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RITRATTI Gli angeli custodi del risotto

Conosciamo l’attivissima Confraternita del risotto di Sannazzaro de’ Burgondi

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Autrice: Simona Vitali

È un grande piatto il risotto, un piatto identitario della cucina italiana. Lo è per la sua eleganza, per l’incredibile versatilità della ricetta, che consente una vasta gamma di combinazioni, per il suo aver abitato, nel tempo, tutte le tavole (da quelle nobiliari a quelle povere) ed essersi diffuso nelle cucine del pianeta. Una lunga storia porta alla ricetta canonica del risotto che già a fine ‘800 risulta codificata in quelle forme che giungeranno ai giorni nostri, come documenta magistralmente il bibliografo Alberto Salarelli, membro della Confraternita del risotto di Sannazzaro de’ Burgondi, nel prezioso libro Risotto. Storia di

un piatto italiano.

La Confraternita del risotto di Sannazzaro De’ Burgondi

La nostra attenzione intende soffermarsi proprio su quest’ associazione di levatura culturale, che riunisce cuochi, giornalisti, scrittori, professori universitari, ristoratori, sommelier, nutrizionisti e in generale cultori del buon risotto. Capitanata da un presidente, Pietro Bolognesi, che segna instancabilmente il passo nel farsi capofila delle più diverse iniziative per “difendere, diffondere e valorizzare questo piatto, preservandone le caratteristiche di base e garantendone la qualità della preparazione”, la Confraternita del risotto, che festeggia giusto quest’anno vent’anni di vita e ha la sua sede a Sannazaro de’ Burgondi (PV), è un vero proprio mondo da scoprire e di cui fare tesoro.

da sx Paolo Calvi e Giuseppe Marchini (Cerimoniere e vicepresidente Confraternita del risotto), Francesco Jannuzzi (presidente Club Dodici Apostoli), Pietro Bolognesi (presidente Confratenita risotto), Marco Porzio (presidente FICE), Gilberto Bernini (Confraternita de risotto).

Aderirvi significa impegnarsi a portare il proprio contributo, sapendone però. E qui sta la differenza rispetto ai facili innamoramenti. Non basta dirsi appassionati di risotto, bisogna dimostrare di essere sul pezzo. “Tu come fai il risotto?” è la domanda che inesorabilmente parte dal presidente con nonchalance, mentre si parla del più e del meno. Seguono immaginabili annotazioni, perché qui non si va di pressapochismo ma di nozioni ben precise. Quest’associazione, che conta molte consorelle in giro per l’Italia (per citarne solo alcune: Arciconfraternita del culatello di Soragna, Confraternita del peperone di Voghera, Confraternita della patata di Bologna, Club dei Dodici apostoli, Confraternita d’la Tripa D’moncale, Accademia della castagna bianca di Mondovì...) esercita una certa attrazione in chi l’approccia. Al suo interno si respira un bel clima di accoglienza, si capisce che c’è coesione, e la giovialità, che sempre si dovrebbe accompagnare alla consumazione del cibo, qui è la regola. Lo si dice spesso che la magia sta tutta nel godere di ciò che si mangia. Ma attenzione, è dalla testa che parte questo che sembrerebbe il più naturale e scontato degli effetti!

