Confronti inaspettati. Dai romanzi al patrimonio culturale vercellese

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CONFRONTI INASPETTATI Dai romanzi al patrimonio culturale vercellese

A cura dei volontari del Servizio Civile Nazionale della cittĂ di Vercelli 2017/2018 del progetto "La Cultura che non ti aspetti"

Copertina, grafica ed elaborazione immagini: Giulia Boscolo 1


Sara Agnelli - Museo Borgogna Alessandra Bertaglia - Ufficio Beni Culturali dell'Arcidiocesi di Vercelli Andrea Borlenghi - MAC, Museo Archeologico della cittĂ di Vercelli Giulia Boscolo - Biblioteca Civica del Comune di Vercelli Alessandra Cedone - Museo Leone Simone Cherubin - Biblioteca Civica del Comune di SanthiĂ Silvia Spagnoletti - Museo del Tesoro del Duomo

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INDICE

SALUTI

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HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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LE CHIAVI VOLANTI di Alessandra Cedone

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UNA PARTITA A SCACCHI TRA GEROLAMO INDUINO E HARRY POTTER di Sara Agnelli

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FRA POZIONI E BALSAMARI di Andrea Borlenghi

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CREATURE MAGICHE IN CITTÀ di Alessandra Bertaglia

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HARRY POTTER E LA PIETRA DI SAN BRANDANO di Silvia Spagnoletti

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GUIDA GALATTICA PER GLI AUTOSTOPPISTI di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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LE STRADE ROMANE di Alessandra Cedone

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SCIMMIE IN MUSEO, SCIMMIE NELLO SPAZIO di Sara Agnelli

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DELFINI PANGALATTICI di Andrea Borlenghi

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LUCE E OSCURITÀ NELLO SPAZIO di Alessandra Bertaglia

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42 È LA RISPOSTA DI #CONFRONTINASPETTATI di Silvia Spagnoletti

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ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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AL MUSEO LEONE LE POSSIBILI ARMI DEL DELITTO di Alessandra Cedone

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OMICIDIO: TRA LETTERATURA E ARTE di Sara Agnelli

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GIALLI ARCHEOLOGICI di Andrea Borlenghi

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LO SCANDIRE DEL TEMPO di Alessandra Bertaglia

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MONOGRAMMA INCONFONDIBILE di Silvia Spagnoletti

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I LOVE SHOPPING A NEW YORK di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

42

A PALAZZO LANGOSCO UN OGGETTO MIRA DI SHOPPING SFRENATO di Alessandra Cedone

44

SOLDI, SOLDI, SOLDI di Sara Agnelli

46

SPESE “FOLLIS” di Andrea Borlenghi

48

AD OGNI EPOCA LA SUA CITTÀ di Alessandra Bertaglia

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I LOVE SHOPPING AL MTD VERCELLI di Silvia Spagnoletti

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LA FABBRICA DI CIOCCOLATO di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

54

UN QUADRO, UOMINI INDAFFARATI E UN LABORATORIO di Alessandra Cedone

56

É ORA DI OSSERVERE di Sara Agnelli

58

AL MAC, TRA UMPA LUMPA E PIGMEI di Andrea Borlenghi

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DIVERSAMENTE ALTI, CON UN PIZZICO DI MALINCONIA di Alessandra Bertaglia

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I VIZI CAPITALI DELLA FABBRICA DI CIOCCOLATO di Silvia Spagnoletti

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IL PICCOLO PRINCIPE di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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PIANETI, VIAGGI, SPAZIO E ASTRONOMICUM di Alessandra Cedone

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PROFUMO DI ROSA di Sara Agnelli

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PICCOLE LAMPADE PER PICCOLI PRINCIPI di Andrea Borlenghi

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LA SIMBOLOGIA DEI FIORI di Alessandra Bertaglia

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ADDOMESTICAMENTO E ESORCISMO, DUE LATI DELLA STESSA MEDAGLIA di Silvia Spagnoletti

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LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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PALAZZO LANGOSCO E LE SUE PORCELLANE di Alessandra Cedone

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IL RITRATTO TRA ROMANZO E PITTURA di Sara Agnelli

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ORECCHINI PER TUTTI di Andrea Borlenghi

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UN’AMBIENTAZIONE NON SCONTATA di Alessandra Bertaglia

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IL TESTAMENTO, TRA ULTIME VOLONTÀ, LETTERATURA E ARTE di Silvia Spagnoletti

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RINGRAZIAMENTI

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SALUTI

Ciao! Siamo i nuovi volontari del Servizio Civile del progetto "La cultura che non ti aspetti". Quest'anno vogliamo stupirvi con una serie di appuntamenti che si propongono di coinvolgere realtà che meritano maggior considerazione perché han tanto da offrire, soprattutto ai giovani. Arcidiocesi, Biblioteche (Santhià e Vercelli) e Musei della città vi coinvolgeranno in un percorso che coniuga lettura e arte. Ogni primo del mese, a partire dal 1° febbraio, i volontari delle biblioteche proporranno testi di letteratura contemporanea che verranno interpretati da altrettante opere presenti nelle altre sedi coinvolte. La sfida degli altri volontari sarà di interpretare questi libri attraverso gli occhi dell'arte proponendo approfondimenti sulle opere scelte. Siete curiosi di scoprire quali capolavori faremo dialogare? Non perdetevi i post che usciranno sulle pagine FB e sui blog delle sedi del progetto e su quella ServizioCivileVercelli e non dimenticate di seguire l'hashtag #confrontinaspettati.
 La Sfida inizia il primo febbraio! Stay Tuned!

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HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Per il primo appuntamento con il progetto Confronti inaspettati. Dai romanzi al patrimonio culturale vercellese abbiamo deciso di proporre un cult generazionale: Harry Potter e la pietra filosofale di J.K. Rowling. Il romanzo è il primo della fortunata saga fantasy composta da sette libri, nel quale Harry, il protagonista, muove i suoi primi passi all'interno della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Come un Hercules moderno si troverà ad affrontare diverse "fatiche" per il trionfo del bene sul male e l'elemento cardine di questa prima avventura è la pietra filosofale. "Nella biblioteca era buio pesto e c'era un'atmosfera da brivido. Harry accese una lampada per vedere le file di libri. La lampada sembrava galleggiare a mezz'aria, e anche se Harry sapeva di reggerla lui col braccio, la sua vista gli faceva venire la pelle d'oca. Il Reparto Proibito era proprio in fondo alla biblioteca. Facendo molta attenzione e scavalcando il cordone che separava quei libri dal resto della biblioteca, Harry tenne alta la lampada per leggere i titoli." da Harry Potter e la pietra filosofale, Rowling, J.K., Milano, Salani Editore, 2001 Ora passiamo la parola ai nostri colleghi. Riusciranno a trovare nelle loro sedi delle opere legate a Harry Potter e al fantastico mondo della magia? Lo scopriremo a partire dal 5 febbraio! Stay tuned! Per saperne di più su Harry Potter e la pietra filosofale puoi cercare il libro in biblioteca! Biblioteca Civica di Vercelli - Sezione a Scaffale Aperto - Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: SA.823.ROW Biblioteca Civica di Vercelli - Sezione Ragazzi - Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: RAG.14.ROW Biblioteca di Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: 823.ROW

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LE CHIAVI VOLANTI di Alessandra Cedone

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Le chiavi volanti, così uniche ma mai esattamente identiche, sono molto importanti all’interno della storia, viste come una delle prove che Harry dovrà superare per il raggiungimento del fine ultimo, la Pietra Filosofale. Harry a cavallo di una scopa volante, soffocato da un turbinio di chiavi, dovrà riuscire a scovare l’unica di quelle chiavi con una sola ala, e quindi diversa da tutte, per poter passare all’ultima delle prove che lo attendono. Le chiavi della collezione di Camillo Leone presenti a Palazzo Langosco, sono in ferro battuto, curate con cera protettiva che le rende lucide e più ricche. Databili tra il XV sec. e il XIX sec., provenienti per lo più dal Piemonte, dalle forme e dimensioni differenti, spiccano per particolarità. Elementi di straordinario pregio artigianale sono le chiavi considerate “fuori misura”, dalla grandezza anormale, che non hanno un uso logistico ma prettamente estetico, esibite in bella mostra, appese alle pareti o poste su scaffali come soprammobili. Tutt’ora non si è ben sicuri di cosa aprano realmente, ma forse come per Harry, all’interno del romanzo, svelano un segreto che Leone ha lasciato da scoprire ai posteri.

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UNA PARTITA A SCACCHI TRA GEROLAMO INDUNO E HARRY POTTER di Sara Agnelli

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L'antico gioco degli scacchi ricopre un ruolo fondamentale nel dipinto La partita a scacchi di Gerolamo Induno (1825 - 1880) e nel libro Harry Potter e la pietra filosofale. I punti di contatto tra Gerolamo Induno e Harry Potter, però, vanno oltre gli scacchi. Entrambi, infatti, si distinguono per il loro carattere rivoluzionario, battagliero e indomito. Harry prese parte alla seconda guerra dei maghi e Gerolamo fu coinvolto, tra gli altri, nei moti delle Cinque giornate di Milano (marzo 1848), nella difesa della Repubblica Romana contro l'esercito francese (1849) e nella campagna di Crimea (1855). Uno compie magie con la bacchetta, l'altro col pennello. Soffermandosi sulla produzione di Induno si nota grande interesse per la pittura storica e per le scene di genere. Nella prima è in grado di narrare con drammaticità e passione gli eventi del tempo. Nella seconda fa risaltare con minuziosa attenzione i dettagli delle ambientazioni e dei costumi. Per approfondimenti sulla figura del pittore si veda la voce a lui dedicata nel Dizionario biografico degli Italiani. L'attività di Gerolamo Induno è ben documentata al Borgogna dove si conservano diverse sue opere. La partita a scacchi è una replica autografa del dipinto con lo stesso soggetto conservato presso la GAM di Milano. Il quadro trae ispirazione dall'opera teatrale in versi Una partita a scacchi di Giuseppe Giacosa inscenata per la prima volta a Napoli nel 1873. Nel dramma Iolanda e Fernando, giovane sfrontato e coraggioso, si ritrovano a giocare a scacchi. Se l'uomo vincerà potrà sposare la ragazza ma in caso di perdita lo attenderà la morte. Durante la partita i due si innamorano e Iolanda decide di darsi scacco matto e concedersi in sposa al ragazzo. Il dipinto si pone nel momento dell'attività di Induno in cui le scene di genere prevalgono sui dipinti storici. La tela si caratterizza per l'accurata resa degli abiti e dell'arredamento e per la sapiente costruzione della scena. Harry Potter si avvicina agli scacchi magici durante le vacanze natalizie del suo primo anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. È l'amico Ron ad insegnargli le regole del gioco, che sono come quelle degli scacchi comuni, con la differenza che i pezzi sono vivi. Per chi conosce il libro sa che la bravura di Ron negli scacchi sarà fondamentale per il raggiungimento dell'obiettivo finale: il ritrovamento della pietra filosofale e la sconfitta del malvagio Voldemort. Harry gioca a scacchi anche sulla copertina della prima edizione italiana del testo edito da Salani nel 1998. Copertina illustrata da Serena Riglietti che, in occasione del ventesimo anniversario dalla prima pubblicazione, Salani riproporrà ai lettori.

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FRA POZIONI E BALSAMARI di Andrea Borlenghi

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Il libro scelto dai nostri colleghi delle biblioteche per questo primo appuntamento del progetto “Confronti inaspettati”, è il primo volume di una fortunata serie di best-seller: Harry Potter e la pietra filosofale. Una delle prove che il giovane mago deve superare per giungere alla sala in cui è custodita la pietra consiste nel dover trovare, dopo aver risolto un indovinello, la pozione che gli permetterà di attraversare incolume una porta lambita dalle fiamme di un pericoloso fuoco nero, scegliendo fra sette fiale diverse fra loro.
 Dopo aver letto questo passo, mi sono subito venuti in mente i numerosi esempi di balsamari che sono conservati qui al MAC. Sebbene contenessero profumi e non magiche pozioni, la varietà di ingredienti diversi usati per realizzare queste essenze e la stravaganza di alcuni di essi, possono ben tener testa alla fantasia usata dall’autrice per inventare i filtri che compaiono nel libro. Anche da un punto di vista stilistico, la fantasia degli artigiani romani, veri maestri dell’arte vetraria, non fu da meno; gli esempi raccolti in museo, databili al I e II secolo d.C., comprendono infatti una grande molteplicità di fogge e dimensioni diverse, con corpi che spaziano dalla forma globulare a quella piriforme o ancora alla tubolare, con colli cilindrici più o meno allungati a seconda della tipologia. Anche i colori, ottenuti aggiungendo minerali specifici all’impasto di sabbia silicea, sono molto variegati; si passa da delicate tonalità azzurrine a colori più intensi, come il giallo, il verde e il blu, fino ad arrivare a tonalità molto forti di viola che tendono addirittura a conferire all’oggetto un senso di opacità. Non mancano infine esempi di balsamari configurati, nel nostro caso in particolare a forma di pigna e colomba. Quest’ultima tipologia è particolarmente interessante, poiché aveva una destinazione, passatemi il termine, “usa e getta”; la coda veniva infatti sigillata a caldo al termine della produzione, e quindi per poter usare l’essenza profumata contenuta all’interno si era costretti a romperne quest’ultima parte.

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CREATURE MAGICHE IN CITTÀ di Alessandra Bertaglia

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La sfida del primo appuntamento ci immerge nel mondo fantastico e magico di Harry Potter e la pietra filosofale, tre dei miei colleghi hanno superato brillantemente la prima prova ed ora tocca anche a me, volontaria dell’Ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi di Vercelli. La tematica del libro che mi ha maggiormente colpita è quella relativa agli animali fantastici, infatti Harry nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts non impara solo l’uso delle arti magiche ma incontra anche diverse figure fantastiche; alle volte molto spaventose e pericolose ma non solo, anche solitarie e tendenzialmente emarginate dal mondo dei maghi e delle streghe. Harry incontra queste creature particolari in un episodio, narrato di seguito, e rispetto alla maggioranza dei suoi coetanei non le evita, ma anzi li affronta cercando di comprenderli. Harry presenta un carattere molto determinato e soprattutto si ritrova sempre in situazioni molto pericolose; infatti dopo essere stato scoperto a vagare per la Scuola a notte fonda, atto che comporta l’espulsione dalla scuola, viene punito e mandato a lavorare, insieme ad Hermione, con Hagrid nella Foresta Proibita in una notte di luna piena. In questo luogo in un momento di altissimo pericolo per la sua incolumità Harry incontra un centauro che lo salva, scacciando la creatura che voleva assassinarlo. Il centauro Fiorenzo è una creatura magica con testa torso e braccia umane su corpo di cavallo, e rivela ad Harry le sue paure soprattutto per quanto riguarda la pietra filosofale; il centauro ha origine dalla mitologia greca. La tematica degli animali fantastici, in particolar modo il centauro, può risultare complessa da ritrovare in un patrimonio ecclesiastico essendo oggetto di eresia; in realtà nella città di Vercelli è presente la chiesa di San Bernardo che riporta nelle sue decorazioni degli animali mitologici, illustrati come monito per combattere la pratica eretica. La chiesa di San Bernardo, in Via Laviny, è di epoca romanica e presenta nella facciata delle formelle con rimandi al medioevo: in una è presente il centauro che rappresenta l’eresia mentre nell’altra il cervo ferito, immagine di Cristo. Le formelle dovevano essere parte di una decorazione più estesa e sono le copie delle due originali affisse all’interno, in controfacciata. Inoltre anche l’interno della chiesa possiede delle decorazioni fantastiche, realizzate nei capitelli della navata centrale di influsso lombardo, dove vengono messi in risalto sirene, figure a testa unica ma soprattutto animali fantastici che rappresentano i peccati che il fedele doveva evitare. Per concludere ritrovo che la magia e gli animali ad essa connessa sono sempre stati un punto di scontro per la chiesa, mentre oggi possono essere rivisti in chiave culturale e artistica poiché rappresentano un’eredità della cultura dell’epoca e di cosa la popolazione avesse timore, ma anche un opera di pregio artistico differente dai soliti canoni estetici del patrimonio ecclesiastico.

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HARRY POTTER E LA PIETRA DI SAN BRANDANDO di Silvia Spagnoletti

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Anche il Museo del Tesoro del Duomo ha raccolto la prima sfida lanciata dai volontari SCN delle Biblioteche civiche di Vercelli e Santhià per #confrontinaspettati. Questo mese il libro scelto per la sfida è il romanzo per ragazzi di J.K. Rowling, Harry Potter e la Pietra Filosofale. L’antica disciplina dell’alchimia si occupa di fabbricare la Pietra Filosofale, una sostanza leggendaria dai poteri sbalorditivi. La pietra è in grado di trasformare qualsiasi metallo in oro puro e per giunta produce l’Elisir di Lunga Vita, che rende immortale chi lo beve. (da Harry Potter e la Pietra Filosofale) La Pietra Filosofale si identifica come uno strumento alchemico potentissimo, ma può essere intesa anche come concetto filosofico più ampio. Nel libro di J.K. Rowling leggiamo che per Harry Potter e i suoi amici è fondamentale proteggerla per evitare che il temibile mago oscuro Voldemort riesca a tornare in vita. In questo romanzo la Pietra Filosofale è essenziale per creare l’Elisir di Lunga Vita. Nella tradizione alchemica la Pietra Filosofale poteva donare la vita eterna e tramutare il metallo vile in oro. Per gli alchimisti medievali rappresentava un concetto più astratto. Incarnava la conoscenza universale e la possibilità di elevare lo spirito dalla materia. La leggenda dice che l’alchimista francese Nicolas Flamelsia riuscito a creare la Pietra Filosofale. La Rowling ha utilizzato la sua storia nel primo libro di Harry Potter per giustificare l’esistenza del simbolo alchimico. Il collegamento tra Harry Potter e il Museo del Tesoro del Duomo è la Pietra di San Brandano, reliquia custodita da una zampa di grifone in argento del XVI secolo. La zampa di grifone richiama lo stemma della casata del piccolo mago, il Grifondoro. La pietra ricorda la Pietra Filosofale di Harry Potter.
 Da un punto di vista religioso i reliquiari svolgono, in una certa misura, la stessa funzione trascendentale della leggendaria Pietra Filosofale. Attraverso la reliquia il santo può continuare a vivere, svolgendo il ruolo di intermediario e mediatore tra Dio e gli uomini. Per i credenti i corpi dei santi o gli oggetti da loro usati e toccati in vita possiedono virtù taumaturgiche, poteri mistici e capacità al limite della magia. Come la Pietra Filosofale, la Pietra di San Brandano, conservata al Museo del Tesoro del Duomo, rimanda alla ricerca della conoscenza tanto inseguita da santo. Conosciuto come il Navigatore, Brandano di Clonfert (460-577 ca.) è stato un monaco e abate irlandese che ha dedicato la sua vita ai pellegrinaggi in mare alla ricerca dell’Eden. Ma la sua missione era l’evangelizzazione delle popolazioni nell’Atlantico Settentrionale. Molti sono i luoghi da lui visitati. Secondo gli studiosi Brandano arrivò nel continente americano con quasi 400 anni di anticipo rispetto ai Vichinghi e 1000 anni prima di Cristoforo Colombo.
 La reliquia conservata al Museo, si ricollega forse all’episodio della Navigatio, in cui Brandano costeggia la cosiddetta “Isola dei Fabbri”, o “Isola dell’Inferno”. Qui viene attaccato dagli abitanti dell’isola con delle pietre infuocate.

