biotico rispetto ad altri per input di elementi selezio-
nanti - Condizionamento morfologico: la morfologia di un corso d'acqua, se modificata, costituisce un elemento di condizionamento della struttura delle matrici biologiche che spesso si traduce in monotonia biologica. Queste sono solo alcuni esempi ma la lista è molto lunga e le relazioni esistenti non sono biunivoche ma coinvolgono tutto il sistema con una rete di dipendenze, cause/effetto, scambi di materia ed energia, dominanze e altro che configurano il fiume come un ecosistema aperto dove non è possibile isolare un problema e studiarlo in modo avulso dalle condizioni al contorno; questa condizione di complessità ecosistemica rende assai difficile creare dei modelli numerici e previsionali attendibili, se non per condizioni a piccola scala e tempi ridotti. Tuttavia la complessità che sta alla base è anche garanzia di funzionalità in quanto le diverse soluzioni che la rete di relazioni mette a disposizione crea le condizioni per il mantenimento della omeostasi del sistema, ovvero la capacità di assorbire gli impatti incorporandoli nel proprio metabolismo e riducendone gli effetti (Morgan & Brown,2001). L'importanza della complessità I fiumi pertanto sono sistemi complessi dove le relazioni tra le diverse matrici si svolgono attraverso processi interni dove certe soluzioni sono favorite rispetto ad altre per motivi energetici e come dice E.O. Wilson, conosciuto come il padre della biodiversità: "La più grande sfida oggi, non solo in biologia cellulare e in ecologia, ma in tutta la scienza, è l'accurata e completa descrizione dei sistemi complessi”. I sistemi complessi possiedono delle caratteristiche che spesso confliggono con le nostre capacità di controllo dei fenomeni contemporanei, non sequenziali, paralleli e multi-relazionali. Infatti un sistema complesso, come un ecosistema fluviale, presenta: 1. funzioni non lineari 2. risposte alla dinamica dell'ambiente 3. casualità retroinfluenzante 4. risposte probabilistiche 5. interazioni tra struttura e relazioni 6. singolarità di un determinante di lettura 7. il tempo è un elemento adattivo ed evolutivo
Fino pochi anni orsono imperava l'approccio deterministico riduzionista che mirava alla spiegazione del sistema attraverso la scomposizione dello stesso in parti elementari studiandone il comportamento singolo. Tale approccio è stato messo in discussione sin dall'inizio del '900 (Poincaré, Plank, Einstein ecc.) con un modo nuovo di vedere la realtà, non più per elementi separati, ma nella sua struttura complessa non riducibile. Negli ecosistemi, intesi come sistemi complessi non lineari, il carattere instabile è considerato come “norma”, mentre la stabilità e il concetto di equilibrio riguardano gli aspetti spazialmente e/o temporalmente parziali e locali. Perciò siamo di fronte all'interpretazione dell'ambiente con una percezione olistica dettata da relazioni ed interazioni sul piano orizzontale e non ad uno schema gerarchico con parametri funzionanti con logiche concatenate in sequenza (meccanicismo). L'ambiente fluviale non è dunque un caos stocastico perfetto, ma piuttosto si può definire un po' ambiguamente come caos deterministico, dove nulla è prevedibile con certezza ma solo in forma probabilistica. Di fronte a tali premesse è doveroso indicare i processi ecologicamente funzionali di un ecosistema fluviale. Un corso d'acqua presenta una serie di relazioni che riguardano la trasformazione della sostanza organica tra i comparti che interagiscono tra loro per raggiungere un equilibrio omeostatico in grado di garantire la massima resilienza, la massima resa funzionale e la massima capacità portante (Merritt & Cummins, 2006). L'ecosistema fluviale Un ecosistema fluviale si compone di tre modelli funzionali: - la morfologia; - la componente biotica in alveo; - la fascia di vegetazione riparia.
input dall'esterno, è operata dalle comunità di macroinvertebrati che albergano il fondo di un fiume e in questo modo si attiva il processo di ciclizzazione della sostanza organica (Webster & Valett, 2006) (fig.2). La banalizzazione del fondo produce di conseguenza una riduzione della diversità benthonica con contrazione e avvilimento dell'attività di ciclizzazione. La sostanza organica, sia essa grossolana o fine, per poter essere utilizzata necessità di essere intrappolata nei sistemi morfologici dei orsi d'acqua e per tale motivo maggiore sarà la morfo-diversità di fondo (massi, ciottoli, ghiaia ecc.) maggiore sarà la capacità di sequestro della sostanza organica e il sistema diventa conservatore e stabile (Jones, 1997). Viceversa la banalizzazione del fondo produce l'assenza di trattenimento della sostanza organica con semplificazione della comunità di macroinvertebrati e quindi scarsa ciclizzazione; il sistema in questo caso assume il carattere di esportatore di nutrienti e sarà poco stabile. La fascia riparia, dal punto di vista ecologico, è considerata parte integrante dell'ecosistema fiume per diverse attività che essa svolge come componente essenziale della funzionalità fluviale. Alcune sue funzioni sono state accennate precedentemente ma si ritiene importante per i nostri fini spendere qualche riga in più per meglio inquadrare la importante funzione ecologica. Di seguito sono elencate le principali funzioni svolte dalle fasce riparie: a) Ombreggiatura b) Diversità di habitat Controllo dell'erosione
La morfologia del fiume è intesa come quel complesso di caratteristiche fisico-dinamiche che modellano il corso d'acqua e dipende dall'energia cinetica dell'acqua e dal trasporto solido di fondo. Ogni fiume si stabilizza con modelli idromorfologici diversi lungo il proprio percorso in funzione della pendenza, granulometria e portata. I suddetti modelli morfologici sostengono un adattamento della vita acquatica alle condizioni reali. L'attività di demolizione della sostanza organica, Corso d'acqua ecologicamente funzionale come foglie, particelle organiche fini e disciolte di torrente Larganza (Valsugana 2012) - foto Dallafior Valentina
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c) Trappola di sedimenti d) Azione buffer e) Input energetico f) Corridoio fluviale g) Funzioni paesaggistiche e socio-economiche
efficienza: la letteratura scientifica ha dimostrato che il grado di abbattimento dell'azoto può raggiungere anche il 95% di efficienza in caso di fascia riparia ben strutturata con erbe, arbusti e alberi ripari di non meno di 30 metri di larghezza. I progetti europei ERMAS e NICOLAS hanno La funzione che più di altre viene considerata dimostrato la capacità di abbattimento da parte come processo ecologicamente efficiente è della vegetazione di una fascia così conformata quella dell'azione tampone o buffer di nutrienti può essere quantificata in 380-390 kg/ha/anno di (Burt et al, 1999). azoto, sebbene altri lavori olandesi, tedeschi e Il territorio circostante ad un corso d'acqua pone danesi indicano da 250 kg/ha/anno fino a oltre forti pressioni esercitate dalla attività dell'uomo. 700 kg/ha/anno (Olde Vetterink et al, 2003; Olde Se da un lato è facile individuare le sorgenti di Vetterink et al, 2006; Hefting et al, 2006;. Hoffinquinamento puntuale e porre rimedio, assai mann et al, 2007; Dhondt et al, 2006; Radach & più difficile è il controllo dell'inquinamento dif- Pätsch, 2007). Tutto dipende dalla tipologia di fuso, ovvero quello prodotto dagli eccessi di uti- fiume (lotico o lentico) e dalle caratteristiche lizzo di fertilizzanti (nutrienti come azoto e della vegetazione, tuttavia per le nostre tipologie fosforo) provenienti dalle attività agricole adia- di acque si ritiene giustificato considerare la capacenti al corso d'acqua. Sia l'azoto nella sua cità di abbattimento dell'azoto pari a 400 forma più comunemente usata, cioè ammonia- kg/ha/anno. cale, che il fosforo come fosfato, possono rag- Altra condizione, tra quelle elencate, ecologicagiungere il corso d'acqua trasportati dalla falda mente importante a scala di bacino è quella eserdi collegamento nel sottosuolo, fenomeno citata dalla vegetazione riparia come corridoio conosciuto come trasporto iporreico. In questa fluviale (Forman, 1995). In pratica, in un territorio fase le molecole di azoto ammoniacale subisco- modellato dall'uomo, la presenza di aree relitte no delle trasformazioni da azoto ammoniacale naturali possono essere messe in comunicazione a nitriti e successivamente a nitrati processo che attraverso i corridoi che fungono da elementi di si conclude con la denitrificazione in azoto mole- collegamento per il trasferimento di materia ed colare che si diffonde in atmosfera (Pinay et al, energia. Le aree naturali isolate, dal punto di 1990). Tali passaggi sono agevolati e completati vista ecologico, sono elementi dove l'entropia va con la complicità delle radici della vegetazione aumentando, dove la competitività interspecifiriparia che fornisce il carbonio necessario per ca si fa forte, con conseguenze di estinzione di l'intero processo. Inoltre le radici, nella fase vege- elementi biologici. Il collegamento delle aree isotativa, possono assorbire i nitrati per le proprie late favorisce il calo dell'entropia interna con funzioni. Tale attività si definisce come azione ricerca di equilibrio tra le popolazioni e risorse tampone (buffer) e raggiunge un alto grado di alimentari, competitività sopravvivenza e ripro-
Esempio di banalizzazione e rettificazione di un corso d'acqua torrente Larganza (Valsugana 2012) - foto Dallafior Valentina
duzione, garantendo flussi che rispettano i paradigmi del concetto sink-source (Pulliam, 1988) . Si ottiene così una sutura tra diversi tasselli di un eco-mosaico garantendo una struttura a rete ecologica, tutto a vantaggio di una maggiore biodiversità. Fattori ecologici come forzanti e determinanti della gestione del territorio Quanto esposto precedentemente diventa sicuramente elemento importante per il governo del territorio. E' innegabile che non si possa prescindere dalle esigenze ecologiche dei corsi d'acqua per una progettazione urbanistica e di gestione anche a livello di bacino. Il reticolo idrografico di un territorio rappresenta una risorsa ecologica ma anche paesaggistica e si configura come aspetto cruciale nella gestione territoriale; esso costituisce elemento semantico del paesaggio naturale che spesso è stato annullato o manipolato per rispondere alle esigenze umane. I corsi d'acqua sono sempre oggetto di interesse di vari potatori che utilizzano il bene acqua per sfruttamento idroelettrico, come risorsa potabile, per uso agricolo oltre che per ricettacolo di scarichi, per estrazioni di inerti o per rettificazioni di percorso per geometrizzare il territorio con artificializzazioni degli argini e solo in parte come elemento naturalistico, innescando attriti, spesso ruvidi, tra i diversi attori e fruitori. Ne deriva che i fiumi sono elementi di contrasto che portano inevitabilmente al degrado e alla mortificazione della funzionalità fluviale e alle peculiari capacità “autodepurative”. Solo partendo dai paradigmi di funzionalità eco-
Pessima sistemazione di un corso d'acqua con annullamento delle caratteristiche ecologiche torrente Bintinoi a Ballao (Sardegna 2004) - foto Siligardi M.
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logica è possibile individuare un percorso progettuale in grado di garantire una pianificazione che soddisfi le diverse visioni e interessi. L'esigenza di un cambio di mentalità progettuale che si approcci ai problemi del territorio in modo multidimensionale e pluridisciplinare comporta l'adozione di metodi e procedure di progettazione e trasformazione territoriale d'intesa con le esigenze di riqualificazione ambientale. La pianificazione non può esercitare il proprio peso tendendo conto solo dell'organizzazione spaziale delle esigenze socio-economiche senza considerare i fattori ambientali, ma deve confrontarsi con essi per una progettazione con la natura. Non dimentichiamo che i fiumi, nelle loro funzioni ecologiche, esplicano anche un Servizio Ecosistemico che può essere quantificato e monetizzato; la sola funzione tampone della vegetazione riparia può evitare che tonnellate di nutrienti (azoto e fosforo) possano riversarsi nei fiumi i quali, se non in possesso di qualità resilienti e di ciclizzazione, diventano strumenti
di export di nutrienti con accumulo degli stessi nei ricettori principali, laghi o mari, incentivando processi di eutrofizzazione di difficile contenimento. Tale funzione tampone è un servizio che la natura offre all'uomo gratis e per rendere meglio l'idea, basti pensare che una fascia riparia vegetata con arbusti e alberi ripari, di un ettaro e di larghezza di almeno 30 metri (30m x 333m), ha l'efficienza di abbattere i nutrienti diffusi del territorio circostante quanto un depuratore biologico da 10.000 abitanti/equivalenti (Petersen et al., 1987). Appare, in sintesi, necessario che la pianificazione territoriale passi attraverso la conoscenza dell'ecologia fluviale per progettare soluzioni garanti sia degli aspetti ecologici e paesaggistici che delle esigenze di vari portatori di interesse. A questo fine si giunge attraverso il confronto e collaborazione tra le diverse discipline, con una progettazione di governo e gestione del territorio condivisa, con rispetto delle esigenze ed aspettative legate alle funzioni ambientali e socio-economiche di un territorio.
Bibliografia Allan J.D., Castillo M.M. (2007) – Stream ecology. 2nd edn. Springer Publishing Burt T.P., Matchett L.S., Goulding K.W.T, Webster C.P., Haycock N.E. (1999) - Denitrification in riparian buffer zones: the role of floodplain hydrology. Hydrological Processes. Vol. 13,Issue 10,pp 1451–1463 Dhondt K., Boeckx P., Veroest N.E.C., Hofman G., van Cleemput O. ( 2006). Assessment of temporal and spatial variation of nitrate removal in riparian zones. Env. Monit. Assess. 116:17-215. Forman R. T.T. (1995) - Land Mosaics. The ecology of landscapes and regions, Harvard University, Cambridge University Press Hefting M., Beltman B., Karssenberger D., Rebel K., Van Riessen M., Spijker M. (2006). Water quality dinamics and hydroloy in nitrate loaded riparian zone in the Netherlands. Env. Poll., 139:143-156 Jones J.B. jr (1997) – Benthic organic matter storage in stream: influence of detrital import and export, retention mechanisms, and climate. Journal of North American Benthological Society, 16:109-119 Merritt R.W., Cummins K.W. (2006) – Trophic relationships of macroinvertebrates. In Hauer F.R., Lamberti G.A. (eds) Methods in stream ecology. 2nd edn. Elsevier Amsterdam, pp 585-610 Morgan E.S.K., Brown J.H (2001) – Homeostasis and compensation: the role of species and resources in ecosystem stability. Vol. 2, issue 8, pp 2118-2132
Tipica comunità di macroinvertebrati di un corso d'acqua lotico naturale
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Complesso delle relazioni trofiche di demolizione e ciclizzazione della sostanza organica (da Allan & Castillo, 2007)
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Radach G., Pätsch J. (2007). Variability in continental riverine freshwater and nutrient inputs in to North Sea for the years 1977-2000 and its consequences for tha assessmant of eutrofication. Estuar. Coasts. 30:60-81 Webster J.R., Valett (2006) – Solute dynamics. In In Hauer F.R., Lamberti G.A. (eds) Methods in stream ecology. 2nd edn. Elsevier Amsterdam, pp 169-185
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TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
La rigenerazione ambientale attraverso l'agricoltura. La ricerca progettuale tra buone pratiche e prospettive future di Anna Lei*
La ricerca progettuale volta alla rigenerazione di paesaggi usurati e degradati sta sperimentando nuove forme d'integrazione tra pratiche agricole, misure di tutela e rigenerazione degli habitat, e caratteristiche economiche e sociali dei territori interessati che, nel loro insieme, delineano significative possibilità di convergenza con le recenti disposizioni comunitarie in materia di agricoltura. Le note che seguono tendono a chiarire alcuni tratti del possibile dialogo tra strategie comunitarie e sperimentazioni progettuali, che sembrano decisivi per la diffusione di interventi di rivitalizzazione biologica e sociale dei territori europei.
*Anna Lei, DiAP - Dipartimento di Architettura e Progetto. Sapienza Università di Roma
Nuova politica agricola. Elementi utili per la ricerca progettuale Molti interventi di rigenerazione (ricordati anche in altri articoli presenti un questo numero) sono caratterizzati da una ricerca orientata alla biodiversità, e in alcuni casi più specificatamente all'agrobiodiversità, cioè all'insieme delle componenti della diversità biologica che assumono rilevanza per l'agricoltura: specie vegetali coltivate, razze delle specie animali di interesse zootecnico, specie di insetti e microrganismi utili¹. La rilevanza del territorio rurale per la conservazione della biodiversità (domestica e selvatica) è ormai riconosciuta e facilmente dimostrabile: il
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92% del territorio europeo è occupato da aree rurali e circa il 50% delle specie animali minacciate o in declino è in varia misura dipendente dagli ambienti agricoli. Non è un caso che le Direttive comunitarie Habitat (92/43/CEE) e Uccelli (79/409/CEE), abbiano già da tempo individuato numerose aree rurali come Siti di Interesse Comunitario e Zone di Protezione Speciale, e indicato come prioritari alcuni habitat generati e mantenuti dalle attività agricole come, per es., le praterie secondarie². La rigenerazione di cui l'agricoltura può prendersi carico è quindi quella relativa agli ambienti trasformati, generati dall'uomo nel corso della sua attività e spesso degradati a causa del perpetrarsi di pratiche agricole usuranti. Dal secondo dopoguerra fino a tutti gli anni Ottanta, il progresso tecnologico e la spinta all'intensificazione dei processi produttivi hanno trasformato l'agricoltura in attività inquinante al pari dell'industria, disattenta e disinteressata agli effetti che i suoi modelli di produzione potevano avere sull'ambiente. L'attenzione internazionale verso i temi della sostenibilità dello sviluppo, e le distorsioni interne al settore, prodotte dagli stessi regimi di aiuto imposti dalle politiche agricole, hanno evidenziato l'urgenza di promuovere un rinnovato modello di agricoltura multifunzionale³.
