Ordinando La Natura: Elementi Di Storia del Pensiero Sistematico in Biologia

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ORDINANDO LA NATURA


M. ZUNINO - M.s. COLOMBA

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ORDINANDO

LA NATURA

Elementi di storia del pensiero

sistematico in biologia

Segretaria di redazione: Veronica Cafaro

© 1997 MEDICAL BOOKS di G. Cafaro Via Liborio Giuffrè, 52 - 90127 Palermo Te!. 091/6512048 (Fax) - 6512259 ISBN 88-8034-064-6

III copenina: F. Peyroleri - P. Peyroleri (?), 1765. lconographia Taurinensis, XIV: 86.

(Per gentile concessione del Dipartimento di Biologia Vegetale, Università di Torino).

IV di copenina: La classificazione dei Coleotteri Lamellicorni di W.S. MacLeay (1833).

MEDICAL BOOKS


Indice

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PREFAZIONE

9

PREMESSA

Il

INTRODUZIONE

13

CAPITOLO

23

CAPITOLO

31

CAPITOLO 3 Tassonomia e sistematica in Aristotele

41

l Le origini del pensiero sistematico

2 Le classificazioni prima di Aristotele

CAPITOLO

4

Tassonomia e sistematica nella cultura ellenistica, latina e tardoromana 5 La cultura islamica

49

CAPITOLO

55

CAPITOLO

63

CAPITOLO 7 Tassonomia e sistematica nel Rinascimento

73

CAPITOLO

6 Il cristianesimo e le scienze sistematiche: dalle origini al Medio Evo

8

Redi, Vallisneri e i settecentisti italiani. Fissismo e creazionismo

5


INDICE

Prefazione 9 La rivoluzione Iinneana

81

CAPITOLO

9I

CAPITOLO

101

IO Buffon e la dimensione storica nelle scienze naturali

CAPITOLO

Il

II trasformismo di Lamarck III

CAPITOLO

12

Il creazionismo di Cuvier

121

CAPITOLO

13

Darwin e l'evoluzionismo moderno 135

CAPITOLO

14

La reazione al darwinismo

6

155

PER SAPERNE DI PIÙ

157

EPILOGO

Confesso di avere accettato con un po' di preoccupazione l'idea di scrivere la prefazione per questo libro. Come accennerò in seguito ho un notevole interesse per la storia della scienza ed in particolare per la storia dell'evoluzione biologica. Ma recensire un libro che ripercorre lo sforzo compiuto dalla intelligenza umana per ricostruire (o costruire?) quelle cate­ gorie che costituiscono l'asse portante della classificazione e sono il risultato dell'indagine del sistematico e del tassonomo, mi sembrava un'impresa lontana dai miei interessi. Ho infatti sempre avuto una certa antipatia per la sistematica. Forse perché era un obbligo per i giovani zoologi di quasi trenta annifa cominciare studiando un gruppo e facendone appunto, come si diceva, "la sistematica ", forse perché fu estremamente pesante quando, fresco vincitore di una borsa di studio praticamente piovuta dal cielo, mi sentii proporre di studiare i Policladi, gruppo di Turbellari a cui i nostri manuali dedicavano poche righe. Ma gli strumenti messi a mia disposizione furono la notizia che erano animali marini (ma questo lo sapevo già) e che il mare era da qualche parte ad ovest (ero, come del resto sono ancora oggi, a Pisa e quindi qualche idea di dove fosse il mare l'avevo) e mi fu messo in mano un enorme manuale in tedesco del 1884, di un certo Lang, uscito nella benemerita serie dellafauna e flora del Golfo di Napoli. il mio primo impatto con il lavoro di sistematica fu dunque un corso di tedesco. Ho passato i primi anni del mio lavoro scientifico a sezionare vermi piatti, a ricostruirne gli apparati copulatori e a cercare di inserire il materiale chefaticosamente raccoglievo (fatica aumen­ tata da una certa diffidenza e antipatia per il mare e che il mare ricambiava procurandomi delle terribili nausee: in fondo avevo fatto scienze naturali perché amavo la montagna!) all'interno delle strutture sistematiche esistenti. Nel complesso un lavoro noioso. Ero di fatto diventato un collezionista di francobolli. Siccome mio padre era un appassionato collezionista di franco­ bolli e aveva sperato che ne seguissi le orme, orme che io invece avevo sdegnosamente rifiutato, come del resto ognifiglio per bene deve fare, adesso per una sorta di contrappasso, mi trovavo a collezionare Policladi, animali indubbiamente simpatici (non mordevano, non abbaiavano, non emettevano odori nauseabondi) e di una certa eleganza, ma difficili da catturare e ancora

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ORDINANDO LA NATURA

Premessa

di più da maneggiare. E quindi il mio desiderio in quegli anni fu quello di cercare di uscire dalla asfissiante prospettiva di continuare ad accumulare per tutta la vita francobolli, anche se viventi, e sistemarli per tipo, varietà, filigrana, dentelli e regione d'origine. Poi venne, prepotente e inarrestabile, la scoperta dell'evoluzione: ifran­ cobolli avevano una storia ed era una storia di variazioni più o meno ampie e rapide, di eventi di speciazione, di trasformazioni nel tempo. I francobolli uscirono dagli album in cui li avevo collocati e divennerro di nuovo quello che erano, cioè esseri viventi con una storia lunga e affascinante alle spalle. E a fianco della storia dei viventi emerse anche la storia degli uomini che avevano scoperto l'evoluzione o che l'avevano discussa o rifiutata. Da allora la zoologia è divenuta per me una scienza affascinante proprio perché mi ha aperto la mente alle prospettive evolutive: è lo strumento che mi permette di indagare l'evoluzione, di saggiarne le teorie, di prospettarne di nuove, di inserire l'evoluzione nella più generale sintesi del pensiero umano. Rimaneva però un punto difficile: scoperta l'evoluzione e quindi anche l'aspetto teorico della biologia, rimaneva il problema della storia, una storia di pensiero umano affascinante ma che si scontrava dolorosamente con una frattura, quella del prima e del dopo evoluzionismo, quasi che ciò che era stato proposto prima per quanto importante e affascinante, avesse però qualcosa di vecchio e stantio, quasi che la biologia pre evolutiva fosse fondata quasi esclusivamente su aspetti magici che la condizionavano e la bloccavano. Ecco dunque qual è il fascino di questo libro: è la prospettiva della ricomposizione dellafrattura: è la dimostrazione che infondo vi è una linea portante che percorre tutte le scienze della natura prima e dopo l'avvento dell' evoluzionismo ed è lafatica dell' opera classificatoria. È infondo lafatica di cercare rapporti e relazioni tra individui e specie, tra specie e generi, tra generi e famiglie e così via per ricostruire quell'ordine che è presente in natura, che è osservabile da qualunque ricercatore appena attento, e che è il risultato, oggi sappiamo, del lungo processo evolutivo. Vi è dunque una chiara proposta nel libro, la rivalutazione dell'opera di classificazione come elemen­ to fondante un approccio storico alla biologia che sia anche l'approccio unificante: nemmeno oggi (anzi oserei dire tantomeno oggi, in un'epoca in cui il presente sembra essere risucchiato dal futuro senza lasciare a nessuno il tempo per occuparsi del passato) non si può fare biologia se non se ne conosce la storia, una storia che è una storia antica quanto il pensiero umano. Allora l'augurio finale sarà che questo libro sia considerato, dagli stu­ denti in primo luogo, non un noioso manuale, semmai, la chiave che apre la porta verso l'affascinante mondo della storia della biologia. LODOVICO GALLENI

