TEMA numero 5
Growing old copertina: Anna Grimal
INDICE
Editoriale
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Francesco Barocco
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Jacopo Miliani
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Laurina Paperina
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Giorgia Severi
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EDITORIALE È stato un inizio anno frenetico e complesso, emozionante.
che non smette mai di studiare la storia, terreno fertile per il suo lavoro.
A gennaio abbiamo lanciato un open call: chi vuole illustrare le nostre copertine? TEMA ha fatto così il giro del mondo, grazie anche alla collaborazione con BOLO, casa editrice e magazine indipendenti, per fermarsi in Spagna. Da lì infatti arriva Anna Grimal, col suo stile asciutto e ironico ci ha convinti interpretando il tema della crescita come eterna misurazione della persona. Benvenuta Anna!
Oppure chi intreccia le discipline tra loro: teatro, fotografia, installazione, internet e pubblico. Nelle opere di Jacopo Miliani ognuno ha un ruolo da giocare in un tempo dilatato.
Nel frattempo la crisi economica e sociale in cui viviamo pone interrogativi grandi e mette alla prova i sogni. Ed ecco che la risposta ai problemi è proprio nel titolo di questo quinto numero: “Growing old”: questo è il momento di crescere, di evolversi. Così vi dico che da qui alla fine dell’anno le novità per TEMA saranno molte.
E poi c’è chi va oltre l’uomo, perché in realtà siamo parte di un qualcosa più grande; Madre Natura si beffa della nostra mortalità. Giorgia Severi ci racconta ciò che cresce davvero e per sempre.
Laurina Paperina invece non è mai cresciuta perché è nata saggia come i vecchi. Lei conosce anche il segreto dell’immortalità e lo svela a noi in esclusiva.
Oggi TEMA è davvero contento di invecchiare di un altro numero, buona lettura.
Ma è il presente che conta adesso. A chi pensa che le storie delle singole persone hanno poca importanza rispondo che messe assieme determinano il quadro più grande ed è per questo che l’arte da sempre racconta i percorsi di crescita dell’uomo, assieme alla sua storia.
Sibilla Zandonini
C’è chi si confronta direttamente col passato, come Francesco Barocco,
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Senza titolo (Piero della Francesca) - 2006 - Š Collezione privata
FRANCESCO BAROCCO ( Susa, Torino - 1972 )
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Le opere a cui ti riferisci volevano essere una declinazione del tema del sacro inteso nella sua accezione più ampia e non tanto della religiosità. Il punto di partenza è stata la mia fascinazione per le forme dei polittici e dei Crocifissi duecenteschi, che percepivo come entrati a far parte dell’immaginario collettivo, quasi degli archetipi. Contenuti simili ci sono anche in altri lavori che ho realizzato in seguito, mentre l’approccio formale si è modificato. Successivamente, ho sentito l’urgenza di tornare ad una modalità più partecipata, riappropriandomi di tecniche che mi appartengono come l’incisione, il disegno, la scultura e non limitandomi ad una fase progettuale, col fine di restituire una maggiore affettività al lavoro.
Attorno al tuo lavoro permane un certo alone di mistero, si trovano poche informazioni on-line, non hai un sito personale e la bibliografia è prevalentemente cartacea. La tua è una scelta programmatica di stare defilato, di essere un po’ fuori dal tempo? Tutte le mie energie si concentrano nella ricerca e nella realizzazione dei lavori. Ovviamente sono consapevole che la diffusione e la promozione sono importanti, ma per fortuna ci sono le gallerie e i critici che se ne occupano. Finché potrò permettermi di stare un po’ defilato, lo farò con piacere.
Fin dalle prime opere si intuiva un interesse profondo verso la storia dell’arte, forse non tanto da intendersi come bacino da cui attingere, ma piuttosto come significanti utilizzabili nel presente. Tra il 2004 e il 2006 hai costruito delle grosse sculture/oggetto recuperando le forme e gli ingombri di opere importanti come i crocifissi del Cimabue o di Giunta Pisano e il Polittico di S. Antonio di Piero della Francesca. La religiosità intrinseca nel simbolo del crocifisso viene a scontrarsi col suo essere costruito con mensole o tavolini, avviene una traslazione di significati dal religioso-ultraterreno alla sacralità dell’oggetto d’uso quotidiano. Un approccio molto concreto che poi hai abbandonato. È cambiato il tuo rapporto con la religione o si trattava di un momento specifico del tuo percorso?
Hai esposto nella mostra alla GAM di Torino “I giovani che visitano le nostre rovine non vi vedono che uno stile”. L’esposizione si basava sul confronto tra artisti storicizzati come Felice Casorati, Alberto Savinio, Dadamaino, Giuseppe Penone, Sol Lewitt, Richard Serra e Giulio Paolini, e artisti più giovani. Un titolo importante che probabilmente dice molto più sul tuo lavoro che tanti testi, come lo hai interpretato? L’Italia vive ancorata a stilemi del passato? Quella della Gam è stata una mostra a cui ho partecipato con piacere. In una collettiva l’aspetto più gratificante è sentire una certa affinità, oltre che coi curatori,
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con gli artisti e molti di quelli presenti in quella occasione portano avanti una ricerca a cui guardo con ammirazione. Penso che proprio questa energia sottesa abbia determinato la buona riuscita della mostra, al di là degli accostamenti delle opere e del tema volutamente ambiguo, tratto da un aneddoto letterario, già di per sè interessanti. Non so se in Italia si guardi troppo al passato, personalmente per quel che riguarda la programmazione di mostre mi piacerebbe ci fosse uno sguardo che non si conformi sulla sola attualità, nè tantomeno che si fossilizzi su scelte troppo rassicuranti e poco di ricerca.
Questo eviterebbe da un lato una certa omologazione data dalla rincorsa alla novità e consentirebbe dall’altro di guardare ad un passato recente, cercando di far emergere figure di artisti storici ingiustamente scivolate nell’ombra.