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GUIDA GALATTICA PER GLI AUTOSTOPPISTI di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Eccoci pronti per un nuovo mese di Confronti inaspettati! Questa volta ci siamo catapultati nella fantastica e imprevedibile galassia di Arthur Dent e Ford Prefect, concepita dalla fervida immaginazione di Douglas Adams: stiamo parlando di Guida galattica per gli autostoppisti. Il romanzo, pubblicato nel 1979, è l’adattamento delle prime quattro puntate della serie radiofonica di fantascienza omonima, ideata dallo scrittore stesso. Adams ha inoltre scritto un seguito diviso in quattro libri e lo scrittore irlandese Eoin Colfer ha terminato la serie con il libro E un'altra cosa... dopo la morte dell'autore originale. In quest'avventura l’umano Arthur Dent si ritrova a dover fare i conti con l’imminente distruzione del pianeta Terra da parte dell’Ente Galattico Viabilità Iperspazio, che ha deciso di costruire un’autostrada iperstellare proprio sulla traiettoria terrestre. Da un giorno all’altro il nostro protagonista, insieme con il suo amico alieno Ford, inizia la sua nuova vita da autostoppista spaziale seguendo le indicazioni della famosa (ma non sulla Terra) Guida Galattica per gli autostoppisti. "La Guida Galattica per gli autostoppisti dice alcune cose sull’argomento asciugamani. L’asciugamano, dice, è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere. In parte perché è pratico: ve lo potete avvolgere intorno perché vi tenga caldo quando vi apprestate ad attraversare i freddi satelliti di Jaglan Beta; potete sdraiarvici sopra quando vi trovate sulle spiagge dalla brillante sabbia di marmo di Santraginus V a inalare gli inebrianti vapori del suo mare; ci potete dormire sotto sul deserto di Kakrafoon, con le sue stelle che splendono rossastre; potete usarlo come vela di una minizattera allorché vi accingete a seguire il lento corso del pigro fiume Falena; potete bagnarlo per usarlo in un combattimento corpo a corpo. […] Ma, soprattutto, l’asciugamano ha una immensa utilità psicologica. Per una qualche ragione, se un figo (figo = non autostoppista) scopre che un autostoppista ha con sé l’asciugamano, riterrà automaticamente che abbia con sé anche lo spazzolino da denti, la spugnetta per il viso, il sapone, la scatola di biscotti, la borraccia, la bussola, la carta geografica, il gomitolo di spago, lo spray contro le zanzare, l’equipaggiamento da pioggia, la tuta spaziale, eccetera eccetera. E dunque il figo molto volentieri si sentirà disposto a prestare all’autostoppista qualsiasi articolo di quelli menzionati (o una dozzina di altri non menzionati) che l’autostoppista possa aver, ehm, “perso”. Il figo infatti pensa che un uomo che abbia girato in lungo e in largo per la Galassia in autostop, adattandosi a percorrerne i meandri nelle più disagevoli condizioni e a lottare contro terribili ostacoli vincendoli, e che dimostri alla fine di sapere ancora dov’è il suo asciugamano, sia chiaramente un uomo degno di considerazione.” da Guida galattica per gli autostoppisti, Douglas A., Milano, Mondadori, 2017. Quali collegamenti galattici troveranno i nostri amici dei musei e dell’Arcidiocesi con i patrimoni presenti nelle loro sedi? Restate sintonizzati sulle nostre frequenze e a partire dal 5 marzo la vostra curiosità potrà essere placata! Per saperne di più su Guida galattica per gli autostoppisti puoi cercare il libro in biblioteca! Civica di Vercelli - Sede di Via A.G. Cagna, 8 Collocazione: 6.D.821 Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: 823 ADA

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LE STRADE ROMANE

di Alessandra Cedone

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Arthur Dent, protagonista Guida galattica per autostoppisti, è un uomo sulla trentina solo e tristemente alcolizzato, accetta che si abbatta la sua casa per costruire una tangenziale senza protestare neanche troppo. Tutto il racconto è incentrato su come riuscire a vivere per le strade extraurbane di tutto il nostro sistema solare, su come sostanzialmente fare “autostop” per le vie di altri pianeti. La terra sta per diventare interamente ricoperta di autostrade e Arthur non ha possibilità alcuna di cambiare la sua situazione, quindi meglio adattarsi prima di rimanere intrappolati. Non si sa se queste tangenziali siano davvero funzionali, e non siano state costruite solamente per ghettizzare gli umani, quello che sicuramente si conosce però è che tutta la storia di costruire strade e rendere la terra un posto migliore non parte da un’idea aliena ma arriva dal passato, in un’ epoca, in cui le strade venivano realizzate ancora a mano con procedimenti lunghi e difficoltosi, venendo tutt’oggi considerate tra le costruzioni più gloriose e durature della Roma Antica. L’antica rete viaria romana fu di capitale importanza per il controllo dei territori conquistati e per l’affermazione di influenze politiche, economiche e culturali. All’interno della cosiddetta “manica di raccordo”del Museo Leone ne vediamo un esempio sostanziale: l’intento di illustrare Vercelli come fulcro di una rete viaria importante per l’impero romano è reso dalla ricostruzione di una strada basolata romana, arricchita da pietre miliari rinvenute nel vercellese e nelle province vicine che ne delimitano, in qualche modo, l’ampiezza percorribile. Tale strada sembra proseguiresulla carta geografica dell’Italia rivoltata sulla parete retrostante. Il diorama appare particolare, e in un certo senso ambiguo, l’Italia è rovesciata e schiacciata, il nord è rappresentato più dettagliatamente rispetto al sud, come se in qualche modo si lasciasse intendere una maggiore importanza delle strade nordiche che portano alla capitale. L’intento era dunque di illustrare quanto, soprattutto dopo la conquista romana, la città diventa un fondamentale punto di snodo per scambi e commerci d’oltralpe e della pianura padana occidentale. L’importanza della strada sia per la cultura romana che per quella aliena, ci fa capire all’interno del racconto che asfaltare tangenziali sui pianeti bisognosi di cultura è un po’ come asfaltare le stesse persone.

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SCIMMIE IN MUSEO, SCIMMIE NELLO SPAZIO

di Sara Agnelli

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C’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono [...] incredibilmente primitive. È così che Douglas Adams, autore di Guida galattica per gli autostoppisti, ci descrive. Esseri talmente arretrati che credono che gli orologi da polso siano un'invenzione fantastica. Sempre più umani pensano che sia stato un grosso errore smettere di essere scimmie e abbandonare gli alberi. Sebbene queste siano le premesse, Douglas sceglie proprio un uomo come protagonista del suo romanzo: Arthur Dent. Umanoide talmente sfortunato che si ritrova senza casa e senza pianeta nella medesima giornata! Arthur vivrà numerose avventure nello spazio, talmente no sense da fare riflettere sulla nostra esistenza. Incontrerà persino delle scimmie che vogliono discutere con lui di una nuova sceneggiatura dell'Amleto che hanno scritto. Umanizzare questi animali, nella letteratura e nell'arte, è molto consueto. Spesso dietro alla loro presenza si celano caos e sfrenatezza, ma non mancano altre letture più positive. Al Borgogna esiste una raffinata riproduzione su porcellana smaltata delle Scimmie come critici d'arte di Gabriel Cornelius von Max. La copia è opera della Reale Manifattura di Berlino e di Dresda, specializzata in questo tipo di oggetti di alta qualità, di cui esistono altri esempi all'interno della collezione. Sembra, infatti, che Antonio Borgogna volesse creare una personalissima "galleria portatile" formata da porcellane smaltate. Queste opere, tutte in formato ridotto, sono tratte da dipinti di pittori tedeschi e olandesi del Seicento e dell'Ottocento. Il collezionista aveva potuto apprezzare tali dipinti nei musei di Vienna, Dresda, Monaco e Berlino, dove erano conservati. Scimmie come critici d'arte (originale Affen als Kunstrichter) fa parte di questa vicenda. La copia su porcellana smaltata trae ispirazione dall'omonimo dipinto, datato 1889, conservato alla Neue Pinakothek di Monaco.Non stupisce che l'opera abbia suscitato interesse in Borgogna, la sua copia incuriosisce e coinvolge moltissimo anche i nostri visitatori. In primo piano un gruppo di scimmie contempla, più o meno attentamente, un dipinto di cui si intravede la cornice dorata. Il fatto che queste rappresentino critici d'arte fa sorridere e riflettere. Oggi, come ieri, l'arte è vittima inconsapevole di abusi. La materia viene declassata dalla presunzione degli studiosi che vogliono far prevalere la propria opinione su quella degli altri. Proprio come le scimmie di Gabriel von Max. Primati dallo sguardo assente ma con la presunzione di poter dare significati a qualcosa che va oltre la loro concezione. Come detto, dietro alla raffigurazione delle scimmie si celano moltissimi significati; di seguito eccone alcuni. Molte volte sono raffigurate in veste di uomini essendo l'animale più vicino a noi. In alcuni casi sono rappresentate per sbeffeggiare la società contemporanea al pittore. Le scimmie, inoltre, sanno replicare i gesti umani con grande fedeltà. Rappresentarle con un pennello in mano o accanto ad una statua, spesso, sintetizza la capacità dell'arte di rispecchiare il reale. Le scimmie sono sinonimo di sregolatezza, fame smodata e incapacità di reprimere l'istinto; dove passano loro vige la confusione. Rappresentare una scimmia legata ad una catena spesso simboleggia gli istinti primordiali tenuti a freno. Tuttavia, non mancano letture positive dell'animale. Nella cultura cinese sono elogiate per scaltrezza ed intelligenza e in quella tibetana rappresentano la coscienza sensibile, seppure incostantemente. Altre scimmie trovano spazio all'interno della collezione del museo Borgogna. Una scimmia legata in vita con una catena è presente nel dipinto cinquecentesco Enea alla corte di Didone. Nella sala araba due divinità dell'antico Egitto rassomiglianti scimmie in marmo rosso stanno sedute su uno degli stipi del Parvis. Al primo piano un scimmietta assai golosa è intenta a mangiare da un cesto di frutta e verdura. Il piccolo rame è attribuito alla bottega di Jan Van Kessel, pittore fiammingo del Seicento. Di fronte a quest'ultimo, trovano posto due scimmiette all'interno dell'opera Allegoria della terra. La tavola riprende un dipinto autografo conservato alla Galleria Doria Pamphilj di Jan Brueghel il vecchio e Hendrick van Balen.

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DELFINI PANGALATTICI

di Andrea Borlenghi

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La vostra casa è appena stata demolita per far posto ad una tangenziale? Il vostro pianeta è appena stato demolito per far posto ad un’autostrada spaziale? Avete appena scoperto che il vostro migliore amico proviene da Betelguese 7? Bene allora non avete bisogno d’altro per iniziare a scorrazzare per la galassia scroccando corse ad astronavi di passaggio. Anzi qualcos’altro sì che vi serve, ossia una copia del libro che ogni viaggiatore interplanetario dovrebbe sempre avere in borsa (oltre ovviamente ad un asciugamano): “Guida galattica per gli autostoppisti”. Nato dall’estrosa penna di Douglas Adams questo romanzo racconta appunto le avventure di un normale terrestre chiamato Arthur Dent, che quasi senza rendersene conto si ritroverà catapultato in un’avventura spaziale alla ricerca della grande risposta sulla Vita, sull’Universo e sul Tutto, in un cosmo che sembra regolato completamente dall’improbabilità e dalle coincidenze; e dev’essere proprio grazie a quest’ultime che l’autore dedica un piccolo capitolo ai delfini. Veniamo a scoprire infatti che non è l’uomo l’animale più intelligente del pianeta, collocandosi al terzo posto, dopo questi simpatici mammiferi acquatici. Dico questo perché girando per le sale del MAC il visitatore attento potrà scoprire che quello del delfino è un simbolo che ricorre spesso su diversi reperti. Ma facciamo un passo indietro. Che il delfino sia un animale molto intelligente è oggigiorno fatto assodato, ma anche gli antichi, attenti osservatori della natura e del mondo che li circondava, avevano già notato la cosa, e non a caso esso compare spesso nella mitologia di diverse popolazioni. Prendendo in esame quella greca ad esempio, lo possiamo ritrovare in diversi episodi che lo legano ad altrettante divinità; nell’inno omerico ad Apollo ad esempio vediamo il Dio sotto forma di questo animale saltare su una nave di mercanti, dirottandola per raggiungere il luogo dove poi fonderà il santuario di Delfi. In Apollodoro viene invece narrato un episodio riguardante Dioniso; il Dio aveva assoldato dei pirati per giungere fino a Nasso, ma essi sorpassarono l’isola per vendere il loro passeggero come schiavo in Asia. Inutile dire che Dioniso non la prese bene: trasformò infatti i remi e l’albero in mostruosi serpenti, e riempì la nave di tralci d’edera e suoni di flauti. Impazziti dalla paura i pirati si gettarono in acqua, al contatto della quale si trasformarono in delfini. Da allora vagano per i mari salvando i marinai in difficoltà, probabilmente per espiare l’offesa. Il motivo del delfino che salva i marinai era particolarmente fissato nella cultura greco-romana, ed indica con molta evidenza le qualità di socievolezza, fedeltà ed intelligenza che gli antichi attribuivano a questo animale. Era quindi comprensibile venissero considerati reati contro l’ospitalità il trattenere nelle reti i delfini o ancor peggio ucciderli. Tornando al nostro museo, il reperto nel quale la figura del delfino compare con più evidenza è un frammento di lastra marmorea di rivestimento decorata a rilievo proveniente dall’anfiteatro, dove oltre ad un motivo vegetale a foglie d’acanto, compaiono un tridente, una conchiglia e un geco. Difficile capire se in questo caso il delfino sia raffigurato come semplice motivo ornamentale o se in origine facesse parte di un ciclo riguardante qualche episodio mitologico. Vero è che il delfino è legato alla figura di Apollo, il cui culto è attestato a Vercelli, ma questo non ci autorizza sicuramente a formulare ipotesi sul significato del reperto. Il delfino compare poi su tre lucerne in terracotta: in due vi è rappresentato chiaramente uno di questi animali, mentre il motivo della terza, visto lo stato di conservazione non ottimale, potrebbe sembrare a prima vista un altare con un braciere che arde, mentre in realtà vengono riprodotti i cosiddetti delfini di Agrippa, ossia un congegno, montato sulla spina del circo massimo, consistente in due colonne reggenti sette statue in argento di delfini aventi la funzione di segnare i giri durante le corse; ad ogni passaggio dei carri uno di essi veniva infatti abbassato. Per ultime, ma non certo meno importanti, sono da segnalare due stele funerarie sulle quali compaiono figure di delfini. In questo caso la presenza dell’animale potrebbe essere ricondotta alla sua valenza psicopompa, ossia di figura che accompagna il defunto verso l’aldilà; così come accompagnavano i naufraghi verso la terraferma e la salvezza, così traghettavano i morti dal mondo dei vivi al regno dell’oltretomba.

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LUCE E OSCURITÀ NON SOLO NELLO SPAZIO

di Alessandra Bertaglia

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Per il secondo appuntamento del mese è stato selezionato, da Giulia e Simone, un libro di fantascienza umoristica, Guida galattica per gli autostoppisti. Il libro è ambientato prevalentemente nello spazio e nell’Universo, pertanto le tematiche affrontate sono molto futuristiche. La tematica del libro che ho scelto di approfondire e che mi ha permesso di collegarlo ad un'opera del patrimonio ecclesiastico vercellese è sicuramente quella della luce e dell’oscurità. Il libro infatti è ambientato nello spazio, un luogo dominato da grande oscurità che lo rende maggiormente misterioso all’occhio umano. Il contrasto tra luce ed oscuro si evidenzia in almeno due episodi del libro, anche se l’Universo è lo sfondo della storia: il primo è quando, dopo l’avvertimento da parte di una flotta di navi vogon che lavora per l’Ente Galattico Viabilità Interspazio, viene deciso di distruggere il pianeta Terra. La distruzione avviene tramite un fascio di luce così accecante che in pochi secondi disintegra ogni forma di vita esistente, ad esclusione del protagonista Arthur Dent e del suo amico, alieno, Ford Prefect. Il secondo episodio invece avviene durante il viaggio nello spazio a bordo della nave Cuore D’Oro, dove i protagonisti si dirigono alla ricerca del pianeta leggendario di Magrathea; il passaggio interstellare per raggiungere il pianeta è carico di luce che li avvolge completamente ed inoltre lo sbarco sul mondo ritrovato si preannuncia carico di mistero, in quanto è avvolto da una coltre oscura di polvere nera. La tematica della luce e delle ombre, anche se non allo stesso modo, si può ritrovare anche nella religione cristiana; infatti molte volte è rappresentato lo Spirito Santo come un fascio di luce accecante che avvolge i Santi o la Madonna. Questo binomio indissolubile di luce e ombre si può ritrovare in un dipinto conservato nella chiesa di Sant’Agnese in San Francesco a Vercelli, situata in Piazza San Francesco. Il dipinto in questione è L’annunciazione di G.B. Morazzone, datato intorno al 1620, che si trova in sacrestia e rappresenta l’Angelo che discende dal cielo, illuminato dallo Spirito Santo, simboleggiato dalla colomba. La presenza dello Spirito Santo illumina la Terra, diradando le nubi oscure che la avvolgono; infatti l’Angelo portatore di luce annuncia la buona novella a Maria. La Vergine accoglie la notizia con umile dolcezza chinando il capo rischiarato dalla luce di Dio in atto di obbedienza e venerazione. Il contrasto di luce è un elemento fondamentale nell’opera degli artisti del Seicento che vogliono far emergere la complessità dei movimenti delle figure tramite l’uso del colore.

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42 È LA RISPOSTA DI #CONFRONTINASPETTATI di Silvia Spagnoletti

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Secondo appuntamento di #confrontinaspettati. Protagonista del mese di marzo è Guida Galattica per Autostoppisti, un romanzo in più volumi a metà tra il comico e il fantascientifico scritto dall’autore britannico Douglas Adams. Protagonisti del libro sono l’umano Arthur Dent e l’alieno Ford Perfect che, a seguito della distruzione del pianeta Terra, intraprendono un viaggio nello spazio facendo autostop. Quello che Arthur e Ford non si aspettano è che si ritroveranno, loro malgrado, alle prese con un mistero molto più grande: la Risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto. Dopo sette milioni e mezzo di anni, un super computer è riuscito ad elaborare un responso: la Risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto è… 42! Il motivo? Probabilmente non è stata elaborata la giusta domanda. La risposta 42 è uno scherzo che Douglas Adams ha portato avanti in tutti i libri della serie. In varie interviste l’autore ha specificato che non c’è alcun significato particolare dietro il numero, semplicemente gli piaceva. Ciò però non ha impedito ai fan di Guida Galattica per Autostoppisti di cercare un significato specifico alla risposta data dal super computer. Neil Gaiman, scrittore e amico di Adams, cerca di spiegare il mistero del numero 42. Parla di un’equazione elaborata da tre studenti della Huddersfield University. Affermano di aver scoperto la Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto e di conseguenza il significato di 42. Altri fan sono semplicemente convinti che la Risposta debba essere appositamente assurda e bizzarra. Secondo il libro stesso, se mai qualcuno dovesse scoprire esattamente a cosa serve e perché è qui, l’universo sparirà istantaneamente e sarà sostituito da qualcosa di ancora più bizzarro e inesplicabile. Al Museo del Tesoro del Duomo non ci siamo accontentati delle parole di Douglas Adams. Abbiamo cercato una corrispondenza con il numero 42 all’interno del Museo e della Biblioteca Capitolare e abbiamo trovato il Codice XLII. Un manoscritto miniato del X secolo, conservato nella Biblioteca. Si tratta di un sacramentario, un libro liturgico che raccoglie preghiere e orazioni recitate dall’officiante nel corso della messa. Nella nostra interpretazione del testo di Adams, siamo arrivati alla conclusione che la Risposta alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto potrebbe essere il Codice XLII. Il sacramentario è il più importante testo liturgico della tradizione cristiana. Contiene le preghiere che il vescovo o il sacerdote recitano per impartire i sacramenti. Il Codice XLII, per il vescovo o il sacerdote, era una linea guida da seguire durante la celebrazione della messa, ma anche la Risposta a dubbi o incertezze che potevano sorgere sul momento.