In ambito europeo, il processo di riforma della Pac (Politica agricola comune) ha affermato il principio secondo cui le relazioni tra agricoltura e ambiente debbano fondarsi sulla sostenibilità dell'attività produttiva con il contesto ambientale in cui si inserisce, sia salvaguardando pratiche tradizionali sia attraverso la diffusione di pratiche innovative. La progressiva assimilazione del concetto di multifunzionalità nelle strategie e nelle politiche di sviluppo europee ha infine attribuito allo spazio agricolo nuovi valori connessi al concetto di “bene comune” ed eletto la politica di sostegno all'agricoltura a strumento privilegiato per la costruzione di un equilibrio tra ambiente, territorio e beni pubblici⁴. Al fine di orientare la sperimentazione di nuove strategie di “rigenerazione agricola”, prolifiche e coerenti con gli obiettivi condivisi di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva⁵, sembra utile metabolizzare creativamente nella ricerca progettuale alcuni punti-chiave che emergono dalla nuova Pac (2013)⁶: - l'assimilazione delle strategie per la biodiversità, per il consumo di suolo e per l'adattamento ai cambiamenti climatici rafforza, indirettamen-
te, il ruolo dell'agricoltura anche nei contesti urbani⁷. Alcuni Piani di Adattamento Locale, come quelli di Bologna e di Bullas (Regione della Murcia, Spagna), dimostrano come lo spazio agricolo sia ambito privilegiato e irrinunciabile per l'aumento della resilienza delle città. La definizione di infrastruttura verde formulata di recente dall'UE consolida questa tesi⁸; - la politica di sviluppo rurale⁹, anche in relazione all'inverdimento dei pagamenti diretti (primo pilastro), spinge verso interventi innovativi e sempre più finalizzati al raggiungimento di obiettivi ambientali a scala territoriale tra cui una maggiore produzione di beni pubblici (come la conservazione della biodiversità e la tutela del paesaggio) e un uso più efficiente delle risorse naturali (come la gestione sostenibile del suolo e delle risorse idriche)¹⁰. In relazione al tema dell'innovazione, il consolidamento di un approccio ecosistemico al tema della agrobiodiversità sembra essere dimostrato da un rinnovato interesse nei confronti della cooperazione e della messa a punto di strategie a lungo termine, esito di azioni collettive e approcci comuni.
Greenfields, Casal Palocco – Castel Fusano. Foto di Alessandro Cimmino.
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Buone pratiche agricole per la rigenerazione ambientale Rispetto al quadro sopra delineato, alcune recenti chiavi interpretative di natura progettuale potrebbero risultare utili per affrontare i temi della rigenerazione a partire dallo spazio agricolo, alimentando altre numerose possibili declinazioni¹¹. Un primo modo di interpretare l'agricoltura come strumento di rigenerazione può avere come esito la messa a punto di una strategia paesaggistica volta alla riattivazione di economie marginali e di paesaggi usurati attraverso la promozione di pratiche agricole innovative e multifunzionali, anche in contesti urbani. È questo il caso di una recente ricerca svolta nell’ambito del PRIN 2013-2016 Recycle Italy sul rapporto tra territorio e nuove forme di riciclo, sperimentata nel settore sudovest della città metropolitana di Roma¹². L'urbanizzazione che segue la direttrice costiera, appare una sequenza instabile di spazi urbani, naturali e semi-naturali, caratterizzata da una certa continuità ecologico-ambientale oltre che da una forte pressione insediativa. I suoli sono logorati dall'impatto di un'agricoltura intensiva e
La strategia paesaggistica di rigenerazione urbana si è articolata in tre interpretazioni di re-cycle (concept), ognuna delle quali è stata formulata a partire dalla considerazione delle risorse ambientali, economiche, e sociali presenti sul territorio (tendenze in atto, paesaggi e materiali dello scarto agricolo). Lavoro svolto dall'UdR “Sapienza” Università di Roma, nell'ambito del PRIN 2013-2016 Re-cycle Italy. Workshop di progettazione Rome Drosscapes Recycling. Rielaborazione grafica: Anna Lei.
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La formulazione di strategie di riciclo per i Paesaggi dello scarto agricolo ha assunto al suo interno, quantificandoli, sia gli spazi marginalizzati e depauperati dall'agricoltura sia i componenti riconducibili in vario modo ai cicli della produzione agricola. Lavoro svolto dall'UdR “Sapienza” Università di Roma, nell'ambito del PRIN 2013-2016 Re-cycle Italy. Workshop di progettazione Rome Drosscapes Recycling. Rielaborazione grafica: Anna Lei.
dal conseguente inquinamento delle acque. Riconducendo questi elementi a un'unica configurazione complessa, in cui i differenti tipi di spazio sono compresenti secondo diverse intensità e modalità d'uso, è stato messo a punto un percorso di rigenerazione a partire dall'innesco di nuovi cicli di vita per le aree dello scarto agricolo e insediativo, a partire dalle differenti risorse ambientali, economiche, e sociali presenti sul territorio¹³. L'agricoltura urbana e periurbana, che non solo è fisicamente presente nella città ma anche incorporata nel suo ecosistema, è stata assunta come
strumento-chiave della strategia di rigenerazione. La sperimentazione di nuovi rapporti cittàcampagna è orientata alla risoluzione della competizione per l'uso delle risorse, in favore di nuove forme di cooperazione rispetto a comuni obiettivi di sviluppo sostenibile. I nuovi paesaggi del riciclo, che si inseriscono nelle aree dello scarto, promuovono attività produttive sostenibili (filiere agroenergetiche), nuove pratiche di agricivismo (agricoltura multifunzionale e agricoltura sociale), e impianti per la valorizzazione degli scarti agroforestali (filiera agricola attuale e interventi di manutenzione ordinaria degli spazi aperti e delle
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aste fluviali). I “materiali” di progetto da cui prendono forma i nuovi paesaggi sono tre. In primo luogo, le forestazioni produttive energetiche (Short Rotation Forestry – SRF), cioè impianti di selvicoltura monospecifici e intensivi, arborei o arbustivi, destinati alla produzione di biocombustibili solidi, semilavorati e nuovi materiali da costruzione. L'assenza di trattamenti chimici permette la frequentazione controllata delle forestazioni (nuove pratiche sociali, didattiche e ricreative). Gli impianti produttivi sono “compensati” da forestazioni ad alto valore di naturalità, cioè impianti arborei e arbustivi misti di specie autocto-
La centralità Acilia-Madonnetta è stata la prima area di sperimentazione della strategia paesaggistica. Il concept prefigura un paesaggio in divenire secondo fasi interconnesse di attuazione degli interventi (logica incrementale). Lavoro svolto dall'UdR “Sapienza” Università di Roma, nell'ambito del PRIN 2013-2016 Re-cycle Italy. Workshop di progettazione Rome Drosscapes Recycling. Rielaborazione grafica: Anna Lei.
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ne disetanee, destinati a ruoli di potenziamento della biodiversità e rigenerazione ecologicoambientale. Infine, vengono salvaguardate e integrate le fasce orticole, cioè superfici a carattere lineare dove realizzare orti urbani o seminativi, per favorire la connessione fisica e funzionale tra abitanti e spazio agricolo (nuove pratiche di agricivismo, anche come forma di presidio delle aree marginali, degradate e insicure). Un altro modo d'interpretare l'agricoltura come
strumento di rigenerazione può muovere dal ripristino ambientale di parti di territorio che, sebbene poco estese e talvolta non direttamente coltivate, sono strategiche per il ri-equilibrio e il buon funzionamento ecologico di ambiti più estesi. A questo fine le occasioni connesse alla multifunzionalità e sostenute dalla Politica di Sviluppo rurale della Pac diventano un presupposto dell'azione stessa, soprattutto in momenti di estrema scarsità dei finanziamenti pubblici tradizionali. Come è accaduto nella ricerca progettuale coordi-
nata da Lucina Caravaggi per il Comune di Trevi (PG), dove alcuni finanziamenti programmati dal PSR Umbria 2007-2013 hanno consentito di interpretare un intervento di sistemazione verde di un'infrastruttura stradale -vaste aree ritagliate e intercluse dall'ampliamento di una strada di fondovalle- , come tassello di una strategia più ampia e finalizzata alla riconnessione ecologicoambientale di territori agroforestali usurati e sconnessi, alla conservazione e alla riqualificazione del paesaggio rurale¹⁴.
Trevi (PG). Vista dello svincolo della SS3 Flaminia quattro corsie e del paesaggio agrario storicizzato della Valle umbra nel territorio di Trevi. Il potenziamento delle infrastrutture di fondovalle ha compromesso il funzionamento ecologico e gli scambi valle-collina-montagna. Foto di Alessandro Cimmino.
Trevi (PG). Al centro dell'immagine, lo svincolo oggetto del progetto d'inserimento paesaggistico. Foto di Alessandro Cimmino.
Lo svincolo e la biodiversità. L'intervento d'inserimento paesaggistico è stato interpretato come tassello di una strategia più ampia e finalizzata alla riconnessione ecologico-ambientale di territori agroforestali usurati e sconnessi, alla conservazione e alla riqualificazione del paesaggio rurale.
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Il progetto traduce in interventi i punti-chiave della strategia paesaggistica, ricercando al tempo stesso la coerenza con quanto già delineato dalle principali politiche regionali e dagli strumenti di governo del territorio in materia di paesaggio e biodiversità, riferiti in particolare ai paesaggi problematici dei corridoi insediativi e infrastrutturali pedecollinari. Gli obiettivi prestazionali del progetto muovono dai problemi di dilavamento ed erosione del suolo, compromissione del funzionamento ecologico e degli scambi valle-collina-montagna, dispersione del rapporto percettivo consolidato tra fondovalle, pendici collinari coltivate e centri storici. Le permanenze di elementi del paesaggio agrario storicizzato hanno guidato gli interventi di stabilizzazione del suolo, come la realizzazione di microterrazzamenti analoghi a quelli delle tradizionali colline olivate di Trevi, e la riproposizione di filari arborei secondo gli orientamenti consolidati e oggi dispersi. I filari, oltre a riconnettere ecologicamente e paesisticamente territori frammentati, partecipano al consolidamento del terreno, alla formazione di coni visuali privilegiati dalla valle verso il centro storico, e alla possibilità di un uso a parco delle superfici verdi strettamente connesse agli insediamenti lineari contemporanei¹⁵.
Trevi (PG). La nuova porta di accesso alla città. Riconnessione ecologico-ambientale e paesaggistica dei territori agroforestali usurati e sconnessi. Foto di Alessandro Cimmino.
Gli obiettivi prestazionali del progetto d'inserimento sono stati definiti in ordine a valorizzazione paesistica, funzionamento e sicurezza viabilistica, rendimento ecologico
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Trevi (PG). La nuova porta di accesso alla città. I micro-terrazzamenti e i filari di Roverelle (Quercus pubescens) di nuovo impianto rileggono gli orientamenti storici consolidati. Foto di Alessandro Cimmino.
Note 1. Nel 1999 la FAO include nella definizione di agrobiodiversità anche una dimensione socioeconomica e culturale, considerando le conoscenze tradizionali parte integrante dell'agrobiodiversità e affermando quindi un legame indissolubile tra diversità biologica (ambiente e risorse genetiche) e diversità culturale (sistemi e pratiche di gestione adottate da popolazioni). Cfr. FAO (1999), Agricultural Biodiversity, Multifunctional Character of Agriculture and Land Conference. Background Paper 1, Semptember 1999, Maastricht. 2. Secondo i dati forniti nel 2011 dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Rete Natura 2000 ha nel suo complesso una superficie pari al 48,3% della SAU, al 36% della SAT e incide per il 20,6% sulla superficie territoriale nazionale. Cfr. S. Vieri (2012), Agricoltura: settore multifunzionale allo sviluppo, Edagricole, Bologna. 3.“The Ministerial Communiqué (OECD, 1998a) recognises that beyond its primary function of supplying food and fibre, agricultural activity can also shape the landscape, provide environmental benefits such as land conservation, the sustainable management of renewable natural resources and the preservation of biodiversity, and contribute to the socio-economic viability of many rural areas.” Cfr. OECD (2001), Multifunctionality: towards an analytical framework, Parigi: 9. 4. Cfr. F. De Filippis (a cura di) (2014), La PAC 20142020, Edizioni Tellus, Roma. 5. Cfr. CE, COM(2010) 2020 def. EUROPA 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva 6. Il pacchetto legislativo sulla nuova Pac comprende
sei regolamenti. Cfr. Regolamento (Ue) n.1305/2013; Regolamento (Ue) n.1306/2013; Regolamento (Ue) n.1307/2013; Regolamento (Ue) n.1308/2013; Regolamento (Ue) n.1309/2013; Regolamento (Ue) n.1310/2013. 7. Cfr. CE, COM(2013) 216 final. Strategia UE per l'adattamento ai cambiamenti climatici; CE, SWD(2012) 101 final/2, Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l'impermeabilizzazione del suolo; CE, COM/2011/0244 def. La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 202. 8. Molti Piani di Adattamento Locale prevedono la realizzazione di infrastrutture verdi, definite come: “una rete di aree naturali e seminaturali pianificata a livello strategico con altri elementi ambientali, progettata e gestita in maniera da fornire un ampio spettro di servizi ecosistemici. Ne fanno parte gli spazi verdi (o blu, nel caso degli ecosistemi acquatici) e altri elementi fisici in aree sulla terraferma (incluse le aree costiere) e marine. Sulla terraferma, le infrastrutture verdi sono presenti in un contesto rurale e urbano”. Cfr. CE, COM(2013) 249 final. Infrastrutture verdi – Rafforzare il capitale naturale in Europa. 9. Cfr. Reg. (UE) n. 1305/2013 del parlamento Europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013. 10. Per un approfondimento sulle relazioni tra agricoltura e biodiversità nella Pac 2014-2020, cfr. F. Vanni, Verso una PAC più verde?. In «Agriregionieuropa» n. 38/2014: 38-41; A. Trisorio, Agricoltura e biodiversità. In «Agriregionieuropa» n. 41/2015: 23-27. 11. In particolare, nel testo si farà riferimento a due esperienze che hanno coinvolto in prima persona chi scrive. La prima è riconducibile all'interno del contesto
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di ricerca delineato dal PRIN 2013-2016 Recycle Italy. All'interno dell'UdR “Sapienza” Università di Roma (coordinatore e responsabile scientifico: Piero Ostilio Rossi) si sono occupati dei paesaggi dello scarto agricolo Lucina Caravaggi, Andrea Bruschi e Anna Lei. La seconda è una ricerca progettuale condotta nel 2010-2011 da Lucina Caravaggi, Francesco Cerroni e Anna Lei per il Comune di Trevi (PG). 12. Cfr. A. Capanna, D. Nencini, (a cura di) (2016), Progetti di riciclo, Aracne, Roma. Il volume raccoglie le sperimentazioni progettuali sviluppate in occasione del workhop di progettazione Rome Drosscapes Recycling (coordinamento: Orazio Carpenzano),organizzato nell'ambito del PRIN 20132016 Recycle Italy dall'UdR “Sapienza”. 13. Cfr. INU, Position Paper: la rigenerazione della città diffusa del Gruppo di lavoro nazionale sulla città diffusa, XXVIII Congresso Nazionale INU, Salerno 24/26 Ottobre 2013. 14. Cfr. L. Caravaggi, (2012), Lo svincolo e la biodiversità, Alinea, Firenze. 15. Il primo criterio su cui si basa l'erogazione dei finanziamenti della Pac è l'ammissibilità territoriale, che viene aggiornata in relazione alle priorità dettate dal Quadro Strategico Comunitario. Nel territorio del comune rurale di Trevi, le misure che hanno finanziato l'intervento d'inserimento paesaggistico facevano capo all'Asse 2 “Strategia per la salvaguardia ambientale e la tutela del territorio” del PSR Umbria 2007-2013, e in particolare alle misure relative ai seguenti Obiettivi Strategici: O.S. 2.1 Conservazione della biodiversità e tutela e diffusione di sistemi agricoli ad alto valore naturale; O.S. 2.7, mantenimento delle attività agricole e forestali; O.S. 2.8, difesa del suolo.
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TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
Esempi di paesaggi rigenerati di Cristina Imbroglini*
La classificazione proposta da Lucina Caravaggi nel suo saggio sui Paesaggi della rigenerazione è particolarmente utile a tracciare un sintetico (e assolutamente non esaustivo) regesto critico di alcuni progetti che costituiscono un riferimento "obbligato" in tema di rigenerazione. Alcuni per la loro valenza pioneristica, quasi fondativa; altri per il successo ottenuto sia in termini di risultati che di riconoscimento all'interno della comunità scientifica e della collettività; altri ancora per la capacità di costituirsi come prototipi di una nuova declinazione contemporanea del progetto di recupero e rinnovamento.
* Cristina Imbroglini, ricercatore in Architettura del Paesaggio. DiAP – Dipartimento di Architettura e Progetto, Sapienza Università di Roma
Paesaggi rigenerati 1: ritorno alla permeabilità Rientrano in questa famiglia i progetti di rigenerazione che si caratterizzano per una significativa riconversione di aree impermeabilizzate in spazi verdi, che lascino penetrare l'acqua, siano in grado di mantenere l'umidità dell'aria, contribuiscano alla mitigazione microclimatica. Il progetto di rigenerazione della High Line di New York appare in tal senso particolarmente significativo. Su questo tratto sopraelevato della ferrovia alcuni anni dopo la dismissione (avvenuta nel 1980) si era avviato un processo di colonizzazione vegetale spontaneo che ha fatto intravedere ai cittadini la possibilità di convertire il sedime ferroviario in uno spazio verde aperto al pubblico.