Senza titolo - 2009 - © Norma Mangione Gallery
Nel 2008 crei un’opera intitolata L’essenziale è indicibile, anche in questo caso la scelta delle parole è rivelatoria: cinque disegni a grafite sono illuminati singolarmente da un piccolo tubo al neon. In questo caso è come se la luce anzichè svelare l’opera crei ombre. Metti lo spettatore nella posizione in cui lo inviti a osservare bene da vicino, ma
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L’essenziale è indicibile - detail - 2008 - © Norma Mangione Gallery contemporaneamente lo mantieni distante. Questo gioco con lo spettatore lo fai spesso, penso ad esempio alle Untitled del 2009 in cui le incisioni sono ingabbiate da sbarre di ottone, che ne alterano la lettura possibile. Allo spettatore concedi spazio per altruismo o egoismo?
conta è quel 20% di “indicibile”. Questo spazio neutro consente alle persone che fruiscono di un’opera la libertà di immedesimarsi e la possibilità di vivere una propria esperienza.
L’Essenziale è indicibile è una citazione che ho preso da un libro del filosofo Pierre Hadot e riassume con efficacia quello che secondo me dovrebbe essere un’opera. Penso che un lavoro dovrebbe essere spiegabile per il suo 80%, percentuale entro cui possono esserci le tecniche, i riferimenti, le citazioni. Ma quello che
La serie Partecipation Mystique (2009) rientra nel discorso della religiosità traslata. Le immagini presentate sono fotocopie di fotografie di statue settecentesche rimescolate in una sorta di collage a loro volta rifotografate. L’attenzione è ora sui drappeggi magistrali, ora sul volto, c’è una forte carica erotica nelle composizioni, eppure
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Partecipation mystique - 2009 - © Norma Mangione Gallery un’emozione, riattualizzandola attraverso il mio intervento. In questo senso, l’interesse per la psicoanalisi è un elemento molto importante nella mia ricerca, soprattutto quella junghiana in cui il rapporto tra immagine e inconscio, il tema dell’ombra, i miti e i simboli sono elementi fondanti.
le due statue originarie sono il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino e La pudicizia di Antonio Corradini. Ecco quindi di nuovo una spiritualità deviata, non per nulla citi come riferimento il concetto di Perturbante di Freud: “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”. Per questo attingi dal passato? Sono immagini contenute nel nostro subconscio e quindi capaci di scatenare reazioni più forti?
Non temi mai il confronto con artisti storici? Come vivi il rapporto con il tuo tempo che passa?
Quando realizzo un lavoro utilizzando un’immagine del passato, quello che mi interessa è il suo portato simbolico e la possibilità che possa suscitare
Non temo il confronto, anzi alcuni artisti del passato e del presente mi restituiscono degli esempi da seguire,
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Senza titolo - detail - 2010 - Š Norma Mangione Gallery
attraverso le sue possibili variazioni. Questo complesso di opere, siano esse sculture, incisioni o disegni, lo intendo come un’unica installazione in cui lo scambio fra la singola opera e l’insieme è senza soluzione di continuità. Lo stesso principio vale per le opere di cui parlavi. In quel caso il punto da cui sono partito è stato l’interesse per la scultura: i blocchi di materia (creta, legno) a cui sono applicate le incisioni o le foto contengono idealmente tutte le forme possibili. Nell’insieme del lavoro il basamento ha un suo valore: oltre che rimandare a quel rapporto fra base e oggetto che puoi trovare in molta storia della scultura, primo tra tutti in Brancusi, mi consente di dare maggiore autorialità alla singola scultura di cui diviene parte.
non solo per le loro opere, ma soprattutto per quel che concerne il loro approccio alla pratica artistica: la dedizione, l’etica, la coerenza. Esempi simili li trovo anche in altre discipline, in particolare nella letteratura, come in Christa Wolf, che nel suo libro “Un giorno all’anno” scrive delle pagine molto belle sulla responsabilità che comporta la scrittura. Il tempo che passa per me è un’occasione di maturare insieme al mio lavoro, che infatti penso vada crescendo rispetto a quando ho iniziato. Alla luce di questo percorso, avendo quaranta anni, mi sento un po’ a disagio quando mi definiscono un “giovane artista”.
Alla Laura Bartlett Gallery hai presentato una serie sculture costituite da un basamento di legno su cui poggia una piccola scultura di creta a cui è attaccato con un chiodino una fotografia di una testa di statua orientale la cui immagine è semi-velata da pittura a spray. L’utilizzo di un basamento lo hai poi ripreso per la serie dei gatti, così come avere un supporto rigido e materico per le fotografie. L’utilizzo di modelli seriali ti permette di andare in profondità? Cosa aggiunge all’immagine elaborata la struttura portante? Credo che per come è strutturato il nostro sistema percettivo è la testa di statua o il gatto quello che resterà impresso.
Nelle opere alterni materiali e tecniche, diventano un ibrido tra scultura e disegno, anche quando sono appese a parete c’è sempre un gioco tra contrasti formali e tecnici molto forte che permette un passaggio fluido di informazioni, una sorta di sospensione della possibilità di inquadrare il tuo lavoro. Passi da fotografie di statue drappeggiate a geometrie rigide create piegando un foglio e spruzzando vernice spray, uno dei Luca Rossi che scrivono in rete una volta ha descritto il tuo lavoro come parte del Gruppo dei New Arcaic, un manierismo rivisitato. È questa tua capacità di surfare tra linguaggi che ti rende poco citazionista
In alcuni casi immagino un lavoro già
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Vincitore del Premio Ermanno Casoli hai realizzato nella sede di Elica una strana mostra stratificata in cui fondamentalmente hai messo i partecipanti in relazione alla tecnica dell’incisione intesa come sinonimo di processo artistico. Da un lato i tuoi lavori sui gatti, dall’altra incisioni di grandi maestri storici e infine un laboratorio didattico in cui raccontavi e mostravi la genesi del disegno inciso che parte come scultura per ritrovarsi linea. Volevi portare a riflettere sulla “profondità etica nel lavoro dell’artista”, così hai detto, mentre ho letto che consideri i tuoi lavori come qualcosa di pre-verbale, sono questi i binari su cui stai andando? Da una parte una ricerca
e capace di un linguaggio invece contemporaneo? Contemporaneo è un concetto di per sè inafferrabile e un po’ nebuloso. Trovo interessante la ridefinizione che ne dà Giorgio Agamben, nel suo saggio “Che cos’è il contemporaneo”, in cui sostiene che l’unico modo possibile per aderire realmente al proprio tempo sia attraverso una sorta di scarto, di anacronismo.
