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Le sfide più grandi
from NIGRO_Marzo2023
Etica e sostenibilità, termini difficili da affrontare (anche nella ristorazione) ma imprescindibili per il futuro
Mentre scrivo questo pezzo raccolgo un indicatore importante: uno dei termini più cercati in rete in relazione all’etica in questi giorni che anticipano la prima Convention di Amodo è l’etica dell’intelligenza artificiale.
Per chi avesse finora ripudiato l’argomento l’intelligenza artificiale (IA) è l’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali ragionamento, apprendimento, pianificazione e creatività. Un’innovazione che, come altre nell’ultimo decennio, sembra lontana anni luce dalla nostra imperturbabile quotidianità e che invece sta già bussando alle nostre porte con dimostrazioni pratiche sbalorditive.
Ci è difficile segnare i confini di questo cambiamento epocale, prevederne gli esiti, capire cosa sostituirà chi e quanto sarà positivo o negativo il bilancio di una convivenza su larga scala con l’intelligenza artificiale. Però, va detto, è un fatto buono riscontrare che l’uomo si stia interrogando sull’etica, sul rischio che sta correndo la nostra capacità di pensiero.
Sulla possibilità che ciò che è giusto e ciò che è sbagliato vengano confusi, dimenticati dalla ragione, e che a un certo punto ci si affidi irrimediabilmente a qualcunopardon qualcosa - che decida, impari, sviluppi, direzioni al posto nostro.
Nessun discorso sui massimi sistemi e sui benefici e i danni del progresso, non è questa la sede. Solo il desiderio, con questa introduzione, di darvi ulteriore motivo per approfondire il progetto Amodo. Una rete che abbiamo voluto fortemente come redazione e che sin dalla sua origine si è proposta di parlare non di qualcosa di diverso, ma di qualcosa di concreto, auspicabilmente misurabile, fondato su un’etica vera, fatta di azioni e risultati e non di slogan, classifiche, intenti commerciali. Abbiamo voluto mettere sul tavolo le carte “scomode”, visibili, per stimolare un confronto produttivo, con chi ha voglia di starci. Ci auguriamo che assieme agli attuali e futuri aderenti alla rete si riesca a trovare la lucidità su alcuni temi, a portare iniziative utili ad altri ristoratori o per i settori interconnessi all’ospitalità, a stimolare un pensiero etico, a condividere dei modelli virtuosi contrassegnati da grande senso di responsabilità su tutti i segmenti delle filiere.
La sostenibilità, a braccetto con l’etica
Ci proponiamo di narrare modelli simili a quello che vi racconto tra poche pagine, dell’azienda Salcheto di Montepulciano, avanguardista su tutti gli ambiti della sostenibilità. Un realtà che ci dimostra come un sistema possa essere di questa nobile natura, ovvero realmente sostenibile, nell’approvvigionamento, nella trasformazione, nell’economia interna ed esterna e nel rapporto con cliente. Sostenibilità ed etica non sono la medesima cosa ma in questo periodo storico vanno a braccetto più che mai. Perché il pensiero corretto, il pensiero buono che citavo prima, non può prescindere dalla cura e dal rispetto per il futuro, sia in termini sociali che ambienta- li. Ci racconta Michele Manelli, di cui troverete più in là l’intervista completa:
“Cultura e misurazione sono le parole chiave della sostenibilità e servono entrambe. La prima dà significato, la seconda è essenziale per ottenere il risultato. La sostenibilità è infatti di per sé un concetto quali-quantitativo: la sfida è rispondere a questo concetto con le evidenze. La domanda che ritengo alla base della sostenibilità e dell’atteggiamento etico è: come facciamo a gestire gli elementi presenti, in modo da garantire un luogo giusto e accogliente per le generazioni future? Per il sottoscritto, a cui piace essere concreto, è un problema di gestione a cui bisogna rispondere con informazione, logica e analisi quantitativa”. È proprio così che agiscono da Indigeno - Cucina Terrestre, il ristorante (membro sin dalle prime battute della rete Amodo) collocato all’interno della cantina Salcheto, in cui, prima di costruire, si sono posti degli interrogativi trasversali, a partire dai percorsi degli ingredienti. “Da dove provengono i nostri ingredienti? Il lavoro è stato lungo ma abbiamo stretto il cerchio: le verdure derivano dai nostri orti, la carne proviene solo da oche di allevamento proprietà o da cacciagione locale, le uova sono di Paolo Parisi, il pesce di lago viene pescato da una cooperativa sociale. Questi ingredienti sono dettagli a cui dedichiamo la stessa attenzione del protagonista principale: il pane. Abbiamo immaginato la ristorazione attorno al pane ottenuto da farine da grani antichi e lievito madre che per noi è definizione di etica, sostenibilità e condivisione, se nasce proprio così, con lo sguardo agli effetti presenti e futuri. Per il ristorante Indigeno abbiamo investito, al pari della cantina, sul tema dello spreco zero e dell’ottimizzazione energetica”.
