SHC-I News 2009-4 Inverno

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dal Presidente - Adele Oldani 1991-2009

il Club chiude Quando nel corso degli umani eventi diventa necessario …. Con queste parole presuntuosamente prese a prestito dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti aveva inizio vent’anni fa il cammino del Siberian Husky Club – Italia. Il Club nasceva dal desiderio di alcuni importanti allevatori di affrancarsi e trovare uno spazio proprio per una razza in enorme espansione che non era sufficientemente rappresentata nell’ambito della Società specializzata, a quei tempi rigorosamente monolitica e assolutamente contraria a sezioni o suddivisioni che tenessero conto delle peculiarità ed esigenze delle diverse razze da lei tutelate. In breve tempo questo Club è diventato un punto di riferimento per molti allevatori e soprattutto per molti privati che avendo scelto un Siberian Husky su un’onda emotiva ed estetica si ritrovavano poi a gestire un cane non proprio facile. Non esistevano a quei tempi libri, riviste o anche solo articoli che spiegassero che cosa era un Siberian Husky, come interpretare al meglio il suo Standard, quali erano le patologie specifiche ecc. Era per i più l’affascinante cane del Grande Nord dagli gli occhi azzurri. Siamo stati i primi a sentire l’esigenza di ricordare che il Siberian Husky non era un cane da salotto, ma un cane da lavoro ed abbiamo creato durante i nostri Raduni la classe lavoro e messo in palio il trofeo annuale “Bello & Bravo” che premiava quei cani che meglio rispondevano allo Standard di razza e contemporaneamente avevano superato con successo una prova di “attitudine al traino”. Alcuni soci fondatori del Siberian Husky Club - Italia erano stati anche fondatori delle prime Associazioni che si occupavano di lavoro in Italia: AIM, CIS ecc. Questo non ci ha però mai impedito di supportare anche quelle persone che non potevano o non volevano cimentarsi dietro ad una slitta. Con il passare del tempo per privilegiare finanziariamente la pubblicazione del notiziario, diventato sempre più bello e gradito ai nostri Soci, abbiamo rinunciato, sebbene a malincuore, ad organizzare i Raduni, unico vero momento di aggregazione “fisica” e di avvicinamento al mondo del lavoro


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anche per quelle persone che non avevano mai visto lavorare dei cani e con i Raduni purtroppo sono venuti meno anche i Seminari, momento di discussione e di confronto. Il giornalino ci permetteva di raggiungere tutti, proprio tutti i Soci, mentre ai Raduni le presenze erano per ovvi motivi piuttosto limitate. Nel frattempo le nuove tecnologie hanno messo l’universo “Siberian Husky” alla portata di chiunque possiede un computer. Notizie, che una volta si potevano reperire solo grazie a quelle persone che ogni anno si recavano negli Stati Uniti e avevano frequenti contatti diretti con il Siberian Husky Club of America e molti allevatori, persone che conoscevano la lingua e generosamente mettevano a disposizione tutto il materiale che potevano portare in Italia, ora sono alla portata di mouse. Stimolato anche dalla nostra presenza e dall’ingresso di alcuni nostri exConsiglieri o Soci la sezione dedicata al Siberian Husky del Club di razza è diventata più incisiva anche se sempre finalizzata al mondo delle esposizioni. La maggioranza dei nostri Soci è ora rappresentata da privati che hanno uno, massimo due Siberian Husky e che limita la propria partecipazione al Club al pagamento della quota sociale e qualcuno al resoconto di simpatici momenti della loro vita con il cane. Questa realtà ci ha colpito brutalmente al momento del rinnovo delle cariche sociali: alla reiterata richiesta di inviare delle candidature per il prossimo triennio ha risposto una e una sola persona. E’ vero che molti si sono detti disponibili a sostenere il Club, ma in quanto a candidarsi e ad assumere alcune responsabilità… E così, quando nel corso degli umani eventi si rende necessario …. invece di festeggiare il Ventennale del Club prendiamo atto che è giunto il momento di chiudere, di lasciare il campo ad altri club che avendo fini più oggettivi (lavoro, esposizioni, allevamento) hanno un richiamo superiore e stimolano maggiormente i soci ad una vita di club più attiva. Ovviamente, dopo un ragionevole lasso di tempo e la messa sul sito dell’ultimo News, con la chiusura del Club verrà chiuso anche il nostro sito Web ed il gruppo su Facebook; questo comunque non impedirà a chiunque lo desideri di crearne altri sotto nomi, diversi da SHC-I. E’ stato bello aver fatto parte della vita di tantissimi Soci e credo di interpretare il desiderio di tutti i presidenti, consiglieri, sindaci, probiviri che si sono succeduti negli anni dicendo “Grazie” a VOI TUTTI di averci permesso di esistere e di sentirci orgogliosi di essere stati in qualche modo utili a voi ed alla razza e perdonateci le eventuali inadempienze.

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Verbale riunione del Consiglio del 28 novembre 2009 In data 28 novembre 2009 ore 14,30 presso l'abitazione secondaria della segretaria - via Calabria 4 – Gallarate VA si riunisce il Consiglio Direttivo del Club con il seguente ordine del giorno: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8)

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il 22 dicembre verranno consegnate al tribunale le conclusioni delle parti, poi il giudice dovrebbe emettere la sentenza.

4)

Solo una candidatura ufficiale è pervenuta per iscritto alla segreteria.

5)

Il Consiglio, preso atto della mancanza di candidature che permettano di affrontare un nuovo mandato triennale indispensabile per garantire la continuità del Club, decide di dichiarare la chiusura del SHC-I con la fine dell'anno solare in corso.

6)

I Consiglieri decidono inoltre che, in occasione dell'ultima uscita del giornalino, non vengano pubblicati gli articoli che prevedono un ulteriore dibattito, prediligendo una linea editoriale più consona all'ultimo numero del giornalino stesso.

7)

Il Consiglio uscente, comunque, garantirà tutti gli impegni assunti con i soci, compresa l’uscita dell’ultimo numero giornalino trimestrale e la visibilità del sito web fino a scadenza del dominio.

Dimissioni Presidente Dimissioni Consiglieri Barbieri e Pedullà Causa Benotti Situazione candidature Chiusura Club Prossimo numero giornalino trimestrale Situazione nuovo sito web Varie ed eventuali

Aspiranti Soci

Sono presenti i Consiglieri: Brioschi Luca, Mazzina Reginella, Oldani Adele e Prampolini Giuseppe, inoltre i dimissionari Barbieri Guido e Pedullà Laura. Assente giustificata: Piacentini Olivia. Vista la presenza di quattro consiglieri in carica, la riunione viene dichiarata valida Viene nominato Presidente della riunione Luca Brioschi e Segretaria verbalizzante Reginella Mazzina. 1)

Il Presidente decide di ritirare le sue dimissioni, al fine di portare alla sua fine fisiologica il mandato triennale.

2)

Anche gli altri due membri del Consiglio che avevano rassegnato le loro dimissioni qualche settimana fa, le ritirano con la stessa finalità.

Dall’art. 5 dello Statuto Sociale. ................. I nominativi di coloro che hanno richiesto di divenire Soci verranno pubblicati sul bollettino dell’ Associazione sotto la dizione “Aspiranti Soci”. Se entro due mesi dalla pubblicazione nessun socio esprime parere sfavorevole con lettera raccomandata inviata al Presidente le persone, il cui nominativo é stato pubblicato, diventeranno automaticamente Soci effettivi. Qualora dovesse pervenire al Presidente parere negativo riguardo l’accettazione di un socio, la decisione definitiva spetterà al Consiglio che, in caso di mancata accettazione della stessa, non é tenuto ad indicare i motivi della propria decisione.

Bidasio Mattia, Giuliani Elena, Giulietti Hill Orietta, Papa Umberto, Ricchetti Maria Rosaria, Scozzari Doriana, Valenti Mario Clemente.

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Totale Soci anno 2009 = n.198


SOMMARIO Inverno 2009 Presidente

Adele Oldani Responsabile Commissione Bollettino Coordinamento di Redazione e progetto grafico copertina

Guido Barbieri

HANNO COLLABORATO

Giulio Benedetti Ornella Boni Antonietta Bonoli Stefano Cavalletti Luciano Caveiari Monica Chasseur Elena Corain Claudio Di Petta Massimiliano Forcato Doriano Gambini Elena Giuliani Franco Milani Sergio Monterisi Adele Oldani Cristina Pezzica Giovanni Ravelli Mara Zucchini

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Dal Presidente Verbale riunione del Consiglio Un po’ di Storia World Pedigrees - database Intervista a Mr Gregory Gayhart Paura della gabbia? Cambiare nome? Lupi nel cuore (racconto) Class Action Un buon libro da leggere Commissione Salute (la rabbia) Uso delle ciaspole La mia “Traversata” (racconto) I Soci raccontano (Yuri) e (Raja) Il pensiero di molti Soci Il club in cifre

1 3 5 8 9 11 12 17 28 30 31 35 39 49 53 56

SIBERIAN HUSKY CLUB - ITALIA CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente Vice Presidente Consiglieri

Adele Oldani Guido Barbieri e Luca Brioschi Reginella Mazzina, Laura Pedullà, Olivia Piacentini, Giuseppe Prampolini

COLLEGIO SINDACALE Segreteria SHC-Italia via Gobetti 11 21013 Gallarate (VA) tel. e fax 0331 775983 E-mail: info@shcitalia.org http://www.shcitalia.org Redazione SHC-I NEWS via Montenevoso, 36 21013 Gallarate (VA)

Gloria Di Petta, Cristina Pezzìca, Rosaria Rovito Supplente: Francesco Brusaferri COLLEGIO dei PROBIVIRI Stefano Cavalletti, Silvia Mazzani, Sella Giovanni Supplente: Maurizio Stuppia Questo numero del “SHC-I News 4/2009 Inverno” viene messo in distribuzione in data 30 gennaio 2010 Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la redazione della rivista né rispecchiano pareri ufficiali del Club.

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“senza un passato non può esserci futuro” Testo di riferimento: SEPPALA’S Saga of the Sled Dog By Raymond Thompson Grazie alla preziosa collaborazione di Stefano Cavalletti di Roma ed al suo ammirevole impegno, siamo in grado di offrirvi, in esclusiva assoluta, la traduzione di questa rarità (per il pubblico italiano) stampata in proprio by Raymond Thompson, primo presidente del Seppala Siberian Husky Club. Di numero in numero pubblicheremo ampi stralci di ogni singolo capitolo di questa opera realizzata in due volumi che, con un progetto molto ambizioso, vorremmo rendere disponibile per tutti gli appassionati interessati.

SEPPALA’S Saga of the Sled Dog CAPITOLO IX secondo volume

T

ornato a Nome, dopo qualche giorno di riposo Sepp iniziò con la solite cose che facevano i musher prima di ogni grande gara. L’All Alaska Sweepstakes del 1917 si avvicinava. Fece tutte le riparazione necessarie ai finimenti, alla slitta da gara ed all’attrezzatura. Con la moglie che controllava il tutto con sguardo attento era fiducioso di ripetere le vittorie dei due anni precedenti. I suoi siberiani non solo erano allenati a percorsi simili, ma erano il meglio del suo allevamento. Era fermamente convinto che solo un grosso imprevisto gli avrebbe impedito di vincere la gara per la terza volta consecutiva, consegnandogli definitivamente il trofeo della “All Alaska Sweepstakes”; impresa che non era riuscita né a Scotty Allen né al grande finnico, Ironman Johnson.

Quest’anno c’erano solo tre team che gli avrebbero potuto dar fastidio e tutti e tre condotti da uomini di grande esperienza soprattutto in gare di lunga durata. Con Victor Anderson, Fay Dalzene e Paul Kjegstadt alla partenza sia Sepp che i suoi cani avrebbero dovuto dare il meglio di loro stessi. Il 9 di aprile era il giorno fissato per la partenza ed il tempo a Nome era discreto. Partiti ad un minuto l’uno dall’altro i team presero presto la testa della corsa alla volta i Cape Nome. Oltre quel punto soffiava una tormenta di neve in direzione di Port Safety e tutto era oscurato dalla furia della neve che soffiava. La tormenta peggiorava sempre più e quando ci si infilarono dentro Sepp non era nemmeno in grado di vedere i propri cani a causa della neve. Il vento era terribile e a tratti spingeva la slitta come fosse una piuma. Dalzene fu il primo ad arrivare a Solomon, aveva 15 minuti di vantaggio su Sepp.

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La tempesta peggiorò ancora e fece sempre più freddo. Alcuni dei cani di Sepp erano portati a non seguire il sentiero a causa della neve che si ammucchiava su di esso e ci volle tutta l’ esperienza del leader e del musher per mantenere la giusta direzione.

rivali, mentre era al caldo del suo sacco a pelo, Sepp si convinse che il suo unico rivale fosse Victor Anderson con il suo team. Paul Kjegstadt non era in grado di farcela, ed il team di Dalzene era in pessime condizioni. Sepp si mise a dormire con il vento che scuoteva la baita.

Vicino all’insediamento di Spruce Creek, Sepp ebbe un problema con i cani e le imbragature, e mentre li districava fu sorpassato da Victor Anderson. Sepp ed il suo team passarono a circa 15 metri dalla capanna di un piccolo insediamento che non era visibile a causa della tormenta accecante.

La mattina dopo intorno alle sette la tormenta sembrò diminuire d’intensità ed intorno alle otto le condizioni erano tali da permettere ai team di ripartire.

Con l’avvicinarsi a Topkok, Sepp ed i suoi cani furono costretti a passare sul mare ghiacciato per aggirare un pendio piuttosto ripido che spuntava su dal mare. Da un lato la cosa era pericolosa perché il ghiaccio poteva sempre scivolare in mare aperto, dall’altro c’era la possibilità di fare una parte del tracciato al riparo, e da qui Sepp vide Dalzene davanti a lui. Anderson e Sepp lo raggiunsero presto e decisero di fermarsi al rifugio a Topkok fino a che non cessasse il vento. Nei pressi dell’accampamento la tormenta era così accecante che non riuscirono a vedere il rifugio fino a che i cani non ci si infilarono dentro. Sistemarono i cani in una vecchia baita ed i musher si rifugiarono nella prima. Sepp notò che i cani di Dalzene avevano sofferto la tormenta, essendo dei meticci a pelo corto avevano i fianchi congelati ed irritati dalle imbragature. Paul Kjegstadt non si fece mai vedere quella notte. Nel pomeriggio, arrivò il postino da Council che riferiva che nonostante avesse viaggiato tutto il giorno con il vento alle spalle era stata dura, e che con il vento contro sarebbe stata impossibile. Sepp si riteneva fortunato ad essere riuscito a rifugiarsi nella baita di Topkok, mentre fuori infuriava una delle peggiori tormente che avesse mai visto. Per tutta la notte il vento sferzò il rifugio e si poteva udire la neve accumularsi e contorcersi sulle mura esterne. Ripensando a ciò che aveva visto durante la giornata riguardo ai team suoi

Con il passare del tempo le condizioni miglioravano ulteriormente e tutto filò liscio. I cani di Sepp distanziarono Anderson lasciandoselo alle spalle. Il resto della gara fino a Candle e ritorno fu senza problemi ed il team di Sepp tagliò il traguardo con quattro ore e mezza di vantaggio sul secondo. Era la sua terza vittoria consecutiva e quindi ricevette il trofeo. Era l’ultima delle grandi corse. Nessuna altra infatti metteva alla prova cani ed equipaggi come la All Alaska Sweepstakes, 408 miglia da Nome a Candle e ritorno. Tuttavia si corsero ancora gare nei dintorni di Nome durante l’inverno, ma erano corte e senza l’affaticamento del giorno dopo. Probabilmente la più divertente era la Solomon Burden Handicap. Era così chiamata perché si teneva a Solomon, ed ogni musher aveva come handicap un carico (burden), un passeggero il cui peso veniva calcolato a fine gara per la classifica. La Solomon Burden Handicap era la seconda corsa del genere a cui partecipava, e che non avrebbe mai dimenticato. Molti dei partecipanti avevano slitte rimediate qua e la, e i favoriti non erano mai stati su di una slitta prima d’ora. Tutti i tipi di commercio e di mestieri nei dintorni di Nome trovavano rappresentanza tra i concorrenti, e tra i cani vi si annoveravano i migliori come pure i peggiori. E come tutte le cose che da dietro le quinte appaiono facili, molte delle matricole avrebbero imparato cose sui cani che non avrebbero mai neanche immaginato.

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Poche miglia fuori città, Sepp superò un mercante che aveva perso sia il team che il passeggero lungo il tracciato. Era accaduto tutto così in fretta che era ancora stordito, si ricordava solo di essere sceso dalla slitta per sbrogliare i cani, e poco dopo si accorse che i cani stavano correndo via con il suo carico. Visto che andavano nella stessa direzione, Sepp pensò che qualcuno li avrebbe raggiunti, e non ci pensò su. Raggiunse i fuggitivi, li legò ad un ceppo di legno in modo che il loro musher li potesse riprendere per recuperare il passeggero. Poche miglia più avanti, Sepp si imbatté in una furiosa rissa tra cani, e sotto gli animali pelosi e sbavanti c’era uno dei medici di Nome. Sua moglie, la passeggera, gridava dalla slitta mentre i cani lottavano furiosamente sopra il corpo del povero dottore. Una volta sedata la rissa le imbragature ed i finimenti erano diventate un groviglio inestricabile. Il medico era illeso, tranne che nell’onore; ma praticamente ognuno dei 14 cani aveva una qualche ferita. E ancora, Sepp vide in lontananza quattro cani legati ad un palo con la slitta, mentre altri otto correvano via sul ghiaccio in mare aperto. Dietro di loro si arrabattava il musher, un comandante di nave di Nome, che aveva lasciato la slitta, con la moglie ancora sopra. Sperando di raggiungere i fuggiaschi, Sepp si diresse verso i cani legati e, raggiunta la slitta, disse alla moglie di non preoccuparsi del marito e dei cani e di rimanere calma in quanto non c’era alcun pericolo. Sepp era convinto che non sarebbe mai riuscito a vincere la gara con tutto il tempo perso a prestare i vari soccorsi, evidentemente non era la sua giornata. Successivamente si avvicinarono ad un’altra slitta con qualcuno dentro, e non capivano cosa stesse succedendo, fino a che non la passarono e in quel momento Sepp vide un uomo trascinato dalla slitta con un piede attorcigliato al cavo di manovra. Dopo averla fermata capirono cosa era successo.

Poco più indietro il conduttore, un professore che insegnava a scuola, aveva legato la slitta con il cavo ad un palo mentre andava a slegare un cane rimasto impigliato. Il suo passeggero, un maestro di scuola anche lui, restò sulla slitta, ben coperto dalle pellicce e con il parka completamente allacciato. Quando il professore andò a slegare la slitta, il cavo che era legato al palo, in qualche modo, si attorcigliò alla sua gamba trascinandolo lungo il tracciato. Il suo passeggero, con la testa completamente coperta ed il vento che soffiava, non poteva sentire le sue grida di aiuto, e Sepp fu costretto a sentirli litigare al riguardo dopo averlo slegato. Nella speranza che questa fosse l’ultima delle sue disavventure, Sepp ripartì, e stavolta non ci furono ostacoli a fermarlo tanto che arrivato a Solomon fu dichiarato vincitore. Il loro tempo, due ore e 40 minuti, non solo gli permise di vincere la gara, ma anche di stabilire un nuovo record. Quella notte c’erano circa 350 cani a Solomon. I loro ululati si univano al chiasso della gente in festa e fecero di quella notte una notte speciale. La mattina dopo, molti dei giovani musher non riuscivano a trovare i propri cani così presero i primi che vedevano. Alla fine uno di loro era rimasto solo con la slitta, senza cani; erano tutti scappati. Giorni dopo Sepp sentì che molti dei cani erano tornati dopo alcuni giorni, ma qualcuno altro non si vide mai più.

(continua …… confidiamo in Stefano e in qualche altro mezzo di diffusione)

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bbiamo il piacere di comunicare di aver ultimato il “travaso” della nostra “Banca Dati” nel “WorldPedigrees”, formidabile strumento per ricerche genealogiche disponibile on-line gratuitamente. Tutto questo è stato possibile grazie ad una preziosa, interessantissima e quanto mai proficua collaborazione, iniziata ben tre anni fa con Mr.Gregory Gayhart, responsabile unico della sezione Siberian Husky. A Mr.Gregory sono stati forniti tutti i pedigree dei Siberian Husky nati o importati in Italia e registrati nei Libri Genealogici del nostro Paese (LOI ora ROI con la sigla TC0 e LO). Si tratta di quasi 60.000 soggetti che sono visionabili sul sito: http://www.worldpedigrees.com Si inizia con la prima registrazione del 1975 (Maja delle Tre Torri – nata il 21 dicembre 1974 TC000479) - fino ad arrivare ad Ayuka's Grace of God LO09/113739 nata il 28/12/2008 Per accedere al database di World Pedigrees, che al momento dispone di oltre 275.000 SH, occorre per prima cosa registrarsi gratuitamente (Register a free account) inserendo alcuni semplici dati personali, poi scegliere dal lungo elenco di razze canine, quella desiderata. A questo punto compare il pannello principale con già impostato il numero di 5 generazioni visualizzabili (si può comunque arrivare fino ad un massimo di 9). Prendete ora il pedigree del vostro cane e inserite nel riquadro “Search string” il suo nome

esatto (nel caso di nome molto frequente e comune, tipo ICE, ecc. meglio fare la ricerca per numero di registrazione). Premete quindi invio (o cliccate su “Search Now”) e vi apparirà velocemente il cane con i suoi dati principali e, subito sotto in piccolo, le varie possibilità; scegliete per iniziare quella denominata “Pedigree”. Si presenterà a tutto schermo, in modo chiaro, semplice e pulito, il pedigree a cinque generazioni nella forma da noi sempre chiamata “arricchito” cioè comprensivo, per ogni antenato, di data di nascita, numero di registrazione e colore del mantello, inoltre troverete evidenziati con vari colori gli antenati che si ripetono più volte. Un vero spettacolo….. Cliccate in alto a destra su “Vertical Pedigree” e avrete a disposizione tutti i fratelli e le sorelle di tutti gli antenati, incredibile!! “Divertitevi” a scoprire, risalendo di generazione in generazione fino ai capostipiti della razza (tutti i nomi sono linkati), se il vostro amato cagnolone è un discendente del “mitico” Togo o di Kreevanka o Tserko, gli ultimi due soggetti importati direttamente dalla Siberia nel 1930 da Olaf Swenson per conto di Leonhard Seppala. NON ESITATE A CONTATTARMI per qualunque chiarimento-necessità (anche solo per segnalare eventuali errori/omissioni)

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(Guido Barbieri)


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ESCLUSIVA per il Siberian Husky Club - Italia Intervista a Gregory Gayhart a cura di Claudio Di Petta Ci fa piacere che i nostri lettori abbiano alcune informazioni in più su Gregory Gayhart, che è l'ideatore ed il creatore del migliore e più grande in assoluto Database di Pedigree per i Siberian Husky. Potete ricercare qualsiasi cane semplicemente digitando il suo nome nella maschera di ricerca del Database, disponibile ai seguenti indirizzi: http://www.ishclub.org/pedigrees/index.php o http://worldpedigrees.com/

Soci, provate!!! Dove vivi? Vivo nello stato dell'Indiana del Sud (USA) in una piccola cittadina chiamata Henryville. Quanti anni hai? Ho 55 anni. Sono nato il 23 Novembre del 1953 a Massilon, nell'Ohio, ma ho vissuto gran parte della mia vita nell'Indiana del Sud. Puoi raccontarci qualcosa su di te e sulla tua famiglia? Sono un ufficiale in congedo (Chief Warrant Officer (W3)) della Marina degli Stati Uniti. Ho prestato servizio in una sezione distaccata del Naval Security Group Command per 21 anni, 7 mesi e 15 giorni. Ho preso il congedo nel Settembre del 1995 e sono ritornato negli Stati Uniti. Nella maggior parte del tempo in cui ho prestato servizio in Marina, sono stato in un distaccamento in Estremo Oriente. Possiedo la Associate's Degree (titolo che si ottiene dopo 2 anni di studio a livello universitario n.d.t.) in Scienze Informatiche conseguito al Ivy Tech State College. Mia moglie, Michelle, è nata il 26 Settembre del 1982. Ci siamo incontrati mentre stavo cercando di riparare la macchina di mia figlia e ci siamo innamorati a prima vista. Ci siamo sposati dopo appena una settimana che ci conoscevamo. Abbiamo un figlio, Trenten Joshua, che è nato il 23 Marzo

del 2001. Ho adottato Trenten dopo che io e Michelle ci siamo sposati. Trenten frequenta la terza elementare. Michelle ed io abbiamo anche una figlia, Phayth (si pronuncia come la parola “Faith”) Annette, che è nata il 1 Luglio del 2008. Michelle è casalinga ed è meravigliosamente brava nel prendersi cura della nostra casa. Sono parzialmente invalido a causa della Sindrome del Tunnel Carpale (bilaterale) e la maggior parte del tempo lo passo a casa a lavorare, quando sto bene, al Database dei Siberian Husky.

