Il parassitismo come metafora per la rigenerazione urbana

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IL PARASSITISMO COME METAFORA PER LA RIGENERAZIONE URBANA Dalla definizione biologica al fenomeno architettonico

Sharon Ambrosio 763460 Greta Benelli 767176 POLITECNICO DI MILANO

relatore Antonella Contin a.a. 2012 | 2013



INDICE I . Storia e diffusione del termine “parassita”

1

Analisi cronologica dello sviluppo dell’architettura parassita Limite dell’interpretazione del termine parassita in ambito architettonico

II . Definizione biologica

21

Tipologie di Parassitismo

III . Dalla biologia all’architettura Endoparassita Ectoparassita Autoparassita Cleptoparassita Parassitoide Coparassita Superparassita

27


IV . Scala Architettonica : edificio parassita se stesso

43

Caso studio : Lingotto, Torino _ Analisi ospite _ Analisi parassita _ Analisi progetto _ Sintesi finale Appendice grafica

V . Scala Urbana : ente della cittĂ parassita altro ente

65

81

Caso studio : High Line, New York _ Analisi ospite _ Analisi parassita _ Analisi progetto _ Sintesi finale Appendice grafica

113


VI . Scala Metropolitana : cittĂ parassita cittĂ

133

Caso studio : San Paolo, Brasile _ Analisi ospite _ Analisi parassita _ Analisi progetto _ Sintesi finale Appendice grafica

159

VII . Sintesi

175

Bibliografia

179



I . STORIA E DIFFUSIONE DEL TERMINE “PARASSITA”

Analisi cronologica dello sviluppo dell’architettura parassita “parassita s. m. e agg. (raro parassito, ant. parasito, come s. m.) [dal lat. parasita o parasitus, gr. παράσιτος, comp. di παρά «presso» e σῖτος «alimento, sostentamento»] a. In origine, denominazione in uso nell’antica Atene per designare funzionari culturali di alcune divinità, con attribuzioni non ben chiare, che avevano come caratteristica di partecipare alla divisione della vittima sacrificata alle divinità stesse; più tardi (almeno dal sec. 4° a. C.) il termine assunse il significato di scroccone sfrontato, amante della buona cucina, spesso incaricato di allietare con buffonerie gli invitati a un banchetto. 
 b. Nell’uso odierno, anche come s. f., chi mangia e vive alle spalle altrui: attorniarsi di adulatori e parassiti. Più genericam., persona che vive senza lavorare, sfruttando le fatiche altrui, o che vive alle spalle degli altri, senza alcun contributo personale sul piano del lavoro e della produttività: è un p. della società; vivere da p., fare il parassita. Come agg.: un individuo p.; un ente parassita.”1

1 Enciclopedia Treccani

1


“Titolo, una volta onorevole de’ ministri del tempo, i quali sedevano oziando fra i supremi magistrati: titolo desunto dalla porzione loro spettante ne’ sacrifice, (cfr. Epulone) o dalla natura delle loro funzioni, poichè recandosi nelle campagne prelevavano nella raccolta de’ grani la porzione assegnata agli dei, la quale poi veniva posta nel granaio pubblico, che dicevasi parasikon. Dai romani si chiamavano epulones. Indi passò a significare colui che faceva il mestiere di mangiare alla tavola del ricco, cui ricreava con le burle e le adulazioni, e d’oggi pure in malsenso e vale che vive a spese altrui, scroccone, cavalier del dente. Come aggettivo dicesi di animale o pianta che vive a spese d’altro corpo organico.”2

2

2 Cortellazzo M., Cortellazzo M.A., Zolli P., L’etimologo minore, Zanichelli, Bologna, 2004, Ad Vocem


“Il parassita è un operatore differenziale del cambiamento. Egli eccita lo stato di un sistema: il suo stato di equilibrio (omeostatico), lo stato presente dei suoi scambi e delle sue circolazioni, l’equilibrio della sua evoluzione, il suo stato termico, il suo stato informazionale. Lo scarto prodotto è assai debole, e non lascia prevedere, in generale, una trasformazione, nè quale trasformazione. L’eccitazione fluttua e così la determinazione”3

3

3 Serres M., Le parasite, 1980


Il termine “parassita” in architettura denota una pratica progettuale volta a soddisfare il bisogno di nuovo spazio attraverso il riuso e il riciclo di architetture preesistenti. Ciò ne comporta una riconnotazione spaziale e qualititava che permette al tempo stesso l’arresto del consumo di suolo e il mantenimento dei manufatti architettonici altrimenti abbandonati. L’organismo parassita rimane distinto, linguisticamente e spazialmente, dall’organismo “ospite”, ma risulta legato a quest’ultimo da uno stato di necessità.4 Tale pratica progettuale crea infatti un rapporto di ospitalità e al tempo stesso di ostilità tra i due corpi, ma il cambiamento che si verifica nel sistema lo porta a un nuovo ordine ed equilibrio più complesso del precedente e capace di donare un valore e un significato aggiunto a entrambe le parti. L’approccio parassita segna un cambiamento importante nel rapporto tra architettura e tempo, infatti prevede una logica di sovrapposizione e aggiunta che non solo mantiene intatte tutte le identità storiche ma rende un punto di forza questa distanza cronologia tra sè e la realtà data, tra architettura e spazio, compromettendo i limiti imposti precedentemente; produce dunque uno stato di indeterminazione.5 Tale pratica ha subito nel corso della storia declinazioni differenti dettate dalle diverse 4

esigenze economiche, culturali e sociali.6 La conformazione della città stessa ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo approccio progettuale, a partire dalle città medievali fino ai giorni nostri. 4 Marini S., Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città, Macerata, 2008, p. 19 5 Ibidem, pp. 122-126 6 Kaltenbach F., Mansarde, parassiti o simbiotico?, in “Detail”, n. 12, 2006, pp. 1-3


Nelle città del passato la cinta muraria rappresentava il limite fisico entro cui edificare e poter vivere in sicurezza. Per far fronte alla crescita demografica la città ha dunque dovuto ridisegnarsi e ricomporsi attraverso il riuso di tetti, spazi di risulta e strutture abbandonate, seguendo quelle che sono le logiche e le regole del parassitismo. La testimonianza di queste trasformazioni interne rimane ancora oggi visibile nel tessuto urbano, come per esempio nel caso di Piazza Navona a Roma, la cui conformazione lascia intuire la sua funzione originaria di stadio. I palazzi che costituiscono le quinte della piazza sono infatti costruiti sulla struttura degli spalti.7 Il Ponte Vecchio di Firenze rappresenta un altro episodio di stratificazione storica tutt’oggi visibile. La conformazione odierna deriva infatti da un processo “di aggiunta” in seguito alla migrazione delle botteghe dei macellai dal centro della città a questa zona più periferica. Nel corso dei secoli il numero delle botteghe si è moltiplicato fino ad occupare interamente la superficie del ponte, costituendo uno dei primi esempi di ponte abitato.8

5

Ponte Vecchio, Firenze

Piazza Navona, Roma

7 Minero A., Architettura parassita. Passato, presente, futuro, Tesi di laurea specialistica in Architettura (costruzione), Politecnico di Torino, a.a. 2011/2012, pp. 38-39 8 Ibidem, pp. 34-37


La rivoluzione industriale ha segnato il punto di svolta nella conformazione della città, caratterizzata prima da un’impronta costante e una densità crescente, dettata dalla presenza della cinta muraria, poi da una fase espansiva connotata da una densità costante e un’impronta crescente. La rivoluzione infatti porta con sè uno spirito generale d’innovazione e il pensiero che l’uomo, attraverso la ragione e la scienza, possa superare i limiti delle conoscenze imposte. Ciò si concretizza con l’evasione oltre le mura cittadine e con la conquista e la trasformazione della campagna e di nuovo suolo che vengono assoggettati alle logiche della città. Questa logica ha guidato lo sviluppo della città per i due secoli successivi in un’espansione continua e smisurata che ha provocato danni ambientali a cui solo ora si sta rivolgendo l’attenzione del dibattito architettonico. Con l’avvento della crisi economica e la riconsiderazione del centro della città come cuore della vita urbana si è tornati a costruire in città. La congestione di queste ultime ha però imposto la ricerca di spazi di scarto e di edifici privi di una precisa connotazione funzionale nella logica del riuso e riciclo. I principi alla base di questo approccio sono rintracciabili nelle logiche delle città 6

medievali, ma si presentano oggi con nuove sembianze e qualità. Gli ultimi vent’anni hanno visto crescere il dibattito e l’interesse riguardo a questo argomento, partendo dallo scritto di Michel Serres Le parasite, pubblicato nel 1980, che affronta il tema del parassitismo in termini filosofici e sociali.


Successivamente la ricerca ha prodotto due installazioni omonime, una nel 1989 di Diller&Scofidio e l’altra nel 1997 di Michael Rakowitz, entrambe esposte al MoMa di New York. PARA-SITE di Diller&Scofidio rappresenta un esempio di intolleranza ai dettami dello spazio espositivo, declinato qui sulla disarticolazione e la contraddizione delle logiche spaziali interne. L’installazione aggredisce la stanza che la ospita con una composizione di schermi e sedie collocati nello spazio senza seguire alcuna regola convenzionale. I due artisti reinterpretano qui il testo di Serres esponendo attraverso l’opera le loro considerazioni sul corpo, e in particolare sul corpo del visitatore, che è chiamato a non soggiacere alle classiche regole dello spazio museale e a liberarsi quindi da una spazialità imposta.9

7

PARA -SITE, Diller&Scofidio 9

Marini S., op. cit., p. 79


L’opera para-SITE di Michael Rakowitz, esposta al MoMa e succesivamente lasciata libera di colonizzare le città americane, studia invece il tema dello spazio ricavato; i “parasites” infatti sono ripari per senzatetto che sfruttano il sistema di riscaldamento, ventilazione e aria condizionata degli edifici per gonfiare e scaldare la propria struttura a doppia membrana in modo da poter offrire un rifugio a chi ne ha bisogno.10 In architettura il termine compare per la prima volta nel 1996 quando Kas Osterhuis e Ilona Lènàrd lo utilizzano per definire uno dei loro progetti abitativi di tipo blobatico, che collocano sui tetti e sull’acqua.