Università di Pisa

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"Ma allora esiste

lln

ordine nel mondo!" (Ad so)

"Alloraforse c'è un po' d 'ordine in questa mia povera testa" (Guglielmo) (secondo U. Eco, Il nome della rosa)

Questo libro è nato da un dialogo fra generazioni successive, dall'incon­ tro fra atteggiamenti fatalmente diversi, e spesso in apparenza difficilmente compatibili, nei confronti della scienza. In termini più generali, dali 'incontro - scontro fra diverse visioni del mondo. Ciò non significa che è scaturito da un'operazione asimmetrica: è frutto dello sforzo di realizzare un confronto costantemente dialettico e spoglio da pregiudizi. Anche il tema in sè non è privo di elementi di conflittualità. È purtroppo un 'opinione diffusa, anche in una parte sostanziale del mondo accademico, che la sistematica - intesa in senso lato - sia una disciplina di scarsa dignità scientifica, un arido catalogare oggetti morti, infilzati con spilli o fissati su cartelle da erbario, o, peggio, rinchiusi in maleodoranti e polverosi barattoli diformalina o alcool. Il sistematico è spesso equiparato al collezionista puro, e guardato con quella bonaria indulgenza con cui si guarda a quel personag­ gio raffigurato nei tarocchi, il matto, che insegue una faifalla con una reticella, perduto in un innocuo mondo tutto suo. Questo atteggiamento deriva spesso dall'idea che la sistematica sia una disciplina "debole", dai contenuti teorici e metodologici scarsi e imprecisi, e soprattutto pigra, nel suo divenire, se non decisamente statica. Con le pagine che seguono non pretendiamo certo di sfatare questi ed altri pregiudizi. Ci auguriamo però di far nascere in chi avrà la pazienza di leggerei un 'impressione diversa delle

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ORDINANDO LA NATURA

Introduzione

scienze sistematiche, e soprattutto la curiosità e ilfascino che ha suscitato in noi sfiorare l'immenso processo di evoluzione del pensiero da cui nasce la sistematica dei nostri tempi. Ci siamo fermati all'inizio di questo secolo: quello che è successo dopo è ancora cronaca. MARIO ZUNINO

Palerlllo, primavera del /997

MARIA STELLA COLOMBA

Nel corso degli ultimi anni le modificazioni dell'assetto della biosfera provocate dalle attività dell'uomo hanno assunto una dimensione critica a livello planetario. Il diffondersi della consapevolezza che la biodiversità, di cui la nostra specie è parte integrante, soffre oggi una profonda crisi, che la complessità del sistema vita sta riducendosi a ritmi non fisiologici, e la percezione della necessità di correggere il modello di uso delle risorse oggi dominante, stanno producendo una serie di effetti di grande rilievo in campo scientifico. Fra questi, soprattutto nei paesi più avanzati, vi è anche una rivalutazione delle scienze sistematiche, viste come strumento fonda­ mentale per intraprendere un'analisi corretta dello stato dell'ambiente nelle sue componenti biotiche, e quindi per elaborare strategie di gestione e conservazione fondate su solide basi di conoscenza. Tutto ciò implica, fra l'altro, un riesame critico della stessa sistematica, del suo status scientifico, dei suoi obiettivi, dei criteri su cui si fonda e delle metodologie di cui si avvale, e persino del suo lessico. Non è pedanteria sottolineare, a questo punto, che i termini "Tassonomia" e "Sistematica" vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma che in realtà essi indicano branche diverse della nostra scienza. Oggetto della sistematica sono i taxa in cui si classificano gli esseri viventi, specie, generi, famiglie e cosÌ risalendo nelle categorie di origine linneana, e i rapporti che fra essi intercorrono e che ne giustificano la gerarchizzazione. Il sistematico clas­ sifica il mondo vivente, ossia, interpreta le relazioni fra organismi e le trascrive sotto forma di categorie. Scrivere

Procerus

lO

syriacus (Kollar, 1843) gigas (Creutzer, 1799) duponcheli (Dejean, 1831) transversalis (Csiki, 1927) sommeri (Mannerheim, 1844) scabrosus (Olivier, 1789) caucasicus (Adams, 1817)

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ORDINANDO LA NATURA

Capitolo 1 significa sostenere la validità delle sette specie di Coleotteri Carabidi descritte dagli Autori il cui nome accompagna ciascun epiteto specifico, nella data indicata, che tali sette specie ed esse soltanto, allo stato attuale delle conoscenze, rappresentano il genere Procerus, e che a tale genere sono state attribuite all' atto della descrizione originale, o successivamente (in tal caso l'Autore è scritto fra parentesi). A questo schema, prodotto come si è detto tramite un'operazione di classificazione, si rifarà, criticamente o meno, chi dovrà identificare cam­ pioni di specie di questo genere, ossia, chi per qualunque motivo si compor­ ta come utente della sistematica. La tassonomia, almeno nel senso che trent' anni fa dette al termine George Gaylord Simpson (1961), ha come oggetto di studio non gli orga­ nismi, ma le classificazioni. La problematica della tassonomia biologica è costituita dal complesso delle questioni teoriche e degli approcci metodo­ logici su cui si deve basare la sistematica. Nel caso concreto cui ci siamo riferiti pocanzi, ad un universo provvi­ soriamente inteso come "genere Procerus" è stato applicato un complesso di criteri teorici, su cui si fondano metodologie operative, per rispondere ad un gran numero di quesiti. Fra questi, possiamo citare almeno i seguenti: "È giustificato separare, e a quale livello di discriminazione, Procerus nell'am­ bito dei Carabinae?"; "Quali relazioni intercorrono fra Procerus e gli altri eventuali gruppi di Carabinae di uguale rango?"; "Ognuna delle entità subordinate che provvisoriamente o tradizionalmente fanno parte di Proce­ rus è inequivocabilmente riconducibile a tale gruppo?"; "Ciascuna di tali entità corrisponde ad una specie?". Compito della tassonomia è fornire al sistematico gli strumenti concet­ tuali per tentare di rispondere a questi interrogativi, e a molti altri della stessa natura. Ma proprio la tassonomia, così intesa, forma oggi l'oggetto di un vivace dibattito che vede confrontarsi correnti di pensiero che si rifanno all'evoluzionismo neodarwinista, al fenetismo numerico e al cladi­ smo nelle sue differenti versioni. Tutto questo, peraltro, rappresenta il momento attuale del divenire storico della scienza sistematica, o almeno, della sua componente più "dura", la tassonomia. Riteniamo, condividendo un'opinione abbastanza diffusa, che la piena comprensione di una scienza non possa prescindere dall'analisi dei suoi precedenti, in termini di conoscenze e di processi di elaborazione cui queste sono sottoposte. La consapevolezza piena dei termini del dibattito che caratterizza la tassonomia odierna passa necessa­ riamente anche attraverso l'analisi del processo di evoluzione del pensiero di cui tale dibattito rappresenta il momento attuale. Nei capitoli che seguono tenteremo di ricostruire le linee principali di tale processo.