I saettatori - veduta mostra - Fondazione Ermanno Casoli - 2011
Seguendo questa traiettoria, credo che un’opera debba contenere questo paradosso ed essere così fuori dal tempo da poterne cogliere lo spirito più profondo.
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seria e dall’altra l’impossibilità di dare forma compiuta alle risposte trovate in una continua ricerca di equilibrio?
volevo dimostrarlo. Anche io, nel mio piccolo, cerco di pormi questi obbiettivi.
Senza titolo - 2011 - © Norma Mangione Gallery
Considero l’arte come un fondamentale strumento per la trasmissione di valori e di significati. Per non abdicare a questa vocazione, penso che l’arte non debba cedere all’intrattenimento e non debba appiattirsi su un linguaggio autoreferenziale. Quando un artista riesce a fare questo, il concetto di “etica” trova un suo reale significato. Questi aspetti fortunatamente si possono trovare in tanti artisti e con il mio progetto per Elica
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Every time, time - dettaglio - 2010 - Š Studio Dabbeni, Lugano
JACOPO MILIANI ( Firenze - 1979 )
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La non scelta non è definibile nel momento stesso del suo pronunciamento (ripetizione non scelta a caso). Attraverso questa idea, che non ho poi sviluppato in modo approfondito, ho intrapreso un confronto tra la quantità di immagini non responsabili che siamo abituati a vedere sul web e la nostra posizione da spettatore, che a mio avviso dovrebbe essere invece sempre responsabile. La scelta di parole altisonanti e barocche associate al caso del flusso di immagini enfatizza un tipo di anestesia dovuta dall’eccesso.
Nel 2009 inizi a tenere un blog, Silver Stammer, cioè Balbuzie d’argento. Dentro raccogli un po’ di tutto, video, immagini, testi lunghissimi, link, classifiche, ma sempre stando ben attento a non pubblicare un tuo lavoro. Dici anche che non è un archivio. Di cosa si tratta? E quanto può essere distante dal tuo lavoro dal momento in cui ti esponi chiaramente come gusti ed interessi attraverso il blog? Il blog non è assolutamente distante dal mio lavoro, anzi è espressione di alcune fasi di ricerca che spesso non sono chiaramente visibili o pronunciabili, seppur presenti, nel risultato finale della mia produzione. Mi interessa molto l’aspetto personale e l’idea dello spettatore singolo, nel blog cerco di marcare questo ruolo, che è pur sempre presente nel mio lavoro.
Nel blog ti diverti a riportare dialoghi avvenuti in chat, una maniera un po’ esibizionista per mostrare ciò che solo in apparenza è realtà, poiché mediato comunque dal mezzo computer. In una di queste conversazioni spieghi la tua posizione “Io non credo nel ruolo dell’artista come autore, ma come veicolo di conoscenza”. In un’altra spieghi la tua preoccupazione rispetto l’utilizzo del web, dici che è uno strumento, ma non è li che va cercata l’ispirazione, bisogna usarlo come fonte d’informazione, stando attenti perché spesso è il regno della superficialità. Infine nel 2011 la rivista Nero ti invita a riempire una sua pagina, tu ne approfitti e scrivi a Sturtevant una lettera contorta nella quale lo autociti scrivendo: “L’informazione non è conoscenza”. Senza ricerca sei spiazzato, ma dallo studio non ricavi risposte?
I tuoi lavori partono spesso da immagini prese da altri contesti (libri, video, web), sul blog avevi inaugurato un rubrica chiamata Every Sunday... descritta così: “Trovo che Google sia un mondo attraente e quindi selezionerò tre immagini differenti dalle prime tre pagine dei risultati di ricerca”. Le parole scelte , ad esempio ‘Laconico’ = laconic o ‘Angelico’=angel-like, erano casuali? Attingendo da materiali creati da altre persone la scelta è determinante, le alternative sono minime. Quanto conta per te il compiere o meno una scelta in arte? É possibile non scegliere?
Non capisco perchè quando si parla di
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realtà la sua persona è già presente, e fin dall’inizio…”. Il motivo dell’invito era una performance ispirata appunto ad un’opera di Kounellis che fu esposta al MADRE di Napoli. Che reazione hai avuto?
Sturtevant si usa spesso il maschile. Poi a pensarci bene trovo risposta nella sua genialità.
Hai un po’ una passione per le lettere agli artisti, a dicembre dello scorso anno hai scritto “Caro Kounellis, spero che la sorpresa che accompagnerà questa lettera, come ogni missiva inaspettata, le faccia cosa gradita. La contatto perché vorrei invitarla a Napoli, in un luogo dove in
The Parrots - 2008 - © Studio Dabbeni, Lugano e Frutta Gallery, Roma
Mi piace la retorica del linguaggio epistolare, che con le mail ovviamente si è modificato. Un tempo credo che si facevano meno mostre, perchè i curatori invitavano gli artisti usando i postini e la macchina da
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Untitled (Untitled 1967) - 2011 - foto di Amedeo Benestante - © Museo Madre, Napoli
avessi sempre a disposizione dei perfromer ignari di esser tali. Quest’idea emerge chiaramente nelle ultime opere come Characters, e ancor prima in quelle presentate nella tua personale del 2010 “Rehearsal for an image” presso lo Studio Dabbeni di Lugano. I visitatori erano accolti da un sipario, bianco e nero, collocato tra le due vetrine principali della galleria; all’interno una serie di lavori installativi basati su fotografie tratte da un video di Ryszard Cieslack, esponente del Teatro Povero di Grotowsky. L’attore, immortalato in pose plastiche, viene affiancato a immagini tratte da un libro di Storia e Antropologia sociale degli anni Sessanta. Alcune di queste fotografie sono rette a parete da
scrivere. Ho letto alcune bellissime lettere di Harald Szeemann che con l’eleganza della carta invitava degli artisti a partecipare ad alcune sue mostre. James Lee Byars scriveva a Beyus, ancora non ho letto quelle lettere, ma spero di farlo presto. La lettera scritta a Jannis Kounellis, credo che lui l’abbia letta, però cosa ne pensa, dovresti chiederlo a lui.