8

Para -SITE, Michael Rakowitz 10 Ibidem, p. 75

Parasite, Kas Osterhuis / Ilona Lènàrd


Il tema è stato oggetto di dibattito durante alcune esperienze espositive, prima fra tutte l’evento nel 2001 a Rotterdam Parasite. The city of small things incentrato su piccoli interventi temporanei effettuati su edifici preesistenti dislocati nel tessuto urbano che rappresentano le diverse declinazioni del tema “p.a.r.a.s.i.t.e.”, acronimo che sta a significare Prototypes for Advanced Ready-made Amphibious Small scale Individual Temporary Ecological houses. I prototipi prodotti dovevano essere un input per una strategia di trasformazione e riqualifica delle città contemporanee in modo analogo a ciò che avviene nel mondo animale e vegetale dove il parassita indebolisce momentaneamente un altro organismo vivente più grande di lui migliorandone però, nel corso evolutivo, la capacità di sopravvivenza. 11 Il progetto manifesto di questo evento è rappresentanto dal prototipo Las Palmas parasite degli architetti Korteknie e Stuhlmacher, promotori della mostra. I due architetti si erano già precedentemente avvicinati al tema del parassitismo quando, qualche anno prima, erano stati chiamati a curare una sezione in un’esposizione in Svezia dedicata all’edilizia residenziale. Dal momento che la struttura e gli spazi espositivi erano già stati organizzati, Korteknie e Stuhlmacher avevano collocato i propri prototipi in scala 1:20 negli spazi lasciati liberi dagli altri progetti in mostra, producendo un’occupazione inattesa dello spazio secondo la logica parassitaria. Las Palmas parasite si pone dunque in relazione diretta con l’esperienza precedente,

11 Ibidem, p. 30

9


rappresentando non solo un modello espositivo di dimensioni reali ma ponendosi come manifesto del programma architettonico contenuto all’interno dell’edificio stesso. Las Palmas parasite, costruito sul

tetto

del

Las

Palmas,

magazzino è

costituito

da materiali prefabbricati e autoportanti

(multistrato

di

legno impermeabile capace di sostenere non solo il proprio peso

ma

anche

i

carichi

accidentali senza bisogno di ulteriori strutture) che

Las Palmas, Korteknie e Stuhlmacher

rispondono ai requisiti di indipendenza e nomadismo propri dell’architettura parassita e inoltre permettono un assemblaggio personalizzato, nella logica di auto-produzione e esigenza del singolo. Il prototipo inizialmente doveva rimanere nello skyline di Rotterdam solo per i sei mesi dell’evento culturale in cui si inserisce, ma è stato usato 10

come residenza e atelier negli anni successivi, grazie alla normativa olandese che consente la permanenza di un oggetto temporaneo per cinque anni, nonostante la non edificabilità del tetto del magazzino. Gli architetti hanno dovuto far fronte anche ad altri problemi normativi quali per esempio l’accesso che non poteva avvenire dalla copertura del magazzino poichè sprovvista di balaustre e quindi inaccessibile al


pubblico: i progettisti hanno dunque dotato l’oggetto di una scala provvisoria interna che permetteva di entrare direttamente dall’edificio ospite all’interno del parassita. L’architettura dunque rimane sospesa dal suolo della copertura adattandosi perfettamente ai limiti normativi imposti e svolgendo il suo ruolo di manifesto dell’architettura parassita.12 La Foundation Art and Public Space di Amsterdam e la Beyond di Utrecht hanno successivamente promosso l’evento Parasite Paradise, sempre sul tema del parassita come architettura mobile concepita per dar luogo a spazi pubblici informali. La mostra, già allestita precedentemente a Amsterdam nel 2001 con il titolo Mobile Architecture for Stork, è stata riproposta due anni dopo a Leidsche Rijn, suburb di Utrecht di nuova formazione, per sottolineare la volontà di disporre gli oggetti nella città e non più in uno spazio espositivo. Questo quartiere viene riallestito e riqualificato imprimendo un layer extra al suo masterplan e i partecipanti sono chiamati a progettare servizi temporanei ai residenti, sottolineando come l’architettura parassita possa essere una risposta per dar luogo a processi spontanei, grazie alla sua capacità di vivere i confini, di porsi presso un 12 Parasite Las Palmas, in “Lotus”, n. 133, 2008, pp. 24-27

11


sistema dato ma mantendendo comunque la propria logica.13 Nel 2006 infine si hanno due importanti occasioni per portare avanti il dibattito sull’architettura parassita: la Biennale di Venezia e la mostra Less. Strategie alternative dell’abitare al PAC di Milano. La Biennale di Venezia del 2006, dedicata a Città. Architettura e società e diretta da Richard Burdett, affronta i temi cruciali della società contemporanea in rapporto alla città, all’ architettura e agli abitanti. Analizzando l’architettura nei contesti delle città globali, ha suscitato particolare interesse la realizzazione di contesti urbani sostenibili, attraverso la trasformazione dell’esistente, il risparmio del suolo e più in generale la riconversione della città da un punto di vista architettonico, sociale e politico. Una delle risposte più emblematiche viene dal Padiglione tedesco, che si fa portavoce delle tematiche affrontate in Germania in quegli anni. Infatti al centro del dibattito tedesco vi erano i provvedimenti legati alla limitazione delle costruzioni ex-novo e di conseguenza una nuova attenzione al riutilizzo e recupero dell’esistente. Ciò si concretizza con il tentativo di una ripopolazione e trasformazione del centro 12

delle città tedesche, in cui gli interventi architettonici rispecchiano i cambiamenti di una società che da industriale diventa informatica e che vede un aumento del flusso migratorio verso il centro cittadino e del numero di persone per famiglia. Il dibattico architettonico verte sulle modalità di addensamento e di dissolvimento dei 13 Marini S., op. cit., pp. 30-33


confini nello spazio urbano, portando a interventi che prevedono l’immissione di corpi architettonici, chiaramente riconoscibili, nell’esistente, facendo convivere due realtà temporali differenti. Il rapporto tra presistente e nuovo diventa oggetto di riflessione, in quanto l’architettura non viene più concepita come oggetto singolo e isolato, ma, al contrario, come innesto e connessione tra più realtà, seguendo una logica di aggiunta che sfrutta tutti quei luoghi di scarto e di risulta presenti nel tessuto urbano. Il padiglione tedesco si pone come simbolo di questo dibattito: dotato di una riconoscibile scala rossa che permette per la prima volta l’accesso al tetto del padiglione, scardina la canonica spazialità di un padiglione espositivo, che non si limita più a essere confinata all’interno ma che al contrario si apre all’esterno permettendo un nuovo contatto visivo con il contesto. Il contrasto tra il nuovo e il vecchio è reso ancora più evidente dal rapporto cromatico, materico e formale dei due corpi.14

13

Convertible City, Padiglione 14 Gruntuch E., Convertible city. Modalità di addensamento e dissolvimento dei confini, in “Area”, n. 91, 2007, pp. 4-11


La mostra Convertible city è strettamente connessa con la struttura stessa del padiglione, contenitore e contenuto collaborano insieme per trasmettere la stessa tematica. La disposizione stessa della mostra ricrea la varietà urbana: un atrio, reso vivace dall’ospite rosso, che riflette la vitalità delle città, e le ali laterali che fungono da spazio espositivo. Convertible city propone difatti dei progetti che mirano allo sfruttamento del potenziale architettonico esistente, accettando la molteplicità del vivere urbano e rendendola un punto di forza.15

Convertible City, Manifesto

14

15 Marini S., op.cit., pp. 35-38


La mostra proposta a Milano si pone come anello di congiunzione tra le tematiche affrontate nelle mostre precedenti e la sperimentazione olandese intorno al tema del parassita. Il titolo stesso rimanda però a un concetto ulteriore che ricorre nella definizione e nelle esperienze del parassitismo: less, meno. Less non rimanda qui a un principio progettuale, quanto a un atteggiamento, un modo nuovo di guardare il reale. Meno scarto, meno spreco, meno enfasi, per tornare alle esigenze fondamentali e alle forme essenziali. La città viene vista come luogo del conflitto, sistema complesso e contradditorio in continua trasformazione e le architetture proposte focalizzano l’attenzione sull’abitare al limite e sulla costruzione di insediamenti spontanei, fuori dai confini e dai disegni della città sulla carta. Le tematiche centrali che rimandano direttamente alla definizione di parassita sono la ricerca di connettività degli elementi immessi, la diversità, l’inclusione e la sostenibilità, con un’implicita natura politica e soprattutto critica nei confronti della conformazione della città stessa.16 Questi due episodi hanno segnato l’inizio di una pratica progettuale che è stata messa in atto in numerose occasioni, con una grande varietà di progetti che rappresentano un’alternativa alla distruzione dell’ambiente e un incentivo all’attività di recupero.

16 Ibidem, pp. 209-211

15


Limite dell’interpretazione del termine parassita in ambito architettonico Il termine architettura parassita diventa sinonimo di questo particolare approccio architettonico. Ma, sebbene nata come risposta innovativa ai problemi della città contemporanea, si è poi fossilizzata su questi dettami di base, senza approfondire le ulteriori declinazioni che il termine parassita porta con sè. Presa coscienza di questo limite linguistico e concettuale, la presente tesi mira a soddisfare l’esigenza di completa trasposizione del termine da ambito biologico a pratica architettonica.

Mobile architecture for Stork, Amsterdam

Diller&Scofidio PARA-SITE

1989

Michael Rakowitz para-SITE Osterhuis&Renard parasite

1996

1997

Parasite. The city of small things, Rotterdam Korteknie&Stuhlmacher Las Palmas Parasite 2001


L’interrogativo nasce dalla volontà di risolvere questo cortocircuito logico, creato dalla semplificazione del fenomeno biologico, che vuole sì essere preso come metafora progettuale, ma che in realtà non viene indagato in tutte le sue declinazioni, limitandosi a un semplice binomio ospite-parassita. Ha senso estrapolare un termine da una disciplina per trasporlo in un’altra non tenendo conto di tutte le implicazioni che esso comporta? La metafora biologica, se indagata in modo completo ed esaustivo, può diventare pratica progettuale? Il parassitismo può diventare pratica di rigenerazione e riqualifica della città contemporanea?

Less. Strategie per l’abitare, PAC Milano Meixner Schulter Wohlfahrt-Laymann House Parasite Paradise, Utrecht

Park Associati The Cube

Città, architettura e società, Biennale di Venezia

2003

2004

17

Convertible City

Index Architekten Culture bunker

Giancarlo Norese Precarious home

2005

2006

2010

2011


18



a. b. c. d. e. f. g. h. i. j. k. l. m. n. o. p. q. r.

The Cube, Park Associati, 2010-11 Rucksack House, Eberstadt Stefan, 2004 Park up a building, Acconci Vito, 1996 ZICA kern, ARTEC architekten, 1998 House Didden, MVRDV, 2002-06 Culture Bunker, Index Architekten, 2004 Everland Hotel, Lang Sabina and Baumann Daniel (L/B), 2002 Casa del tè sul bunker, UN Studio, 2004-06 Legal/Illegal, Herz Manuel, 2004 Sharp Center for Design, Alsop Architects, 2004 Prefab Parasite, Calder Lara, 2008 Design roof, Project Orange, 2012 Kunsthulle Liverpool, Office for subversive Architecture (OSA), 2006 Loftcube, Aisslinger Studio, 2003 Rooftop Remodeling Falkestrasse, Coop Himmem(b)lau, 1983-88 Wohlfahrt-laymann House, Meixner Schltuer, 2005 S(ch)austall, FNP Architekten, 2005 Precarious Home, Norese Giancarlo, 2007-10


II . LA DEFINIZIONE BIOLOGICA Il parassitismo (dal greco παράσιτος) è una forma di interazione biologica, generalmente di natura trofica, fra due specie di organismi di cui uno è detto parassita e l’altro ospite. Il parassitismo è una forma di simbiosi, ma a differenza della simbiosi per antonomasia (s. mutualistica), il parassita trae un vantaggio (nutrimento, protezione) a spese dell’ospite, creandogli un danno biologico. Le proprietà che identificano in generale un rapporto di parassitismo sono le seguenti: _ Il parassita è privo di vita autonoma e dipende dall’ospite a cui è più o meno intimamente legato da una relazione anatomica e fisiologica obbligata. _ Il parassita ha una struttura anatomica e morfologica semplificata rispetto all’ospite. _ Il ciclo vitale del parassita è più breve di quello dell’ospite e si conclude prima della morte dell’ospite. Il parassita ha rapporti con un solo ospite. A sua volta questi può avere rapporti con più parassiti.

