Mussolini fonte d'ispirazione per la propaganda Nazista

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IUSVE – Corso di storia contemporanea – Prof Angelo Visentin Mussolini fonte d’ispirazione per la propaganda nazista Approfondimento a cura di Simone Marsano – 5125 – VE

Adolf Hitler, il più grande dittatore della storia, ancora oggi è ricordato e stimato da qualche fan club tedesco; com’è possibile che tanti uomini abbiano acconsentito alla deportazione? Come ha fatto a inculcare la sua ideologia nella mente di onesti padri di famiglia? Ho scelto di sviluppare questo tema per comprendere le potenzialità della propaganda. Se un uomo così folle sia riuscito ad apparire al suo popolo come un rivoluzionario c’è tanta dissonanza cognitiva da analizzare. Partiamo analizzando la sua biografia, Adolf Hitler a scuola assumeva un comportamento irrequieto talvolta aggressivo. Dai giudizi di alcuni insegnanti risulta che era attaccabrighe e testardo, presuntuoso e di cattivo carattere, incapace di sottomettersi alla disciplina scolastica. Precocemente s’interessò di politica e a sedici anni era già un fanatico nazionalista germanico. Nel 1906, dopo la morte dei suoi genitori, si trasferì a Vienna e iniziarono gli anni più duri della sua vita: viveva in miseria, solo, vagabondava per la città vivendo di espedienti. Fece il manovale nei cantieri edili, spalò la neve, lavorò come facchino alla stazione; quando gli capitavano, le occasioni migliori dipingeva cartoline e manifesti pubblicitari per qualche bottega. Ma aveva diciotto anni ed era pieno di speranze: sognava ancora di diventare un artista famoso. Per quattro anni consecutivi cercò di entrare all’Accademia di Belle arti ma tutte le volte venne respinto per la sua mediocrità. “Scarse attitudini, prova di disegno insufficiente”, fu il verdetto della commissione esaminatrice. Osservando le grandi manifestazioni di piazza dei lavoratori viennesi, Hitler comprese che il successo nella politica dipendeva dalla capacità di orientare il consenso delle folle. Hitler non s’impegnò ancora nella politica attiva ma iniziò a esercitare la sua oratoria davanti ad uditori occasionali, nei dormitori pubblici e nelle mense popolari. Aveva un talento naturale, unico, che contribuì in grande misura al suo successo. Nel 1913 Hitler si trasferì a Monaco. Aveva ventiquattro anni e non era riuscito a diventare né pittore, né architetto. Non aveva amici, né un lavoro, né una casa: non era altro che un vagabondo eccentrico. Aveva già maturato l’idea che la razza padrona dei Tedeschi avesse il compito di dominare le razze inferiori, provava un odio viscerale per la democrazia e il parlamentarismo. Era animato da un’irriducibile fiducia in se stesso e dalla profonda convinzione di avere una missione

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da compiere. Quando nel 1914 scoppiò la guerra si offrì volontario. Si arruolò nell’esercito tedesco perché odiava servire quello austriaco a fianco di Ebrei, Slavi e altre minoranze etniche. La guerra fu per lui la grande occasione: finalmente poteva lottare per la sua amata patria d’adozione, soprattutto poteva superare gli insuccessi e le frustrazioni degli anni precedenti.

Fu un soldato coraggioso. Fu ferito due volte e decorato al valore con la croce di ferro, la più alta onorificenza militare, che egli portò con orgoglio fino alla fine della sua vita. Era tuttavia un soldato strano: a differenza degli altri commilitoni non brontolava mai per la sporcizia, i pidocchi, il fango, il tanfo delle trincee. Alcuni compagni lo descrivono in preda a vere crisi di nervi: lo si vedeva dapprima immerso nei suoi pensieri con le mani sulla testa e all’improvviso scattare inveendo contro i “nemici interni del popolo tedesco” (ebrei e marxisti). Si può comprendere come Hitler interpretò la sconfitta tedesca e la fuga del Kaiser: pianse disperatamente e la definì la più grande ignominia del secolo. Da quell’esperienza Hitler prese coscienza del proprio destino e i consacrò alla politica.