La performance al MADRE è uno dei tanti momenti in cui l’idea di palcoscenico si affaccia nei tuoi lavori. Utilizzando materiale altrui è come se in qualche modo tu
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necessità nasce proprio dall’abitudine a ripetere e ad osservare la ripetizione, azioni facilmente individuabili in contesti drammatici. Al palcoscenico a volte preferisco il sipario, che apparentemente sembra chiuso ma ha in se un’infinità di trame possibili. Questa moltitudine a volte porta anche alla delusione, ma quando le tende si aprono a poco a poco, in quel preciso istante non è mai così…dentro di me dico sempre ‘oooooooohhhhhhhhhhhh’
una lastra di vetro appoggiata di sbieco. Nel complesso di opere vi è fragilità e movimento fisico. Perché lavorare con attori che non controlli e creare palcoscenici bidimensionali? La fotografia è capace di cogliere solo un momento di quello che sta avvenendo su un palcoscenico, sia quello di un teatro o provenga da ciò che noi definiamo storia. E’ quindi la fotografia ad essere fragile, non l’immagine che riproduce. Credo molto nel gesto degli altri, che sempre mi stupisce e, come tu stessa dici, non riesco a controllare. Ho bisogno di un po’ di rischio, anche se inconsciamente a volte cerco di oggettivizzarlo. Questa
Characters - 2011- © Studio Dabbeni, Lugano e Frutta Gallery, Roma
In generale tieni molto da conto il lavoro di altri artisti, hai creato addirittura una fanzine a proposito: EMPTY RESTAURANT, stampata in copie limitate e distribuita
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The audience must subvert the show - 2009 - Š Studio Dabbeni, Lugano e Frutta Gallery, Roma
in circuiti indipendenti. In ogni numero, me ne risultano due all’attivo (confermi?), chiedi ad un artista-amico di collaborare per la creazione di un numero monografico che contenga materiale di ricerca, ma non opere -qui torna il discorso di prima- che rapporto hai con il mondo underground? Grazie a internet fanzine e progetti autofinanziati si stanno diffondendo sempre più, sono oggetti del passato o del futuro?
e in quell’occasione ho stampato tutte le pagine fino allora contenute sul blog e chiesto un contributo non solo ad artisti, ma anche curatori, esperti di diverse discipline e amici. Giulia Paciello invitata da Francesco Ciavaglioli mi ha poi fatto un’intervista divertente che è diventata la comunicazione del progetto.
Per le fanzine, siamo a due pubblicate e la terza in uscita. Spero di fare per l’uscita del terzo numero una festa dalla mia amica Abeba, che ha un meraviglioso bar etiope a Milano. A volte metto musica elettronica nel suo bar e lei cucina zighignì, altre volte vado a prendere il cafè con i popcorn. Però ci vuole tempo, perchè il cafè etiope dura molto. A volte dico ad Abeba, basta con lo Jägermeister, adesso vado in discoteca! Come vedi anche a Milano, il tempo si può osservare da diversi punti di vista.
gesti. In questa occasione, non si tratta però di input creativi, ma di un confronto. Ho chiesto a diverse persone un contributo e ad ognuno ho risposto con un’associazione mentale e visiva. La cosa si è fermata lì, ma c’era la possibilità di estendere maggiormente il confronto, volendo anche all’infinito.
Tutti devono assumersi le proprie responsabilità, anche per i propri non-
Ammiri molto Andy Warhol, traspare anche senza conoscere il tuo lavoro If Audience: un’installazione basata sul film di Andy Warhol Chelsea Girls (1966) in cui Eric Emerson interpreta contemporaneamente il protagonista e lo spettatore del film. Dalla pop art prendi l’idea di reiterazione, di riuso ripetuto di un’immagine cambiandone contesto e dunque significato. Avvengono diversi passaggi di forma e significato dal reale al rappresentato, dall’immagine allo spettatore. Il gioco macabro dell’arte è che non sopravvive senza pubblico, è un aspetto che curi molto? In un’altra opera dichiari nel titolo The audience must subvert the show, che potere ha su di te il pubblico?
Anche il progetto COMBO era basato sullo scambio di informazioni con altri artisti, si trattava di suggestioni per immagini e testi in una sorta di dialogo senza frasi composte. Chiedere che siano gli altri a darti input creativi non è un po’ scaricare responsabilità, sempre che l’artista in quanto tale abbia responsabilità verso qualcuno o qualcosa... COMBO è uno spazio fisico di Perugia
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Piuttosto che Andy Warhol, mi piace molto immaginarmi cosa volesse dire vivere nella New York al tempo della Factory. Non potrò mai saperlo credo, come ogni esperienza restano i racconti visivi e orali. Ogni racconto perde il gusto del vero creando una traduzione che è pur sempre un’interpretazione dipendente dal soggetto. Credo che sono stato abbastanza noioso (il lettore che è arrivato fin qui, non me ne vorrà) da poter enfatizzare con una citazione da Walter Benjamin che nel 1920 scrisse un saggio intitolato “Il compito del traduttore”. Il suo incipit è questo: “Il riguardo per il
fruitore non si dimostra mai fruttuoso alla comprensione di un’opera o di una forma d’arte”. Ovviamente con questa frase non smentisco “The audience must subvert the show”, io stesso sono uno spettatore.
Falsificazione, appropriazione, mistificazione, citazionismo... sono tutti mezzi per reinventare il passato, noi siamo identificati col nostro passato? Oggi è possibile il nuovo?