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Possiedi qualche cane? Si, ho un Siberian Husky, maschio, a cui devo prestare particolari attenzioni perché sfortunatamente è affetto da Cataratta Giovanile. Hai mai partecipato a qualche esposizione cinofila di bellezza con i tuoi cani? No. Quando sono ritornato negli USA, non ero fisicamente più in grado di presentare i miei cani. Comunque, partecipai a qualche esposizione in Giappone, quando ero in distaccamento ad Okinawa. Infatti la mia prima femmina di Siberian Husky, alla sua prima esposizione, vinse il Best Puppy ed anche il Best In Show ed in seguito collezionò diversi punti per il campionato giapponese. Quando ha cominciato a prendere forma l'idea di un Database di pedigree per i Siberian Husky? Se ricordo bene, era il Maggio del 1992. Per quale motivo ti è venuta in mente l'idea di questo Database? Acquistai la mia prima femmina di Siberian Husky quando ero in distaccamento ad Okinawa, Giappone. Acquistai anche il pedigree, a 7 generazioni, dal Kennel Club Giapponese e notai che vi erano diversi errori di ortografia. Poiché sono un perfezionista, cominciai a costruire il mio database personale. Quanti anni hai impiegato per elaborare il database che oggi possiamo ammirare e

consultare? Ho lavorato a questo database per circa 17 anni. Quando hai iniziato a collaborare con il International Siberian Husky Club? Beh...è circa due anni. Potresti dirci qualcosa sul ISHC? Lo scopo del ISHC è quello di promuovere la conoscenza della storia del Siberian Husky, del mondo delle corse, delle regole alle quali è opportuno attenersi prima di fare riprodurre i cani, e delle esposizioni di bellezza. Qual'è l'obiettivo che hai in mente di raggiungere con il tuo database? Vorrei che fosse uno strumento, disponibile a tutte le persone del mondo, per la ricerca dei pedigree dei Siberian Husky, in modo che le persone possano scoprire la storia di un particolare soggetto. Quali sono i tuoi progetti per il futuro con il tuo database? Spero di continuare ad aggiungere i pedigree dei Siberian Husky al mio database e continuerò ad esortare tutte le persone ad inviarmi i loro pedigree. Pensi di venire in Italia qualche volta? Mi piacerebbe tantissimo visitare l'Italia e vorrei venire a trovare i miei amici, Guido Barbieri e Claudio Di Petta. Mi piacerebbe molto vedere anche come sono i Siberian Husky in Italia. Se ci sarà una opportunità in futuro, verrò sicuramente.

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BENE, ABITUATELO A PENSARE CHE E’ “FORTE”! Che cosa mettiamo nell’ultimo numero del SHC-I News mi sono chiesta? Qualcosa che possa servire sempre e a tutti, qualcosa che sebbene sia stato giù trattato tempo fa con il titolo “Non è una gabbia, è una tana” evidentemente non è riuscito a vincere l’ ostilità di alcuni Soci. Dalle diverse richieste di aiuto che riceviamo quasi quotidianamente è chiaro che non tutti hanno compreso la sua utilità. Ci ha consolato vedere che anche negli USA, la patria dei cani che stanno tranquillamente in gabbia, qualcuno ha dei problemi a far accettare questa disciplina al proprio cane, ecco perché vi propongo la traduzione di un articolo apparso sull’ultimo numero della Kennel Gazette dal titolo: “Il vostro cane odia la gabbia? Bene, abituatelo a pensare che è “forte”! Non è insolito che un cane ansioso fugga dalla gabbia come se all’interno ci fosse uno fantasma minaccioso La gabbia è forse uno degli strumenti più utili mai inventati. In casa i cuccioli e i cuccioloni sono tenuti lontani dai possibili pericoli e danni mettendoli in gabbia; inoltre la gabbia aiuta moltissimo durante l’educazione delle “corrette abitudini eliminatorie” (leggi pipì e popò n.d.t.). Va da sé che la gabbia è utile per trasportare il cane in esposizione, soprattutto se avete più di un cane e dovete essere presenti in classi e/o ring diversi. Una volta in esposizione il cane si sente protetto in questo santuario canino. Tuttavia alcuni cani sviluppano un rifiuto ad essere messi in gabbia, alcuni addirittura la odiano. Con un’accorta educazione o rieducazione anche i cani più recalcitranti impareranno a non temere, anzi ad amare la gabbia. Il primo passo è stabilire la “distanza di reazione” del cane, il

punto nello spazio in cui il cane inizia ad avere un atteggiamento negativo verso la gabbia. Scegliete un bocconcino particolarmente appetibile, qualcosa molto più interessante del solito biscottino per cani, ad esempio un pezzo di wüsterl. Usate questa leccornia per attirare il cane verso la gabbia. Quando realizzerà che sta andando verso l’odiata prigione potrebbe fermarsi e tornare indietro. Segnate il punto in cui torna indietro sul pavimento, mentalmente o mettendoci un tappetino. Il passo successivo consisterà nell’iniziare a dare al cane il suo pasto esattamente al di qua del punto in cui ha iniziato a manifestare la reazione negativa. La prima volta che date da mangiare al cane in quella zona attiratelo verso la sua ciotola utilizzando quella speciale leccornia che poi lascerete cadere sul cibo. La volta successiva incoraggiatelo a seguirvi mentre portate là la sua ciotola. Se non vi segue, portate la ciotola e poi utilizzate di nuovo il bocconcino per attirarlo verso il suo cibo. Una volta che il cane sembra avere accettato la nuova postazione cibo e vi segue prontamente quando portate la ciotola, spostatela un poco più vicino alla gabbia. Per stabilire di quanto più vicino, lasciatevi guidare dal vostro cane. Se impiega diversi giorni prima di seguirvi volentieri verso il nuovo posto spostatela di poco. Se già al secondo giorno vi segue tranquillamente spostatela di una trentina di centimetri. Una volta che il cane ha imparato a mangiare attaccato alla gabbia senza nessun nervosismo apparente, siete pronti a spostare la sua ciotola dentro la gabbia. Mettetela dentro la gabbia davanti all’ ingresso e mettete il suo bocconcino speciale dentro la ciotola ma appoggiato al lato più interno rispetto alla gabbia, in modo

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che il cane sia costretto ad allungarsi un po’ dentro la gabbia per prenderlo. Una volta che il cane mangia tranquillamente dalla ciotola messa dentro la gabbia, spostatela gradualmente sempre più all’interno. E’ una buona cosa mettere ogni volta lo speciale bocconcino sul lato più lontano della ciotola rispetto all’ingresso per incoraggiarlo ad addentrarsi sempre di più ogni volta che mangia. Ogni bocconcino lasciato vi indicherà che il cane ha bisogno di restare un po’ più a lungo nella posizione attuale. Ogni pasto non mangiato vi dirà che il cane deve arretrare nel suo addestramento per riconquistare quella sicurezza che per qualche motivo ha perso. Quando la ciotola del cibo arriverà a toccare la parete opposta della gabbia potete passare alla fase successiva. Afferrate quel bocconcino speciale e gettatelo all’interno della gabbia dicendo “gabbia”. Se il cane decide di non andare a prendere il bocconcino, mettetene uno proprio appena dentro l’ingresso della gabbia. Lasciate che il cane si tranquillizzi e decida se entrare dentro la gabbia a comando. Non chiudete ancora la porta della gabbia. Questa manovra dovrà aspettare sino a quando il cane deciderà che gli piace entrare nella gabbia. Quando il cane entra nella gabbia su comando in modo rilassato cambiate il tipo di bocconcino. Usate qualcosa che richieda del tempo per essere mangiato. Io preferisco utilizzare un osso fresco di manzo con qualche pezzetto di carne ancora attaccato ad esso, ma un gioco tipo Kong (v. News precedente, n.d.t.) spalmato all’interno con burro di arachidi o formaggio fresco andrà ugualmente bene. Dategli il comando ‘gabbia’ e quando il cane è all’interno porgetegli il nuovo bocconcino. Adesso chiudete la porta. Restate vicino alla gabbia sino a quando il cane perde interesse nel bocconcino di nuovo tipo e fatelo uscire. Fate in modo che il cane non si scagli contro la porta della gabbia, E’ molto importante. State pronti ad aprire la porta, a prenderlo per il collare e a farlo uscire ad andatura tranquilla.

Non è raro per un cane molto ansioso ad essere messo in gabbia buttarsi fuori di corsa dalla gabbia come se dentro ci fosse un fantasma minaccioso. Prevenendo una sua uscita di corsa voi rassicurate il cane, gli fate capire che non sta fuggendo da una situazione pericolosa. Alcuni cani hanno un ricordo talmente negativo da una precedente esperienza di gabbia da perdere qualsiasi interesse nel bocconcino nel momento stesso in cui chiudete la porta. Parlategli con voce tranquilla per tranquillizzarlo, poi quando è calmo sempre con voce tranquilla ditegli “vieni adesso” prima di lasciarlo uscire. Assicuratevi che esca con calma a passo controllato anche se non è del tutto tranquillo. Se quando chiudete la porta della gabbia il cane reagisce male, tornate indietro di alcuni passi nel vostro programma di addestramento alla gabbia, spendete più tempo nelle prime fasi sino a quando il cane non ha riacquistato sicurezza. Quando il cane ha imparato a rosicchiare tranquillamente il suo premio, chiuso nella sua gabbia e ad uscire lentamente quando aprite la porta, potete iniziare a lasciarvelo un po’ anche dopo che ha finito il suo bocconcino. Preparatevi a dare da mangiare al cane nella sua gabbia per diversi mesi dopo che ha accettato di restarvi tranquillo, aumentando gradualmente il periodo in cui lo lasciate chiuso dentro. Un altro metodo per insegnare al cane ad amare la sua gabbia per periodi più lunghi è renderlo il luogo in cui lui preferisca stare. Per fare ciò limitate il suo spazio in un locale con un pavimento duro, ad esempio la cucina. Togliete la porta della gabbia in modo che il cane possa entrare e uscire a suo piacimento, poi mettevi dentro un materassino morbido, il più comodo possibile. Molti cani preferiranno restare in una comoda gabbia piuttosto che sul freddo pavimento o su un tappetino messo in altre parti della casa. Gli allevatori stessi possono aiutarvi ad abituare il cane a considerare la gabbia un vero e proprio luogo sacro, utile soprattutto per quei cuccioli che hanno grandi potenzialità espositive e che quindi dovranno viaggiare moltissi-

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mo. Iniziateli alla gabbia mettendo tutti i cuccioli della cucciolata in una grande gabbia; quando si saranno abituati e resteranno calmi dividete i cuccioli in due gabbie. Gradualmente diminuite il numero di cuccioli nella gabbia sino a quando non ne rimane uno solo, nella gabbia tutta sua. Se i cuccioli sporcano nella gabbia, mettete un materassino in una parte della gabbia e la lettiera nell’altra, in modo che i cuccioli abbiano un posto pulito dove stare. Quando sarà più grande potete passarlo in una cuccia più piccola che gli permetta solo di dormire.

tiva per i cuccioli abituandoli per gradi alla solitudine. Nel caso di un cane adulto rendetegli la gabbia il più confortevole possibile. Se avete un cane che ha già avuto un’esperienza negativa con la gabbia procedete alla sua rieducazione lentamente seguendo il ritmo di apprendimento del cane.

Il modo migliore per insegnare ad un cucciolo ad amare la sua gabbia è dargli un buon motivo per restarvi dentro. Rendete l’esperienza posi-

Kennel Gazette May 2009 (traduzione Adele Oldani)

Con un corretto addestramento renderete l’utilizzo della gabbia un’esperienza gradevole per qualsiasi cane. Peggy Swager

Nel 1982 sul “Siberian Quarterly” è apparso questo articolo

Tempo di cambiare il nome? Robert. D. Crane; Vienna, Virginia Traduzione: Claudio Di Petta Questa è un’epoca in cui si stanno riscoprendo valori e tradizione, è quindi giusto rispolverare la storia e le qualità uniche della razza canina ufficialmente riconosciuta come Siberian Husky. Questa estrema unicità suggerisce di cambiare il nome ufficiale omettendo il suffisso “Husky”. Le persone di una certa età ricorderanno che Lorna Demidoff ha combattuto, per circa mezzo secolo, per chiamare la nostra razza semplicemente “Siberian”. Solo tre anni fa la sig.ra Elizabeth Ricker Nansen, che aiutò ad introdurre la razza nei “Lower Forty Eight” nei lontani anni ‘20, lamentò, “Mi sono chiesta spesso se si potesse fare qualsiasi cosa per eliminare la parola Husky da questa razza”.

A grande approvazione, in una importante assemblea di allevatori, la sig.ra Nansen esclamò quasi disperata: “Spero solo che uno di questi giorni avremo dei semplici Siberians così come abbiamo gli Shipperkes e i Samoyedo e i Pastori Tedeschi. Perché non possiamo avere semplicemente dei Siberians? Perchè dobbiamo avere questo orrendo marchio Husky?” Prima che gli anziani escano di scena, è importante trasmettere la consapevolezza basandosi sulla ”origine”, solo l’Eskimo Groenlandese (ora ufficialmente riconosciuto come Cane Eskimo), l’Alaskan Malamute, o quello che è rimasto (se ancora c’è qualcosa) dell’originale, vero Cane Eskimo Americano, avrebbero il diritto di usare il termine Husky come nome.

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Queste tre razze si sono originate in gruppi distinti di Eskimo, sebbene tutte possano discendere da cani che vivevano in Groenlandia nell’anno 1000. La parola Husky è una distorsione della parola Esky, ed Esky è una distorsione, in uso nel 18° secolo, della parola Eskimo. I primi esploratori artici chiamavano Eskies sia gli Eskimo che i loro cani. È una sfortuna che l’uso scorretto del termine Husky in riferimento ai Siberian Husky abbia costretto, cinque anni fa, gli allevatori dell’autentico Husky in Gran Bretagna a cambiare il nome della loro razza in Cane Eskimo. Questo fece evitare confusione, ma ciò non riuscì a sradicare l’uso scorretto del termine husky in riferimento al Siberian, che ebbe origine tra le tribù Chukchi nella Siberia nord orientale. I Chukchi non sono certamente gli Eskimo ed infatti combatterono aspre battaglie contro di loro. Sarebbe quindi ironico chiamare l’unica razza canina che si è sviluppata tra i Chukchi con il nome dei loro acerrimi nemici. I primi Siberian importati, 70 anni fa, erano chiamati esclusivamente “Siberians”, spesso con il prefisso “piccoli”. In accordo con il principale storico dei primi 30 anni di storia della razza nel Nord America, John Tanner, la prima volta che venne utilizzato il termine Husky in riferimento alla razza, fu fatto dal New York Times, dopo che Leonhard Seppala aveva importato i suoi Siberians nel New England negli anni ’20. Questo appellativo dei media, che rafforzò la convinzione della ferocità della creatura artica, si diffuse rapidamente nonostante gli sforzi di allevatori seri contro tale calunnia. Il problema incontrato dall’Husky Club in Gran Bretagna quando il Siberian fu per la prima volta esportato in Inghilterra fu semplicemente il risultato del nostro fallimento negli Stati Uniti nell’affrontare la necessità di adottare formalmente un nome scientifico internazionale per la razza AKC, ora chiamata scorrettamente Siberian Husky. Problemi simili si stanno levando in Europa occidentale e ciò potrebbe diventare un pro-

blema serio se continuerà la tendenza verso la globalizzazione delle mostre canine. Ci dobbiamo congratulare con i britannici per il loro coraggio nel provare ad introdurre una terminologia scientifica per il Cane Eskimo, sebbene la difficoltà incontrata ad abituarsi al nuovo nome della razza. Ora è il momento per gli allevatori di Siberian negli Stati Uniti di essere coraggiosi. Pieni di speranza, possiamo superare la nostra visione ristretta della razza Siberian ed accettare una denominazione internazionale proposta per mantenere la sua unicità e purezza nel mondo. Il primo tentativo ufficiale per cancellare la parola Husky in riferimento al Siberian, lo pose al momento di origine del Siberian Husky Club of America nel 1938. Nel primo articolo all’interno del Newsletter dell’Ottobre 1978, intitolata “SHCA Celebra quaranta anni”, il Primo Vice Presidente dell’SHCA John Tanner scrisse: “Nel 1932, durante la cerimonia di ingresso di Oliver Shattuck e di altri amatori del Siberian Husky, fu fatto uno sforzo per sponsorizzare l’iniziale Siberian Husky Club nel New Hampshire. A causa della grande depressione degli anni ’30, parecchi di questi primi amatori furono costretti a ridurre di molto la loro attività di allevamento e il Siberian Husky Club si rivelò un’avventura di breve durata… Nel 1937, quando l’interesse per la razza crebbe di nuovo, fu fatto un nuovo sforzo per riunire insieme gli amanti del Siberian Husky al fine di costituire un club dedicato a promuovere la razza… Fu stabilito che si sarebbe formata un’organizzazione atta alla prosecuzione del Siberian Husky… Furono scelti una serie di standards con lo scopo di redigerne uno completo da sottoporre all’American Kennel Club. Tra i vari problemi ci fu anche quello di scegliere il nome appropriato per l’ organizzazione; ci fu una vivace discussione in quanto molti ritenevano che “Siberian Chukchi Club” sarebbe stato più appropriato. La decisione presa però confermò il nome precedente “The Siberian Husky Club”.

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Uno dei concetti che ha maggiormente causato danni alla storia del Siberian può essere individuato nell’asserzione che “l’origine del nome è irrilevante”. Due parole in proposito potrebbero essere molto utili per evitare problemi in futuro. Più di venti anni fa, un accordo tra un facoltoso sostenitore di un Siberian senza standard e qualche esperto di gare con la slitta dette vita ad un movimento che inizialmente portava il nome di Leonhard Seppala ma che successivamente, dopo il suo abbandono, fu denominato “International Siberian Husky Club”. Una prima disputa tra alcune di queste persone fu che loro si sentivano in diritto di far diventare il Siberian, un qualsiasi altro tipo di cane volessero, anche uno che sembrava un Greyhound, gigante o piccolo, perché in Siberia non c’era una razza distinta di Siberian. Molti asserivano che il Siberian doveva essere chiamato Husky precisamente perché, come tutti gli huskies, termine comunemente utilizzato al tempo negli Stati Uniti, era una razza mista. Questo approccio, certamente, avrebbe dato la possibilità a questi singolari allevatori di Siberian di distruggere l’unica ed antica razza canina conosciuta oggi come AKC Siberian Husky. È fuori dubbio la sincerità di questi sostenitori dell’ “Husky”, in modo particolare nel cercare di preservare l’ “attitudine” o la combinazione di resistenza e amore per le corse da parte del Siberian. Quello che invece è oggetto di dibattito è la loro “storia” inventata. Per dire le cose come stanno, sentiamo il bisogno di rimandare i lettori al libro di Lorna Demidoff “The Complete Siberian Husky”, in modo particolare alla sezione intitolata “The Chukchi Sled Dog”, pagg.40-43, e “Climatic Influence”, pagg.43-47.

del Siberian Husky dei nostri giorni, ciononostante ci sono dati sufficienti per ritenere più che probabile che questa razza discenda dai cani da slitta degli antichi Chukchi… L’atto di nascita dell’attuale cane da slitta Chukchi può essere individuato intorno ai 3000 anni fa, nelle terribili condizioni climatiche e di caccia dove i Chukchi avevano sempre vissuto… Dire che, a questo proposito, essi svilupparono consapevolmente una razza pura, nel senso moderno della parola, è certamente ridicolo. Comunque, senza dubbio le condizioni particolarmente severe hanno accelerato il processo di selezione naturale e hanno fatto si che la razza si evolvesse verso la sua massima perfezione…. E, come altre forme di adattamento al delicato equilibrio della vita Artica, il cane dei Chukchi rimase sostanzialmente inalterato per migliaia di anni fino a quando, meno di cento anni fa, vennero importati in America alcuni discendenti degli ultimi cani Chukchi”. Rendiamoci conto di quale meraviglia della natura siano gli animali che preserviamo e aiutiamo a proteggere le loro particolari caratteristiche utilizzando nomi per la razza che ne identifichino l’origine e le peculiarità. Solo sei razze al mondo, ancora esistenti, si sono evolute naturalmente, come risultato dell’adattamento ecologico. Tutte le altre sono state artificialmente forgiate dagli allevatori moderni. Le razze attuali potrebbero essere meglio adattate al mondo moderno, ma francamente questo fatto è una ragione sufficiente per voler preservare il Siberian Chukchi Sled Dog (conosciuto con il suo nome più corto, Siberian), il cane Eskimo, l’Alaskan Malamute e il Samoyedo.

