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La nuova stagione è alle porte
from NIGRO_Marzo2023
il dato empirico parla di un cliente più pretenzioso, scostante, che utilizza spesso e volentieri il no-show, concentrato nei fine settimana.
E poi, le indagini statistiche, come l’ultima del Censis, dicono quasi l’esatto contrario: che il 91% dei clienti predilige andare in ristoranti che adottano misure chiare verso l’etica e la sostenibilità: che il 70,5% considera il ristorante una componente fondamentale per migliorare i luoghi pubblici; che il 92,95 considera la convivialità del mangiare e bere insieme uno degli aspetti fondamentali dello stile di vita italiano. Noi crediamo di più a questa indagine che non al dato empirico, ma questo modo di vivere la ristorazione significa anche cambiare molte cose entro o durante la prossima stagione.
Significa avere il personale preparato a soddisfare questi bisogni, significa avere un menu che superi definitivamente quello turistico che fa ancora bella mostra di sé in molti locali dove esiste ancora il turismo di massa. E questo vuol dire proporre piatti che siano buoni, comprensibili, al giusto prezzo.
Abbiamo davanti una stagione interessante, senza ombra di dubbio. Cerchiamo di renderla anche attraente in modo tale che le persone abbiano un ricordo bello e positivo della nostra Italia!
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Esiste un filo, una trama, che sa unire questa Italia lunga e stretta: la qualità e la cultura. Non ci si pensa quasi mai, ma se questo Paese è rimasto tra i primi posti nelle economie occidentali nonostante tutto quello che sta succedendo è perché ci sono persone e istituzioni che sulla qualità e la cultura hanno creato il loro modo di essere, di lavorare per le nostre comunità.
È per questo motivo che abbiamo fatto questa lunga conversazione con Mauro Rosati, direttore generale di Fondazione Qualivita, una di quelle persone.
Cominciamo con la descrizione di Fondazione Qualivita: la sua storia, le sue funzioni…
“La storia parte dal fatto che Siena, dove la Fondazione ha la sede, ha una sensibilità avanzata sul concetto della qualità nel settore agroalimentare e vitivinicolo. Qui è nata e vive tuttora l’Enoteca Italiana che è stato il primo ente storico a promuovere il vino fin dagli anni ’30 e ha dato vita a Vinitaly, che poi fu spostato a Verona negli anni ’60 per motivi di spazio. Dentro al DNA di questo territorio, nelle persone, nella rete imprenditoriale c’è un attaccamento alle radici qualitative vitivinicole e agroalimentari. Complice di queste radici fu, nel 2000, l’incontro con Paolo De Castro, allora ministro delle Politiche agricole, dove ragionammo sulla mancanza di uno spazio, a livello europeo, per portare a sintesi il sistema delle DOP-IGP che, da qualche anno, stava crescendo. Si cominciava a parlare di prodotti a Denominazione ma solo trattandoli singolarmente. La mia intuizione fu che solo facendo sistema avremo dato forza a tutto il comparto e, per farlo, c’era bisogno di rivolgersi agli stake-holder, ai politici, ai giornalisti e non solo ai cittadini, perché per fare progetti ambiziosi e parlare a milioni di persone ci vogliono risorse elevate. Quindi il nostro obiettivo fu quello di creare un sistema in grado di aumentare l’attenzione verso un mondo, quello dei prodotti agroalimentari di qualità, che poteva incidere nei comportamenti delle persone e in un’economia forte. Allora ero consigliere delegato del Comune di Siena e, in quel ruolo, organizzai la prima edizione di Qualivita, portando le esperienze più avanzate dei consorzi DOP-IGP a livello europeo e non solo italiano, per far capire che quello era un comparto che aveva molto da esprimere. Fu un grande successo e, nel 2002, in occasione della seconda edizione, nacque il primo nerbo di quella che oggi è Fondazione Qualivita, grazie all’impegno di Comune, Camera di Commercio e Provincia di Siena, Regione Toscana e Ministero delle Politiche Agricole. Da parte mia ci fu una disponibilità immediata ad occuparmene perché vedevo all’orizzonte, sul piano personale e provenendo da una famiglia contadina, una valorizzazione del mio passato, e sul piano professionale un contributo a tracciare quel filo rosso che unisce l’Italia: qualità e cultura”.
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Andiamo avanti: dopo questa prima azione quali sono state le altre iniziative?