L’intronizzazione di nuovi confratelli

La buona notizia è che c’è apertura ai nuovi ingressi (che nelle Confraternite non è mai cosa così scontata) purché nei candidati ci sia motivazione vera a portare avanti la cultura del risotto, naturalmente. Su questo tutti i confratelli sono d’accordo, perché poi c’è del lavoro da fare. Entrare nella Confraternita del risotto non è il vanto di collezionare spillette, e non è casuale il riferimento. In molti sono ingolositi da questo. Certamente quei mantelli color arancio e il cordon d’or ocra che connotano un’appartenenza ben precisa, esercitano un grande fascino, come quel rito che sa di antico, e per questo ancor più attraente, di intronizzazione dei nuovi candidati. Immaginate i confratelli del direttivo avvolti dai loro mantelli e con al collo cordon d’or tempestati di spillette che sembrano opere d’arte - segno delle tante partecipazioni a convivi propri e delle altrui confraternite - immaginateli, appunto, in ascolto del giuramento del candidato che si impegna a “divulgare in omne cittade e omne contrada la gloria de lo Risotto, nello rispetto dello statuto”. E soltanto dopo investire il candidato con un cordon d’or che è come una pagina bianca, ancora tutta da scrivere o meglio da riempire di spillette che guadagnerà sul campo con la partecipazione ai convivi.

Il protocollo per un buon risotto e il marchio di garanzia

La Confraternita del risotto, con l’apporto di cuochi, esperti di enogastronomia ma anche attraverso una disamina storica delle tradizioni popolari radicate nella provincia di Pavia e Lombardia che al risotto ha dato i natali, ha messo innanzitutto a punto il protocollo per un risotto degno di questo nome, andando a rimarcare quattro passaggi indispensabili per la sua preparazione: soffritto, tostatura, aggiunta graduale di liquido e mantecatura, sviluppati in ben cinque pagine di testo, ricche di precisazioni, chicche, spunti, validi promemoria... come quel “ importante è tenere presente che il riso continua a cuocere fuori dal fuoco: mentre lo si sta mantecando (calcolate un minuto) e mentre lo si serve nei piatti e lo si porta in tavola (1/2 minuti)”. Oppure una disamina sul riso scotto “macchia infamante per ogni gastronomo, di professione o dilettante che sia” con la puntualizzazione che “il tempo di cottura (del risotto) dipende da molti fattori: la varietà

Il coro delle mondine di Novi (progetto Riso a tutto tondo di Luigina Baistrocchi)

del riso, la stagionatura, la lavorazione a cui è stato sottoposto, il calore del fornello, il tipo e la forma del recipiente, il rapporto tra il riso e il liquido presente in pentola, il gusto personale. Vero guaio è quando fautori del riso al dente e amanti del riso ben cotto si trovano sotto lo stesso tetto!” Al protocollo è stato associato un marchio di qualità registrato, che viene conferito a quelle attività ristorative che si impegnano a rispettare con continuità tutti gli aspetti stabiliti dal protocollo. “A questo proposito – spiega il presidente Pietro Bolognesi – ogni confratello ha il preciso compito, direi dovere, di segnalare al direttivo i locali potenzialmente meritevoli, anche fuori regione, dell’assegnazione del marchio di qualità. A seguito di visita e valutazione, se il giudizio è positivo assegniamo il marchio di qualità, facendo sottoscrivere al ristoratore il suo impegno. A riprova della serietà dell’assegnazione del riconoscimento, ci tengo a precisare che il marchio può essere revocato, così come è accaduto in un paio di occasioni. Siamo molto radicati nel territorio. Per i ristoratori rappresentiamo un baluardo in difesa della tradizione pavese, lombarda, italiana in tema di risotto, pur rispettando le tendenze innovative”.

Il risotto in menù?

Croce e delizia, il risotto divide il popolo degli chef. Sono in diversi quelli che non hanno il coraggio di metterlo in carta e quando c’è vi si trova spesso quel

Pietro Bolognesi fa lezione agli studenti dell’istituto Santachiara di Stradella

vincolo “minimo per due” a condizionare le scelte dei commensali. “Per fare un buon risotto – spiega Pietro Bolognesi – occorre un cuoco che ci si dedichi per più di 20 minuti, oltre ad eventuali operazioni preparatorie. E questo è un costo, ecco il perché del minimo per due. C’è poi il rischio di immagine, perché diversi sono i fattori per cui un risotto può non venire perfetto”. Intanto che stiamo discorrendo Bolognesi ci svela anche il perché nell’Oltrepò pavese è marcata la tradizione del risotto: “Uno dei motivi – racconta – è che le mondine oltrepadane venivano pagate oltre che con il salario anche con un kg di riso al giorno, che puntualmente cucinavano. Così hanno imparato a fare bene il risotto”. Le mondine, queste grandi donne che hanno conosciuto la fatica della ‘monda’ e che per resistere, non sentire la fatica, cantavano anche ‘canti a dispetto’, che servivano per comunicare, protestare denunciare... E che, forse non lo sanno in troppi, grazie alla loro lotta hanno portato al riconoscimento delle otto ore di lavoro giornaliero.