In particolare, un passaggio tratto proprio da quest’ultima sezione recita: “A prescindere dalle varie barriere che oscurano la genealogia

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Forse il popolo Chukchi e i loro cani sono un anacronismo, ma chi può negare che le loro “caratteristiche e valori primitivi” contengano un tocco di eternità.


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LUCKY, alle 10,45 del 25.7.2009 hai lasciato da soli Vito ed Etta e sei volato dal tuo figlio Yuk, scomparso appena 5 mesi fa! Erano diventati troppo pesanti i tuoi 14 anni senza di lui, che adoravi e così nel battere di un ciglio ti sei lasciato andare; sei stato il mio migliore amico e da te ho imparato tante cose, soprattutto la dignità e la gioia di vivere che ti fa sentire padrone del mondo; tra noi poche parole ma tanti sguardi con cui ci dicevamo tutto e ci facevamo forza nei momenti in cui ci prendeva quello sgomento che, nella vita non risparmia nessuno, quanta paura avevi dei temporali! Ora che il Ponte dell’arcobaleno è alle tue spalle sono certo che le tue zampe sono tornate vigorose ed instancabili come un tempo e che stai correndo insieme a Yuk e a tanti nuovi amici. Lucky, l’inverno si avvicina e lassù dove sei ogni fiocco di neve sarà di nuovo tuo e la fredda brina e l’aria gelida torneranno ad eccitare il tuo istinto di Husky come sempre; io non so quanti inverni ancora ci separeranno ma ti prego non dimenticarmi e cercami sempre all’orizzonte perchè, te lo prometto, un giorno mi vedrai apparire e prima o poi rivedrai anche Etta ed Ice, l’huskyna a cui tu e Yuk mancate tanto. Saremo ancora un bel branco e saranno ancora coccole e corse noi tutti insieme come nei giorni più belli che tu e il tuo cucciolone ci avete saputo donare in questi fantastici anni. Grazie per avermi voluto bene. Il tuo amico Vito

ICE ( 19/04/1994-05/10/2009). Faccio fatica a trovare le parole, lui mi manca così tanto... era un cane speciale con un carattere fortissimo, un vero leader dal quale ho imparato tantissimo ed a lui vorrei dedicare un bel pezzo trovato sulla rete. Mara “Amico mio, la mia eredità non è fatta di beni materiali, ma resteranno tuoi per sempre l'allegria, la gioia di vivere, il rispetto che spero di averti insegnato in tanti anni di vita in comune. Se sono riuscito a spiegarti cos'è l'amore di un cane e tu sarai capace di regalare un amore che gli assomigli anche solo un pò - a qualsiasi essere vivente, uomo o animale che sia - spero di averti lasciato un bene inestimabile e scodinzolerò felice tra le nuvole... Una raccomandazione: non provare a dimenticarmi, non ci riusciresti... e non dire: "Basta animali, ho sofferto troppo"; se lo dicessi, vorrebbe dire che non ti ho lasciato nulla. Se ti ho insegnato l'amore dimostramelo, offrendolo ad un altro animale: ti darà anche lui tenerezza, allegria ed ancora amore. E alla fine ti lascerà un testamento come questo. Così senza accorgertene, continuerai ad imparare e crescere, ed un giorno ci ritroveremo tutti insieme in un unico paradiso, perchè non c'è un Paradiso per gli uomini ed un Paradiso per gli animali, ce n'è uno solo per tutti quelli che hanno imparato ad amare".

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LUPI NEL CUORE di Cristina Pezzica Sindaco e “Focal Point” di Liguria, Piemonte e Val d’Aosta

Premessa dell’autrice Eccomi di nuovo qui, cari Soci, con un altro dei miei racconti a tema husky! Ormai avrete capito che io non scrivo solo per il gusto di farlo. No, io uso il racconto come uno strumento per trasmettere dei messaggi, e anche per lasciare qualcosa al lettore, per farlo riflettere. Le mie prime due “fatiche”, “Bailey e il dono del cuore” e “Capodanno… tutto l’anno” (entrambe pubblicate sul SHC-I News) erano storie smaccatamente contro l’abbandono dei cani, una realtà contro cui combatto da tempo usando le armi della parola scritta. “Lupi nel cuore” è la continuazione ideale di “Capodanno… tutto l’anno” – di cui riprende i personaggi e gli eventi – ma si discosta dall’argomento abbandono per concentrarsi sui concetti di vita, morte e rinascita. Una storia fortemente introspettiva quindi, soprattutto nella prima parte, tutta basata sui sentimenti del protagonista. In effetti, è quasi un monologo di Esky, il suo volerci raccontare la “fine” della sua storia che avevamo solo fugacemente intravisto in “Capodanno… tutto l’anno”. E’ un racconto intimista, che mi è venuto di getto (e infatti, escluso il finale, l’ho scritto febbrilmente in due giorni) ma che rispecchia abbastanza fedelmente quello che volevo trasmettere. L’idea di elaborare una “conclusione” a sé stante per “Capodanno… tutto l’anno” era nell’aria già da un pezzo e ora me ne è stata data l’opportunità. Spero che il racconto vi piaccia e vi coinvolga tanto quanto ha coinvolto me nel processo di stesura.

Intanto vi anticipo che “Lupi nel cuore”, insieme a “Capodanno… tutto l’anno” ed a un ideale terzo episodio nella trilogia di Esky & Company, sarà incluso in un omonimo volume di racconti di prossima pubblicazione a cui sto lavorando alacremente già da un po’. Il libro comprende anche il già citato “Bailey e il dono del cuore” e diverse altre storie, finora inedite; inutile dire che Siberian Husky e lupi faranno da “filo conduttore”, protagonisti e insieme elementi narrativi, fulcro di intrecci e situazioni che ho fatto muovere intorno a loro. La mia speranza è di scrivere qualcosa che possa intrigare tutti gli appassionati della nostra razza e del progenitore selvatico dei nostri Siberiani; parte del ricavato delle vendite sarà inoltre devoluto alla causa degli husky in canile. Magari, se la cosa vi interessa, su un prossimo numero del giornalino avrò modo - in concomitanza con l’uscita del libro - di parlarvi più diffusamente di queste storie, e di come scriverle sia stata non soltanto un’esperienza gratificante, ma anche un prezioso spunto di riflessione interiore. I personaggi (che scherzosamente ho ribattezzato “i miei cuccioli”), per quanto in gran parte immaginari, mi hanno rubato il cuore e sono certa faranno altrettanto con voi, quando avrete occasione di conoscerli. Basta così per ora, vi lascio al racconto aggiungendo però un’importante dedica; in memoria di Daisy e Bambi, quelle vere, e di tutti gli Esky di questo mondo. Questa storia è il mio modo di augurarvi un po’di pace. E tanta felicità. Genova, 10/10/2009

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LUPI NEL CUORE di Cristina Pezzica

I

mmaginate una giornata d’inverno, uguale a tutte le altre giornate d’inverno che l’hanno preceduta e a quelle ancora di là da venire. Come in ogni giornata d’inverno che si rispetti, farà freddo. Il vento si leverà presto portando con sé le memorie di realtà lontane, di lande innevate dove ancora si combatte per la sopravvivenza, ogni giorno, tutti i giorni. Forse, se durante la notte ha gelato, ci sarà persino una spruzzata di neve, non troppa magari, ma sufficiente a imbiancare le strade. Ci saranno le case addobbate a festa – a ricordare a tutti che il Natale è alle porte e l’anno giunge al termine - e le persone, intabarrate in giacconi pesanti, sciarpe e soprabiti, cammineranno per le strade con il fiato che si condensa in nuvole di vapore. Mille luci colorate risplenderanno dietro le finestre in una danza festaiola, illuminando ora un abete riccamente decorato, ora i festoni d’oro e d’argento, ora le ghirlande e i fiocchi rossi e verdi. E in un giardino, sdraiato in mezzo alla neve, ci sarà un siberian husky di circa otto anni, con il pelo grigio e bianco e gli occhi azzurro cielo. Negli occhi avrà l’espressione un po’ malinconica di chi contempla la giovinezza perduta, e al collo una targhetta d’ottone su cui è stato inciso in una bella calligrafia allungata il suo nome - Esky. **************** Esky appoggiò il muso sulle zampe mentre il suo sguardo vagava intorno a sé. Ne aveva visti di inverni, come questo e anche più belli. Quelli con la neve, rifletté, erano i migliori. Un inverno senza la neve era come una notte senza la luna. In passato Esky aspettava l’inverno per andare a fare sleddog con il suo adorato padroncino

Marco, quindici anni, capelli biondi, lentiggini e occhi azzurrissimi. Avevano una slitta tutta loro, un regalo della madre del ragazzino, e quando sfrecciavano sulla neve entrambi si sentivano al settimo cielo. Lo facevano per gioco, beninteso; a volte Marco parlava in toni appassionati del suo sogno di diventare un giorno un grande musher, ed Esky si chiedeva come sarebbe stato partecipare a una vera gara. Ma si trattava di sogni, appunto. Forse in futuro sarebbero potuti diventare qualcosa di più o forse no; comunque non aveva importanza. Nulla aveva più importanza in quei momenti spensierati quando erano soltanto lui, Marco, la slitta e la neve intorno a loro. A volte gli sembrava addirittura che le loro anime in quei momenti fossero una cosa sola, una sola entità scodinzolante e sorridente. Erano i momenti in cui Marco ed Esky potevano estraniarsi dal mondo ed essere solamente l’uno per l’altro; padrone e siberian husky, un connubio unico e differente da tutti gli altri. Ma quell’inverno sarebbe stato diverso, pensò con una punta di tristezza. Ormai Esky cominciava a sentire il peso degli anni sulle spalle. Certo, lui si sentiva ancora vivace e pieno di gioia di vivere. Il suo corpo, invece, era un altro paio di maniche. Mentre prima aveva trascorso ore e ore sulla neve insieme a Marco, adesso si stancava più facilmente, anche se spesso si era sforzato di non darlo a vedere. I riflessi non erano più quelli di un tempo… e purtroppo nemmeno le ossa, si disse facendo una smorfia. Gli acciacchi cominciavano a farsi sentire. Tanto valeva rassegnarsi, perché il passato non si poteva riavere indietro… si poteva solo guardare avanti. Al futuro. Quell’inverno Esky sarebbe, sì, andato in slitta (non era ancora così decrepito da passare il giorno davanti al camino… eh no!), ma con

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più moderazione dell’anno prima, e di quello prima ancora. I sentieri più impervi e avventurosi, le corse più sfrenate, le avrebbe lasciate ai giovani, e per l’esattezza ai suoi figli Freccia e Scheggia, che in quel momento stavano facendo colazione e che insieme alla madre di Marco rappresentavano il resto del branco. Del suo branco. Loro avrebbero guidato la slitta e deciso dove andare. Lui – e Marco, ovviamente – li avrebbero seguiti di buon accordo. E la sera loro sarebbero rimasti svegli a parlare in tono entusiastico di dove erano stati e cosa avevano visto, mentre lui si sarebbe assopito lentamente, fingendo di ascoltare ma in realtà sonnecchiando.

e Bambi, invece, gli avevano restituito ben più che il sorriso; gli avevano restituito la fiducia in sé stesso e nel domani. E adesso che era vecchio sentiva una gran nostalgia delle ore trascorse a parlare nel buio del canile. Gli mancava Daisy, composta e tranquilla nonostante il male che l’affliggeva, ma ancora di più gli mancava Bambi. Lei, con la sua forza di volontà, con il suo carattere schietto e sincero, con la durezza che le veniva da una vita non facile, aveva tuttavia insegnato ad Esky a guardare in alto quando tutto il suo mondo sembrava precipitare in un abisso di disperazione. Gli aveva insegnato a sopravvivere com’era sopravvissuta lei.

Lasciò che l’ondata dei ricordi lo avvolgesse per qualche istante. Adesso che non era più tanto giovane, Esky si sorprendeva spesso a indugiare con la memoria ai fatti del passato. A volte era un evento specifico a catturare la sua attenzione – come quando ripensava a Gianni, il primo padrone mai dimenticato – mentre altre volte galleggiava pigramente in un fiume di suoni e immagini, ognuno collegato a un ricordo, a un momento particolare della sua vita. E a volte sognava addirittura il passato, com’era stato e come avrebbe potuto essere. Preferiva la prima versione perché in un certo senso gli consentiva di riviverlo, sia pure in sogno. Sognava spesso il canile, l’anno orribile trascorso lì dentro, le sue sofferenze. E anche il barlume di speranza che si era faticosamente riacceso nel suo cuore dopo che aveva conosciuto le sue due vicine di gabbia, Bambi e Daisy, anche loro husky con una storia dolorosa alle spalle. Esky si chiedeva spesso cosa ne fosse stato di loro. Erano ancora vive? Erano riuscite a rimanere insieme fino alla fine, com’era sempre stato loro desiderio? Chissà.

La notte scorsa l’aveva sognata. Erano di nuovo nel canile, e attraverso le sbarre della gabbia Bambi aveva proteso il muso verso di lui, sfiorandolo con inaspettata gentilezza. « Non essere così negativo, amico » gli aveva detto. « Non va bene fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Se ti va male… puoi sempre tornare qui. Tanto lo sai dove trovarci, no? » « Io in canile non ci torno neanche morto. Piuttosto me ne vado con i lupi! » aveva ribattuto lui. « E allora vorrà dire che non ci rincontreremo più… o forse un giorno le nostre strade torneranno a incrociarsi comunque, lupi o non lupi. Sai, Esky, mi sarebbe piaciuto conoscerti prima, quando eri ancora libero dai tuoi fantasmi. Avresti potuto insegnarci molto. » « No, sei tu che mi hai insegnato tanto. Questo posto… mi sembrava una prigione, prima. » « Forse abbiamo imparato qualcosa entrambi. Ma, Esky, qualunque cosa accada… ovunque dovessimo rincontrarci… sappi che fra noi sarai sempre il benvenuto. » E poi l’aveva guardato con un’espressione dura, trionfante, di gioia selvaggia, come se la liberazione di Esky fosse stata un trionfo personale per lei. I suoi occhi forti e scuri avevano incontrato quelli feriti, ma speranzosi di Esky. Campassi cent’anni, pensò, non potrei mai dimenticare quel suo sguardo.

La verità era che gli mancavano più di quanto non fosse disposto ad ammettere. Forse perché gli erano state vicino in uno dei momenti più bui della sua esistenza, quando Esky aveva perduto la speranza e la voglia di lottare. Daisy

All’improvviso il vento cambiò direzione, sof-

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fiando forte, e quando la brezza lo investì Esky si accorse che c’era qualcosa di strano. Aveva fiutato un odore che non avrebbe dovuto esserci. Si voltò di scatto e quello che vide lo fece balzare in piedi, con un ringhio sbigottito. In piedi alle sue spalle c’era un altro husky. Doveva essersi avvicinato di soppiatto mentre lui era assorto nei suoi pensieri, perché non l’aveva sentito arrivare. E probabilmente si era avvicinato sottovento, perché altrimenti il suo odore avrebbe rivelato ad Esky di non essere più solo. Stava ritto al centro del giardino, con le zampe sprofondate nella neve e la coda a falce portata alta sopra la schiena, e lo fissava. Quando i suoi occhi incontrarono quelli dell’altro husky, Esky sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Rimasero in silenzio per qualche istante, poi lo sconosciuto – che in realtà era una femmina dalla pelliccia nera e bianca – parlò, e la sua voce assomigliava al fruscio delle foglie in inverno. « Esky » disse. Il tempo sembrò fermarsi tutto intorno a loro. Lentamente, Esky si alzò in piedi, senza fiato per la sorpresa. Non poteva essere vero… doveva per forza trattarsi di un sogno. Un sorriso leggero increspava le labbra della femmina. La coda a falce sventolò a destra e a sinistra, amichevolmente. Poi Bambi inclinò la testa di lato, con gli occhi che traboccavano d’affetto. « E così, alla fine sei diventato vecchio anche tu. » **************** Parlarono a lungo, rievocando i vecchi tempi. All’inizio Esky era troppo stordito per fare domande, e l’aveva ascoltata senza fiatare mentre lei gli raccontava delle sue peripezie. Non riusciva ancora a credere che Bambi fosse davvero apparsa lì di fronte a lui, proprio come nel suo sogno. Apprese che lei e Daisy non avevano più conosciuto l’affetto di un padrone da quando Esky se n’era andato. Però erano rimaste insieme

come sempre, almeno finché Daisy non era morta (Esky trasalì a queste parole), lasciando Bambi in preda allo sconforto. Per molti giorni e molte notti si era aggirata nella gabbia inquieta, chiedendosi che senso avesse continuare a vivere senza la sua migliore amica. A cosa serviva la vita se non poteva condividerla con Daisy? « E’ stato allora che mi sei tornato in mente tu» spiegò con un sorriso mesto, appoggiando il muso sulle zampe. Un husky ha bisogno di un branco, e Bambi aveva sentito il desiderio impellente di rivedere Esky. «Ma non sapevo dove cercarti. Non ne avevo la più pallida idea. Quando però ho saputo che ti eri trasferito, ho deciso di non darmi per vinta.» Lo aveva cercato per mari e per monti, viaggiando di notte e nascondendosi di giorno. Aveva pensato a lui continuamente e si era spesso chiesta come se la passasse. «Anch’io ti ho pensato tanto» confessò Esky, scodinzolando debolmente. Lei sorrise, appoggiò il muso sulle sue zampe e proseguì con la sua storia. Gli disse di come si era difesa da un branco di randagi inferociti, di come aveva imparato a nutrirsi di quello che trovava e a evitare le macchine che percorrevano l’autostrada. Gli raccontò di quando, in una giornata estiva, su un pendio in aperta campagna aveva sollevato lo sguardo e visto un lupo che la fissava. Si era sentita ribollire il sangue e quando il lupo si era girato per andarsene, parte di lei avrebbe voluto seguirlo. Ma poi alla sua immagine si era sovrapposta quella di Esky e la curiosità aveva avuto la meglio. Gli parlò anche dei cani con cui lei e Daisy erano riuscite a stringere amicizia, quando la sua amica era ancora viva. Perlopiù altri husky, visto che istintivamente le due femmine avevano cercato la compagnia della loro stessa razza. Esky apprese così che Bambi aveva avuto una storia con un siberian husky di nome Dustin, dagli occhi azzurri e la pelliccia color cioccolato. Una storia importante, perché lei parlandone si rabbuiò in volto. Gli disse di non essersi

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mai fatta delle illusioni sul suo conto; Dustin proveniva da un grande allevamento e poteva vantare un pedigree stratosferico, aveva partecipato ad alcune esposizioni e non si era nemmeno classificato male. Lei invece doveva tornare ogni giorno nella sua cella del canile, con Daisy, e riusciva a scambiare una parola con lui solo quando si incrociavano al parco pubblico. Eppure, anche se appartenevano a mondi tanto diversi, Bambi si era ritrovata ad aspettare con ansia quei brevi istanti in cui potevano stare insieme. « E lui ti ricambiava? » le chiese Esky, incuriosito. Lei teneva lo sguardo fisso nel vuoto e per qualche istante non gli rispose; Esky non era nemmeno certo che l’avesse sentito. Poi, però, Bambi disse con voce sommessa: «In un certo senso sì. Era strano per tutti e due… sapevamo che fra noi non avrebbero mai potuto esserci dei cuccioli, eppure sognavamo di correre liberi insieme, come due lupi, senza più alcun vincolo. E quei sogni… non so come spiegartelo… ci bastavano, anche se potevamo vederci per così poco, anche se a volte non ci vedevamo per niente. Però… » scrollò le spalle « … era bello sapere che condividevamo almeno i sogni. Mi faceva sentire come se… fossi stata anch’io parte di una famiglia. Con lui.» Sì, era stato bello, forse una delle poche cose belle che Bambi riusciva a ricordare della sua vita. Poi, dopo neanche un anno, lui era rimasto ucciso in un tragico incidente e da allora nulla era più stato lo stesso. « Mi dispiace » mormorò Esky, sgomento. Lei non gli rispose, si limitò a scrollare la testa, però senza guardarlo; ed Esky ebbe l’impressione che stesse piangendo in silenzio e non volesse farsi vedere. Dopo alcuni minuti che parvero anni, Bambi finalmente domandò con voce leggermente appannata: « E tu? Ti ho parlato soltanto di me, finora. Tu che cos’hai fatto?» Esky rimase un attimo interdetto. C’erano così tante cose che avrebbe voluto raccontarle; non sapeva nemmeno lui da dove cominciare. Le parlò di Marco, di Anna e di com’era stato speciale tornare a vivere con una famiglia, do-

po gli orrori del canile. Le raccontò della sua unica avventura amorosa con una femmina che abitava nella sua vecchia città; insieme avevano avuto sette cuccioli, ormai cresciuti, e Marco ne aveva voluti tenere due con sé. Più tardi, quando la famiglia aveva traslocato, Esky e la sua compagna si erano persi di vista. Parlò con orgoglio a Bambi dei suoi figli, Freccia e Scheggia, delle loro scorribande, dei mille dispetti affettuosi che giocavano ad Anna. Ma soprattutto le parlò delle sue lunghe passeggiate solitarie con Marco, delle sfrenate corse in slitta, e di come in quei momenti non esisteva più nient’altro che non fosse essere insieme. «Avevi ragione tu, sai» continuò, scodinzolando. « Nel canile, quando mi hai detto di fidarmi di Marco. Io pensavo che la vita fosse finita… e invece guarda cosa mi perdevo.» Bambi aveva inclinato la testa da un lato e lo osservava con un buffo sorriso dipinto sul muso. Sembrava divertita e insieme orgogliosa. «Sapevo che ce l’avresti fatta» mormorò. «L’ho sempre saputo. Per questo non volevo che gettassi la spugna.» all’improvviso abbassò il muso, come imbarazzata. « E’ per questo che… volevo vederti almeno un’ultima volta.» « Un’ultima volta? » Esky trasalì. « Bambi, cosa stai…? » «Guardami, Esky » gli disse lei con serietà. Esky fece come gli aveva detto; vide una siberian husky fiera, temeraria, che della vita aveva conosciuto solo i lati peggiori e che malgrado tutto aveva sempre trovato la forza di combattere, per sé stessa e per chi le stava attorno. Anche adesso, con il muso segnato dall’età e il pelo brizzolato, la trovò bellissima. «Io ormai sono vecchia. Molto più di te. » « Bambi… » « Ho tredici anni » proseguì Bambi, come se non l’avesse nemmeno sentito. «Le mie battaglie le ho fatte e ne sono uscita a testa alta, ma adesso sono soltanto stanca. Non so quanto tempo mi resti ancora da vivere, e francamente non me ne importa. Voglio aspettare la morte con calma, senza rimpianti. Forse non ho potuto avere tutto quello che sognavo, forse la mia non è stata una gran vita… ma che importanza