“Venni nominato segretario generale e organizzammo il primo Forum dove Consorzi, Regioni, produttori si confrontarono sui temi relativi alle DOP-IGP. Ne seguirono altri cinque che diedero vita a un Osservatorio che realizzò il primo Rapporto, nel 2003, su quel nuovo mercato. Un Rapporto che si è sviluppato negli anni e che, ora, si avvale della collaborazione tra la Fondazione e l’ISMEA. Sono, infatti, convinto che solo con i numeri alla mano, si possono rendere concrete proposte e idee. E i numeri del Rapporto testimoniano inequivocabilmente che l’idea originaria di portare a sistema era vincente. Oggi tutti i ricercatori che parlano di DOP e IGP a livello internazionale, guardano al nostro Rapporto come unico esempio a livello internazionale. A questa iniziativa ne seguì un’altra, ideata insieme al professor Luigi Verrini, autorevole componente del comitato scientifico della Fondazione: realizzare un Atlante Qualivita delle produzioni DOP-IGP. Un Atlante che avesse come obiettivo far conoscere disciplinari di produzione che altrimenti nessuno avrebbe mai letto nel loro linguaggio burocratese; i territori con la loro storia dove nascono le produzioni. Un prodotto editoriale dal linguaggio comprensibile che raccogliesse l’insieme delle produzioni. Oggi quell’Atlante porta il simbolo della Treccani, un marchio che fa della qualità dei contenuti una regola aurea. L’edizione del 2022 è una pubblicazione di 1033 pagine che racconta davvero tutta l’Italia di qualità”.
Queste 1033 pagine stanno a significare una capillarità del sistema: quanto vale oggi?
“I numeri delle DOP e IGP italiane, ai primi di febbraio 2023, ci raccontano di un settore che ha una grande valenza nel comparto agroalimentare italiano. Le DOP e IGP sono in totale 845, di cui 319 legate al cibo e 526 al vino. 581 sono prodotti DOP, cioè quelli che hanno uno specifico legame con il territorio d’origine; 260 IGP, un riconoscimento per un prodotto importante che ha un disciplinare di produzione specifico; 4 STG, che riguarda prevalentemente il mondo delle ricette come nel caso dell’Amatriciana. L’insieme del valore, dato risalente al
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2021, è di 7,97 miliardi alla produzione e di 15,82 miliardi al consumo. Gli operatori della filiera sono 198.842 e i consorzi di tutela e valorizzazione 291”.
Numeri effettivamente importanti, che ruolo ha giocato Fondazione Qualivita nel raggiungere questi risultati?
“Prima di rispondere a questa domanda voglio aggiungere un altro dato: le DOP e IGP in Europa sono in tutto 3.069, quindi si può ben capire come l’Italia vanti una posizione di primissimo piano corrispondente quasi al 30% del totale. Cosa significa questo? Che se facciamo sistema questo Paese può diventare ancor più competitivo. Voglio ricordare un altro primato, questa volta come Fondazione Qualivita e qui vengo alla risposta. Nel 2006 abbiamo lanciato la sfida a McDonald’s, c’era allora Mario Resca come ad in Italia, la prima risposta fu “noi siamo americani e facciamo da mangiare come gli americani”. Io gli risposi che ci saremmo rivisti e, nel 2010, insieme anche alla sensibilità di Luca Zaia, a quel tempo ministro delle Politiche agricole, che è stato un grande artefice delle DOP e IGP, tornai da McDonald’s, l’amministratore era cambiato, e nacque il progetto McItaly, portando tanti prodotti DOP e IGP nelle ricettazioni. Un caso unico nella storia del colosso americano che fa cose uguali in ogni parte del mondo tranne che in Italia. Questo ha significato far capire ai produttori e alle filiere che esistono molti approcci per i mercati; la regionalizzazione dei menu McDonald’s ci ha permesso di parlare, inoltre, ai giovani con un messaggio semplice per arrivare alla complessità. Noi avevamo un problema con la chianina di Vitellone Bianco IGP che non si vendeva a sufficienza, convinsi McDonald’s a utilizzare per i suoi hamburger la chianina e, da quel momento, tutte le migliori hamburgherie in Italia usano la carne chianina di Vitellone Bianco IGP.
Un’esperienza, quella di McDonald’s ha aperto tanti fronti, ad esempio per i formaggi; il Pecorino Toscano ha dovuto preparare un prodotto a fette per la multinazionale e questo ha poi dato vita ad una linea di Pecorino Toscano a fette che oggi si vende anche nei supermercati. Cosa voglio dire con questo? Che vincere la resistenza iniziale di McDonald’s ha favorito processi produttivi e distributivi che, diversamente, non sarebbero mai stati analizzati. Oltre al fatto che abbiamo divulgato i prodotti DOP e IGP tra i giovani e non solo tra le massaie e i ristoratori, elevando ancora un poco la cultura alimentare”.
Il cibo italiano come patrimonio culturale; avresti mai pensato di raggiungere questo obiettivo quando hai cominciato vent’anni fa a lavorarci?
“Ti confesso che si, che quello era l’obiettivo a cui volevo arrivare. Nel 2008, quando andavo in trasmissioni come Occhio alla spesa ancora nessuno conosceva la differenza dettata dal simbolo europeo, poi iniziai a fare il consulente di Linea Verde e, infine, con l’EXPO nel 2015 siamo arrivati all’obiettivo di affermare il cibo italiano come patrimonio culturale. Ora ci attendono nuove sfide”.
Quali sono?