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Il parassitismo è una forma associativa molto diffusa, tanto che si può affermare che nessuna specie ne sia immune. Il parassita può essere un microrganismo, un vegetale o un animale. Nella grande maggioranza dei casi appartiene ai gruppi sistematici inferiori (batteri, protozoi, funghi) ed è di piccole dimensioni; tuttavia esistono parassiti anche fra gli Atropodi (crostacei, insetti), Vertebrati (Ciclostomi) e Angiosperme (vischio, cuscuta). Anche l’ospite può appartenere a qualsiasi gruppo sistematico ed è più grande del parassita. Nella scala evolutiva non necessariamente il parassita s’identifica in un organismo primitivo rispetto all’ospite. Il parassitismo è infatti in molti casi una sorta di specializzazione biologica che porta ad un’involuzione secondaria. Fra gli insetti sono frequenti, infatti, specie parassitoidi proprio negli ordini più evoluti (ditteri, imenotteri). È importante sottolineare che i termini beneficio e danno sono da intendersi in senso lato; se un organismo diventa fisicamente più forte a causa di un’infezione ma perde la capacità riproduttiva è danneggiato nel senso evoluzionistico del termine poiché attaccato dal parassita.

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Tipologie di Parassitismo

Endoparassita Detto anche parassita endofago, vive all’interno del corpo dell’organismo ospite e in genere mostra un notevole grado di specializzazione anatomica e fisiologica finalizzata al particolare ambiente che lo deve ospitare. (es.tenia) Ectoparassita Detto anche parassita ectofago, vive all’esterno del corpo dell’organismo ospite, al quale è comunque strettamente legato. La specializzazione anatomica e fisiologica è in genere limitata all’apparato boccale e ad organi che gli permettono di restare legato all’ospite. (es. zecca) Cleptoparassita Ruba di nascosto il cibo che l’ospite è riuscito a procacciarsi o a recuperare in altro modo (es. Cuculus canorus).
È una pratica non rara nel regno animale come ad esempio tra gli uccelli rapaci ma anche, specialmente, nel mondo degli insetti. Alcune specie di uccello, tra cui le fregate e il Nibbio pescatore, possono arrivare perfino a forzare altri uccelli a rigurgitare il cibo per nutrirsene.

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Parassitoide Si può considerare una forma di transizione fra il parassita propriamente detto e il predatore. Nei parassitoidi il parassitismo è limitato alle prime fasi dello sviluppo mentre l’individuo adulto ha vita autonoma. Si distinguono parassitoidi idiobionti, che paralizzano l’ospite bloccandone lo sviluppo, e parassitoidi koiniobionti, che lasciano l’ospite libero di muoversi e di progredire nel proprio sviluppo. I parassitoidi si riscontrano fra gli insetti entomofagi e sono perciò largamente sfruttati in metodologie di lotta biologica contro gli insetti dannosi. Da un punto di vista pratico sono un ottimo mezzo di controllo delle dinamiche di popolazione in quanto in caso di percentuali di parassitizzazione elevate riducono sensibilmente il potenziale riproduttivo della specie ospite. Coparassitismo È un rapporto di competizione interspecifica fra parassiti di specie diversa che sono associati alla stessa specie ospite. Il coparassitismo può sfociare in casi di multiparassitismo o di iperparassitismo.

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Superparassitismo È un rapporto di competizione intraspecifica fra parassiti della stessa specie (gregari) che si sviluppano a spese di uno stesso individuo, talvolta in numero elevato. Il superparassitismo si riscontra ad esempio nei Ditteri Tachinidi a spese di larve di lepidotteri.


Autoparassita Ăˆ un organismo che si sviluppa a spese di un ospite della stessa specie. Forme di autoparassitismo si riscontrano ad esempio in alcuni animali vivipari dove lo sviluppo postembrionale si attua in parte all’interno del corpo della madre.17

25

17 Lewis E.E., Campbell J.F. and Sukhdeo M.V.K., The Behavioral Ecology of Parasites,CAB International, 2002, pp. 129-152


26


III . DALLA BIOLOGIA ALL’ARCHITETTURA

La definizione biologica, presa nella sua interezza, fornisce un quadro di insieme più ampio rispetto alla semplificazione del concetto di parassitismo utilizzato finora in architettura. Dall’analisi dell’enunciazione biologica emergono molteplici relazioni esistenti tra il parassita e l’ospite, i quali a loro volta possono essere di varia natura. Le diverse classificazioni di parassitismo offrono quindi molti spunti metaforici per la loro traduzione in fenomeno architettonico, non solo dal punto di vista concettuale, ma anche dal punto di vista formale e processuale. Questo approccio permette di individuare e classificare alcuni fenomeni architettonici come messa in atto della pratica parassitaria, esemplificando e concretizzando la metafora biologica.

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Il parassitismo è una forma di simbiosi che prevede una stretta relazione tra due corpi distinti. In architettura ciò permette un dialogo tra due entità differenti, dando la possibilità di annullare i confini fisici e concettuali tra di esse. Così come in biologia, anche in architettura ospiti e parassiti hanno caratteristiche diverse. Mentre l’ospite è una preesistenza che, anche senza l’inserimento di un parassita, porterebbe a compimento il suo normale ciclo vitale, il parassita solitamente ha una vita limitata e dipendente fisiologicamente dall’ospite. Se l’ospite può vivere anche senza parassita, il parassita non può vivere senza ospite. Ciò deriva dal fatto che anche dal punto di vista strutturale il parassita risulta maggiormente semplificato e dipendente dall’altro organismo. Sempre per la sua struttura semplificata, il parassita è in grado di interagire con un solo ospite; al contrario, un singolo ospite può relazionarsi con più parassiti. Le diverse tipologie di parassitismo individuate dalla biologia, possono essere tradotte in altrettanti fenomeni architettonici.

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Endoparassita Endofago

interno

Specializzazione anatomica

adattamento formale e strutturale

Specializzazione fisiologica

adattamento servizi e sistemi

In architettura l’endoparassitismo individua quegli interventi architettonici in cui l’organismo parassita si inserisce all’interno del corpo dell’ospite. Sono in genere strutture che ricalcano formalmente e dimensionalmente le peculiarità del manufatto esistente, al fine di coesistere e interagire anche dal punto di vista della struttura e dei servizi. L’adattamento del parassita nei confronti dell’ospite è una delle principali caratteristiche di questo rapporto.

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Ospite

Parassita

Interazione


Ectoparassita Ectofago

esterno

Specializzazione limitata

adattamento circoscritto

Apparato boccale

innesto fisico

In architettura l’ectoparassitismo riguarda quelle strutture che rimangono all’esterno dell’ospite ma che da esso dipendono dal punto di vista strutturale e dei servizi. Il parassita sfrutta alcune caratteristiche o capacità dell’ospite per poter sopravvivere. L’adattamento da parte dell’organismo parassita è limitato alla zona di contatto tra i due corpi, lasciandoli per il resto liberi di svilupparsi autonomamente.

30

Ospite

Parassita

Interazione


Autoparassita Ospite e parassita stessa specie

unico organismo architettonico

L’autoparassitismo prevede un processo di autoalimentazione e di autorigenerazione da parte dell’ospite stesso che genera il parassita. Si tratta dunque di una realtà che si autoalimenta dando vita ad altre realtà con le stesse caratteristiche di quella di partenza. La necessità di autoparassitarsi può derivare per esempio dall’esigenza di nuovo spazio o di nuove funzioni. Dal punto di fisico non c’è una netta distinzione tra ospite e parassita, in quanto fanno parte dello stesso organismo architettonico e sono governati dalla stessa logica.

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Ospite

Parassita

Interazione


Cleptoparassita Rubare

sfruttare

Di nascosto

ospite derubato di scarti

La pratica cleptoparassita riunisce quegli interventi architettonici spontanei che sfruttano, per necessità vitali, altre realtà preesistenti e consolidate. La vita del parassita dipende dal funzionamento dell’ospite. Il corpo ospite, seppur non ceda volontariamente parte delle proprie risorse, non risente della loro privazione. Il parassita a seconda dei casi può ritrovarsi a sfruttare diversi servizi dell’ospite, quali per esempio impianto elettrico, idraulico o di aerazione.

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Ospite

Parassita

Interazione


Parassitoide Parassita / predatore

sovrascrittura

Idiobionte

nuova realtà

Koiniobionte

compresenza

In architettura il parassitoide si concretizza con un nuovo intervento architettonico che si impone su una realtà precedente, riorganizzandola e dettandone le nuove logiche formali, strutturali e funzionali. La sovrascrittura può essere globale o parziale: globale se il parassita blocca lo sviluppo dell’ospite, il quale non viene più percepito come realtà singola e autonoma, ma trova significato solo in relazione al parassita; parziale se l’ospite e il parassita continuano il loro sviluppo creando sì una terza realtà, ma mantenendo ognuno le proprie peculiarità. In questa tipologia è molto importante la questione temporale: il parassita infatti è tale solo nella prima fase del proprio sviluppo, raggiungendo in un secondo momento una situazione di equilibrio e completezza.

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Ospite

Parassita

Interazione


Coparassita Interspecifico

elementi architettonici parassitari diversi

Stessa specie ospite

ospiti tutti appartenenti a stessa tipologia

Il coparassitismo è una pratica architettonica che prevede la competizione tra realtà diverse che si trovano ad occupare un medesimo spazio, cercando di prevalere le une sulle altre. Prevede l’utilizzo di differenti elementi, aventi ognuno precise peculiarità, che intervengono su molteplici ospiti, i quali possono essere ricondotti a un’unica tipologia architettonica.

34

Ospite

Parassita

Interazione


Superparassita Intraspecifico

elementi architettonici parassitari con caratteristiche in comune

A spese dello stesso individuo

unico ospite

Il superparassitismo, a differenza del coparassitismo, è una pratica architettonica che prevede l’attacco di un unico corpo ospite da parte di una pluralitĂ di parassiti che hanno stessa matrice originaria, ma che si sviluppano in molteplici modi. Per esempio possono essere considerati parassiti della stessa specie i corpi architettonici con una funzione in comune, ma che si differenziano dal punto di vista formale.

35

Ospite

Parassita

Interazione


Il parassitismo, sebbene caratterizzato in generale da una semplicità morfologica, mette in campo relazioni complesse, creando porte per la comunicazione tra frammenti di realtà di norma separati tra loro. Il limite non viene più inteso come separazione, ma come spessore entro il quale poter inserire una realtà ibrida che produca nuove relazioni. Sebbene a una prima analisi il parassitismo porti con sè un’accezione negativa, in quanto un corpo vive e si sviluppa a spese di un altro, in realtà è proprio da questa relazione che scaturiscono vantaggi per entrambi. Per esempio se un ospite viene privato di spazio dall’inserimento di un organismo parassita, tale privazione spaziale viene ricompensata da un’addizione di significato. La differenza tra i due corpi non viene più percepita come debolezza, ma come nutrimento. Il

parassitismo

compositivi seppur

36

con

che le

è

caratterizzato si

trovano

modifiche

da

alla e

le

alcune

base

strategie

degli

declinazioni

relazionali

interventi proprie

di dei

ogni

e

metodi

tipologia,

singoli

casi.