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ASSASSINIO SULL'ORIENT-EXPRESS di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Questo mese saliremo sull’Orient-Express per nuovi Confronti Inaspettati! Come avrete già intuito il romanzo che abbiamo scelto è Assassinio sull’Orient-Express scritto dalla famosissima scrittrice di gialli Agatha Christie. Uscito nel 1934, è dai più considerato come il suo capolavoro ed è sicuramente uno dei libri gialli più conosciuti in tutto il mondo, merito anche delle diverse trasposizioni cinematografiche e televisive; l’ultimo film, diretto da Kenneth Branagh, è uscito nel 2017 e vanta un cast stellare. Nel romanzo, l’investigatore belga Hercule Poirot, salito a bordo dell’Orient-Express, si vede costretto ad indagare sull’efferato omicidio del signor Ratchett, un ricco americano. Tutti i passeggeri sono sospettati, ma in realtà nessuno di loro sembra aver avuto alcun motivo per macchiarsi di questo orrendo crimine. Grazie alle brillanti intuizioni del protagonista e ad una serie di indizi che vengono man mano alla luce, la verità verrà infine svelata, non senza un tocco di arguzia e ironia proprie del personaggio. “Poirot annuì e si piegò sul cadavere. Stette così a contemplarlo per qualche tempo, poi si raddrizzò con una lieve smorfia. «Non è certo uno spettacolo piacevole. Qualcuno si deve essere accanito a colpire e colpire. Quante ferite ha riscontrato con esattezza, dottore?» «Dodici, mi è sembrato. Una o due sono così lievi che si potrebbero giudicare semplici graffiature.» Qualcosa nel tono della voce del medico rese più attento Poirot; alzò subito gli occhi a guardare il greco che osservava il cadavere, accigliato e perplesso. «C’è qualcosa di strano, vero, dottore? O mi sbaglio. Parli pure liberamente.» «Guardi, queste due ferite qui…e qui. Sono profonde, e ognuna deve aver reciso delle arterie; tuttavia, non hanno sanguinato molto, come sarebbe stato naturale.» «Il che farebbe credere…» «Che la vittima era morta, sia pure da poco, quando queste ferite sono state inferte. Ma ciò è assurdo, evidentemente.» «Già, assurdo, si direbbe… […]»” Da “Assassinio sull’Orient-Express”, Christie A., Milano, Mondatori, 2005. Continuate a seguirci se volete scoprire quali elementi “gialli” potranno essere scovati dai nostri colleghi dei musei e dell’Arcidiocesi nelle loro rispettive sedi. Stay tuned! Per saperne di più su Assassinio sull’Orient-Express puoi cercare il libro in biblioteca! Civica di Vercelli – Sezione a Scaffale aperto, Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: SA.823.CHR Civica di Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: 823 CHR

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AL MUSEO LEONE LE POSSIBILI ARMI DEL DELITTO

di Alessandra Cedone

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Dai finestrini delle carrozze del Simplon Orient-Express non si vede altro che neve, un'immensa distesa bianca che inonda i binari e arresta la corsa del treno diretto a Calais. Gli illustri passeggeri a bordo del convoglio, riuniti nel lussuoso vagone ristorante, apprendono che un atroce omicidio si è consumato durante la notte: un distinto gentiluomo americano di nome Ratchett è stato pugnalato nel suo scompartimento. Tra i presenti si fa largo il sospetto che l'assassino, bloccato dalla neve, non abbia mai lasciato il treno e si nasconda ancora tra i viaggiatori dell'Orient-Express. A orchestrare gli interrogatori e raccogliere indizi è il carismatico Hercule Poirot, famoso detective e per caso sullo stesso treno. Le sue prime indagini lo porteranno a scoprire che in realtà la vittima non è chi diceva di essere, ovvero il signor Cassetti, noto gangster italiano, in fuga dalla giustizia americana perché accusato del rapimento e omicidio della piccola Daisy Armstrong avvenuto anni addietro. Il detective Poirot è portato ad indagare tra i presenti viaggiatori, domandandosi di sovente quale legame poteva avere l’assassino con la vittima e con la famiglia Armstrong, senza mai soffermarsi sull’ipotesi che il malavitoso potesse essere non colpevole.
 Le diverse coltellate inflitte alla vittima sembrano essere causate da mani differenti ma con lo stesso pugnale. Per una strana coincidenza il numero delle pugnalate corrisponde, in maniera sospetta, al numero di coltelli da combattimento contenuti nella collezione di armi bianche del notaio Camillo Leone, ora presenti in una delle sale di Palazzo Langosco. I pugnali, da non confondere con i coltelli, sono essenzialmente armi bianche, e quindi da taglio e combattimento, realizzati appositamente per penetrare il corpo e uccidere. Le tipologie variano a seconda della lama e del manico, assumendo svariate denominazioni. La funzionalità rimane invariata nel corso dei secoli, un coltello o pugnale serve essenzialmente per tagliare o ferire le carni, in maniere differenti ovviamente, più o meno gravemente. Il materiale, invece, cambia, partendo dai più antichi esemplari in ossidiana e selce, fino ai più moderni e sofisticati in acciaio inox temprato. Uno dei pugnali più noti è lo stiletto. Quest’arma inizia a ottenere fama nel Medioevo: la sua forma piramidale sottile e appuntita gli permette di infilarsi negli interstizi delle armature dei cavalieri e affondare nella carne, procurando ferite fatali e poco visibili. Potendo essere nascosto facilmente, lo stiletto è particolarmente amato dagli assassini, che lo tengono nella manica o sotto il mantello e, non appena accanto alla vittima, lo sfilano e lo affondano, riuscendo a passare inosservati senza lasciare il tempo ad altre persone di accorgersi che un uomo è stato ferito prima che questo si sia già accasciato a terra. Insomma, quest'arma ha tutte le carte in regola per essere il simbolo del traditore e del cospiratore dal sangue freddo. La collezione di armi bianche di Leone presenta molteplici lame, coltelli, spadini e spade esposte con particolare cura, tra cui anche i nostri pugnali dalle svariate forme, a stiletto, a doppio taglio e a lama a biscia (dall’andamento ondulato). Chissà quanto avrebbero potuto sbizzarrirsi gli assassini dell’Orient-Express se avessero avuto a disposizione tutte queste armi, così diverse ma anche così letali?!

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OMICIDIO: TRA LETTERATURA E ARTE

di Sara Agnelli

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Assassinio sull'Orient Express è uno di quei romanzi da leggere tutto d'un fiato. Agatha Christie è magistrale nel riuscire a fornire decine e decine di dettagli senza mai annoiare il lettore. Sull'Orient Express, treno che collegava Parigi a Istanbul, si consuma un efferato omicidio. Un uomo viene accoltellato nel suo vagone, i passeggeri sono sconvolti e il colpevole in libertà. Chi è l'assassino? Sarà il famoso detective Hercule Poirot a scoprirlo. Nel 1933 il romanzo uscì a puntate sul settimanale statunitense The Saturday Evening Post. Raccolto in un unico volume dall'editore inglese Collins Crime Club l'anno successivo, esordì in Italia nel 1935 edito da Mondadori. Uno dei libri gialli più famosi del mondo vanta oggi due trasposizioni cinematografiche: una del 1974 e una del 2017. Se l'omicidio narrato dalla Christie risulta enigmatico, brutale è l'aggettivo giusto per descrivere quello raffigurato da Bernardino Luini. Nei Vangeli (Mt 14, 3-12; Mc 6, 17-29) viene narrato il cruento omicidio di San Giovanni Battista.Tra il 4 secolo a.C. e il 39 secolo d.C. fu tetrarca della Galilea e della Perea Erode Antipa. Erode aveva fatto imprigionare Giovanni per volere di Erodìade, moglie del fratello Filippo, con la quale aveva una relazione. Il Battista aveva ripetuto più volte al re che tenere con sé la propria cognata non era lecito. Per questo motivo Erodìade iniziò ad odiare talmente tanto Giovanni da volerlo morto. I suoi sogni furono resi realtà il giorno del compleanno di Erode. Il re aveva organizzato uno splendido banchetto al quale partecipò la figlia di Erodìade, Salomè. Quest'ultima era una ragazza bellissima e iniziò a ballare per il sovrano. A Erode piacque talmente tanto quella danza che disse alla fanciulla «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». Non sapendo cosa domandare, Salomè chiese consiglio alla madre che senza indugio pretese la testa del Battista. Erode, sebbene non avesse mai pensato di uccidere Giovanni, si trovò costretto ad esaudire quel desiderio. Mandato un servo nelle prigioni, questi tornò con la testa del Battista su un vassoio. La tela esposta in museo raffigura la consegna della testa del Battista a Salomè. L'opera è attribuita a Bernardino Luini (1481 ca. - 1532), pittore lombardo tra i più ammirevoli seguaci di Leonardo. Il dipinto fu acquistato da Antonio Borgogna all'asta della collezione di Antonio Scarpa tenutasi a Milano nel 1895. L'opera si trovava in collezione Scarpa già dal 1813, anno in cui si svolse a Milano il concorso di incisione. In questa occasione fu premiata la stampa a bulino ed acquaforte realizzata da Giovita Garavaglia. Quest'ultima, acquistata dal nostro collezionista, raffigura, in controparte, la tela conservata in museo. Il dipinto del Borgogna è tratto dalla tavola, di analogo soggetto, conservata agli Uffizi di Firenze (inv. 1890 n. 1454). Quest'ultima, assegnata a Bernardino Luini, sarebbe da datare tra il 1527 e il 1531. La tela vercellese e la tavola fiorentina presentano il medesimo impianto scenico. In primo piano, da sinistra verso destra, si riconoscono una fantesca, Salomè, la testa di san Giovanni e il carnefice. Nel dipinto il pittore è in grado di narrare una delle storie bibliche più ricche di pathos. L'atteggiamento e l'espressività dei volti dei personaggi sottolineano il loro ruolo nell'atroce omicidio. In particolare, è splendida l'espressione di Salomè da cui traspare un misto di compiacimento e riluttanza. Bernardino Luini si pone come l'inventore di un nuovo modo di trattare la figura della Salomè. Poco dopo il primo decennio del '500 rappresentare la ragazza diventa una vera e propria ossessione. Il primo a variare rispetto agli schemi compositivi conosciuti è Andrea Solario, formatosi nell'ambiente milanese rinnovato da Leonardo. Solario è il primo a proporre una formula abbreviata dell'omicidio del Battista, visibile nella tela conservata alla Galleria Sabauda. La consegna della testa è estrapolata dal contesto narrativo e ci si concentra sul rapporto interno tra i personaggi. Luini fa un passo in avanti rispetto a Solario. Le sue Salomè sono più sinuose ed espressive, decisamente più coinvolgenti rispetto all'esempio solariano. È, tuttavia, possibile supporre che i due pittori avessero guardato ad un unico modello leonardesco. Proprio Luini mette in pratica i concetti di varietà e contrasto ideati da Leonardo. Questi sono visibili nella tela del Borgogna, dove in contrapposizione alla giovinezza e bellezza di Salomè si trovano la bruttezza del carnefice e la vecchiaia della fantesca. L'ambiguità delle Salomè luinesche influenzarono moltissimi pittori successivi. Due esempi celebri sono la Salomè di Tiziano conservata alla Galleria Doria Pamphilj di Roma e quella di Caravaggio alla National Gallery di Londra.

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GIALLI ARCHEOLOGICI

di Andrea Borlenghi

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Il libro scelto questo mese ci porta nel mondo dei gialli e del mistero, con il notissimo romanzo “Assassinio sull’Orient-Express” scritto da una delle più famose e talentuose autrici di questo genere: Agatha Christie. Il famoso detective internazionale Hercule Poirot, dopo aver portato a termine con successo un delicato caso in Siria, decide di trascorrere qualche giorno da turista ad Istanbul, ma una lettera lo richiama subito a Londra per affari urgentissimi. Ed è solo quindi per una fortunata coincidenza che l’investigatore si ritrova a dover viaggiare sul mitico Orient Express che lo porterà fino a Calais. Durante il viaggio infatti il treno rimarrà bloccato nei Balcani a causa della neve, e la notte stessa si verificherà un efferato delitto che vedrà come vittima un ricco americano di nome Ratchett. Poirot inizia così le sue indagini, che coinvolgeranno i passeggeri del vagone-letto del treno, e che lo porteranno, attraverso una serie di indizi, testimonianze, e non pochi colpi di scena, alla ricerca del colpevole e alla brillante risoluzione del mistero. Il confronto di questo mese appare a prima vista intricato quasi quanto uno dei casi del simpatico detective belga; quale corrispondenza si potrebbe infatti trovare fra un libro giallo ambientato su un treno e un Museo Archeologico? Come talvolta accade in questo tipo di romanzi la soluzione si è rivelata quella più evidente a dispetto dell’apparente difficoltà di questo “caso”. Infatti gli archeologi, che tra l’altro Agatha Christie conosceva bene essendo sposata in seconde nozze con uno di essi (celebre la sua battuta: “Sposatevi con un archeologo, più voi invecchierete più lui vi troverà interessanti”), possono essere paragonati a detectives che indagano sul mondo antico; spesso infatti al contrario di quanto si può pensare, non sono gli edifici più imponenti e gli oggetti più preziosi a permettere di ricostruire una società antica, ma piuttosto l’attenta analisi delle stratigrafie e dei piccoli dettagli che si possono rinvenire all’interno di esse; così ad esempio dei cocci che possono apparire senza importanza permettono di datare un sito nelle sue varie fasi. Non solo; una parte non indifferente del lavoro consiste, proprio come nelle indagini poliziesche, nell’incrociare i dati provenienti da fonti diverse (storiche, letterarie, topografiche, epigrafiche, numismatiche, ecc.) con quelli provenienti dallo scavo vero e proprio, al fine di avere una visione d’insieme il più possibile completa. Non manca poi tutta una parte dedicata ad analisi scientifiche effettuate in laboratorio le cui finalità possono essere delle più diverse: esse si possono svolgere su materiali, ad esempio per stabilire da quali metalli è composta la lega di una moneta, o per capire quale tipo di marmo è stato utilizzato per una statua arrivando a definire la cava di provenienza, o ancora su resti vegetali, per ricostruire la dieta nel caso del rinvenimento di silos, pozzi, focolari o fognature, oppure per determinare l’aspetto dell’ambiente in antico come nel caso delle analisi sui pollini. Non possiamo poi tralasciare i metodi usati per le datazioni, il più famoso dei quali è il carbonio 14 applicabile ai resti organici; altre analisi utilizzate sono ad esempio il metodo potassio-argon, per le rocce, e la termoluminescenza, per la ceramica. Infine altra fonte preziosa di informazioni sul modo antico, proviene dalle necropoli. Così come i medici legali nei libri gialli forniscono informazioni preziose sulla vittima, gli archeologi specializzati in antropologia fisica ci forniscono dati preziosi sulle antiche popolazioni, come l’età media, l’aspetto, la corporatura e lo stato di salute o al contrario la presenza di determinate malattie o periodi di carestia. L’esame dei singoli corpi poi rivela dati importanti sull’individuo; la causa della morte, la presenza di traumi legati a episodi violenti o lavori usuranti (e le relative possibilità di guarigione), ci dicono molto su queste persone. Anche i corredi funerari, quando presenti, hanno molto da raccontare; essi possono dirci del livello sociale o del lavoro svolto dal defunto, o stabilirne il sesso e l’età quando non è possibile analizzare il corpo come nelle sepolture a cremazione. Quest’ultimo metodo d'indagine è applicabile anche qui al MAC; nella sala delle necropoli, infatti, è possibile ricostruire l’identità di alcuni antichi vercellesi attraverso i loro corredi. In particolare tre sepolture ci svelano indizi importanti: in una di esse sono presenti le suole chiodate di un antico tipo di calzatura, la caliga, utilizzata per la sua robustezza soprattutto dai soldati, e ciò permette di ipotizzare che l’uomo a cui appartenevano doveva aver prestato servizio nell’esercito. La seconda tomba, femminile questa volta, comprende una collana molto particolare, composta da vaghi diversi fra loro, tutti però pregni di significati rituali; In questo caso è stato supposto che la donna fosse una saga, ossia una specie di maga indovina, o una lupa, donna dedita alla prostituzione, come indicherebbe anche la presenza nel corredo di una lucerna con scena erotica. Per ultimo vi è poi un corredo appartenuto ad una giovane donna nel quale è presente un oggetto che facilmente può sfuggire all’attenzione, ma in realtà molto indicativo. Si tratta di uno stilo, strumento utilizzato dai romani per scrivere sulle tavolette di cera. Questo, oltre a rivelarci la capacità di leggere e scrivere di questa fanciulla, ci permette di dire che doveva appartenere ad una famiglia di ceto medio-alto, e sicuramente di mentalità molto aperta, poiché un tempo le donne capaci di scrivere erano molto poche e soprattutto malviste dalla società. 37





LO SCANDIRE DEL TEMPO

di Alessandra Bertaglia

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L’appuntamento del mese di Aprile si tinge di mistero con l’Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, romanzo giallo selezionato dai colleghi delle Biblioteche, Giulia e Simone. Le tematiche affrontate sono sempre più complesse pertanto la sfida sta diventando più avvincente. Come il protagonista Hercule Poirot ho deciso di osservare ed analizzare prima tutti gli indizi che avevo a disposizione, nel mio caso parlo di tutto il vasto patrimonio artistico e architettonico ecclesiastico presente nella città di Vercelli, per trovare l’elemento che potesse collegare al meglio il romanzo. Pertanto ho preso in considerazione un oggetto del libro, considerato da subito da monsieur Poirot uno degli indizi per risolvere l’omicidio, l’orologio da taschino ritrovato addosso al cadavere: Dal taschino della giacca estrasse un orologio d’oro. La cassa era ammaccata e le lancette segnavano l’una e un quarto. «Vede?» gridò Constantine «Segna l’ora del delitto! Si accorda con i miei calcoli…». «E’ possibile, si. E’ senza dubbio possibile». Monsieur Poirot infatti trova questo primo indizio che sarà fondamentale per la prosecuzione dell’indagine. Il romanzo però, costantemente già dalla prima pagina, fa capire l’importanza che il protagonista dà allo scorrere del tempo; infatti più di una volta controlla non solo il suo orologio personale, ma anche quelli della banchina delle varie stazioni oppure all’interno delle carrozze dell’Orient Express, poiché essendo un uomo molto impegnato non può permettersi di perdere tempo. Inoltre per risolvere l’indagine ha un tempo limitato, dovuto alla bufera di neve che li ha momentaneamente fermati, nel nulla. L’orologio, ma soprattutto lo scandire costante del tempo, sono i temi che ho approfondito, attraverso una struttura funzionale e fondamentale per una chiesa: il campanile. I campanili sono strutture molto complesse e che si sviluppano verso l’alto, dalle altezze considerevoli; il campanile della cattedrale di Sant’Eusebio a Vercelli si trova in piazza D’Angennes, posto lateralmente alla struttura della chiesa. Il campanile del Duomo vanta origini romaniche anche se venne completamente ricostruito nel 1617. La torre ha un’altezza di 50 metri ed all’interno è costituita da una solida struttura in legno che porta alla cella campanaria. L’orologio, posto solo sul lato del campanile che si affaccia su piazza D’Angennes, riporta una numerazione romana e le campane risuonano le ore, così da facilitare la cittadinanza ad orientarsi durante l’arco della giornata, soprattutto in vista delle celebrazioni religiose che si svolgono in cattedrale. Le campane contenute nella cella campanaria sono cinque e tutte di epoche diverse; anche se il concerto delle campane non è perfettamente intonato il loro rintocco ci riporta alla realtà, controllati dal signor Tempo, come monsieur Poirot.