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LE ORIGINI DEL PENSIERO SISTEMATICO

Per discutere, almeno brevemente, le origini del pensiero sistematico in biologia è necessario sconfinare dal campo specifico delle scienze biologi­ che, e fare appello, benché in modo sommario e un po' superficiale, a discipline come la linguistica e la teoria della percezione. La nostra ipotesi fondamentale, infatti, è che alla base di ogni costru­ zione sistematica vi sia un processo che, almeno in fase iniziale, coincide con quello che ha portato alla formazione dei linguaggi umani, e che vi siano le stesse esigenze che hanno fatto sÌ che un mammifero ad organiz­ zazione familiare-sociale, o di clan se vogliamo, abbia sviluppato e reso sempre più complesso il suo sistema di comunicazione interindividuale, secondo una logica unitaria o, per alcuni studiosi contemporanei, secondo una "grammatica universale". L'unitarietà di tale logica emerge già, intui­ tivamente, dal fatto banale che è possibile tradurre un testo da una lingua, viva o morta, in un' altra lingua (tab. 1.1), secondo un protocollo le cui

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome Patèr emòn, o en tòis uranòis, aghiasthéto tò ònoma sou (l) Pater noster, qui es in caelis, sanctificetur nomen tuum (2) Otce nash, Izhe esi na Nebesekh! Da svjatìtsia Imja Tvoe (3) Padre nuestro, que estas en los cielos, santificado sea tu Nombre (4) Unser Vater in dem Himmel! Dein Name werde geheilig (5) Onze Vader die in de hemelen zijt, uw naam worde geheiligt (6) Notre Père qui es aux cieux! Que ton nom soit sanctifié (7) Totatziné, in llhuicac timoyetztica, ma yectenehualo in Motocàtzin (8) H c Yum, ca yanéech ti le caan60b cilfchcuntabac a kaba; talac ti c t60n a ahaulil (9) Tab. 1.1. La prima frase del Padre Nostro in italiano e la sua versione greca (I), latina (2), slavonica antica (3) e in alcune lingue vive: spagnolo (4), tedesco (5), olandese (6), francese (7), nahuatl (8), maya (9).

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo J

linee guida fondamentali sono sempre le stesse. È bene comunque sotto­ linearlo sin d'ora, in quanto il concetto dell'unitarietà del processo secon­ do cui si fOlma il linguaggio umano contribuisce in modo sostanziale a fondare la nostra ipotesi. A titolo di esempio, analizziamo la frase seguente, formulata in una lingua "di cultura", l'italiano: Ieri ho rivisto il film "Un uomo chiamato cavallo". A livello intuitivo il significato di tale frase è apparentemente ovvio e banale, tuttavia, la sua formulazione, e la sua comprensione da parte di chi la legge o ascolta, implica processi mentali molto complessi, benchè si svolgano in pratica istantaneamente. Ieri non è né nel presente, né nel futuro, ma è una determinata sezione temporale del passato, cioè la giornata precedente quella in cui tale frase è stata trasmessa da chi la ha formulata a chi ne era destinatario in quel momento. Rivisto implica che l'enunciatore vuole comunicare sia che ha assistito alla proiezione del film in oggetto, sia che non era la prima volta che ciò gli accadeva. Tuttavia, se studiamo un po' più a fondo questo frammento di enun­ ciato, ci rendiamo conto che: a) Ieri non indica un determinato oggetto (giorno), ma una classe di oggetti (giorni) diversi, accomunati dal fatto di precedere immediata­ mente il giorno in cui il fatto a cui si riferiscono è accaduto. A chi in questo momento legge queste righe, qualunque sia la data, è certamen­ te successo qualcosa il giorno prima (cioè ieri), e il giorno successivO potrà pensare "ieri ho letto cose noiosissime". "Ieri" è quindi una categoria.

LE ORIGINI DEL PENSIERO SISTEMATICO

parola "uomo", questo complesso di suoni e di conispondenti segni grafici (visto che tale parola appartiene ad una lingua che si esprime sia a voce che per iscritto), non corrisponde da sola, ossia, avulsa da qualunque contesto, a nessun singolo essere, e neppure si definisce nel tempo o nello spazio, ma indica una classe di esseri viventi, appunto gli umani (più di frequente, gli umani adulti di sesso maschile). Li comprende tutti, in tutto lo spazio disponibile, nel presente, nel passato e nel futuro. Ed esclude dal suo campo tutto ciò che non è un essere umano. È quindi una categoria ben definita, con caratteristiche esclu­ denti ed includenti allo stesso tempo. Ulteriori indicazioni chiarificanti si possono ricavare da testi che pre­ cedono cronologicamente la costituzione della scienza occidentale, o che appartengono a culture diverse da quelle di origine euromediterranea, che contengono riferimenti ad esseri viventi. Un esempio si può ricavare dal primo libro della Bibbia, e in partico­ lare dal racconto del diluvio universale (Genesi, 6:17-20; 7: 2-3, 8,14,23). Nella narrazione biblica appaiono espressioni come "gli animali, gli esseri che strisciano, gli uccelli secondo le loro specie"; "le specie delle fiere e le specie degli animali domestici". E vale notare che la parola ebraica "min" (specie) nell'uso biblico è riservata alle sole specie di esseri viventi. In termini moderni, "mi n" è la categoria sistematica specie, così come

b) Nel solo contesto che stiamo discutendo, film può essere interpretato in senso stretto (sono andato in un cinema di seconda visione e ho assistito alla proiezione del vecchio western di cui si tratta), oppure in senso lato, senza discriminare tra l'azione che abbiamo appena riferito e quella, in prima approssimazione equivalente, di aver visto lo stesso film alla televisione, o perché qualche rete lo ha trasmesso, o perché io avevo a disposizione un videoregistratore e quella data videocasset­ ta. Ossia, la parola "film" si riferisce a una classe di spettacoli, acco­ munati dal consistere in immagini in movimento che narrano una de­ terminata storia. È banale ricordare che in un contesto più generale la parola "film" indica anche il supporto materiale su cui tali immagini sono registrate, e più in generale, dall'inglese ormai entrato nell'uso italiano, qualsiasi pellicola. "Film" è quindi una categoria, benché meno omogenea della precedente. c) Il primo elemento del titolo è "un uomo". È forse ovvio, ma probabil­ mente non inutile, sottolineare che tale espressione implica che la

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Fig. 1.1. Tavoletta eburnea di epoca micenea raffigurante un leone che assale un' antilope (Museo Nazionale di Archeologia, Atene).