Do you believe in mirages? - 2012 - foot di Francesco Niccolai - © EX3, Firenze
Falsificazione, appropriazione, mistificazione, citazionismo... direi che
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Do you believe in mirages? - 2012 - foot di Francesco Niccolai - © EX3, Firenze
dipende sempre dai punti di vista. Oddio non abbiamo parlato ancora dei pappagalli, forse andava detto qualcosa per la domanda precedente dove dicevi che le immagini si ripetono. Ma andiamo al nuovo… In questi giorni sto portando avanti un progetto per Frutta Gallery a Roma, si intitolerà PLAYMAKESPLAY. Se provi a mettere su google questa frase trovi una pagina di wikipedia su un proverbio che è stato usato in uno dei miei film preferiti. Ritornano anche le macchine da scrivere!
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Pape vs skeleton - 2011 - Š the artist
LAURINA PAPERINA ( Duckland - 1980 )
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Devi sapere che ho una pessima memoria, ma credo di aver incontrato un tuo lavoro per la prima volta nel 2005. Ero al Mart di Rovereto con un’amica e ci innamorammo di un piccolo video tanto da far diventare “You are a duck” un tormentone. Poco tempo dopo scaricai
Bad angry kitty - 2012 - © the artist and Studio d’Arte Raffaelli
Vorrei dichiarare pubblicamente che ho provato ad essere seria e professionale come sempre, ma mi sono arresa all’idea che questa intervista non potrà esserlo, almeno non nel senso usuale del termine. Sarà serissima.
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l’opportunità a me e ad altri 4 giovani artisti trentini di presentare il nostro lavoro in uno dei più importanti spazi per l’Arte della nostra regione; Dopo questa esposizione sono riuscita a realizzare molti progetti sia in gallerie sia in Italia che all’estero.
da Youtube il video e da allora è sempre sul desktop dei miei computer, passa da uno all’altro, perché è un antidepressivo perfetto. Parlo di Amazing pape - ep. 1 e se ho fatto i calcoli giusti vorrebbe dire che a 25 anni tu hai esposto al Mart... Di sicuro hai esposto alla Galleria Civica di Trento quell’anno , ma la primissima esposizione è del 2002 per Gemine Muse, insomma fin da subito hai riscosso successo. Credi fosse per la particolarità della tua arte? Così poco italiana, ma anche poco qualcos’altro. Oggi ti senti una giovane artista o una papera da brodo?
In un’intervista tu hai dichiarato: “Mi piace sdrammatizzare e ironizzare un po’ su tutto quello che vedo e che vivo, appena mi frulla in mente un’idea la realizzo, ma tutto deve nascere spontaneamente. Sono cresciuta con i cartoni animati e i fumetti, di conseguenza i miei lavori hanno più influenze americane che italiane o trentine: amo gli artisti che lavorano col disegno e con la videoanimazione, come ad esempio il famoso regista David Lynch, che ha creato una serie di mini animazioni geniali”. Mi ha colpita molto l’ammirazione per Lynch, lo nomini in più interviste, il suo immaginario è così distante dal tuo, gli opposti si attraggono?
Cercherò di essere molto seria e professionale pure io...ma non ti assicuro nulla! Fortunatamente ho iniziato a bazzicare nel mondo dell’arte già ai tempi dell’Accademia di Belle Arti, mentre ero una studentessa mi sono concentrata sul far conoscere a più persone possibili quello che stavo facendo..e devo dire che con un pò di fortuna ma anche tanto lavoro ci sono riuscita; proprio in quel periodo ho avuto l’opportunità di esporre alla mia prima mostra ufficiale, il Gemine Muse, nel 2002; poi ci sono state altre esposizioni tra cui quella al Mart dove ho esposto una delle mie prime animazioni ufficiali “The Amazing Pape-episodio 1”, ma la mostra che per me è stata davvero fondamentale è avvenuta nel 2005 con Departures alla Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento, che ha dato
Io mi definisco una specie di Spongebob, ovvero una spugna: assorbo tutto quello che mi circonda e lo rigetto sotto forma di disegno, dipinto o video. Di David Lynch amo la sua creatività e il modo di trasmetterla attraverso tantissimi mezzi, infatti è regista, sceneggiatore, pittore, compositore e se non sbaglio anche scrittore: quindi è un’artista a 360°. I suoi lavori che più amo sono le animazioni intitolate “Dumbland” perchè
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Bad - 2009 - © the artist and Perugi artecontemporanea le reputo di un crudo-contemporaneo pazzesco. Rispetto ai miei lavori hanno poco a che fare, ma probabilmente come dici tu gli opposti si attraggono...e si compensano! Almeno dal mio punto di vista.
l’artista o fare l’illustratrice. Io faccio quello che mi piace fare anche se ovviamente ho totale libertà quando faccio lavori per me stessa, ma anche quando ho richieste per delle illustrazioni è raro che mi tiro indietro, finchè mi diverto va bene così.
Esponi in gallerie in tutto il mondo, eppure hai fatto anche lavori commerciali, su committenza. C’è una differenza tra fare illustrazioni per qualcuno e fare l’artista? È una questione di libertà espressiva maggiore che ti ha fatto scegliere il circuito artistico?
Quante volte ti hanno chiesto di fare un disegno gratis o un’opera in poco tempo solo perché i tuoi lavori sembrano così spontanei e facili?
Non mi sono mai posta il problema se fare
Molti artisti provenienti dalla street art o dalla pop o new-pop art sono partiti
Aimè Spessissimo! Zio pork!
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utilizzando come supporto per le opere muri, oggetti, facevano stencil, adesivi, poi una volta entrati nelle gallerie d’arte sono passati a supporti classici, quelli da “arte da salotto”, la tela, le cornici, le resine. Tu invece perseveri ad usare post-it. Quanto ti odiano i galleristi quando arrivano in fiera e devono mettersi ad attaccare decine di post-it uno accanto all’altro in forma geometrica e col terrone che si scollino o vengano presi come souvenir?