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MONOGRAMMA INCONFONDIBILE

di Silvia Spagnoletti

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Per il terzo appuntamento di #confrontinaspettati protagonista di aprile è il giallo Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie. Il collegamento tra il Museo del Tesoro del Duomo e il libro è la presenza di un monogramma risolutore. Pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1934, Assassinio sull’Orient Express fa parte di una serie di romanzi che vedono protagonista il detective belga Hercule Poirot. In viaggio sul Simplon Orient Express che collega Istanbul a Calais, Poirot si trova coinvolto in un caso di omicidio. Uno dei passeggeri, l’americano Samuel Edward Ratchett viene brutalmente assassinato durante la notte. Mentre il treno è bloccato in Jugoslavia per colpa della neve, Poirot indaga sull’omicidio e scopre la verità sull’accaduto. La vera identità di Samuel Ratchett era John Cassetti, un criminale italo-americano ucciso per vendicare il rapimento e l’assassinio della piccola Daisy Armstrong. Non è stato semplice per Poirot scoprire la verità. Il caso della morte di Ratchett-Cassetti appare sempre più complicato e misterioso, pieno di false piste e colpi di scena. Uno degli indizi principali che ha aiutato il detective a fare chiarezza sul caso è stato il fazzoletto con la lettera “H” elegantemente ricamata ritrovato nella stanza di RatchettCassetti. Il fazzoletto non sembra appartenere a nessuno dei passeggeri ma i sospetti del detective ricadono sulla contessa Helena Andrenyi, sorella minore di Sonia Armstrong. Tuttavia, la proprietaria del fazzoletto è la contessa Natalia Dragomiroff. La “H” infatti è il monogramma del suo nome in alfabeto cirillico. Interrogando la contessa, Poirot scopre il legame della donna con la famiglia Armstrong e la forte amicizia con l’attrice Linda Arden, madre di Sonia Armstrong. Come l’iniziale sul fazzoletto aiuta Poirot a svelare i segreti delle contesse Andrenyi e Dragomiroff, nelle sale del Palazzo Arcivescovile si possono individuare le tracce dei committenti. Sul soffitto a cassettoni restano infatti i monogrammi dei vescovi che hanno commissionato i lavori di decorazione e restauro del palazzo. Nelle stanze che oggi ospitano il Museo del Tesoro del Duomo sono visibili gli affreschi e le decorazioni dei soffitti a cassettoni con il monogramma di Agostino Ferrero, vescovo di Vercelli tra 1511 e 1536. Agostino continuò i lavori di restauro iniziati dal predecessore Bonifacio Ferrero (1509-1511). Nei locali del Museo del Tesoro del Duomotroviamo pareti affrescate con vedute di paesaggi tra colonne e grottesche. Queste ultime sono un particolare tipo di decorazione pittorica molto diffuso nel XVI secolo che prende il nome dagli ornamenti dei soffitti e delle pareti della Domus Aurea, riscoperta alla fine del ‘400. Lo stile decorativo a grottesca è caratterizzato dalla presenza di figure umane, animali fantastici, soggetti vegetali e scenette narrative. Secoli dopo, agli inizi del ‘900, il vescovo Teodoro Valfrè di Bonzo (1905-1916) diede il via a nuovi lavori di restauro del Palazzo Arcivescovile. Egli riprese lo stile e il lavoro di Agostino Ferrero, aggiornando la cronotassi dei Vescovi di Vercelli al piano nobile del Palazzo. La cronotassi è la successione dei vescovi della diocesi di Vercelli, i cui ritratti sono affrescati in tondi disposti in ordine cronologico sulle pareti della Sala del Trono. Durante i lavori di inizio ‘900, inoltre, fu scoperto, e poi rimaneggiato, il ciclo di affreschi sulle pareti della Sala della Croce, decorazioni che riproducono alcune vedute della città di Vercelli nel XVI secolo. Come Agostino, anche Teodoro decise di lasciare un segno del proprio lavoro facendo disegnare il suo monogramma sul soffitto a cassettoni della Sala del Trono e il suo stemma nella Sala della Croce.

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I LOVE SHOPPING A NEW YORK di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Maggio! È tempo di shopping per Confronti Inaspettati! Questo mese vi proponiamo la seconda avventura di Rebecca Bloomwood, protagonista di I love shopping a New York di Sophie Kinsella. Se qualcuno di voi avesse già fatto la sua conoscenza leggendo il primo libro o vedendo la versione cinematografica di questa fortunata serie di romanzi, non potrà che apprezzare anche l’umorismo di questo seguito! Rebecca, detta Becky, è una brillante ragazza di ventisei anni che ha trovato lavoro come esperta finanziaria per una rubrica della trasmissione televisiva inglese, Il Caffè del mattino. Ha un’irrefrenabile passione per lo shopping che la spinge ad acquistare cose di ogni tipo, di cui non può assolutamente fare a meno, ma che inevitabilmente la portano ad accumulare numerosi debiti. La ritroviamo nella sfavillante New York al seguito del fidanzato Luke Brandon, giovane e dinamico imprenditore, alle prese con una nuova vita. Per Becky è l’avverarsi di un sogno, ma non mancheranno difficoltà ed ostacoli che solo grazie al suo inguaribile ottimismo potrà superare. “Visitare per la prima volta un negozio è sempre eccitante. C’è quel senso di ebbrezza quando si varca la porta, quella sensazione di speranza, la convinzione che quello sarà il negozio di tutti i negozi, dove troverai tutto ciò che hai sempre desiderato, e a prezzi magicamente bassi. Ma questo è mille volte meglio. Un milione di volte meglio. Perché non è un negozio qualsiasi, questo è un negozio famoso in tutto il mondo. E io sono qui. Sono da Saks Fifth Avenue New York. Entrando a passo lento - devo farmi forza per non mettermi a correre - mi sento come se stessi andando a un appuntamento con una stella del cinema di Hollywood. Vago per il reparto profumeria, ammirando l’elegante pannellatura art déco, i soffitti altissimi e ariosi, le piante disseminate ovunque. È uno dei negozi più belli in cui io sia mai stata. Sul fondo ci sono i vecchi ascensori che danno l’impressione di trovarsi in un film con Cary Grant e, posate su un tavolino, una pila di mappe del grande magazzino. Ne prendo una per orientarmi e… non posso crederci! Il magazzino ha dieci piani!” Da “I Love shopping a New York”, Sophie Kinsella, Milano, Mondadori, 2003. Questa volta la sfida sembra essere più ardua per i nostri colleghi dei musei e dell’Arcidiocesi, ma siamo certi che ancora una volta ci stupiranno! Stay tuned! Per saperne di più su I love shopping a New York puoi cercare il libro in biblioteca! Biblioteca Civica di Vercelli - Sezione a Scaffale aperto, Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: SA.823.KIN Biblioteca Civica di Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: 823 KIN

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A PALAZZO LANGOSCO UN OGGETTO MIRA DI SHOPPING SFRENATO

di Alessandra Cedone

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Rebecca “Becky” Bloomwood è una giovane giornalista che lavora per un mensile di economia chiamato “Far fortuna risparmiando”. Peccato che Becky con i soldi tutto fa, tranne che risparmiare, condizionata da un problema molto pericoloso: lo shopping compulsivo. Lei è consapevole del suo piccolo difetto e ce la mette tutta per poter evitare di comprare qualsiasi oggetto le capiti a tiro, ma purtroppo peggiora sempre di più la sua situazione, economica e amorosa. Arrivata a un punto di non ritorno, lasciata dall’amore della sua vita e seguita passo passo dai creditori delle banche, è costretta a rivendere tutto ciò in suo possesso per riuscire ad arginare il debito accumulato e provare a riconquistare l’uomo dei suoi sogni. La sua favolosa sciarpa verde, che la consacra come regina assoluta della rubrica mensile che tiene per il giornale (La ragazza con la sciarpa verde), in cui dà consigli su come risparmiare senza mai tralasciare le mode e le tendenze del momento, sarà proprio l’ultimo capo che è costretta a vendere, ricavando ben 400 dollari, giusto il denaro necessario per estinguere il debito.La sciarpa verde è il simbolo della frivolezza, dello sperpero e del lusso che condanna la ragazza a una vita di problemi; lo spreco di denaro è ora una questione che interessa molte persone, visto sempre come un danno per la società in cui viviamo, ma nei secoli precedenti tutto ciò che ora noi consideriamo “sperpero” o “spreco” era allora visto come esaltazione della nobiltà di un individuo. Una dimostrazione molto interessante di questo, è il cofanetto in metallo dorato e corallo, presente in Palazzo Langosco, proveniente dalla collezione dell’ Ospedale Maggiore di Vercelli acquistata da Camillo Leone nel 1889. Databile alla prima metà del XVIII secolo, questo cofanetto risalta per bellezza e manifattura, ma soprattutto per l’utilizzo dei materiali, tra cui metallo dorato finemente lavorato, corallo rosso del Mediterraneo e seta ricamata a girali d’acanto per il rivestimento interno. Tutti questi accorgimenti follemente costosi, già all’epoca decretavano che il possessore vivesse nel lusso più sfrenato tanto da potersi permettere di avere un oggetto simile e poi lasciarlo in dono all’Ospedale Maggiore. Elemento cardine dell’idea di ricchezza e lusso, è il corallo rosso. Fin dall’antichità l’uomo è attratto da questo tipo di materiale. Ovidio nelle “Metamorfosi” racconta il mito della sua nascita. Perseo, dopo aver tagliato la testa di Medusa, la adagia su dei ramoscelli acquatici che ne assorbono il sangue e a contatto si induriscono. Usato come elemento decorativo di opere artistiche trionfa in tutte le sue manifestazioni: sia sotto forma di minuti pezzettini lavorati a virgola, petalo, baccello, mezzaluna; sia come ornamento a foggia di rosellina e putto verso la fine dell’Ottocento. Ad accrescere il suo valore, hanno inoltre contribuito la sua rarità e la ricercatezza della professionalità non semplice da acquisire. Dal XVI al XIX secolo sarà la manifattura trapanese a detenere il primato sulla lavorazione del corallo rosso, di cui il nostro cofanetto ne è un esempio. La domanda sorge spontanea: Becky Bloomwood l’avrebbe reputata un’esaltazione dello spreco o l’avrebbe comprato ugualmente nonostante il costo e i problemi economici che l’affliggono!?

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SOLDI, SOLDI, SOLDI di Sara Agnelli

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Celebre è il detto "I soldi non fanno la felicità", ma ne siamo proprio sicuri? Certamente non è di questo parere la britannica Rebecca Bloomwood, protagonista del libro "I love shopping New York". Il romanzo è il secondo capitolo di una fortunata serie creata dalla scrittrice inglese Sophie Kinsella. Rebecca, per gli amici lettori Becky, è una vera e propria maniaca dello shopping. Non importa quanto alto sia il suo debito con la banca, se si fissa su qualcosa deve forzatamente acquistarlo. Se cercaste sul vocabolario un'immagine alla voce "Spendacciona" probabilmente trovereste una sua foto. Nel romanzo scelto per #confrontinaspettati Becky è costretta a trasferirsi a New York per seguire il fidanzato Luke Brandon, imprenditore di successo. Nella Grande Mela la ragazza imparerà che grazie ai soldi si può comprare (quasi) tutto, ma si può anche perdere molto. La Kinsella è in grado di farci entrare nella psicologia di Rebecca, di odiarla per non essere in grado di frenare i suoi impulsi e al tempo stesso di compatirla per questa sua malattia. I love shopping New York è un libro leggero, divertente e stimolante. Va molto oltre lo sperpero di soldi e all'attaccamento ai beni materiali. Ad esempio, Becky ci fornisce il suo modello ideale di museo: bello e piccolo, in modo che le persone non si sentano esauste nel momento in cui varcano la soglia. Un luogo in cui magari si possano anche acquistare i pezzi esposti. Fa riflettere il fatto che oggi a pensarla come Rebecca ci siano migliaia di persone in carne ed ossa. Uomini e donne che spenderebbero soldi a palate per aggiudicarsi un capo alla moda ma non spenderebbero un euro per ammirare la (vera) bellezza conservata nei musei. Chissà cosa avrebbe detto Antonio Borgogna a Rebecca Bloomwood riguardo alla questione... Se Rebecca è in grado di sperperare le sue ricchezze in un batter d'occhio, al Borgogna c'è chi non vuole proprio liberarsene. Mi riferisco all'avaro del dipinto L'avaro e la morte attribuito a Willem De Poorter (Haarlem 1608 - Haarlem post 1648). La tavola fu acquistata, con attribuzione a Rembrandt, da Antonio Borgogna in occasione della vendita all'asta della collezione di Luigi Borg de Balzan nel 1894. L'attribuzione al famoso pittore di Leida era supportata dalla presenza della sigla R sul dipinto, in basso a destra. La medesima sigla è stata considerata apocrifa e l'attribuzione dell'opera è passata sotto il nome di Willem De Poorter. Non stupisce la confusione attributiva che per molto tempo ha coinvolto il dipinto. Questo perché, ancora oggi, rimane molto avvalorata l'ipotesi di un alunnato del De Poorter presso Rembrandt. Inoltre, a complicare la lettura dell'opera, vi erano alcune pesanti ridipinture nella parte sinistra, eseguite in occasione di restauri. Tuttavia, lo schema compositivo e il tratto pittorico - disegnativo della tavola sono tipici del pittore di Haarlem. La scena è immersa in uno sfondo scuro appena palpabile, l'ambientazione è quasi completamente spoglia. Fa eccezione la splendida natura morta, magistralmente dipinta, di vasellame e gioielli che risplende sulla destra. Gli oggetti sono posti su un tavolo ricoperto da una tovaglia che rappresenta uno degli elementi nodali del dipinto. Proprio alla tovaglia, infatti, si aggrappa con tutte le sue forze l'avaro. Il suo gesto è straziante e racchiude in sé la sintesi della vita dell'uomo dedicata a racimolare ricchezze. Alle sue spalle, inquietante e tenebrosa, lo sorprende la figura scheletrica della morte avvolta in un abito chiaro. Quest'ultima è pronta a portare l'avaro con sé, in un luogo dove soldi e altre ricchezze materiali sono inutili. L'opera di De Poorter conservata in museo è estremamente intrigante e ricca di spunti. Chi ne volesse una lettura differente sarà accontentato dal racconto "Quadro di famiglia" scritto da Edoardo Sarasso. La storia fa parte di una raccolta, nata dal progetto (De)scrivere l'arte, di 10 racconti brevi creati da altrettanti scrittori. Il museo è stato immaginato dagli autori come luogo di stimoli e alcuni dipinti sono diventati protagonisti di storie affascinanti. Vi ho incuriositi? Il libro che raggruppa queste narrazioni si intitola "Storie da museo" ed è edito da Effedì. Acquistarlo è semplice, potete trovarlo sia in libreria che in museo. Affrettatevi, l'arte vi aspetta!

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SPESE "FOLLIS"

di Andrea Borlenghi

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#confrontinaspettati questo mese ci porta nella Grande Mela, attraverso il romanzo di Sophie Kinsella “I love shopping New York”, accompagnati dalla protagonista Rebecca Bloomwood a spasso per le vie della moda di questa città. Rebecca è una giornalista, patita di moda e di shopping, passione quest’ultima che diventerà una vera e propria malattia, tanto da spingerla, dopo una serie di menzogne volte a nascondere questa sua ossessione, a rompere i rapporti con le persone a lei care ed a perdere il lavoro. Rimasta quindi sola ed indebitata fino al collo, Rebecca avrà modo di prendere coscienza del suo problema-dipendenza, e di tentare di recuperare gli affetti, liberandosi di tutti i vestiti accumulati nel corso delle sue spese folli. Filo conduttore del racconto è l’importanza nel saper attribuire il giusto valore alle cose; quasi sempre quelle più importanti nella vita non hanno un prezzo, e non si possono comprare come se fossero delle scarpe di alta moda. Anche solo riuscire a dare il giusto valore al denaro, in un mondo dove la moneta è sempre più un qualcosa di astratto e virtuale, diventa difficile; per Rebecca ad esempio la carta di credito è vista come un oggetto magico che permette qualsiasi cosa. Solo l’estratto conto a fine mese riesce a riportarla alla realtà. Tutto ciò non deve però far pensare che nel mondo antico, quando la moneta possedeva ancora un valore intrinseco, dato dal metallo più o meno prezioso contenuto in esse, non esistessero persone dedite alle spese folli. La sete di possesso è infatti connaturata nell’uomo, ed in fondo come ebbe a dire il noto economista Keynes: «E’ molto probabile che l’invenzione della moneta non abbia rappresentato altro che una tappa banale per l’uomo, in quanto non è altro che la razionalizzazione di qualcosa che è sempre esistito». Nel mondo romano la moneta compare allo scadere del IV sec. a.C., curiosamente con una doppia forma di circolante; accanto ad una serie di monete ottenute a fusione, in bronzo, prodotte dalla stessa Roma, coesisteva infatti una serie coniata, principalmente in argento, appaltata a una zecca campana identificabile probabilmente con quella di Napoli. Con tutta probabilità la serie fusa doveva costituire la valuta utilizzata in territorio romano, mentre quella coniata venne usata per rapportarsi al mondo della Magna Grecia; non a caso il peso delle prime è riferito al sistema della libra romana, mentre per le seconde venne adottato come standard la dracma campana. Il Museo Archeologico di Vercelli raccoglie svariati esempi di monete, che spaziano dalle prime serie di assi e denari di Roma repubblicana fino ad arrivare all’età imperiale, con emissioni fino ai follis di Costanzo II. Sono da segnalare inoltre tre pezzi provenienti dalla frequentazione dei Libui, la popolazione che stabilì il primo nucleo di Vercelli. Anche i celti infatti coniavano moneta, anche se queste produzioni erano il più delle volte imitazioni di dracme greche, nate probabilmente anche in questo caso per rapportarsi con i mercati ellenici. Nello specifico in museo è conservata una imitazione di dracma marsigliese in argento, mentre i restanti due pezzi appartengono al tipo delle “Regenbogenschusselchen” (Coppette dell’arcobaleno), moneta in oro della tribù germanica dei Cimbri, messa da alcuni in relazione con la calata in Italia di questa popolazione conclusasi con la battaglia dei Campi Raudii, anche se le scarse evidenze archeologiche rendono ancora dibattuta la questione sul dove collocare lo svolgimento del celebre scontro.