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Capitolo l

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LE ORIGINI DEL PENSIERO SISTEMATICO

"fiere", "uccelli" e così via rappresentano categorie sopraspecifiche _ benché, è evidente, la Bibbia non espliciti affatto tale concetto, e utilizzi i termini in un contesto del tutto diverso da quello scientifico. Il bestiario dell'Iliade e dell'Odissea (tab. 1.2), trascritte probabilmen­ te attorno al VI sec. a.c., comprende apparentemente poco meno di cin­ quanta specie. Non è chiaro se alcuni termini, come ad esempio skops o iktis, riferibili rispettivamente a tutti i rapaci notturni e forse a tutti i piccoli mustelidi, indichino l'incapacità dei greci dell' epoca omerica a distinguere fra diverse specie affini, o piuttosto non vogliano indicare categorie di rango superspecifico, come accade per la parola "oionos". Ciò che appare abbastanza chiaramente è che nella lingua omerica la maggiore ricchezza lessicale e le sfumature più sottili corrispondono ad animali domestici o oggetto di caccia, ossia, a quelli più immediatamente legati alla vita quotidiana e alle necessità di comunicazione di una società agropastorale.

agrios, aix = capra selvatica, capro arktos = orso arén, arnos

= agnello

= ariete

= vacca, bove, toro tauros = toro

ktflos bous

oionos = uccello (in genere, ma spesso grande rapace)

portis = giovenco/a, vitellina

delffs = delfino

= aquila aithyia = gabbiano, folaga

élafos = cervo

aigypios

= avvoltoio

gyps

= avvoltoio

nebros

= cerbiatto/a

=alcione erodi6s =airone

foké = foca

ghéranos = gru

= cane, cagna

= cavallo, giumenta polos = puledro/a fktis = donnola, martora, faina hfppos

lagos léon

= lepre

kéx

=sterna, folaga

khalkfs

= uccello non identificato

Nell'Iliade detto anche kymindis, potreb­

= rondine

= falcone, sparviero frex, iérax = sparviero, falco

kfrkos

onos

pantera (lince?)

= anguilla

tréron

= colomba

akrfs eulé

mélissa myia

dnikon

= serpente (o rettile favoloso)

hydros (hydra) = serpente acquatico

= locusta, cavalletta = verme = ape

= mosca

polypos (anche polypous) sfex

= polpo

= vespa = ostrica (?)

téthos

téttix = cicala Tab. 1.2. ]] bestiario dei poemi omerici.

Per quanto concerne le culture di aree diverse da quelle euromediterra­ nee, un esempio della nomenclatura botanica in uso tra alcune popolazioni Maya dell'estremo sudest del Messico è riportato nella tab. 1.3. Un esempio di classificazione popolare per categorie sopra specifiche può essere ricavato dalla nomenclatura botanica dialettale delle Alte Lan-

Che' = piante legnose

= piante erbacee (parti m) Ak' / Kan = piante rampicanti e stolonifere Su'nk = graminacee e ciperacee Xa'an = palme Ki = agavi Tuk = iucche Xiw

Tsakam

= cactacee

be essere un rapace khin = okakfkni = tordo

= lupo

= asino pardalis = leopardo,

alkyon

khelid6n

= leone

Iykos

énkhelys

kyknos

aedon = usignolo

aetos

prox = cerbiatto, daino, capriolo

emfonos = mulo/a kyon

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sys, hys = porco, c inghiale, verro, scrofa thos = sciacallo

= cornacchia = cigno skops = rapace notturno struthos = passero korone

korax

=corvo

Tab. 1.3. Classificazione dei vegetali per gruppi sopraspecifici nella cultura maya (Yucatan, Messico). Si noti che i gruppi sono costituiti su base ecomorfologica. La loro corrispon­ denza con gruppi riconosciuti dalla sistematica scientifica esiste soltanto quando questi ultimi sono omogenei dal punto di vista ecotipico, come le palme. Nell'ambito di ciascun gruppo esistono categorie via via più ristrette, le cui connotazioni sistematiche sono via via più nette . Spesso singole specie sono riconosciute e denominate come tali.

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 1

ghe (tab. 1.4), un territorio ai confini del Piemonte e della Liguria, le cui popolazioni hanno mantenuto per secoli contatti abbastanza limitati con le popolazioni limitrofe.

Piante (= alberi)

LE ORIGINI DEL PENSIERO SISTEMATICO

c) Le categorie sono denominate in modo univoco, indipendentemente dalle eventuali combinazioni nomenclatoriali che richiamano l' appar­ tenenza di una categoria subordinata ad una data categoria di ordine superiore, e indipendentemente da eventuali sinonimi. Ad esempio, riprendendo ancora lo schema della tab. 1.4, l'ovulo buono (Amanita cesarea) è indicato come Cocona o come Real, a seconda della locali­ tà, nell' ambito dell' area in questione, ma la sua appartenenza alla categoria Borèi-i, e soltanto ad essa, è indiscussa.

Zhiàtze (= Iiane) Erbe (= piante erbacee) Mù-fe (= muschi, licheni, funghi inferiori e miceli di funghi superiori, alghe) Borèi-i (= carpofori di funghi superiori) Zhvilèrci (= piante ruderali e colonizzatrici) Tab. 1.4. Nomi botanici collettivi nel dialetto delle Alte Langhe (NW Italia). La discrimi­ nazione fra le varie categorie corrisponde soltanto in parte a criteri sistematici quali adotta la tassonomia scientifica; in buona parte invece corrisponde a categorie ecologiche. Da notare però che alla categoria "Zhiàtze" corrisponde una sola specie, Clematis vitalba, che la scienza riconosce come l'unica vera liana presente nella flora della zona, anche se altre specie assumono abitualmente un portamento analogo. Non è privo di significato anche il fatto che numerose piante erbacee vengono designate da un binomio (Erba barca = Brachypodiu/11 pennatum; Erba menta =Mentha spp.; Erba dèr bisce =Tussilago faifara; Erba mora = Solanllln nigrum, ecc.), che le specifica nell'ambito della classe "Erbe".

Quanto abbiamo appena schematizzato esemplifica come le culture cosiddette popolari, o comunque indipendenti dalla cultura scientifica oc­ cidentale, non sono prive di schemi sistematici, in cui vengono classificati gli esseri viventi. Secondo gli studiosi di etnobiologia, tali sistemi di classificazione presentano una serie di caratteristiche comuni, ossia: a) Sono sistemi gerarchici, formati cioè da categorie subordinate: riferen­ doci allo schema della tab. 1.4, "Ru" (tutte le querce autoctone) è categoria subordinata di Piante. b) Ciascuna categoria è allo stesso tempo includente ed escludente (nel­ l'ambito delle "Piante" la categoria "Gore" include tutte le specie autoctone di salice, e soltanto quelle. Dal punto di vista tassonomico, è evidente che la classe di vegetali rappresentata dalle "Gore" è subor­ dinata a quella delle "Piante", che la comprende. Si tratta quindi di categorie di rango diverso.