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Nel 2004 l'associazione Friends of the High Line ha organizzato un concorso di idee vinto dal gruppo di progettisti costituito da James Corner Field Operations, Diller Scofidio + Renfro, and Piet Oudolf. Il progetto, realizzato in diversi step dal 2006 al 2014, ha assecondato e favorito i processi naturali, prevedendo ampi spazi verdi, una pavimentazione semipermeabile con giunti, varchi e interstizi che lasciano crescere le piante e consentono l'infiltrazione dell'acqua nonché la sua raccolta e riciclo, tanto da garantire che l'80-90% delle piogge che cadono sulla High line restino all'interno del parco sopraelevato, disponibili per l'innaffiamento, l'antincendio, le operazioni di pulizia¹. L'impiego di queste soluzioni tecniche e la selezione di specie vegetazionali, che si erano dimostrate in grado di colonizzare e resistere² in questo ambiente "ostile" (torrido in estate e gelido in inverno), impermeabile e con pochissima disponibilità di terreno (la profondità massima è di 40 cm), ha trasformato l'high line in un’oasi verde urbana, capace di contribuire alla regolazione micro-climatica, al comfort ambientale, all'assorbimento di inquinanti³. Il prototipo da cui deriva il progetto della High Line è quello della Promenade Plantée a Parigi, un parco lineare di 4,5 km realizzato in parte in viadotto e in parte in trincea sul sedime di una
linea ferroviaria dismessa dal 1969⁴. Il progetto di rigenerazione avviato nel 1988 dalla Marie de Paris e affidato ai progettisti Jaques Vergely e Philippe Mathieux precorre la strategia di "vegetalizzazione urbana" attualmente in corso in molte città francesi con l'obiettivo di migliorare il microclima urbano e mitigarne l'inquinamento, recuperando aree impermeabili e realizzando giardini e orti sia su superfici orizzontali che verticali⁵. Molte città americane ed europee stanno attualmente portando avanti progetti di rigenerazione urbana a partire dal recupero di infrastrutture ferroviarie e stradali dismesse, attraverso il coinvolgimento diretto di associazioni di cittadini⁶, motivate dalla volontà di riappropriarsi di spazi a lungo sottratti all'uso, attraverso proposte improntate ad un'elevata sostenibilità sociale, ambientale ed economica (i costi stimati per la riqualificazione delle vecchie infrastrutture come spazi verdi sono circa 10 volte inferiori a quelli necessari per la loro demolizione). Paesaggi rigenerati 2: rinascita biologica di suoli compromessi Rientrano in questa famiglia i progetti che hanno come presupposto l'eliminazione o la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee⁷ di ex-discariche, aree produttive dismesse, ecc., necessarie a garantire idonei livelli di sicurezza per le persone e per l'ambiente. Uno dei primi interventi di rigenerazione di suoli degradati da attività produttive è quello del paesaggista Richard Haag che negli anni Settanta trasformò in un parco l'impianto di gassificazione di Seattle. La bonifica del suolo e delle acque sotterranee venne avviata attraverso tecniche di bio-fitodepurazione. Anche se la presenza di inquinanti organici era stato sostanzialmente ridotta alla metà degli anni Ottanta, i lavori di decontaminazione sono ancora in corso per garantire la sicurezza dei fruitori⁸. Nel caso del progetto, ormai storico⁹, di rigenerazione del bacino del fiume Emsher nella Rhur, l'Amministrazione (Land) ha acquistato le aree industriali dismesse (300 kmq di territorio contaminati da più di 100 anni di attività estrattiva e di produzione d'acciaio) per procedere autonomamente alla loro bonifica e messa in sicurezza scegliendo di non delegare ai proprietari, nonostante questi, per legge, avrebbero dovuto procedere al risanamento prima della vendita.
Solo successivamente è stato avviato il progetto di riconfigurazione e risignificazione del paesaggio dell'Emsher attraverso la creazione di un parco territoriale altamente innovativo, che attualmente ospita centri di ricerca, poli tecnologici e spazi aperti ad elevata efficienza ecologica, disponibili per attività sportive, tempo libero, ecc.¹⁰ Gli interventi di bonifica e messa in sicurezza sono molto onerosi ma spesso sono sufficienti a innescare processi di recupero spontanei, favorire in particolare processi di rinaturalizzazione attraverso lo sviluppo di specie pioniere, l'evoluzione della vegetazione e degli habitat. E' quello che è avvenuto ad esempio nell'ex-discarica dell'isola Nanjido, nella periferia di Seoul dove venne realizzato lo stadio della Coppa del Mondo FIFA del 2002. Gli interventi di bonifica e copertura del suolo (soil recovering)¹¹, iniziati nel 1996, hanno innescato un processo di ri-colonizzazione vegetazionale che nel corso degli anni ha portato a un significativo aumento della biodiversità (da 438 specie animali e vegetali nel 2000 a 1.092 specie nel 2013). Il paesaggio "rigenerato" è tuttavia molto diverso da quello paludoso che caratterizzava l'isola prima della realizzazione della discarica. Le specie che si sono insediate spontaneamente nel nuovo ambiente bonificato sono prevalentemente specie alloctone naturalizzate in Corea, capaci di insediarsi nel nuovo ambiente tendenzialmente arido¹². Paesaggi rigenerati 3: rivitalizzazione di suoli usurati Rientrano in questa famiglia i progetti volti a garantire la sostenibilità dell'agricoltura periurbana in aree coltivate e "assediate" da urbanizzazione e infrastrutture; riportare suoli usurati dall'uso agricolo intensivo a buoni livelli di fertilità e di vitalità biologica; recuperare la stabilità idrogeomorfologica di paesaggi dell'agricoltura tradizionale degradati per l'abbandono delle attività e per la mancanza di manutenzione e di cura. Il Parco agrario del Baix Llobregat, nell'area metropolitana di Barcellona, rappresenta un caso particolarmente significativo, che riunisce diverse delle suddette condizioni. Il territorio rurale del delta e della bassa valle del Llobregat ha subito nel tempo un processo di deterioramento causato dall'intrusione nello spazio agrario di attività ed elementi propri delle aree urbanizzate che hanno interferito sulla funzionalità e sulla redditività agricola e compromesso la qualità ambientale complessiva, determinando la chiusura di molte azien-
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de e l'abbandono dei terreni¹³. Il Piano di gestione del Parco, redatto nel 2002, si è quindi posto l'obiettivo di migliorare il livello di produttività, garantendo il mantenimento del sistema ambientale, sociale ed economico, intervenendo in primo luogo sulla capacità di ripresa del sistema agrario dalle alterazioni ambientali provocate dall'urbanizzazione (qualità delle acque e del suolo, siccità, frammentazione). Sono state quindi adottate misure volte al recupero della fertilità e dell'equilibrio idrogeologico, eliminando fattori ed elementi di degrado ma soprattutto favorendo dinamiche naturali (inondazione temporanea dei campi, coltivazione di specie tradizionali, gestione naturalistica dei corsi d'acqua e canali, ecc.). Esperienze analoghe di recupero di spazi agricoli urbani e periurbani si stanno attivando in molte aree metropolitane¹⁴, anche grazie a forme di mobilitazione collettiva, recuperando aree dismesse dall'agricoltura intensiva per realizzare orti urbani, orti sociali, agricolture di prossimità e
di nuova generazione che offrono occasioni di lavoro, produzioni biologiche e a km 0, ecc. Esempi significativi di rigenerazione di paesaggi agricoli tradizionali sono stati recentemente promossi e attuati dal FAI-Fondo Ambiente Italiano. Il progetto di riqualificazione e valorizzazione di Punta Mesco è volto a salvaguardare 45 ha del paesaggio rurale storico dei terrazzamenti delle Cinque Terre, attualmente abbandonati, e donati al FAI nel 2009. Le azioni sperimentali per la rigenerazione prevedono la riattivazione di tecniche colturali tradizionali, il restauro e la manutenzione delle opere di sistemazione del suolo, e in particolare dei drenaggi e dei muri a secco dei terrazzamenti, dissestati e invasi da vegetazione infestante¹⁵. Anche sulle Alpi Orobie, in località Alpe Predoria e grazie a una donazione di una superficie di 200 ha, il FAI sta portando avanti un progetto di rigenerazione ambientale volto al ripristino e al potenziamento della biodiversità attraverso la riattivazione del pascolo di alta quota secondo tecniche tradizionali.
Note 1. "There is also a dynamic aspect to how the landscape is managed. One of the greatest features of the High Line is the paving, which has been designed to crack open and allow plants to come through. It also has open joints so that when it rains the water falls through the joints and is collected, stored and then allowed to seep slowly into the planting beds. I think we can demonstrate that 80 to 90 percent of all the water that falls on the High Line stays on the High Line." INTERVIEW: Landscape Architect James Corner On NYC's High Line Park. In: INHABITAT, weblog, 20/9/2014, http://inhabitat.com/interviewarchitect-james-corner-on-the-design-of-high-line/. 2. Il progetto del verde ha privilegiato specie erbacee spontanee, operando una selezione in progress di quelle che si dimostravano più resistenti allo stress, meno bisognose di manutenzione, più efficienti dal punto di vista ecologico, secondo un'impostazione che da sempre caratterizza l'attività del paesaggista olandese Piet Oudolf. Cfr. P. Oudolf (2011), Landscapes in landascapes, Monacelli Press, New York. 3. Nel complesso l'area di intervento misura poco meno di 20 km di lunghezza e ha una superficie di circa 2 ha. 4. Cfr. M. Clemens (2000), Three Green Miles: A Planted Promenade Provides a Linear Greenspace for Eastern Paris. In: «Landscape Architecture» vol. 90, n° 2/2000: 58-65. 5. Cfr.: Plan de végétalisation de Paris, 2007; F. David, G. Clement, Plan de végétalisation de la ville de Lyon, étude d'implantation de continuités écologiques et de diversification des espaces verts, 2014-2020. 6. È il caso dei Friends of the Rail Park a Philadelphia per il recupero del Reading Viaduct, e dei Friends of Bloomingdale Trail, a Chicago. Cfr. http://www.therailpark.org/; http://www.bloomingdaletrail.org/.
Una proposta analoga è stata avanzata anche per il recupero del tratto dismesso di tangenziale est a Roma dove si intendono realizzare orti urbani: cfr. progetto "Agricoltura urbana in tangenziale" sostenuto da Campagna amica della Coldiretti e dall'associazione RES. 7. Ad un livello uguale o inferiore ai valori-soglia di rischio, i cosiddetti interventi di bonifica sono previsti in Italia dal Nuovo Testo Unico Ambientale, D.Lgs. n. 152/2006, aggiornato al 10 febbraio 2012. 8. Su richiesta dell'US Environmental Protection Agency e del Washington State Department of Ecology sono state portate avanti con continuità interventi di rimozione e capping. Un intervento radicale di pulizia ambientale è stato fatto anche nel 2000-2001; il sistema di bonifica delle acque sotterranee è stato installato e gestito dal 2001 al 2006; nuovi interventi sono stati avviati nel 2014 e finiranno nel 2017. Cfr. State of Washington, Department of ecology, Gas work Park, https://fortress.wa.gov/ecy/gsp. 9. Il progetto venne avviato nel 1989 dall'IBA in occasione della esposizione internazionale dell'edilizia. 10. Die Internationale Bauausstellung Emscher Park, http://www.iba.nrw.de/iba/main.htm; Cfr. E. Marchigiani (2005), Paesaggi urbani e post - urbani: Lyon e IBA Emscher Park, Meltemi, Roma. 11. "The Seoul government began to rethink their plans for Nanjido, and after thorough planning from 1991 to 1996, a major Landfill Recovery Project took off. Seoul focuses on the land stabilization first, and the goals of this major initiative have been to restore the ecosystems of the once-beautiful island of Nanjido. This project focused on four areas of development: Top soil leveling and Soil-Recovery, Leachate Treatment, Extraction and Recycling of Landfill Gas, and Slope Stabilization." Cfr. https://seoulsolution.kr/content/landfill-recovery-
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project-transformation-landfill-ecological-park. 12. “The first creatures which came to the Nanjido were naturalized plants. Naturalized plants that were moved from foreign countries to our country and increased by themselves for several generations. They played the role of pioneer in abandoned lands or developed areas. The reason why the variety of naturalized plants were grown up in Nanjido was seeds in waste had the characteristics of being grown well in dry soils like the ones in there. [...] Nanjido has turned green since the Landfill Recovery Project began." Cfr. World Cup Park. Retrieved September, 2008. http://worldcuppark.seoul.go.kr/worldcup_eng/parkin fo/1_01_pyounghwa.html. 13. "L'agricoltura del delta e della bassa valle è un'agricoltura periurbana, vale a dire quel tipo di agricoltura condizionata da un ambiente urbano che esercita su di essa impatti negativi che si ripercuotono sulla capacità economica, offrendole però, al tempo stesso, determinate opportunità. Questi stessi impatti periurbani si configurano come cause principali del degrado ambientale del territorio". Cfr. Consorci Parc Agrari del Baix Llobregat (2004), Pla de gestió i desenvolupament, del Parc Agrari del Baix Llobregat, Edicions la Terra, Barcelona. 14. Ad esempio, il Parco Agricolo sud di Milano, 1990. Cfr. http://parcosud.provincia.milano.it/. 15. Il progetto è l'esito di una convenzione stipulata tra il Fai, l'Università di Firenze, Laboratorio per il Paesaggio del Dipartimento di Gestione Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali – GESAAF, e l'Università di Genova, Dipartimento di Scienze per l'Architettura – DSA, e del protocollo di intesa del 2013 tra Regione Liguria, Parco Nazionale delle Cinque Terre, Comuni di Levantoe Monterosso al Mare, FAI, Fondazione Zegna . http://www.fondoambiente.it/AttivitaFAI/Index.aspx?q=punta-mesco-un-fulcro-una-sfidaun-modello.
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TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
I servizi ecosistemici delle Aree Non Urbanizzate nei sistemi metropolitani di Daniele La Rosa*
* Daniele La Rosa, Università di Catania – Dipartimento Ingegnerie Civile e Architettura
La Aree Non Urbanizzate nei sistemi metropolitani Gli ambiti metropolitani contemporanei costituiscono dei sistemi urbanizzati ad alta complessità per funzioni e dinamiche di trasformazioni dei suoli. Comprendono materiali urbani estremamente variegati, tra residenze, infrastrutture, commercio e produzione, così come una serie di aree libere non –ancora- urbanizzate, nelle quali resistono ancora funzioni ecologiche in grado di produrre numerosi Servizi Ecosistemici (SE). Queste Aree Non Urbanizzate (NUAs) (La Rosa e Privitera, 2013) possono assumere caratteri molto differenti per usi dei suoli, forma, dimensioni, funzioni ecologiche, caratteristiche bio-fisiche, valori ecologicoambientali, attributi di valenza paesaggistica. Si tratta di aree che risultano spesso racchiuse tra le urbanizzazioni a bassa densità che caratterizzano tutti i sistemi metropolitani o all'interno delle trame insediative della campagne urbanizzate, con diversi livelli di prossimità ad esistenti infrastrutture ed insediamenti (fig. 1). Esempi di tali aree comprendono i terreni agricoli produttivi, quelli abbandonati, le aree a vegetazione spontanea, i frammenti di bosco e di macchia mediterranea, le aree naturali e semi-naturali dei versanti collinari; ma anche parchi urbani, giardini pubblici, piccole aree attrezzate per il gioco, spazi del verde da standard urbanistico ed il verde di per-
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tinenza di chiese, istituti religiosi, scuole, ospedali, servizi amministrativi; ed ancora i lotti residui, all'interno di lottizzazioni residenziali ma anche artigianali-produttive, rimasti ancora liberi in conseguenza (e in attesa) di previsioni di piano mai realizzate, gli spazi residuali attorno ad attrezzature pubbliche, il verde di arredo stradale, su banchine e rotatorie, le aree ricadenti all'interno di fasce di rispetto di vincoli di inedificabilità e tutti gli spazi scarto, ritaglio di opere infrastrutturali pubbliche (Privitera, 2010). I servizi Ecosistemici delle Aree Non Urbanizzate Le Aree non Urbanizzate contribuiscono al benessere umano fornendo l'intera gamma di SE (fornitura, regolazione, supporto alla vita/biodiversità) (La Rosa e Privitera, 2013), che rappresentano i prodotti finali di funzioni degli ecosistemi sopra citati (Tallis and Polasky, 2009). SE quali il filtraggio dell'aria e delle acque reflue, regolazione climatica, riduzione di inquinamento, drenaggio e regolazione dei deflussi superficiali, supporto alla biodiversità ed ai cicli vitali trovano ampio spazio nella letteratura internazionale (Holt et al., 2015).Vegetazione e suolo rappresentano in tal senso le componenti degli ecosistemi grazie alle cui funzioni tali SE sono prodotti. All'interno dei sistemi metropolitani, gli ecosistemi agricoli svolgono in particolare un ruolo cen-
trale per la loro versatilità nella fornitura di molteplici SE, a causa della loro estensione e della quantità di popolazione che ne trae beneficio. In tal senso i SE più importanti sono la produzione di cibo/fibre e dei servizi di natura culturale/ricreativa (La Rosa, 2015). La produzione di cibo e fibre è da sempre considerata come il più tangibile tra i SE, ma tale produzione è allo stesso tempo funzione di altri servizi come la regolazione delle dinamiche di popolazione di insetti impollinatori, patogeni o di altre specie animali, della regolazione della qualità/quantità delle acque e di sequestro di carbonio (Swinton et al., 2006). Tra i servizi di supporto, il mantenimento della fertilità dei suoli e della materia organica risulta essere il fondamentale servizio in grado di conservare della produttività dei suoli. La rilevanza dei SE culturali è stata evidenziata ed analizzata solo più recentemente rispetto agli altri SE, dal momento che i SE culturali sono il prodotto della percezione umana di un certo ecosistema e per questo rappresentano una categoria più difficilmente riducibile a valutazioni oggettive e riproducibili (Raudsepp-Hearne et al., 2010). Gli ecosistemi agricoli rappresentano infatti i luoghi in grado di offrire esperienze di fruizione del paesaggio per la popolazione residente, traendo vantaggio principalmente dall'alta accessibilità dai centri urbani e offrendo un variegato patrimonio culturale ed ambientale, testimonianza delle modifiche e stratificazioni storicamente intercorse nei sistemi metropolitani. Questo articolato set di ES forniti dalle NUAs all'interno di una rete spesso fortemente frammentata di diversi ecosistemi con eterogenee coperture/usi del suolo si confronta/scontra con la fortissima esposizione di tali aree a processi di consumo di suolo (La Rosa e Privitera, 2013). Pro-
prio questa esposizione è l'elemento chiave che differenzia profondamente le NUAs metropolitane da altri sistemi naturali, semi-naturali e agricoli. La forte commistione delle NUAs con una moltitudine di usi ed attività antropiche determina il forte rischio che le relative funzioni e SE vengano cancellati o drasticamente ridimensionati. Per la pianificazione delle Aree Non Urbanizzate Le Aree non Urbanizzate sono quindi il patrimonio territoriale dei contesti metropolitani, invarianti inderogabili da cui partire per la costruzione di un modello di città metropolitana sostenibile. Tale ruolo strategico si scontra con la mancanza e/o debolezza di strumenti di pianificazione adeguati (per scala, contenuti e ruoli amministrativi) alla definizione di scelte per il loro ri-indirizzo. Due sono gli elementi fondamentali che occorre sottolineare. Il primo elemento riguarda l'assenza, ad oggi, di un quadro normativo per il governo dei territori metropolitani. Le conseguenze di questo mancato governo sono estremamente rilevanti e si riflettono in modo consistente sul coordinamento tra le scelte urbanistiche della città principale e dei comuni dell'area metropolitana. L'assenza di strumenti di governo a questa scala ha fatto sì che le amministrazioni comunali abbiano continuato ad esercitare il loro potere di scelta delle destinazioni d'uso dei suoli in modo indipendente, come isole che invece si trovano immerse in un continuum urbanizzato metropolitano che è difficile da includere in ambiti amministrativi e geografici precisi. La mancanza di forme di protezione o conservazione (se si escludono vincoli di natura comunale o paesaggistica) ha inevitabilmente aumentato l'esposizione delle NUAs a possibili processi di consumo di suolo e di abbandono degli usi agricoli.