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AD OGNI EPOCA LA SUA CITTÀ

di Alessandra Bertaglia

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Mese di maggio significa giornate più soleggiate e temperature più gradevoli, pertanto urge rinnovare il guardaroba; lo sanno perfettamente anche Simone e Giulia che hanno proposto per il nuovo appuntamento di Confronti Inaspettati il testo di Sophia Kinsella, I love shopping a New York. Becky Bloomwood ha una passione irrefrenabile per lo shopping, ma nel secondo testo della saga si ritrova nel paradiso degli shopaholic: la città di New York. La scelta di seguire il fidanzato, Luke, che per lavoro si reca nella Grande Mela, è sicuramente dettata dalla necessità di aumentare le sue conoscenze professionali al di là dell’Oceano, ampliandosi anche negli Stati Uniti d’America. La città di New York, in particolare Manhattan, è il luogo in eccellenza per gli appassionati di shopping: infatti regnano sovrane le grandi boutique ed i grandi magazzini di lusso, concentrati lungo la famosissima Fifth Avenue. Le vetrine delle boutique sono talmente curate nei minimi dettagli che danno vita a piccole scenografie in cui gli oggetti o gli abiti sono i protagonisti; è impossibile non fermarsi neanche un minuto ad ammirare la bellezza che traspare dietre quelle pareti vetrate. La città di New York possiede molte altre attività, anche culturalmente e storicamente più interessanti, però non si può slegare anche questa relazione con le boutique e lo shopping, che si è venuta a creare nel tempo. La città infatti non deve e non può slegarsi da un legame così radicato, che ormai la contraddistingue nel Mondo, identificandola anche per questo suo tratto come cosmopolita e quindi innovativa. La tematica che alla fine ho deciso di analizzare è la rappresentazione della città, in questo caso di New York, come l’emblema della società moderna smart e sempre di tendenza; la città di New York sicuramente esercita un grande fascino sul pubblico, infatti la scelta di parlare di questa realtà consente di fare un parallelismo con la rappresentazione delle città in epoche posteriori. Una rappresentazione della città medioevale, e quindi dei suoi usi e costumi, si può osservare in una cappella prima del campanile della chiesa dei santi Tommaso e Teonesto in san Paolo, che si trova nel centro della città di Vercelli, in corrispondenza della piazza del Municipio. La cappella, definita dell’Annunziata, risulta appartenente all’antica chiesa e conserva degli affreschi databili tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIV secolo; uno di questi affreschi raffigura la Crocifissione. Questa rappresentazione è singolare, in quanto al centro della lunetta affrescata è collocata la figura della croce con Cristo, mentre ai lati le figure di Maria e san Giovanni, ma la particolarità è la scenografia utilizzata. La scena è ambientata in una tipica città medioevale con edifici, in prospettiva, sullo sfondo che richiamano alle architetture dell’epoca: gli edifici presentano porte ad arco con finestre molto strette ed alte, con alle volte dei piccoli ovali. La rappresentazione della città è molto singolare e soprattutto ci permette di conoscere come veniva considerata dai suoi abitanti, anche se alle volte è idealizzata; pertanto queste due città così diverse, sia architettonicamente sia storicamente, conservano dei particolari che sono le caratteristiche peculiari che differenziano ogni città, da un lato la New York con le sfavillanti vetrine e dall’altro la città medioevale con le sue architetture storicamente consolidate nel territorio italiano.

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I LOVE SHOPPING AL MTD VERCELLI

di Silvia Spagnoletti

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Per il quarto appuntamento di #confrontinaspettati protagonista del mese di maggio è I love shopping a New York scritto da Sophie Kinsella, pseudonimo della scrittrice Madeleine Wickham. Per noi si trasforma in I love shopping al MTD Vercelli. I love shopping a New York è il secondo libro di una fortunata serie di romanzi che raccontano la storia di Rebecca “Becky” Bloomwood, giovane ed entusiasta giornalista finanziaria. La vita di Becky procede splendidamente. È fidanzata con il ragazzo dei suoi sogni e lavora come esperta di finanza in una trasmissione televisiva. Nonostante il suo lavoro consiste nel dare consigli su spese e risparmi sicuri, Becky non riesce a tenere sotto controllo le sue finanze ed è sommersa dai debiti. Il motivo? La sua irrefrenabile mania per lo shopping. Le vetrine dei negozi la attirano, la scritta “saldi” è un richiamo a cui non resiste. Ogni scusa è buona per acquistare l’ennesimo paio di scarpe o una nuova borsa per essere sempre alla moda. Al termine di ogni storia Becky deve trovare un modo per risanare le sue finanze e porre rimedio alle spese folli e incoscienti. A differenza di Becky, i canonici vercellesi avevano una cura maggiore delle loro finanze. Essi prendevano nota di ogni tipo di spesa fatta dal Capitolo nei Libri dei Conti. Attraverso questi libri della contabilità i canonici tenevano sotto controllo il loro patrimonio evitando di sprecare denaro come la protagonista di I love Shopping. Nell’Archivio Capitolare sono conservati i documenti relativi alle entrate e alle uscite del Capitolo sin dal XVII secolo. Nel corso dei secoli i canonici hanno dovuto comperare ogni genere di bene. Dalle spese per granaglie, legumi, olio e legname all’acquisto di tessuti, oreficerie per la chiesa e libri per la Biblioteca Capitolare. All’interno dei Libri dei Conti sono state annotate anche informazioni molto importanti per storici e studiosi. Molte sono le registrazioni riguardanti restauri di legature e quadri conservati ancora oggi nel Duomo di S. Eusebio. Come, ad esempio, la nota del pagamento di Cesare Lanino nel 1678, per aver aggiustato la cornice di un quadro in onore della parata per la festa di S. Eusebio. I canonici vercellesi non avevano una smania di acquisti pari a quella di Becky Bloomwood in I love Shopping. Tuttavia i libri della contabilità aiutavano i canonici a fare acquisti più oculati, cosa che Becky non è mai riuscita a fare. Se avesse avuto un registro delle entrate e delle uscite, come i Libri dei Conti curati per anni dai canonici vercellesi, probabilmente la giovane donna avrebbe gestito meglio il suo denaro evitando di finire al lastrico.

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LA FABBRICA DI CIOCCOLATO di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Questo mese vi prendiamo per la gola! In compagnia di Willy Wonka vi accompagneremo alla scoperta de La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl, uno dei capolavori della letteratura per ragazzi, reso ancor più noto dall'indimenticabile film con Johnny Depp. E come non ricordare anche la celebre versione cinematografica del 1971 con protagonista Gene Wilder nei panni del proprietario della famosa fabbrica? La storia narra le vicende del piccolo Charlie Bucket, un bambino gentile e generoso che vive in una piccola casetta di legno insieme ai nonni e ai genitori. La cosa che più gli piace al mondo è il cioccolato, ma non potendo permetterselo è costretto ad accontentarsi di inspirare a pieni polmoni il dolce profumo che fuoriesce dalla più grande e blindatissima fabbrica di cioccolato che esista al mondo: la Fabbrica Wonka. Un bel giorno viene diramato un annuncio: chiunque troverà uno dei cinque Biglietti d'oro presenti in altrettante tavolette di cioccolata, vincerà una fornitura a vita di dolci e la possibilità di entrare a visitare la fabbrica! Nessuno può preparare i visitatori alle meraviglie presenti al suo interno: tra Umpa-Lumpa, cascate di cioccolata, prati di zucchero mentolato morbido e ascensori di cristallo, i fortunati vincitori vivranno un'avventura che non dimenticheranno mai. E se siete rimasti incantati dalla fantasia di Dahl, non potete perdervi il seguito: Il grande ascensore di cristallo. «Confetti senza confini!» esclamò il signor Wonka sprizzando orgoglio da tutti i pori. «È un prodotto assolutamente nuovo! L'ho inventato per i bambini che non hanno molti soldi da spendere. Basta mettersi in bocca un Confetto senza confini e succhiarlo, succhiarlo, succhiarlo, succhiarlo, succhiarlo, succhiarlo senza che rimpicciolisca mai!» «È come una gomma!» gridò Violetta Beauregarde. «Niente affatto!» disse il signor Wonka. «La gomma è da masticare, mentre invece se provi a masticare una di queste palline qui, ti romperai i denti! E poi queste non rimpiccioliscono mai! Non finiscono mai! MAI! Almeno spero. Proprio in questo momento, nella stanza dei collaudi, qui accanto, uno degli UmpaLumpa ne sta provando uno. La succhia ormai da quasi un anno senza interruzione ed è ancora come nuova!» Da “La fabbrica di cioccolato”, Roald Dahl, Milano, Salani editore, 2016. Questa volta i nostri colleghi dei musei e dell’Arcidiocesi dovranno vedersela con tavolette di Cioccocremolato Delizia Wonka al Triplosupergusto, Confetti senza Confini e Croccantini Piliferi; sarà un giugno ad alto tasso di zuccheri! Stay tuned! Per saperne di più su La fabbrica di cioccolato puoi cercare il libro in biblioteca! Biblioteca Civica di Vercelli - Sezione a Scaffale aperto, Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: 15.DAH Biblioteca Civica di Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: AC RR 588

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UN QUADRO, UOMINI INDAFFARATI E UN LABORATORIO

di Alessandra Cedone

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Trovare un biglietto dorato dentro una tavoletta di cioccolato “Wonka” e vincere l’opportunità di poter scoprire l’intimo mistero che si cela all’interno della fabbrica è una fortuna riservata a pochi: AugustusGloop, un bambino molto goloso, Veruca Salt, una ragazzina molto viziata dal padre, Violetta Beauregarde, campionessa mondiale di masticazione di gomme, Mike Tivù, un ragazzo molto appassionato di televisione e videogiochi, e infine Charlie Bucket, un ragazzino molto povero ma dall’animo buono e umile. Cinque bambini dalle esigenze e caratteristiche disparate, molto diversi tra loro, con una passione sfrenata per le tavolette di cioccolato “ Wonka” verranno catapultati nella realtà utopica della Fabbrica di cioccolato del famoso cioccolatiere, Willy Wonka! Nel romanzo vengono descritte dettagliatamente diverse stanze della fabbrica, dalle funzioni più disparate: è presente una stanza del cioccolato con fiumi, casette, prato e alberi dolci commestibili; una stanza delle invenzioni, dove ci sono tutti i dolciumi da provare e perfezionare; una stanza in cui dalle pubblicità televisive si possono afferrare varie tipologie di pietanze, e infine una stanza in cui laboriosi scoiattoli sgusciano nocciole. Una fabbrica enorme e dall’aspetto,a tratti fantascientifico che si discosta molto dall’idea standard di farmacia che abbiamo tutti in mente. Ma pensiamo nel Settecento periodo in cui le figure dello speziale e del medico andavano di pari passo, quando tutti i medicamenti venivano preparati a mano con elementi naturali, mischiati tra di loro molto spesso in maniera empirica, un po’ come il signor Wonka fa con le sue sperimentazioni in campo cioccolatiero. Un esempio caratteristico è l’opera pittorica attribuita ad Antonio Mayerle (Praga 1710 – Vercelli 1782), presente in Palazzo Langosco. Questa tavola della seconda metà del XVIII secolo, presenta una vivace e rara descrizione di interno di una farmacia del ‘700, con il suo corredo di vasi, barattoli e strumenti, dove diversi personaggi sono intenti chi alla preparazione, chi alla vendita e chi all’acquisto di svariati medicamenti. Da notare gli albarelli ordinati sugli scaffali sullo sfondo, cioè vasetti cilindrici dalla bocca ampia e senza coperchio riconducibili alla forma degli imballaggi in bambù con i quali venivano trasportate le droghe dall’Oriente, e colmi di ogni tipo di sostanza, tra le quali anche il cacao.

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È ORA DI OSSERVARE di Sara Agnelli

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In questo articolo il verbo osservare sarà utilizzato come sinonimo di leggere attentamente. Durante la lettura l'osservazione ci permette di andare oltre alla parola scritta o alla storia in superficie. Ne La fabbrica di cioccolato, capolavoro del 1964 scritto da Roald Dahl, osservare significa carpire una miriade di dettagli. Nel romanzo lo scrittore dà sfoggio, non solo alla sua fantasia, ma anche ai nostri sogni infantili. Protagonista è Willy Wonka strambo cioccolatiere che gestisce la fabbrica di cioccolato più fruttuosa al mondo. Come sia al suo interno? È un segreto che verrà presto svelato. Wonka, infatti, ha deciso di dare la possibilità a 5 bambini di visitare l'ignota fabbrica. L'imprenditore ha nascosto nelle sue tavolette, sparse per tutto il mondo, cinque biglietti dorati e chi li troverà potrà addentrarsi nel suo magico mondo. Quello che a prima vista può sembrare un semplice libro per ragazzi è in realtà molto di più. Dahl ci fa immergere in un mondo immaginario che più reale di così non potrebbe essere. Guardando oltre al cioccolato, agli oompa loompa e alle stramberie presenti, nel testo emergono valori concreti. La contrapposizione tra ricchezza/spavalderia/arroganza e povertà/umiltà/ semplicità fa da padrona all'intera narrazione. Così si scopre che un libro fantastico "sulla cioccolata", in realtà nasconde (ma non troppo) una morale. Chi si comporta bene e nel rispetto delle regole verrà premiato. Non vi svelerò altro del romanzo, trasposto in pellicola per due volte (1971 e 2005), ma vi assicuro che vale la pena leggerlo, osservandolo attentamente. Roald Dahl è capace di coinvolgere senza mai annoiare, educando con esempi incisivi. Credetemi! Divorerete il romanzo come se fosse una tavoletta di cioccolato Wonka. Osservare deriva dal latino observare (ob - e servare cioè custodire, considerare) e significa esaminare, rilevare, guardare con attenzione. Tutte le centinaia di opere esposte in museo si sarebbero prestate bene per questo #confrontinaspettati ma una su tutte ha colpito la mia attenzione. In questo modo, Giochi infantili di Luigi Zuccoli, è stato scelto per capire cosa voglia dire osservare un dipinto. Luigi Zuccoli (Milano 1815 – 1876) fu allievo di Pelagio Pelagi a Milano. Dopo aver iniziato a dipingere opere di soggetto religioso spostò la sua attenzione su temi storici. Si dedicò poi, con estrema naturalezza, alla pittura di genere, come testimonia il dipinto in esame. A prima vista si nota che in Giochi Infantili sono rappresentati 5 bambini e una donna in una stanza quasi spoglia. L'arredamento si riduce ad una madia, una mensola, una finestra e del cibo. Ad una seconda lettura iniziamo a distinguere gli atteggiamenti dei personaggi e la loro relazione con ciò che li circonda. Nel caso specifico del dipinto il comportamento dei bambini nei confronti del cibo ne descrive in qualche modo la personalità. Il cibo nell'Ottocento, soprattutto tra i meno abbienti, era il bene più prezioso, tanto da essere conservato sotto chiave. Il fatto che i bambini (4 su 5) lo stiano usando come un gioco è un fatto gravissimo, come segnala lo sguardo ammonitore della donna nascosta sulla destra. A tutti i ragazzi si pone di fronte una scelta: comportarsi bene o male. Osservando meglio capiamo che l'opera ci permette altri livelli di lettura e considerazioni. Il dipinto può essere utilizzato, ad esempio, per uno studio storico sull'alimentazione, sulla moda e, perché no, sugli arredi del tempo. Osservare minuziosamente le opere di un museo o leggere attentamente un libro permette di conoscere meglio l'epoca e la realtà in cui sono stati realizzati. L'osservazione deve sempre essere base per una conoscenza e curiosità più ampie. La sua importanza è tale da essere, per la scienza, alla base del ciclo conoscitivo induttivo. È chiaro che osservare è un'operazione tanto necessaria quanto difficile, ma se eseguita bene permette di giungere alla vera conoscenza. Osservare non deve essere fatto solo in ambito letterario, artistico o scientifico ma anche nella nostra realtà. L'osservazione meticolosa di una situazione o di una persona ci permette di non cadere in giudizi affrettati. Diventa chiaro, quindi, che prendersi il giusto tempo per osservare, che sia in museo o nella quotidianità, è fondamentale! Viviamo nell'epoca del tutto e subito ma se iniziassimo a prenderci più momenti per l'osservazione credo che ne gioveremmo tutti.

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AL MAC TRA UMPA LUMPA E PIGMEI

di Andrea Borlenghi

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I confronti di questo mese ci portano nel dolce mondo de “La fabbrica di cioccolato”, del noto autore per ragazzi Roald Dahl. Il romanzo, come tipico del genere per l’infanzia, si propone come un’avventura dai tratti comici e leggeri, mantenendo comunque sempre un fondo costante fatto di piccole lezioni morali, in particolare rivolte ad alcuni comportamenti scorretti che si possono ravvisare normalmente fra i bambini. La storia racconta di una fabbrica di cioccolato e del suo eccentrico proprietario, Willy Wonka, che decide di inserire all’interno di cinque delle sue famose tavolette di cioccolata dei biglietti dorati che consentiranno ai fortunati che li troveranno una visita allo stabilimento, oltre che una scorta a vita di dolciumi. Inizia così l’avventura di cinque bambini e dei loro accompagnatori, alla scoperta delle stranezze contenute in essa. Anche questo mese i volontari delle biblioteche hanno scelto un libro nel quale non è sicuramente facile trovare dei confronti con un museo, soprattutto se incentrato sull’archeologia romana, visto che l’argomento principe del libro, il cioccolato, verrà introdotto soltanto dopo la scoperta dell’America nel 1492, quando anche l’ultima eredità dell’impero romano, ossia l’impero bizantino, era già caduto da qualche decennio con la presa di Costantinopoli nel 1453. Nonostante questo non bisogna cadere nell’errore di pensare che le popolazioni antiche fossero entità immobili, confinate nei loro territori e prive di velleità nel campo delle esplorazioni verso terre ignote; a partire dal VI sec. a.C. si diffonde, ad esempio, una particolare pratica esplorativa, quella dei peripli, viaggi marittimi intrapresi allo scopo di descrivere le coste e le isole, i più ambiziosi dei quali saranno volti in particolare verso le coste oceaniche dell’Africa nel tentativo di completarne la circumnavigazione, obiettivo che venne raggiunto con successo dalla spedizione di navi fenicie organizzata dal faraone Neco II (609-594), partita dal Mar Rosso e tornata nel Mediterraneo passando dalle Colonne d’Ercole dopo un viaggio di tre anni. Nelle opere degli esploratori e dei geografi dell’antichità si possono anche trovare le descrizioni delle popolazioni incontrate durante i viaggi, ma non solo: anche molte opere letterarie legate alle peregrinazioni degli eroi come ad esempio i nostoi (i ritorni in madrepatria dei guerrieri greci dopo l’assedio di Troia) sembrano contenere al loro interno indicazioni di carattere geografico ed etnografico, probabilmente ricordo di esplorazioni più antiche di quelle che abbiamo citato; ed è proprio nell’Iliade che possiamo trovare la più antica menzione di una leggendaria popolazione che è il soggetto del confronto di questo mese, i pigmei, che fra i reperti del Museo Archeologico compaiono raffigurati su una coppa intenti a combattere delle gru. Proprio come gli Umpa Lumpa, ingaggiati da Wonka per lavorare nella sua fabbrica, sono un popolo di piccole creature provenienti da una remota isola del Pacifico; i pigmei vengono descritti dai greci come una razza di uomini particolarmente bassi, variamente collocati, a seconda dell’autore, in Africa nella regione delle sorgenti del Nilo o in India. Secondo la mitologia essi erano in perpetua lotta con le gru, che stagionalmente si avventavano a distruggere le messi, portando morte e distruzione. Molti sono i poeti e gli scrittori che citano questo mito, che, come spesso succede, conta di innumerevoli versioni e particolari diversi; una delle principali, ripresa anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, racconta che presso i pigmei abitava una ragazza bellissima, Gerana, la quale per gli onori divini che riceveva diventò tanto superba da arrivare a paragonarsi agli stessi Dei. Fu così che per punizione Era trasformò la fanciulla in una gru, ed essa, cercando assieme agli altri uccelli di recuperare il figlio rimasto fra i pigmei, si attirò il loro odio, dando così il via alla guerra. In campo artistico le raffigurazioni di pigmei compaiono sulle produzioni più svariate; dalla pittura, come quella ricordata da Filostrato nella quale essi si cimentano nella cattura di Eracle addormentato dopo il suo scontro con Anteo, venendo però a loro volta “messi nel sacco” dall’eroe, che li raccoglie facilmente nella sua leontè una volta ridestatosi, a mosaici di soggetto nilotico, come il fregio di una domus di Privernum della quale decorava la soglia del tablinio. Anche nel campo della gioielleria di età romana sono presenti in molte incisioni su corniola, sardonica o paste vitree, rappresentati nella classica lotta contro le gru, a cavallo dei più diversi animali, o in scene di genere. Infine esempi di fregi con Geranomachie si possono ritrovare frequentemente nelle produzioni ceramiche greche a partire dall’età arcaica, alcune delle quali anche molto importanti, come un aryballos di Nearco conservato al Metropolitan di New York o sul celeberrimo cratere François del vasaio Ergotimos e del pittore Kleitias, entrambe le opere databili attorno al 570 a.C., fino ad arrivare alle produzioni romane, come testimoniato anche a Vercelli dalla nostra coppa in terra sigillata semplice proveniente da un corredo funebre, nello specifico quello della tomba n.40 della necropoli situata in Corso Prestinari. 61