Innanzitutto l’approccio parassitario mette in campo un processo di straniamento, ovvero l’oggetto, sciolto dal legame che lo legava a una certa catena semantica, viene introdotto in un’altra in cui trova una nuova configurazione che ne muta il senso originario per dargliene uno nuovo. Lo straniamento può portare a livello concettuale a un cambiamento di appartenenza, che può essere a un luogo, un sistema di riferimento o un principio di associazione, e a livello pratico a una modifica di funzione o di dimensione, senza peraltro porsi per questo in antitesi con il concetto di evoluzione intrinseco all’architettura stessa.18 Infatti, come sostiene Bernand Tschumi, “l’architettura è costantemente soggetta alla reinterpretazione. In nessun modo, oggi, l’architettura può affermare la permanenza del significato”.19

Straniamento

Un’altra caratteristica di questo fenomeno è quella dell’agire “tra”, ovvero di porsi tra le cose, occupando una condizione di interstizialità. Il concetto di between, o inbetween, è stato teorizzato sia da Peter Eisenman che da Bernard Tschumi, i quali, pur interpretandolo l’uno in chiave intellettualistica e l’altro pragmatica, nella realtà del costruito arrivano alle stesse conclusioni.20 18 Zambelli M., Tecniche di invenzione in architettura. Gli anni del decostruttivismo, Venezia, 2007, pp. 69-71 19 Ibidem, p. 72 20 Ibidem, p. 97

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Per Eisenman il between è una delle vie possibili per uscire e superare la dialettica e la sua polarità di valori. Le gerarchie vengono abolite e vengono introdotte delle forme interstiziali, intermedie, in cui i confini non sono più distinguibili e universalmente riconoscibili. “C’è qualcosa, da qualche parte, “fra”. Non è qualcosa all’interno del sistema di valori, è “fra” il sistema di valori: non lo rinnega, ma non lo afferma”.21 Tschumi, d’altra parte, afferma che “il between è uno spazio residuale tra gli impossibili piani della razionalità |...|. E’ il luogo dell’inaspettato, dove possono accadere eventi inattesi, non previsti da un curriculum convenzionale. Uno spazio di residui, avanzi, vuoti e marginalità”.22 Sono dunque le categorie intermedie e generiche che possono produrre le condizioni ambientali migliori per una progettazione ibrida, che lasciano piena libertà di espressione alle capacità dell’utente di inventarsi nuovi modi relazionali per fruire e far vivere uno spazio. Il between presuppone quindi confronto, dialogo, relazioni e soprattutto riconnessioni tra le cose. Tale concetto viene approfondito anche da Arata Isozaki, il quale utilizza la congiunzione Ma come metafora per indicare lo spazio “fra”. L’architetto organizza una mostra nell’autunno del 1978 al museo di arti decorative a Parigi intitolata Ma. Espace/temps 38

au Japon. È chiaro il riferimento alla cultura giapponese, dove il Ma indica un intervallo, una pausa, un interstizio. Cosi si fa riferimento a ogni relazione tra molteplici cose, ogni separazione fra due istanti, due luoghi e più in generale tutti i luoghi di una città. 21 Idem 22 Ibidem, pp. 98


Ne risulta la dipendenza, inoltre, dal concetto di tempo. Si introduce quindi la variazione, intesa da Isozaki come esempio nella mostra per indicare proprio il “momento fragile che separa e congiunge due stati di una cosa”23. Il Ma può riferirsi a qualunque cosa, è del tutto libero. Esso è tale quando può portare in evidenza non la presenza e nemmeno un particolare, ma la cima del particolare, ovvero la nuance di una cosa. Compito quanto mai arduo e sottile poiché la sfumatura non può essere considerata un oggetto definito cui riferirsi; al contrario, essa compare soltanto al termine di un radicale processo di individuazione, grazie al quale la forma individuale di partenza si moltiplica, si polverizza e l’oggetto evapora, si assorbe nella circostanza, come se si assentasse in ciò che circonda e si dissolvesse in un’atmosfera, in un paesaggio, in una micro-avventura.24

Between

Altre due operazioni che caratterizzano il parassitismo sono la stratificazione e l’accostamento. Entrambi questi approcci rimandano a una tecnica additiva, a una sommatoria di strati, bande, layer, che entrano in contatto tra di loro, creando una nuova realtà. 23 Barone P., Passaggi a vuoto. Moribondi, visionari, desperados, “vita nova”, in AA.VV. “Aut Aut. Vuoti di sapere, n. 356, 2012, p. 38 24 Ibidem, pp. 25-39

39


La strategia additiva per stratificazione prevede, come si evince dal termine stesso, uno sviluppo in verticale, in cui le parti non vengono semplicemente disposte le une sopra le altre come nella tecnica della sovrapposizione, ma al contrario parti di strati diversi si intersecano tra di loro, si ibridano e si mescolano.25

Stratificazione

La tecnica dell’accostamento prevede invece uno sviluppo in orizzontale ed è caratterizzata dall’offuscamento dei margini, dei confini netti delle cose e dalla possibilità di creare nuovi campi di forze all’interno di realtà consolidate con cui si trova a dialogare e a completarsi. Il preesistente dunque diviene parte attiva della composizione, entra a far parte di una nuova figura architettonica, dotandosi di un nuovo significato.26

40

Accostamento 25 Zambelli M., op. cit., pp. 183-187 26 Ibidem, pp. 219-220


Questo fenomeno, proprio per queste sue caratteristiche, non ha una scala propria, in quanto può essere letto dal micro al macro, dal satellite al microscopio. L’interscalaritĂ del parassitismo architettonico permette di agire sia a scala architettonica che urbana, fino ad arrivare a quella metropolitana.

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IV . SCALA ARCHITETTONICA _ EDIFICIO PARASSITA SE STESSO

La scala architettonica riunisce tutti quegli interventi che operano sul singolo edificio. La formulazione di questa prima categoria risulta dall’analisi delle tipologie di parassitismo, delle quali tre hanno un rimando più diretto a questa scala: l’endoparassitismo, l’ectoparassitismo e l’autoparassitismo. A questa scala si studia il rapporto diretto e fisico tra due corpi architettonici, come questi si innestano tra di loro, quali relazioni mettono in atto e come reagiscono al contatto. L’architettura, da sempre, riguarda il dialogo tra entità differenti che costituiscono nel complesso l’eterogeneità della città stessa e, più in particolare, dei singoli edifici. Infatti, ciascuno di essi ha un naturale ciclo vitale, che ha inizio con la realizzazione e continua nel corso degli anni in cui esso si relaziona con un nuovo contesto, nuove esigenze e nuove necessità. Il processo architettonico porta quindi alla necessaria rivisitazione e ridefinizione di ogni manufatto rispetto a un punto di vista di contestualizzazione e di bisogni o di mancanze dell’entità stessa. Il parassitismo alla scala architettonica può essere, quindi, una risposta a queste esigenze, partendo dal riconoscimento

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dei limiti, delle resistenze, degli ostacoli e delle inerzie possedute da un ambiente già costruito e vissuto. Questo porta a un approccio diretto al luogo specifico, per capirne le peculiarità e quindi trovare adeguate risposte. A tale scala la questione della composizione risulta fondamentale, essendo il mezzo attraverso il quale è possibile formulare interventi corrispondenti e proporzionali allo spazio già esistente. Ciò si rifà quindi allo studio delle differenze e delle diversità facendo in modo che esse non rappresentino un ostacolo, ma, al contrario, opportunità e potenzialità.27 Nonostante l’eterogeneità del singolo manufatto architettonico, il parassita deve introdursi nello spazio soggiacendo a una logica compositiva che permetta una reciproca relazione tra le parti aventi origine e natura differente; solo in questo modo può attuarsi un’adeguata riscrittura dell’esistente che abbia come finalità la produzione di una nuova realtà. L’esito può essere raggiunto poiché “una scrittura nasce per prima istanza per partenogenesi, vale a dire che origina da se stessa, per gemmazione spesso automatica di un nuovo organismo da uno precedente. In qualche modo una scrittura ne contiene virtualmente altre, che possano scaturire da quella primaria sulla base di una sollecitazione esplicita e implicita.”28

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Quest’autoproduzione è effettivamente resa possibile soltanto quando l’edificio esistente viene in contatto con una realtà completamente diversa. Infatti, deve intervenire un’altra entità affinché la diversità esistente, nonostante possa portare 27 Borella G., Il lavoro di aggiunta, in Lotus, n. 133, 2008, p. 52 28 Purini F., Architettura virale, in Lotus, n. 133, 2008, p. 83


originariamente ad un conflitto, sia successivamente una combinazione dotata di vita Questo processo riguarda lo stretto rapporto che si instaura quando un ospite viene “attaccato” da un parassita architettonico, il quale inizialmente può mettere in crisi la base identitaria del manufatto preesistente, ma, successivamente, diventa pratica migliorativa per il complesso.29 A questa scala il parassitismo si concretizza con un processo di riscrittura che in alcune specifiche può risultare azzardato e imprevedibile. Ciò può avvenire poiché questi interventi hanno come protagonisti edifici aggrediti da fenomeni che portano a trasformazioni semantiche e riconfigurazioni estreme di notevole portata.

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29 Borella G., op. cit., p. 52


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caso studio : LINGOTTO


Località : TORINO Progetto : GIACOMO MATTE’ TRUCCO / RENZO PIANO Realizzazione : 1916 - 2003 Area : 150.600 m2


Lingotto, Torino _ Analisi progetto Il Lingotto di Torino è uno dei principali stabilimenti di produzione della FIAT, situato nella periferia sud, nel quartiere Nizza Millefonti, chiuso tra via Nizza e un ramo del passante ferroviario della città. Il primo progetto risale al 1914-15 per mano dell’ingegnere Giacomo Mattè-Trucco e segna un’importante tappa nell’architettura industriale italiana. La nuova fabbrica nasce dall’esigenza della FIAT di pianificare la trasformazione della lavorazione, ancora sostanzialmente artigianale, in un nuovo modello di produzione in serie secondo un modello finito e chiuso: dalla materia prima, giunta attraverso lo scalo ferroviario attiguo, al collaudo finale dell’automezzo sulla pista di prova sul tetto. L’ingegnere Mattè-Trucco era un personaggio ai vertici dell’azienda stessa e la volontà di assegnare a lui il compito della progettazione del nuovo stabilimento sottolinea quanto questa fabbrica fosse estranea al ruolo culturale e sociale dell’industria a ambiti culturali e architettonici, che fossero estranei alla produzione. I lavori durano dal 1916 al 1923, quando, il 23 maggio, viene inaugurato alla presenza di re Vittorio Emanuele III. In quegli anni lo stabilimento lavora già a pieno regime, oltre ai locali destinati alla produzione, vi si trovano uffici e servizi per il personale e dei montacarichi per portare

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le vetture sulla pista sul tetto per il collaudo.30 Le prima trasformazione e ampliamenti si registrano già a partire dal 1923, quando alle estremità dei due corpi longitudinali si costruiscono due rampe elicoidali che permettono un accesso diretto per le automobili dal piano terra al tetto; e successivamente nel 1926, quando viene costruita la palazzina per gli uffici, dedicata a direzione, amministrazione, mensa e altri servizi. Sebbene la FIAT già intorno al 1949 esprime la volontà di dismettere lo stabilimento, esso viene disattivato solo nel 1982, quando viene demolito in alcune sue parti e del tutto svuotato.31 Il problema del disuso e abbandono della fabbrica e della necessaria riqualificazione economica dell’area, spingono la FIAT a indire una consultazione internazionale a invito per 20 architetti, a cui si richiedeno proposte di trasformazione molto libere, senza però compromettere i caratteri originari del manufatto architettonico. Questo concorso di idee si conclude con una Mostra nel maggio del 1984 e nel 1985 viene affidato al giovane architetto Renzo Piano il compito della ristrutturazione del complesso.32 L’architetto e il suo team progettano la riconversione dell’edifcio da fabbrica a centro polifunzionale. Il progetto si proponeva due obiettivi: da un lato, ridare vita alla fabbrica 50

trasformandola in un centro polifunzionale con prevalenza di attività culturali, dall’altro quello di conservare l’identità architettonica del complesso. 30 Comoli Mandracci V., Cattedrali dell’industria antica. Fiat Lingotto a Torino, in “Restauro”, n. 82, 1985, pp. 87-88 31 Ibidem, p. 89 32 Ibidem, p. 90


Nel 1992 viene adibito a Centro Esposizioni, con il Salone dell’Automobile, nel 1984 infatti erano stati costruiti un Centro Congressi e un Auditorium. Successivi interventi sono costituiti dalla sala riunioni, la Bolla, fiancheggiata dall’Eliporto, e la Pinacoteca, progetti sempre firmati dall’architetto Renzo Piano.33