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Finita la guerra Hitler trovò impiego, nella sezione stampa e propaganda delle forze armate e fu assegnato all’istruzione delle truppe. Fu un incarico importante perché in questa circostanza Hitler comprese che poteva sfruttare il suo talento oratorio. Per la propaganda trovò il riflesso del suo pensiero nell’ideologia fascista e cominciò a studiarla a fondo per dare forma ai suoi progetti. Secondo il fascismo bisognava creare un uomo nuovo: atletico, perseverante, pronto al sacrificio, ma anche energico, coraggioso e laconico (possiamo ritrovare queste caratteristiche nella razza ariana di Hitler). Altra importante componente ideologica fu l’esaltazione della potenza della Roma imperiale interpretata come degna anticipatrice della gloria e dei successi fascisti. Per questo nei gesti e nel linguaggio il fascismo si volle mostrare come il naturale continuatore della Roma antica. Capì Hitler che per aumentare il sentimento patriottico doveva riportare alla luce le tracce della forte Germania antica.

Il grande Benito Mussolini, divenne il suo unico profeta e faro da seguire. Mussolini era il duce, termine col quale nel mondo romano s’indicava il generale, il capo militare valoroso e trionfante in battaglia. Come segno di continuità col passato reintrodusse l’uso del saluto romano, alzando il braccio destro in alto. Il dizionario fascista, comprendeva termini specifici per definire figure e ruoli tipici del regime. Innanzitutto la parola “camerata” (che letteralmente significa compagno, amico) data a coloro che s’iscrivevano al Partito fascista. Dalla definizione di “balilla” o “figli della lupa”, si nota il chiaro riferimento alle vicende romane. Anche le cariche politiche avevano nomi di origine antica. La parola “gerarca”, per esempio, in passato definiva

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un’autorità religiosa, mentre durante il regime furono chiamati gerarchi le massime autorità del Partito fascista. La carica di “podestà” nel Medioevo indicava il capo del Comune: con Mussolini la parola definì nuovamente il campo della amministrazioni comunali nominato direttamente dal governo. Impose il suo marchio anche nel linguaggio, nel modo di esprimersi. Per esempio, impose l’uso del voi al posto del lei nella conversazione. Inoltre, diffuse molti slogan attraverso la radio e il cinema, o anche scrivendoli sui muri lungo le strade: “Mussolini ha sempre ragione”, “Credere, obbedire, combattere”, “Vincere e vinceremo”.

Anche Hitler creò i suoi slogan, in particolare il motto Ridestati Germania, per la bandiera quadrata, adottò la svastica scegliendo colori e simbolo con un preciso significato: il rosso rappresentava l’idea socialista del movimento; il bianco, la nazione; la svastica, la missione per la vittoria dell’uomo ariano. Disegnò gli stendardi con la svastica e la corona d’argento sormontata da un’aquila da portare alle adunate.

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Non era certo arte, ma dal punto di vista della propaganda, tutto questo si rivelò più efficace del fascio littorio del Partito fascista. Entrambi simboleggiavano la forza dell’unità del popolo; la tradizione ispirava la consapevolezza, ma ognuno doveva elevarsi al di là di essa, senza perdere di vista il suo punto di partenza.

Nel settembre 1919 Hitler venne a contatto con il Partito dei lavoratori tedeschi, partecipò alle riunioni e in poco tempo raggiunse una posizione di primo piano. Un anno dopo prese le redini del partito e lo ribattezzò Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi. Giunto al potere, fece dell’odio razziale il cemento del nuovo ordine. Dapprima gli Ebrei furono colpiti con la diffamazione, l’aggressione, la discriminazione nell’economia; poi furono completamente esclusi dalla vita politica e sociale con appositi provvedimenti legislativi; infine, ne avviò lo sterminio. La persecuzione, dunque si articolò in tre fasi distinte. Dal 1933 al 1935 i nazisti scatenarono una violenta propaganda per diffondere tra i Tedeschi l’ostilità verso la comunità ebraica. Per esempio, invitarono al boicottaggio dei negozi degli Ebrei contrassegnandoli con la stella di David o con scritte infamanti.