A partire dalla L. 142/90 fino alla recente abolizione delle provincie (L. 56/2004), la delimitazione e pianificazione dei territori metropolitani rimane una questione tuttora aperta che fatica ad essere risolta delle varie discipline che hanno tentato di affrontarla. Geografia, economia urbana, le scienze ambientali ed urbanistica propongono delimitazioni dell'area metropolitana, valutando geografie e funzioni urbane ed extra-urbane in modo diverso. Tale indeterminatezza dell'area da pianificare si riverbera nella difficoltà e lentezza della definizione di una disciplina per il governo dei territori metropolitani (De Luca e Moccia, 2015). Nonostante la discussione alla Camera del disegno di legge in materia di contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato, in cui sono individuati alcuni forti indirizzi e principi per il contenimento e, in certi casi, annullamento del consumo di suolo a livello nazionale, la strada per un governo dei territori metropolitani – e delle NUAs in particolare- è ancora nebuloso. Nell'attesa di una risoluzione normativa per il governo dei territori metropolitani potrebbe essere il caso di guardare altrove, ad esempio esplorando forme di dialogo con la proprietà privata delle NUAs e costruendo strumenti nuovi e ibridi. Ad esempio, si potrebbero proporre meccanismi che integrino incentivi ai privati proprietari (provenienti da livello europeo o regionale) o incentivi per limitati aumenti volumetrici con leggere tassazioni degli utenti, per creare e gestire parchi agricoli che comprendano aree agricole, aree agricole abbandonate o semi-naturali a fini di fruizione e di conservazione. All'interno di tali meccanismi gli enti locali (il singolo comune, il consorzio di comuni, l'area metropolitana) dovrebbero agire come i soggetti proponenti e coordinatori dell'iniziativa, con una gestione pubblico-privata.
Esempio di Aree Non Urbanizzate nell'area Metropolitano di Catania
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Il secondo elemento che richiede attenzione riguarda la necessità di acquisire un'adeguata conoscenza delle caratteristiche biofisiche delle NUAs, essenziale per la comprensione delle loro peculiarità e quindi per l'esplorazione delle loro potenzialità e suscettività d'uso, dei loro limiti e quindi delle scelte su futuri assetti di usi del suolo. Esse non sono inoltre mai state oggetto di studio dettagliato, a causa della cronica mancanza di basi informative (in particolar modo geografiche) ad un'adeguata scala per la loro caratterizzazione. In virtù del loro consistente patrimonio vegetale, le NUAs consentono di innalzare il contribuito di evapotraspirazione e permeabilità dei suoli, garantendo il funzionamento degli ecosistemi e quindi della relativa produzione di SE.Tali caratteristiche evapotraspiranti contribuiscono sostanzialmente alla diminuzione delle isole di calore, mitigano gli effetti di ruscellamento delle acque piovane e contribuiscono all'abbattimento di importanti quote di monossido di carbonio in atmosfera. Come esempio, la figura 2 mostra i risultati di ana-
lisi di copertura del suolo, che identifica la vegetazione (alberi, arbusti o vegetazione erbacea) presente all'interno dell'area metropolitana di Catania. La vegetazione è stata estratta con metodi di supervised classification, pixel based (Lu e Weng, 2007) a partire da ortofoto ad alta risoluzione prodotte dalla Regione Siciliana. Il 23% del sistema metropolitano risulta ancora occupato da vegetazione (tab. 1). I risultati evidenziano inoltre come una rilevante porzione di vegetazione sia presente in contesti residenziali o urbanizzati. Quasi il 20% di aree residenziali sono occupati da vegetazione che rappresenta il 3,4 % dell'intera superficie del sistema metropolitano indagato. Ciò dimostra, nel caso catanese, i caratteri di bassa densità dell'urbanizzazione, che contiene al suo interno un'importante componente di verde. L'analisi evidenzia inoltre la drammatica condizione di frammentazione della componente verde, che pare difficilmente riducibile a tentativi di riconnessione alla scala metropolitana. Tale condizione riflette quindi una produzione di SE fortemente localizzata e limitata, ad esempio nei con-
Uso del suolo e vegetazione in una porzione dell'area metropolitana di Catania
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fronti dei servizi regolativi. La conoscenza e caratterizzazione delle NUAs è quindi un fondamentale passo per identificare e valutare la compatibilità ambientale di nuovi scenari di trasformazioni che un piano alla scala metropolitana può proporre. Questi scenari possono ad esempio prevedere quattro obiettivi diversificati, quali la protezione ambientale, la fruizione, il verde pubblico attrezzato e le nuove forme di agricoltura urbana (La Rosa e Privitera, 2013). Tali obiettivi possono rappresentare nuove e specifiche categorie di uso del suolo potenziali che meglio traducono in scelta di piano le caratteristiche ambientali e bio-fisiche delle NUAs in grado di produrre SE. La domanda di protezione ambientale può trovare risposte nell'individuazione di aree naturali caratterizzate da elevati livelli di integrità ecologica e della loro tutela e valorizzazione attraverso la previsione di Parchi Naturali e di Aree Verdi di Connessione con funzioni di deframmentazione e intesi come infrastruttura verde alla scala locale, ma anche di
% su vege uso area taz de cat ione l su eg olo oria
% su vege are ta a t zion ota e le
A usorea ca suo teg lo [ oria ha ]
A Ve rea ge taz ion e[ ha ]
Ca de tego l su ria olo us o
Parchi Agricoli suburbani (La Rosa et al, 2014). Gli spazi per la fruizione, il tempo libero possono essere trovati all'interno di Parchi Urbani (anche con valenza sovracomunale), intesi come spazi urbani con contenuto di elementi vegetati principalmente orientati allo svago ed al benessere collettivo. Il verde attrezzato locale può trovare espressione nei Giardini e Parchi Giochi (giardini pubblici, aree attrezzate, …) e cioè in quelle piccole aree localmente diffuse, facilmente accessibili, dotate di attrezzature per i giochi e gli sport informali (Smoyer-Tomic et al., 2004). La categoria progettuale probabilmente più rilevante e promettente all'interno dei sistemi metropolitani è data dalle nuove forme di agricoltura urbana e periurbana (La Rosa et al, 2014). Tra queste ad esempio, i Parchi Agricoli a valenza sovracomunale possono rappresentare uno strumento per garantire uno sviluppo dinamico e sostenibile dell'agricoltura periurbana e degli spazi in cui viene praticata e contemporaneamente per ri-utilizzare vaste aree di agricolo abbandonato presenti in molti sistemi metropolitani. Le esistenti attività agricole, anche di ridotte dimensioni in termini di reddito e superficipotrebbero far parte in un pianificato sistema agricolo metropolitano (un Parco appunto), ove integrare funzioni produttive (in primo luogo), ma anche ricreative e culturali (Taylor Lovell, 2011; Zasada, 2011). L'integrazione tra sistemi di mobilità lenta e linee del trasporto pubblico, può inoltre connettere il tessuto agricolo con le altre componenti territoriali dei sistemi metropolitani. Atre possibilità date dalle nuove forme di agricoltura urbana e peri-urbana sono dati dalle aree per Community Supported Agriculture, che prevedono un partenariato commerciale diretto tra uno o più agricoltori ed una comunità di sostenitori/consumatori uniti tra loro in rete e sottoscrittori di un abbonamento ad una o più quote del raccolto della stagione. Tali tipi di pratiche possono portare ad una maggiore vitalità economica per il coltivatore attraverso il rapporto diretto con i membri della comunità, assicurando uno sbocco locale sicuro per i produttori di piccola scala e garantendo una maggiore sicurezza dei prodotti agricoli forniti. Nelle aree maggiormente frammentate, incluse o molto prossime ai centri urbani, gli Orti Urbani piccole lottizzazioni di terreno dove praticare l'orticoltura e la floricoltura- possono rispondere ad una domanda di verde, di natura all'interno dei contesti urbani dove gli spazi pubblici sono limita-
Agricolo
3429,3
12497,2
8,6%
27,4%
Agricolo abbandonato
1352,6
4799,0
3,4%
28,2%
Boschi, aree seminaturali e incolti rocciosi
2446,5
11058,2
6,1%
22,1%
Spiagge e litorali
18,8
157,8
0,0%
11,9%
Servizi urbani e spazi pubblici
331,6
1890,0
0,8%
17,5%
Artigianale, commerciale e industriale
228,8
1747,7
0,6%
13,1% 16,6%
Turistico
26,0
157,1
0,1%
Altre aree urbanizzate
56,7
684,9
0,1%
8,3%
Residenziale
1342,3
6917,2
3,4%
19,4%
Totale
9232,6
39909,2
23,1%
23,1%
Percentuali di coperture vegetate per categorie di uso del suolo nell'area metropolitana di Catania
ti. Essi si configurano come attrezzature dedicate alla fruizione e fornitori di SE di natura culturale e di fornitura di frutta, ortaggi o vegetali per il consumo familiare. Per i motivi sopra introdotti, l'urbanistica non sembra pronta a proporre e, specialmente, attuare nuovi scenari per i territori metropolitani e per le Aree Non Urbanizzate che rappresentano le principali aree fornitrici di SE. Per esse, la scala di pianificazione comunale risulta inadeguata e limitante ma, analogamente, anche le politiche di gestione dello spazio rurale (es. le Politiche Agricole Comunitarie) o la pianificazione paesaggistica alla scala regionale, non sembrano in grado di cogliere e di
tradurre in scelte di piano le loro caratteristiche. Il ruolo strategico delle NUAs si scontra quindi con l'immaturità degli strumenti di pianificazione a definire di scelte territoriali per il loro ri-indirizzo e sollecita quindi nuovi in grado di riconoscere pienamente e ri-progettare il loro ruolo primario nella fornitura di Servizi Ecosistemici. In particolare il recupero della dimensione agricolo-produttiva dei sistemi metropolitani è in grado di ri-attribuire un ruolo attivo alle Aree Non Urbanizzate, creando nuove opportunità per la protezione agricolo-ambientale, per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, per la creazione di connessioni ciclopedonali ed ecologiche, per il contenimento o annullamento dei processi di consumo di suolo.
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2
TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
Verde urbano e regolazione delle acque meteoriche: L' approccio modellistico come base per nuovi standard urbanistici di Raffaele Pelorosso, Federica Gobattoni, Antonio Leone*, Nicola Lopez**
* Raffaele Pelorosso, Federica Gobattoni e Antonio Leone Dipartimento DAFNE, Tuscia University **Nicola Lopez, CNR, Istituto di Ricerca sulle Acque di Bari
1. Introduzione Il mosaico urbano si modifica, si sviluppa e si semplifica nel tempo attraverso fasi di crescita e di riduzione (shrinking) sotto la spinta di fattori sociali ed economici. Il mosaico urbano può anche essere visto come il risultato dell'interazione tra le cosiddette hard infrastructures (e.g. edifici, strade, reti di drenaggio) e le soft infrastructures (e.g. regole, codici, leggi e convenzioni) (Pincetl, 2015). Analizzando il fenomeno della crescita urbana, alcuni elementi appaiono con caratteristiche comuni, quali, ad esempio, l'impermeabilizzazione delle superfici, lo sprawl urbano, la congestione del traffico (Schewenius et al., 2014) e la nuova "periferizzazione" delle zone rurali con conseguente riduzione di habitat e riduzione delle risorse naturali (Larondelle & Haase, 2013). Al contrario, i risultati dell'abbandono di parti di città genera vuoti urbani, spazi sottoutilizzati, dismessi e de-densificati (Haase et al., 2014a), processi che alterano il metabolismo urbano. In effetti, ogni cambio di destinazione di uso del suolo è in grado di alterare l'equilibrio del sistema, con inevitabili conseguenze in termini di resilienza e funzionalità (Pelorosso et al., 2011; Pelorosso et al., 2015). Considerando gli aspetti ambientali, uno sviluppo senza regole o l'abbandono di porzioni di una città possono avere un impatto significativo sul clima, sul controllo delle acque piovane, sulla biodiversità, sulla qualità dell'aria e dell'acqua. Guardando, inoltre, agli
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aspetti sociali, diverse possono essere le conseguenze in termini di capitale sociale, di emarginazione e, in generale, di qualità della vita urbana (Pelorosso et al., 2015). Tutti questi fenomeni si traducono poi in una riduzione della resilienza della città vista come la capacità del sistema socio-ecologico complesso di affrontare i cambiamenti e le pressioni esterne mantenendo essenzialmente le stesse funzioni, struttura ed identità (Davoudi, 2012; Folke et al., 2010; Kato & Ahern, 2010; Lundberg & Moberg, 2003). Pianificatori e progettisti hanno la possibilità di limitare gli impatti negativi sul sistema socio-ecologico (e quindi incrementandone la resilienza) trovando un nuovo modo di integrare la natura in città sia negli spazi lasciati fuori dallo sviluppo urbano ed inutilizzati, sia nelle opere di urbanizzazione previste (McPhearson et al., 2014). Infatti, diverse Nature-based solutions (EU, 2015), cioè azioni ispirate, supportate o “copiate” dalla natura come ad esempio rain garden, tetti verdi o aree umide, possono essere utilizzate per accrescere la multifunzionalità dell'infrastruttura verde urbana. Quest'ultima deve essere vista nella sua moderna concezione all'interno dei sistemi socio-ecologici complessi: una rete interconnessa di sistemi naturali e soluzioni basate sulla natura, localizzate a scala di paesaggio e completamente integrate con l'ambiente costruito, che forniscono una
gamma diversificata di benefici aumentandone la sua resilienza. Questi benefici sono classificabili come urban ecosystem services (UES), vale a dire i benefici che le persone derivano direttamente o indirettamente da ecosistemi naturali e artificiali (Gómez-Baggethun & Barton, 2013; Haase, Larondelle, et al., 2014). L'attuale concezione del verde nelle città non esprime il potenziale (che invece potrebbe avere, per altro senza costi aggiuntivi) dal punto di vista dei servizi ecosistemici. Si individuano più ragioni che spiegano queste carenze: le aree verdi e blu sono spesso localizzate in aree residue e marginali, non sempre coinvolte nello sviluppo urbano. Inoltre, tali aree sono generalmente progettate a scopo di soddisfare esigenze di amenità, definite da dettati formali di legge, necessariamente generici, che non considerano i processi ambientali legati all'ecosistema che, comunque, il verde rappresenta e da cui scaturiscono le sue funzionalità. “Appiattire” i sistemi socio-ecologici urbani sul solo lato estetico e, di conseguenza, attribuirgli la semplice monofunzione estetica rischia di deprimere la peculiarità dell'ecosistema, ovvero la sua capacità di evolvere. I cambiamenti climatici, le varie crisi ambientali del sistema urbano, dall'inquinamento dell'aria, all'isola urbana di calore, al rischio idraulico, richiedono un radicale cambiamento nella concezione del verde urbano, che deve unire, alla tradizione dell'estetica l'innovazione dei servizi ecosistemici. Per ottimizzare gli UES in una città sarebbe quindi necessario un duplice cambiamento: di regole, obiettivi e processi progettuali da un lato, e in forme urbane, infrastrutture e funzioni dall'altro(Pincetl, 2015). In questo lavoro si propone un percorso metodologico che vuole dare risposte a tale problematica. Poiché i processi ambientali sono fondamentali, nel caso specifico il rischio idraulico, essa è basata sull'approccio modellistico che simula le criticità del sistema urbano dal punto di vista idrologico. L'approccio modellistico è di tipo “manageriale” (basato su management models) nel senso che l'obiettivo delle simulazioni non è la previsione idrologica “tradizionale”, ma la focalizzazione e ottimizzazione degli usi del suolo urbano, nello specifico la regolazione del ciclo delle acque meteoriche tramite Nature-based solutions per continuare, a cascata, ad incrementare gli altri servizi ecosistemici (regolazione delle temperature, rete ecologica) con lo stesso “strumento” verde, che così diviene multifunzionale.