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33 Bugatti A., Un lingotto di tecnologia, in “Costruire”, n. 132, 1994, pp. 125-128


_Analisi ospite Il complesso del Lingotto di Torino è costituito da un fabbricato principale a cinque piani formato da due corpi longitudinali lunghi di circa 500m e di larghezza pari a 24,5m, uniti tra loro da 5 corpi trasversali che formano quattro cortili interni, per una superficie totale di 150.000mq. Le tecniche della costruzione sono quelle dell’ingegneria del cemento armato: strutture modulari a pilastri, travi principali e secondarie e solai in cemento armato. La realizzazione delle prime fasi del complesso viene affidata all’impresa Porcheddu, unica detentrice in Italia dei brevetti per l’utilizzo del metodo Hennebique per la realizzazione di strutture in conglomerato cementizio armato. Giacomo Mattè-Trucco apporta però alcune modifiche al complesso immettendo un criterio generale di ordine, il quale tuttavia non era da intendersi come accortezza architettonica, quanto più che altro come assolutizzazione del processo lavorativo e funzionale, ovvero assoggettato alla logica della produzione in serie.34

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34 Comoli Mandracci V., op. cit., pp. 88-89


_Analisi parassita Il primo corpo estraneo a innestarsi nel complesso del Lingotto è rappresentanto dalla pista automobilistica posizionata sul tetto dell’edificio e ultimata nel 1921. La pista, destinata al collaudo dei veicoli, è in cemento armato con pavimentazione in asfalto ed è costituita da due rettilinei della lunghezza di 443m ciascuno e da due curve sopraelevate. Nei primi anni l’accesso all’autodromo era possibile solamente tramite dei montacarichi, ma già nei primi anni ’20 vengono progettate e costruite due rampe elicoidali alle estremità del corpo di fabbrica per consentire un accesso diretto alle automobili dal piano terra, in modo da non rallentare il processo produttivo.35 Questi due corpi laterali rappresentano un primo sviluppo e una prima trasformazione del parassita originario. La Bolla, posizionata sopra la Torre Sud, costituisce una sala riunioni completamente trasparente che può ospitare fino a 25 persone. Con un diametro di 14m e un’altezza di 8m e una superficie complessiva di 150mq, la struttura della Bolla è in acciaio e cristallo, con una vista panoramica su Torino e le Alpi. Accanto alla Bolla si trova l’eliporto e entrambi sono situati a 40m di altezza, sopra la pista parabolica.36 35 Idem 36 Buchanan P., Reviving Lingotto, in “The architectural review”, n. 1197, 1996, pp. 62-67

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Lo Scrigno si trova invece sopra la Torre Nord e rappresenta l’ultimo dei sei livelli che costituiscono la Pinacoteca Giovanni e Mariella Agnelli e quello che ospita la collezione permanente. Mentre i primi cinque piani si trovano scavati all’interno della torre, il sesto, ovvero lo Scrigno, rappresenta un elemento estraneo per materiale e struttura. Si trova alla stessa altezza della Bolla e ha una struttura in acciaio e una superficie di 450mq. Lo spazio riceve una luce zenitale: la superficie più esterna della copertura è trasparente e fa passare la luce naturale, mentre, al di sotto di essa, un sistema di lamelle mobili di alluminio regolano l’illuminazione di modo che le opere non siano esposte alla luce diretta. All’interno, un velo protettivo realizzato in uno speciale materiale sintetico conclude la copertura. Sopra lo Scrigno, a sbalzo sui quattro lati, c’è una tettoia di 1.000mq composta da quattro strati di profilato in acciaio e 1.600 lamelle di vetro. La tettoia è fissata da montanti in acciaio che la tengono sospesa a circa un metro dalla galleria. La Pinacoteca è stata inaugurata il 20 settembre 2002, concludendo il processo di trasformazione del Lingotto.37

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37 Vogliazzo M., Lo “scrigno” di Torino, in “L’Arca, n. 176, 2002, pp. 32-37



Pista di Collaudo, Lingotto, Torino / Giacomo Mattè Trucco



Bolla, Lingotto, Torino / Renzo Piano



Scrigno, Lingotto, Torino / Renzo Piano


_Sintesi finale Il progetto del Lingotto a Torino rappresenta un esempio significativo di parassitismo alla scala architettonica, in quanto tutta la storia di questo complesso è segnata da interventi successivi dettati di volta in volta dalle nuove necessità. La questione temporale, caratteristica fondamentale del fenomeno parassitario, è in questo caso ben visibile: si passa infatti dal modello industriale in cemento armato del corpo principale alla leggerezza trasparente della Bolla. Una stratificazione che sottolinea la capacità di questo progetto di adattarsi ai cambiamenti storici che lo hanno visto protagonista, per rispondere al meglio alle nuove esigenze; un progetto che ha parassitato se stesso fin dall’inizio del suo ciclo vitale, creando nuovi spazi, nuove dinamiche, nuove relazioni che lo hanno reso sempre in grado di rispondere al meglio agli obiettivi imposti dai suoi cambiamenti di funzione e gli hanno permesso di rimanere un punto di riferimento fondamentale per la città di Torino. Per poter controllare il processo produttivo dall’inizio alla fine, lo stabilimento fu dotato di una pista automobilistica sul tetto per il diretto collaudo delle autovetture; per non rallentare il processo produttivo e evitare l’utilizzo di lenti montacarichi per raggiungere l’autodromo, si sono costruite due rampe elicoidali che collegassero direttamente il piano terra al tetto: questi interventi rappresentano una chiara messa in atto del concetto di autoparassitismo. L’edificio infatti parassita se stesso, si autoalimenta e si autorigenera per aumentare il proprio grado di efficienza. In questo caso ospite e parassita si fondono alla perfezione, sono governati dalla

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stessa logica, dalla stessa matrice strutturale e dalla stessa impostazione progettuale, tanto che la distinzione tra i due corpi non risulta quasi possibile. E’ interessante notare che questi interventi risalgono agli anni della prima guerra mondiale, per sottolineare la necessità insita nel concetto stesso di architettura di rigenerarsi e rimodellarsi a seconda delle necessità; non dunque un trend tipico dell’architettura contemporanea, ma presente in questa disciplina da sempre. Dopo l’abbandono dello stabilimento per la produzione delle automobili FIAT, il complesso ha ripreso a funzionare sotto la direzione progettuale di Renzo Piano. A un cambiamento funzionale sono seguiti degli adattamenti allo spazio architettonico, che non hanno danneggiato l’edificio, bensì l’hanno reso più adatto alle nuove esigenze. La fabbrica è stata riconvertita in un centro polifunzionale, cercando al tempo stesso di donare nuova linfa vitale al complesso e mantenere la sua identità architettonica. I nuovi interventi, la Bolla e lo Scrigno, rimandano da un punto di vista fisico e formale direttamente alla pratica dell’ectoparassitismo: sono infatti strutture che rimangono all’esterno dell’ospite e con il quale vengono in contatto solo in punti specifici e per esigenze strutturali e funzionali, ma si sviluppano per il resto in modo autonomo. Questi interventi rappresentano un’altra modalità in cui un edificio può parassitare se 62

stesso per dotarsi di nuovi spazi. Dal punto di vista formale sono molto differenti dall’autoparassitismo della pista di collaudo con le due rampe elicoidali: se nel primo intervento ospite e parassita si fondono insieme, sono governati dalla stessa logica e sono il risultato di uno stesso progetto, gli interventi di Renzo Piano sottolineano, volutamente, un distacco dalla


preesistenza. Tuttavia non per questo rappresentano una frattura, anzi, non solo sono collegati ad essa dal punto di vista strutturale, ma lo sono soprattutto dal punto di vista concettuale: ospite e parassita si completano e si integrano a vicenda, lo stabilimento risulta completo e funzionante proprio per la presenza di tutte le diverse parti che lo compongono. Un edificio è un manufatto in continua evoluzione, è sottoposto a cambiamenti di funzione, a nuove logiche, acquista nuovi spazi e ne perde altri, si ibrida, si trasforma, ma non per questo risulta incompleto; al contrario la molteplicità, la varietà, portano un valore in più. Il ciclo vitale di un edificio è segnato da un continuo parassitare se stesso per cercare di stare al passo con i tempi, per adattarsi e essere adatto alle nuove trasformazioni che investono le città. La pratica parassita alla scala architettonica dunque non contrasta il naturale ciclo vitale di un manufatto architettonico, ma anzi contribuisce ad allungarlo.

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APPENDICE GRAFICA : Lingotto, Torino

Vedo il lavoro come una specia di palcoscenico speciale in continua metamorfosi, un modello della costante azione della gente sullo spazio e nello spazio che la circonda. Nella mente della maggior parte delle persone gli edifici sono entità prefissate - l’idea di spazio mutevole è un tabù, persino nella propria casa la gente vive nel proprio spazio con una temerarietà che spaventa. E’ sconcertante quanto raramente la gente venfa coinvolt nel modificare profondamente il proprio spazio semplicemente disfacendolo. Gordon Matta-Clark

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L’OSPITE Fabbrica Fiat

fabbrica produzione seriale struttura in cemento armato 2 corpi longitudinali per produzione automobili 5 traverse multipiano per i servizi personale



I PARASSITI

_ L’autodromo [1921]

_ La Sala Riunioni e l’Eliporto [1994]

_ La Pinacoteca [2002]

pista per collaudo

sala riunioni / eliporto

collezione permanente

2 rettilinei di 400m di lunghezza

Torre Sud

Torre Nord

2 curve sopraelevate

struttura in vetro e acciaio

struttura in acciaio

150mq

450mq











ospite _ lingotto

parassita _ sala riunioni / pinacoteca sintesi finale

Necessità di nuovo spazio da parte dell’ospite viene soddisfatta dall’innesto di un parassita. Organismo parassita rimane esterno a ospite; contatto tra i due corpi rimane limitato al punto di contatto. Parassita sfrutta struttura dell’ospite.