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ha? Però quest’ultima soddisfazione ci tenevo a togliermela. Ritrovarti, sapere che a te è andata meglio, e… » la voce tremò impercettibilmente « … dirti addio.» Esky si sollevò in piedi di scatto, il cuore che gli batteva furiosamente. «No!» ringhiò, scuotendo la testa. «Bambi… no!» «Cosa vorresti, che vivessi per sempre? » lei gli rivolse un sorriso ironico. «Un po’ improbabile come idea, non ti pare?» «Non era quello che intendevo. Soltanto… » Esky si parò di fronte a lei, guardò fisso in quegli occhi scuri che tanto gli erano mancati, e proruppe: «Hai detto che avresti aspettato il tuo momento con calma. Allora aspettalo insieme a me.» Bambi rimase un attimo perplessa. «Stai scherzando?» « No, non scherzo. Senti… in tutti questi anni non ho smesso un attimo di pensarti. Mi… mancavi da morire, ecco la verità. Da quando Marco mi ha adottato ho avuto tutto ciò che potevo desiderare, eppure… eppure tu e Daisy eravate sempre nei miei pensieri. Ti ho sognata tante volte, non so cos’avrei dato per sapere dov’eri, cosa facevi. E oggi… » scrollò il muso, ancora incredulo. «Oggi, quando mi sei comparsa davanti… mi sono sentito così… » «Anche a me ha fatto piacere vederti… ma, Esky… » « No, ascoltami! E’ stato come se avessi ritrovato una parte di me che avevo smarrito. E se adesso te ne vai… Ti prego, Bambi. Non lasciarmi.» A disagio, Bambi spostò il peso del corpo da una zampa all’altra. « Vorrei tanto che rimanessi con me » insistette Esky. « Anche a me piacerebbe, ma… Esky, non pensi a Marco ed Anna? Forse loro non mi vorranno » si sforzò di sorridere. «Non sarebbe neanche la prima volta… no? » «Bambi, ma cosa stai dicendo? » esclamò Esky, incredulo. « Non hai capito che persone meravigliose sono? Mi hai detto che ti fidavi di loro… » «Sì, ma è stato tanto tempo fa.» «Marco non è cambiato, Bambi. E’ il bambino

che ha proteso le braccia verso di me in quel buio canile e ha cercato di abbracciarmi, anche se io avevo paura. E Anna… nemmeno lei è cambiata. Ti ricordi quando portava fuori te e Daisy? » « Lo so, ma… Esky, ho tredici anni! » « E io ne ho otto! Che differenza fa, Bambi? Che importanza ha? Tu sei… » si interruppe, senza fiato, stordito dagli stessi sentimenti che si agitavano nel suo cuore di siberian husky. «Sei bellissima… non lasciarmi solo, ti prego… » Stavolta Bambi non aveva distolto lo sguardo. Le lacrime le rigavano le guance, ma lei non sembrava nemmeno accorgersene, e quando parlò, la sua voce era ferma - seppur venata di amarezza. « Succederà lo stesso, Esky, che tu lo voglia o no. » « E allora, se deve succedere, che succeda in una casa, con una famiglia che ti ama! Hai diritto anche tu a un po’ di felicità! » « Una famiglia » Bambi trasalì. « Ho sempre sognato… Ma Esky, ne ho girate così tante… non credevo che avrei mai… » « Ricorda cosa mi hai detto nel canile, Bambi. Ti prego, fallo per me » ripeté Esky, guardandola significativamente. «Ma… » lei scrollò ancora la testa, confusa. «Alla mia età… non è tardi per mettersi a inseguire un sogno?» «Non è mai troppo tardi per imparare ad amare» le rispose Esky. Rimasero immobili uno di fronte all’altra per quella che pareva un’eternità. Il vento aveva ripreso a soffiare con rinnovato vigore, scuotendo le loro pellicce folte. Alla fine, Esky mormorò: « Questo potrebbe essere il tuo ultimo Natale, Bambi. Voglio che tu lo trascorra con la mia… con la nostra famiglia. Tu avresti fatto lo stesso per Daisy, no? » Quando vide un’espressione di tenerezza e gratitudine negli occhi di Bambi, capì di aver usato le parole giuste. «Vieni con me » disse, sfiorandole il muso e scodinzolando piano. «Ti presento ai miei figli.»

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**************** Tre mesi dopo In una tranquilla sera di fine Marzo, Esky e Bambi erano sdraiati nello stesso giardino dove si erano rivisti per la prima volta dopo molti anni. Parlavano sottovoce, teneramente; lei aveva appoggiato la testa alla spalla del suo compagno. «Che giornata, eh?» mormorò Esky. Dall’interno della casa proveniva ancora la voce entusiasta di Marco e quella di Anna, che cercava di calmarlo. Esky pensò che il suo amato padrone aveva tutte le ragioni di essere allegro. Nel pomeriggio, per l’esattezza alle tre e venti, era arrivata per telefono la notizia che Jasmine – la compagna di Freccia – aveva dato alla luce tre cuccioli, un maschio e due femmine. Il più felice di tutti naturalmente era stato il novello padre, che nell’euforia generale per poco non aveva travolto un tavolino. E adesso i due fratelli stavano bisticciando scherzosamente perché, secondo Scheggia, i cuccioli erano il ritratto sputato dello zio, mentre Freccia sostenevano che assomigliassero tutti a lui. « Ma ci pensi, Esky? » domandò Bambi. «Nonni! E io che non ho mai nemmeno avuto dei cuccioli miei! Non riesco ancora a crederci! » rise e si strinse a lui. « Lo so… non è fantastico? » Lei annuì, soprappensiero, poi si staccò dal suo abbraccio e lo fissò. Il suo sorriso sembrava risplendere nel buio e i suoi occhi erano così sfavillanti da assomigliare a due astri che qualcuno, per gioco, avesse strappato dal firmamento. «Potrò mai sdebitarmi con te?» «Sdebitarti? Ma che dici, tu non mi devi nulla!» «Invece sì» mormorò lei. «Con il tuo altruismo, con il tuo affetto, mi hai mostrato qualcosa per cui valeva la pena combattere anche se io non ne avevo più voglia. Qualcosa che non speravo più di conoscere, che avevo rinunciato a cercare… l’amore.» «Tu hai fatto lo stesso per me» obiettò Esky

umilmente. «Vero, ma non l’ho fatto perché mi aspettavo qualcosa in cambio.» rispose Bambi, e poi, di getto, aggiunse: «Sono così felice, Esky.» « Lo sono anch’io. Ti amo così tanto, Bambi» «Dimmelo di nuovo.» «Ti amo.» All’improvviso dalla casa si levò alta e chiara la voce di Anna, in un tono che non ammetteva repliche. «Adesso piantatela, voi tre scatenati! Sì, non guardarmi così, Marco, sto parlando anche con te! E’ tardi, domani tu devi essere a scuola! E non voglio nemmeno che questi due» ovviamente dovevano essere Freccia e Scheggia «mi finiscano di distruggere la casa! A letto, tutti quanti!» «Ma uffa, mamma…» Marco, ovviamente. «E dài, Anna… non fare la guastafeste…» aggiunse Scheggia, anche se la donna non poteva capire i suoi latrati. «Dopotutto stiamo festeggiando i miei figli…» aggiunse Freccia. «Che però assomigliano di più allo zio…» «Chiudi il becco, fratellastro…» «Ragazzi!» stavolta a parlare era di nuovo Anna. «Cosa vi ho detto! Conto fino a uno » «Ma…» «Uno!» «Ma…» tre voci in coro, una umana e due canine. «Niente ma! A dormire tutti quanti!» «Credo che ci convenga fare lo stesso» esclamò Esky, ridendo divertito. Le marachelle dei suoi figli gli ricordavano sé stesso da giovane. «Vieni?» si alzò e aspettò che Bambi lo raggiungesse. «Vai avanti tu, caro» gli rispose invece lei. «Io ti raggiungo fra un po’… ti dispiace?» «No, ma… stai bene?» «Sì. Sono soltanto felice» Bambi gli sorrise di nuovo, radiosa. «Voglio stare ancora un po’ in giardino, all’aperto.» «Va bene» Esky emise un sonoro sbadiglio, le leccò il muso con dolcezza, le diede la buonanotte e ripeté: «Ti amo.» «Anch’io ti amo » disse Bambi. Lo guardò al-

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lontanarsi nel buio e sparire in casa, poi appoggiò il muso sulle zampe. Ripensava agli avvenimenti di quella giornata e di tutte le giornate che si erano susseguite da quel lontano giorno di Dicembre… erano passati davvero solo tre mesi? Le sembrava impossibile. Una famiglia, una casa. Esky. Chi l’avrebbe mai detto? La sua coda si mosse debolmente in un accenno di scodinzolio. Sì… per quanti ostacoli ci fossero, valeva sempre la pena di vivere, ed era questa la lezione che il suo adorato compagno le aveva insegnato. Quando la mattina dopo Esky si svegliò, Bambi non era ancora rientrata. Uscì in giardino, incuriosito, e non ci mise molto a trovarla. Giaceva lì dove si erano salutati la notte prima, con il muso appoggiato sulle zampe; e sorrideva ancora, contemplando un mondo che i suoi occhi scuri non potevano più vedere. Fu l’espressione beata del suo volto la cosa che lo colpì più di ogni altra, e capì cosa aveva voluto dirgli quando improvvisamente si era stretta a lui mormorando “Sono felice, Esky”. Sì… dopo anni di sofferenze e rimpianti, in quegli ultimi tre mesi che avevano trascorso insieme Bambi aveva finalmente trovato davvero la felicità. **************** Qualche anno dopo Da allora era passato più tempo di quanto la sua mente, confusa dalla vecchiaia e dagli anni, riuscisse a ricordare. Buffo; da quando aveva perso Bambi, il tempo sembrava non aver più molto significato. Oggi veniva prima di domani e dopo ieri ma, per quanto riguardava il resto, diventava tutto un unico passato. La sua vita con Bambi, la sua vita prima di Bambi, Marco, il canile, Bambi, e poi – così lontani che era come guardare attraverso un telescopio – i ricordi che venivano ancora prima… i ricordi di un cucciolo e di una macchina che si allontanava e di Gianni… Quanti anni erano passati da allora? Dieci?

Dodici? Quindici? Doveva chiederlo a Scheggia e Freccia. Loro riuscivano ancora a tenere il conto del tempo che passava, loro. Un altro dei tanti vantaggi della giovinezza… « Papà, sono passati sei anni da quando Bambi ti ha lasciato. » Sei anni? Già sei anni? Com’era possibile? Gli sembrava ieri quando era uscito in giardino per cercarla. Cos’era successo negli ultimi sei anni? Marco cresceva… la nascita di una bisnipotina… la vecchiaia, sempre più feroce, che si accaniva su di lui… immagini ed eventi sfocati, confusi… era successo prima o dopo? «E non siamo più tanto giovani nemmeno noi, per tua informazione.» Oh, ma per lui lo erano, eccome. Due giorni prima era successa una cosa strana. O almeno, gli sembrava che fosse successa due giorni prima. Era sdraiato in giardino, nel punto dove aveva trovato Bambi. Quando non stava sdraiato ai piedi Marco, Esky andava sempre a rincantucciarsi lì. Gli dava uno strano senso di inspiegabile conforto; era come se la sua compagna non se ne fosse mai davvero andata, perché gli sembrava di sentirla accanto a sé, con la pelliccia nera e bianca che gli sfiorava il fianco. A volte, svegliandosi di soprassalto da un sonnellino, si guardava addirittura intorno ansioso, come per cercarla… si trovava lì fino a un attimo prima, ne era certo… E proprio in una di queste occasioni, Esky aveva sollevato la testa di scatto, come per scacciare un insetto, e si era trovato di fronte un giovane che lo guardava fisso dall’altra parte della strada. All’inizio il vecchio siberian husky era rimasto interdetto, sbattendo gli occhi azzurri alla luce del sole. Poi lo aveva messo a fuoco, e il suo cuore per poco non aveva mancato un battito. Quel tipo assomigliava terribilmente a… ma che diavolo stava pensando? Gianni? No, impossibile. Doveva per forza essere un sogno. Il suo primo pensiero fu che era cambiato mol-

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to. Era più alto, naturalmente; quando Esky lo aveva visto per l’ultima volta era un bambino di otto anni, ma il tizio davanti a lui doveva averne più di venti. Gli occhi erano sempre azzurri - di una sfumatura più chiara rispetto a come li ricordava Esky - mentre i capelli biondi, un tempo ricci, adesso erano molto corti e tagliati a spazzola. Anche il suo atteggiamento era cambiato. Esky si ricordava il piccolo Gianni che correva da tutte le parti come un matto facendo malestri; adesso invece stava fermo sul ciglio della strada, immobile come una statua, in silenzio. Esky sollevò di scatto la testa. Era come se il mondo avesse smesso di girare per un istante. Gianni… ti ricordi ancora di me? Titubante, il ragazzo fece un passo verso il giardino. Sembrava sconvolto, o forse era soltanto stupefatto e incredulo… Esky poteva capirlo. Fece un altro passo, poi si fermò, lo sguardo sempre fisso negli occhi di ghiaccio del siberian husky. « … Esky? » chiese finalmente con voce incerta. Nemmeno quella era rimasta uguale. Gianni. Allora ti ricordi. Si fissarono a lungo. Negli occhi di Esky c’era solo una grande curiosità; il ragazzo invece sembrava sbalordito. Cosa si era aspettato di vedere nello sguardo del cane che aveva abbandonato come una scarpa vecchia? Rabbia? Senso di colpa? «Allora sei davvero tu » mormorò alla fine. «Non… non avrei mai pensato di… ma guardati… » Gianni, cosa c’è? Perché sei così sconvolto? Parla, dì qualcosa… Adesso il ragazzo non lo guardava più. Si stava fissando la punta delle scarpe con aria tormentata. «Certo che… » scrollò le spalle e poi bofonchiò: « Sono stato un cretino…» Io non ti giudico, Gianni… «.Sì » aggiunse Gianni amaramente. «Uno stupido cretino » Per poco a Esky non venne da ridere. Non vai fiero di quello che hai fatto… non è

così? Era tutto più facile quando pensavi che fossi morto. Ma adesso mi hai rivisto e non riesci più a darti pace, vero? Ti senti in colpa. Gianni, Gianni, Gianni! Possibile che tu non capisca? «Faresti bene a ringhiarmi contro» mormorò debolmente il ragazzo. «Me lo merito.» Per tutto quel tempo sono stato pronto a perdonarti, a correrti incontro e farti le feste, se solo tu ti fossi affacciato alla porta di quel canile. Gianni, ma non capisci che io non ti ho mai portato rancore? In quel momento la porta sul retro si spalancò. « Esky, dove…? » chiamò Marco, uscendo a raggiungere il vecchio husky. All’improvviso vide un ragazzo pressappoco della sua età immobile davanti al cancello; fissava Esky con un’aria stranita, quasi colpevole, ma alzò di scatto lo sguardo sentendo la sua voce. « E’ tuo? » gli chiese, indicando Esky con un cenno della testa. Marco rimase un attimo interdetto da quella strana domanda. Per forza che è mio, altrimenti cosa ci farebbe nel mio giardino? Scrollò le spalle e annuì. « Sì, si chiama Esky.» « Esky » ripeté l’altro ragazzo, tornando a guardare il cane con espressione indecifrabile. «Quanto ha?» « Ormai andrà per i quattordici o quindici anni… era già adulto, quando l’ho salvato dal canile.» «Dal canile… » mormorò fra sé lo sconosciuto. Ma che cos’ha questo tizio? si chiese Marco. Perché continua a ripetere quello che dico? E perché fissa Esky in quel modo? «Sì, i suoi padroni dovevano averlo abbandonato. Pazzesco, no?» disse, accarezzando la testa del suo Esky. «Non riesco a credere che qualcuno possa essere stato tanto pazzo da abbandonare un cane come lui.» Il tizio non disse nulla, ma distolse lo sguardo e si fissò le scarpe, a disagio. Né Marco né Esky gli prestavano più molta attenzione, e probabilmente si sarebbero dimenticati della sua presenza, se all’improvviso non avesse

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chiesto: « E’ un siberian husky, vero? » « Sì, perché? » ribatté Marco, alzando gli occhi con aria interrogativa. «Oh… niente.» Il ragazzo coi capelli a spazzola scosse le spalle. «E’ solo che una volta ne avevo uno anch’io.» Lo disse in tono così mesto che Marco aggrottò le sopracciglia. « Mi dispiace… Allora perché non te ne prendi un altro dal canile? » suggerì. L’altro trasalì come se l’avesse schiaffeggiato. « Scusa?» «Ma sì, come abbiamo fatto noi con Esky e con Bambi.» «Chi è Bambi?» chiese il tizio, senza capire. «La sua compagna. Stava anche lei in canile, una volta, e tre anni fa ce la siamo trovata sul portico. E’ morta tre mesi dopo, però ha trascorso quegli ultimi tre mesi in una casa, con l’amore di una famiglia. I canili sono pieni di creature sfortunate come lei e come Esky, cani con cui la vita è stata ingiusta e che aspettano solo un padrone da amare, e che li ami a sua volta.» Capelli-a-spazzola non disse nulla; teneva la testa bassa, a disagio, e Marco ebbe l’ impressione che le sue spalle tremassero leggermente. «Io sono sicuro che il tuo husky sarebbe felice, se tu adottassi di nuovo un altro cane» insistette. Per alcuni lunghissimi istanti nessuno disse nulla. Gianni aveva alzato di nuovo gli occhi tormentati e fissava Esky, che ricambiava il suo sguardo. Immobili come statue, e altrettanto silenziosi, rimasero uno di fronte all’altro per quella che sembrò un’eternità. Poi il cane agitò debolmente la coda e, come per un segnale convenuto, Gianni rivolse a Marco un ultimo cenno del capo. «Grazie » disse sommessamente, prima di girarsi e andarsene. «Magari lo farò.» Marco ed Esky lo guardarono allontanarsi lungo il viale alberato, la sagoma un po’ curva, come se trasportasse sulle spalle un peso invisibile. «Ce n’è di gente strana, a questo mondo» de-

cretò alla fine Marco, accarezzando la testa grigia di Esky. Nonostante i dolori dell’età, il vecchio cane scodinzolò con più entusiasmo e si strinse a lui. E’ questo mondo a essere strano, Marco. Strano, matto e sorprendente… ma anche ricco di speranza.

**************** E come ogni anno, riecco l’inverno con le raffiche di vento, le luci, gli addobbi. L’inverno, con tutti i suoi ricordi. Non dorme più all’aperto, Esky. Gli piacerebbe, ma i dolori alle ossa lo costringono sempre più spesso nella sua cuccia imbottita davanti alla stufa. Acciambellato come una volpe, con il naso nascosto nel pelo della coda, il torace che ogni tanto si solleva in un lento respiro tremulo, rivive in sogno le fasi salienti di quella sua lunga vita felice. I momenti difficili, quelli belli, quelli brutti. Gianni, il canile, Bambi, Marco, i suoi figli. Li vede più nitidi che nella realtà, adesso che i suoi occhi non sono più quelli di una volta. Li vede, e gli sembra di essere di nuovo lì; un cucciolo ignaro di ciò che lo aspetta, un giovane cane disincantato e pieno di rabbia, un adulto felice, un vecchio nostalgico. Adesso il tempo non ha più significato, e non solo nella sua testa. Sa che quando riaprirà gli occhi, ci sarà Bambi ad aspettarlo. E correranno fianco a fianco come i lupi all’ombra dell’arcobaleno, nelle distese innevate che non hanno mai visto, ma che nonostante tutto conoscono da sempre. Perché quella neve, quelle distese, quei sogni, fanno parte del valoroso cuore di lupo che c’è in ogni siberian husky.

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FINE


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INVITO AD UNA CLASS ACTION (o in subordine a contattare la confconsumatori) Quest’invito è fatto a tutti i Soci e non Soci che frequentano il Web, Facebook e altri Social network, è una specie di compito-eredità che lasciamo a tutti coloro che sono stanchi di essere sfruttati, di essere considerati solo una fonte di reddito per lo Stato e le Compagnie

farmaceutiche. Speravo di essere in grado di darvi un link cui fare riferimento, ma la persona che si era offerta “latita” (come sempre avviene in Italia, quando è il momento di mettere la propria faccia o la propria firma).

Alcuni mesi fa sulla porta dello studio del mio veterinario è comparso questo cartello: All’attenzione della Gentile Clientela •

Si comunica che dato l’intensificarsi dei controlli da parte delle autorità competenti, al fine di evitare pesantissime sanzioni pecuniarie, verranno prescritti solo e esclusivamente farmaci ad uso veterinario. La legge prevede la possibilità di prescrizione di farmaci ad uso umano solo ed esclusivamente quando la molecola in oggetto non esista in formulazione per animali d’affezione. Pur consapevoli che l’esborso per la clientela crescerà notevolmente, dato il maggior costo dei farmaci ad uso veterinario, non possiamo che adeguarci alla legge e alle disposizioni vigenti. Ci auguriamo possa nascere un movimento d’opinione che porti alla variazione di leggi che ledono, a nostro parere, le leggi del libero mercato e che impediscono ai professionisti della sanità animale di fare scelte appropriate, secondo scienza e coscienza, nell’interesse della salute dei propri pazienti senza gravare in modo eccessivo sulle finanze dei loro proprietari.

Alla mia richiesta di spiegazioni mi è stato mostrato un altro foglio: lettera ASL Milano del 10.09.2009 indirizzata ai Medici Veterinari con oggetto: decreto legislativo 6 aprile 2006 n.193 art.10 “Uso in deroga per animali non destinati alla produzione di alimenti”. -

Ho chiesto se si poteva fare qualcosa è mi è stato detto che alcuni clienti avevano preparato una lettera e che stavano raccogliendo firme per poter fare quello che negli USA si fa regolarmente e che si inizia a fare anche in Europa.

Seguono alcune firme, troppo poche per il momento. Ecco perché io chiedo a qualche Socio, meglio se esperto in giurisprudenza o “amico” di qualche politico sensibile alle problematiche dei proprietari di piccoli animali, di attivarsi e cercare di ottenere quanto richiesto nella lettera proposta. Nulla vieta di farsi promotori di iniziative impostate anche diversamente, ma aventi lo stesso scopo.