Skull - 2010 - © the artist
Le installazioni che ho creato con i PostIt sono davvero l’anti-arte da salotto per eccellenza, basti pensare che è un supporto molto delicato, che può essere rubato senza nemmeno troppa fatica, che è facilmente deperibile e che con un’improvvisa corrente d’aria può volare via...ma è proprio questo il concetto dei Post-it! Magari il disegno rimane, ma
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Piero manzoni - 2011 - Š the artist and Perugi artecontemporanea
Diane arbus - 2011 - Š the artist and Perugi artecontemporanea
proprio cosa ci sia da preoccuparsi tanto. Anche il cinismo e la brutalità fine a se stessa, come reazioni spontanee, vengono associate a quel periodo in cui ancora i nostri pensieri non sono mediati dalla ragione, si dice sempre che i bambini sanno essere crudeli a volte. Poi però non c’è adulto che non ride sotto i baffi di fronte ad un tuo lavoro, siamo tutti un po’ frustrati? Nel mostrarci i nostri limiti l’intento è solo dissacrante o anche educativo in qualche modo?
l’installazione prima o poi non ci sarà più. Comunque vorrei sottolineare che i Post-it li installo quasi sempre io e in quei momenti mi auto-insulto da sola, quindi figuriamoci se lo dovesse fare un gallerista...
Sei abbastanza meticolosa nel tuo procedere: quando trovi un’idea ci vai a fondo. How to kill the artist per esempio ti ha portata ad ammazzare nei modi più assurdi tantissimi artisti tra il 2006 e il 2010, alcuni più duri son stati torturati più volte. Sei arrivata anche a spiegare How to kill Laurina Paperina, per chi volesse vendicarsi presumo. Gli artisti che scegli sono in realtà quelli che ammiri, vero? La morte è la nostra più grande paura? È l’ultimo tabù rimasto?
A dirti la verità cerco di spiegare sempre il meno possibile i miei lavori: penso che sia giusto che le persone lo traducano come meglio credono. Sono felice quando qualcuno capisce che quello che ha di fronte non è solo un semplice e stupido disegnetto, ma che c’è anche un messaggio, positivo o negativo che sia.
E’ da qualche anno che porto avanti il progetto di “How to kill the Artists”, dove attraverso animazioni, disegni o fotografie uccido gli artisti, soprattutto quelli ormai arrivati all’apice del successo che sono divinizzati da gallerie e curatori. Molte di queste uccisioni però, sono anche un tributo al loro lavoro, insomma li uccido perchè li ammiro e perchè sono stati fonte di ispirazione per me, anche se spesso il loro linguaggio non ha nulla a che vedere con il mio stile o pensiero...
Grazie a Wikipedia ho scoperto che tu parli il pidgin english: “Pidgin (in Inglese /’pɪdʤɪn/) è un idioma derivante dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali”. La scelta dell’inglese rende leggibili da chiunque le tue opere e usarlo in maniera un po’ maccheronica sdrammatizza molto. Ma l’umorismo è uguale in tutto il mondo? Grazie per avermi insegnato un nuovo vocabolo, “Pidgin” è la prima volta che lo sento! Ma è perfetto per descrivere il mio
Nelle tue opere affronti le nostre fobie con lo stesso spirito dissacrante dei bambini, che tante volte non capiscono
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inglese maccheronico! Ti dico la verità, il mio lavoro viene forse più apprezzato all’estero che non in Italia, quindi presumo che le frasi in inglese senza senso funzioni bene anche oltre confine. Probabilmente le frasi surreali che uso si accostano bene con lo stile dei mie disegni...
In una vecchia intervista del 2005 terminavi una risposta con “Non è facile ma, come dice Gianni, “l’ottimismo è il profumo della vita!”. Mi ha fatto pensare al povero Gianni, che in realtà si chiama Tonino ed è un poeta e scrittore, ma a nessuno intessa perché lui è quello che nella pubblicità dice che l’ottimismo è il profumo della vita. Tutti noi rielaboriamo gli stimoli che ci arrivano, sopratutto da tv, film e media in generale, e facciamo diventare nostri quelli che fanno comodo, costruiamo il nostro linguaggio. È questo il trucco che usi per non invecchiare? Penso che tutti debbano costruirsi una loro “Pape-mobile”, cucirsi un vestito da supereroe sfigato, adottare un cane pazzoide al canile e mangiare patatine a più non posso: questo è il segreto dell’immortalità!
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I am walking on the sea but I am not Jesus - 2011 - Š the artist
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Juniperus Chinensis Stricta - 2011
GIORGIA SEVERI ( Ravenna - 1984 )
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Permettimi un inizio banale, sei giovane (per gli standard italiani) eppure il tuo percorso artistico in qualche modo è già delineato e coerente. Fin dalle prime opere è ben chiaro il campo d’azione, come scrivi tu questo rapporto uomonatura ormai deviato, una relazione tra due mondi, quello vegetale e quello artificiale, che condiziona l’estistenza di ogni cosa. Quando hai capito che era di questo che volevi parlare nel tuo lavoro?
temi la ripetitività?
Non c’è stato un momento preciso. Va rafforzandosi nel tempo. Sicuramente hanno influito più fattori: ho iniziato a viaggiare da sola a 18 anni. I viaggi come Nepal, Tibet, Marocco, hanno dato un’idea di Natura selvaggia, libera, primitiva, Madre, avvenente, sacra. La passione per la montagna, i boschi e le vegetazioni selvagge fanno parte da sempre del mio carattere, un’esigenza interiore di contatto con la Natura che credo mi abbia trasmesso mia nonna durante l’infanzia. Tutto questo si é contrapposto negli ultimi anni ad una presa di coscienza del paesaggio urbano, della sperimentazione genetica, la globalizzazione e altri fattori che ci allontanano dalla Natura.
sviluppato il concetto di mosaico come giustapposizione di elementi, che insieme formano l’opera. Un’idea quasi “sociale”. Non temo la ripetitività perché in alcuni casi, é proprio la ripetizione del singolo elemento che da forza all’opera.