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Passando al rapporto tra etica e sostenibilità, aggiunge:
“Nella ristorazione penso sia ancora tutto da fare: mancano molti ambiti da indagare e mancano strumenti per un’analisi oggettiva. Come si fa a districarsi in questa giungla di informazioni? È difficile analizzare la veridicità perché non esistono ancora gli strumenti adeguati. La ristorazione è stata per lungo tempo viziata da una mancanza di informazioni nell’ambito della sostenibilità, della gestione del lavoro, della formazione. La comunicazione oggi, oltretutto, tenta di abbattere la possibilità di un approccio sostenibile ed etico perché antieconomico. Ma non è sicuramente questa la strada per risolvere il problema del lavoro, dei pagamenti ai fornitori, del precariato giovanile, della digitalizzazione nel nostro Paese. La soluzione è fare ricerca e applicare”.
Il paradosso della ricerca nei nostri giorni
A proposito di ricerca, dopo aver parlato con lo chef Lorenzo Cantoni (troverete anche in questo caso l’approfondimento all’interno della rivista) e con i bravi professionisti che lo accompagnano nel progetto Il Frantoio, viene da pensare a quando, in alcuni locali, si incontrano informazioni veicolate in modo coerente e preciso e quando invece si trovano approssimazione e non corrispondenza nei fatti.
“L’utilizzo inappropriato di termini come sostenibilità, economia circolare, etica, benessere degli animali… e la narrazione poco aderente alla realtà sono vizi che una fetta di ristorazione fa davvero fatica a scollarsi di dosso” ci dice Lorenzo.
Un cliente attento, però, lo capisce subito se chi parla conosce davvero ciò che sta raccontando. Per questo siamo convinti che la conversazione con il cuoco o il personale di sala non debba essere una lezione, né un racconto imparato a memoria, ma debba essere oggetto di approfondimento, discussione e scoperta reciproca. Proprio come avviene a Il Frantoio. Poi si deve fare i conti con un paradosso che incontriamo in alcuni ristoranti, che ricalca a un meccanismo odierno: la sovrabbondanza di fonti e strumenti informativi si scontra con la tendenza a dimenticare le notizie nel giro di qualche ora. Pensate a quante volte si legge una notizia, o si fa una ricerca, dimenticandosene i contenuti nel giro di qualche ora. Non solo: oggi c’è l’inclinazione a banalizzare le informazioni, a dare per vero un titolo, una dichiarazione, uno slogan a prescindere, senza appurarne la veridicità…
“La ricerca è una sfida, non è immediata e richiede tempo. La comunicazione all’esterno è l’ultimo passaggio, non il primo” dice Lorenzo Cantoni a tal proposito.
È questo probabilmente ciò che decreta la differenza tra una ristorazione seria, attenta, etica, e una ristorazione che si professa solo tale. Quest’ultima è quella che rischia di perdere i pezzi man mano che avanza il progresso.
Autore: Luigi Franchi