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Il 7 aprile 1933 il governo emanò un decreto che imponeva il licenziamento di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione “non ariani”. Nel 1935 la persecuzione fu legalizzata. Il 15 settembre il governo nazista emanò le Leggi di Norimberga che, su basi biologico-razziali, escludevano gli Ebrei dalla “Comunità nazionale”. Essi perdevano quindi la cittadinanza tedesca e i diritti politici e civili. Si sanciva formalmente per gli ebrei la condizione di “razza inferiore”, dichiarandoli “Untermenschen” (sotto uomini). Gli Ebrei furono esclusi dalle università, dalle cariche pubbliche, dalle radio e dai giornali; inoltre fu impedito loro di esercitare le professioni mediche, l’avvocatura, l’insegnamento. Era reato sposare un ebreo o anche solo frequentarlo. La vita per gli Ebrei divenne impossibile. Il 7 novembre 1938 un ebreo polacco uccise un diplomatico tedesco a Parigi. L’assassinio scatenò in tutta la Germania un vero e proprio pogrom, ossia una serie di violenze su larga scala contro la popolazione ebraica. Tra il 9 e il 10 novembre 1938 la cosiddetta notte dei cristalli, furono infrante vetrine dei negozi degli Ebrei, distrutte le sinagoghe, incendiate le abitazioni, feriti e uccisi Ebrei in tutta la Germania.

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Hitler arrivò alla decisione definitiva di procedere allo sterminio della popolazione ebraica, quando la seconda guerra mondiale era già cominciata, nel 1941. Lo sterminio si articolò in due grandi operazioni. La prima iniziò con l’invasione dell’URSS (giugno del 1941). Nel corso del 1942, invece, si avviò la deportazione nei lager degli Ebrei dell’Europa occidentale, centrale e sud-orientale. Era l’attuazione della cosiddetta “soluzione finale della questione ebraica”. La società che Hitler aveva in mente era una società senza gli Ebrei e con gli Slavi ridotti in schiavitù. Una società in cui non ci fosse dissenso politico, senza criminali, malati di mente, mongoloidi, omosessuali, zingari, testimoni di Geova: tutti i soggetti che furono rinchiusi nei lager. Il campo di concentramento, dunque non fu riservato solo agli Ebrei. Fu anzi uno strumento in qualche modo ordinario, da utilizzare per risolvere definitivamente anche problemi come l’handicap e la malattia mentale. L’obiettivo nazionalsocialista era di creare la razza padrona germanica e i dirigenti nazisti giunsero alla conclusione che, per realizzare questo scopo, occorreva estirpare la materia biologicamente inferiore. Ciò che mancava a Hitler era il consenso delle masse.

Il regime fascista aveva ben compreso l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione per diffondere le proprie idee politiche. La stampa fu sottoposta a censura: i direttori di giornale non graditi dal governo furono sostituiti. Nel 1927 fu fondato un ente radiofonico, l’EIAR (antenato della Rai) che si occupò della gestione di questo nuovo potentissimo mezzo di comunicazione. I discorsi di Mussolini furono ascoltati dai cittadini nei locali pubblici, nei luoghi d’incontro e nelle case proprio grazie alla radio. Nel 1923 fondò L’Unione Cinematografica Educativa (LUCE), che si occupò della produzione di documentari e cinegiornali d’attualità. Questi ultimi furono diffusi

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obbligatoriamente a partire dal 1926 in tutte le sale cinematografiche italiane, prima della proiezione del film, per mostrare la grandezza e il valore del duce, i progressi dell’Italia, l’aumento di produttività dell’Industria, la crescita del prestigio internazionale. L’immagine che i cinegiornali davano dell’Italia era quella di un paese sicuro nel quale si viveva onestamente, dove tutti lavoravano, dove le famiglie erano numerose e serene.

