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PIZZERIE

PIZZERIE

Autore: Luigi Franchi

Come scegliere la carne per la ristorazione

Ne parliamo con Emiliano Baldi e Gaia Ercoli

Perché parlare di carne, in un momento in cui, come è evidenziato anche nell’editoriale di questo numero, il mondo sembra rivolgersi a ben altre tipologie di consumo? Perché, nonostante le tendenze, il consumo di carne è in costante crescita nel mondo della ristorazione, grazie ad una diversa sensibilità degli chef e degli ospiti stessi di un ristorante. Non più massicce quantità, non più carni senza un’indicazione precisa di provenienza, maggior attenzione ai tagli e alle ricettazioni.

Quindi parlare di carne è necessario, soprattutto dando suggerimenti e contenuti utili agli chef, ma anche ai pizzaioli che vogliono rendere più contemporanee le loro pizze.

La Meat Experience di Demetra e Wiberg

La meat experience voluta da Demetra e Wiberg, aziende che non producono né vendono carne è una risposta al bisogno che veniva evidenziato sopra: il consumo di carne è cambiato radicalmente e, di conseguenza, “l’ingrediente prioritario di ogni piatto deve assurgere sempre a ruolo di protagonista, ma tutto ciò che vi ruota intorno, dagli ingredienti comprimari ai condimenti, dai contorni ai decori, ha il dovere, ancor prima del piacere, di apportare valore aggiunto al piatto” Sulla base di questa filosofia, esplicitata nel loro sito, in Demetra hanno dato vita a un progetto affidandolo alle mani e alla testa di Gaia Ercoli, meat specialist. Gaia Ercoli, laureata in archeologia per il piacere dell’arte in ogni forma, ha un legame molto forte con il mondo delle carni, provenendo da una famiglia aretina di macellai da 54 anni. Lei ha assorbito tutto di quel mestiere, lo ha trasformato prima in docenze formative per Ascom e, ora, ha messo la sua esperienza a disposizione di Demetra, come racconta lei stessa: “Questo incarico è la coronazione ai miei desideri professionali, perché lavoro in un’azienda leader nel settore delle salse, delle spezie, di tutto quello che può accompagnare una corretta ricettazione della carne, come dimostra il ricettario di Meat Experience che ab-

Emiliano Baldi Gaia Ercoli

biamo prodotto: suddiviso in due parti – Ready to cook e Ready to eat – rivolto a due segmenti di mercato, quello della ristorazione e delle macellerie. Un connubio perfetto, questo di Demetra con il mondo delle carni, che vado a raccontare, con demo, nelle fiere, nelle cooking room dei distributori, dagli stessi macellai, un canale questo che, a differenza della ristorazione, dove siamo presenti da anni, abbiamo aperto proprio grazie alla Meat Experience. Così come anche nelle pizzerie dove la carne, abbinata che so ai nostri carciofi, rende divertenti e originali le composizioni”.

Quali carni per la ristorazione

C’è un dato che fa riconsiderato quando si parla di consumo di carne. Ed è necessario farlo per avere una corretta percezione di quanta carne mangiano davvero gli italiani e per rendere corretto lo studio delle relazioni tra consumo di carne e salute. Le rilevazioni annuali parlano di circa 90 kg pro-capite di consumo di carne, ma è proprio vero? Un rigoroso studio di un’equipe universitaria, pubblicato in un interessante volume, - Consumo reale di carne e di pesce in Italia, edito da Franco Angeli e redatto da Vincenzo Russo, Anna De Angelis, e Pier Paolo Danieli – si dimostra che la cifra dei 90 kg è basata in modo semplicistico su stime che valutano i cosiddetti “consumi apparenti” di carne, cioè quelli che considerano anche tutte le parti non edibili degli animali, come le ossa, grasso, tendini e cartilagini, che vengono in realtà scartate e non consumate. Lo studio invece è stato in grado di calcolare i consumi reali, cioè basati su cosa finisce veramente nel nostro piatto, che si attestano a 38 kg all’anno, pari a 728 g alla settimana e a 104 g al giorno. Da qui comincia la nostra conversazione con Emiliano Baldi, amministratore delegato di Baldi Food, l’azienda di Jesi (AN) specializzata nella distribuzione nel food service ma anche nella produzione nel mondo delle carni.