2.Gli standard del verde urbano Gli standard di pianificazione possono essere definiti come norme scritte o misure numeriche per l'uso del suolo accettate in un sistema formale di pianificazione. Queste norme scritte derivano da un'analisi delle necessità umane, ma anche dal cambiamento di aspirazioni socio-economiche e di investimenti che hanno avuto luogo in una determinata area geografica nel corso del tempo, dalla richiesta di urbanizzazione e industrializzazione. Tradizionalmente, gli standard a verde urbano sono fissi e addirittura fissati dalla norma nazionale (D.M. 1444/1968), cosa che oggi appare francamente stucchevole, in epoca di necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e centralità del tema ambientale nel governo della città. Alcune regioni hanno aumentato i valori stabiliti degli standard nazionali mediante provvedimenti regionali ma, comunque, senza effettuare nuove indagini o un approfondimento sulla propria situazione territoriale e sociale (Gabellini, 2008). Completa il quadro il frequente mancato rispetto della norma. Di conseguenza, tante città soffrono di enorme carenza di aree verdi (Barbarossa, La Greca, La Rosa, & Privitera, 2014; Barbarossa, La Rosa, Martinico, & Privitera, 2014; La Rosa & Privitera, 2013; Pelorosso, Gobattoni, & Leone, 2015). La discussione sulla efficacia degli standard è aperta da molti anni e nuovi standard ecologico-ambientali sono stati proposti in alcuni piani innovativi (vedi Oliva in AA.VV., 2009) anche se una traduzione legislativa non è stata ancora realizzata come recentemente richiamato dall'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU, 2015). Tali standard ecologici sono stati introdotti nei piani più innovativi con particolare riferimento alla permeabilità dei suoli, al carico urbanistico, ai parametri che esprimono la capacità di carico ambientale di un'area di trasformazione, alla composizione qualitativa e quantitativa della biomassa e ai relativi indici di densità, alla definizione di indicatori e standard paesaggistici. Esempi sono i piani regolatori di Reggio Emilia, Piacenza, Cesena, Bergamo, Brescia, Pesaro, Prato e Roma(AA.VV., 2009). Il concetto di superficie permeabile ovvero la quota di superficie fondiaria o territoriale che deve essere conservata o resa permeabile alle acque, è stato introdotto in vari piani. L'indice di permeabilità è una delle misure di verifica, un parametro locale di misura della compromissione dei suoli nella fase analitico-valutativa del piano e, nella sua fase operativa, una prescrizione normativa finalizzata alla rigenerazione ecologica. Altri parametri proposti sono la densità arbo-
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rea ed arbustiva e le caratteristiche qualitative della biomassa. Essi sono proposti prevalentemente in un'ottica di benefici per la salvaguardia dell'aria e delle risorse idriche(AA.VV., 2009). Diverse critiche sono comunque possibili ai suddetti indicatori perché dal momento che si cerca di generalizzare, uniformare e definire per legge delle norme, emergono semplificazioni e riduzioni che tradiscono il concetto di servizio ecosistemico, necessariamente specifico. Infatti (vedi anche Gabellini, 2008), gli standard ambientali devono differenziarsi da quelli della pianificazione urbanistica tradizionale perché fortemente contestualizzati e non gestibili con logiche si/no, tutto/niente perché trattano processi complessi. Inoltre, i nuovi standard ambientali, non devono, o meglio non dovrebbero, scaturire da soluzioni tampone come avvenuto a seguito della frana di Agrigento del 1966 che ha dato poi origine al DM 1444/1968. Se all'epoca l'approccio semplicistico della regola rigida poteva (forse) comprendersi, oggi si dispone di capacità tecniche che obbligano ad abbandonare questa strada. Servono standard ambientali che esprimano le conoscenze a t t u a l i i n t e r m i n i d i p e r i c o l o s ità/criticità/sensibilità/potenzialità. La necessità di un intervento legislativo di garanzia dello standard dipenderà quindi dai livelli di maturità politica e sociale, mentre, la definizione di standard attraverso strumenti di piano è già da ora possibile e la loro applicabilità, efficacia e valutazione sono aspetti critici la cui responsabilità ricade nelle mani del pianificatore. La priorità è quindi quella, finalmente, di pianificare per processi (in primis l'adattamento ai cambiamenti climatici), di definire i conseguenti criteri di misurazione ed i livelli minimi da conseguire che le singole amministrazioni possano adottare al momento di dare il via agli interventi di sviluppo o programmazione territoriale (INU, 2015). Certamente è necessario riferire lo standard alle condizioni del contesto, alle possibilità di offerta (idoneità territoriale), alle specificità della domanda (tipologia dei beneficiari) alle prospettive di multifunzionalità e flessibilità(Gabellini, 2008). A seguito di queste considerazioni emerge un chiaro collegamento con l'analisi dei servizi ecosistemici relativi all'infrastruttura verde urbana. Inoltre, essendo i processi ambientali multiscalari e multitemporali, con molteplici interazioni tra le componenti del paesaggio urbano ed extraurbano, è necessario utilizzare, almeno nelle fasi preliminari di analisi e per i più rilevanti processi ambientali, un
approccio modellistico. Tale approccio consente infatti di definire, a costi relativamente ridotti, una struttura solida su cui costruire, progettare, immaginare paesaggi urbani con un forte carattere multifunzionale, quindi complessi e resilienti. Infatti, non è sempre possibile raccogliere e analizzare dati empirici, per un lungo periodo di osservazione distribuiti omogeneamente sul territorio, senza impiegare notevoli risorse economiche e, soprattutto, conciliare queste azioni con le spesso impellenti esigenze di pianificazione e decisione sull'uso del suolo. Tra i molteplici modelli per la simulazione dei processi ambientali, ne sono stati sviluppati alcuni che consentono di supportare le scelte di destinazione di uso del suolo anche attraverso il confronto di scenari a scala territoriale. Questi modelli definiti manageriali, consentono di analizzare spazialmente il processo studiato e possono anche essere definiti spatial decision support systems. La proposta di nuovi indicatori e standard del verde urbano è quindi complessa, ma la direzione da intraprendere è abbastanza chiara. Il presente lavoro si propone di fornire un esempio applicativo, nel quale la criticità e potenzialità idrologica dell'ambiente urbano è analizzata al fine di fornire utili informazioni al pianificatore per la definizione di Nature-based solutions mirate a migliorare la resilienza idrologica del distretto urbano di Bari. Da tale caso specifico si possono trarre alcune considerazioni di carattere generale, che vengono qui riportate, per l'individua-zione di metodi e parametri utili alla definizione di nuovi standard del verde urbano legati alla caratteristiche locali del contesto urbano. 3. Il caso di studio L'area di studio presa in considerazione è la parte urbanizzata del comune di Bari (fig. 1, circa 330 ha) la cui rete di drenaggio delle acque meteoriche periodicamente entra in crisi, provocando anche l'inquinamento del tratto di mare prospiciente la città. Quest'ultima ha una particolare conformazione morfologica, che vede la convergenza di numerosi solchi torrentizi di origine carsica (le lame) che dalle colline interne sfociano nel mare Adriatico attraversando tutta la città e divenendone un fattore di criticità (Pelorosso et al., 2013). Tutta l'area di studio presenta una rete fognaria mista, nella quale le acque di pioggia si mescolano in parte con le acque nere. Questa criticità accompagnata dalla carenza di appropriati impianti di depurazione definisce una situa-
zione particolarmente critica nella quale interventi innovativi basati su Nature-based solutions possono risultare una efficacie strategia da eventualmente accompagnare ai tradizionali interventi “end-of-pipe” o di ridimensionamento della infrastruttura. 4. Materiali e metodi L'approccio metodologico che si propone è basato su quattro fasi: 1) di analisi del sistema urbano dal punto di vista idrologico; 2) di identificazione delle aree critiche (resilienza intrinseca del sistema); 3) di studio di scenari di rigenerazione urbana basata su Nature-based solutions; 4) di identificazione di uno standard urbanistico ai fini di una corretta pianificazione di sistemi urbani resilienti. Anche se la resilienza di un sistema è un argomento complesso che comprende fattori sociali, economici, ambientali e fisici, il presente studio considererà solo gli aspetti fisici relativi alla gestione delle acque meteoriche. In particolare, vengono presentati una metodologia ed un indicatore finale di resilienza partendo dai risultati del modello di simulazione implementato nell'area urbana di Bari. Nel caso specifico della funzionalità idrologica e resilienza climatica, emerge la necessità di “mettere a sistema”, integrando le molteplici funzionalità di una serie di Nature-based solutions definite come Best Management Practices (BMP) o Sustainable Urban Drainage Systems (SUDS) (Berruti, Coppola, &Moccia, 2013; Pelorosso et al., 2013) finalizzate a minimizzare gli impatti dell'urbanizzazione sulla quantità e qualità del deflusso attraverso meccanismi di infiltrazione nel sottosuolo, filtrazione, stoccaggio, evaporazione e ritenzione.
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Tra queste BMP ricordiamo i tetti verdi, i pavimenti porosi, i bacini di ritenzione, i rain-garden e le fasce filtranti. 4.1 Analisi del sistema urbano dal punto di vista idrologico Per l'analisi del sistema urbano e per la simulazione di scenari di greening si è utilizzato il modello manageriale US-EPA Storm Water Management Model (SWMM, release 5.1.008). SWMM è stato sviluppato nel 1971 ed ha subito diversi aggiornamenti importanti da allora con diverse applicazioni in contesti urbanistici e simulazioni di BMP (Zhou, 2014). Il modello è particolarmente utile per l'obiettivo generale della ricerca, perché permette l'interazione tra uso del territorio urbano (e qualsiasi BMP adottata), le strutture di drenaggio ed eventuali processi ambientali rilevanti, come il deflusso delle acque e l'allagamento ai nodi della rete fognaria. In altre parole, SWMM permette di simulare l'assetto del paesaggio urbano, vale a dire il complesso sistema dinamico formato da edifici, infrastrutture (canali e tubazioni) e uso del territorio (superfici permeabili e impermeabili, infrastruttura verde e BMP). L'area di studio è stata suddivisa in opportuni sottobacini di drenaggio e per essa è stato definito il relativo sistema di drenaggio delle acque pluviali e reflue (sistema misto). Per questa operazione si sono utilizzati i dati relativi alla morfologia derivanti dalla CTR e dal dato LIDAR in 3D. Il confronto con l'uso del suolo e la morfologia di dettaglio ha quindi consentito di identificare 43 sottobacini. Per ciascuna delle condotte sono stati inseriti opportuni valori delle quote di fondo, di forma e diametro
interno. Per quanto riguarda il carico di fondo presente nelle condotte miste e dovuto agli scarichi urbani, sono state calcolate le portate nere corrispondenti agli abitanti residenti nell'area servita sulla base dei dati di popolazione residente consultabili dal Censimento ISTAT del 2011 e della dotazione idrica media giornaliera (300 l/giorno). Data la presenza nella stessa area di una fitta rete per il drenaggio esclusivo degli scarichi urbani, considerandone lo schema e i diametri delle condotte, si è ipotizzato che solo un terzo della portata generata dagli abitanti equivalenti residenti nell'area considerata di ciascun sottobacino finisse nella fognatura mista sovrapponendosi al deflusso pluviale. Infine si è definita una pioggia critica di tre ore (pari al tempo di corrivazione del bacino urbano considerato) con tempo di ritorno di 5 anni come precipitazione significativa da simulare. Tale evento consente di verificare le criticità del sistema drenante tenendo in considerazione che dovrebbe essere in grado, secondo normativa, di smaltire correttamente piogge con tempo di ritorno di 5 anni. 4.2 Identificazione delle aree critiche (resilienza intrinseca del sistema) Tra i molteplici output del modello SWMM si è scelto di riportare, mappare e considerare cinque fattori di rischio per la definizione delle aree critiche del sistema urbano: l'allagamento dei nodi (quindi della città), i volumi di deflusso idrico, il picco di deflusso dei sottobacini, il picco di allagamento dei nodi e la vulnerabilità dei rami della rete fognaria mista. La quantità totale di acqua che un nodo della rete non è stato in grado di trattenere, definisce il cosiddetto node flooding. Ciascun nodo della rete nel modello di simulazione infatti recepisce il deflusso di ogni sottobacino, cioè l'acqua superficiale di scorrimento che non riesce ad infiltrarsi nel sottosuolo a causa dell'imper-meabilizzazione. È quindi possibile associare ad ogni sottobacino un valore di node flooding che esprime l'ammontare
di acqua (L) che la rete drenante non è in grado di smaltire. Questo parametro descrive una duplice criticità del sistema: in termini di allagamenti e di rischio sanitario dovuto alla commistione di acque pluviali e acque nere di fogna. Il secondo parametro preso in considerazione è il deflusso dei sottobacini. Questo parametro è rappresentativo del grado di urbanizzazione/impermeabilizzazione del sistema e consente di discriminare priorità di intervento nei bacini che maggiormente contribuiscono al deflusso totale in termini di volumi di acqua (L). Gli altri due fattori presi in considerazione sono il picco di deflusso di ciascun sottobacino (L/s) e il picco di allagamento di ciascun nodo (L/s). Questi parametri, sempre riferibili ad un sottobacino specifico, sono stati selezionati perché relazionati alle cosiddette “bombe d'acqua” che rappresentano un notevole fattore di rischio per la città. L'ultimo fattore preso in considerazione è la vulnerabilità dei diversi rami della rete fognaria. Questo parametro considera l'ammontare complessivo dell'allagamento ai nodi (L) presenti in un ramo del sistema di drenaggio. Si è scelto di considerare questo fattore poiché consente di valutare una criticità del sistema dovuta a interconnesse relazioni tra sottobacini che scaricano tutti su uno stesso ramo della rete fognaria. La criticità della condotta, in termini di mancato smaltimento delle acque, è quindi stata attribuita a tutti i sottobacini che in essa scaricano il deflusso. I cinque fattori sono stati quindi standardizzati in un range 0-1 e mappati in cinque classi di rischio crescente (basso, medio-basso, medio, medio-alto ed alto).Tale indice di criticità è strettamente correlato alla capacità del sistema di smaltire le acque meteoriche e quindi è stato proposto come proxy indicator della resilienza di ciascun sottobacino. La classificazione dei sottobacini in classi di criticità e resilienza finale è stata ottenuta attraverso la sommatoria dei fattori di rischio seguendo il criterio mostrato in tabella 1.
Tab. 1 Classificazione finale di criticità/resilienza idrologica adottata nell'analisi del sistema urbano.
Classe di criticità
Classe di resilienza
Bassa
Alta
Punteggio finale indice di criticità 0-1
Medio-bassa
Media-alta
1-2
Media
Media
2-3
Media-alta
Medio-bassa
3-4
Alta
Bassa
4-5 74
4.3 Scenari di rigenerazione urbana basata su Nature-based solutions I risultati delle simulazioni dello scenario base e la suddivisione dei sottobacini in classi di criticità ha permesso di identificare non solo priorità di intervento ma anche il grado di vulnerabilità delle diverse componenti del sistema urbano (e.g. la rete drenante e l'eccessivo deflusso). La definizione delle BMP ottimali da adottare nel sistema urbano considerato per la riduzione del carico idraulico nel sistema drenante e del deflusso, deve seguire, oltre che un criterio di criticità, anche un criterio di idoneità territoriale. Ad esempio è necessario considerare la funzionalità del verde già esistente in un sottobacino. Un bacino con una buona presenza di superfici ad alta permeabilità (parchi, ma anche suoli incolti) potrebbe già permettere un naturale controllo per infiltrazione delle acque di pioggia, ma occorre “mettere a sistema” questa potenzialità. Lo scopo delle simulazioni con modello manageriale è proprio questo: “esaltare” le funzionalità del verde alla luce delle disponibilità di spazi non urbanizzati o in disuso, pubblici o privati. Per quanto riguarda le aree dismesse, si dovrà valutare la migliore struttura verde da applicare, ad esempio: una superficie a parcheggio o una strada si presterà maggiormente a giardini pluviali o bacini di ritenzione vegetati, un'area fortemente edificata potrebbe offrire occasione di stimolante progettazione di tetti verdi o di cisterne per la raccolta delle acque piovane, le strade più importanti potrebbero essere arricchite con strutture verdi lineari (cunette verdi ecc.). Una buona dotazione di aree abbandonate e inutilizzate sembra essere presente nell'area metropolitana di Bari come riporta la fig. 2. Occorre poi considerare la collocazione della BMP nell'ambito del sottobacino stesso. Una BMP collocata a valle del sottobacino potrà contribuire fortemente a limitare i deflussi urbani ed i problemi di sovraccarico della rete fognaria ricevente. A titolo semplificativo in questo articolo si è deciso di simulare una sola tipologia di BMP: il tetto verde di tipo estensivo su aree definite ad elevata criticità. Questa scelta ha solo scopo dimostrativo, dovendo comunque, nella realtà, affiancare ai tetti verdi altre BMP (possibilmente negli spazi censiti in figura 2) come ad esempio i rain garden che, data la loro elevata capacità di stoccaggio, sono in grado di garantire risultati superiori in termini di riduzione del deflusso superficiale e miglioramento della qualità delle acque. Per converso, l'assetto urbano dell'area di studio (il borgo ottocentesco della città
di Bari, tipicamente a scacchiera) offre una grande quantità di spazi nei cortili che ognuno dei quadrilateri della scacchiera genera. Per quanto riguarda le simulazioni effettuate, il modello SWMM è stato implementato costruendo diversi scenari di intensità di intervento plausibili per l'area considerata e l'effetto sul sistema idrologico è stato valutato tramite ripetute simulazioni del modello. La tipologia di tetto verde simulato è di tipo estensivo, necessariamente l'infrastruttura verde minima, a causa del contesto urbano e le condizioni climatiche difficili. Questo significa un leggero strato di vegetazione per ridurre il carico sugli edifici più datati, un apparato radicale ed una profondità del suolo ridotta e bassi costi di manutenzione. I tetti verdi non sono di facile realizzazione nella città consolidata, ma i vantaggi ambientali che comportano (idrologici, climatici, di aumento della biodiversità, filtro per polveri sottili) e l'offerta di nuovi spazi in piena città obbligano a considerarli nella pianificazione urbana (Li et al.,
2014). La modellistica ambientale è utile per que- affrontare le difficoltà di realizzazione. Comunque, sto scopo, perché consente di definire esattamen- essi saranno solo una delle BMP, integrate da tutte te queste utilità per consentire al pianificatore di le altre possibili nei vuoti urbani della fig.2.
Fig. 2. Aree dismesse nell'area metropolitana di Bari (cortesia di Francesca Calace)
4.4 Identificazione di uno standard Fig. 3. I cinque fattori di rischio per lo smaltimento delle acque meteoriche urbane. Perché sia utile nella pianificazione, il modello che simula il sistema complesso deve generare un indicatore sintetico di supporto alla valutazione degli interventi di greening urbano e di indirizzo per la pianificazione. Al fine di riferire l'intervento di greening ad un parametro facilmente misurabile, si è considerata l'efficienza di ciascuna BMP in termini di resilienza indotta nel sottobacino nel quale è realizzata. In altri termini, essa è la quota di greening necessario al passaggio da una classe di resilienza inferiore. In sintesi:
Eg =
As (mq) Ag (mq)
Dove Eg è l'efficienza del greening progettato sull'area del bacino As , Ag è la superficie del greening che ha reso più "resiliente" lo stesso bacino, ovvero che è stata in grado di far scattare la classe di resilienza più alta nel bacino considerato. Per il caso studio riportato quindi si prenderanno in considerazione i metri quadri di tetto verde che sono stati sufficienti a determinare un abbassamento dell'indice di criticità tale da far scattare di classe di resilienza il sottobacino su cui l'intervento stesso insiste.