V . SCALA URBANA _ ENTE PARASSITA ALTRO ENTE La scala urbana raggruppa tutti quei tipi di intervento in cui le trasformazioni non solo avvengono tra organismi di matrice e dimensione maggiore rispetto al singolo edificio, ma che anche a livello di influenze e alterazioni incidono su porzioni di città e tessuto urbano più ampie rispetto al singolo lotto. Proprio per questo motivo in questa scala si ritrovano due tipi di parassitismo, il cleptoparassitismo e il parassitoidismo, che vanno a lavorare e a inserirsi nel tessuto urbano consolidato, sfruttandone risorse, infrastrutture e spazi “vuoti”. Il concetto di “vuoto” riveste un ruolo fondamentale per le operazioni alla scala urbana, anche se occorre specifare la sua interpretazione. Ciò che normalmente si classifica in modo riduttivo come vuoto è in realtà uno spazio ricco di significati, attività, funzioni: non indica dunque un’assenza quanto piuttosto una possibilità. Il termine vuoto viene infatti utilizzato per indicare non un semplice vuoto, ma il vuoto che esiste tra due cose, e quindi assimilabile al concetto di interstizio, intervallo. “Un interstizio è uno spazio non isolabile in se stesso: esso acquista significato proprio per il suo essere intervallo tra elementi diversi, da cui deriva le sue qualità. Uno spazio vuoto è in realtà un interstizio, cioè un intervallo, tra due edifici. E un edificio, a sua volta, è un intervallo, un interstizio, tra due vuoti”.38

38 Zardini M., Interstizi-Intervalli, in “Paesaggi Ibridi.Highway,Multiplicity”, Zardini M. (a cura di), Milano, 1996, p. 54

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Sono proprio questi spazi che possono essere interpretati come elementi strategici per la trasformazione della città contemporanea, che possono fungere da approdo per l’immissione di un nuovo ente che restituistica significato e valore a ciò che pare abbandonato, senza densità, a ciò che appartiene alla città e al territorio che ci hanno preceduto e che si trova quindi ad aver perso il suo significato originario senza averne ancora acquisito uno nuovo, i cosiddetti terrain vague39, se si vuole seguire la classificazione di Mirko Zardini, o residui40, come vengono denominati da Gilles Clement. Lo spazio vuoto non deve più essere considerato come privo di qualcosa, ma piuttosto come portatore di un grado di libertà tale da permettergli di essere qualcos’altro. Gilles Clement raggruppa tutti questi spazi indecisi, privi di funzione, che si situano ai margini, sotto il termine di Terzo Paesaggio ovvero “terzo temine di un’analisi che ha raggruppato finora i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro”.41 Ma la non-organizzazione, la diversità, non devono essere interpretate come un limite, bensì come una possibilità, come un principio vitale: ciò che non ha una propria logica, può essere trasformato, modificato e sottoposto a un nuovo principio ordinatore. 82

L’abbondanza di questi spazi deriva dallo sviluppo della città stessa e da tutti quegli interventi veloci e senza controllo, come per esempio la costruzione di autostrade e ferrovie, che tagliano la città in tutte le direzioni creando quegli spazi definiti vuoti 39 Idem 40 Clement G., Manifesto del terzo paesaggio, Macerata, 2005, p. 18 41 Ibidem, p. 11


o residuali, in cui vanno a inserirsi, sfuggendo alle logiche formali, tutte quelle zone spontanee che si trovano così a sfruttare le risorse abbandonate dalla città stessa.42 Questi luoghi però non devono essere solo lasciati preda di una colonizzazione informale e incontrollata, ma si deve al contrario riconoscerne la qualità e soprattutto la potenzialità. Devono essere la base per una nuova stratificazione, fisica e concettuale, della città contemporanea, del qui e ora. Sono spazi dedicati al cambiamento, che si pongono di volta in volta come intermediario tra ciò che c’era prima e ciò che ci sarà dopo, senza perdere per questo motivo la loro forza e la loro ricchezza.

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42 Zimmermann E., Play city. Consideration about hybridazation in the contemporary city, in “The Hybrid_Link. Passaggi all’ibrido. Prospettive ibride sul contemporaneo”, webmagazine


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caso studio : HIGH LINE


Località : NEW YORK, USA Progetto : DILLER & SCOFIDIO + RENFRO Realizzazione : 2006 - 2011 Area : 1,6 Km2


High Line, New York _Analisi progetto Per High Line a New York si intende la sopraelevata localizzata sulla West Side di Manhattan. Essa corre da Gansevoort Street nel Meatpacking District a West 34th Street, tra la 10 ° e 11 ° Avenue, rappresentando cosi uno scalo centrale della 34ma strada per le merci provenienti dal Lower West Side. L’High Line nel corso della storia ha modificato il proprio ruolo all’interno della città. Infatti, costruita nel 1930, nel 1980 ha cessato di funzionare subendo dei cambiamenti riguardo all’andamento del suo tracciato in seguito a varie demolizioni. Soprattutto dopo gli anni ’60 la città si è interrogata riguardo al destino dell’ex linea ferroviaria, poiché mentre aumentavano le possibilità di una sua completa demolizione, l’aspetto dell’High Line si è lentamente modificato e trasformato. Si parla infatti di terzo paesaggio, o giardino involontario, essendo la sopraelevata stessa invasa fisicamente da un’ampia varietà di piante, arbusti e alberi. È stato proprio questo aspetto che ha suscitato interesse nei newyorkesi del quartiere, i quali nel 1999 hanno fondato la Friends of High Line. È stata proprio questa associazione a mirare alla conservazione e alla riqualificazione della struttura abbandonata. Il progetto ha visto lavorare insieme progettisti, paesaggisti, designer, artisti e orticoltori portando a una stretta collaborazione anche con la municipalità di New York. Il progetto viene affidato allo studio di architettura Diller Scofidio + Renfro

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nel 2002. Una prima fase dei lavori, iniziati nel 2006, si è conclusa nel 2009 con l’inaugurazione della prima sezione del parco realizzata tra Gansevoort Street e la 20th Strada. I lavori, per la realizzazione di una seconda sezione del progetto, sono terminati nel 2011. Infine, una terza sezione che va dalla 30th Street alla 34th Street, sarà inaugurata quest anno. Cosi, si arriverà ad una lunghezza totale di 2,4 km. Ora la conservazione senza scopo di lucro è organizzata dall’associazione Friends of High Line, che lavora con il Dipartimento di New York City di Parks & Recreation per assicurare che la High Line sia mantenuta come uno spazio pubblico. Le operazioni da effettuare e la programmazione di esse sono gestite dalla Friends of the High Line, la quale inoltre si impegna a raccogliere i fondi privati indispensabili per supportare più del 90 per cento del budget operativo annuale del parco.43

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43 Delbene G., The High Line Masterplan, New York, in “Area”, n. 79, 2005, pp. 84-103



1930 - 1980



1980 - 2006



2006 - oggi


_Analisi ospite La sopraelevata, lunga circa 2,3 km, ha cessato di essere utilizzata nel 1980. Essa ha rappresentato per una cinquantina di anni il mezzo che forniva alla città viveri e materiali da costruzione. L’organismo definito ospite consiste in un lungo nastro di acciaio e cemento che ha una larghezza variabile, da 10 a 20 metri, ed ha un’altezza compresa tra i 6 e i 10 metri. Essendo una ferrovia, dopo l’abbandono i binari erano ancora presenti, oltre a una fitta vegetazione nata spontaneamente. La sopraelevata diventa un potenziale ospite grazie a delle specifiche caratteristiche, quali il fatto che essa rappresenta un nuovo possibile layer nella sezione della città. Essa ha un impianto strutturale e formale indipendente dal resto del tessuto urbano newyorkese: il suo andamento infatti taglia e attraversa la griglia ortogonale del quartiere.44

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44 Ciorra P., Work in progress l’intervento newyorkese segna un momento alto del progetto dello spazio pubblico contemporaneo, in “Domus”, n.931, 2009, pp. 20-28


_Analisi parassita Il parassita protagonista di questo intervento è costituito dal parco, il quale declinato nell’High Line assume delle specifiche che lo rendono un parco urbano con speciali peculiarità. Principalmente esso rappresenta un ottimo mezzo per cambiamenti a livello bioclimatico e naturale, essendo un polmone verde nel mezzo dell’agglomerato cittadino. Il team ripristina lo spazio della sopraelevata come un nastro percorribile, caratterizzato da una continua intersezione di spazi differenti, integrando ai resti della ferrovia di acciaio e calcestruzzo la forte componente naturale emersa spontaneamente. Il progetto del nuovo parco è basato su un sistema di unità prefabbricate che si collegano con la struttura esistente definendo una serie di giardini, piattaforme, ponti, collinette, rampe e sovrappassi. La vegetazione selvatica spontanea è mantenuta in aiuole che si trovano lungo il percorso in legno, caratterizzato dalla presenza delle vecchie rotaie. Il parco urbano della seconda sezione è differenziato in varie zone che, a seconda delle loro caratteristiche, assumono denominazioni differenti. The ticket, il Boschetto, è il nome attribuito all’High Line tra la 20th e la 22th Street, e 96

deriva dalla presenza della fitta vegetazione di arbusti e alberi in fiore presenti. The Lawn, il Prato, si trova tra la 22nd e 23rd West Street, dove 4900mq di verde e una seduta a gradoni creano uno spazio di incontro, possibile grazie alla maggior larghezza della sopraelevata. The Flyover, il Passaggio Aereo, è la passerella sospesa a 8 metri dalla vecchia ferrovia


che ospita luoghi di sosta e permette di continuare il percorso tra gli edifici e il giardino di arbusti autoctoni tra la 25th e la 25th West Street. A nord il percorso curva e si alza leggermente a mostrare una zona dove il telaio dell’High Line è visibile poiché il piano di calpestio di calcestruzzo è stato eliminato. Ciò ha reso possibile la realizzazione di una piattaforma panoramica, che si affaccia sopra il taglio della sopraelevata, dove i visitatori osservano attraverso la griglia di travi di acciaio la West 30th Street.45

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45 Sesana M. M., High Line Refurbishment, in “Arketipo”, n. 65, 2012, pp. 50-63


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Punto di incontro, High Line, NY / Diller&Scofidio



Fiori - Flyover, High Line, NY / Diller&Scofidio



Prato, High Line, NY / Diller&Scofidio



Punto di osservazione, High Line, NY / Diller&Scofidio



Bosco, High Line, NY / Diller&Scofidio



Mercato - Arte, High Line, NY / Diller&Scofidio


_Sintesi finale Dall’apertura nel 2009, la High Line è diventata uno degli interventi di parco pubblico urbano più frequentato. Si tratta infatti di un esempio di “agritecture”, ovvero del recupero dello spazio urbano costruito ormai abbandonato attraverso l’uso dell’agricoltura, creando quindi una nuova e stretta relazione tra il verde e il preesistente. Conseguentemente, si instaura un rapporto tra il mondo vegetale e i pedoni, la natura selvaggia e quella coltivata, la dimensione intima e quella ipersociale, materiali organici e quelli da costruzione. Inoltre il risultato di questo intervento consiste in una passeggiata che, attraversando la città, permette di osservare da un nuovo e inedito punto di vista i tetti della città, tra il Meatpaching District e Chelsea, lo skyline di Manhattan e l’Hudson River. Si crea cosi uno spazio assolutamente dinamico, in grado di rispondere a moteplici esigenze dei newyorkesi e dell’ambiente urbano stesso. La concretizzazione consiste nel riutilizzo delle rovine moderne senza cancellarle, ma, al contrario, sfruttandone le qualità in modo da creare una nuova realtà. Infatti, questa realtà, con l’unione del regno della biodiversità e al contempo della storia di quel specifico sito, ha avuto molteplici effetti in generale sulla vita del quartiere. Il parassitismo ha stimolato la continua evoluzione di Chelsea, incentivando lo sviluppo di gallerie d’arte, boutique, ristoranti, pub, club e alberghi. Risulta chiaro lo stretto legame che si instaura tra le diverse entità urbane, le quali sono stimolate a vicenda per mirare a una riqualifica omogenea dell’intera area. L’evento principale, l’High Line, è quell’innesco che ha rappresentato un’accelerazione

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e una sollecitazione radicale delle capacità espressive e semantiche che il luogo, l’ex ferrovia, aveva intrisicamente in sè. Ciò ha portato ad una prima fase di improvvisa perdita delle consuete connotazioni e segni di riconoscimento storici dell’ospite stesso, il quale, però, in un secondo momento, grazie al parassita, si è arricchito a tal punto che risultano inscindibili l’uno dall’altro. Questo avviene poiché l’High Line rappresenta il passato, il presente ma anche il divenire, espandendo, infatti, la propria egemonia nell’area urbana in cui si trova. Il parassitismo dà vita quindi a un luogo la cui immagine moderna si produce in virtù della rottura, ma anche della correlazione, con l’immagine classica che la città possedeva dello stesso. Si ha la possibilità di far coesistere l’immagine attuale accanto all’immagine storica, la cui unione si traduce nella concretizzazione di una realtà che diventa nucleo nevralgico del quartiere ma che al tempo stesso si relaziona con il resto della città. L’High Line è un parco urbano lineare, ovvero una promenade verde che proprio poiché nata su una sopraelevata, permette la nascita di un secondo livello pedonale percorribile; lasciando il suolo stradale libero, il visitatore ha una duplice visione sull’area urbana, bottom up e top down. Si tratta perciò di una nuova tipologia di 110

parco in contrasto con il polmone verde newyorkese per antonomasia, Central Park. Esso infatti, con una dimensione di 3,41 kmq, permette la sola percezione della città dal livello stradale. L’High Line rappresenta la capacità di trasformazione di uno spazio residuale in un vero progetto di spazio pubblico, dove ospite e parassita coesistono in equilibrio. L’High


Line infatti pone l’attenzione e risponde alla necessità di far interagire e convivere città esistente e spazio contemporaneo, dove il miglior processo consiste nel riciclo e nella rigenerazione. Questo fenomeno rimanda alla pratica messa in atto dal parassitoide, dove il parassita si identifica quasi con un predatore, il quale trasforma in modo completo la realtà esistente per crearne un’altra portatrice di qualità date proprio dalla sintesi con l’ospite. Nel progetto dell’High Line sono trasposte in particolare le caratteristiche del parassitoide idiobionte, metafora di trasformazione da una situazione iniziale, in cui parassita e ospite sono molto differenti e separati, a una situazione di equilibrio, dove gli stessi interagiscono completandosi e dandosi vita a vicenda.