L’apparato propagandistico tedesco fu affidato a Joseph Goebbels, ministro per l’Educazione e la Propaganda. La ricerca del consenso si fondava sulla diffusione del mito della razza pura, dell’uomo bello e sano, legato alla terra in una società di contadini guerrieri. La manipolazione delle coscienze fu costruita con i più moderni strumenti a disposizione: la radio, il cinema, le adunate oceaniche. Alla propaganda si aggiungeva una rigorosa censura sui giornali, il controllo della formazione scolastica e l’inquadramento della gioventù in organizzazioni come la Gioventù hitleriana. Ogni mattina i redattori dei quotidiani si riunivano al ministero della Propaganda per farsi dare istruzioni precise sulle notizie da diffondere o da tacere, o sull’articolo di fondo desiderato quel giorno. I giornalisti dovevano essere politicamente e razzialmente “puri”, e per legge, non dovevano diffondere informazioni che potessero indurre il pubblico in errore, indebolire la forza del Reich o offendere la dignità della Germania. Anche la radio e il cinema furono imbrigliati al servizio della propaganda. La radio era

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considerata da Goebbels il mezzo di propaganda più efficace nella società moderna; egli si assicurò il completo controllo sulle trasmissioni. Le scuole tedesche, dalle elementari fino all’università, furono rapidamente nazificate. Fu introdotto l’insegnamento delle “scienze razziali” che esaltavano i Tedeschi come la razza dominatrice e descrivevano gli Ebrei come la causa di tutti i mali del mondo. Tutta l’istruzione era orientata a formare dei buoni nazisti. La storia doveva educare i ragazzi all’amore per la patria e al razzismo, doveva convincerli della necessità di purificare il popolo tedesco, sopprimendo le razze indegne di vivere e riducendo in schiavitù le razze inferiori. L’ideologia nazista riusciva a introdursi anche nelle materie, come la matematica, poco adatte a essere utilizzate come strumenti di propaganda. Lo dimostrano alcuni problemi, tratti da un testo scolastico di matematica dell’epoca. 1.! La costruzione di un manicomio costa 6 milioni di marchi. Quante case si potrebbero costruire con questa somma a 15’000 marchi l’una? 2.! Il mantenimento di un ammalato mentale costa circa 4 marchi al giorno, quello di uno storpio 5,50 marchi, quello di un criminale 3,50 marchi. Molti dipendenti statali ricevono solo 4 marchi al giorno, gli impiegati appena 3,50 marchi, i lavoratori manuali nemmeno 2 marchi al giorno per le loro famiglie. Illustrate queste cifre con un diagramma. Secondo stime prudenti, sono 300’000 i malati mentali, epilettici ecc., di cui si prende cura lo Stato. Quanto costano in tutto queste persone, a 4 marchi a testa? Quanti prestiti matrimoniali, a 1000 marchi l’uno, potrebbero venire concessi sfruttando questo denaro? 3.! Un bombardiere notturno può portare 1800 bombe incendiarie. Quanti chilometri di territorio può bombardare se fa cadere una bomba ogni secondo a una velocità di 250 km orari? Quanto distano i crateri l’uno dall’altro? Quanti chilometri possono incendiare 10 bombardieri se volano a 50 metri di distanza l’uno dall’altro? Quanti incendi saranno provocati se 1/3 delle bombe colpisce il bersaglio e di queste 1/3 esplode?