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5. Risultati In figura 3 è riportata la mappatura dei cinque fattori di rischio. La classificazione dei sottobacini in classi di criticità/resilienza è invece riportata in fig. 4. Come è evidente la rete drenante a nord consente di smaltire efficacemente le portate idriche in arrivo e conseguentemente i sottobacini
ad essa collegati risultano a bassa criticità. Sono presenti invece diversi sottobacini in cui l'esondazione dei nodi è presente e rilevante. Una diffusa criticità è inoltre definita dal deflusso che si manifesta in gran parte del bacino a causa della elevata urbanizzazione dell'area e omogenea morfologia del suolo. Il tetto verde estensivo simulato nel sottobacino
37 mira a valutare una delle poche BMP realizzabili, uno dei casi più difficili, ossia la possibilità di rendere resiliente un distretto densamente costruito. Nondimeno lo studio modellistico potrà in futuro essere completato valutando l'effetto sinergico di BMP basate sulla più idonea vocazione territoriale e la domanda di servizi della popolazione residente. La tabella 2 riporta i
Fig. 4. Classificazione in cinque classi di resilienza per i diversi sottobacini dell'area urbana considerata. Evidenziato con un cerchio il sottobacino 37 nel quale è stato poi simulato l'intervento di greening tramite tetti verdi di tipo estensivo.
Tab. 2 Scenari di greening con tetto verde di tipo estensivo simulati nel sottobacino 37.
Scenario
Area occupata da tetto verde
% della superficie del sottobacino 37
1
14700 m²
10%
2
29100 m²
20%
3
58350 m²
40%
Tab. 3. Effetto degli interventi di greening a tetto verde nel bacino 37 in termini di indice di criticità e classe di resilienza.
Scenario
Indice di criticità
Riduzione % indice di criticità
Classe di resilienza
base
3.984
-
Medio-bassa
1
3.381
-15.13%
Medio-bassa
2
2.870
-27.98%
Media
3
2.068
-48.10%
Media
76
diversi scenari simulati, con tre diverse intensità di intervento: 10%, 20% e 40% della superficie totale del sottobacino investita a tetto verde. La tabella 3 mostra il confronto tra i diversi scenari di intervento attraverso l'indicatore sintetico di criticità e l'attribuzione della classe di resilienza. Il calcolo dell'indicatore urbanistico/ambientale per il tetto verde estensivo simulato secondo la formula (1) definisce un valore di 5. Tale valore indica che, nel bacino preso in considerazione, ogni metro quadro di tetto verde di tipo estensivo è in grado di rendere resiliente una porzione di territorio urbano pari a 5 metri quadri. 6. Conclusioni Il presente lavoro ha analizzato una complessa problematica relativamente alla vulnerabilità dell'ambiente urbano nel gestire le acque meteoriche aumentando la permeabilità con il verde urbano, piuttosto che il tradizionale intervento (costoso e di difficile inserimento) sula rete di drenaggio. Per fare questo si è utilizzato un modello manageriale per l'analisi dello stato di fatto e della realizzazione verde (BMP) che, aumentando la permeabilità, riduce i volumi di acqua di deflusso. In termini generali, questo significa dare concreta applicazione del concetto di resilienza idrologica, che poi può essere, con lo stesso procedimento, climatica ed ecologica. Nel caso di studio riportato si è dimostrato come e quanto ciò è possibile, valutando numericamente uno specifico intervento di greening fornendo al pianificatore un parametro su cui definire priorità di intervento e/o misure di incentivazione al fine di incrementare la resilienza del sistema urbano. Inoltre, una base conoscitiva delle idoneità territoriali così come delle capacità potenziali degli interventi a verde, consente un più razionale utilizzo delle aree abbandonate o inutilizzate e dei vuoti urbani, in un'ottica di massimizzazione delle risorse, polifunzionalità e flessibilità dei servizi. Future ricerche sulla traccia di questo lavoro potranno consentire di valutare un'ampia e diversificata tipologia di Nature-based solutions nei diversi contesti urbani. L'insieme di queste simulazioni ed i risultati ottenuti dimostrano la possibilità di costituire un importante database dal quale attingere per definire nuovi standard urbanistico-ambientali.
Bibliografia AA.VV. (2009). Piano locale e...Nuove regole, nuovi strumenti, nuovi meccanismi attuativi. (L. Ricci, Ed.). Milano: FrancoAngeli. Barbarossa, L., La Greca, P., La Rosa, D., & Privitera, R. (2014). Le città del sud Italia come nuove greencities. Una sfida possibile? In XVII SIU Conference (pp. 16371647). Milan: Planum Publisher. Barbarossa, L., La Rosa, D., Martinico, F., & Privitera, R. (2014). La rigenerazione urbana come strumento per la costruzione della città sostenibile. In XVII Conferenza Nazionale SIU, At Milano (pp. 18). Berruti, G., Coppola, E., & Moccia, F. D. (2013). Urban morphology and ecological water-centered design in Mediterranean areas. In F. D. Moccia & M. F. Palestino (Eds.), Planning Stormwater Resilient Urban Open Spaces (pp. 162177). CLEAN. Davoudi, S. (2012). Resilience: A Bridging Concept or a Dead End? Planning Theory & Practice, 13(2), 299333. EU. (2015). 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2
TEMI, ESPERIENZE, CASI STUDIO
Comprendere e gestire la complessità dei servizi ecosistemici: modelli dinamici per il valore ricreativo di siti Natura2000 di Rocco Scolozzi* e Uta Schirpke**
* Rocco Scolozzi -skopìa - Anticipation Services, Università di Trento **Uta Schirpke - EURAC, Bolzano
Abstract Il valore dei servizi ecosistemici dipende dai processi ecologici che sostengono la loro disponibilità e dai processi socio-economici che ne definiscono usi e governo. Per gestire ecosistemi o paesaggi e i derivanti servizi bisogna esplorare e comprendere la complessità di tali processi. La modellazione dinamica dei sistemi (systems dynamics) offre la possibilità di rappresentare le variabili più rilevanti e di simulare possibili dinamiche in risposta a strategie o azioni. La modellazione partecipativa, allargata agli stakeholder, offre l'opportunità di diffondere una migliore comprensione di questa complessità e di migliorare gli stessi modelli. Nell'articolo si presenta una modellazione semplificata del valore ricreativo di siti Natura 2000. I modelli sono resi accessibili e interattivi tramite la piattaforma web Insight Maker. Questi modelli hanno una finalità di educazione alla complessità (o ambiziosamente di social learning) e non di previsione. Gli sviluppi possibili includono una modellazione dinamica partecipativa specifica per ciascun territorio d'interesse (incluso o meno in aree protette) e per ciascun servizio ecosistemico, sulla base della quale definire e testare (simulare) strategie di sviluppo o valorizzazione.
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1. Introduzione Ormai tutti gli ecosistemi, dal biotopo di pochi ettari nelle periferie urbane, alle più vaste bioregioni, sono il risultato dell'interazione tra processi ecologici e processi antropici, siamo nell'antropocene . Queste interazioni sono complesse poiché emergono da retroazioni (feedback) e interdipendenze tra le variabili dei sistemi sociali ed ecologici. Comprendere tutta la complessità di questi sistemi è impraticabile, soprattutto sulla base dei dati solitamente disponibili nelle sedi di decisione, come nella pianificazione o nella gestione quotidiana di un territorio. Specie per piccole aree protette (siti Natura2000) questi dati spesso si limitano all'uso del suolo e a censimenti faunistici e botanici, nei migliori casi sono disponibili cartografie degli habitat vegetali e delle specie rilevanti (es. quelle definite “prioritarie” da direttive europee). Dalla teoria dei sistemi sappiamo che il comportamento di un sistema emerge dalla sua struttura (legami causali o interdipendenze più circuiti di retroazioni) piuttosto che dai valori delle singole variabili. Da una vasta casistica sappiamo, inoltre, che molte dinamiche si ripresentano indipendentemente dai domini come economia, ecologia, o salute pubblica. Queste dina-
miche ricorrenti sono riconducibili a strutture simili e a sette “modi” elementari: crescita lineare, crescita esponenziale, decrescita esponenziale, crescita smorzata, decrescita smorzata, crescita logistica, overshoot e collasso. Questi modi, o “comportamenti”, possono portare ad esiti come: l'esaurimento di una risorsa (vedi la “tragedia dei beni comuni”), la diffusione di un patogeno, l'escalation dei prezzi o dei loro ribassi, il fallimento di soluzioni di breve termine che aumentano il problema di partenza (“fix that fails”). Essi sono caratteristici dei cosiddetti “problemi sistemici”, i quali non sono associabili a una singola variabile (o “colpa”) ma piuttosto dovuti all'insieme di relazioni e interdipendenze tra più variabili (es. il problema del traffico non è colpa di un'auto ma dall'insieme di auto in certo tratto di strada, che sta in una certa relazione con mete e provenienze). Tramite l'approccio alla dinamica dei sistemi, o system dynamics , possiamo esplorare la complessità di sistemi come quelli legati all'erogazione dei servizi ecosistemici, distinguerne le variabili rilevanti e riconoscerne le dinamiche ricorrenti. Comprendere meglio i problemi sistemici, anche solo qualitativamente, permette di essere più consapevoli delle possibili conseguenze inattese e di migliorare la formulazione di strategie di gestione o pianificazione . La modellazione dinamica è usata sempre più spesso nella modellazione partecipativa di problemi ambientali, nota anche come group model building , in cui gli stessi utenti o beneficiari contribuiscono a definire il sistema in esame, arricchendo i modelli con variabili qualitative, spesso non misurabili quantitativamente ma non meno fondamentali, aumentandone il realismo e la credibilità dei risultati. Con lo scopo di illustrare l'utilità e le potenzialità di quest'approccio nel campo della gestione e pianificazione territoriale, qui si presenta un'applicazione sviluppata nell'ambito del progetto LIFE Making Good Natura¹, riguardante i valori socio-economici dei siti Natura 2000 (riserve e aree protette di interesse comunitario) e la loro gestione. Nello specifico si mostrano una serie di modelli per lo stesso problema/sistema, utili per costruire strategie di gestione del valore ricreativo di aree protette (inteso come “servizio ecosistemico culturale”) in una prospettiva di medio-lungo termine. I modelli sono resi accessibili e interattivi tramite la piattaforma web Insight Maker² che permet-
te di seguire una presentazione graduale dei modelli (storytelling) e di interagire con essi, modificando i valori dei parametri più rilevanti e simulando le conseguenze (Fortmann-Roe, 2014). 2. Un servizio ecosistemico culturale: il valore ricreativo Il valore ricreativo di un territorio si esprime solo se questo è accessibile e visitabile, in altre parole, se il visitatore o turista può goderne le caratteristiche in loco (es. un vasto panorama, una vegetazione particolare, un luogo funzionale a emozioni o esperienze appaganti). L'accessibilità e godibilità di un sito dipendono dalla sua geografia ma anche da interventi appositamente progettati (es. sentieri, strutture) che facilitano la visita o permettono attività ricreative. Questo servizio ecosistemico culturale, quindi, dipende in parte dalla componente naturale (gli ecosistemi che offrono spazi e opportunità ricreative) in parte da azioni antropiche (che rendono accessibili e fruibili quegli spazi). Il valore ricreativo di un sito Natura2000, in particolare, dipende da diversi fattori in funzione dei diversi contesti, per cui si possono distinguere diversi livelli di intervento antropico e/o naturalità. Ad esempio, nelle aree più remote (es. alte quote) l'intervento umano si limita, in generale, alla creazione e manutenzione di sentieri di accesso. In aree planiziali (es. corridoi fluviali o aree umide), naturalmente più accessibili, il valore ricreativo può dipendere maggiormente da strutture artificiali (es. postazioni per il birdwatching), che possono rendere un sito più attrattivo di un altro nella stessa area. Nella relazione tra valore ricreativo di un sito e la sua biodiversità, qui riferita sommariamente come “qualità ambientale”, c'è una ricorrente
dinamica, tipica del turismo naturalistico: all'aumentare della qualità ambientale aumenta il numero di visitatori/turisti, ma all'aumentare di questi prima o poi diminuirà la qualità ambientale, a causa dello stress ambientale (o impatto ambientale dei visitatori). In termini di dinamica dei sistemi, il processo è caratterizzato da un circuito di feedback negativo che tende a stabilizzare il sistema verso un livello più basso di qualità ambientale, rispetto a quello iniziale senza visitatori (fig. 1). Aumentando un poco il realismo del modello elementare, si può considerare che l'attrattività può essere aumentata attraverso azioni di marketing (sinistra fig.2 ). D'altra parte il numero di visitatori può fornire localmente risorse per investimenti dedicati al miglioramento o manutenzione della qualità ambientale (destra, fig 2). Si vengono a creare due circuiti di feedback opposti: uno negativo (tendente stabilizzare il sistema) e uno positivo (tendente a crescere indefinitamente), che raggiungono un equilibrio a livelli di qualità ambientale e visitatori maggiori rispetto al modello precedente. Questo equilibrio può portare ad una sostenibilità di medio-lungo del servizio ricreativo, a patto che gli investimenti in miglioramento della qualità ambientale siano continuamente calibrati in modo da essere proporzionali al numero di visitatori. Una dinamica non sostenibile si può verificare quando gli investimenti sono indirizzati ad aumentare l'attrattività, attraverso un accrescimento del marketing e delle strutture funzionali all'attività ricreativa, senza aumentare la qualità ambientale (o la sua manutenzione) in modo proporzionale. In queste condizioni, si possono creare due cicli di feedback ( fig.3), disaccoppiati dalla fig. 1: Diagramma causale (causal loop diagram, o mappa dei circuiti causali) elementare del servizio ecosistemico ricreativo: un ciclo di feedback negativo stabilizza al ribasso il livello di Qualità ambientale e numero di Visitatori.
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qualità ambientale, che possono destabilizzare il sistema: diminuendo (o annullando) la funzione stabilizzante del feedback tra qualità ambientale e visitatori, portando a un rapido aumento dello stress ambientale (non controllato internamente dal sistema). Una dinamica peggiore, per la qualità ambientale, si può avere quando investimenti e strutture attraggono anche nuovi insediamenti residenziali quindi nuovi abitanti.
fig. 2: diagramma causale con un loop negativo (sinistra), con due loop opposti (destra).
fig. 3: modello C2-3 (sinistra) e modello C2-4 (destra) con feedback potenzialmente indipendenti dalla qualità ambientale
Considerando queste dinamiche si possono distinguere tre modelli per diversi tipologie di siti Natura2000 (o sistemi socio-ecologici), con diverse variabili “gestionali”, che sono in qualche modo controllabili dai gestori o dagli stakeholder (tab. 1 ). Tipo di area protetta
Variabili chiave
Variabili gestionali
1
Remota a ridotta presenza antropica
Qualità ambientale Visitatori
Marketing
2
Con possibilità di miglioramento ambientale
Qualità ambientale Visitatori
Marketing Investimenti in qualità ambientale
3
Con possibile sviluppo di infrastrutture
Qualità ambientale Visitatori Infrastrutture
Marketing Investimenti in qualità ambientale Attrattività (“artificiale”)
Modello
3. Modelli dinamici per il servizio ricreativo di aree protette (siti Natura2000) Di seguito si presentano tre modelli con complessità crescente e le relative considerazioni ricavabili dall'interazione con ciascuno. Questi modelli sono stati sviluppati con VENSIM© (nella versione gratuita PLE) e resi accessibili e interattivi nella piattaforma Insight Maker. Si invita il lettore a “giocare” con i modelli (entrando nella piattaforma Insight Maker³), infatti solo “giocando” a modificare le variabili⁴ e osservando le possibili conseguenze si può comprendere le dinamiche in gioco e apprezzare la potenzialità del metodo.
3.1. Modello 1 In questo e nei seguenti modelli le variabili sono definite in termini essenzialmente qualitativi, in cui la scala numerica è da intendersi come scala ad intervalli o scala ordinale (per qui è possibile stabilire una relazione di maggioranza/minoranza tra due valori o classi ma non è definita l'esatta distanza tra le classi di valore). In questo modello semplificato, la massima biodiversità e la massima qualità ambientale sono intese come presenza del 100% delle specie potenziali per la specifica area. La definizione di stress ambientale in funzione di visitatori e di qualità ambientale indica che l'impatto dei visitatori (a
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parità di numero) dipende anche dal livello di qualità ambientale, in altre parole, lo stress ambientale è maggiore se uno stesso numero di visitatori entra in un sito con la massima qualità ambientale rispetto a un sito già degradato. Il numero di visitatori è posto inizialmente a 0 e oscilla intorno a un livello di equilibrio dipendente dal successo del marketing e dalla qualità ambientale, realizzando il circuito di feedback negativo (stabilizzante), fig.5. I valori dei grafici ovviamente non sono numeri realistici, è importante sottolineare che le variabili possono essere calibrate con dati reali ma anche che con valori diversi, in genere, non cambia la dinamica del sistema.
Fig. 4 Diagramma stock-flussi del modello 1, idoneo a rappresentare il servizio di valore ricreativo di un'area protetta remota e con ridotta presenza antropica.
NOTA BENE: Per brevità non sono riportate tutte le caratteristiche del modello, per questo e quelli successivi si rimanda al Report del progetto LIFE⁵ (con tutte le specifiche dei modelli in Vensim) o al portale Insight Maker .
fig.5: Dinamica delle principali variabili, in un sistema all'equilibrio (modello 1).
Time (Year)
Qualità ambientale
quality tourist
tourist
quality
Visitatori
Stress ambientale
Time (Year)
Time (Year)
Tramite la simulazione si può considerare cosa potrebbe succedere se la capacità di rigenerazione diminuisse o se il tasso di degradazione aumentasse, ad esempio per cause “naturali” o eventi esterni (come un declino della biodiversità o aumento del tasso di degradazione a causa del cambiamento climatico). La simulazione del modello con variazioni “esplorative” nei valori delle variabili, fig.6, mostra come il sistema raggiunga un equilibrio con un minore numero di visitatori.
Qualità ambientale
tourist
quality
Visitatori
Fig.6: possibili cambiamenti nelle dinamiche per cause “naturali”: diminuzione della biodiversità locale (linea blu), aumento del tasso di degradazione (linea rossa).
Time (Year)
Time (Year)
La dinamica della qualità ambientale e de––l numero di visitatori può cambiare anche in funzione delle variabili gestionali. Al raddoppio del marketing (es. campagna pubblicitaria) diminuisce la qualità ambientale (di circa 50%), ma il numero di visitatori non aumenta proporzionalmente, anzi, dopo una più ampia oscillazione i valori si assestano a livelli analoghi del modello di partenza. Visitatori
tourist
quality
Qualità ambientale
Fig.7: dinamica di Qualità ambientale e Visitatori in scenari con diversi livelli di marketing (x2 e x5).