Lo studio del mosaico mi ha dato le nozioni di micro e macro, dell’unità di cui fanno parte i singoli, della collettività e della forza che può avere un soggetto ripetuto costantemente in maniera ridondante a formare l’unità. Nel corso degli studi in Accademia mi sono allontanata dall’arte musiva come decorativa e monumentale. Ho
In lavori scultorei come Armors o Morocco sono decisamente più leggeri e divertiti rispetto ai lavori successivi, inoltre traspare una ricerca più figurativa e storica. Ritrovo invece un approccio quasi scientifico nei piccoli disegni di alberi, rami, quasi un erbolario personale. Quanto influisce la situazione sociale in cui vivi sull’anima del tuo lavoro? E il tuo umore? La situazione sociale credo influisca sul lavoro di tutti coloro che si occupano di qualcosa in campo culturale e non solo. Tutti gli artisti sono lo specchio dell’epoca in cui vivono. Ognuno elabora ed estroflette a modo suo, con la propria
Vorrei tentare un racconto cronologico; hai studiato all’Istituto d’Arte per Mosaico con indirizzo in restauro, in che modo questi studi ti hanno influenzata? Nei tuoi lavori spesso utilizzi la modularità per creare l’intero o crei serie di opere, non
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Morocco - 2008 ricerca, ma ne é sempre influenzato. C’é chi lavora nostalgicamente sulla memoria, chi fa un lavoro di provocazione, chi parla di bellezza, chi di natura, di guerra, di amore, di politica, di religione, e ognuno attraverso la sua migliore espressione, dalla scrittura alla musica alla pittura ecc. I lavori a cui ti riferisci sono appunto frutto delle esperienze che ho vissuto in quel periodo, ma sono anche opere molto giovani. Sono stati dei passaggi per arrivare a quello che faccio ora. “Morocco” é infatti nata dopo il secondo viaggio in Marocco. Ho visitato le
montagne, alcune zone vicino al deserto e le case dei berberi, che hanno il colore della terra e niente spigoli. Le “Armors” invece sono nate dopo il viaggio a New York. L’idea che ci voglia un’armatura nella società contemporanea ha trovato il suo sfogo in una mostra ( curata da Graziano Spinosi) in un grande outlet di moda. Naturalmente il tema era l’abito. Ho pensato che ognuno dovesse avere la “corazza” dell’anima di cui é fatto. Quindi foglie, piume, metallo. Il mio umore? Non é una questione di umore. Un’opera viene pensata in base
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Ruscus - 2007
nei posti più impensati, vive eternamente. Ma questa sensazione di rivincita sulla morte non sarà legata all’impersonalità della natura stessa? Il ciclo della vita è determinato dalla natura. Un artista non può prescindere dal confrontarsi con la morte in contrapposizione alla vita?
ad una ricerca, non a come ci si sente. Altimenti un pittore avrebbe ogni giorno frammenti diversi in un quadro.
La svolta credo si possa individuare nella serie di sculture Piante il cui tema centrale è la morte: piccoli cubi di marmo diventano tombe immaginarie e dentro di esse nasce la vita naturale, la pianta trova nutrimento dove per noi non c’è più nulla. La forza della natura è di non avere i nostri limiti, la natura persevera e si riappropria sempre di ciò che l’uomo le toglie, cresce
Ci sono diversi punti di vista da cui guardare la morte. Diversi fattori infuenzano il significato di morte nella cultura di ognuno. La religione per esempio tra occidente e oriente dà un senso molto differente di cosa
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sia la morte. Può essere la fine, una trasformazione o l’inizio di una nuova vita. Credo comunque che essendo una imprescindibile dall’altra, come la luce e l’ombra, diano significato l’una all’altra. E che il valore della vita dipenda dall’esistenza della morte, che consapevolizziamo come una “fine”. Cos’è l’arte se non la ricerca del significato dell’esistenza?
naturale al nostro servizio, riportare tutto a misura d’uomo. Da un altro punto di vista però lo stesso sopruso che l’uomo esercita sulla natura viene perpetuato sull’uomo stesso dalla struttura sociale, un uomo non libero, bensì soggiogato a regole imposte. Ci facciamo male da soli? Sono opere diverse. Gli “essicatoi” parlano di vita contadina, delle radici dell’auomo, del suo rapporto con la natura, hanno la “polvere” e la poesia degli anni ‘70, sono tributi a Beuys, sono strutture ciondolanti che parlano della fragilità attraverso un’estetica che ricorda strumenti rudimentali, quasi africani. Sono ritorno. Le “incubatrici” invece parlano
Incubator #2 - 2006
Incubatrici ed essicatoi sono oggetti che riprendi in forma artistica, il concetto alla base è di mostrare la forzatura di un’identità naturale non rispettata dall’uomo, il tentativo di piegare la legge
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Non é facile “togliere, togliere, togliere” per lasciare l’essenziale che basti a comunicare un messaggio. Parte del lavoro di un artista sta anche in questo. L’arte é anche comunicazione. Ma anche qui, come vedi, lo stesso elemento è ripetuto quasi all’infinito invadendo lo spazio, altrimenti non sarebbe così forte. L’atteggiamento e l’estetica di una muffa, vengono interpretati dentro di noi come qualcosa di familiare poichè naturale, antropomorfo. Cerco di pormi in questo modo con le persone che guardano i miei lavori, con il cuore.
della distanza tra uomo e natura. Forse quello dell’uomo contemporaneo é un cerchio che si chiude. La distanza dalla natura ci porta ad averne bisogno. E’ un ciclo che ha dentro di sè l’antitesi e la soluzione. Ora è il periodo in cui si deve preservare e difendere ciò che é rimasto di verde sulla terra, dopo gli ultimi secoli di distruzione e consumismo.
Ne Il ragazzo della via Gluck Celentano cantava “Là dove c’era l’erba ora c’è una città, e quella casa in mezzo al verde ormai, dove sarà?...” con una melanconia di fondo e la visione chiara negli occhi di una società meccanizzata che stava prendendo il sopravvento in un momento di boom economico. Oggi si inneggia al ritorno della civiltà rurale come soluzione alla crisi, ma credo sia il classico caso in cui gli estremi del ragionamento sono ugualmente sbagliati. Mi piace invece la sottile ambiguità che ogni tanto resta nelle tue opere, l’installazione Florescenza per esempio è composta da una serie di fragili fiori che emergono dal muro: sono contemporaneamente vittime e carnefici del muro cui sono costretti. Come fossero una muffa che si infiltra in casa e si diffonde, sono possibili diverse letture seppur l’opera in sè sia molto semplice dal punto di vista di forma ed estetica. La semplificazione formale è necessaria affinché l’opera sia comunicativa? Come ti poni nei confronti del pubblico?