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APPENDICE GRAFICA : High Line, NY

I “terrains vagues” sono gli spazi che appartengono alla città e al territorio che ci hanno preceduti. Essi hanno persi il loro significato originario [...] senza averne peraltro ancora acquisito un altro. Sono, romanticamente, gli spazi della libertà; libertà dal potere attuale, dalla razionalità della città nuova [...] A essi è demandato il compito di rappresentare, in maniera simbolica, i valori di libertà e indeterminatezza della città contemporanea, una città che si rappresenta attraverso lo “scarto”. Mirko Zardini

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L’OSPITE West Side Line

ferrovia sopraelevata in disuso impianto strutturale indipendente nuovo layer nella sezione della cittĂ

1,6 km2 di terreno disponibile emergenza nel tessuto urbano ortogonale



IL PARASSITA Il Parco

polmone cittadino importanza a livello climatico importanza a livello funzionale Un parco urbano è un giardino situato all'interno di una città , allo scopo di fornire uno spazio ricreativo ai cittadini e ai visitatori, e di contribuire alla percentuale di verde presente all'interno dell'agglomerato urbano.











Il Parco Urbano Aumento popolazione 60%

Fiori 29 nuovi progetti Punti di osservazione Bosco 12.000 posti di lavoro Punti di incontro Bosco 2.558 unità residenziali Prato Punti di incontro 39.000 mq di uffici

Punti di osservazione Mercato / Arte Acqua

1.000 camere d’hotel

Prato Bosco Punti di incontro

8.000 mq di gallerie d’arte



HELL’S KITCHEN CLINTON

WEST SIDE RAIL YARDS

WEST CHELSEA MEATPACKING DISTRICT

INFLUENZE



VI . SCALA METROPOLITANA _ CITTA’ PARASSITA CITTA’ I tipi di parassitismo riconducibili alla scala metropolitana sono il coparassitismo e il superparassitismo, ovvero due tipologie che hanno in comune il concetto di lotta e concorrenza tra più parassiti per l’occupazione di uno o più ospiti. Non è forse ciò che succede nelle città contemporanee? Realtà, uguali o diverse, che tentanto di occupare uno spazio, cercando di prevalere le une sulle altre, di conquistare di volta in volta una porzione di territorio più grande. Le città del XXI secolo continuano a espandersi, trasformare i confini e disseminarsi sul territorio, in una logica di globalizzazione che da una parte crea un mondo-città, caratterizzato dalla mobilità e dall’uniformizzazione, e dall’altra delle città-mondo, in cui troviamo ogni tipo di diversità (etnica, religiosa, sociale, economica) e al tempo stesso ogni tipo di barriera.46 La rete globale ha attivato relazioni e scambi che riorganizzano spazi e funzioni dei territori e delle città, le quali costituiscono un delicato punto di intersezione tra globale e locale, luoghi e flussi. Un processo, quello globale, che, se non controllato e guidato, può portare alla formazione delle cosiddette Città Generiche, città uguali, senza identità nè storia, formate dalla ripetizione infinita di un unico modello strutturale.47 46 Augè M., La città ideale tra luoghi e non luoghi, in “Tamtam democratico. Per il buon governo della città”, n.8, aprile 2012 47 Koolhaas R., La città generica, in Koolhaas R., “Junkspace”, Macerata, 2006, pp. 30-31

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Le contraddizioni insite nelle città contemporanee non devono essere viste come un ostacolo, ma bensì come una ricchezza; non bisogna creare enclaves per separare, ma progettare spazi per unire. La zonizzazione modernista, che prevedeva la divisione del territorio per funzioni diverse e separate, sta iniziando oggi a essere sostituita da un’urbanistica che crea città più dense, ibride, mescolate e plurifunzionali, trasponendo a scala urbana la tipologia compositiva per sovrapposizione, in cui i layer, sovrapposti, creano zone di casualità, arbitrarietà.48 Il territorio urbano non deve più essere letto come un mosaico di pezzi diversi accostati e separati tra loro, ma al contrario essi devono interagire, sovrapporsi e creare nuove realtà: l’eterogeneità della città deve essere posta alla base di un nuovo modo di studiare e progettare la città stessa.49 Il concetto di Paesaggio può forse essere adatto, più che quello ormai restrittivo di Città, a indicare questa nuova e diversa idea di urbano che privilegia la molteplicità, il contrasto e l’accostamento di elementi diversi tra loro.50 Bisogna dunque ripartire dal locale, dalla singola porzione di territorio, e riprogettarne le logiche e gli spazi. Nello spazio urbano deve convivere il senso del luogo, intenso 134

come spazio dove si possono decriptare le relazioni sociali che vi sono iscritte, e la

48 Zambelli M., op. cit., p. 196 49 Zardini M., Per il ritorno del pittoresco, in “Paesaggi ibridi. Highway, Multiplicity”, Zardini M. (a cura di), Milano, 1996, pp. 18-19 50 Idem


libertà del non-luogo, ovvero quello spazio in cui questo decriptaggio non è possibile; devono convivere le tre dimensione essenziali della vita umana, ovvero il privato individuale, il pubblico e la relazione con l’esterno.51 La città deve ritrovare quella sua capacità di dar corpo alla società, di mostrare le diversità e le interdipendenze, di rendere le differenze meno minacciose e più familiari. Negli spazi pubblici, nelle zone di confine, siano esse materiali o immateriali, si generano interazioni, significati, rappresentazioni. La città di oggi si trova di fronte alla sfida di ricercare punti di incontro e di mediazione tra vissuti e mondi culturali e simbolici differenti. Nel tessuto urbano l’intreccio di flussi, reti, luoghi e corpi prospetta forme indedite di convivenza; la città si struttura proprio in base alle relazioni che stabilisce, alle interdipendenze che attiva e alle funzioni che ospita, ovvero alla sua capacità di mantenere e soprattutto valorizzare le connessioni interne e di arricchire quelle esterne.52 In questo senso il parassitismo non deve essere intenso come messa in atto di enti che lottano tra loro per l’affermazione, quanto piuttosto come realtà in grado di dialogare tra loro, di completarsi, di partecipare a una logica e a un senso comune, in una competizione che non crea fratture, ma che stimola il dialogo.

51 Augè M., op. cit. 52 Lazzarini A., Metamorfosi della città contemporanea, in “Tamtam democratico. Per un buon governo della città”, n.8, aprile 2012

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Caso Studio : SAN PAOLO


Località : BRASILE, AMERICA DEL SUD Fondazione : 1554 Area : 1.523 Km2


San Paolo, Brasile _ Analisi progetto San Paolo è una città brasiliana che si estende per una surperficie di 1523 km2 e che si innalza fino a 760 metri sopra il livello del mare. Con una popolazione di 11 milioni di abitanti, essa detiene il primato di città più vasta e più popolata dell’emisfero australe; ovviamente il numero di abitanti aumenta se si considera la vasta regione metropolitana di San Paolo, la quale, con 20 milioni di abitanti, è considerata la terza maggiore area metropolitana dell’intero globo. La città si estende su un altopiano appartenente alla catena Serra do Mar, particolarmente più elevato nella zona a Nord. San Paolo, distante 70 Km dall’Oceano Atlantico, è attraversata dal fiume Tietè e dal suo affluente Pinheiros. Il villaggio da cui si origina San Paolo è stato fondato nel 1554 da missionari gesuiti. Il nome attuale della città deriva proprio da quello del villaggio denominato Sao Paulo de Piratininga. Esso era situato in prossimità della catena montuosa Serra do Mar vicino al fiume Tietè, considerata una posizione strategica per l’ingresso in Brasile, da Sud Est verso Ovest. Per questo motivo il villaggio si espanse sempre più, fino a diventare nel 1771 una vera e propria città, meta di consistenti ondate migratorie, le quali continuarono incessantemente portando anche ad un notevole sviluppo industriale. È stata proprio l’attività industriale incentivata nel secondo dopoguerra

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che ha portato la trasformazione di San Paolo e della sua regione nel maggior polo industriale di tutto il paese.53

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53 http://www.aboutsaopaulo.com/history/


_ Analisi ospite La città formale ha conservato un aspetto coloniale per quasi tutto l’Ottocento, con stradine strette, abitazioni cadenti, vecchie chiese e conventi. Un primo cambiamento si ha a partire dal 1889, con un piano regolatore che mirava a dare una struttura coerente alla città stessa, che presentava già un notevole traffico urbano, un’alta densità abitativa e un forte inquinamento. La città odierna presenta nelle zone centrali un elevato numero di moderni grattacieli. In particolare, viene definito Triangolo l’area, delimitata dalle tre grandi arterie, che ospita il centro storico, il centro moderno e il centro degli affari. Dalla fine del XIX secolo, la città è divisa socialmente tra aree alte, occupate dall’elite della popolazione, e aree basse, con gli abitanti più poveri. Solitamente le aree destinate alla parte più povera di popolazione sono caratterizzate da epidemie ed inondazioni. Un esempio di intervento che ha risolto questo problema è stato proprio sull’altopiano, soggetto a inondazioni, dove è stata creata la cosidetta “città- giardino” dotata di terrazzamenti con lo scopo di evitare effetti negativi dovuti alla straripazione del Pinheiros River. Dopo questo intervento, questa zona è abitata dalla popolazione più abbiente.54 141

54 Howden D., I due volti di San Paolo del Brasile, in “Eddyburg.it”, 2007


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CittĂ formale, San Paolo, Brasile



CittĂ formale, San Paolo, Brasile


_ Analisi parassita La città informale si estende al di fuori del Triangolo e delle area destinate alle attività industriali, terziare e residenziali. Sao Paulo ha due importanti tipi di slum: la Favela e la Cortiço, i quali moltiplicatesi negli ultimi decenni, costituiscono una corona suburbana nella quale spiccano particolari centri: di Santo Andrè (667.891 ab. nel 2007), Diadema (386.779 ab.), São Bernardo do Campo (767.800 ab.), Osasco (701.012 ab.), Guarulhos (1.209.600 ab.) e São José do Campo (587.700 ab.). La principale differenza tra favela e cortico55 è che la favela indica un edificio la cui proprietà è solitamente dell’abitante anche se si tratta di un insediamento abusivo, mentre la Cortico indica un affitto precario. La città informale di San Paolo è sempre stata nella periferia della città, fatta di trame di edifici costruiti dai loro abitanti clandestinamente. In realtà vi sono delle area in cui cortico e favelas interagiscono direttamente con la città formale. Infatti in origine la maggior parte delle corticos si trovava nelle zone centrali e semi centrali della città, o in generale in aree deteriorate ma comunque in stretto legame con quelle lavorative e dei servizi. Questo permetteva agli abitanti delle Corticos di sfruttare i servizi della città formale ma continuando a vivere in condizioni non sempre salutari. Le favelas, al contrario, crescono ovunque ci sia del suolo vuoto e non protetto: in zone povere, benestanti, in periferia ma anche in centro.