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d) Le singole specie, o comunque le entità implicitamente o esplicitamen­ te considerate tali, vengono indicate con un nome che, in assenza di specificazioni (la quercia dell' incrocio fra il sentiero tale e il talaltro), o indicazioni di indeterminatezza (una quercia, delle querce), si riferi­ sce alla specie come classe omogenea di oggetti, anch' essa determinata in modo escludente e includente e simboleggiata dal nome. In altre parole, è caratteristica comune delle diverse culture umane (o almeno, di tutte quelle studiate da questo punto di vista), l'utilizzare il risultato di un processo classificatorio degli esseri viventi che procede per gene­ ralizzazioni e categorizzazioni, e si esprime riassumendo l' informazio­ ne cosÌ elaborata in un lessico simbolico convenzionale, che non ne­ cessariamente implica elementi di dE;scrizione.

È interessante a questo punto riportare, almeno per sommi capi, alcune idee attuali sull'origine e lo sviluppo del linguaggio umano. Queste si schematizzano come segue: a) Le cosiddette "funzioni cognitive"l, ossia i processi che fanno da me­ diatore fra l'acquisizione di sensazioni dal mondo esterno e la relativa risposta non casuale implicano nell'uomo un processo di categorizza­ zione, ossia di riunione di percezioni giudicate simili in classi omolo­ ghe. Tale processo è gerarchico, nel senso che le categorie che cosÌ si formano rappresentano gradi diversi di generalizzazione. In altre paro­ le, la mente umana incasella il mondo sensibile in un sistema, in cui soltanto gli oggetti singoli unici, che pur appartengono per altro verso a categorie ad essi superordinate, non sono ulteriormente suddivisi in categorie subordinate e non sono essi stessi categorie. Ad esempio, Giovambattista Parodi è un uomo, e quindi un elemento subordinato che rientra nella categoria uomo, ma non è esso stesso alcuna catego-

I È evidente che il linguaggio non è riducibile esclusivamente allo strumento del processo conoscitivo e referenziale, ma ha un'infinità di altri risvolti. Questi tuttavia esulano sia dalle competenze di chi scrive, sia dagli argomenti di cui ci occupiamo in questa sede.

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo l

ria, provvista di un qualche livello di generalità. Allo stesso modo l'esemplare maschio del coleottero Thorectes intermedius che abbiamo raccolto qualche giorno fa per il sistematico non è una categoria tasso­ nomica, di nessun rango, anche se rappresenta (o è parte di) una ben precisa specie. b) Le parole che formano il lessico di una lingua naturale sono un cam­ pione di simboli che corrispondono, in prima istanza, ad altrettante categorie, basate direttamente o indirettamente su classi di oggetti o fenomeni, elaborate tramite funzioni cognitive esercitate sul mondo esterno dalla popolazione che ha elaborato tale lingua, e che se ne serve come vettore per la circolazione dell' informazione al suo interno. È interessante notare che, per il linguista, "Giovanbattista Parodi" può essere incorporato nel discorso - è evidente -, ma non è considerato parte del lessico; analogamente per il sistematico l'esemplare di Tho­ rectes intermedius di cui pocanzi non ha status tassonomico (né nome proprio). È sintomatico un aneddoto riferito dal biologo statunitense William Bee-be: quando, nell'immediato dopoguerra, egli studiava con la sua équipe la foresta nebulare della Cordillera della Costa, in Ve­ nezuela, annotava le sue osservazioni etologiche su un gruppo di indi­ vidui di una certa specie di farfalla (Heliconius charitonius), distin­ guendo ciascuno di essi con un nomignolo. · E un suo "più serio" collaboratore le correggeva, trascrivendo "Higgins" come H. charito­ nius, esemplare n° 1. L'assenza di dignità lessicale dei nomi propri, e la non liceità di denominare singoli individui in sistematica, obbedi­ scono in fondo alla stessa logica.

LE ORIGINI DEL PENSIERO SISTEMATICO

diverse. Tornando all'esempio di Giovanbattista Parodi, a seconda del contesto, questi è "uomo", ma è anche "genovese" come Pietro Bruzzone e Giorgio Bacigalupo, o anche "scaricatore di porto", come Gennaro Espo­ sito (di Napoli) e Salvatore Mancuso (di Palermo). In altre parole, si riconduce a classi diverse a seconda del carattere discriminante che si sceglie di applicare. Al di là del contesto circostanziale, non esiste alcun criterio per stabilire se è "più vera" la classificazione che riunisce gli scaricatori di porto, o quella che privilegia la genovesità, o altre ancora, tutte egualmente convenzionali. In biologia bisognerà attendere il XIX secolo, almeno Lamarck e Darwin, perché le regole della sistematica biologica vengano cercate nelle relazioni intrinseche che interconnettono i viventi, e non imposte loro arbitrariamente.

Riteniamo che i brevi cenni che precedono - la trattazione dell'argo­ mento richiederebbe ben altro spazio e ben più ampie sinergie - indichino comunque con sufficiente chiarezza che la sistematica, e per quanto ci riguarda in particolare, la sistematica degli esseri viventi, si origina con le stesse regole - intuiti ve, inconscie, innate se vogliamo, almeno come "programma" - del linguaggio, e con le stesse funzioni. Almeno in fase iniziale, è parte di un sistema unico, omogeneo, che la specie umana ha creato come risposta adattati va all' esigenza di percepire, elaborare e tra­ smettere informazioni in modo intelligibile. L'esplicitazione di tutto ciò ha richiesto un lungo cammino, che comincia almeno con Aristotele e avrà la sua più compiuta espressione, anche lessicale, con Linneo nel XVIII se­ colo. Tuttavia, anche le pur minuziose e accurate classificazioni di Linneo e dei suoi seguaci obbediscono ad una logica del tutto convenzionale. Le regole della sistematica sono ampiamente imposte a pliori, in modo più o meno arbitrario, e le classificazioni possono quindi risultare sensibilmente

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Capitolo 2

LE CLASSIFICAZIONI PRIMA DI ARISTOTELE

Tradizionalmente la storia della sistematica biologica, almeno per quan­ to riguarda il pensiero occidentale, si fa risalire al IV secolo a.c., all' opera di Aristotele. In realtà il problema della classificazione degli esseri viventi è già presente nel pensiero greco prearistotelico. La nascita della filosofia greca, nel sesto secolo avanti Cristo, rappresenta una rivoluzione concettua­ le di immensa portata, che coinvolge il modo di pensare nella sua totalità. Alla base di questa rivoluzione sta un tentativo che in termini moderni potremmo indicare di laicizzazione della cultura, e più in generale, della visione del mondo. L'immanenza della volontà, e spesso del capriccio, di una miriade di entità trascendenti, dei, sémidei, demiurgi, ninfe e simili, in ogni atto della storia e della natura, così evidente nel mondo omerico, viene completamente stravolta, e gli dei diventano impassibili spettatori degli avvenimenti del mondo. I fenomeni e gli eventi diventano oggetto di studio della ragione umana, come conseguenza di uno dei postulati fondamentali del pensiero greco classico: cause naturali producono effetti naturali, senza che sia necessario l'intervento della divinità. Tutto ciò comporta, necessariamente, l'idea dell'esistenza di un ordine nel manifestarsi dei fenomeni naturali, e per di più, di un ordine che l'uomo può tentare di spiegare in termini razionali. Una rivoluzione di tale portata non poteva, evidentemente, che coinvol­ gere anche il mondo vivente, ed in particolare, il modo secondo cui l'uomo lo rappresenta. In altre parole, la filosofia ellenica sin dai suoi inizi rende esplicito e tenta di risolvere il problema della classificazione degli organi­ smi e dei criteri sui quali essa deve fondarsi. La scuola di Pitagora