Recentemente sei stata scelta per una collettiva particolare al MAR di Ravenna: “O(Ax) = dO(Am) Equazione impossibile”. Il progetto dell’esibizione si basava sul rapporto tra originalità e derivazione dell’arte contemporanea in particolare mettendo a fuoco il ruolo, il valore e l’utilizzo della tecnica del mosaico in rapporto ad altre tecniche d’arte. Fondamentalmente ad ogni artista è stato chiesto di utilizzare come bozzetto, come fonte primaria d’ispirazione, un’opera di un artista mosaicista, da lì creare un lavoro che potesse poi stare in piedi da solo. Tu hai portato Juniperus Chinensis Stricta, lavoro derivato dai mosaici naturali di Takako Hirai. I lavori di Hirai sono minuziosi, ma al contempo impetuosi, paesaggi naturali, un modo di riprodurre la realtà decisamente poetico e delicato. Juniperus Chinensis Stricta é una grande capsula di vetro e acciaio che racchiude
Credo che la semplicità vinca sempre.
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Florescenza - 2011
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Juniperus Chinensis Stricta - 2011
ha bisogno di teorie celebrali. Trova da sola qualcosa da dire”. Tu commentasti così questo passo: “Un lavoro concepito mentalmente sarà comprensibile soltanto da coloro i quali sono culturalmente preparati, in grado di rapportarsi all’opera, ai suoi processi di creazione ed al suo significato. Un’opera concepita di cuore è comprensibile da tutti perchè parla una lingua universale e non passa dal filtro del ragionamento, poichè arriva direttamente a far vibrare le emozioni”. È una presa di posizione molto forte nei confronti credo di gran parte dell’arte di oggi. Cosa pensi della scena dell’arte attuale? L’arte deve essere democratica?
un piccolo albero, volevi suscitare una sorta di nostalgia mostrando l’impatto violento dell’uomo sulla natura. Esiste una forma di attivismo legato all’arte? È possibile ancora oggi raccontare i grandi cambiamenti e le lotte sociali attraverso avanguardie artistiche? Come dicevamo prima ognuno filtra, elabora ed estroflette quello che ha intorno. Ci sono diversi modi di agire con attivismo anche nell’arte. Molti artisti fanno opere di protesta, dissenso, politica. La mia non é una forma di attivismo, semplicemente un punto di vista nei confronti di quello che accade. Cerco di comunicare al fruitore una certa paura per questa grande distanza che ormai abbiamo dalla natura, e quindi sensibilizzare le persone e, come diceva J.Beuys, la difesa della natura. L’arte é uno strumento di comunicazione sociale, quindi, rispondendo alla domanda, si. Se guardiamo all’arte da un punto di vista fenomenologico, e facciamo un escursus nel tempo degli ultimi 50 anni, vediamo che é tutto registrato. Nell’arte sono scritti ( per reazione ) i cambiamenti della società.
Beh, non è una presa di posizione, ma oggi c’è anche molta confusione. Fa parte del sistema in cui viviamo e del tipo di cultura che abbiamo. Ci sono i “colossi” e ci sono i giovani che ancora devono salire la scala. Quello che sta in mezzo é veramente molto vasto. L’arte dovrebbe parlare di significati. Inoltre la mia riflessione vuole sottolineare il fatto che ogni disciplina artistica, e quindi ogni media utilizzato, arriverà a colpire una fascia di pubblico piuttosto che un’altra. Una constatazione di fatto. Un messaggio espresso con un linguaggio semplice, diretto alle emozioni, può essere compreso da più persone. Un eterno esempio é Rothko.
Nel 2007 inauguri un blog a cui dedichi attenzioni saltuarie, uno dei primi post che scrivesti era una riflessione sul linguaggio artistico, più volte citi Lo Spirituale nell’arte di Vasilij Kandinskij in cui l’artista scrisse: “Se l’anima dell’artista è viva non
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tagliamo noi ), potremo sapere anche cosa é climaticamente avvenuto in quei 300 anni e rapportarci storiograficamente al luogo e alle persone che sono vissute in quel territorio. L’uomo che cresce e l’albero che cresce cosa hanno in comune? Siamo entrambi Natura. Siamo legati da memoria e territorio.
Mi hai raccontato dei tuo progetti futuri, tra questi quello sulla dendrocronologia mi affascina parecchio. La dendrocronologia è il sistema di datazione utilizzato per leggere l’età degli alberi, i famosi anelli di crescita. Tutto ciò che avviene nella vita di un albero viene registrato dal tronco e ne rimane quindi una memoria storica di centinaia di anni, eternità rispetto alla vita di un singolo uomo. Quante cose può raccontare un albero? L’albero che cresce ha qualcosa in comune con l’uomo che cresce? Un albero può raccontare molte cose. Ospita uccelli, insetti e piccoli animali. Un albero è casa. In inverno alcuni roditori in assenza di altro cibo rosicchiano la corteccia. Per i contadini é un punto di riferimento nei campi. Sono un riparo all’ombra. Hanno frutti per noi e foraggio per gli animali. Gli alberi sono colonne e sentinelle del paesaggio. Alcuni vengono chiamati con i propri nomi come le persone. Presenze forti, fisse, rassicuranti, silenziosi custodi di memoria. Nella storia dell’uomo hanno assunto diversi significati simbolici legati alla vita e alla spiritualità, per la loro longevità, verticalità, generosità, ricchezza di risorse e forza.Alcuni di loro possono vivere per più di mille anni. Negli anelli di crescita registrano tutto quello che accade nel corso della loro vita: periodi floridi, malattie, incendi, siccità, ferite, tutto.Se un albero ha vissuto 300 anni ( e nella maggior parte dei casi muore perchè lo
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Memory #3 - bark, castagno - 2011
Memory #2 - bark, abete bianco - 2011
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