Nella ristorazione vanno tagli e carni diverse rispetto a quelle presenti in GDO?

“Il mondo delle carni ha caratteristiche sue peculiari e la domanda qual è la carne migliore e perché è più buona quella che si mangia al ristorante? Non esiste una risposta univoca a questo, ma si possono evidenziare alcuni aspetti determinanti”.

Ce li racconti?

“Innanzitutto c’è una componente visiva da tenere in considerazione. Nella GDO si compra con gli occhi e, di conseguenza, tutto deve essere all’apparenza perfetto. Nella ristorazione, invece, la carne più ‘brutta’ è quasi sempre quella più buona da mangiare. Perché? Ciò che conta è la frollatura, la buona copertura di grasso che denota la giusta maturazione dell’animale

e una buona infiltrazione di fibre all’interno dei grassi che le conferiscono gusto, profumo e sapore”.

I tagli migliori quali sono?

“Anche questa è una logica da superare. Non esistono tagli migliori. Esiste il metodo con cui tagliare la carne, in modo che ne esalti tutte le caratteristiche qualitative: il taglio perpendicolare. Nella lavorazione che facciamo per la fornitura ai ristoranti, separare i tagli permette inoltre di identificarli per un utilizzo corretto nelle cotture”.

Ma c’è chi dice che il filetto è il taglio migliore, ad esempio…

“I muscoli della schiena – entrecôte, filetti, lombate, costate – sono tagli che necessitano di cotture ad alte temperature e bassi tempi. Mentre alti tagli – chiamati muscoli di frazione – necessitano di maggior lavorazione con marinature e quant’altro, ma ogni tipo di carne è buono se l’animale è stato allevato in condizioni di benessere. E qui entra in gioco l’importanza dell’etichetta che racconta molto di tutto questo: la tipologia di allevamento, le condizioni pedoclimatiche, la zona di provenienza, la razza dell’animale”.

A proposito di razze è vero che la carne italiana è più buona?

“Non è più buona, è diversa. Faccio un esempio, spiegando prima che la produzione italiana sarebbe a malapena sufficiente per un terzo dei consumi attuali. Ogni razza produce carni diverse: un Angus dà una carne con una tenerezza intensa, molto profumata, ricca di sapori. Una chianina italiana sarà invece perfetta in un determinato ambito di consumo per salubrità e digeribilità maggiori”.

Oggi l’hamburger è il prodotto di punta del consumo di carne e l’Italia ne ha cambiato le caratteristiche qualitative in meglio, mi sembra. Che ne pensi?

“Il merito va alle nostre mamme che, dal macellaio, sceglievano direttamente il taglio da far macinare perché non si fidavano. Erano i tempi delle ‘svizzere’, il termine hamburger è venuto molto dopo ma quella saggezza è rimasta e si è trasferita a noi produttori. Infatti un buon hamburger non dipende solo da una materia prima eccellente ma anche e, soprattutto, dalla maestria delle lavorazioni. I tagli anatomici che andavano nei bolliti o nei brasati oggi rientrano negli hamburger; il processo di macinazione che rompe le fibre deve prestare molta attenzione a fare in modo che si intenerisca ancor di più la carne; il giusto mix tra carne e grassi sono alcuni degli elementi che contribuiscono alla qualità del prodotto. Ma anche l’impastatura e la formatura giocano un grande ruolo, con l’aggiunta, ogni azienda a suo modo, di ingredienti (spezie, vegetali ecc…) per conferire determinate caratteristiche di gusto che danno origine anche a molteplici tipologie di consumo e di locali”.

Un mondo complesso quello delle carni: il distributore che ruolo ha in tutto questo?

“Quello di saper selezionare le carni adatte a quel determinato ristorante da lui servito. Per questo appartenere a un grande gruppo, come nel caso di Cateringross, permette, attraverso l’esperienza dei buyer e la conoscenza internazionale delle zone di produzione, di avere sempre il meglio per ogni ristorante. La formazione continua degli agenti di vendita è, dunque, fondamentale per tutti noi”.

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