La lettera è nella pagina a destra

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POPOLO DEL WEB… A VOI!


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INVITO AD UNA CLASS ACTION (o in subordine a contattare la confconsumatori) FAC- SIMILE DI LETTERA PER QUESTO SCOPO La legislazione attuale prevede che il medico veterinario che effettua una prescrizione per animali d’affezione debba obbligatoriamente prescrivere Farmaci registrati per quella specie animale, potendo prescrivere “eccezionalmente” come recita la legge farmaci ad uso umano o farmaci registrati per altre specie animali solo quando le molecole necessarie alla terapia non sono presenti nella farmacopea veterinaria per la specie in oggetto. Siamo a conoscenza che il farmaco ad uso veterinario viene commercializzato a un costo (espresso in euro/milligrammo di principio attivo) quasi sempre superiore e, a volte, molto superiore dell’equivalente farmaco ad uso umano. Siamo a conoscenza che i medici veterinari, per limitare i costi terapia, specie nelle terapie a lungo o lunghissimo termine, e per superare le difficoltà di reperimento in commercio dei farmaci ad uso veterinario, hanno spesso, nell’interesse dei loro clienti, violato la legge . Siamo a conoscenza che l’intensificarsi dei controlli da parte delle autorità competenti, con sanzioni pecuniarie comminate estremamente pesanti, ha avuto come effetto il rispetto rigoroso della legge da parte dei professionisti con conseguente rischio di considerevole aumento del costo terapia per i nostri amici a quattro zampe e che tali aumenti di costo ricadono su tutte le fasce sociali anche le meno abbienti e, non ultimo, anche sulla gestione dei rifugi per animali abbandonati. Siamo a conoscenza che la farmacopea veterinaria è per forza di cose abbastanza limitata, mentre in campo umano la presenza di diverse molecole destinate ad ottenere il risultato terapeutico per vie diverse permette di cercare di raggiungere lo scopo terapeutico attraverso la via farmacologia più indicata allo specifico caso clinico. Considerando che: • • •

la legge prevede come reato di comparaggio, il prescrivere un farmaco per creare un profitto ingiustificato sia alla base del libero mercato il diritto per il cittadino di procurarsi un bene, a parità di qualità, al prezzo minore possibile il Ministero della Salute da tempo invita, in campo umano, alla prescrizione e all’utilizzo di farmaci “generici” al fine di abbassare i costi della sanità e del singolo cittadino

Chiediamo che a livello competente ci si attivi per la variazione della legislazione in atto o perlomeno ad un adeguamento dei prezzi dei farmaci veterinari a quello dei corrispondenti generici umani.

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Elena Giuliani

UN VERO CANE HUSKY Koogar Editore Illustrazioni: Jessica Marino il nuovo libro di Elena Giuliani, è una raccolta di aneddoti simpatici ed istruttivi che raccontano le vicissitudini delle gatte Iside e Mao (ma non solo) e di un cucciolo di alaskan husky, Yuki, arrivato nella loro casa. L’autrice, ancora una volta, si rivela profonda conoscitrice del comportamento animale ma anche delle profondità dell’animo umano. La narrazione, pur raccontando aneddoti di vita quotidiana che poco o nulla hanno di straordinario, intreccia etologia e psicologia in un divertente gioco di intrecci che rende la lettura amena, piacevole e mai banale. Improvvisamente, la famiglia di Iside desidera un cane husky. Un vero cane husky, di quelli con gli occhi azzurri e il pelo folto, capaci di trainare le slitte in mezzo alle tormente di neve per centinaia di chilometri. In casa di Iside, la selvaggia gatta tricolore e della nera Mao arriva, così, Yuki, una cucciola di alaskan husky. Come se la caveranno le due gatte con la nuova arrivata? I cani husky e le gatte tricolori possono diventare amici? Yuki, Iside, Mao, Gildo, Spitti e altri personaggi a quattro zampe sono i protagonisti del nuovo libro di Elena Giuliani. Esilaranti aneddoti di vita quotidiana con cani e gatti straordinari, conditi dall’ironia dell’ autrice che ancora una volta ci accompagna nel quotidiano confronto con l’etica e il senso della vita che i nostri amici animali comunicano.

per saperne di più http://koogar.it/ provate è veramente “PIACEVOLE” potete leggere il primo capitolo o addirittura ascoltarlo‼ e poi ordinarlo direttamente (senza spese di spedizione)

Giovanni: Amo i cani ma non conoscevo gli husky. E' un libro davvero bello, pieno di notizie utili e di riflessioni profonde. E' anche divertente, soprattutto gli aneddoti con le gatte. Lo consiglio a tutti quelli che amano gli animali (o che vogliono cominciare a capirli un po' di più) e a tutti i bambini. Vandalex: Letto tutto d'un fiato in treno... con grande divertimento e anche qualche lacrima. Questo libro è bello quanto e forse anche più di "Io e Marley". C'è più ironia e molti riferimenti "culturali" che lo rendono più "europeo". Yuki è un cane troppo forte... Carlo: Ho avuto un cane husky per 10 anni e era proprio come Yuki: lazzarone, furbo, indipendente e... meraviglioso! Però i gatti se li mangiava! Consiglio questo libro non solo a chi ama i cani (e i gatti) ma a tutti coloro che vogliono imparare qualcosa di più sui cani husky, che danno molte soddisfazioni ma che molto spesso non vengono capiti e finiscono nei canili. Francesca: Un libro davvero delizioso e divertente che ho letto con molto piacere ai miei bambini. Ora mi chiedono ogni sera: e poi? Cosa farà Yuki? Attendiamo nuove avventure!!

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RABBIA LA NUOVA ORDINANZA E' IN VIGORE Qui di seguito è riportato il testo pubblicato sulla gazzetta del ministero della sanità. La rabbia è una malattia terribile che colpisce i mammiferi compreso l’uomo. I casi accertati in Italia sono fino ad ora 40 tra cui molte volpi, ma anche 3 cani. Non esistono cure ma una efficace vaccinazione. Consiglio vivamente a tutti i proprietari di cane, gatto e furetto che vivono nel nord est o che intendono recarsi in quei luoghi per villeggiatura di provvedere alla vaccinazione del proprio pet. Nel caso il cane fosse scoperto dalla vaccinazione e venisse morsicato da un animale (qualsiasi mammifero) rabido o sospetto tale sarà disposto il sequestro fino a 180, dico 180gg (non è un errore di battitura). E’ prevista la soppressione dell’animale nel caso entro tale periodo manifestasse sintomi del morbo e/o risultasse positivo alla titolazione. Vi prego dunque di prendere molto sul serio la questione.

Gazzetta Ufficiale del 7 dicembre Al fine di accelerare le operazioni di vaccinazione dei cani di proprietà le regioni e province autonome, previo accordo con gli Ordini veterinari provinciali, possono avvalersi anche di veterinari liberi professionisti. E' consigliata la vaccinazione antirabbica precontagio di gatti, furetti e altri animali da compagnia appartenenti a specie sensibili presenti nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia e della provincia di Belluno e di altri territori della regione Veneto e delle province autonome di Trento e Bolzano a rischio di contagio. Verso le zone a rischio di contagio- validità della vaccinazione I cani, i gatti e i furetti al seguito di persone dirette anche temporaneamente nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia e della provincia di Belluno e di altri territori della regione Veneto e delle province autonome di Trento e Bolzano a rischio di contagio devono essere sottoposti a vaccinazio-

ne antirabbica, secondo le istruzioni del produttore del vaccino utilizzato, almeno ventuno giorni prima dell'arrivo e da non oltre undici mesi. (articolo 1, comma 1) Quanto disposto deve essere applicato dai cittadini che si recano (o si recheranno) con animali al seguito verso il territorio delle Regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto e delle Province Autonome di Trento e Bolzano. Per quanto riguarda la validità della vaccinazione la Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario ha precisato che il periodo massimo di 11 mesi si applica ai vaccini la cui validità indicata dal produttore è di un anno. Per quanto riguarda invece i vaccini la cui validità indicata dai produttori è di 24 mesi ovvero 36 mesi il periodo da tenere presente è rispettivamente di 23 mesi e 35 mesi. Cani di proprietà di residenti-gatti e furettiliberi professionisti I cani di proprietà di persone residenti nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia e del-

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la provincia di Belluno e di altri territori della regione Veneto e delle province autonome di Trento e Bolzano a rischio di contagio devono essere sottoposti a vaccinazione antirabbica precontagio secondo le istruzioni del produttore del vaccino utilizzato. (art. 2, comma 1) Nell'ambito del coordinamento previsto dalla Ordinanza ministeriale all'articolo 8, sono state definite come aree di vaccinazione obbligatoria dei cani di proprietà l'intero territorio della Regione Friuli Venezia Giulia, gli interi territori delle Province Autonome di Trento e Bolzano, l'intero territorio della Provincia di Belluno, parte nord delle Province di Treviso e Vicenza, parte est della Provincia di Venezia; sulla base della valutazione del rischio dette aree saranno estese a comprendere interamente le Province di Venezia, Padova, Vicenza Treviso e Verona. Al fine di accelerare le operazioni di vaccinazione dei cani di proprietà le regioni e province autonome, previo accordo con gli Ordini veterinari provinciali, possono avvalersi anche di veterinari liberi professionisti. E' consigliata la vaccinazione antirabbica precontagio di gatti, furetti e altri animali da compagnia appartenenti a specie sensibili presenti nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia e della provincia di Belluno e di altri territori della regione Veneto e delle province autonome di Trento e Bolzano a rischio di contagio. Attività venatoria Nell'ambito del coordinamento di cui al successivo art. 8 sono stabiliti i provvedimenti più restrittivi atti a regolamentare la circolazione dei cani ivi compresa la pratica venatoria. (art.3, comma 2). Il coordinamento ha richiesto alle Autorità delle Regioni e Province Autonome di disporre il divieto della caccia con il cane nei territori compresi nelle aree di vaccinazione nonché della circolazione di cani, ancorché condotti al guinzaglio, nelle zone agro-silvo-pastorali. Ciò sia per ridurre il rischio di far contrarre la malattia a questi cani, sia di eliminare l'effetto di

dispersione delle volpi causato dalla presenza dei cani circolanti nelle zone a rischio. Su questa misura la Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario ha fatto un esplicito richiamo al senso di responsabilità dei cittadini sia impegnati nella pratica venatoria, sia interessati ad altre attività, anche ludiche, che prevedono o possono prevedere la presenza di cani al seguito. Animali condotti al pascolo, cani da soccorso, allevamento E' resa obbligatoria la vaccinazione antirabbica precontagio degli animali domestici sensibili condotti al pascolo nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia e della provincia di Belluno e di altri territori della regione Veneto e delle province autonome di Trento e Bolzano a rischio di contagio. (articolo 5 comma 1) Fermo restando l'obbligo di vaccinazione degli animali domestici sensibili condotti al pascolo nei territori interessati, la Direzione ministeriale ha precisato che detto obbligo riguarda sia gli animali condotti al pascolo in provenienza da altri territori sia quelli condotti al pascolo residenti all'interno dei territori interessati, ivi compresi quelli che dei cosiddetti greggi vaganti. Per i greggi vaganti, la movimentazione potrà essere autorizzata a condizione che vengano vaccinati anche i cani al seguito. Inoltre, considerata la necessità di garantire le operazioni di ricerca delle persone disperse, sarà autorizzato l'uso dei cani da soccorso se vaccinati. Considerati gli ultimi casi verificatisi, la Direzione ministeriale ritiene necessario che vengano sottoposti a vaccinazione antirabbica precontagio anche gli animali sensibili che non sono condotti al pascolo ma le cui modalità di allevamento non siano tali da escludere il contatto con animali selvatici sensibili.

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Dott Franco Milani


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A cura del Dott Franco Milani

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arlare della rabbia è parlare di una patologia terribile con un ampio bacino di specie sensibili. Quasi tutti i mammiferi sono sensibili a questa patologia. Per quello che ci interessa basti sapere che dal 2008 la rabbia è rientrata in Italia, che era paese esente da decenni, attraverso la Slovenia. Sono state riscontrate positività in molte volpi, ma anche in tassi, cani (tre casi) e caprioli. Fino ad ora i casi sicuri sono 40 e riguardano il Friuli e in questi giorni il veneto (Belluno). Si sta dunque spostando verso ovest e ha già superato 4 campagne vaccinali, con bocconi vaccinali. Sembra che entro un anno possa arrivare a Trentino e Lombardia. Si consiglia ai proprietari di vaccinare cani, gatti e furetti che vivono in quelle aree e che vi vengano portati per motivi di villeggiatura, lavoro e caccia. La patologia è estremamente grave con sintomi nervosi che rendono gli animali selvatici imbambolati e confidenti. L’aggressività non è sempre caratteristica, invece è più frequente che l’animale selvatico si mostri mansuefatto e si lasci avvicinare in modo anomalo. La rabbia si trasmette esclusivamente tramite la saliva che deve venire a contatto con il sangue di un animale o uomo sano (attraverso il MORSO). Il virus, rabdovirus-lissavirus dalla ferita causata dal morso si sposta verso i gangli nervosi periferici dai quali raggiunta la colonna vertebrale e il midollo spinale risale all’encefalo per questo motivo sono più pericolosi i morsi penetranti che non escorianti. Il condotto nervoso viene usato a guisa di autostrada per raggiungere la colonna vertebrale e

il midollo spinale. Da qui risale per via diretta all'encefalo dove di riproduce e tramite i nervi facciali raggiunge le ghiandole salivari. Il tempo d'incubazione è molto variabile e dipende dalla distanza che deve percorre il virus per raggiungere il cervello e dalle barriere difensive che incontra. Nell’encefalo si ha la replicazione virale, a causa della presenza del virus compaiono i primi sintomi nervosi/neurologici. La prima fase migratoria dalla ferita al cervello in genere non è una fase critica per la diffusione della malattia. I sintomi possono apparire da 10 giorni a 6 mesi dopo il contagio. La vaccinazione dona una ottima immunità. In caso di morsicatura a cane e o uomo non vaccinato (io per questioni professionali sono vaccinato) si effettuano vaccinazioni ravvicinate e immunoglobuline nella speranza (speranza!!!) di bloccare la malattia. Se il cane invece è regolarmente coperto dalla vaccinazione antirabbica da almeno 30gg non corre pericoli d’infezione e in caso di morsicatura da parte di un animale accertato rabido il periodo di osservazione coatto (quarantena) è breve. Se la Rabbia viene diagnosticata su base clinica, per i sintomi, non c'è più nulla da fare e l'animale e l'uomo vanno incontro a morte certa. I protocolli vaccinali sono in funzione del momento in cui vengono applicati. Per prevenzione si usa fare una vaccinazione da richiamare dopo 30g e dopo un anno. Questo dona una copertura di qualche anno da verificare di anno in anno tramite titolazione degli anticorpi.

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Pericoli veri per le dinamiche di popolazione delle specie selvatiche maggiormente a rischio non sono molto consistenti. Non è una malattia che decima le popolazioni, il contagio va lontano (ricordo i 6 mesi di incubazione) ma non colpisce un gran numero di animali. Desta un po' di apprensione per i carnivori rari come lupo, lince e orso ma laddove questi animali prosperano la rabbia è sempre esistita senza segnalare un grosso impatto; vedi paesi dell'est come Slovenia e Croazia etc Per chi volesse approfondire l’argomento rimando al sito dell IZS delle Venezie nel quale è contenuto molto materiale esplicativo e la cartina dei casi riscontrati. Accademicamente vengono individuate due forme di epidemia di rabbia. Sono sostanzialmente la stessa cosa, il virus è lo stesso, ma vengono distinte in base al ciclo cui danno origine. Se l’ epidemia coinvolge solo o prevalentemente animali selvatici si parla di ciclo silvestre altrimenti di ciclo domestico. La possibilità del passaggio o congiunzione dei due cicli è data dal passaggio carnivoro-bovino che segna un punto critico e il ponte tra la forma silvestre e quella domestica. Ma sebbene possibile risulta di solito raro per vari motivi. Più probabile è l'infezione di un cane che si mette a far baruffa con una volpe, tasso, faina o martora. Tanto per spingervi a non sottovalutare la questione vi racconto un episodio accaduto a novembre che ha visto coinvolto un mio conoscente che abita vicino a Codroipo, Friuli. Appena rientrato a casa ha chiuso il cancello e ha liberato il cane che teneva al guinzaglio. Ha spalancato il garage che era socchiuso e vi ha trovato dentro una volpe, in pieno giorno. Il cane si è scagliato sulla povera bestiola e l'ha uccisa. Nei giorni precedenti nello stesso paese erano state trovate due volpi che spaesate si aggiravano per le case ed erano risultate positive alla rabbia. Purtroppo anche questa volpe è risultata positiva.

Conseguenze: Per LUI: Ha dovuto, ovvio, provvedere a vaccinarsi con protocollo d'emergenza postcontagio. Il vaccino impiega tre settimane per fare effetto, il virus se non viene "iniettato dal morso" vicino all'encefalo (morso sul collo ad esempio che tra l'altro è possibile nelle aree in cui è presente il pipistrello vampiro) dovrebbe metterci più tempo a diventare incontrollabile. Certo lui non è stato morso ma per impedire al proprio cane di infettarsi ha tentato di trattenerlo partecipando di fatto allo scontro e sporcandosi con il sangue della volpe. Probabilità di contagio bassissime perchè non è stato morso e non ha riportato ferite ma il cane poteva essere sporco di saliva della volpe Per il CANE: Ha lottato con la volpe e di certo qualche morso l'ha preso. Non esistono test da fare in vivo per capire se l'animale è stato infettato, si può fare solo la ricerca e titolazione degli anticorpi ma il cane, tra l'altro, era stato vaccinato contro la rabbia 10 gg prima dunque non si saprebbe se attribuire la reazione anticorpale al vaccino o al virus trasmesso. Ora deve restare sotto sequestro in osservazione per 6 mesi e non avere contatti con nessuno. La vaccinazione potrebbe aver già dato una risposta sufficiente ma non se ne può essere certi. Conclusioni: in realtà non so quali vere conclusioni si possono trarre. Curiosità: per i veterinari e gli allevatori nei decenni passati la fonte principale del contagio non era la volpe o il lupo o il cane ma la bovina. Le vacche potevano infettarsi attraverso il morso di altri mammiferi e poi infettare l'uomo attraverso la saliva perchè quando cadevano in stato patologico e venivano visitate prima dall'allevatore e poi dal veterinario gli si guardava in bocca.

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di Giovanni Ravelli Ho imparato l’uso delle ciaspole alcuni anni fa, durante le escursioni effettuate dalla sezione del C.A.I. a cui appartengo. Il mio immaginario mi porta a ricordare i cacciatori di pelli dell’Alaska e ho nella mente le sconfinate praterie innevate del grande nord, dove i vari spostamenti avvenivano con le slitte o con le ciaspole ai piedi.

La tecnica con le ciaspe La postura delle gambe deve essere leggermente più divaricata del solito in maniera che le racchette non si sormontino, evitando così spiacevoli cadute nella neve. Il passo: un errore che potrebbe contribuire alla rinuncia della nostra meta è quello di partire troppo velocemente, senza valutare ed economizzare ogni movimento superfluo, partir piano è dunque sempre una buona regola. Nella neve fresca, dove per forza si affonda, il passo deve essere cadenzato: avanzamento del piede, appoggio e caricamento effettuati in sintonia con l'azione volontaria del quadricipite, spostamento del busto sopra il piede in azione

Anche dalle nostre parti i cacciatori, prima della grande guerra, usavano nelle dolomiti queste appendici fatte da un cerchio di legno e da traverse di pelle che impedivano di affondare nella neve fresca e permettevano di muoversi più agevolmente.

Nell’intervallo tra le due guerre l’esercito ha portato sulle montagne attrezzature che hanno reso più agevole lo spostamento sulla neve avviando al declino l’uso delle ciaspole. Oggi sono state riscoperte, molte ditte producono attrezzi adatte ad ogni tecnica e difficoltà in materiali compositi e plastica, con ramponcini e chiodi adatte anche al ghiaccio ed a salite ripide.

La progressione deve essere fluida e precisa per consentire l’appoggio del piede con la dovuta sicurezza. Il busto rimane pressoché eretto evitando eccessivi spostamenti in avanti e indietro, che potrebbero provocare fastidiosi "mal di schiena". Le braccia, leggermente aperte, servono essenzialmente per mantenere l'equilibrio, aiutate dall’appoggio alternato dei bastoncini (di lunghezza leggermente maggiore di quelli per lo sci). La salita deve essere affrontata sulla sua massima pendenza, così da far lavorare il rampone che si trova applicato sotto la ciaspa. Su terreni difficili, come la neve dura o quella soffice, con la punta del piede e il ramponcino della racchetta si deve "costruire un piccolo gradino" prima di fare il passo successivo. La gamba caricata deve essere tesa, prima di portar avanti la gamba successiva cioè la tibia, il ginocchio e il femore devono essere in asse, in modo che il quadricipite non sia sempre sotto sforzo.

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Il diagonale. A volte bisogna affrontare delle diagonali o dei traversi per poter cambiare direzione. Se la neve è soffice non sussistono problemi, ma con neve compattata e dura si devono adottare le seguenti accortezze. Molte ciaspe non hanno grip laterali e l’ appoggio della racchetta di traverso rispetto il pendio non da nessuna presa. Se il pendio non è molto ripido, possiamo attraversarlo normalmente con la racchetta da neve a monte che segue la linea di marcia, mentre quella a valle con una torsione del piede facciamo in modo che la punta della racchetta sia rivolta il più possibile verso monte, facendo lavorare il ramponcino della ciaspa. Quando il pendio diventa più sostenuto ed impegnativo, dobbiamo mettere entrambe le punte verso monte e con passi laterali spostarsi verso la direzione voluta muovendo prima le braccia e i bastoni, poi le gambe e le racchette da neve. Non ci si deve mai spostare in ambio, cioè braccio e gamba assieme perché così facendo ci si troverebbe con solo 2 punti fissi, mentre in questi casi è meglio avere sempre 3 punti di appoggio facendo altresì attenzione che il bastoncino da sci e il ramponcino della racchetta siano sempre in presa.

sumono un ruolo importante per il mantenimento dell'equilibrio. Il dietro-front va eseguito con piccoli spostamenti circolari, non in un unico passo.