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Il tempo libero dei Tedeschi fu organizzato con attività ricreative e propagandistiche. Organizzavano escursioni, spettacoli, attività sportive; iniziative a prezzi molto contenuti, da svolgersi all’aria aperta per esaltare il vigore e la bellezza fisica, così come voleva l’ideologia nazista. Più che alla scuola e alla famiglia il nazismo affidava l’educazione dei giovani tedeschi all’organizzazione della Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend). Dai sei ai dieci anni compivano un apprendimento: avevano un libretto personale su cui erano registrati i progressi nell’attività sportiva e quelli nell’apprendimento della dottrina nazista. A dieci anni, dopo aver superato un esame di atletica, campeggio, storia nazificata, entravano a far parte del "Giovane popolo" (Jungvolk) con quest’ aberrante giuramento: “Giuro di dedicare tutte le mie energie e la mia forza al salvatore del nostro paese, Adolf Hitler; sono disposto e pronto a dare la mia vita per lui”. A diciotto anni si passava al lavoro obbligatorio o all’esercito. Le ragazze seguivano all’incirca lo stesso percorso, si metteva però in particolare rilievo il ruolo della donna in quanto potenziale madre: le ragazze dovevano essere sane per generare figli di pura razza ariana.

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Hitler apprese da Mussolini anche tecniche di seduzione delle masse. Benito Mussolini è spesso fotografato, disegnato, scolpito con lo sguardo fisso all’orizzonte, mentre scruta il futuro che gli altri ancora non sono in grado di vedere. Quando il duce declamava un discorso, la sua posa e la sua intonazione, le lunghe e sapienti pause tra una parola e l’altra, erano un invito a nozze per riprese enfatiche e glorificanti. Una sorta di divo hollywoodiano. Anche in Germania, vi era il forte desiderio di avere leader politici carismatici, ciò spinge Hitler a curare la gestualità, la mimica facciale e l’intonazione della voce arrivando a provare i suoi discorsi davanti al fotografo Hoffman per verificarne l’efficacia…

I responsabili della propaganda nazista, nel costruire il personaggio pubblico, seguirono l’esempio del duce. Lo dipinsero a volte come un soldato pronto all’azione, altre volte come un padre e, infine, persino come un messia giunto a riscattare il destino della Germania. Le campagne elettorali, i materiali visivi dal forte impatto e le apparizioni pubbliche attentamente orchestrate, collaborarono a creare il culto del capo intorno ad Adolf Hitler, la cui fama crebbe essenzialmente grazie all’abilità oratoria dei suoi discorsi pronunciati ai grandi raduni di massa, alle parate e alla radio. Numerosi artisti arruolati disegnarono ritratti, poster e busti del Fuhrer, che furono poi riprodotti in grande quantità e distribuiti sia nei luoghi pubblici sia nelle

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abitazioni private (Mussolini s’i infiltrò nelle case attraverso i calendari fascisti). Contemporaneamente, la casa editrice del Partito Nazista stampò milioni di copie dell’autobiografia politica di Hitler, Mein Kampf (la mia battaglia) molte delle quali in edizioni speciali, come ad esempio quella in Braille per le persone non vedenti. La propaganda celebrava Hitler come statista geniale che aveva portato stabilità al paese, creato posto di lavoro e restaurato la grandezza della Germania.

Durante gli anni in cui il Partito Nazista rimase al potere, i Tedeschi furono obbligati a dimostrare pubblicamente la propria fedeltà al Fuhrer, a volte in forme semi-rituali come, per esempio, il saluto Nazista o la frase “Heil Hitler!”, cioè la formula che si doveva usare quando s’incontra qualcuno per strada.