“Una in principal modo: legare la ricerca scientifica alle DOP e IGP. Abbiamo fatto, di recente, Italia Next DOP, il primo Simposio Scientifico delle filiere DOP e IGP, dove sono stati presentati 90 progetti di ricerca su queste filiere. Siamo di fronte a un momento di grande evoluzione dell’agroalimentare italiano. Oltre alla sfida della transizione ecologica, dobbiamo affrontare vari attacchi internazionali e, in questo contesto, la ricerca ci ha mostrato, con questa prima edizione del Simposio, una nuova visione della qualità e come le filiere dovranno evolversi per rimanere leader sui mercati. Nel 2050, con la crisi ambientale che sta avanzando velocemente, se non si farà nulla, nelle terre senesi forse non si potrà più fare il Brunello, ad esempio. Occorre quindi diventare parte attiva nella ricerca. In questo i Consorzi possono e devono avere visione: non limitarsi alla tutela ma investire nella ricerca. Così come sul Nutriscore occorre dare risposte e non fare semplici proteste. Il mio obiettivo, in questo, è creare uno strumento di divulgazione scientifica, accessibile come linguaggio, utile per i produttori, essenziale per le persone che tengono alla qualità e alla cultura”.
Un’ultima domanda: quanto incide il marchio DOP e IGP nella ristorazione e quale ruolo possono avere i distributori di foodservice nella sua affermazione nel canale horeca?
“Avere nel menu di un ristorante prodotti a Denominazione è un vanto e fa chiarezza estrema sull’ingrediente. Una delle richieste maggiori da parte degli ospiti di un ristorante è: da dove provengono le materie prime. Bene, se un prodotto è DOP o IGP capirne la provenienza è molto semplice, inoltre permette al ristoratore di raccontarne la storia. L’imprenditore che fa ristorazione è stato molto bravo sul vino nel corso degli anni ma è stato aiutato proprio dal fatto che quei vini avessero una denominazione. Ora può diventare un grande testimonial anche di altri prodotti. Penso all’olio extravergine, un prodotto davvero simbolo del nostro Paese, del benessere delle persone. Oggi c’è un approccio quasi dilettantesco, lo si considera ancora solo come costo mentre la ristorazione potrebbe fare moltissimo per affermare una cultura dell’olio”.
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E il distributore come può valorizzare un prodotto DOP o IGP?
“Lo può fare creando un format di presentazione e di vendita preciso e distinguibile. La formazione, per fare questo, è un elemento essenziale e da parte nostra abbiamo gli strumenti per permettere di capire meglio questo comparto. La narrazione, nel momento in cui si propone un prodotto a Denominazione, è un fattore molto importante che supera ogni logica di prezzo. Raccontare una progettualità di filiera e tenere ben fermo il tema della cultura alimentare può diventare uno straordinario aiuto a tutto il comparto e trasformarsi in un piacere per gli ospiti stessi del ristorante”.
Per amore della buona cucina, abbiamo esaltato i sapori della natura.
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Legumi, cereali, verdure: una linea completa di cotti a vapore, che garantisce agli chef ingredienti di alta qualità, genuini, buoni e pronti da utilizzare, senza sprechi e senza perdite di tempo.
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Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita
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Le neuroscienze hanno dimostrato l’impatto della musica sulle performance mentali, sportive e persino nel guidare i comportamenti d’acquisto Nel 2020, 139 esperimenti hanno dimostrato che ascoltare musica durante l’attività sportiva migliora ossigenazione e resistenza alla fatica. La musica ha inoltre un impatto sulle performance mentali. Nel 2005 venne realizzato un esperimento passato alla storia della psicologia come “effetto Vivaldi”. Le persone quando ascoltano canzoni rispetto a quando nella stanza è presente rumore bianco, una specie di suono senza ritmo e melodia, realizzano prestazioni mentali migliori. La connessione tra suono e comportamenti dei clienti è intensa nel campo della ristorazione Si è dimostrato che una musica sotto i 100 battiti per minuto aumenta la propensione a spendere di più e fermarsi maggiormente per gustarsi il pasto. Al contrario musica con un ritmo più intenso porta i clienti a consumare più velocemente, alzandosi prima da tavola. Come se il ritmo musicale determinasse il tempo della cena o del pranzo.
Uno dei primi esperimenti risale alla fine degli anni ‘90. In un’enoteca si alterna in giornate diverse musica francese e tedesca. Misurando le vendite delle bottiglie, si osserva “curiosamente” che la propensione a comprare Champagne o Riesling è molto influenzata dalla musica nell’aria. Il fatto interessante è che solo lo 0,3% dei consumatori, direttamente intervistato, riteneva che la musica avesse avuto un ruolo nell’acquisto. Nella stragrande maggioranza dei casi, il cliente era guidato inconsapevolmente dalla colonna sonora. Un recente studio svolto negli USA dimostra che una musica rilassante nella hall di un albergo (ambient jazz), determina la riduzione nel sangue di neurotrasmettitori legati allo stress, come il cortisolo. La percezione sonora facilita l’imprinting emotivo positivo nei momenti fondamentali del check-in e del check-out. Ci sono due errori comuni che si trovano spesso nella scelta musicale nell’ambito della ristorazione. La Radio e le Hit. La scelta di trasmettere la radio in sala è inefficace, in quanto la programmazione della