Time (Year)
Time (Year)
81
Fig 8: diagramma stock-flussi del modello 2: rappresenta il servizio di valore ricreativo 3.2. Modello 2 per aree naturali con possibilità di miglioramento ambientale. In questo modello si considerano gli investimenti in qualità ambientale (es. manutenzione, ripristino ambientale o compensazione degli impatti turistici), generati dal reinvestimento di parte dei ricavi ottenuti dalle spese dei turisti/visitatori nell'area. Un ulteriore nuovo elemento rispetto al precedente modello è la variabile limite di congestione (numero di altri visitatori “tollerati” dal singolo visitatore) che limita l'attrattività, non più dipendente solamente dalla qualità ambientale. Il limite di congestione potrebbe essere diversificato per tipo di area e per tipo di visitatori (più o meno “sensibili” o esigenti), ma in questa sede è più rilevante la semplicità di modellazione che il dettaglio o realismo del modello. Anche in questo caso i valori sono puramente fittizi, ma potrebbero essere integrati e calibrati con indagini sul campo. Fig 9: dinamica della qualità ambientale nel modello 2 (destra) rispetto al precedente modello 1 (sinistra).
quality
Qualità ambientale
quality
Qualità ambientale
Time (Year)
3.2.1. Considerazioni utili dal modello 2 Gli investimenti in qualità ambientale parzialmente compensano l'impatto negativo dei visitatori sulla qualità ambientale. Come mostrato in , questa variabile raggiunge un equilibrio più alto che nel modello precedente. Analogamente a sopra, è interessante simulare
Time (Year)
scenari in cui s'ipotizzano modifiche nelle variabili gestionali. Ad esempio, se si raddoppia lo sforzo di marketing la qualità ambientale decresce, ma a differenza del precedente modello, qui la diminuzione è minore, perché compensata dai miglioramenti indotti dai maggiori investimenti (conseguenti al maggior numero di visitatori). Un
altro elemento interessante è la relazione tra qualità ambientale e frazione reinvestita, si osserva che oltre un certo tasso di investimento la qualità ambientale potrebbe addirittura superare quella iniziale (se non era già la massima).
Fig. 10: dinamiche della qualità ambientale e del numero di visitatori nel Modello 2, al variare del marketing e del tasso di reinvestimento. Qualità ambientale
qualità
visitatori
Visitatori
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Fotografia di L. Chistè
Questo modello include diverse variabili che possono orientare le strategie di gestione e/o di sviluppo locale. Ad esempio, considerando possibili interventi su investimenti, spesa per il visitatore e marketing, il modello presentato per-
mette di rispondere a domande del tipo: quale strategia aumenta maggiormente il volume di affari e a quale prezzo per la qualità ambientale? Nel modello 2, la strategia migliore appare quella di aumentare la spesa per visitatore: aumenta la
qualità ambientale (con un impatto identico a quello derivante dall'opzione di raddoppiare il tasso di re-investimento dei ricavi) e aumentano i ricavi (a patto di mantenere le altre variabili invariate).
Fig. 11: possibili conseguenze su qualità ambientale e volume d'affari delle opzioni: raddoppio tasso di reinvestimento dei ricavi, raddoppio spese per visitatore, raddoppio del marketing, rispetto al modello 2 di base. Volume d’affari
$
qualità
Qualità ambientale
3.3. Modello 3 Come accennato sopra, in alcuni situazioni può verificarsi che il numero di visitatori sia funzione solo di interventi esterni, ad esempio investimenti sull'attrattività e azioni di marketing che diventa attrattività “costruita” in sostituzione di quella “naturale” (vedasi i “parchi avventura” o simili). Quando si verifica questo disaccoppiamento tra visitatori e qualità ambientale il sistema tende inesorabilmente ad erodere la qualità ambientale. La dinamica della qualità ambientale si può aggravare se allo stress
ambientale dovuto al numero di visitatori e di strutture si aggiunge quello di una popolazione locale crescente (es. motivato da posti di lavoro). Di seguito si mostra un modello di sistema senza la variabile popolazione, poiché le dinamiche sono analoghe.
Fig. 12: Modello 3, rappresenta un sistema di area protetta con possibile sviluppo di infrastrutture, in cui strutture e visitatori sono connesse da un feedback positivo ma questi non sono influenzati dalla qualità ambientale.
Nel modello 3 si considera la variabile strutture, definita in termini di numero di visitatori equivalenti o posti letto o di spazi ricreativi attrezzati per visitatore. La variabile attrattività è approssimata come numero di posti liberi (differenza tra quelli disponibili o ricettività e numero di visitatori), assumendo che un numero maggiore di spazi liberi sia maggiormente attrattivo. Tale assunzione è rafforzata dal fatto che un numero maggiore di posti/servizi liberi corrisponde facilmente ad
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un numero relativamente maggiore di fornitori di posti/servizi e/o un maggior sforzo di marketing per aumentare la attrattività (e per vendere i posti liberi). Ciascun visitatore e ciascuna struttura determina un proprio impatto specifico che si somma nel generare lo stress ambientale. Dalla simulazione si può vedere come le strutture possono crescere indefinitamente fino ad azzerare la qualità ambientale.
Fig. 13: dinamica del servizio ricreativo nei due diversi modelli e sistemi: nel modello 3 la variabile qualità ambientale diminuisce fino ad azzerarsi.
3.4. Considerazioni utili dal modello 3 La struttura del modello rende evidente le possibili dinamiche tra le variabili in gioco. Nel caso specifico il modello 3 mostra una dinamica non sostenibile della fruizione ricreativa, quando questa non è legata ad investimenti per il mantenimento e/o miglioramento ambientale, in altre parole, in assenza di un feedback negativo che stabilizzi il sistema. 4. Discussione e conclusioni La modellazione dinamica sembra avere un enorme potenziale per rappresentare e comprendere meglio la complessità dei processi in gioco nell'erogazione di servizi ecosistemici e nella loro gestione, soprattutto se i modelli sono sviluppati in modo partecipativo (Chen et al., 2014; Stave, 2002). Le applicazioni qui brevemente presentate, pur ancora in fase di sviluppo, per il servizio ecosistemico di valore ricreativo forniscono già delle utili analisi per gestori di siti Natura2000. Anche se singolarmente intuitive, l'insieme di considerazioni che possono emergere dall'interazione (simulazione) con il modello possono significativamente migliorare le mappe mentali dei decisori e degli stakeholder e orientare efficacemente piani e azioni. Alcuni feedback di sistema o processi non possono essere totalmente controllati (es. aumento del tasso di degradazione per cause “naturali” vedi modello 1, o effetto congestione, vedi modello 2), altri sono al centro di questioni puramente gestionali (come gli investimenti in manutenzione ambientale). Entrambi i tipi di processi dovrebbero essere considerati, almeno qualitativamente, per impostare politiche efficaci di gestione sostenibile. La piattaforma web di Insight Maker risulta essere un promettente mezzo di apprendimento e approfondimento, oltre che di modellazione e di
Visitatori
visitatori
qualità
Qualità ambientale
simulazione. Ovviamente altri passi, successivi alla modellazione mostrata qui, sono necessari per giungere ad una traduzione di queste insight, o “illuminazioni”, in strategie e azioni (Hovmand, 2014). Ciascun modello dovrebbe essere integrato da informazioni e dati raccolti localmente e validato da un processo di verifica delle assunzioni di partenza e dei risultati finali. La modellazione dinamica, d'altra parte, permette anche di individuare quali variabili esplorare meglio, quindi dove indirizzare gli sforzi di indagine locale. In conclusione, la simulazione di scenari e la visualizzazione immediata delle possibili conseguenze
può aiutare un'efficace comunicazione e facilitare un'informata discussione tra gli stakeholder. L'attenzione alla variabile temporale, tipica dei modelli dinamici, può contribuire a diffondere tra gli stessi decisori e stakeholder una prospettiva di medio e lungo periodo(Hjorth and Bagheri, 2006). Costruendo modelli di sé stessa, la comunità locale diventa un “sistema anticipativo” (Scolozzi and Poli, 2015), in grado di indirizzarsi verso una governance (Boyd et al., 2015) capace di anticipare e gestire i cambiamenti in atto e in arrivo, anziché subirli.
Note 1. LIFE+ Making Good Natura - Making public Good provision the core business of Natura 2000 - www.lifemgnserviziecosistemici.eu 2. Insight Maker | Free Simulation and Modeling in your Browser - https://insightmaker.com/ 3. Entrando nel sito insightmaker.com, cercando in Explore Insights la parola “SentieriUrbani2016”, si può accedere ai modelli, seguire la presentazione facendo click su View Story (in basso a sinistra) e seguendone i passi con Step Forward. 4. Per modificare le variabili e simularne le conseguenze si modificano i valori delle variabili muovendo il relativo cursore (a destra), poi si clicca su Simulate (in alto). 5.www.lifemgn-serviziecosistemici.eu/IT/Documents/ doc_mgn/LIFE+MGN_Report_B10.3.pdf
Fortmann-Roe, S., 2014. Insight Maker: A generalpurpose tool for web-based modeling & simulation. Simul. Model. Pract. Theory 47, 2845. doi:10.1016/j.simpat.2014.03.013 Hjorth, P., Bagheri, A., 2006. Navigating towards sustainable development: A system dynamics approach. Futures 38, 7492. Holling, C.S., 2001. Understanding the Complexity ag. 5, 421447.of Economic, Ecological, and Social Systems. Ecosystems 4, 390405. doi:10.1007/s10021-001-0101-5 Hovmand, P.S., 2014. Group model building and comm ag. 5, 421447.unity-based system dynamics process, in: Community Based System Dynamics. Springer, pp. 1730. Rouwette, E.A.J.A., Vennix, J.A.M., Thijssen, C.M., 2000. Group Model Building: A Decision Room Approach 31, 359379. doi:10.1177/104687810003100303 Rouwette, E.A., Vennix, J.A., Mullekom, T. van, 2002. Group model building effectiveness: a review of assessment studies. Syst. Dyn. Rev. 18, 545. Scolozzi, R., Poli, R., 2015. System dynamics education: becoming part of anticipatory systems. Horiz. 23, 107118. doi:10.1108/OTH-02-2015-0008 Stave, K.A., 2002. Using system dynami ag. 5, 421447.cs to improve public participation in environmental decisions. Syst. Dyn. Rev. 18, 139167. Steffen, W., Crutzen, P.J., McNeill, J.R., 2007. The Anthropocene: are humans now overwhelming the great forces of nature. Ambio J. Hum. Environ. 36, 614621. Sterman, J.D., 2002. All models are wrong: reflections on becoming a systems scientist. Syst. Dyn. Rev. 18, 501531. doi:10.1002/sdr.261 Videira, N., Antunes, P., Santos, R., Gamito, S., 2003. Participatory modelling in environmental decisionmaking: the ria Formosa natural park case study. J. Environ. Assess. Policy Manag. 5, 421447.
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Fotografia di L. Chistè
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IDENTITÀ E FUTURO DELLA CITTÀ ALPINA
Imparare da New Orleans: La costruzione di strategie resilienti per ecosistemi urbani di Marcella Del Signore, Cordula Roser Gray*
Il mondo si sta trasformando rapidamente a causa di eventi disastrosi che velocemente ridefiniscono gli scenari urbani. In contesti postcatastrofe, diseguaglianze, instabilità sociali, politiche, economiche e culturali vengono notevolmente aumentati e portati all'estremo tanto da richiedere una forte risposta che agisca attraverso una varietà di scale e azioni coordinate (Tierney, 2014). La resilienza sociale è spesso definita come 'la capacità di riorganizzare le risorse e le azioni per rispondere al pericolo reale, dopo che si verifica' (Wildavsky, 1988) o come la capacità di gruppi o comunità di far fronte alle sollecitazioni esterne e disturbi come conseguenza del cambiamento sociale, politico e ambientale (Adger, 2000). Contrariamente alla percezione generale, questo articolo si propone di dimostrare come contesti urbani postcatastrofe possano essere in realtà identificati come catalizzatori per il recupero e innovazione utilizzando i principi di adattamento e resilienza.
*Marcella Del Signore, Cordula Roser Gray, Tulane University New Orleans USA
La costruzione di reti sociali fornisce in primo luogo un fondamento importante per le comunità, non solo per sopravvivere, ma per ritrovare la loro vitalità in situazioni post-catastrofe. L'integrità strutturale di una rete di persone è più difficile da distruggere di quella di uno spazio fisico. Il concetto di resilienza è strettamente
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legato alle persone e i luoghi che abitano. Queste relazioni possono essere costruite attraverso una varietà di sistemi e scale, sia fisiche che temporali. Il concetto di spazio condiviso, l'attaccamento al proprio luogo e cultura permette in ultima analisi la facilitazione della condivisione delle risorse per far si che diventi elemento fondamentale per garantire la resilienza. Obrist et al. (2010) definisce la resilienza sociale "come la capacità degli attori di trovare supporti economici al fine di - non solo affrontare e adattarsi alle condizioni avverse (cioè, la capacità reattiva) - ma anche ricercare e creare le opzioni (cioè, la capacità proattiva) e quindi sviluppare una maggiore competenza (cioè, risultati positivi) nel trattare una minaccia ". New Orleans nel post-Katrina è una città che ha subito un lungo processo di ridefinizione delle sue strutture e dei sistemi sociali al fine di far emergere nuove forme urbane. La "capacità di adattamento", "auto-organizzazione", "diversità", "trasformabilità", e "resilienza", divengono fattori importanti per catalizzare processi postcatastrofe (Dietz, Ostrom, Stren, 2003; Grimm, Redman, 2004). Dal 2005 New Orleans è stato un terreno fertile per promuovere scenari connessi all'uso efficiente delle risorse per il recupero, la trasforma-
Fig.1: New Orleans e Costa del Mississippi durante l'uragano Katrina, 2005
zione, e l'innovazione urbana (Campanella, Gotham, 2013). Dichiarato come uno dei peggiori disastri naturali della storia americana, Katrina ha completamente ridisegnato l'immagine della città e le sue forme di insediamento. Con milioni di dollari di danni, con lo spostamento della stragrande maggioranza della popolazione, e il drammatico cambiamento degli equilibri naturali, la città ha affrontato la sfida di ridefinire costantemente il proprio territorio. (Fig.1). La serie di casi di studio presentati nella sezione seguente sono stati scelti come interventi-prototipo capaci di agire come sistemi catalizzatori di resilienza. Le strategie di sviluppo post-Katrina hanno supportato numerosi progetti sia a scala architettonica che urbana, tra i quali piani di ricostruzione locali e regionali. Partendo dalla necessità di ricostruire la città dallo spazio pubblico come tessuto connettivo, vengono qui presentati una serie di casi studio che variano dalla scala micro a quella macro, passando attraverso l'implementazione di strategie inter-scalari. In forme diverse, i casi studio indagano categorie progettuali che a New Orleans durante il postKatrina diventano elementi per valutare sistemi resilienti. Situati in zone sotto-privilegiate della città, i progetti presentati esemplificano come contributi dal basso, supportati attraverso strategie di macro-scala, se gestiti correttamente possono diventare motori di rigenerazione e riattivazione della comunità.