Tracce della problematica cui abbiamo fatto cenno compaiono già nel pensiero dei pitagorici, o almeno di uno di essi, Eurito di Taranto (attivo attorno al 475 a.c.), le cui opere sono andate apparentemente perdute, ma

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di cui sappiamo abbastanza soprattutto in base a citazioni o riferimenti di autori posteriori. Eurito applica al mondo vivente uno dei principi basilari del pensiero di Pitagora, ossia, l'identità fra oggetti - o meglio, categorie, come sono le specie di animali e piante - e numeri che allo stesso tempo li rappresentano e ne costituiscono l'archetipo, l'essenza inseparabile. È importante rilevare che, secondo studi recenti, l'attribuzione di un numero ad una data specie, e la corrispondenza biunivoca fra specie e numero, non ha nulla di magico per Eurito, ma si basa sull'analisi dellaforma di ciascun organismo e sulla trascrizione numerica dei parametri geometrici e cromatici di essa. Non sappiamo se dal confronto fra le definizioni numeriche di organismi diversi Eurito abbia ricavato anche uno schema di classificazione superspecifico, che non avesse il significato di un mero catalogo, ma l'impostazione culturale dei pitagorici, e la stessa struttura gerarchica della matematica, cui facevano costantemente appello, fa sÌ che ciò non sia per nulla improbabile.

Platone

Il pensiero di Platone (428-348 a.c.), al di là dei suoi effetti immediati sullo sviluppo, quasi incredibile, della cultura greca classica nelle più diverse discipline, ebbe un'influenza diretta enorme in tutta la successiva storia delle idee, almeno nel mondo occidentale. Per discutere gli aspetti del pensiero di Platone legati alle problematiche che ci interessano più direttamente è necessario ricordare anzitutto uno dei capisaldi generali della filosofia platonica, la "teoria delle idee". Per Platone tutta la realtà materiale rappresenta la realizzazione, più o meno imperfetta in ciascun caso singolo, di archetipi ideali perfetti, che esistono realmente in una diversa dimensione, il mondo iperuranio. Anche le specie sono classi di individui, copie più o meno imperfette dell 'Idea di ciascuna di esse. A ciò si aggiunge il concetto, che probabilmente Platone mutua da pensatori prece­ denti, che lo scorrere del tempo implichi non soltanto il divenire della realtà sensibile (non delle Idee, che sono eterne e immutabili, ma della loro rappresentazione materiale), ma anche il loro invecchiare e degenerare, scostandosi sempre più, e in modo negativo, dalla bellezza e perfezione dell'archetipo. Si noti a questo proposito, che nel pensiero di Platone il divenire storico è molto più un essere trascinati verso la corruzione e la fine, piuttosto che un qualche processo che anticipi le idee di progresso ed evoluzione. Queste, se mai, potrebbero essere adombrate nelle ipotesi cosmogoniche di Empedocle di Agrigento, che quasi un secolo prima ipotizzava che l'aggregazione casuale degli elementi primordiali avesse dato

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LE CLASSIFICAZIONI PRIMA DI ARISTOTELE

origine in un primo tempo a parti separate di organismi viventi; queste riunendosi ancora a caso avrebbero dato origine ad una congerie di mostri, in buona parte incapaci di sopravvivere. Soltanto quelli che, casualmente, possedevano un' architettura del corpo qualitativamente e quantitati vamente corretta poterono sopravvivere, riprodursi e dar origine così ai viventi quali oggi sono. C'è chi ha intravisto in tutto ciò un primo germe di teoria della selezione naturale e della fitness differenziale ... E perché non - anche - dei mostri speranzosi, e della teoria della decimazione di Stephen Jay Gould? Il secondo aspetto del pensiero di Platone e della sua scuola, l' Accade­ mia di Atene, che è necessario ricordare è quello dell' interesse generale per la definizione, e di qui per la classificazione, interesse che deriva direttamente dalla teoria delle idee cui abbiamo appena accennato. Le idee infatti sono organizzate in modo gerarchico, in relazione al loro grado di generalità. Non è privo di interesse notare che tale modo di ragionare - e di esprimere in maniera sintetica il risultato del ragionamento - è assolu­ tamente attuale. Quando, ad esempio, noi affermiamo che il ghiaccio è lo stato solido dell'acqua, la quale a sua volta è un composto chimico forma­ to da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, noi utilizziamo un concetto generale della chimica (composto), lo specifichiamo (o ne delimitiamo l'accezione) tramite l'indicazione dei due soli elementi in gioco, l'ossige­ no e l'idrogeno, quindi lo specifichiamo ulteriormente indicando le pro­ porzioni in cui tali elementi sono contenuti nell'acqua. Questo percorso logico basato su concetti chimici, viene ad intersecarsi con un altro percor­ so logico simile, riferito alle caratteristiche fisiche del nostro oggetto, quando ne specifichiamo lo stato (solido) nel campo degli stati possibili. Sulla base di quanto abbiamo appena accennato, Platone elabora una vera teoria del processo di classificazione e di definizione delle classi, sino a quelle elementari, non suddivisibili se non in oggetti individuali (e perciò considerati irrilevanti dal pensatore ateniese, in linea con le sue concezioni generali). È importante notare come la definizione di una classe elementare (éidos) è prodotta per cosÌ dire automaticamente dal processo di classifica­ zione analitica a cui viene sottoposta la categoria più generale (ghénos) di cui l'éidos stesso fa parte. Tale processo implica l'estrapolazione del gene­ rale dai particolari (synagoghé) , ossia il riconoscimento dell' immagine dell' idea perfetta attraverso le sue imperfette rappresentazioni materiali. Alla synagoghé si affianca il procedimento noto come "suddivisione logi­ ca" (originariamente: didiresis), consiste essenzialmente nel separare un qualunque universo in due sottounità, basandosi su una caratteristica discri­ minante (diaphord) , e ne~ procedere in modo analogo su ciascuna delle sottounità che via via si individuano, sino a raggiungere una serie di unità che si considerano indivisibili.