La discesa. E’ importante affrontare la discesa con piccoli passi sulla massima pendenza, in questo modo si fa ‘lavorare’ il rampone e la punta della racchetta non rimane imprigionata nella neve. Se la discesa diventa più ripida e si tende a scivolare si deve ricorrere alla tecnica del "telemark" e non a quella dello sci classico. Sempre sulla massima pendenza appena la racchetta comincia a scivolare, con movimento rapido e deciso, si deve abbassare molto il baricentro, ottenendo così molta più stabilità ed equilibrio. Il movimento è determinato dal piegamento in avanti del ginocchio della gamba che avanza, mentre il ginocchio della gamba posteriore si abbassa molto, quasi a toccare la racchetta. Appena terminata la scivolata, con movimento rapido e deciso si continua con il passo successivo. Le braccia, molto aperte e avanzate, as-

Zaino. Non si deve partire per un'escursione, anche se facile, senza aver controllato che nello zaino ci sia tutto il necessario per affrontare una giornata invernale in montagna. Lo zaino non deve essere eccessivamente grande, è sufficiente sia dotato delle apposite allacciature alla cintura e al petto, e sia in grado di contenere almeno:

Racchette da neve in spalla. Assai importante per lo ‘stile’ è saper portare correttamente le racchette in spalla: si infilano i bastoni da sci nella parte anteriore delle racchette, quindi si appoggiano i bastoni sulla spalla e si fanno scivolare le racchette a contatto della schiena, impennando leggermente i bastoni. Abbigliamento. Vanno utilizzati gli usuali capi di vestiario per lo sci-escursionismo, cercando di vestirsi a più strati, e provvedendo sempre ad infilare nello zaino una maglietta di ricambio per la fine della gita. Scarponi. Ai piedi si possono calzare scarponi di tipo estivo, più o meno pesanti a seconda dell'impegno che l'escursione richiede. Per brevi percorsi possono andar bene anche scarponcini più leggeri purché sufficientemente impermeabili. Nelle marce su neve soffice o bagnata può convenire proteggere le gambe con ghette a tenuta d'acqua.

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un termos per conservare bevande calde. un piccolo binocolo per osservare la fauna e la flora. fil di ferro, nastro adesivo e coltellino multiuso per riparare eventuali rotture delle ciaspe kit di pronto-soccorso. cartina topografica della zona dell’ escursione.


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“ciaspola adatta a percorsi misto-ghiaccio”

“moderna racchetta con telaio in alluminio”

E adesso provate ad immaginare cosa si può fare con le ciaspole e i nostri cagnoloni…..

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Alla fine dell'arcobaleno. La storia di Felice Pedroni da Fanano all'Alaska Turchi Massimo, 2007, Prospettiva Editrice Massimo Turchi ricostruisce nei dettagli la storia del cercatore d'oro Felice Pedroni, fondatore della città americana Fairbanks in Alaska Pedroni, nasce a Trignano di Fanano (Mo) nel 1858 è il quarto di sei fratelli. La famiglia è povera. Nel 1870 il padre muore e i fratelli maggiori devono partire in cerca di fortuna. Fabiano parte per la Corsica, l’Africa e infine l’America. Nel 1881 Domenico e Felice vanno in Francia a lavorare nelle miniere di carbone, ma il lavoro è troppo duro e tornano a casa. Lo stesso anno Felice parte per l’America e raggiunge Fabiano. Per 14 anni fa tanti lavori spostandosi verso Ovest. Nello stato di Washington, nel 1888, diventa cittadino americano col nome di Felix Pedro. Nel 1894, in un incidente minerario muore un suo amico e questo lo fa decidere di diventare cercatore d’oro. Nel 1895 si trasferisce a Forty Mile, Yukon (Canada). Quando nel 1897, negli Stati Uniti arriva la notizia della scoperta del Klondike e miglia di persone partono per raggiungere i campi minerari, Pedroni se va a Ovest a cercare in un territorio semi-sconosciuto vivendo anni di intense avventure. Riesce a diventare amico degli indiani (che odiano i bianchi). Nel luglio del 1902, malato e ormai sfiduciato, trova l’oro, uno dei più ricchi giacimenti auriferi dell’Alaska. Fairbanks, oggi la seconda città per importanza, è dedicata ad un senatore dell’Indiana che diverrà vice-presidente degli Stati Uniti. Felice è ricco e nel 1906 torna in Italia per sposarsi, conosce una maestrina e la corteggia assiduamente, ma alla fine, lei, anche per le pressioni della famiglia, rifiuta la proposta. Nel novembre dello stesso anno, in America, Felice sposa un’irlandese che gestiva una locanda. Lei lo sposa per i soldi. Il suo socio, quello che lo ha aiutato a diventare cittadino americano, gli fa causa. Felice muore a Fairbanks nel luglio del 1910 in circostanze non chiare. Nell’ottobre dello stesso anno il tribunale riconosce al socio tutti i diritti e così la moglie rimane con pochi spiccioli.

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avanti a noi si apriva una grande pianura e il fiume Copper, ora ghiacciato, sarebbe stata la nostra pista quel giorno. “Tocca a te a guidare ragazzo”, disse Felice ridendo sotto i baffi. Rimasi a bocca aperta. Proseguì: “Dai ragazzo, muoviti. Io che sono vecchio mi metto un po’ a sedere”. Mi sistemai al posto di guida, gridai: “Mush” e i cani partirono. Fu così che per la prima volta nella mia vita condussi una slitta. Non era difficile e mi piaceva. Poco dopo la tensione si allentò, mi sen-

tivo fiero e padrone del mio destino. Avanzavamo veloci su quella distesa ghiacciata, e il silenzio era rotto dall’ansimare dei cani e dal sibilo dei pattini sul ghiaccio. Me la cavai bene quel giorno. La sera pernottammo nella località di Gakona posta alla confluenza col fiume Gulkana. La località si chiamava “Chippewa”. Dovetti provvedere ai cani, li legai ad un albero e gli diedi da mangiare. Mangiarono avidamente e si accucciarono in una buca scavata nella neve addormentandosi.

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di DORIANO GAMBINI

La prima tappa Le nuvole basse ammantavano le cime degli Appennini in prossimità del Casone di Profecchia e il viottolo retrostante l’albergo che ci aveva ospitati era un pullulare di slitte, cani, linee, stake-out, e musher che lasciavano trasparire dai loro gesti, l’emozione e la tensione prima della partenza della 2° Traversata degli Appennini. I veri protagonisti, nei loro trasportini, non avevano ancora preso parte ai preparativi e solo qualche guaito usciva dalle fessure dei furgoni assieme al fumo del loro respiro. La giornata non sembrava ben augurale per la buona riuscita della manifestazione, tanto era uggiosa e grigia e le nuvole cariche di pioggia avevano fin dalle prime ore del mattino, bagnato i concorrenti intenti nei preparativi.

Tredici gli equipaggi alla partenza della manifestazione non competitiva, uno di questi, il team di Fabrizio Lovati, dava particolare lustro all’evento avendo partecipato alla regina delle sleddog race, l’Iditarod. Anche noi come gli altri curavamo i dettagli prima della partenza, scambiandoci occhiate di consenso per assicurarci l’uno con l’altro, che stavamo facendo la cosa giusta. Il mio gruppo o per meglio dire il gruppo di cui facevo parte, era arrivato il giorno prima al Casone per non dover affrontare la prima tappa con lo stress del viaggio sulle spalle, ma soprattutto per consentire ai nostri ragazzi di potersi acclimatare. Al nostro arrivo trovammo sul posto un altro team che inorgogliva l’organizzazione della manifestazione con la sua presenza, Giuseppe Prampolini e le sue ragazze, che allo stakeout, facevano bella mostra di loro. Trascorremmo la serata prima della partenza in assoluta armonia, e le ore corsero via veloci fra un bicchiere di vino e un piatto di tagliatelle ai funghi, trovava posto anche qualche battuta sullo sleddog e sulle teorie e gli aneddoti che contornano l’attività di ogni musher. Il giorno seguente, l’Avvocato con la serena cordialità che avrebbe contraddistinto tutta la manifestazione presentò, davanti ad un sontuoso banchetto di benvenuto, tutti i team partecipanti. Cercavo di carpire dagli occhi di ognuno, lo stato d’animo, ma la maggior parte di loro, già avvezzi a questo tipo di esperienza non faceva trasparire altro che tranquillità, infondendomi un senso di timore. Timore di non riuscire a portare alla fine tutte le 5 tappe per un totale di 120 km, con il team integro, timore di qualche malanno fisico, che avrebbe potuto compromettere il prosieguo e tutta una serie di insicurezze, che furono spaz-

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zate via quando, espletati i convenevoli,fu decretata la preparazione alla partenza. Rivedevo, mentre preparavo linee e slitta, tutte le fasi degli allenamenti dei mesi precedenti, le difficoltà di percorrere un chilometraggio adeguato con il team composto solo da due cani, tutte le uscite fatte da Renato con altri 4 cani per preparare il team ideale, per trovare il miglior feeling fra musher e team. Giorni dedicati con piacere alla preparazione, ma che mi costringevano a incastrare impegni di lavoro e famigliari, in modo da non trascurare nessuno, sottraendo però spesso al sonno le ore necessarie. Finalmente era la volta dei veri protagonisti. I vari musher cominciarono ad imbragarli e attaccarli alle loro linee, in un tripudio di abbai e ululati che rompeva con fragorosa irruenza il silenzioso vociare dei preparativi. Il team di Lovati arrivò alla partenza, trascinando una motoslitta e ci vollero due ancore per frenare il loro impeto che esplose in una nuvola di neve quando anche l’ultimo nodo fu sciolto. Quando ad uno ad uno tutti i teams, nella loro cromatica varietà per cani e abbigliamento, avevano passato il cartello della partenza, fu la volta del nostro gruppo. Partimmo in fila indiana sotto una pioggia battente e con una temperatura che poco aveva di invernale ma nulla a quel punto avrebbe potuto fermarci, era iniziate la nostra traversata. Giancarlo faceva da apripista inorgoglito dalla presenza della sua “Waren” nel team, composto per le altre cinque unità da Siberiani di Renato, per secondo venivo io con i miei Pack come leader e Yack come wheel, accompagnati da Sandy co-leader Misha e Kino swing dogs e Thelma Wheel, tutti cani di Renato,che con il suo team, chiudeva la fila, infondendo al gruppo e ai cani che avvertivano la sua presenza, una gradita sicurezza. Il percorso era fantastico e la tensione aveva lasciato il posto allo stupore quando in alcuni passaggi da mozzafiato, il vento impetuoso, vinceva la resistenza della pioggia e delle nuvole, lasciando intravedere qualche spiraglio di azzurro che illuminava le ampie vallate, e i boschi di Castagno e Faggio, facevano sentire la

loro voce,attraverso le fronde che risuonavano del sibilo della Tramontana. Il lavoro dei Siberiani aveva dell’ incredibile, cercavo di risparmiarli il più possibile, ma ogni volta che il tacco degli scarponi si alzava dalla neve, la slitta ripartiva senza esitazione. I passaggi fra i rifugi dei pastori si alternavano a strette mulattiere fra dirupi uniti gli uni agli altri da ponti di legno che rendevano l’ attraversamento molto tecnico, divertente e considerato anche che, data l’altezza della neve si poteva solo immaginare quanto fossero profondi i dirupi che sovrastavano, un po’ incosciente. Percorsi i primi chilometri il team di Giancarlo ci aveva seminati e il paesaggio era talmente impervio che le radioline che avevamo al collo erano inservibili e ad un certo punto, ognuno di noi non sapeva nulla, riguardo alla posizione dell’altro. Decisi di aspettare Renato che arrivò dopo qualche minuto, annunciato dai cani del mio team, che prima ancora di vedere la sua figura comparire dietro la curva, avevano già rivolto lo sguardo all’indietro, percependo quello che io non ero ancora riuscito a sentire. L’emozione della partenza aveva lasciato il posto alla voglia di vivere quell’esperienza in ogni suo momento e la tranquillità che avevo visto nei musher molto più esperti di me, aveva ormai preso il sopravvento, infondendomi una serenità tale da riuscire a percepire ogni sfumatura che la natura mi stava regalando. Ancorammo entrambi, concedendoci qualche istante di riposo per consentire ai nostri team di fare lo stesso, riuscimmo anche ad assaporare qualche merendina che al banchetto inaugurale non eravamo riuscirti a gustare, qualche bocconcino ai protagonisti e di nuovo via verso il traguardo della prima tappa. Le discese e i tornanti si susseguivano cadenzati da ampie vallate e fitti castagneti mentre i cani affondavano le loro zampe in una neve non sempre ottimale per il trotto cadenzato, ma lo sforzo che producevano per consentire un traino degno della loro indole, era commovente. Code e teste non sempre corretti erano offuscati dall’impegno nel varcare salite irte o nel ge-

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stire le successive discese che spesso erano tracciate dal solo passaggio delle motoslitte dell’organizzazione. Attorno al 20° km raggiungemmo Giancarlo che probabilmente aveva chiesto troppo al suo team tanto che la giovane Waren aveva trovato posto in sacca per consentire al resto del team di raggiungere il traguardo. Percorremmo gli ultimi 5 km che ci separavano dal rifugio posto all’arrivo di tappa, alternandoci alla testa della fila per consentire ai vari team di risparmiare tutto quello che era possibile in fatto di energie, regalando qualche sorriso e alcune derapate non troppo spinte ai fotografi che ci aspettavano in alcuni caratteristici passaggi. L’arrivo al rifugio prevedeva inoltre la percorrenza di una strada che ricoperta di neve non avrebbe dato problemi ai vari team, in realtà le alte temperature e la pioggia avevano sciolto quasi tutto il manto nevoso rendendo disponibile alle slitte solo qualche striscia alternata da asfalto ghiaioso. La situazione faceva molto Grande Nord ma i pattini delle nostre slitte erano completamente compromessi.. Al nostro arrivo tutti gli altri team erano giunti da tempo, ma poco importava, il traguardo era stato raggiunto con il massimo profitto, nonostante un tempo da lupi, nessuno aveva avuto inconvenienti gravi e tutti i componenti dei team erano integri, compresa Waren, che nel frattempo aveva ripreso appieno tutte le sue funzionalità. Guardai negli occhi tutti i ragazzi del mio team e in nessuno di loro lessi affaticamento o torpore , li ringraziai uno per uno per quello che mi avevano consentito di provare e, tolte le imbragature, concedemmo loro il meritato riposo. Attorno alla tavola della cena che seguì la chiusura della prima tappa ancora una volta la serenità e la tranquillità si poteva intuire sui visi dei singoli musher, prodighi di racconti e impressioni sull’esperienza appena vissuta. Racconti che continuarono anche prima di coricarci nella camera che ospitava tutti i componenti del ns. gruppo, Aldo “fofo”, compreso, Handler di Renato e di tutti quei musher che

gli offrivano un grappino. Non ricordo cosa sognai quella notte, so che mi addormentai con il suono delle parole di Giancarlo e il” gentile” ronzio del russare di “Fofo”.

Seconda e Terza tappa La seconda tappa avrebbe dovuto essere quella che doveva rimanere più impressa per spettacolarità e impegno, ma il maltempo non consentitì all’organizzazione di tracciare il percorso che prevedeva di salire alle pendici del monte Cusna con il raggiungimento di oltre 2000 mt. di quota, che a detta dei musher che avevano preso parte all’edizione precedente, non aveva nulla da invidiare alle cime alpine. Così aspettando la tappa notturna, la terza l’organizzazione decise di ripercorrere al contrario le piste della prima tappa. Rivedemmo gli stessi posti, ma come sempre succede, notammo alcuni aspetti che ci erano sfuggiti al primo passaggio e, anche se il maltempo non ci dava tregua, riuscimmo a carpire la magia di quei luoghi che il Lupo appenninico e’ riuscito di nuovo a colonizzare.

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Il passaggio su di un crinale estremamente ventoso, era il punto decretato per riprendere la via del ritorno, ma ci vollero 20 minuti buoni per percorrerlo tutto, prima in discesa poi in salita, accompagnati da una tramontana che sferzava la sommità del manto nevoso, accumulando neve nei passaggi appena battuti dalle motoslitte, tanto che il team in alcuni punti aveva la neve all’altezza del ventre. Nonostante cercassimo di risparmiarli, i ragazzi lavoravano al meglio, probabilmente spinti anche dal vociare degli altri teams, che la bufera spingeva al di fuori del bosco, permettendoci di sentirli distintamente, pur essendo ancora molto lontani da noi. Il ritorno al rifugio fu ancora prodigo di discese e radure spettacolari ma l’arrivo, a differenza del primo giorno, fu quasi una serena formalità, e concludemmo la tappa con i ragazzi ancora al meglio delle loro possibilità. Per la preparazione della terza tappa, la notturna, fu necessario un trasferimento al passo Pradarena proprio a ridosso della provincia di Lucca, dove un grazioso rifugio ci vide trascorrere tutta la giornata aspettando il crepuscolo e dove consolidammo i rapporti con gli altri musher che, nel frattempo, cominciavano a perdere l’uno verso l’altro quella diffidenza che molto spesso frena il nascere di solide amicizie. La stretta piacevole convivenza aveva portato benefici anche al nostro gruppo e i racconti prima del sonno, favoriti dal buio della stanza, ci scaricavano della tensione della giornata, e scoprivano ogni sera, aspetti personali che mai sarebbero emersi se non in quelle circostanze. La trasparenza delle vetrate del rifugio, nel frattempo, ci aiutava a capire quali fossero le condizioni meteo che avrebbero caratterizzato la Notturna, un alternarsi di pioggia e neve che formava uno strato di poltiglia vischiosa che poco aveva di neve morbida, ma che andando a depositarsi su quasi 4 metri di neve preesistente, non ci avrebbe causato particolari problemi. Una cosa però ci mise un pò in allarme, il percorso prevedeva l’attraversamento di un guado, l’entità del quale ci era stata inizialmente negata dai ragazzi dell’organizzazione, e solo

in seguito ne capimmo il motivo, ma la preoccupazione più grande era la reazione dei nostri protagonisti per indole restii ad entrare in acqua e l’eventuale spiacevole compagnia di scarponi bagnati. All’imbrunire finalmente il cielo smise di scaricarsi, ma le nuvole che ancora correvano via veloci, cavalcando un frizzante Gherbino, non ci davano tregua e ci avrebbero accompagnato per un tratto della discesa fino a mezza costa. I preparativi furono estremamente vivaci e coreograficamente indimenticabili. La partenza era prevista da un pianoro dal quale partiva una pista che prima di entrare nel bosco, si perdeva nella nebbia. Ad un certo punto la sommità della radura che iniziava dal ciglio della strada nella quale erano parcheggiati tutti i nostri mezzi si riempì di slitte e di linee di traino, una diversa dall’altra per colore e forma e quando fu il momento dei protagonisti, un fragoroso vociare di abbai riempì quello spazio e, mentre le nuvole perdevano la loro lotta contro il vento, un luminoso arcobaleno fece capolino dalla sommità del passo, quasi a sancire il momento della partenza. Sette equipaggi partirono quasi contemporaneamente formando una sinuosa e colorita compagine che svaniva nell’ombra del bosco che la nebbia lasciava intravedere dalla bruma del crepuscolo. Renato, Giancarlo ed io ,come al solito, decidemmo di partire per ultimi, imbragammo i ragazzi, che si erano sgranchiti allo stake-out, dopo una lunga ma rinfrancante permanenza nei trasportini e dovemmo mettere tutto il nostro impegno per frenare il loro impeto, rinvigoriti dal forzato riposo ma ancor più eccitati dalla bramosia di raggiungere gli equipaggi partiti in precedenza. Le motoslitte avevano battuto la pista, ma il manto nevoso era molle e le zampe dei cani affondavano ben oltre il garretto ma anche se il tappetino abbassato della slitta fungeva da freno supplementare perchè si caricava di neve oltre ogni ragionevole misura, i nostri team sembrava non sentissero lo sforzo, favoriti dalla discesa e dal desiderio di rincorrere gli altri equipaggi.