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La fede cieca in Hitler contribuì a rafforzare il senso di unità nazionale, mentre il rifiuto ad adattarsi a tali dimostrazioni di devozione fu vista come evidente segno di dissenso, fatto questo che assumeva anche un peso particolare in una società dove qualunque critica esplicita al regime, e ai suoi capi, poteva portare all’arresto e alla detenzione. Hannah Arendt, nel suo saggio più famoso, “le origini del totalitarismo” individua altri fattori che hanno contribuito al successo di Hitler. Certamente ebbe un ruolo importante l’insicurezza economica, la paura, la fobia del diverso e dell’anormale; ma veramente decisiva fu la riduzione dell’individuo a puro soggetto privato, cioè a un soggetto privo di qualsiasi interesse per il bene pubblico. I nazisti, furono i primi a comprendere che questo “uomo massa”, indifferente alla sfera pubblica e politica, con l’immenso apparato propagandistico poteva diventare un “uomo regime”. Hitler si appropriò della vita di ogni singolo cittadino e l’espropriò della sua libertà di scelta. Dal febbraio 1933 alla primavera del 1937 il numero di disoccupati scese da sei milioni a meno di un milione; nel 1939 la Germania raggiunse la piena occupazione. Il calo della disoccupazione fu possibile grazie ad imponenti lavori pubblici, come la costruzione della rete autostradale, e a ingenti commesse e sovvenzioni all’industria per la produzione di armi. Dopo anni di fame, la garanzia di un posto di lavoro e di un po’ di benessere spinse i tedeschi nelle braccia del regime. Guardando un filmato di un discorso di Hitler dall’inizio alla fine con un po’ di attenzione si può cogliere con evidenza i tratti di una personalità singolare. Hitler esordisce, di solito, con un tono di voce grave e bassa, una mimica seria e impenetrabile e una gestualità molto contenuta. Via via che il discorso procede, il tono di voce tende progressivamente a innalzarsi, diventando martellante e stentoreo, la mimica si anima, la gestualità diventa ampia, imperiosa. Quando il discorso raggiunge il suo apice comunicativo, l’impressione complessiva è quella di una persona quasi in trance, agitata da passioni incontrollabili, che possono essere contenute solo al prezzo di un repentino e transitorio blocco della parola e della gestualità, associato a una mimica che rimane tesa e ad uno sguardo febbricitante; è facile riconoscere in questo stile comunicativo una tecnica retorica in cui Hitler è maestro: quella di preparare l’uditorio per poi coinvolgerlo emotivamente, dandogli ogni tanto tempo per distillare

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le emozioni. Non si tratta solo di una tecnica, bensì di una strategia persuasiva. Tutto parte dalla diffusione della paura per qualche ipotetico nemico, arma efficace per indurre un popolo a maturare i propri atteggiamenti nei confronti di determinate categorie sociali o di determinate etnie. La condizione necessaria perché un messaggio che fa leva sulla paura sia efficace è, quindi, che esso offra una soluzione alla paura stessa. Nel caso degli Ebrei prima di rivelare la soluzione arriva alla demonizzazione del nemico. La parte avversaria è mostrata grottescamente, spesso attraverso caricature o illustrazioni che mirano a formare nell’opinione pubblica un’immagine del nemico come la rappresentazione stessa del Male, mostrandone una natura crudele e perversa, dedita a commettere atti espliciti di mostruosa violenza e crudeltà. Grazie a questo metodo, il conflitto è giustificato con la volontà o di difendere la patria minacciata da un nemico spietato, o di sconfiggere intere comunità per la loro diversità (etnica, culturale, religiosa e di costumi) che possono mettere a repentaglio l’integrità della nazione e dei valori più cari su cui l’identità nazionale si fonda. Poi ricorre alla tecnica dell’ipersemplificazione, ricercando risposte facili per rispondere a questioni complesse, come brevi slogan ai quali tutto il pubblico risponde esultando. Approfittando del momento di massimo coinvolgimento emotivo diffonde gli stereotipi, generalizzando la sua interpretazione a situazioni di ogni genere. Altro step è l’orgoglio dell’appartenenza attraverso la tecnica del Granfalloon per il quale l’osservatore s’identifica nel latore del messaggio, si sente parte dello stesso gruppo e crea a un rapporto automatico di fiducia (è un mio simile, ha i miei stessi obiettivi, posso fidarmi di lui). Penultimo step è la diffusione del culto dell’autorità, proponendo tutta una serie di figure rassicuranti in cui proiettare il proprio bisogno di rassicurazione e di protezione. Identifica nella propria immagine l’essenza stessa dell’identità tedesca, essere tedesco voleva dire identificarsi in Adolf Hitler, tecnica che chiude i suoi discorsi è quella dell’effetto gregge persuadendo il singolo a unirsi alla massa.

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