DIVERSAMENTE ALTI, CON UN PIZZICO DI MALINCONIA

di Alessandra Bertaglia

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Il mese di giugno coincide con l’inizio dell’estate, inevitabile non dare avvio alla stagione con tutta una serie di squisitezze tipicamente estive; ovviamente ognuno ha le sue preferenze, per questo Giulia e Simone hanno pensato di proporre il libro che racchiude tutte le possibili varianti del tema dolciario, “La fabbrica di cioccolato” di Roald Dahl. Il libro è ambientato all’interno della fabbrica appartenente al signor Willy Wonka, che possiede la più blindata fabbrica di cioccolato e dolci al mondo. La possibilità di entrare a visitare la fabbrica viene concessa a cinque fortunati bambini, accompagnati da un solo adulto, che hanno trovato all’interno delle barrette di cioccolato il famoso Biglietto d’oro. I bambini provengono da diverse sfere sociali e culturali, inoltre rappresentano differenti vizi di cui il genere umano è portatore. L’interno della fabbrica segreta si presenta come un piccolo mondo con differenti settori lavorativi; inoltre i piccoli visitatori scoprono chi lavora all’interno della fabbrica, dettaglio da sempre sconosciuto al mondo. I piccoli operai sono chiamati Umpa Lumpa, una popolazione di indigeni che abitava nel regione Umpalandia, dell’isola Umpa, situata nell’Oceano Pacifico. Gli Umpa Lumpa hanno sembianze umane, anche se sono di statura piccola, infatti arrivano fino al ginocchio e sono un po’ tozzi, dalla carnagione leggermente scura; questa popolazione si nutre di piccoli vermi verdi, ma sono ghiotti di fave di cacao, infatti quelle poche che riescono a ritrovare sulla loro isola vengono idolatrate come delle divinità. La proposta del signor Wonka di assumerli come dipendenti in cambio di fave di cacao fu graditissima e venne subito accettata con gioia da tutta la popolazione; una soddisfazione anche per il proprietario della fabbrica che poté contare sull’aiuto di validi dipendenti. Gli Umpa Lumpa accompagnano la visita dei piccoli visitatori attraverso delle piccole canzoni, con riferimenti alle piccole disavventure dei bambini; dettaglio non del tutto casuale, anche se il signor Wonka dice che sono esseri che amano cantare. I piccoli dipendenti del signor Wonka mi hanno talmente incuriosito ed appassionato, in particolar modo per il loro atteggiamento verso i visitatori, che ho deciso di considerarli come tema per i Confronti Inaspettati di questo mese. Gli Umpa Lumpa sono creature umanizzate ma dalle sembianze più piccole, pertanto potrebbero essere considerati dei nani, tema rappresentato in uno degli affreschi presenti nella chiesa di san Giacomo in san Cristoforo, localizzata in via san Cristoforo nel centro storico della città di Vercelli. La rappresentazione della figura del nano è raffigurata in uno dei quattro riquadri affrescati della parete Nord, che illustrano le Storie della Beata Vergine Maria, dipinte da Gaudenzio Ferrari tra il 1532-1534. I quattro riquadri raffigurano episodi salienti della Vergine, in particolare l’ultimo riquadro in basso a destra che raffigura L’Adorazione dei Magi. La scena rappresenta una moltitudine di personaggi ed animali, anche esotici, con un'esplosione di colori cangianti. Sono rappresentate, oltre alla Sacra Famiglia ed i tre Magi, anche tutto il corteo di servitori; tra questi spicca la figura del nano, che rappresentato in primo piano sorregge la corona di uno dei Magi, inoltre lo sguardo fisso accenna ad una nota malinconica, che sembra prevedere il destino del Bambino. Le due figure, gli Umpa Lumpa e il nano di Gaudenzio Ferrari, pertanto sono figure emblematiche che lasciano trasparire, attraverso i loro sguardi e le loro canzoni, come il destino risulti parzialmente prestabilito, infatti anche se sono rappresentati come figure buffe sono portatori di messaggi malinconici.

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I VIZI CAPITALI DELLA FABBRICA DI CIOCCOLATO

di Silvia Spagnoletti

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Il quinto appuntamento di #confrontinaspettati vede come protagonisti un famoso libro, Charlie e la Fabbrica di Cioccolato scritto da Roald Dahl, e il bacile dei vizi del Museo del Tesoro del Duomo. Dal romanzo di Dahl sono state tratte due versioni cinematografiche: Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato di Mel Stuart (1971) e la più recente Fabbrica di Cioccolato di Tim Burton (2005). La Fabbrica di Cioccolato è un mondo magico e misterioso. Chiusa da lunghi anni al pubblico, non ha mai smesso di produrre le sue famose e deliziose barrette di cioccolato. L’eccentrico proprietario, Willy Wonka, riapre i cancelli della fabbrica per accogliere cinque fortunati consumatori che hanno trovato i biglietti d’oro nascosti nelle barrette di cioccolato. Augustus Gloop, bambino grassottello e ghiotto di cioccolato; Veruca Salt, capricciosa e viziata; Violetta Beauregarde, ambiziosa e piena di sé; Mike Tv, saputello e nerd dei videogiochi e, infine, Charlie Bucket, un ragazzino umile e gentile. Sono loro i fortunati visitatori del fantastico mondo di dolciumi della Fabbrica di Cioccolato. Come già notato dalla mia collega di SCN Sara per #confrontinaspettati di questo mese al Museo Borgogna, Charlie e la Fabbrica di Cioccolato è una storia che può essere osservata da diversi punti di vista. Analizzando i caratteri dei bambini protagonisti e il loro viaggio nella fabbrica si nota un richiamo ai Vizi Capitali e alla Divina Commedia di Dante. Willy Wonka è l’eccentrica guida che mostra ai bambini i misteri e i pericoli della Fabbrica di Cioccolato, così come Virgilio accompagna Dante nell’aldilà. Ma nella Fabbrica di Cioccolato non ci sono né dannati né gironi, solo quattro bambini puniti per i vizi che rappresentano. August Gloop pecca di gola, Veruca Salt di avarizia, Violetta Beauregarde di superbia e MIke Tv di ira. Alla fine del viaggio rimane incolume il povero e gentile Charlie Bucket, raffigurazione della virtù dell’umiltà, futuro erede della Fabbrica di Willy Wonka. La personificazione di Vizi e Virtù è un topos molto comune nella letteratura e nell’arte. Dante ha reso la dottrina cristiana dei sette Vizi Capitali il cardine della Divina Commedia. Già l’arte medievale ha identificato i Vizi con persone dalle caratteristiche fisiognomiche ben precise. Ad ognuno di essi sono state associate specifiche caratteristiche fisiche ispirate dalla Psychomachia di Prudenzio. Il Museo del Tesoro del Duomo conserva un bacile di bronzo inciso del XII secolo in cui troviamo i Vizi in forma umana. Al centro vi è un uomo barbuto, a torso nudo e con un largo mantello sulle spalle, che rimanda alla Superbia. Caratteristica insolita considerando che questo vizio è spesso raffigurato con fattezze di donna. Attorno alla Superbia sono disposte, alternate da elementi vegetali, le personificazioni degli altri Vizi. Idolatria, invidia, ira, lussuria, libido, avarizia e discordia si rincorrono, palesandosi come modello negativo al buon cristiano. Riflesso di un modo più maturo di rappresentazione dei Vizi, è invece la pergamena dell’Ecclesia conservata presso l’Archivio Capitolare, dove i Vizi diventano attributi associati a persone umane, senza particolari caratteristiche fisiognomiche.

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IL PICCOLO PRINCIPE di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Questo mese per i confronti inaspettati vi faremo scoprire (o riscoprire) la delicatezza e la sensibilità di un classico senza tempo: Il piccolo principe di Antoine De Saint-Exupérie. Attraverso un linguaggio semplice e adatto a tutte le età, questo racconto riesce a trattare molti grandi temi come l'amore, l'amicizia, il senso della vita e la morte in modo poetico e ricco d'immagini suggestive. É uno dei libri più venduti e tradotti al mondo e, non a caso, sono molte anche le trasposizioni teatrali e cinematografiche: una delle ultime è il film di animazione del 2015 diretto da Mark Osborne che s'ispira nel design alle famosissime illustrazioni presenti nel testo disegnate dall'autore stesso. Il racconto è narrato in prima persona da un aviatore precipitato nel Sahara, che incontra un bambino molto bello con i capelli biondi. I due iniziano a fare amicizia e molto presto l'aviatore scopre che il bambino è il principe dell'asteroide B612, atterrato sulla Terra dopo un lungo viaggio. Il Piccolo Principe spiega al suo nuovo amico di essersi sentito molto triste e solo sul suo asteroide nonostante la compagnia di una rosa, molto bella, ma scorbutica. Per questo motivo ha iniziato a vagare per lo spazio incontrando personaggi molto strani e particolari: da un vecchio re solitario, che ama dare ordini ai suoi sudditi (sebbene sia l'unico abitante del pianeta), a un uomo d'affari che passa i giorni a contare le stelle, credendo che siano sue, fino a un lampionaio che deve accendere e spegnere il lampione del suo pianeta ogni minuto, perché il pianeta gira a quella velocità. Sulla Terra il Piccolo Principe farà anche altri incontri molto importanti: il più significativo è quello con una volpe che gli insegnerà il significato dell'amicizia. "Il piccolo principe ritornò l'indomani. «Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora», disse la volpe. «Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti» «Che cos'è un rito?» disse il piccolo principe. «Anche questa è una cosa da tempo dimenticata», disse la volpe. «È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore.»...." Da “Il piccolo principe”, De Saint-Exupéry A., Milano, Salani editore, 2016. E ora siamo curiosi di scoprire quali confronti inaspettati avranno in serbo per noi i nostri colleghi dei musei e dell’Arcidiocesi! La sfida ha inizio il 5 giugno! Non mancate! Per saperne di più su Il piccolo principe puoi cercare il libro in biblioteca! Biblioteca Civica di Vercelli - Sezione a Scaffale aperto, Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: SA.843.SAI Biblioteca Civica di Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: 843 SAI

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PIANETI, VIAGGI, SPAZIO E

ASTRONOMICUM

di Alessandra Cedone

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Il romanzo “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupèry, è un racconto per bambini, ma molto apprezzato anche dagli adulti, perché tratta temi rilevanti della vitacon toni semplici e spensierati. Tutto inizia così: "Mi disegni una pecora?". Un bambino al centro del deserto del Sahara, si materializza quasi come un fantasma, ponendo questa domanda ad un pilota di aerei precipitato con il suo mezzo. Poco per volta fanno amicizia, ed il bambino dice di essere il principe di un lontano asteroide, sul quale abitano soltanto lui, tre vulcani, di cui uno inattivo, e una piccola rosa, molto vanitosa, che lui cura e ama. Il Piccolo Principe, proveniente dall'asteroide B-612, aveva bisogno di una pecora per farle divorare gli arbusti di baobab prima che crescessero e soffocassero il suo pianeta. Il Piccolo Principe racconta che, viaggiando nello spazio visitando i pianeti dall'asteroide 325 al 330, ha conosciuto diversi personaggi strani che gli hanno insegnato molte cose. Per ultimo incontra un geografo che sta seduto alla sua scrivania ma non ha idea di come sia fatto il suo pianeta, perché non dispone di esploratori da mandare in avanscoperta. Proprio quest’ uomo consiglia al Piccolo Principe di visitare la Terra, sulla quale il protagonista giunge, con grande stupore per le dimensioni e per la quantità di persone. Proprio sulla Terra, all’interno della biblioteca di Camillo Leone, il Piccolo Principe avrebbe trovato le giuste informazioni per poter salvare il suo asteroide studiando un’opera di astronomia tra le più famose del ‘500. Incarnando tutti i dettagli del Sistema Geocentrico Tolemaico, (la Terra che è posta al centro dell’universo mentre tutti gli altri corpi celesti ruoterebbero intorno ad essa), il testo “Astronomicum Caesareum” (1540) di Petrus Apianus è, dal punto di vista figurativo, il capolavoro della letteratura astronomica cinquecentesca. L’opera presenta una ricca serie di volvelle o “equatoria”, cioè strumenti costituiti da dischi di carta figurati (opera del disegnatore Michael Ostendorfer) sovrapposti e rotanti che, con l’ausilio di fili, servono sia a calcolare e prevedere le posizioni dei pianeti nell’universo, sia a poterli ritrovare all’interno dello zodiaco. L’opera è composta da tavole illustrate e volvelle delle quarantotto costellazioni che nel Cinquecento erano conosciute, accurate descrizioni e classificazioni delle stelle con la loro ripartizione nella fascia settentrionale, zodiacale e australe, e infine la descrizione degli strumenti più utilizzati per l’osservazione e il calcolo astronomico e astrologico. Il testo risulta ricco di spunti creativi, nonostante l’erronea convinzione perpetrata all’interno del Sistema Tolemaico in toto. Forse il Piccolo Principe, avrebbe potuto studiare questo scritto, se non per trovare una soluzione al suo problema, solo per riuscire a tornare a casa, sul suo asteroide, ma come in ogni libro per bambini che si rispetti, la soluzione sembra sempre arrivare quando meno ci si aspetta. Dopo aver ascoltato tutto il racconto del Piccolo Principe, il pilota non è riuscito a riparare l'aereo e ha terminato la scorta d'acqua, andando alla ricerca di un pozzo però il principe si imbatte nel serpenteche, durante il loro primo incontro, gli aveva confidato di avere la capacità di portare chiunque molto lontano e, quindi, di riportarlo a casa, sul suo piccolo pianeta. Il Piccolo Principe, consapevole di aver "addomesticato" il pilota, sa di dargli un dispiacere e allora lo invita a guardare il cielo e a ricordarsi di lui ogni qual volta osserva le stelle. Detto questo il serpente lo morde alla caviglia e il piccolo principe cade esanime sulla sabbia.
 L'indomani il pilota vede che il corpo del bambino è sparito; così immagina che il piccolo principe sia riuscito a raggiungere il suo pianeta e a prendersi cura della sua amata rosa. Ogni avvenimento ha una sua conclusione, non sempre quella che tutti sperano. Il Piccolo Principe sarà davvero ritornato sul suo asteroide o invece è solo sparito ancora alla ricerca di una soluzione per la salvezza planetaria… chissà se il pilota se lo è mai chiesto!?

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PROFUMO DI ROSA

di Sara Agnelli

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La rosa è un genere che comprende circa 150 specie e si classifica in rose botaniche, antiche e moderne. Oltre ad avere diverse valenze simboliche, di cui tratteremo più avanti, ha anche diversi utilizzi. Infatti, la rosa non è solo uno dei regali più apprezzati dal mondo femminile, ma è anche alla base di diverse preparazioni. Ad esempio, i suoi petali sono utilizzati per le proprietà medicinali in profumeria e nella cosmetica. In aromaterapia sono attribuite all'olio di rosa proprietà sedative, antidepressive, antidolorifiche e antisettiche. Ma la rosa è anche la base per ottime confetture, tisane, dolci e liquori. La rosa si presenta, quindi, come un fiore dalle mille sfaccettature. Fondamentale è il suo ruolo all'interno del Piccolo principe e nel piccolo rame dipinto da Ambrosius Bosschaert e conservato in museo. Ne Il piccolo principe, capolavoro scritto da Antoine de Saint-Exupéry, la rosa rappresenta l'oggetto di numerose cure da parte del piccolo principe. Quest'ultimo è il protagonista del libro e nell'incontro con un aviatore decide di raccontargli le sue strambe avventure. Tra queste narra della sua amata rosa. Il fiore del piccolo principe è nato sul suo pianeta inaspettatamente, ma dal giorno del suo arrivo, l'uomo non ha mai smesso di dedicargli tutte le sue attenzioni. La sua rosa è dotata di parola, ma ancora di più, si caratterizza per essere estremamente vanitosa e scorbutica! Il fiore ha sempre sostenuto di essere il solo di quel genere in tutto l'universo. Tuttavia, il piccolo principe scopre che la sua rosa è solo una delle tante. Nonostante questa scoperta e la delusione iniziale il principe non smette di voler bene alla sua rosa e di prendersene cura. Il piccolo principe è un romanzo per bambini e per quegli adulti che desiderano tornare indietro nel tempo. È il libro più tradotto dopo la Bibbia e uno degli unici in grado di svelare i veri valori dell'esistenza. Fu pubblicato per la prima volta nel 1943 a New York e solo dopo la morte dell'autore (1945), in Francia. A riguardo esistono numerose opere teatrali, commedie musicali, canzoni, film, telefilm e cartoni animati. È un vero e proprio capolavoro che va letto con il cuore perché «L'essentiel est invisible pour les yeux». Nel 1896 Antonio Borgogna si aggiudica all'asta della collezione Bonomi Cereda un piccolo rame raffigurante Fiori in un bicchiere siglato, in basso a sinistra, da Ambrosius Bosschaert. Quest'ultimo nacque ad Anversa nel 1573 e si specializzò nelle rappresentazioni di nature morti con fiori. Con Jan Brueghel il Vecchio è considerato l'inventore di questo genere che, nel Seicento, ebbe ampia diffusione nei Paesi Bassi. Nel dipinto in museo la precisione scientifica nella rappresentazione del mazzo di rose ci permette di riconoscerne i generi. Si tratta di Rosa gallica Batavica (rosa), Rosa x alba (bianca) e Rosa Gallica semiplena (rossa con striature). Le rose, conservate in un bicchiere berkemeier, sono attorniate da diversi insetti. Questi ultimi e i fiori nascondono significati simbolico-religiosi legati alla transitorietà dell'esistenza e alla Vergine, conosciuta anche come Rosa mistica. Il tono scuro dello sfondo, la semplicità e verticalità della composizione suggeriscono una datazione intorno al 1610, in una fase precoce della produzione dell'artista.