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Cercai di risparmiarli, fino a quando mi lascai trascinare dalla loro voglia di andare e, sollevato il tappetino, mi immedesimai talmente tanto in quella corsa da non sentire null’altro che il crepitio della neve sotto i pattini della slitta e il cupo rumore del vento nelle fronde degli altissimi Faggi di quei boschi. La lampada frontale illuminava tutto il team e irradiava all’esterno un fascio di luce che creava un cupo gioco di ombre, che si riflettevano sul bianco fiato dei cani che continuavano a galoppare nonostante i tornanti e le discese fossero diventate particolarmente tecniche. Continuavo a saltare da un pattino all’altro cercando di tenere la slitta nel tracciato che nel frattempo aveva assunto dimensioni davvero ridotte, sempre immerso in una specie di trans da sleddog, fino a quando non avvertii un suono che mi fece tornare alla realtà. Un fruscio che andava e veniva a seconda di come il vento aveva deciso di entrare nella gola che stavamo raggiungendo, non riuscivo a distinguerlo bene e anche le orecchie dei miei ragazzi cominciavano ad agitarsi nel tentativo di percepire meglio quel suono, senza però mai

rallentare la loro corsa anche se erano passati da un galoppo moderato ad un trotto veloce. Dopo qualche attimo passato ad immaginare cosa potesse essere, ripresi a guidare la slitta poggiando bene però i talloni sul tappetino che avevo fatto scendere con l’intento di risparmiare energie per una tappa che sarebbe stata ancora molto lunga, fino a quando, lasciata la parte alta della costa che stavamo scendendo, quel rumore divenne distinto. Il fragore del ruscello che aveva nei secoli scavato quella gola, ingrossato dall’acqua caduta nelle ore precedenti, lasciava presagire l’entità del guado e, in quel momento, cominciai a preoccuparmi sicuramente più dei miei ragazzi in cui però non notai nessun atteggiamento diverso da quelli che avevano caratterizzato i km già percorsi insieme. Nei pochi tornanti che mancavano,per raggiungere il fondo della gola, cercai di concentrarmi al meglio per non trasmettere ansia al mio team, ma quando, in prossimità del ruscello, i fari delle motoslitte che nel frattempo ci avevano raggiunto e la frontalina del Musher che mi precedeva, illuminarono in pieno quel passaggio obbligato,i battiti del mio cuore cominciarono a salire. La quantità di acqua che stava scendendo, aveva fatto assumere a quel ruscello un carattere più impetuoso del solito e i 10 metri da percorre erano particolarmente impegnativi nella parte centrale, che appariva più profonda. Non dovetti incitare molto i miei leader che, con un atteggiamento di coraggiosa incoscienza,cercarono di trascinare gli altri compagni di viaggio, che superarono bene il primo contatto con l’acqua, ma quando non riuscirono più ad avvertire il suolo sotto i loro piedi, perché l’acqua li aveva trasportati in alto, tanto era profonda, dovetti raggiungere la testa del team e afferrando la neck con la mano, aiutai i più timorosi a raggiungere la riva opposta. Mollai la presa, consentendo ai leader di aiutare il team a tirare fuori la slitta dall’acqua e lasciai che il team mi passasse a fianco per poi saltare sulla slitta quando mi passò vicina. Proseguii sulla slitta per qualche decina di metri prima di fermarmi per aspettare Renato e

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Giancarlo, ancorai e mi assicurai che tutto fosse andato bene. Controllai le zampe dei miei ragazzi che nel frattempo si scrollavano di dosso una gran quantità di acqua che avevano sullo strato superiore della loro pelliccia ma che non aveva minimamente intaccato il sottopelo, li abbracciai uno ad uno cercando di rincuorare in modo particolare Thelma che si era dimostrata la più timorosa, anche perchè nell’attraversamento le era mancato improvvisamente l’appoggio e la corrente l’aveva spinta in alto a tal punto da farle scavalcare Yack il suo compagno di linea, provocandole uno spavento, che colsi dal suo sguardo. Il motto” Anche questo è sleddog” che aveva cominciato a prendere un po’ tutti i componenti la comitiva, mai più di questa occasione, fu azzeccato, ma rimarrà sicuramente indelebile nella mia memoria di musher e credo anche in quella di qualche altro mio compagno di avventura, il guado della traversata. Mentre la luna fece una breve apparizione in un cielo in cui le nuvole ancora si rincorrevano velocemente, lasciammo le rive del ruscello quando anche Giancarlo che veniva dopo di me e Renato che chiudeva come sempre, si erano assicurati dell’integrità del proprio team. Sembrava tutto a posto e i cani avevano ripreso a trottare con un buon ritmo, anche se la salita che avrebbe dovuto portarci alla sommità della gola di cui avevamo appena lasciato il fondo, cominciava a farsi impegnativa, quando bruscamente i miei leader si fermarono in prossimità di una interruzione del manto nevoso. La pioggia aveva aperto numerosi rivoli di acqua che scendevano ad ogni ondulazione della parete che stavamo risalendo e, anche se non di grosse dimensioni,intimorivano il team per il passaggio improvviso dal manto nevoso, illuminato dalla mia lampada,allo scuro fondo torboso di cui non riuscivano a percepire la consistenza. Per sei volte dovetti scendere e con le stesse modalità che avevo adottato al guado, lasciavo scorrermi a lato il team che avevo sollecitato al superamento dell’ostacolo, tenendolo per la neck dei leader, e con lo sguardo rivolto alla

slitta, le salivo sui pattini al momento del suo passaggio. Quando superai anche l’ultimo di quegli ostacoli, provai l’emozione più grande di tutta la traversata, infatti, quando saltai sulla slitta e rivolsi la frontalina verso la testa del team mi accorsi che i leader erano 10 metri più avanti degli altri 4 componenti del team. La linea principale si era probabilmente sfilata in seguito a tutti i passaggi nei vari ruscelli che erano disseminati di sassi e rami e i due leader uniti solo dalla neck si erano trovati liberi dal peso del traino e avevano cominciato a percorrere la pista di gran carriera, svanendo nel volgere di pochi secondi, nel buio del bosco, lontano dalla fascia di luce della mia lampada, tanto che anche i rifrangenti delle imbragature persero di efficacia. I rimanenti componenti il team dal canto loro sembravano divertiti e presero a rincorrere i leader con un impeto tale, che per qualche decina di metri assunsero la foga di un team da 8 cani, li lasciai fare, sperando che le urla che facevo al mio Pack, gli giungessero imperative e forti nel vano tentativo di fermarli ma tutto fu inutile e scomparvero dalla mia vista nel volgere di pochi attimi. Cercai l’aiuto di Giancarlo che nel frattempo mi aveva raggiunto e di uno dei ragazzi dell’organizzazione, che non capiva cosa fosse successo, fino a quando gli spiegai che fino a pochi attimi prima il mio equipaggio era composto da 6 cani e non 4 come poteva vedere, si scusò e partì a spron battuto con la sua potente motoslitta alla ricerca dei miei leader. Furono minuti di trepidazione, il timore che si potessero fare del male era invalidante, non riuscivo a muovermi in maniera coordinata, avevo perso buona parte della mia calma, quando un urlo sulla sommità di quella che potevo immaginare fosse la fine della salita, mi fece pensare che qualche cosa fosse successo. Incitai i ragazzi del team rimasto, che partirono senza esitazione e in pochi istanti raggiungemmo la motoslitta che aveva trovato i cani al guinzaglio della compagna di Maurizio Cattafesta, entrambi musher, che più sfortunata di me, aveva perso tutto il suo team e mentre proseguiva a piedi si era sentita dietro ansimanti i

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miei leader che non avevano lasciato la pista battuta, e che aveva provveduto a fermare, mettendoli a guinzaglio La gioia di poterli riabbracciare mi fece tornare improvvisamente con i piedi per terra e mentre Renato, che aveva seguito tutta la scena, mi aiutava a sistemare la linea, i miei ragazzi, quasi a scusarsi della loro fuga, mi riempirono il viso di coccole come solo loro sanno fare quando vogliono farsi perdonare qualche marachella. Ripartimmo dopo pochi minuti in cui, ognuno dei componenti il gruppo dava la sua versione dell’accaduto, e ci trovammo di fronte ad un altro ostacolo naturale che avrebbe sancito la notturna come una delle tappe più impegnative. Oramai eravamo prossimi all’arrivo e anche le ultime motoslitte ci avevano superato per raggiungere la piazza di Cerreto Laghi dove ad attenderci c’era anche un nutrito stuolo di autorità, ma rimaneva da percorrere il muro di neve delle piste da sci della nota località. Tre strappi da trecento metri circa ciascuno, ci attendevano nel buio assoluto di quella nottata, illuminata solo dalla luce residua delle nostre frontaline e dal timido riflesso degli occhi dei nostri ragazzi. Avanzavamo in silenzio, cercando di risparmiare noi stessi e i cani, spingendo la slitta che a volte sembrava fermarsi tanto era la pendenza, nonostante i ragazzi dessero il meglio di loro, per impegno e dedizione, senza mai scomporsi. Raggiunta la cima, dovevamo percorrere un pianoro che avrebbe portato alla strada che ci conduceva nella piazza del paese, quando la voce di un ragazzo dell’organizzazione, mi invitò a salire verso di lui, illuminando con i fari della motoslitta una pista che la testa del mio team aveva appena superato. Diedi il Come haw, con il timore che la stanchezza avesse offuscato non solo il miei di riflessi ma anche quelli dei miei due magnifici Leader che un’ora prima, avevano abbandonato il team, al contrario, non ebbero la minima esitazione e presero a risalire, ripagando il mio orgoglio di musher, di una meravigliosa riconoscenza.

L’arrivo fu veramente spettacolare, fra due ali di folla plaudente, raggiungemmo la piazza dove ogni musher si complimentava con l’altro e dove il primo arrivato, aiutava quello che era arrivato dopo, sancendo ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, lo spirito di sincero rispetto l’uno verso la prova dell’altro. Abbracciai tutti i miei Ragazzi e in particolare Thelma che si lasciò coccolare e mi piace pensare che si aspettasse che lo facessi, perchè non si mosse e non brontolò come fa di solito quasi a volermi dire, “ti perdono anche se mi hai fatto prendere uno spavento”.

Quarta e Quinta tappa Il maltempo ancora una volta, costringeva l’organizzazione a improvvisare i percorsi così anche per la 4° tappa, decise di cambiare itinerario e dopo un lungo trasferimento fra le tortuose strade dell’Appennino Reggiano, raggiungemmo Pratizzano un grande pianoro,dal quale saremmo partiti per la tappa che io giudico la più rilassante. Da tre giorni i cellulari non erano in funzione e il distacco dalla quotidianità era assoluto e l’esperienza della notturna aveva rafforzato la mia autostima di Musher liberandomi da ogni perplessità, sulle mie qualità di conduttore. La partenza fu anche qui spettacolare, tutti i team avevano imbragato allo stesso momento e, aperti a ventaglio, aspettavano il segnale della partenza. Solo con un cenno della mano si poteva simulare l’ordine della partenza dei team,perchè

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l’abbaiare era veramente assordante incupito dall’eco della vallata, così partito per primo Natali, altro veterano della traversata, gli altri si sgranarono uno ad uno fino alla partenza di Ballatore, altro grande Musher, al quale avrebbe seguito il ns gruppo, che ancora una volta aveva deciso di partire per ultimo. Non avevamo l’assillo dell’arrivo e durante il percorso gli scenari ci invitavano spesso a fermarci per riempirci la vista e lo spirito di panorami resi fiabeschi dalle nuvole basse. Castagni secolari e Faggi altissimi si intervallavano a cupi verdi pinete che immediatamente lasciavano il posto a pianori su cui piccole macchie verdastre, facevano immaginare il tipo di vegetazione che poteva ricoprire qui luoghi in primavera. Piccoli stagni macchiavano le radure di un color grigio cristallo e le chiome delle Querce che li sovrastavano si riflettevano nei rivoli che ne scaturivano, oscurando il candore dell’ acqua. Il percorso era relativamente semplice e i ragazzi presero a farlo all’andata di buon passo, ma notai nel team dopo circa 10 km un cambiamento di andatura, infatti nonostante la discesa che poteva essere di aiuto alla velocità, il trotto spinto prese il posto del trotto moderato. Non li incitai e li lasciai fare fino al fondo della vallata dove era previsto il giro per il ritorno. Approfittai della pausa per verificare lo stato di salute del mio Yack che mi sembrava il più affaticato in discesa, gli guardai i polpastrelli e vidi che un taglio gli passava da un capo all’altro di un polpastrello della posteriore destra. Non mi sembrava che fosse particolarmente dolorante, anche perché il taglio era proprio sotto all’unghia in una posizione non particolarmente fastidiosa per la corsa ma in discesa dovendo puntare il posteriore, non gli consentiva di stendere al meglio la zampa. Pur avendo le booties non le misi e in effetti, in salita non ce ne fu bisogno perchè il cane, dovendo spingere, non era più così infastidito come nella discesa e il team riprese un ritmo accettabile per quelle condizioni di pista e di neve particolarmente molle.

Percorremmo il tratto in salita in assoluta tranquillità e quando raggiungemmo la sommità, le nuvole si incupirono ancora di più e il vento di Tramontana cominciò a sferzare la via che conduceva al passo, facendo volteggiare nel giro di pochi minuti una gran quantità di neve che nel frattempo aveva cominciato a scendere. Fu il momento più emozionante di quella tappa, la neve scendeva copiosa sulle slitte e sui mantelli dei miei ragazzi ricoprendoli completamente di bianco, come bianca era diventata la sacca della slitta, rossa fino a qualche minuto prima. Il silenzio era assoluto, li lasciai andare e misi le mani incrociate dietro la schiena, appoggiandomi alla slitta che, affondando i pattini nella neve della pista ricavata da una carreggiata della forestale, non aveva nessun sussulto e guardando incuriosito le tracce che i miei ragazzi lasciavano durante la loro corsa, rimasi ammirato della compostezza del team che prese a trottare in maniera uniforme tanto che ad un certo punto non feci a meno di notare che, almeno i quattro di loro che potevo vedere, appoggiavano lo stesso piede nello stesso momento. L’effetto visivo era emozionante. La nevicata continuò fino all’arrivo e lo spettacolo della vegetazione che avevamo ammirato all’andata era completamente cambiato. Arrivammo al rifugio dal quale eravamo partiti dopo 25 km di marcia che i ragazzi superarono brillantemente nonostante gli sforzi fatti in notturna non fossero ancora stati assorbiti completamente e concedemmo loro il meritato riposo nei trasportini prima di rifocillarli con una abbondante razione. All’improvviso la tramontana che ci aveva fatto compagnia nei passi più in alto rispetto al rifugio che ci ospitava, spazzò via completamente le nuvole che nel frattempo avevano scaricato 20 cm di neve e un sereno quasi primaverile, macchiò il cielo di un azzurro intenso, tanto che, guardando all’orizzonte, si aveva l’impressione che un pittore impressionista avesse appoggiato alla parete di nuvole, un quadro appena dipinto. La nottata trascorse tra lunghe chiacchierate, scambi di ringraziamenti e per alcuni qualche bicchiere di troppo, ma quando fu il momento

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di coricarci non riuscimmo, come facevamo di solito a scambiarci le impressioni della giornata, la stanchezza aveva preso anche noi e ci addormentammo augurandoci a malapena la buona notte. L’aria pungente del mattino seguente ci scosse dal torpore della levataccia e, accuditi tutti i nostri ragazzi, ci preparammo per raggiungere la partenza della tappa conclusiva, quella che io definisco la più spettacolare. Il paese di Monchio delle Corti ospitava e rendeva omaggio a tutta la colorita carovana con un banchetto di benvenuto nella piccola piazza, prima della partenza posizionata sopra la collina che sovrasta il borgo Parmense. Dovevamo percorrere quella che per tanti secoli era stata la via del sale che da Aulla consentiva ai commercianti liguri di scambiare il prezioso minerale con le merci delle genti della Pianura Padana. Il maltempo, sembrava volesse regalarci una giornata di tregua e un timido sole aveva ambrato le cime delle vette più alte dell’ Appennino a ridosso delle province di Parma e Reggio. Tutti i Musher decisero di vestire il giubbetto di colore rosso che ci era stato regalato al momento della partenza della prima tappa, onorando e ringraziando ancora una volta tutti i ragazzi dell’organizzazione che nel frattempo avevano eletto “FOFO”, la mascotte del gruppo, che era riuscito ad averne un giubbotto pure lui e lo mostrava come un trofeo, ringraziando l’avvocato con l’immancabile brindisi. Cominciammo ad imbragare mentre i team più veloci, avevano già lasciato l’inizio della pista e quando decidemmo di partire, forse scaramanticamente o forse per caso, l’ordine fu quello della prima tappa: Giancarlo io e Renato. La salita si presentò subito impegnativa ma i ragazzi reagivano molto bene,sembrava avessero assorbito tutte le fatiche delle tappe precedenti,e presero a salire senza esitazione puntando i posteriori e con un accentuato movimento delle spalle, che evidenziava l’angolo del loro avambraccio. Trascinavano la slitta senza bisogno di incitarli e i due leader cercavano di guidare il team nel-

la stretta striscia di neve battuta dal passaggio della solo motoslitta. Al di fuori della traccia,un candido manto di neve alta e un susseguirsi di alberi fiabescamente ricoperti di uno strato di galaverna formatasi durante la precedente notte stellata, ci accompagnò fino alla sommità del crinale che consentiva, fra una radura e l’altra, di volgere lo sguardo sia sul versante Reggiano sia su quello Parmense, in un tripudio di colori invernali che si fondevano in un paesaggio dove la natura faceva vedere di quali miracoli fosse capace. Percorsi quasi 5 km, quel paesaggio ci salutava consentendoci di passare sotto ad un tunnel di rami che per il peso della neve si erano piegati sulla traccia che stavamo percorrendo quasi a sancire l’uscita da quel mondo di bianche illusioni, per di più, alla fine del tunnel una ripidissima discesa estremamente tecnica, ci costrinse a mettere alla prova tutta la nostra abilità di musher e il magnifico valore dei nostri ragazzi. La motoslitta non era riuscita a battere bene la neve in quei punti e solo la forza e la perizia del team, mi consenti di tenere sempre in traccia la slitta che, sfiorando Lecci e Castagni, disegnava sinuose scie di neve subito cancellate dal team di Renato che a stento riusciva a frenare l’impeto del suo di team. Percorremmo quasi 600 metri di dislivello in quella maniera fino a quando una traccia uniforme e piatta, fra boschi di Castagno, ci consenti di prendere fiato e, guardando verso Renato, feci un cenno di consenso con il capo e alzando il braccio verso il cielo, ringraziai la montagna di quella emozione. La pista era sempre spettacolare perché correva a mezzacosta e la vista stupenda della vallata, ci accompagnò fino alla sommità delle piste da sci della nota località Parmense di Schia, ma poco prima di arrivare in cima, il team mi regalò una nuova grande soddisfazione. In lontananza scorsi volgendo lo sguardo verso la sommità del monte, un rivolo che scendeva e creava un ruscello che mi fece tornare alla mente il ricordo dei guadi della notturna, mi avvicinai in silenzio e fidandomi dei ragazzi

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non li incitai ne tantomeno cercai di trattenerli agendo sul tappetino. Arrivati in prossimità del Guado i leader non ebbero nessuna esitazione e si portarono dietro Kino e Misha che a loro volta passarono oltre, ma soprattutto Thelma che aveva sicuramente un brutto ricordo, non ebbe neppure un attimo di esitazione e tutto il team fu sulla sponda opposta in una unica ordinata formazione. Fu l’ultima grande soddisfazione che i ragazzi mi vollero regalare e mi piace pensare che nel percorrere tutti quei km i ragazzi mi hanno aiutato a crescere come musher e io ho aiutato loro a crescere come veri cani da slitta. Raggiungemmo Giancarlo che nel frattempo era già arrivato alla base delle piste e insieme, ancora fra due ali di folla festante che ci guardava con incuriosita ammirazione, raggiungemmo l’arrivo lasciando l’onore della testa del nostro Gruppo a Renato che regalandoci per qualche giorno l’affetto dei sui ragazzi, ci aveva fatto vivere l’emozione di un sogno che si realizzava, quello di un musher che con il proprio team vive fino in fondo il miracolo della natura.

Con affetto e ammirazione a Giancarlo, Renato e “FoFo” per lo straordinario contributo di esperienze personali, a tutti i musher della 2° traversata per la coinvolgente condivisione di una passione, a tutta l’organizzazione della Proloco Di Miscoso, che mi ha consentito di esaudire un sogno e il ringraziamento più grande a Pack, Sandy, Kino, Misha,Yack, Thelma. Gambini Doriano

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Ornella BONI PREMESSA Ciò che mi ha spinto a condurvi per mano in questa storia incredibile è stato il racconto di Roy (Giornalino n.3/2008) di Daniele Rotondella. La voglia di mettere in luce quanto odio e quante persone speculano sulla vita degli animali, è stata così forte da spingermi a farmi ancora del male ma solo per raccontare la sfortunata vita di Yuri. Non basta essere un semplice amante della razza per essere classificato un buon padrone Una realtà che molti cercano di nascondere, motivazioni assurde e in qualche modo malsane per giustificare una follia umana che ormai sta dilagando senza freno, traducibile anche in video terribili che compaiono in rete, come il famoso YOUTUBE, che incitano alla violenza gratuita su esseri indifesi.

Come si può far star fermo un cucciolo di pochi mesi che ha tutta l’energia e la vitalità del conoscere ciò che lo circonda??? Come si può impedire ad un cucciolo il contatto “umano” e la socializzazione, necessaria, con altri simili e umani, per una crescita equilibrata ??? Domande che restano senza una risposta certa perché la mentalità della gente, oggigiorno, segue maniacalmente la massa, spesso senza neppure soffermarsi a ragionare se quello che si segue corrisponde effettivamente a verità o se si tratta del solito allarmismo per far notizia. La sua esistenza è stata un altalena di possibili capo-branco umani e sbarre di ferro, inutili illusioni di carta che alla prima caduta, se incontravano il fuoco, bruciavano all’istante irrimediabilmente.

C’è il tempo per ogni cosa …..

A due anni la svolta. Così almeno pareva.

Ho atteso un po’ prima di decidermi a raccontare la storia di Yuri, splendido Siberian Husky puro di un anno e mezzo dal mantello bianco e grigio e dagli occhi di ghiaccio ucciso barbaramente in un giornata di estate. Per ovvi motivi di privacy eviterò qualsiasi riferimento che possa far riconoscere località e nomi dei volontari che assieme a me hanno fatto di tutto per salvarlo. Non ultimo, l’ intervento fondamentale della mia bimba, Key.

Fu adottato da un contadino che gli offrì tanto spazio verde dove correre, e qualche carezza alla sera al tramonto del giorno. Anche per Yuri era finalmente arrivato il giorno del riscatto!

Yuri ha avuto una vita movimentata sin da cucciolo, la sua vivacità metteva a dura prova i vari proprietari che puntualmente dopo poche settimane lo riportavano indietro al canile. Si, proprio quel posto dove si intravede il mondo da dietro le sbarre immaginando il colore del sole e l’odore dell’erba appena tagliata. A cinque mesi aveva già sperimentato il dolore di essere rifiutato da ben quattro famiglie che lo punivano chiudendolo in un stanzino buio ogni qualvolta combinava una marachella.

Pur di non tornare ancora in canile, cercava di trattenere la sua voglia di vivere, ma nel cuore conservava l’anima del cucciolo che non aveva potuto essere. I giorni trascorsero, i mesi passarono e lui si sentiva ormai a casa in un porto sicuro. Era come ritrovare “quel” posto che si pensava ormai perduto ma sempre vivo nel cuore. Quegli occhi di ghiaccio scrutavano il mondo con la curiosità di un bambino che vede per la prima volta tutte le sfaccettature delle cose, quel “desire to run” lo vedevi nelle sue corse a perdifiato, felice come mai lo è stato, quel suo essere selvaggio splendeva quando si sedeva in contemplazione dell’orizzonte.

