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Luigi Franchi direttore responsabile

Una cena da 19 milioni di dollari

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Fa sorridere la polemica estiva tra Briatore e i pizzaioli napoletani. Fa sorridere perché è una non notizia, fa indignare perché un servizio pubblico come la Rai gli dedica spazio a Porta a Porta, fa deprimere perché se questo è il modo per comunicare il cibo italiano non stupiamoci se poi nel PNRR la parola ristorazione non compare. Queste riflessioni vengono a galla quando, accanto a questa non notizia ne appare un’altra che racconta di come, negli Stati Uniti, si è raggiunta all’asta la cifra record di 19 milioni di dollari per cenare con Warren Buffet, l’uomo definito l’oracolo di Obama. Una cena che la Fondazione Glide organizza dal 2000, con una raccolta che ha raggiunto complessivamente 53 milioni di dollari da destinare a opere di beneficenza. Ma perché, oltre al motivo di cui sopra, una persona arriva a spendere 19 milioni di dollari per cenare con un’altra persona? Qui entra in gioco il valore intrinseco del ristorante come luogo eletto per imparare dalle persone. Un po’ di storia della ristorazione non guasta per capire tutto ciò. La ristorazione, è ormai risaputo, nasce in Francia, durante la rivoluzione quando i grandi cuochi delle case aristocratiche si trovano, improvvisamente, senza lavoro. I primi ristoranti aprono all’insegna del “mangiare è un atto di intelligenza, altrimenti sarebbe un gesto animalesco. E ciò che lo rende intelligente è la compagnia di altre bocche e altre menti… a tavola si sviluppava l’abitudine alla discussione, allo scambio. Un pasto dopo l’altro la gente prese gusto a pensare con la propria testa” (In principio era la tavola di Adam Gopnik). Sta in questo il grande successo che la ristorazione, in ogni parte del mondo, ha avuto e sta continuando ad avere: mangiare bene certo, ma soprattutto confrontarsi con gli altri, essere accolti dagli altri, stare insieme per affetto, amore, amicizia, affari, politica… tutto questo vede il ristorante come protagonista. Poco importa se la pizza di Briatore costa di più di quella che si mangia a Napoli. A New York, un pizzaiolo albanese vendeva la sua pizza a 1200 dollari perché conteneva un topping di caviale e aragosta, ma non ha tenuto banco per giorni sulle testate giornalistiche. Così come la cena da 19 milioni di dollari con Warren Buffet. Non tutti possono permetterselo ma nel mondo c’è chi lo fa, è un dato oggettivo. Sono le parole di Adam Gopnik che dovrebbero invece essere oggetto di approfondimento, e quelle di tanti altri saggisti come lui, per capire cosa significa ristorazione. Sono la breve storia italiana della ristorazione e quella lunga francese e le storie di ogni paese con le proprie culture che dovrebbero essere valorizzate, in primis, da noi giornalisti del settore per educare le persone a riconoscere un ristorante buono da uno meno buono. E per buono non intendo solo il mangiare bensì il lavoro serio che sta dietro al piatto. Fino a quando correremo dietro a non notizie come quella di Briatore le persone non impareranno mai a riconoscere la buona ristorazione, la buona pizzeria, i passi avanti da gigante che ha fatto una parte del settore. Ci limiteremo a una curiosità voyeuristica che non fa bene a un’educazione alimentare ormai indispensabile se vogliamo che questo nostro pianeta non ci collassi addosso.

luigifranchi@salaecucina.it

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