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PICCOLE LAMPADE PER PICCOLI PRINCIPI

di Andrea Borlenghi

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Il libro scelto dai volontari delle biblioteche per i confronti inaspettati di luglio è il Piccolo Principe; come per lo scorso mese il testo selezionato nasce, secondo le intenzioni chiaramente espresse dallo stesso autore Antoine de Saint-Euxpery, per essere rivolto ai più piccoli, anche se nel corso degli anni è diventato un classico apprezzato ed amato da un pubblico di tutte le età. Rispetto alla Fabbrica di cioccolato del mese passato, che si rivolgeva all’infanzia con un testo dallo stile buffo ed ironico e con la volontà di fornire dei modelli comportamentali nei quali i bambini potessero immedesimarsi, il romanzo dello scrittore francese più che porsi velleità di tipo pedagogico sembra voler essere un’introduzione a temi filosofici molto profondi, come la vita, l’amicizia, l’amore e la morte, nonché, forse, il senso stesso dell’esistenza. Questa sorta di educazione alla vita e ai sentimenti viene affrontata senza essere edulcorata da mondi zuccherati e lieti fini, ma anzi, costante del libro è un sottile velo di malinconia che lo avvolge finemente come se fosse la sciarpa del nostro protagonista; tanto che riletto in età adulta si giunge a chiedersi se più che essere finalizzato all’educazione sentimentale dei più piccoli, non sia rivolto in realtà ad una rieducazione dei più grandi, una rieducazione a “sentire”, ad emozionarsi, alla semplicità, a ritrovare il bambino che tutti siamo stati una volta e che lo stesso Saint-Euxpéry evoca nella struggente dedica all’inizio del libro. Insomma se lo avete letto solo da piccoli e poi accantonato nella vostra libreria il mio consiglio è di riprenderlo in mano. Potrebbe davvero valerne la pena. Ed ora, senza dilungarci troppo sulla trama del libro, che potete comunque ritrovare ben sintetizzata nel post di inizio mese realizzato dagli amici delle biblioteche, vediamo cosa potreste ritrovare girando per le sale del Museo Archeologico della Città di Vercelli che si ricolleghi al nostro romanzo. Nel corso dei suoi viaggi alla ricerca di un nuovo amico, il Piccolo Principe ad un certo punto approda sul pianeta di un lampionaio, impegnato diligentemente nella sua mansione di accendere e spegnere un lampione che praticamente occupa tutto lo spazio del piccolo asteroide. Egli racconta che un tempo la sua consegna era ragionevole, spegnere il lampione al mattino per poi riaccenderlo alla sera, avendo poi il resto del tempo per riposare; ma di anno in anno il pianeta si mise a girare sempre più velocemente, fino a ritrovarsi a dover compiere questa operazione di minuto in minuto. Questa attività mi ha fatto pensare al tema dell’illuminazione in antico, ben illustrato dai numerosi esempi di lucerne conservati qui in Museo. Esse rappresentavano uno dei principali metodi utilizzati per rischiarare gli ambienti degli edifici, ed in quelli dei più ricchi alimentate dagli schiavi, che come degni colleghi del nostro lampionaio dovevano costantemente controllarle e nel caso rifornirle di combustibile, solitamente costituito da olio di oliva, ma potevano anche essere usati olio di noce, di sesamo, di pesce o di ricino, e con ogni probabilità anche olii minerali che nel mondo antico erano già conosciuti. Innumerevoli e impossibili da trattare in questa sede sono tutte le forme e le tipologie che vennero foggiate nel corso dei secoli, e ci limiteremo a dire che esse erano essenzialmente costituite da un serbatoio, solitamente di forma cilindrica, tronco-conica, emisferica o svasata, destinato a contenere il combustibile. La parte superiore era costituita dal disco, l’area centrale piana o concava in cui era collocato il foro di alimentazione, e che poteva essere circondata da una spalla variamente decorata. Nella zona del corpo erano spesso inseriti elementi da presa, costituiti da anse o presine. Ultima parte fondamentale è il becco, nel quale era collocato un canale terminante in un foro, dove veniva posizionato lo stoppino. Escludendo la prima sala, dedicata alla popolazione celtica dei Libui, tutte le sale del MAC contengono esempi di lucerne, cosa del resto normale, visto che era un oggetto comunissimo per tutti gli strati della popolazione, anche se accanto agli esemplari più comuni in ceramica ne esistevano di più pregiati in vetro o metallo (bronzo, argento e perfino oro), ed utilizzato sia nella sfera privata che pubblica. Sono poi i vari tipi di decorazioni ad indicarne il possibile utilizzo in contesti diversi: quelle rinvenute presso l’anfiteatro ad esempio mostrano scene di vari tipi di agoni, come combattimenti di gladiatori, gare di pugilato o corse di carri. Nei larari delle domus (edicolette votive per il culto degli antenati), nei quali era sempre accesa una lucerna, si possono ritrovare immagini di divinità, di altari, o di animali simbolici come nel nostro caso il delfino. Diversissime poi le raffigurazioni di quelle in ambito domestico; esse possono presentare motivi vegetali, animali, maschere teatrali; molto comuni erano anche rappresentazioni di scene erotiche. Bisogna infine sottolineare che le lucerne svolgevano un ruolo importante anche in ambito funerario; sono infatti uno degli oggetti che ricorre più spesso nei corredi, e come si può intuire la loro funzione doveva essere quella di illuminare il percorso del defunto verso l’aldilà. A volte però gli archeologi ritrovano anche degli esemplari collocati nella sepoltura in posizione capovolta; in tal caso questa defunzionalizzazione della lucerna deve probabilmente essere intesa come un’allegoria della vita che si spegne.

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LA SIMBOLOGIA DEI FIORI

di Alessandra Bertaglia

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Il mese di luglio coincide, per molti, con l’inizio delle vacanze, pertanto Giulia e Simone hanno proposto per il nuovo appuntamento di Confronti Inaspettati un piccolo grande classico senza tempo, da portare e riscoprire anche sotto l’ombrellone: il Piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupéry. Il piccolo principe è un bambino proveniente dall’asteroide B-612, che ha deciso di affrontare un viaggio fra i diversi pianeti, perché si sentiva solo e non molto considerato dall’altro essere vivente del suo pianeta: una rosa. Il suo viaggio lo porterà a scoprire differenti personaggi non solo umani, ma anche animali, che gli impartiranno alcuni insegnamenti. In particolare conoscerà una volpe che gli insegnerà il significato vero dell’amicizia, consentendogli di comprendere i sentimenti che prova verso la rosa. Il suo viaggio infatti nasce dall’esigenza di trovare una pecora affinché divori gli alberi di baobab, che altrimenti infesterebbero l’intero pianeta soffocando anche la sua amata rosa. Alla fine del suo viaggio infatti il piccolo principe capisce di essere solo scappato dal fiore, che in realtà ama, e non desidera altro che ritornare sul suo pianeta per accudirlo e fornirgli le cure dovute. Il piccolo principe intraprende differenti avventure ma il suo unico pensiero, che comprende solo alla fine del suo viaggio, è la cura e tutela della sua rosa; questo fiore pertanto diventa fondamentale in quanto indentifica il sentimento dell’amore. La rosa del piccolo principe si presenta umanizzata con anche dei tratti caratteriali ben definiti: è scorbutica e soprattutto molta vanitosa da pretendere le cure del bambino. La rosa però comprende, dopo la partenza del piccolo principe, che necessita del bambino non solo per la sua sopravvivenza, in quanto infestata dagli alberi di baobab, ma anche perché prova dei sentimenti molto forti per quel piccolo umano, sentimenti legati alla sfera amorosa, di cui questo particolare fiore ne rappresenta il simbolo. La simbologia dei fiori è molto utilizzata anche nelle rappresentazioni di scene sacre: in particolare il fiore del giglio, che è accomunato alla figura della Beata Vergine Maria. Il giglio simboleggia la purezza immacolata della Madonna, pertanto è solito vedere questo fiore fra le braccia di Maria o di chi le sta porgendo gli omaggi. Il giglio è ripreso in uno degli affreschi che adornano il secondo altare di sinistra della chiesa di sant’Anna, appartenente alla confraternita omonima, collocata in via Fratelli Ponti, non lontano dal centro di Vercelli. L’altare è racchiuso all’interno di una lunetta decorata sulla cornice da un ciclo di affreschi, datato XVII secolo, che riporta le scene di vita della Beata Vergine Maria. L’affresco, di dimensioni rettangolari, occupa la parte centrale della lunetta e presenta la scena dell’Annunciazione nella quale sono raffigurati l’arcangelo Gabriele e la Beata Vergine Maria. La figura di Maria è collocata presso un inginocchiatoio con lo sguardo rivolto verso il cielo, il suo volto trasmette la sua piena accettazione, con grande umiltà e venerazione verso la figura di Dio Padre e la colomba. La figura di Maria è completamente illuminata, con una luce che rischiara le nubi, presenti intorno. La figura dell’arcangelo è significativa in quanto viene ritratto mentre porge alla Vergine un ramo fiorito di giglio, simbolo della sua purezza.

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ADDOMESTICAMENTO ED ESORCISMO, DUE LATI DELLA STESSA MEDAGLIA

di Silvia Spagnoletti

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Siamo giunti al sesto appuntamento di #confrontinaspettati, l’iniziativa dei volontari SCN del progetto La cultura che non ti aspetti. Il libro protagonista del mese di luglio è Il Piccolo Principe scritto dall’autore francese Antoine de Saint-Exupéry. Pubblicato per la prima volta nel 1943, il Piccolo Principe è uno dei libri più venduti e tradotti al mondo. Motivo di tale successo, che la storia riscuote tutt’oggi, è la capacità dell’autore di comunicare temi complicati come l’amore, l’amicizia, la solitudine, il senso della vita e la morte in modo semplice e attraverso immagini suggestive e poetiche. Il Piccolo Principe è una storia rivolta ai bambini che ha molto da dire anche agli adulti, i quali certe cose spesso dimenticano o danno per scontate. Antoine de Saint-Exupéry ripensa a quando era bambino, quel bambino che voleva fare il pittore, che ritorna nei panni del Piccolo Principe per riscoprire tutte quelle cose cui da adulti non si pensa più. Dopo aver lasciato il suo asteroide B612, il Piccolo Principe approda sulla Terra. Esplorando il nuovo pianeta il Piccolo Principe incontra svariati personaggi, tutti molto diversi fra loro. È qui che conosce la volpe che chiede di essere “addomesticata”. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”. L’addomesticamento, spiega la volpe, è un rito che serve a creare dei legami, ad avvicinare due persone che diventano così uniche l’uno per l’altra. È un rito fatto di promesse, di attese ma anche di addii e ricordi felici, perché quando si è stati addomesticati anche la lontananza porta con sé un briciolo di felicità. Antoine de Saint-Exupéry ci ricorda l’importanza dei riti e di gesti ripetuti a cadenza regolare che servono per addomesticare, per legarsi a qualcuno. Eppure il Piccolo Principe parla anche della tristezza dell’abbandono e della morte, di azioni che sembrano far del male ma posso procurare anche del bene. È per questa ragione che per il nuovo #confrontinaspettati del Museo del Tesoro del Duomo abbiamo deciso di prendere in esame un rito completamente opposto a quello descritto nella favola del Piccolo Principe, ovvero un rito di esorcismo. Addomesticamento e esorcismo possono essere considerati due lati di una stessa medaglia. Si tratta di riti molto simili tra di loro ma con un obiettivo contrario. Tra i manoscritti medievali e i documenti conservati nella Biblioteca Capitolare di Vercelli, nel codice XII si trova il racconto di un rito molto particolare: un esorcismo compiuto alla fine del XII secolo, dall’allora vescovo di Vercelli Sant’Alberto degli Avogadro. Come l’addomesticamento, anche l’esorcismo prevede dei gesti e delle parole ben precise, ma a differenza del primo che unisce, il secondo separa e allontana per sempre. L’esorcismo raccontato nel codice XII, parla di una nobildonna di Parma di nome Susanna, o Mabilia, posseduta da cinque demoni silenti e uno molto loquace. Secondo la storia, la donna si reca a Vercelli per essere esorcizzata nei territori di Sant’Eusebio secondo le precise istruzioni del demone loquace. Susanna viene esorcizzata da Sant’Alberto con il braccio di Sant’Emiliano, probabilmente un reliquiario a braccio come quelli conservati nel Museo del Tesoro del Duomo. Sentendosi libera la donna torna a Parma ma poco tempo dopo ritorna a Vercelli per essere nuovamente esorcizzata da Sant’Alberto. Questa volta, però, decide di stabilirsi in un palazzo in città per paura che con la lontananza i demoni potessero ritornare. Con l’addomesticamento, il Piccolo Principe e la volpe si donano l’un l’altro creando un legame forte e indissolubile. Allo stesso modo, per ringraziare del bene ricevuto, Susanna dona alla Chiesa di Sant’Eusebio un sontuoso pergamo di marmo di cui faceva parte anche la famosa Madonna dello Schiaffo, lasciando un segno indelebile nella città di Vercelli.

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LA RAGAZZA CON L'ORECCHINO DI PERLA di Giulia Boscolo e Simone Cherubin

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Ultimo appuntamento per i Confronti Inaspettati! A conclusione di questo percorso vi proponiamo La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier. Non è un caso se abbiamo scelto questo romanzo: nel logo del nostro progetto è raffigurata, infatti, proprio la ragazza con l’orecchino! Il romanzo prende spunto dal famoso quadro di Johannes Vermeer, “La ragazza col turbante”, del 1665/1666 circa. Nel libro viene narrata in prima persona la storia di Griet, una ragazza dell’Olanda del Seicento che vive a Delft, in un quartiere protestante. L’intera trama si sviluppa intorno al rapporto tra la ragazza e il celebre pittore Johannes Vermeer, presso il quale presta servizio come donna delle pulizie. I due entreranno sempre più in confidenza, provocando l'invidia della moglie e della governante. La situazione si complica quando uno dei maggiori committenti di Vermeer e noto donnaiolo, gli commissiona un quadro della ragazza per aver modo di circuirla. Per realizzarlo il pittore decide di far indossare a Griet gli orecchini di perla appartenenti alla moglie, ma questo scatenerà una serie di eventi che cambieranno per sempre la vita di entrambi. "«Ora volta la testa molto lentamente verso di me. No, le spalle no. Rimani col corpo girato verso la finestra. Muovi solo la testa. Piano, piano. Fermati. Ancora un po', così che... basta. Ora sta seduta lì ferma». Rimasi seduta immobile. Dapprima non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Quando ce la feci, fu come sedersi vicino a un fuoco che all'improvviso esplode. Mi misi allora a studiare il suo mento deciso, le sue labbra sottili. «Griet, tu non mi stai guardando». Mi sforzai di sollevare lo sguardo verso i suoi occhi. Mi sentii di nuovo come se stessi bruciando, ma tenni duro: era questo quello che lui voleva. Ben presto mi fu più facile tenere gli occhi fissi nei suoi. Lui mi guardava come se non vedesse me, ma qualcun altro, o qualche altra cosa, come se stesse guardando un quadro. Sta guardando la luce che batte sul mio viso, pensai, non il mio viso. Questa è la differenza." Da “La ragazza con l'orecchino di perla”, Chevalier T., Vicenza, Neri Pozza, 2014 Quali saranno gli ultimi confronti inaspettati che scoveranno i nostri colleghi dei musei e dell’Arcidiocesi? Per scoprirlo dovremo attendere il 5 agosto e così via per tutto il mese! Siete pronti?! Stay tuned! Per saperne di più su La ragazza con l’orecchino di perla puoi cercare il libro in biblioteca! Biblioteca Civica di Vercelli - Sede di Via A. G. Cagna, 8 Collocazione: 10.G.417 Biblioteca Civica di Vercelli - Sezione a Scaffale aperto, Via Galileo Ferraris, 95 Collocazione: SA.813.CHE Biblioteca Civica di Santhià - Via Dante, 4 Collocazione: 813 CHE

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PALAZZO LANGOSCO E LE SUE PORCELLANE

di Alessandra Cedone

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La ragazza con l'Orecchino di perla è un romanzo storico di Tracy Chevalier che, ispirata dalla vita del pittore fiammingo Johannes Veermer, narra le vicende legate al dipinto dello stesso, “La ragazza col turbante”, narrando la vita del soggetto ritratto. La storia si incentra su Griet, un’umile sedicenne di Delft di povere origini, costretta ad andare a servizio dalla famiglia cattolica dei Veermer per poter sostenere economicamente i propri genitori. Il padre della ragazza, divenuto cieco dopo un incidente nel laboratorio di piastrelle dove faceva il decoratore, è costretto a lasciare il suo posto di lavoro che, successivamente prenderà il fratello di Griet, e quindi anche obbligato a separarsi dalla figlia, l’unica con l’estro creativo della famiglia. Come il padre, anche Vermeer si accorgerà della precisione maniacale e del gusto artistico della giovane, creando con lei un rapporto privilegiato, tanto da attirare le critiche e l’invidia da parte della moglie e delle figlie dell’artista. Le vicende si susseguono molto velocemente fino ad arrivare al dipinto, dove la giovane viene ritratta per una committenza privata, con le perle della moglie dell’artista, ignara dell’opera che si stava realizzando. Saranno proprio le perle mancanti che decreteranno l’allontanamento della ragazza ma anche il suo successivo riscatto, a distanza di anni dopo la morte del pittore, che le lascerà in eredità gli orecchini.
 Tralasciando la vita del pittore fiammingo e delle opere che la stessa Griet vede e alle quali collabora, un elemento importante per l’andamento del romanzo è la città nella quale la vicenda si svolge, Delft. La cittadina olandese, diventa molto importante già nel XIV secolo per la produzione di porcellane dalla colorazione bianco – blu definite proprio con il nome di “Blu Delft”. La storia di questo tipo di porcellane inizia con la massiccia importazione di porcellane cinesi, a seguito della costituzione della Compagnia delle Indie Orientali Olandesi, che è collegata all’arrivo nella cittadina di maestranze ceramiste da Anversa. Il periodo di spicco di queste attività nel campo della porcellana è lo stesso di quello descritto nel romanzo, il Seicento, che si caratterizza per essere il secolo d’oro dell’arte olandese. Nel romanzo viene descritta una scena importante in cui il padre, prima di andare a servizio a casa dei Veermer, dona a Griet la sua piastrella preferita: quella decorata da lui con due bambini che giocano, che la figlia porterà con sè. Questo aneddoto che la ragazza racconta in prima persona all’interno del romanzo, ci fa subito capire quanto Griet - e gli olandesi in generale - reputino importante questa produzione all’interno della propria società. Griet descrive inoltre che anche nello stesso studio dell’artista sono presenti questo tipo di piastrelle di porcellana decorata, sottolineando la ricercatezza delle medesime. Come è stato detto in precedenza, questa decorazione particolare è spesso confusa con quella cinese, anche se la gradazione del disegno in blu è più chiara e i soggetti sono sovente riconducibili a personaggi popolari o paesaggi tipicamente olandesi. La moda della porcellana in questo periodo è molto varia a seconda della zona di provenienza. All’interno delle vetrine del Museo Leone, purtroppo, non si hanno esempi di porcellane di Delft, ma sono presenti, invece, elementi decorativi molto simili su alcuni piatti, che copiano l’aspetto e l’ornamento rappresentato dai soggetti. Queste porcellane piemontesi sono databili, all’incirca, verso la seconda metà del XIX secolo lontane, quindi, da Delft e dal Seicento, più volte citato come secolo centrale di questa produzione, ma noi non possiamo sapere se i ceramisti piemontesi dell’Ottocento si ispiravano alla porcellana olandese per le proprie produzioni anche perché, nel corso dei secoli, quest’ultima è stata più volte confusa con la ceramica di Anversa, Parigi e Monaco. Griet, con il suo occhio attento e molto curioso, molto probabilmente, avrebbe subito intuito la diversità con le porcellane prodotte nella propria cittadina, ma sarebbe comunque stata orgogliosa che lo stile di Delft venisse ancora copiato nel corso dei secoli.