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distinguono dagli ami per il modo con cui agiscono sulla preda. La pesca con la lenza, quindi, in base al ragionamento di Platone, si definisce nell'ambito del ghénos di partenza, tramite una serie di attributi discrimi­ nanti ordinati gerarchicamente: la pesca con la lenza è quella tecnica di acquisizione forzata di (esseri animati acquatici nuotatori) pesci, tramite (strumenti di aggancio a trazione) ami. A quanto risulta Platone non applicò mai i suoi criteri di classificazione _ definizione al mondo animale né a quello vegetale; nonostante ciò, soprattutto per l'influenza che il suo pensiero ebbe su quello di Aristotele, non sono superflue alcune riflessioni ulteriori. Anzitutto, è opportuno sottolineare che il procedimento di suddivisione logica produce categorie subordinate, ordinate gerarchicamente, che potrebbero essere rappresentate come un sistema di contenitori modulari (fig. 2.1). Ciascuna di queste categorie, tranne, è evidente, quella elementare, non ha un rango assoluto, ma relativo: "zootheria" ha il rango di "éidos" nei confronti della categoria immediatamente superiore (tecnica di acquisizione di beni tramite uso dissimulato della forza), ma assume rango di "ghénos" nei confronti delle categorie che le sono subordinate. La stessa relazione si instaura fra le caratteristiche discriminanti: la natura animale del bene che si acquisisce discrimina la "zootherfa", ma non permette più di discriminare all'interno della "zootherfa", essendo caratteristica esclusiva delle categorie in cui questa si divide, ma comune a tutte.

A titolo di esempio, riassumiamo il procedimento che lo stesso Platone utilizza nel dialogo Il sofista per definire - e allo stesso tempo, classificare -la pesca con la lenza. Nel quadro di un universo (ghénos) costituito da ciò che possiamo chiamare "tecnica di acquisizione di un bene qualsiasi", si distingue fra acquisizione per accordo e acquisizione forzata. In questo secondo ambito possiamo distinguere fra uso palese (combattimento) e uso dissimulato della forza; in questo secondo caso, distinguiamo ulteriormente in base alla classe di beni che si acquisiscono: inanimati e animati (qui Platone usa un'unica parola, zootheria, che indica sia la caccia che la pesca, e relega la raccolta di vegetali nella classe "acquisizione di cose inanima­ te"). L'ulteriore suddivisione della zootheria si basa sulla distinzione fra animali terrestri e animali acquatici (fra cui, come è evidente dal passo successivo, non vengono inclusi i soli pesci). Fra gli animali acquatici, distingue volatori e nuotatori; questi si catturano con reti o simili, oppure con strumenti che feriscono, e infine, fra questi ultimi, gli arpioni si

acquisizione di beni 1 acquisizione per mutuo consenso 2' acquisizione forzata 2 ..

~1____________~a~c~q~u~iS~iz~i~o~n~e~c~o~n~u~s~o~p=a~le~s=e~d~e~lI~a~fu~rz~a~3~'__________~1 acquisizione con uso dissimulato della forza 3 cose inanimate ·4'

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Fig. 2.2. Rappresentazione schematica delle successive tappe del processo di classifica­ zione - definizione tramite suddivisione logica (cfr. fig. 2. 1 per i simboli e il loro significato. Le linee continue e i tondi pieni indicano il percorso fra la categoria 4, acquisizione di beni con uso dissimulato della forza, sino alla categoria elementare 8, pesca con la lenza. In parentesi le successive ipotetiche suddivisioni delle alternative non analizzate). (Secondo Platone, Il sofista).

Fig. 2.1. Rappresentazione schematica del risultato del processo di classificazione ­ definizione tramite suddivisione logica del fenomeno "acquisizione di beni". Si noti come le categorie di ciascun ordine sono allo stesso tempo includenti ed escludenti, nonché l'organizzazione gerarchica delle categorie stesse. Le alternative indicate da numeri con apice non sono ulteriormente analizzate. (Secondo Platone, Il sofista) .

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Capitolo 2

LE CLASSIFICAZIONI PRIMA DI ARISTOTELE

Un secondo aspetto di grande rilievo è legato al processo dicotomico della suddivisione logica. Questo può essere rappresentato come una se­ quenza di diramazioni binarie orientate lungo un gradiente unidirezionale (fig. 2.2), che rappresenta la sequenza delle successive suddivisioni logiche e la gerarchia delle caratteristiche discriminanti. È altrettanto importante sottolineare che Platone, coerentemente con quanto abbiamo ricordato circa la gerarchizzazione delle categorie prodotte dal procedimento della suddi­ visione logica, si spinge sino ad analizzare le modalità secondo cui le categorie stesse possono venir raggruppate in classi. Egli discute quattro possibilità (fig. 2.3): a) Classi che comprendono gmppi completi, che ammettono parti, ma che non sono parti essi stessi (nell' ambito del sistema considerato). b) Classi che comprendono gruppi completi, che ammettono parti, e che sono essi stessi parti (del sistema considerato).

c) Classi che comprendono gruppi completi, non ammettono parti, e sono esse stesse parti (del sistema considerato). d) Classi che comprendono gruppi che non sono completi. Se consideriamo che per Platone soltanto le prime tre classi hanno realtà (e quindi possono essere lecitamente denominate), potremmo sostenere che, almeno in nuce, un principio che si sta affermando nella sistematica biologica soltanto nella seconda metà di questo secolo, grazie alle idee di Hennig e dei cladisti, ossia la liceità dei soli gruppi monofiletici, è vecchio di due dozzine di secoli! Si potrebbe speculare a lungo sui motivi che fecero sì che Platone non applicasse il criterio della suddivisione logica al "ghénos" dei viventi, o almeno degli animali. Non è impossibile che) · la certa influenza del pen­ siero orientale, particolarmente evidente nella sua concezione delle reincarnazioni, lo abbia condizionato in tal senso: sta di fatto che, quando egli si occupa di discutere una classificazione degli animali, li ordina in modo lineare, secondo una "scala degli esseri", giustificata appunto in termini di reincarnazioni e degenerazioni, dall'animale intellettualmente e moralmente più perfetto, o comunque passibile di essere tale, l'uomo (uomo maschio, la donna per Platone stava un gradino sotto ... ), al più primitivo dei primitivissimi pesci.

Speusippo

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Fig. 2.3. Rappresentazione schematica delle quattro possibili classi in cui possono rag­ grupparsi le categorie elementari (simboleggiate dalla cifra 8), in base all'esempio delle figure precedenti. Il riquadro continuo racchiude una classe che comprende un gruppo completo, che ammette parti (le categorie elementari e qualsiasi altro gruppo del tipo successivo), ma che non è esso stesso una parte nell'ambito del sistema considerato, visto che lo comprende per intero. Il riquadro a tratteggio breve racchiude una delle possibili classi che comprendono gruppi completi, ammettono parti (le quattro categorie elementari incluse, o le due successive coppie che formano) e sono esse stesse parti del sistema o/e di uno opiù dei sottosistemi (qui la serie di categorie elementari che si origina da 5'). Le cifre "8" rappresentano ciascuna una classe che comprende un gruppo completo, che fa parte del sistema considerato, ma che non ha parti. Il riquadro a tratteggio lungo racchiude una delle possibili classi "non reali" (vedasi testo), che comprendono gruppi incompleti (in questo caso, le categorie che si originano da 6' più una parte soltanto di quelle che si originano da 6). (Secondo Platone, Il sofista).