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Poi, un giorno vide una “cosa” che svolazzava, poi un’altra, un’altra ancora: l’istinto del lupo si manifestò automaticamente, è nel loro Dna. Una distesa di galline copriva metà distesa del podere, un irresistibile e indomabile gioco del più forte. Ne uccise una e per lui cominciò l’inferno. Fu preso a bastonate, massacrato di botte e isolato in un recinto all’aperto. Giorno e notte. Quando la volontaria mi chiamò chiedendomi aiuto, Yuri rimaneva in quelle condizioni da due giorni. La voce disperata di questa ragazza sortì i suoi effetti, ma mentre mi trovavo al telefono notai una cosa strana. La mia piccola Key stava seduta sul divano, mi dava la schiena, e ululava piano come se “chiamasse” qualcosa o qualcuno. Non mi era mai capitato prima, lo giuro, ma questo fatto mi lasciò di stucco totalmente, brividi mi percossero su tutto il corpo e in un momento “compresi” ciò che la mia piccola cercava di trasmettere. Key aveva percepito attraverso le mie lacrime e la mia agitazione che c’era qualcosa che non andava. Di getto presi Silver e Key con me e attesi l’arrivo della volontaria che doveva venirmi a prendere, nel tragitto lei mi informò che Yuri non si faceva avvicinare da nessuno, era molto debole ma ancora attaccato alla sua dignità. Era venuta a conoscenza di me attraverso la voce di altre volontarie che sapendo della mia particolare conoscenza di questa razza, le avevano dato il mio contatto nella speranza che io potessi fare un miracolo. Il miracolo però lo fece la mia bimba. Dirvi cosa mi fece agire in quel modo piuttosto che in un altro non so davvero spiegarvelo: era come se un filo invisibile collegasse la mia mente con quella, sensibile, della mia cucciola. Una volta arrivata sul luogo, vi trovai i tre volontari che brevemente mi spiegarono che non conoscendo bene l’indole caratteriale di questa razza avevano provato invano ad avvicinarlo per le prime medicazioni e successivamente

per il trasporto immediato presso il veterinario che era stato già allertato. Pensai che era già passato maledettamente troppo tempo, bisognava intervenire subito senza alcuna esitazione. Liberai Key nel recinto e restai fuori in attesa di potermi avvicinare. La mia piccola lupa gli girò attorno, decisa, poi distesa vicino cominciò a leccarlo mentre lui la annusava alzando a mala pena la testa. Fu in quel momento che entrai e lentamente, a carponi, mi trovai a due passi da lui. Fu necessario addormentarlo purtroppo, e vederlo lì disteso quasi ai miei piedi mi ha strappato il cuore ma sapevo che era per il suo bene, sapevo che anche un solo minuto era prezioso ormai. L’impazienza e la tensione di quel giorno non ebbero mai fine, questa esperienza mi ha segnato molto ma nello stesso tempo mi ha confermato, se ancora ce ne dovesse essere bisogno, l’integrità di questa razza e di come “comunicano” tra di loro in un modo a noi ancora inaccettabile ed incomprensibile. Yuri rimase in coma per alcuni giorni, mi informai quotidianamente sulle sue condizioni che rimasero gravi da subito. So che potrà sembrare cosa insolita, ma la mattina del quinto giorno Key ricominciò ad ululare, un grido più forte, Silver si unì a lei e io non volli “sentire” ciò che loro mi stavano comunicando. Il loro era un saluto di addio verso un loro simile che non avevano mai conosciuto fino ad allora. Yuri non ce l’aveva fatta. Aveva finito di soffrire, aveva finito di conoscere solo l’odio e la violenza dell’essere umano che credeva essere suo amico. Quando arrivò la telefonata il mio cuore si fermò con il suo, quasi in contemporanea, uno smacco per me che non sarei riuscita a superare neppure nei giorni seguenti. Ciao piccolo grande lupo, di te conservo solo l'immagine nel cuore, i tuoi occhi che splendevano e nei quali si poteva intravedere il tuo spirito "selvaggio" ancora incontaminato dalla mano dell'uomo, la fierezza di essere un lupo a tutti gli effetti. E come un soffio di vento te ne sei andato.

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RAJA Salve a tutti sono Elena a fine dicembre 08 ho proposto ai miei genitori di prendere un Siberian approfittando del fatto che a luglio mi laureo in ingegneria e quindi sarebbe stato il regalo più bello che avrei potuto ricevere. Dopo un po di attesa e di decisioni ben ponderate e dopo aver superato gli ultimi esami rimasti i miei a febbraio mi hanno dato la stupenda notizia che erano d’accordo per l’entrata in famiglia di un nuovo membro: potete immaginare la mia felicità !! Ovviamente in quei due mesi non me ne sono stata con le mani in mano ma mi sono informata il più possibile sulla razza (è il mio primo Siberian e anche il mio primo cane però non di mio padre che ha sempre avuto fin da piccolo cani) e mi sono informata presso vari allevamenti per avere informazioni più dettagliate ed anche su eventuali cucciolate disponibili. Il giorno del si definitivo sono andata a ripescare le varie mail ricevute ed essendo passato un pò di tempo ho richiesto la disponibilità di cucciolini. In più andando a vedere sul sito del club e sui siti di allevamenti mi sono imbattuta sul sito dell’allevamento Keral’ghin e io e mio papà siamo rimasti ammaliati dalle foto mostrate dei cuccioli e dei vari esemplari e quasi per una sorta di strana attrazione abbiamo contattato l’allevatore il signor Filippo Cattaneo che ci ha comunicato che aveva una cucciolata nata il 15 dicembre 08. Noi desideravamo una femminuccia e la cucciolata era composta da 1 maschio e 2 femminucce tutti e tre rosso chiaro con occhi ambra. La settimana dopo eravamo a Pontremoli a vederle. La mia piccolina, dei tre, è stata la prima a venirmi incontro e per tutto il tempo continuava a sbaciucchiarmi e a saltarmi addosso quindi la mia scelta non poteva essere che lei!!! anche se ovviamente anche gli altri due erano stupendi però erano più indifferenti alla mia presenza.

La settimana dopo (il 19 febbraio) sono tornata a prenderla per portarla a casa. In tutto ciò non vi ho ancora detto che vivo a Milano in appartamento con un bel terrazzo, molto vicina (10 min di macchina) a una grande parco (parco nord) e ho anche attaccato a casa un discreto parco con il recinto per cani di circa un 600mq molto naturale (non il classico rettangolo senza erba) c’è un pezzettino in pianura poi una specie di collinetta e avvallamento con tanto prato e tanti alberi (insomma piacevole non il classico recintino, vi farò avere delle foto se siete interessati) dove lei ha trovato un sacco di “amici” anche della sua età con cui gioca e fa delle corse e si diverte un sacco quando andiamo li. Inoltre mio papà è un assiduo pescatore/fungaiolo e se la porterà sicuramente dietro a fare lunghe passeggiate! In casa siamo in tanti!! Fanno parte della famiglia anche due gatti (Luna di 13 anni e Tigro di 8 anni) e un cricetino russo (Willy di quasi un anno). Il viaggio a casa in macchina è stato tranquillissimo ha pianto per 5 min poi si è calmata e si è messa a dormire per tutto il tempo su di me. Arrivati a casa è stato un po’ un disastro sia per lei che era tutto nuovo sia per i gattini che erano sconvolti!! Lei devo dire che non ci ha messo un nanosecondo ad adattarsi non ha nemmeno pianto la notte. Col passare del tempo sta andando sempre meglio convive con i gatti e li rispetta molto a parte a volte che vuole giocare e non capisce molto che loro non vogliono!! con Luna non va molto d’accordo perché la gatta continua a soffiarle se si avvicina mentre con Tigro le cose vanno sempre meglio si dan-

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no perfino i bacini ogni tanto! Comunque riescono a condividere pacificamente la stessa stanza e anche il terrazzo! Le cose quindi stanno procedendo al meglio lei è intelligentissima impara subito e capisce quali sono le cose che non deve fare anche se da buon Siberian a volte è un pò testona, è obbediente, deve ancora imparare a tornare al comando vieni quando la si chiama perché a volte se è indaffarata in qualcosa o sta giocando con gli altri cani non gli interessa nulla che la stai chiamando!! Eh eh! comunque devo dire che la maggior parte delle volte ritorna… E’ molto socievole con gli altri cani anche con gli umani anche se a volte ci sono alcune persone che proprio non le piacciono e alle quali non si avvicina proprio. In casa non ha mai (per ora!!) combinato disastri; fin dal primo giorno che era in casa ha sporcato sui giornali o sui tappetini assorbenti… Ecco l’unico “disastro” è che si diverte un sacco a giocare con l’acqua e a fare le immersioni con la faccia!!!! Allagando il bagno!! Però per quello basta una asciugata nulla di grave… L’ho portata anche a fare un picnic sul fiume ed è impazzita! La prima cosa che ha fatto è stata buttarsi in acqua! fantastica! In tutto questo è successo però un brutto episodio: un bull terrier l’ha attaccata nel recinto dei cani mentre stava giocando con una dei suoi amici (un incrocio con un border collie), le ha preso la zampa anteriore sinistra e non la mollava più!? Potete immaginare la paura e lo spavento sia di mia madre (era lei al parchetto in quanto io ero in ufficio) che di Raja! Stavo svenendo quando me l’hanno comunicato per telefono mi ha preso un ansia e uno spavento! Portata subito alla clinica veterinaria e operata subito per ricucirle una parte di muscolo, la sottocute e la cute; il veterinario ci riferì che non era grave come ferita anche se le aveva toccato il muscolo (Per fortuna!) e che si sarebbe ripresa in una 20 di giorni. E’stata molto forte, si è ripresa subito! il giorno dopo era già in piedi che saltava e giocava

ed io che tentavo di tenerla calma e tranquilla inutilmente!! Ora sta benissimo però essendo successo un mese fa (6 aprile) ha ancora la parte col pelo corto e con la cicatrice; ma il suo pelo huskoso sta già ricrescendo in fretta! Come lei del resto che cresce a vista d’occhio! Adesso sono passati mesi è cresciuta tantissimo… ormai ha quasi 9 mesi ed è diventata alta e snella… forse un po’ troppo snella ma credo sia dovuto solo al caldo! Ma è comunque bellissima! Ha un musino disegnato stupendo ed è dolcissima. E’ un po’ noiosina nel mangiare ma sa che se non mangia la sua carne salta il pasto, nonostante questo spesso preferisce non mangiare piuttosto che il cibo nella ciotola!! Che testona! (da notare che mangia carne fresca tutti i giorni, chissà che cos’ha da schifare!!!!!) Abbiamo passato le vacanze insieme io e lei e ci siamo divertite tantissimo:è una compagna fantastica!la portavo ovunque. abbiamo fatto gite e devo dire che le piace molto di più fare il bagno e la pazza al lago che al mare anche se non disdegna neanche quello!! Stiamo avendo un po’ di problemi di relazione con gli altri cani femmine ora al rientro dalle vacanze ma credo solo che sia una cosa passeggera giusto perché abbiamo passato un mese isolate da altri cani, in ogni caso sicuramente è una parte del suo caratterino! Ci aspetta un bel futuro insieme, a me e alla mia compagna, ne sono certa!! Di nuovo un saluto a tutti Elena & Raja

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v

i scrivo così, di getto, appena dopo aver letto il vostro messaggio... e, purtroppo, anche il comunicato. La prima cosa che mi viene da dire è... NON CAPISCO! Il SHC-I chiude e io non ne capisco il perchè! "Certo...", mi risponderete voi, "troppo comodo allarmarsi ora che la decisione è stata presa, ma perché quando si cercavano candidature per le cariche sociali, non ti sei fatto avanti?" Beh, se fosse importante il motivo per cui io personalmente non mi sono fatto avanti, ve lo direi, ma non credo che le cose cambierebbero... Comunque ve lo dico, perché quando si affrontano discussioni serie e di merito, come ho intenzione di fare in questa mia mail, è giusto sgombrare il campo da ogni ombra ed essere onesti: anch'io in questi ultimi mesi HO CHIUSO! Ho chiuso con la mia vita precedente: sono passato attraverso la separazione da mia moglie, un trasloco ed una completa riorganizzazione della mia vita. E vi assicuro che l`unica pena che ho avuto in questo periodo è stata quella di fare ogni sforzo per cercare di trovare una sistemazione che mi consentisse di tenere la mia cagnolina con me...e forse ce l'ho fatta. Farò un periodo di prova lasciandola con la mia ex-moglie durante la settimana e poi tenendola con me per i week-end. Spero che vada bene, perché il solo pensiero di cercarle una nuova famiglia mi uccide! Bene, non per giustificarmi, ma penso che in quel che ho raccontato in queste poche righe possiate trovare un buon numero di ragioni per cui io sia stato "poco attento" alla vita del Club... Ed ora veniamo al punto: qual' è il problema? Se non ci sono candidati per il rinnovo delle cariche, perché si deve arrivare alla chiusura del club? Cos'e` che vieta a chi ha già assunto tali cariche in passato di ricandidarsi? Forse il regolamento? Se è questo il motivo, allora penso che qualsiasi socio sarebbe disposto a condividere una modifica del regolamento piutto-

Pubblichiamo con piacere questa mail giunta in redazione appena dopo la diffusione del comunicato di chiusura club; la pubblichiamo, non senza un “pizzico” di commozione, perché riassume con spontaneità le riflessioni “a caldo” di molti di voi. Grazie ancora a tutti.

sto di arrivare alla chiusura. Se invece il problema è che mancano le candidature anche da parte di quelle persone che hanno già retto il club in passato, beh...allora il problema è più serio, ovviamente, e di difficile soluzione. Forse appunto bisognerebbe ripensare al club in modo diverso, non più un vero e proprio club, ma un gruppo di simpatizzanti con pochissime cariche.... che ne so (sto scrivendo di getto come ho detto prima), magari solo una segreteria, un responsabile del sito ed uno per il giornalino, tre persone in tutto, attingendo a piene mani, per i contenuti, dai contributi dei soci... D'altra parte se si dovesse partire da zero sarebbe tutto più difficile, ma dato che questi strumenti già ci sono (il nuovo sito è bellissimo!) perché rinunciarvi e lasciarli morire? Certo, mi rendo conto che in questo periodo di rinnovo cariche le candidature non arrivavano nemmeno a tre, ma io non sono sicuro che i soci abbiano capito veramente che l'alternativa sarebbe stata la chiusura del club! Vabbè` che io, per i motivi di cui sopra, sono stato un po’ meno attento, ma non avevo colto allarmismi negli editoriali in cui si sollecitava la maggiore partecipazione! D'altra parte (man mano che scrivo sto cercando di trovare un razionale della vicenda!) che il club abbia sempre sofferto di scarsa partecipazione attiva degli iscritti, forse è dovuto allo stesso genere di motivi che ne hanno decretato, negli anni, il successo, nella sua dimensione attuale.

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Mi spiego meglio: credo di interpretare il pensiero di molti soci se dico che tutti coloro che hanno preferito aderire al SHC-I piuttosto che al SESHI è per la natura stessa del SHC-I, per il suo modo di porsi... Il SHC-I offre una porta d'ingresso nel mondo del siberian husky a tutti coloro che si avvicinano per la prima volta alla razza, essendo degli emeriti ignoranti in materia, o che magari dopo avere visto dei bellissimi esemplari in qualche film sono spinti dalla curiosità di saperne di più. Il SHC-I è quell'AMICO esperto a cui non ti vergogni di fare quelle domande che si fanno sempre quando si è all'oscuro della materia, nella fattispecie di una razza canina ("Ma abbaia molto?" "Lo posso tenere in appartamento?" "Quante volte al giorno ha bisogno di uscire?" "Soffre a stare da solo?" "Quanto può costare un cucciolo?"......e quante altre ne avrete sentito in questi anni e a cui avete sempre cortesemente, e con passione, dato risposta). Il SHC-I, almeno questo è il modo in cui io lo vivo, è (dovrò abituarmi a dire "era"?) la CASA di quelle persone divenute proprietarie di siberian husky ma che non hanno esperienza pluriennale di allevamento; di quelle persone, amanti della natura, per le quali il siberiano diventa il naturale compagno di avventure per una scarpinata in montagna, una ciaspolata sulla neve, senza per forza avere un numero sul pettorale ed un cronometro alla mano; per quelle persone che magari vogliono avere una cucciolata di siberian husky, ma non sono interessati al mondo dei CAC, CACIB, BIS, BOS, BOB e quant'altro.... Beh non so come spiegarlo meglio: io mi sono iscritto al SHC-I perché volevo essere parte di una famiglia che sentivo fatta di persone che condividevano i miei interessi e la mia passione per il SH, perché non ho mai pensato di far diventare la mia “bimba” una professione, o meglio una professionalità. Altrimenti forse l'affiliazione più appropriata sarebbe stata una altra…

dono un siberian, forse due o tre, che si sono avvicinati alla razza non da moltissimo tempo e che non sono super-esperti, magari persone che hanno fatto il corso da musher, ma praticano lo sleddog in maniera non agonistica, da persone che non capiscono la differenza tra un esemplare "molto promettente" o "ecc." ed uno "normale" o anche "bruttino". Di conseguenza, quando uno non si sente "esperto" della materia, difficilmente si sente "titolato" a ricoprire cariche ufficiali, quando uno non si sente competente al massimo livello non può sentirsi a proprio agio in un ruolo in cui gli può essere richiesto di dare pareri e risposte. Questa è solo una mia interpretazione... opinabile, certo, come qualsiasi opinione, ma legittima. Beh, ho dato sfogo ai miei pensieri, quindi non potevo essere breve e conciso. So che forse è tardi, ma se si potesse fare qualcosa per salvare il club, o trasformarlo in qualcosa di più snello (nel senso di "più facile da gestire", non è, la mia, una critica del club, quale è stato finora) ma ugualmente fruibile dagli appassionati, io ci sono. Sono sincero: rinunciare alla competenza, alle conoscenze, all'esperienza ed ai preziosi consigli vostri, della presidente, e di tutti coloro che erano soliti scrivere sul giornalino o pubblicare contenuti sul sito, mi sembra un delitto! Se però non si potrà fare più nulla vi ringrazio del vostro lavoro, che ho avuto modo di apprezzare in questi ultimi due anni, e vi ringrazio perché quando ho avuto bisogno dei vostri consiglio, voi siete stati presenti e pronti.

Forse la ragione che obbliga il club a chiudere è la stessa che ne ha sancito il successo: la maggior parte di soci sono persone che possie-

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Grazie, ciao (lettera firmata)

Fine di una bella avventura


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Ma i Soci… proprio non ci stanno… Monica Chasseur vorrei "sottoscrivere" questa bella lettera inviata da uno dei tantissimi appartenenti alla grande famiglia del club, perché esprime anche la totalità del mio pensiero e di quello di moltissimi altri soci (ne sono certa!). Ci tengo anche ad esprimere il mio rammarico per la chiusura del club, pur rendendomi conto che io per prima sono decisamente stata "passiva" nei confronti dei rinnovi delle cariche nel corso degli anni. In ogni caso mi piacerebbe che insieme ai miei sentitissimi auguri di natale vi giungano anche la mia vicinanza e il mio profondo ringraziamento per ciò che tutti voi siete stati per me in questi anni. quando mi sono avvicinata a questo meraviglioso club ero ancora "piccina" e non avevo quasi mai nemmeno accarezzato un siberian, mentre adesso sono qui a scrivere questa mail portandomi nel cuore tutti i numeri del giornalino (gelosamente archiviati nel ripiano della mia libreria dedicato a questa passione che ci accomuna tutti), tutti i consigli e le risposte che ognuno di noi soci ha sempre trovato nel club, tutti i sorrisi e la passione che ci avete trasmesso, le foto, i libri, i pareri di veterinari e allevatori esperti e coscienziosi, le gare, lo sleddog, il mondo delle expo,TUTTO QUANTO. questo club per noi è stata una finestra sempre aperta sull'amatissimo mondo del SH! Doriano Gambini apprendo con rammarico della decisione del club, da neo socio mi rattrista molto poiché credevo di aver trovato finalmente, un gruppo di persone che oltre a valorizzare la razza, teneva conto anche di chi, pur non essendo allevatore, condivideva l'amore per questi magnifici animali, con tutti coloro che anche con un solo cane, sognano gli spazi infiniti che è facile leggere negli occhi dei nostri nordici. So che possono sembrare frasi di circostanza ma credetemi non è così.

Luciano Caveiari Cari Amici , mi spiace molto per la decisione presa , ma concordo perfettamente sull'analisi fatta dalla Presidente Adele Oldani. Da parte mia non ho che da ringraziarvi per le tante cose apprese nel corso degli anni leggendo i vari articoli sul "giornalino". Sergio Monterisi Sono davvero molto dispiaciuto per la chiusura. Come membro di Staff di un Club di migliaia di iscritti, non potendo fare altrettanto per mille ragioni, ho sempre invidiato l'esistenza del Vostro trimestrale e ovviamente i contenuti sono sempre stati di grande interesse per tutta la famiglia. Spero ci possa essere un ritorno a breve. Sono anche molto dispiaciuto per la chiusura del bellissimo gruppo facebook (spero si possa mantenere il materiale sino ad ora apportato) Benedetti Giulio la comunicazione della chiusura del club ha colto di sorpresa anche me, sebbene fosse chiaro che ultimamente qualcosa mancava nell'organizzazione. Non conosco le opinioni e i motivi del "direttivo" del club, e non mi aggiungo alle opinioni di altri, ma ti scrivo per dirti che il lavoro che fate è sempre ottimo, soprattutto ora che vi vedo quasi quotidianamente su facebook. La perdita del club, soprattutto per chi gli ha dato tanto come voi nel corso degli anni, sicuramente non deve essere un colpo facile da assorbire. Ad ogni modo ti ho scritto questa mail soprattutto perchè volevo dirti che, pur nell'inevitabile chiusura del club, chiudere anche i contatti internet mi sembra una gran disdetta. Il lavoro che fate ogni giorno è davvero stupendo, e le foto che raccogliete sono per me e credo per tutti un irrinunciabile appuntamento. La vostra presenza su facebook è motivo di gioia e spensieratezza per molti. Per questo ti chiedo, sapendo di approfittare della tua dedizione, di poter continuare ad essere presente su internet in qualche modo. E tante altre ancora…

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Che commozione‼! GRAZIE a tutti


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La storia del Club in cifre Grazie a tutti Anno

Presidente

Affisso ENCI

Numero Soci

Rinnovi %

Nuovi Soci

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Marisa Brivio Chellini

All.to “del Tornese”

Marisa Brivio Chellini

Socio fondatore

125 85 87 154 156 116 121 142 153 171 173 181 174 156 155 159 164 198

44,00 70,58 73,56 64,93 55,76 79,31 77,68 66,19 71,24 72,51 76,30 74,58 72,41 77,56 79,35 81,76 87,19

30 27 90 56 26 29 48 59 62 49 45 46 29 34 36 34 55

Marisa Brivio Chellini

Giudice Internazionale

Jessica Vallerino

All.to “delle Ombre Lunghe”

Jessica Vallerino

Socio fondatore

Jessica Vallerino Filippo Cattaneo

All.to “del Keral’ghin”

Filippo Cattaneo

Socio fondatore

Filippo Cattaneo Maurizio Benotti

All.to “della Farha”

Maurizio Benotti Maurizio Benotti Maurizio Guiducci

All.to Oh Cum Ga Che

vacante vacante Adele Oldani

All.to “Trailblazer”

Adele Oldani

Socio fondatore

Adele Oldani

Con l’uscita di questo ultimo numero del trimestrale del Club si conclude la storia del SHC-I. Un ringraziamento immenso a quanti, nel corso di questi anni, hanno permesso che questa pubblicazione migliorasse costantemente sia nei contenuti che nella veste grafica, passando da semplice notiziario/bollettino di pochi fogli a rivista trimestrale con copertina a colori e uscita puntuale con una media di 48 pagine a numero. Un lavoro impegnativo che ha visto l’ammirevole collaborazione disinteressata sia di esperti nelle varie discipline sia semplici soci motivati dalla grande passione per questa meravigliosa razza. Cercheremo di non “disperdere” questo patrimonio di storia, informazioni, notizie, curiosità ed utili consigli impegnandoci, in prima persona, a renderlo accessibile a tutti utilizzando le migliori tecnologie a nostra disposizione. Nel contempo comunichiamo che potranno essere richiesti i numeri arretrati al solo costo delle spese di spedizione (fino ad esaurimento scorte di archivio).

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