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IL RITRATTO TRA ROMANZO E PITTURA

di Sara Agnelli

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Alla base del romanzo La ragazza con l'orecchino di perla c'è il ritratto La ragazza col turbante di Jan Vermeer conservato alla Mauritshuis de L'Aia. Tracy Chevalier immagina le vicissitudini che portarono alla creazione di uno dei ritratti seicenteschi più famosi al mondo. Con sagacia e intrigo, la Chevalier ci immerge nella Delft del XVII secolo e nella vita della giovane Griet. La ragazza, figlia di un decoratore di piastrelle rimasto cieco a causa di un incidente sul lavoro, sarà costretta a diventare una fantesca. La casa in cui prende servizio è quella del famoso pittore Jan Vermeer. Tra la ragazza e l'artista si instaura un rapporto profondo basato su sguardi, ambiguità e frenata bramosia. La presenza di Griet nella casa del pittore sarà causa di non pochi problemi e maggiori danni causerà il suo ritratto. La ragazza con l'orecchino di perla rappresenta la forza dell'arte e le suggestioni che un singolo ritratto può provocare. È un romanzo che ci fa immergere nella vita dell'Olanda del Seicento e, in particolare, in quella di Griet. Mai noioso o scontato, Tracy Chevalier è in grado di mantenere viva l'attenzione del lettore pagina dopo pagina. Quella che potrebbe sembrare una semplice storia d'amore impossibile è in realtà una ricca trama di intrighi e relazioni. Un libro talmente ben narrato che ci fa credere di essere seduti nell'atelier del pittore. Dal romanzo, la cui edizione originale risale al 1999, è tratto l'omonimo film del 2003, candidato a 3 premi oscar. Il museo custodisce molti ritratti eseguiti da ammirevoli artisti italiani e stranieri. Di particolare interesse sono quelli firmati da Antonio Ambrogio Alciati. Vissuto dal 1878 al 1929, Alciati si distinse per essere uno dei migliori ritrattisti della Vercelli del suo tempo. Lo stile delle sue opere, a cavallo tra Tranquillo Cremona e Giovanni Boldini, si caratterizza per una intima indagine psicologica. Al Borgogna si conservano Dama in nero (1917) e Dama in rosa (1921) due grandi ritratti di una finezza impareggiabile. I due dipinti raffigurano due donne in atteggiamenti molto diversi: la prima sensualmente scomposta mentre la seconda elegantemente composta. Tuttavia, le due opere si accumunano per la ricchezza e la vaporosità degli abiti e per l'espressività degli sguardi. L'artista era solito fare indossare ai suoi soggetti abiti acquistati dal negozio milanese "Lisio". Caratteristica dei dipinti di Alciati sono, inoltre, gli sfondi impercettibili, sfumati. Non è il contesto a definire lo status del personaggio, come accadeva per la maggior parte dei ritratti della seconda metà dell'800, ma la resa fisionomica degli stessi. In museo si conservano, inoltre, un autoritratto del pittore e Tempi tristi, un'opera evanescente, piena di angoscia e insicurezza. Le opere del Borgogna bastano da sole a fare capire la maestria con cui Alciati dipingeva. Un pittore di cui solo una cosa ci rammarica: la scomparsa prematura dalla scena artistica.

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ORECCHINI PER TUTTI

di Andrea Borlenghi

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Cosa si nasconde dietro un ritratto? Dalle scelte che portano un artista a scegliere il soggetto della sua opera alle storie di vita vissuta che si celano dietro ogni pennellata, a tutti sarà successo soffermandosi davanti ad un dipinto, di perdersi provando ad immaginare il contesto in cui l’opera è nata, tornando mentalmente nel tempo e nel luogo in cui venne creata, e seguendo l’artista nelle sue vicende quotidiane. Ed è esattamente quest’obiettivo che si propone Tracy Chevalier, nel suo romanzo “La ragazza con l’orecchino di perla” dedicato all’omonima opera del pittore fiammingo Jan Vermeer. L’autrice ci accompagna in un viaggio nella Delft del XVII secolo, narrata attraverso gli occhi della giovane protagonista Griet, ragazza di semplici origini che si ritroverà a lavorare come domestica nella casa dell’importante famiglia Vermeer. Qui oltre alle normali mansioni quotidiane, Griet riceve il compito di ripulire lo studio dell’artista; e sarà proprio la possibilità di accedere a questo luogo che avvicinerà la ragazza al pittore, che scoprirà in lei qualità che trascendono quelle di una semplice servetta, tanto da farla diventare nel tempo sua assistente nella preparazione dei colori. Questo legame fra i due avrà ripercussioni sugli equilibri della famiglia, in particolare scatenando le gelosie della moglie, che culmineranno quando scoprirà del ritratto della ragazza nel quale verranno usati anche i suoi preziosi orecchini di perla. Gli orecchini sono da sempre un elemento fondamentale della parure femminile. Anche nel mondo romano, che soprattutto in età repubblicana fu molto rigido sull’ostentazione del lusso attraverso la promulgazione di leggi suntuarie, come la famosa lex oppia del 215 a.C., talmente austera da provocare una rivolta delle matrone per ottenerne l’abrogazione, uno dei pochi elementi di gioielleria concessi alle matrone erano proprio i pendenti. Le produzioni di questi ornamenti furono delle più disparate; inizialmente i romani come spesso accade anche in altri campi attinsero dalle tecniche e dai modelli realizzati dagli Etruschi, veri maestri nel campo delle lavorazioni in oro che ancora oggi stupiscono per la loro finezza e complessità di tecniche usate per la loro realizzazione, come ad esempio quella della granulazione, decorazione ottenuta attraverso l’uso di minuscole sferette d’oro. Successivamente, mediante l’espansione territoriale verso oriente, la rigida osservanza di costumi semplici andrà a perdersi scontrandosi con gli opulenti modi di vita dei principi ellenistici, che verranno presto recepiti dalle ricche famiglie romane. Il contatto con queste regioni porterà poi a Roma nuovi modelli e tipologie di orecchini, e disponibilità sempre maggiori di pietre preziose e perle, quest’ultime particolarmente apprezzate per le realizzazioni di pendenti, come è anche testimoniato dalle numerose ragazze e donne con orecchini di perle immortalate nei celebri ritratti funerari del Fayum. Presso il MAC la presenza di orecchini è testimoniata “in negativo” da una tipologia ceramica molto particolare, ossia un vaso antropoprosopo. Si tratta di coppe che presentano una decorazione in argilla applicata volta a rappresentare dei volti umani caratterizzati da lineamenti e smorfie grottesche, composte da grandi occhi dilatati, sopracciglia molto lunghe che spesso scendono fino a congiungersi ad un naso adunco e storto. Completano la composizione una bocca fissata in una smorfia e le orecchie, i cui lobi in certi casi sono forati per ospitare degli orecchini in metallo. La funzione di queste coppe, rinvenute principalmente nell’area Lombarda e del Canton Ticino e riferibili ad un ambito cronologico abbastanza ristretto (prima metà del I secolo d.C.), resta ancora abbastanza incerta. L’accostamento di questi prodotti a maschere fittili dall’aspetto caricaturale e grottesco usate in diversi contesti, da quelli cultuali alle rappresentazioni di commedie popolari, fanno propendere per una funzione apotropaica; era infatti credenza comune nel mondo antico che occhi e figure mostruose fornissero protezione dal malocchio. Anche i contesti di rinvenimento in ambito domestico e in corredi tombali coincidono con l’utilizzo di questi manufatti come amuleti. Una seconda teoria avanzata in tempi più recenti attribuisce invece a questi reperti una dimensione unicamente comica e scherzosa, immaginandone l’uso in conviviali bevute dove potevano suscitare l’ilarità dei presenti. Una possibilità forse fantasiosa, ma che ben rappresenterebbe la volontà tipica dell’uomo romano nel godere dei passeggeri piaceri della vita.

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UN'AMBIENTAZIONE NON SCONTATA

di Alessandra Bertaglia

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Il mese di Agosto comporta il periodo delle chiusure estive, pertanto anche il progetto Confronti Inaspettati volge al termine. L’ultimo libro proposto dai volontari delle Biblioteche di Vercelli e di Santhià è La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier. Il testo ambientato nell’Olanda del XVII secolo narra la storia di una giovane ragazza di nome Griet, proveniente da una famiglia povera, figlia di un decoratore di piastrelle, pertanto costretta a lasciare la sua famiglia per mettersi al servizio di una famiglia nobile, costituita dal famoso pittore Vermeer. Griet svolge le mansioni domestiche all’interno dell’abitazione nobiliare, tenendo in ordine sia la casa sia la cucina; la giovane però ha un’incombenza molto particolare, pulire l’atelier dell’artista. Il compito della pulizia dell’atelier le è stato affidato in quanto Griet è in grado di pulire e riposizionare tutti gli oggetti nello stesso posto di dove gli aveva trovati, abilità sviluppata per facilitare il padre cieco nella sua bottega. La ragazza durante i suoi servigi svolti presso la famiglia Vermeer viene notata da un committente dell’artista, che ne vuole un ritratto, dopo il rifiuto di Vermeer di ritrarli insieme. L’esecuzione del dipinto avviene nell’atelier dell’artista, e con il proseguimento dell’opera il pittore nota la mancanza di un particolare, pertanto le chiede di indossare gli orecchini della moglie, promettendole la riservatezza assoluta. Un giorno la moglie non trovando gli orecchini, dopo aver visto il quadro del marito nel suo atelier, accusa la domestica di furto, pertanto Griet viene allontanata. Dopo molti anni dai suoi servigi nella famiglia Vermeer, la ragazza riceve direttamente dalla moglie del pittore gli orecchini di perla, in quanto era scritto nelle volontà testamentarie del pittore. Il Confronto Inaspettato di quest’ultimo mese richiama l’ambientazione nella quale la giovane ragazza ha vissuto parte della sua vita, l’ambiente domestico in particolare la cucina. La cucina è uno dei primi ambienti narrati nel testo, infatti Griet viene descritta, dalle prime righe, nella cucina di famiglia mentre si diverte a tagliare le verdure ed abbinarle seguendo le gradazioni di colore. Il dipinto che riflette questa particolare ambientazione si trova nella chiesa di san Lorenzo, nel centro storico di Vercelli, ubicata su corso Italia all’angolo con via Cagna. Il dipinto è collocato nel primo altare di destra, e raffigura la Visione di san Pasquale Baylon, realizzato nel primo ventennio del XVIII secolo. La rappresentazione illustra l’ambiente domestico, in particolare una cucina dotata di pentole e stoviglie, con un’attenzione anche alla componente vegetale: un angelo, in primo piano sulla destra, regge un cesto ricolmo di verdure. Il santo, vestito con abiti semplici, posto al centro della scena, osserva estasiato il gruppo di angeli, in alto a sinistra, con al centro l’Eucarestia, elemento che si ricollega alla sua battaglia nella difesa del sacro mistero eucaristico. L’ambientazione della cucina è stata scelta in quanto il santo è considerato, soprattutto nelle zone del Sud Italia, protettore dei cuochi e dei pasticceri, mentre verso Napoli si ritiene protettore delle donne.

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IL TESTAMENTO TRA ULTIME VOLONTÀ, LETTERATURA E ARTE

di Silvia Spagnoletti

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Ultimo appuntamento di #confrontinaspettati. Non poteva mancare un romanzo ispirato al quadro da cui è tratto il logo del nostro progetto: Ragazza col turbante di Jan Vermeer. Il libro protagonista del mese di agosto è La ragazza con l’orecchino di perla della scrittrice americana Tracy Chevalier. Al Museo del Tesoro del Duomo ho scelto di prendere come spunto il testamento come espressione delle ultime volontà. L’autrice si è liberamente ispirata al quadro Ragazza col turbante del pittore olandese Jan Vermeer. Tra i protagonisti del romanzo abbiamo anche l’artista stesso e la sua famiglia. Il quadro, risalente al XVII secolo, ritrae su uno sfondo nero il mezzo busto di una fanciulla girata a tre quarti verso lo spettatore. La ragazza indossa una tunica color rame e in testa un inusuale turbante, da cui il nome dell’opera. Ma è un altro il dettaglio che attira la curiosità della scrittrice: la perla all’orecchio della fanciulla che sembra riflettere la luce esterna, da cui il titolo del romanzo La ragazza con l’orecchino di perla. Da questo romanzo è stato tratto un film nel 2003 di Peter Webber con gli attori Colin Firth nei panni di Vermeer e Scarlett Johansson nei panni della domestica Griet. Nel suo romanzo Tracy Chevalier ha voluto dare un nome e una storia alla fanciulla raffigurata nel quadro di Vermeer, identificandola con una giovane domestica di nome Griet. Assunta dalla famiglia Vermeer, Griet è stata scelta per svolgere un incarico preciso: pulire e sistemare l’atelier di Jan Vermeer. Grazie a questo compito la ragazza passa molto tempo con il pittore e supera la sua diffidenza. Più tardi tra i due nasce una relazione. Uno dei più importanti clienti di Vermeer viene attratto dalla bellezza della ragazza e chiede all’artista di farne un ritratto. Per impreziosire il quadro Vermeer fa indossare a Griet durante la posa gli orecchini di perla della moglie. La moglie di Vermeer, gelosa della relazione del marito, accusa Griet di furto e la costringe a fuggire. Qualche anno dopo, a seguito della morte del pittore, la giovane viene convocata dalla moglie di Vermeer. La donna, nonostante l’astio provato per Griet, le dona gli orecchini di perla utilizzati nel ritratto rispettando le ultime volontà del marito. Nel suo testamento era espressamente detto di donare i famosi orecchini alla giovane. Rispettare le volontà del defunto è il dovere di ogni familiare, anche se queste deludono le aspettative, come nel caso del romanzo. I testamenti conservati nell’Archivio Capitolare di Vercelli sono un’importante fonte storica per raccontare la vita della Cattedrale di S. Eusebio e dei suoi tesori. Grazie ad essi Gianmario Ferraris è riuscito a ripercorrere la storia di alcuni personaggi e a capire le usanze dei canonici di quel tempo. Parte delle sue ricerche sono pubblicate nell’articolo I canonici della Cattedrale di Vercelli nel secolo XIV. Linee di ricerca, in Vercelli nel secolo XIV, Atti del quinto congresso storico vercellese, a cura di A. Barbero e R. Comba, Vercelli 2010, pp. 245-292. Molti canonici, nei secoli scorsi, hanno lasciato in eredità alla chiesa di S. Eusebio i propri beni. È il caso del cappellano Uberto de la Costa che ha donato alla chiesa il suo antifonario diurno. L’arcidiacono Martino de Bulgaro ha lasciato alla libraria della cattedrale la sua collezione di codici nsieme a molti altri beni preziosi, ancora esistenti. Tra le funzioni del testamento vi è la nomina dei propri eredi, la cui importanza è direttamente proporzionale alla ricchezza e al potere detenuto dal testatore in vita. Il canonico Uberto de Conradis nominò suo nipote erede universale. Il già citato Martino de Bulgaro poteva vantare la promozione al canonicato di ben cinque dei suoi nipoti, conseguenza diretta delle sue disposizioni testamentarie. Nel suo contributo Ferraris cita anche Uberto de Bulgaro, un laico. Questi nel suo testamento lascia alla chiesa di S. Eusebio 150 fiorini affinché vengano utilizzati per l’istituzione di un ufficio del lettore nella libraria nova della cattedrale.Se è vero che non sempre le volontà del defunto rendono felici i familiari, come è stato per la moglie di Vermeer, in altri casi, come ad esempio nei lasciti canonicali, le disposizioni testamentarie hanno contribuito alla ricchezza e alla trasmissione del potere. Per amore o per convenienza, l’importante è fare ordine tra i propri averi e destinarli a chi spettano di dovere.

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RINGRAZIAMENTI “Confronti Inaspettati” nasce grazie all'impegno dei ragazzi del Servizio Civile Nazionale della città di Vercelli 2017/2018 per il progetto "La cultura che non ti aspetti". L'idea ha potuto contare sull'aiuto concreto da parte di personale altamente qualificato operante all'interno delle sette sedi progettuali. I più sentiti ringraziamenti vanno agli OLP (Operatori Locali di Progetto) delle istituzioni coinvolte: Marinella Bianco - Biblioteca Civica del Comune di Santhià, Patrizia Carpo - Biblioteca Civica del Comune di Vercelli, Daniele De Luca - Ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi di Vercelli, Silvia Faccin - Museo del Tesoro del Duomo, Cinzia Lacchia - Museo Borgogna, Francesca Rebajoli - MAC (Museo Archeologico della città di Vercelli) , Riccardo Rossi - Museo Leone. Il cui supporto, non solo tecnico ma anche umano, ha permesso di analizzare ed elaborare al meglio la descrizione delle opere trattate. Supporto che va oltre il progetto #confrontinaspettati, grazie alla costante disponibilità e all'attenzione nella trasmissione di nuove competenze tecniche e professionali fondamentali per il futuro. Un ringraziamento particolare allo staff di ogni sede del progetto che ha sostenuto, non solo l'idea iniziale permettendo la realizzazione di "Confronti Inaspettati", ma ha collaborato alla maturazione professionale dei volontari, dispensando consigli utili per svolgere in maniera ottimale il Servizio Civile. Ultimo, ma non per importanza, un ringraziamento al responsabile coordinatore del Servizio Civile Nazionale della città di Vercelli Danilo Fiacconi per il suo supporto continuo e la sua disponibilità durante tutto l’anno di Servizio Civile. Un ulteriore ringraziamento a tutti coloro che hanno creduto e seguito il progetto "Confronti Inaspettati" e a tutti i colleghi de “La cultura che non ti aspetti”. Collaborare insieme, in particolare a #confrontinaspettati, ha portato alla luce le abilità e le conoscenze proprie di ognuno; l’obiettivo comune di fare sistema ha permesso di attuare lo scopo del progetto: promuovere il consistente patrimonio culturale vercellese. L'augurio è quello di lasciare un bel ricordo di noi con la raccolta di tutti gli articoli che sono stati pubblicati nei mesi di #confrontinaspettati. Grazie a tutti per questa magnifica esperienza!

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Stampato in proprio presso la stamperia del comune di Vercelli

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