Lo spirito curioso è solo costruttivo

Il tratto che accomuna i confratelli è un grande spirito curioso, quell’insaziabile bisogno di conoscere che è un approccio in senso più ampio alle cose della vita, e non si limita al risotto. Basta guardare al presidente che, nel corso del tempo, ha assommato più ruoli, arrivando a rivestire anche quello di Presidente della Confraternita del peperone di Voghera, gran maestro della tagliatella alla Santa Giuletta, vice presidente di Coenobium, la prima esperienza di Federazione provinciale di tutte le confraternite e associazioni della provincia di Pavia. Perché il sapere è tale se non è settoriale. Sta di fatto che nella Confraternita corre una bella energia che si traduce in un carnet di iniziative da lasciare basiti i più attivi organizzatori di eventi. Dalla nascita (2002) ad oggi c’è stato un ampliamento del raggio di azione con la creazione di delegazioni su Milano, Alassio, Salsomaggiore e Zurigo, per meglio adempiere al giuramento. Molte sono le iniziative culturali organizzate tra serate a tema con il coinvolgimento dei più diversi produttori ma anche di carattere più generale (fisica e chimica in cucina, cucina e sport, comunicazione in senso più ampio e nei gruppi enogastronomici....), la formazione nelle scuole alberghiere per tramandare ai ragazzi il risotto secondo tradizione, i momenti conviviali di scambio con le altre confraternite, la partecipazione attiva a progetti ed eventi sul territorio, che siano ad opera di istituzioni o associazioni locali, sovente arricchita dalla creazione di risotti dedicati (risotto con la pesca di Volpedo, risotto con la ciliegia di Bagnaria, risotto di Sannazzaro o del burgundo con burgondella -formaggio fresco locale- salame d’oca e bietola rossa, risotto con la patata di Cencerate del Brallo, risotto di Bressana Bottarone con le noci, risotto di Salsomaggiore con le quaglie...). Nel tempo è stata pure creata una scuola dei risotti, aperta a tutti, che ha avuto un buon successo. Non possiamo non nominare un recente progetto denominato “Riso a tutto tondo” capitanato dall’attivissima delegazione di Salsomaggiore, coordinata da Luigina Allodi Baistrocchi, che ha contemplato ben due diversi percorsi multisfaccettati di formazione per le scuole (media e alberghiera), l’organizzazione di un concorso con i ragazzi dell’alberghiero per dar vita al risotto di Salsomaggiore, una raffinata cena di gala di presentazione del suddetto risotto e un pomeriggio a teatro con le mondine di Novi, perché chi ha fatto la storia non va mai dimenticato! Parlando con il presidente abbiamo scoperto che per il prossimo autunno bolle in pentola un corso ad alta concentrazione di contenuti, di cui daremo comunicazione più dettagliata, per far conoscere il percorso dal riso nel campo al risotto nel piatto, tra il teorico e l’esperienziale, che si snoderà in un’intera giornata, con tanto di degustazione di risotti. Un distillato di nozioni che non è facile trovare in un unico contesto. Lunga vita alla Confraternita del risotto, al suo infaticabile impegno di tenere alto il nome di un piatto che è talmente italiano da risultare intraducibile in qualsiasi lingua!

L’assegnazione del marchio di qualità a Serena Pretto della Locanda del Mantegna di Piazzola sul Brenta

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