55 Fix M., Arantes P., Tanaka G., Urban Slums Reports: the case of Sao Paulo, Brazil, in “Understanding Slums: Case studies for the Global Report on Human Settlements”, 2003

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Per tale motivo esse appaiono con una trama che a tratti rimanda al pattern urbano della città formale e a tratti a quello della segregata periferia. Le favelas, a San Paolo, sono un fenomeno degli ultimi 50 anni, ovvero da quando il loro tasso di abitanti è salito dal 5,2% al 19,8%. Ciò è avvenuto a partire dal 1980, periodo in cui si è verificata anche la recessione e la fine del piano di urbanizzazione periferica di San Paolo.56

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56 Chiodelli F., Sao Paulo, The challenge of the favelas. A cidade informal no sèculo 21, in “Planum Magazine”, n. 23, 2011



CittĂ INformale, San Paolo, Brasile



CittĂ INformale, San Paolo, Brasile


_ Sintesi finale La città informale viene solitamente e comunemente vista in modo negativo, considerata abitata da malviventi. Soprattutto i residenti vicini a questa parte della città vedono in malo modo questo fenomeno, spesso paragonato ad un vero e proprio cancro della città formale. Questo dipende soprattutto dal fatto che le favelas dipendono strettamente dalla città anche dal punto di vista dei servizi. Oltrepiù esse si trovano solitamente in zone “nascoste”, in cui non vi sono strade asfaltate. Ciò non succede nelle cortico, le quali essendo nelle zone centrali di San Paolo, appaiono come edifici meno pericolosi per il benessere della città. In questo scenario e senza la costituzione di uno stato sociale, le favelas e le corticos si sono espanse in contesti dove non vi erano alternative per la popolazione più povera. Sono infatti una soluzione reale e concreta per queste persone, essendo vere e proprie aree urbane strutturate e non soltanto delle eccezioni nella trama della città. Tali insediamenti sono stati quindi il risultato di disuglianza di reddito, mancanza di crescita economica, immigrazione e mancanza di abitazioni adatte. Per tale motivo bisogna allontanarsi dall’idea di città informale come solo spazio di caos e di malavita, poiché proprio le popolazioni meno abbienti qui hanno creato spazi dove vivere in modo “normale”. A dimostrazione di ciò, diversi spazi ricreativi e pubblici si sono creati all’interno della città informale, dove gli abitanti possono attuare forme reali di commercio e di attività collettive. Questo fenomeno, inoltre, ha portato alla nascita di nuove forme architettoniche e di infrastrutture proprio grazie alla partecipazione dei singoli abitanti, che si sono

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trasformati in “architetti” della nuova realtà cittadina. Per tale motivo l’autosufficienza è una caratteristica basilare di questo tipo di interventi all’interno della trama urbana e metropolitana. La città informale, quindi, con le sue nuove regole dell’abitare è diventata una risposta concreta ai bisogni personali di una parte della popolazione, e per questo non può essere evitata o negata, al contrario va approfondita ed analizzata in modo da capire quale processo di sviluppo potrebbe innescarsi a partire proprio da questo parassita della città formale. La relazione appare a prima vista probabilmente inesistente, ma città formale e città informale in realtà hanno uno stretto legame l’una con l’altra. Infatti corticos e favelas attaccano la città formale, della quale riprendono tipologie architettoniche, funzionali e spaziali, riconnotandole però in modo autonomo e creando una nuova realtà. Inoltre questo stretto legame non dovrebbe essere visto solo come portatore di negatività, ma anche di potenzialità. Sfruttando le peculiarità delle favelas, esse stesse potrebbero essere viste come generatore di sviluppo urbano. La varietà densa e molteplice degli spazi semipubblici e privati rivela inoltre un tessuto secondario di vuoti a piccola scala entro cui si svolgono la vita di relazione delle famiglie e le attività quotidiane dei singoli abitanti: corti ben proporzionate, piccoli giardini 154

e grandi tetti-terrazzo. Composte da un groviglio inimmaginabile di spazi, generati dalle infinite negoziazioni che derivano dall’assetto di ogni singolo edificio, le favelas cambiano continuamente, rimettendo in campo ipotesi e ibridando le loro tipologie in combinazioni sempre più complesse in base alle necessità mutevoli delle famiglie e, in generale, della comunità. Da questo risulta un organismo urbano assolutamente


dinamico, con una definizione spaziale fluida, decisamente più adattabile di quella che risulterebbe da un processo di pianificazione formale. San Paolo non può essere considerata solo come città storica e quindi quella parte pianificata, ma deve estendersi anche a tutti quei nuclei auto-generati che costituiscono la periferia della città. “Pertanto, la rappresentazione diagrammatica della megacittà come spazio a rischio, laddove il rischio è inteso come una sensazione di pericolo e vulnerabilità, lo trasforma in uno spazio di rischio, laddove per rischio si intende un’opportunità generata dalla variabilità, dal cambiamento continuo e dall’instabilità. […] La griglia come motore di produzione di valore ed economico e il rischio slum o la metafora della megacittà pericolosa come fonte di nuovi circuiti di valore, sono fondamentalmente diversi in quanto mentre la prima agisce mediante una finzione regolatrice, il secondo esprime in termini operativi il valore mediante la finzione di una mancanza di regolamentazione che va sanata.”57 Il rapporto tra città formale e città informale può essere interpretato attraverso la metafora del coparassitismo, pratica che mette in relazione realtà differenti, le quali cercano di radicarsi in uno spazio comune. La competizione tra le due entità può concretizzarsi nel rapporto che si instaura tra la città formale e le due forme di parassitismo che si sono sviluppate, ovvero le favelas e la cortico.

57 Vyjayanthi R., Slum as theory, “Lotus”, n. 143, 2010, pp. 11-12

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Città formale VS Città INformale, San Paolo, Brasile


APPENDICE GRAFICA : San Paolo, Brasile

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E’ curioso che chi ha meno denaro abiti la risorsa più costosa (la terra); e chi paga, invece, abiti quella gratuita: l’aria Rem Koolhaas







L’OSPITE La città formale

20 milioni di abitanti _ 1.523 km2 _ Città storica _ Città metropolitana _ Sviluppo razionale _ Disposizione pianificata _

Disposizione spaziale in pianta

Presenza di uffici centrali delle grandi imprese _ Grande sviluppo economico _ Anello di quartieri di condomini e case di lusso recintati _

Disposizione spaziale in alzato





IL PARASSITA La città informale

1600 favelas in San Paolo _ 30 km2 _ 16 % della popolazione _ Alta densità abitativa _ Disposizione irregolare _ Attacco alla città formale _

Disposizione spaziale in pianta

Anello intorno alla città formale _ Dipendenza dalla città formale_ Diverse tipologie abitative _ Genesi spontanea _ Organismo spaziale dinamico _ Povertà _ Carenza di servizi _

Disposizione spaziale in alzato



San Paolo _ Partecipazione

_ Attività collettive e ricretive

_ Autocostruzione

_ Nuove tipologie architettoniche

_ Commercio Autosufficienza

_Nuove tipologie di transito

_ Risposta ai bisogni personali

_ Senso comunitario

_ Generatore di nuovo sviluppo

_ Norme culturali

_ Nuova realtà cittadina

_ Nuove forme di infrastrutture

_ Miglioramento qualità della vita delle popolazioni inurbate

_ Nuove regole dell’abitare





VII . SINTESI Al termine di questa ricerca si è giunti ad un ampliamento della definizione e trasposizione della cosiddetta architettura parassita, che rende più lecito il processo di estrapolazione del vocabolo “parassita” dalla sfera biologica e il suo utlizzo in ambito architettonico. I progetti che sono stati definiti finora architettura parassita rappresentano solo una piccola parte di una pratica progettuale che investe in realtà tutte le scale di intervento sulla città. Il parassitismo, infatti, non deve essere inteso come mero strumento di azione a scala architettonica, ma come operazione che mette in atto relazioni che possono essere utilizzate come linee guida per ulteriori operazioni. Tra i due organismi, l’ospite e il parassita, si instaura, oltre a una relazione fisica e spaziale dettata da esigenze strutturali e costruttive, un più complesso rapporto di interdipendenza anche a livello concettuale e semantico. Il parassita va ad inserirsi in una realtà che si trova in uno stato di inattività o inadeguatezza che deriva dalla sua incapacità di continuare a rispondere alle esigenze e ai bisogni per i quali era stato creato. Il nuovo organismo, sebbene vada a sfruttare alcune caratteristiche dell’ospite, mette in campo una nuova relazione che dona un valore inedito ad entrambi. Il fenomeno del parassitismo nasce infatti dall’esigenze dei fruitori dello spazio stesso, che cercano con il nuovo intervento di riportare l’organismo ospite ad uno stato di attività e adeguata funzionalità. Questo fenomeno, originato inizialmente da necessità pratiche, risulta utile nella città

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contemporanea come strategia per una sua possibile rigenerazione. Il processo di inurbamento ed estensione territoriale, che caratterizza le principali metropoli odierne, fa riflettere su quali possano essere le conseguenze se si continua ad operare secondo questi principi. Nello scenario contemporaneo lo sviluppo della città procede attuando nuovi interventi che aumentano sempre di più lo sfruttamento del suolo, preferendo nuove costruzioni al recupero delle realtà inutilizzate. Il parassitismo, invece, con i suoi principi di intervento, contrasta questa usanza, mettendo in luce delle nuove strategie per la rigenerazione della città contemporanea. Esso infatti agisce nei residui, nei margini, negli spazi “tra”, nei resti, attuando un processo di recupero e risematizzazione. Gli interventi parassitari non si limitano però ad una modifica del singolo ente, ma al contrario sono in grado di investire porzioni di città più ampie, le quali traggono anch’esse dei benifici dall’influenza del parassita. Per tale ragione si può instaurare nella città un dialogo e una relazione tra realtà che sono di norma separate e differenti tra loro. Da questa teoria che abbraccia tutti gli ambiti dell’urbano, se ne deduce che, come afferma Franco Purini, “una qualsiasi scrittura è il prodotto dell’incrocio tra elementi 176

specifici di un linguaggio ed elementi diversi, elementi estranei e inizialmente incompatibili che creano una sorta di conflitto genetico che li oppone al codice con il quale essi entrano in contatto. È proprio in tale guerra biologica che le varie scritture artistiche trovano la loro ragione”.58 58 Purini F., op. cit., p. 85


Strategia di rigenerazione urbana

situazione attuale

ipotesi futura ad oggi

situazione attuale

ipotesi futura con strategia parassitaria



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Ringraziamo la prof.essa Antonella Contin per il supporto e le interessanti conversazioni che ci hanno stimolato e aiutato in questa ricerca. Ringraziamo i nostri colleghi e amici con cui abbiamo condiviso questo percorso e tutte le persone che ci hanno supportato in questa esperienza. Ringraziamo inoltre KOINè collective che ci ha permesso di crescere professionalmente e soprattutto di coltivare le nostre passioni e condividerle con delle persone speciali. Un grazie particolare ai nostri genitori e alle nostre famiglie che non hanno mai smesso di credere in noi.


In copertina

Metamorphosis I Escher


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