1. Hollygrove Farm e Market (HGM&F) Situato in un quartiere gravemente danneggiato dall'uragano Katrina, HGM&F nasce dalla volontà della comunità di costruire un'area in grado di produrre cibo fresco in una zona della città da tempo abbandonata e parte di quello che negli Stati Uniti è chiamato “Food desert” (Fig.2). Il progetto ruota intorno alla rivitalizzazione e recupero del quartiere partendo proprio dall'obiettivo di dare accessibilità a tutti al cibo sano e prodotto localmente con lo scopo di costruire una rete di orti comunitari e superfici verdi produttive passando attraverso il biorisanamento del suolo, la filtrazione di sostanze tossiche e la promozione di ecologie locali per sup-
Fig. 2: Hollygrove Farm e Market (HGM&F)
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portare la produzione alimentare di piccola scala. HGM&F dimostra le sinergie possibili tra la sicurezza alimentare, la tutela dell'ambiente e la promozione della crescita urbana sostenibile. Il progetto è stato iniziato attraverso la costruzione di un piccolo padiglione e spazio pubblico a servizio del quartiere concepito come nodo principale per la costruzione del 'food network'. Attualmente HGM&F è un centro di produzione di cibo sano e locale che serve sia il quartiere dove è localizzato che tutta la zona sud della città di New Orleans. 2. JPNSI- Jane Place In una città come New Orleans dove le inefficienze del governo locale connesse al degrado sono sempre state una costante, le strategie di densificazione dell'ambiente costruito sono considerate un mezzo importante per costruire la resilienza (Berke / Campanella 2006 – planning for post-disaster resiliency). JPNSI è una iniziativa nata con lo scopo di generare alloggi a basso costo connessi allo sviluppo della comunità locale per creare quartieri economicamente sostenibili attraverso il modello di “Land Trust” (o territorio partecipato) per promuovere la gestione di un territorio responsabilmente e equamente sviluppato (Fig.3). Un contributo del “LandTrust” del territorio comunitario, una partnership con gruppi non-profit, e unità abitative a prezzi accessibili, sono state le forze trainanti dell'iniziativa. Conseguentemente queste strategie hanno promosso la proliferazione di una rete di partner e organizzazioni che hanno permesso il nascere di comunità locali che hanno
Fig.3: JPNSI - Jane Place Neighborhood Sustainability Initiative
supportato la costruzione del quartiere dal medio al lungo termine. 3. A.L.DAVIS Park L'esperienza ha dimostrato che il rinserimento di comunità all'interno del loro contesto culturale e sociale porta ad una ripresa più rapida in scenari post-catastrofe. Nel modello di “ciclo adattativo”, Holling (1986) identifica questo periodo come il più vulnerabile ma allo stesso tempo come occasione che offre più opportunità di cambiamento a lungo termine. Il progetto per A.L. Davis Park rappresenta proprio questo: un modello in grado di dare importanza alla comunità come forza trainante dello sviluppo urbano. Il parco si trova in un quartiere della città di New Orleans profondamente segnato dallo spopolamento ma allo stesso tempo luogo di importanza storica per l'identità e la crescita della cultura Afro-americana. Il progetto è immaginato attraverso fasi di sviluppo che includono diverse strategie di finanziamento (sovvenzioni regionali, federali, e fondi della città) e pensato come una piattaforma urbana completamente accessibile alla comunità in grado di includere funzioni multiple di quartiere (Fig.4). Attraverso il supporto dei residenti in collaborazione con le agenzie della città, come ad esempio l'Autorità di New Orleans di Recupero Urbano (NORA), il parco è attualmente in fase di costruzione. Il processo di progettazione ha incluso numerosi sforzi di sensibilizzazione e il programma stesso assorbe suggerimenti relativi alle attività e infrastrutture per il parco da
parte delle comunità locali, prendendo in considerazione le differenze razziali e le sfide socioeconomiche per rigenerare un ecosistema sociale attivo. 4. L9 – Centro di ricerca ambientale Il Centro di ricerca ambientale L9 propone la leadership delle comunità locali attraverso la promozione di una serie di iniziative che permettono ai visitatori di connettersi con loro ambiente naturale. Con la rottura del sistema di dighe dopo Katrina, il quartiere del Lower 9th Ward, situato tra il fiume Mississippi e il Canale Industriale, è stato praticamente devastato e la sua popolazione decimata. Il centro L9 ha lo scopo di diventare una destinazione a livello regionale e
Fig.4: A.L. Davis Park
un incubatore economico per un quartiere, che come quello del Lower 9th, è in fase di recupero e di ripopolamento (Fig.5). Il sito è strategicamente situato in una zona distrutta dall'intrusione di acqua salata artificiale dal Golfo del Messico, al margine più basso del Lower 9th Ward. Il nuovo centro ha la visione di attrarre sia visitatori che residenti locali, fornendo l'accesso a programmi di formazione e ricerca legati agli ecosistemi locali, come ad esempio la gestione del sistema delle acque, dei sistemi naturali ed ecologici. Parte della connessione tra l'edificio e l'ambiente costruito comprende la creazione di un bacino d'acqua protetto che funzionerà come sistema di depurazione e di gestione dell'ecosistema unito a componenti programmatiche. La visione del progetto consiste nel trasformare e recuperare attraverso l'inserimento di programmi catalizzatori un'area della città profondamente colpita dal cambiamento del suo ecosistema per ristabilire un equilibrio sia sociale che ambientale di lungo termine. 5. C.S. Spazio Codificato-Recupero infrastrutturale C.S. esplora l'applicazione di un codice spaziale/programmatico replicabile al fine di generare una strategia per la rivitalizzazione di spazi vuoti e abbandonati che sono parte dell'asse infrastrutturale della città di New Orleans. Utilizzando un sistema multi-scalare per collegare componenti spaziali sia macro che micro, lo script urbano permette la realizzazione sistematica di una molteplicità di programmi suddivisi in categorie di scambio, di attività ricreative e infrastrutturali-
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Fig.5: L9 – Centro di ricerca ambientale
eterogenee, collaborative, e funzionalmente ridondanti, con una capacità di risposta ottenuta attraverso la ripetizione, l'intercambiabilità, e le interconnessioni inter-scalari" (Campanella, Gotham, 2011; Godschalk, 2003). Il miglioramento sta nella potenzialità di generare scenari che sviluppino una capacità di apprendimento, autoorganizzazione, e attraverso il processo di rinnovamento, trovare una connessione tra micro e macro dinamiche urbane.
produttive (Fig.6). Il macro-sistema è generato attraverso la ripetizione di elementi programmabili legati a tessuti connettivi che possono essere modificati o combinati a seconda del sito. Il micro-sistema è generato mediante una combinazione di tre categorie spaziali (suolo, connettori verticali e copertura) che funzionano come elementi flessibili in grado di assorbire e adattarsi alle forze esterne. Il progetto promuove una forte interazione tra i residenti e il nuovo spazio pubblico, attraverso la scala che va da piccoli orti comunitari alle grandi aree ricreative e percorsi connettivi, cercando di migliorare in modo significativo lo spazio civico legato alle infrastrutture. Questa nuova tipologia di spazio pubblico, progettato per agire simultaneamen-
te come risorsa della comunità e dei nuovi sistemi comunitari legati alle infrastrutture esistenti, si propone come sistema che agisce in modo inter-scalere per il recupero infrastrutturale post-catastrofe. Conclusione Imparando da New Orleans durante il postKatrina e il suo processo di rinnovamento urbano, questo articolo mira a fornire un punto di vista su come risposte architettoniche a diversa scala possano diventare una forza trainante per la creazione di strategie integrate di resilienza, tenendo conto di parametri come contesto, ecosistemi sociali, e aspetti socio-culturali. "Nei sistemi resilienti, le reti sono interdipendenti,
Fig.6:C.S. Spazio Codificato
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LA RECENSIONE
Chris Reed & Nina-Marie Lister
Projective Ecologies
Editore: Actar, dicembre 2014, pp. 288 recensione di Gaia Sgaramella
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Projective è un termine che letteralmente significa proiettivo, aggettivo che indica produzione d'immagini indirette partendo da un elemento d'origine, in questo caso l'Ecologia. Gli stessi autori del libro Chris Reed e Nina-Marie Lister sostengono che questo sia un termine suggestivo ma altrettanto importante, poiché permette di riconoscere la natura costruita dai modelli ecologici, ossia gli aspetti fisici e dinamici del mondo naturale, e allo stesso tempo i limiti che la scienza ha, separando l'osservatore dai fenomeni osservati. Il libro si pone come conclusione di un percorso di ricerca di molti anni alla Harvard Graduate School of Design (GSD), spiegando il ruolo contemporaneo dell'ecologia attraverso le discipline legate alla progettazione e alla pianificazione. Attraverso vari contributi vengono descritte le pluralità e le potenzialità progettuali dei modelli biologici nella cultura del disegno urbano e territoriale. I saggi riportati nel testo, sono principalmente contributi teorici, alcuni di questi storicamente hanno posto le basi per un dialogo tra la cultura del progetto e l'analisi ambientale, come il saggio tratto dalla landscape ecology di R.T. Forman del 2008. Meno ampio invece, anche se centrale, è lo spazio dedicato ai casi studio applicativi, dove si evince la relazione fisica e creativa che intercorre tra progetto e ambiente. Con un occhio critico sulla storia della progettazione legata all'ecologia e pensando a nuove opportunità per il design, gli autori racchiudono in cinque sezioni gli aspetti legati ai comportamenti dei sistemi ambientali, catalogando in queste i vari contributi che si prestano a tali processi. Questi sono: "Dynamics" concetto di movimento di non staticità dei processi dati dalla complessità dei sistemi viventi; "Succession" diretta o ciclica, se integrata nel progetto aggiunge valore all'esito, introducendo il tempo come quarta dimensione progettuale; "Emergence" concetto di affermazione graduale nei sistemi complessi, che per loro natura sono caratterizzati da effetti che possono attuarsi in maniera immediata o lenta; "Resilience" come abilità di un ecosistema di resistere e assorbire gli effetti di qualcosa di imprevedibile mantenendo la maggior parte delle sue strutture e funzioni; "Adaptability" come capacità di adattarsi alle dinamiche degli ecosistemi ed attitudine ai cambiamenti che nella complessità generale dei sistemi è richiesta. Attraverso queste sezioni, particolarmente attenta è la riflessione sulla confusione disciplinare legata all'utilizzo dell'ecologia come scienza promiscua che parte dalla biologia, si afferma
«There is a growing recognition that what is needed are more flexible, adaptive approaches to managing human activities and designing within the systems that sustain us-and this is the overarching implication of the paradigm shift in ecology that is upon us.»
come scienza autonoma ed infine viene adottata nella riflessione generale di molte altre discipline nate nel ventunesimo secolo. L'ecologia del paesaggio, l'ecologia urbana, l'ecologia applicata, l'ecologia evolutiva, sono solo alcune delle discipline che continuano ad alimentare il nostro pensiero con l'idea che esistono varie interrelazioni tra il mondo naturale, culturale, sperimentale e umano. Il libro attraverso queste discipline indaga su un'idea di conoscenza e di proiezione dello spazio attraverso le diverse interpretazioni che l'ecologia offre. Saggi e progetti mostrano una pluralità in cui la proiettività delle ecologie prende forma in uno spettro ricco di discipline, mentre disegni e diagrammi riportati racchiudono nella rappresentazione l'origine che l'ecologia rappresenta nella cultura del progetto contemporaneo, facendo emergere le caratteristiche di dinamismo, successione, resilienza, adattabilità e lenta processualità in cui il libro si articola. Come sostiene James Corner, i processi nel quale si inseriscono l'ecologia e la creatività legata alla progettazione, sono centrali per l'architettura del paesaggio. Questi processi sono in continuo divenire, non c'è finale, non ci sono grandi schemi per questi agenti di cambiamento, solo una direzionalità cumulativa che si protrae nel tempo verso un futuro in divenire. Sarà in questo senso produttivo e attivo che l'ecologia e la creatività creeranno movimento, passaggio, genesi e azioni propulsive che si alimenteranno nel tempo, non agendo per fissare rigide realtà. L'ecologia è una scienza transdisciplinare che nasce nel ventesimo secolo e si sofferma sulle complesse relazioni che si stabiliscono tra gli organismi biotici, abiotici e il loro ambiente. Col tempo, le influenze date dall'affermazione dell'esistenza di un nuovo spazio funzionale, l'ecosistema, non si limitarono alle scienze naturali, infatti la diffusione di questa nuova visione del mondo, ebbe notevoli implicazioni nelle letture e scritture dell'ambito umanistico, con riverbero della stessa intensità anche in altri campi. Tra questi in primis ritroviamo le discipline di pianificazione e governance territoriale dove si manifestò una tendenza dominante del movimento ambientalista. Da qui in queste discipline diverrà centrale nella progettazione l'utilizzo di sistemi complessi adattivi, dove il paesaggio verrà riscoperto non solo come modello ma anche come mezzo per progettare. É proprio rispetto a questi processi iniziali che gli autori decidono di distinguere, rispetto al percorso storico nell'ultima parte del ventesimo secolo, tre genealogie dell'ecologia, che si svilupperanno
in parallelo nelle scienze naturali, in quelle umanistiche e nelle discipline progettuali. Le scienze naturali articolano l'ecologia in: ecologia strutturale, ecologia funzionale ed ecologia evolutiva. L'ecologia degli ecosistemi interpreta le unità funzionali come sistemi aperti che si organizzano autonomamente nella loro imprevedibilità, caratterizzati da incertezza e dinamismo. La ricerca trasversale di questo settore a grande scala, mostra come questi ecosistemi dipendano da processi di crescita e cambiamento continui che difficilmente possono essere sempre previsti da strumenti GIS che mappano e modellano dati complessi, per questo si agisce anche con l'ecologia applicata sul campo, rivolta alla risoluzione di urgenti problemi ambientali. La sfida del paradigma ecologico si sposta ad un certo punto dall'idea di poter gestire e controllare gli ecosistemi, al comprendere cosa sarebbe possibile fare semplicemente stando attenti all'attività e all'azione umana. Questo ovviamente si ripercuote sul modo di progettare e di gestire i vari approcci legati ad interventi sull'ambiente che ci circonda. Il tradizionale approccio di gestione e controllo secondo strategie ingegneristiche basate su un approccio riduzionista dei sistemi viventi, non funziona. Ciò di cui si ha bisogno è di un approccio più flessibile e adattivo per gestire le attività umane e per progettare all'interno dei sistemi ambientali, puntando ad un'implicazione onnicomprensiva del paradigma ecologico. Ciò implica che i progettisti avranno molto di più da fare, soffermandosi anche su una sfera più umanistica dell'ecologia. L'idea che prende piede in ambito umanistico con Daniel Botkin è quella di prendere atto di questa nuova immagine scientifica del mondo con i suoi principi di ordine e di controllo. Il progetto sarà esito di una diretta connessione tra l'indagine scientifica, le idee culturali e la gestione e la pianificazione delle parti nel dinamismo dell'ambiente naturale. Centrale è il concetto che se noi siamo fisicamente e biologicamente legati al mondo naturale e finché le nostre azioni hanno un impatto distinto con qualche riverbero nel mondo attorno a noi, c'è ancora qualcosa di incontrollabile che è sempre oltre la comprensione delle capacità umane. L'imprevedibilità del naturale, come eventi occasionali quali i terremoti, è qualcosa che diviene importante per definire e gestire ciò che esiste, oltre che richiedere più attenzione per la sua elusività in caso di presenza e di interventi dell'uomo. Le nuove idee sull'interazione tra la natura e l'uomo devono essere formulate per un migliore accordo con l'ambiente naturale
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instabile, cercando soluzioni legate agli impatti sull'ambiente e sulla salute umana e riflettendo sulla larga struttura dei comportamenti nel mondo, una rete che è anche molto politica ed economica oltre ad essere ecologica e scientifica. Nelle pratiche della progettazione infine, nell'idea contemporanea dell'ecologia e della pianificazione può essere tracciato il lavoro di McHarg nel quale l'analisi e la gestione delle risorse naturali vengono in maniera metodica rese oggettive nelle componenti del paesaggio, come qualcosa di semplice da mappare e quantificare. Questo metodo fu supportato dagli ambientalisti, dai pianificatori e dalle comunità, cambiando l'approccio del progettista nei confronti dei sistemi naturali. Con Forman, nella Landscape Ecology, si avrà invece una nuova lettura e comprensione dei sistemi ambientali attraverso una nuova terminologia basata sui concetti di matrici, reti e networks caratterizzati da vicinanze, sovrapposizioni e giustapposizioni. Questi approcci ormai consolidati permettono una gestione a lungo termine semplificata, oltre che molteplici esiti e strategie attente alla scala del paesaggio. Oggi ci sono nuovi modelli e tecniche di rappresentazione che offrono un percorso attraverso l'esplorazione e la sperimentazione, con la modellazione dei flussi, creando una piattaforma utile per programmare e rappresentare i cambiamenti ed i processi ambientali. Ma in questo senso sono pochi sono i progettisti che lavorano con questo tipo di pratiche direzionate verso l'esplorazione di nuovi sistemi che permettono anche di comunicare in gruppi disciplinari misti. Projective Ecologies ha proprio questo obiettivo. Come sostiene lo stesso Charles Waldheim, a lungo termine questa idea proiettiva di ecologia spera di andare oltre ciò che è già pienamente consolidato, presentando un nuovo framework in cui il pensiero si articola in nuove sinergie e in un network fertile tra le varie discipline, per sperimentare una nuova progettazione legata al dinamico mondo naturale. Cosi attraverso varie sezioni, i saggi presentati mostrano l'ecologia come mediatore del pensiero nei cambiamenti e nella rappresentazione, diventando guida e strumento di un'innovazione che può essere frutto dei limiti che la natura ci impone.
LIBRI
La biblioteca dell’Urbanista
a cura di Daria Pizzini
Valeria Erba, Stella Agostini, Mina Di Marino Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia
Filippo Schilleci Ambiente ed ecologia. Per una nuova visione del progetto territoriale
Carlo Ferrari, Giovanna Pezzi L'ecologia del paesaggio
2010, Maggioli Editore, 35 euro
2012, Franco Angeli Editore, 33 euro
2013, Il Mulino Editore, 13 euro
Come noto è la riduzione di suolo agricolo uno dei prezzi più alti da pagare per l'espansione edilizia incontrollata, e si sa, il suolo non è una risorsa inesauribile. Il volume propone strategie per una progettazione del territorio consapevole, riporta una sintesi della normativa di riferimento europea e alcuni esempi di regioni virtuose. Il Testo approfondisce nella prima parte l'ambito agricolo e introduce il tema dell'Equilibrio Agroambientale che si raggiunge con una stabilità fra il sistema rurale e una pianificazione del territorio capace di contenere gli insediamenti. La seconda parte del volume tratta in particolar modo le reti ecologiche, nate per fronteggiare la frammentazione del territorio provocata dall'urbanizzazione e infrastrutturazione a partire dagli anni Cinquanta. Il volume si chiude con alcune buone pratiche di riferimento e dedica un capitolo all'importanza di una lettura integrata degli strumenti urbanistici e delle conoscenze ecologiche e ambientali.
Il testo è composto da più scritti e contiene numerosi contributi di autori diversi al fine di fornire più approcci, punti di vista e metodologie per un progetto territoriale sostenibile. Il volume ripercorre il concetto di sviluppo sostenibile dalla presa di coscienza che il modo di rapportarsi con la natura da parte dell'uomo deve cambiare radicalmente per evitare di continuare ad apportare danni irreparabili alla Terra e conseguentemente all'uomo stesso, a un pensiero capace di considerare l'ambiente, nella sua più ampia accezione, come ambito fondamentale per chi si occupa di sviluppo e di progettazione del territorio. Il testo propone un excursus delle tappe fondamentali che hanno segnato il concetto di sviluppo sostenibile, dalla Conferenza dell'ONU sull'Ambiente tenutasi a Stoccolma nel 1972 ai giorni nostri e fa un grande sforzo di riflessione al fine di costruire strategie che lavorino per superare la separazione tra progettazione territoriale, progetto di paesaggio e approccio ecologicoambientale
Grazie alla capacità di sintesi degli autori, questo breve scritto, fornisce al lettore una visione d'insieme del tema. Dopo una rapida introduzione storica il testo propone l'idea di paesaggio come una rappresentazione degli elementi che compongono l'ambiente in cui viviamo, che in ecologia si configura come diversità ambientale e in tal senso assume un forte significato. Il paesaggio secondo gli autori appartiene a ogni essere vivente che ne fa un uso specifico delle risorse ambientali presenti, ad esempio il paesaggio di una farfalla è diverso da quello di un capriolo o da quello umano. Il testo introduce poi un concetto importante per l'ecologia e cioè che esistono nel paesaggio più tipi e livelli di scale: la scala di paesaggio umana è tale da influenzare tutti i paesaggi sottostanti, in buona sintesi quando l'uomo modifica il territorio nella sua diversità ambientale, lo modifica anche per tutti gli esseri che vivono a scale gerarchicamente inferiori.
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STUDIO BI QUATTRO
Allentare lo stress
abbottonando una camicia
by
TRENTO E RIVA DEL GARDA
TRENTO E ROVERETO
www.trentinostile.it
ROVERETO