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Nipote e precoce discepolo di Platone, cui succedette alla guida del­ l'Accademia di Atene, Speusippo (?408-339 a.C.) si occupò fra l'altro della classificazione e della nomenclatura dei viventi. Per quanto concerne la sistematica, non è irrilevante notare che nonostante l'eredità culturale di Platone, Speusippo apparentemente trasgredisce con frequenza la procedu­ ra rigidamente dicotomica della suddivisione logica, e produce schemi che, con terminologia moderna, potrenuno indicare come "politomici". Nei frammenti che ci sono pervenuti dell'opera sulle somiglianze in scienza (probabilmente Dialogoi ton per{ ten pragmatéian omoion, in dieci libri) si ritrovano esempi in cui un gmppo di organismi è classificato dapprima in due categorie subordinate, poi ciascuna di esse (o una sola) viene ulteriormente divisa dicotomicamente, ma le "classi indivisibili" (specie) attribuite ai rappruppamenti immediatamente sopraspecifici sono spesso più di due, caratterizzate dalla loro "somiglianza" generale, su cui non si approfondisce ulteriormente, ma che vengono semplicemente indicate come simili o prossime. Tale atteggiamento di Speusippo potrebbe essere ogget­ to di lunghe speculazioni, che esulano dai limiti e dagli scopi del presente

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Capitolo 2

Capitolo 3

TASSONOMIA E SISTEMATICA IN ARISTOTELE

Omonimi (= termini dal significato multiplo ed eterogeneo): volume, inteso come libro o come quantità geometrica.

TAUTONIMI

Sinonimi (= termini dal significato univoco, benché riferiti a categorie unitarie ma ulteriormente suddivisibili): legione, for­ mata da coorti, centurie, decurie, militi.

Eteronimi propriamente detti (= termini, e concetti, legati da relazioni biunivoche): individuo.

ETERONIMI

Polionimi (= termini diversi utilizzati indifferentemente per indi­ care una stessa categoria): studente, discente. Paronimi (= termini diversi ma derivati da un'unica radice, utiliz­ zati per categorie strettamente collegate): cane, canile.

Tab. 2.1. Schema della classificazione dei nomi secondo Speusippo (modificato da Papavero et al.). Gli esempi sono ricavati dall'italiano attuale.

lavoro, e che la frammentarietà dei testi originali disponibili renderebbe scarsamente fondate. Non è inverosimile, peraltro, ritenere che il pensatore ateniese si sia arreso di fronte a difficoltà di interpretazione delle differenze e somiglianze di livello specifico, innanzi alle quali non pochi sistematici odierni assumono lo stesso atteggiamento. "?n secondo aspetto dell'opera di Speusippo cui è necessario accenna­ re nguarda la nomenclatura. E noto che la nomenclatura, il lessico della botanica e della zoologia sistematica, sono rimasti in una situazione cao­ tica sino alla metà del XVIII secolo, quando Linneo affrontò per la prima volta in modo organico il problema e ne propose una soluzione radicale, a cui ancor oggi ci si attiene, almeno a grandi linee. Vale la pena notare che, a differenza di Linneo (cfr. cap. 9), Speusippo non si preoccupa di adottare una nomenclatura che si modelli sullo schema sistematico che ammette, o che quantomeno sia retta da regole comparabili con quelle della classificazione. Il pensatore ateniese lavora sui nomi esistenti che analizza nel loro valore semantico consolidato dall'uso, e di cui pl:ende atto. Da tale lavoro di analisi ricava una classificazione dei nomi che riportiamo nella tab. 2.1.

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Aristotele nàcque a Stagira nel 384 (383) a.c. in una famiglia tradizio­ nalmente legata alla medicina e alla casa regnante macedone (suo padre Nicomaco, infatti, era medico ed amico personale di Amintas II, padre di Filippo il Macedone). All'età di 18 anni (367 o 366 a.c.) si trasferÌ ad Atene, entrò a far parte dell' Accademia di Platone dove rimase per 20 anni sino alla morte del Maestro (347 a.C.). Successivamente si recò ad Assos (in Asia Minore) ospitato da Hermias, un liberto ex-accademico che aveva assunto il governo della città e di cui Aristotele sposò la nipote Pittia. Quando Hermias fu ucciso per ordine del re di Persia, si trasferÌ a Mitilene prima e poi a Pella, in Macedonia (343 a.c.) alla corte di Filippo II, divenendo cosÌ precettore di Alessandro. Nel 336 a.C. Filippo venne ucciso, Alessandro salì al trono e cominciò una campagna di conquista in Oriente per espandere il proprio impero; in questa occasione Aristotele tornò ad Atene dove fondò il Liceo che diventò ben presto un importante centro di studi filosofici e di scienze naturali. Dopo la morte di Alessandro (323 a.C.) Aristotele, identificato con il partito filomacedone, abbandonò Atene e si recò a Calcide in Eubea dove morÌ, dopo quasi un anno, nel 322 a.C. L'incredibile produzione di Aristotele (il Corpus Aristotelicus) - cosÌ come oggi la conosciamo - ci è giunta grazie all'opera di Andronico di Rodi che poco dopo la metà del I secolo a.c. si incaricò di riordinare i manoscritti organizzandoli in trattati organici, editi a Roma e tradotti in latino. Le principali opere zoologiche pervenuteci di Aristotele (quelle botani­ che sono andate perdute) sono:

Historia Animalium (10 libri) De Partibus Animalium (4 libri) De Generatione et Corruptione (5 libri) Prima di esaminare brevemente gli aspetti fondamentali di tali opere occorre fare una premessa di ordine generale: l'influenza su Aristotele del

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TASSONOMIA E SISTEMATICA IN ARISTOTELE ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 3

organismi studiati vengono spesso associate considerazioni di carattere generale. Per quanto riguarda la tassonomia, è nel De Partibus Animalium che Aristotele sostiene che la ricerca delle differenze (il cui valore nel processo classificatorio era già stato sostenuto da Platone) deve essere condotta in base allo studio delle parti. Aristotele afferma che esistono tre livelli di organizzazione. Il primo è responsabile della formazione degli "elementi fondamentali"; il secondo delle "sostanze omoo-enee" o b "omeomere"; il terzo delle sostanze "non omogenee" o "anomeomere". Aristotele applica il termine "parte" a tutte le "sostanze" che costitutiscono il corpo di un animale (membra e organi); distingue tra le parti quelle Omeomere o uniformi (cioè quelle che possono essere suddivise in altre parti della stessa natura: per esempio dividendo carne si ottengono parti che sono ancora carne) e quelle Anomeomere o non uniformi (cioè che possono essere suddivise in parti tra di loro uniformi, ma non omogenee con la parte iniziale: per esempio una mano non viene divisa in mani ma in dita). Le caratteristiche delle diverse parti degli organismi vengono utilizzate nel processo di classificazione, secondo due principi fondamentali. Il "Principio del più o del meno" valuta differenze di dimensioni e forma della stessa struttura e discrimina all'interno di un grande gruppo. Il prin­ cipio di "Analogia" discrimina fra grandi gruppi. In questo caso le caratte­ ristiche prese in considerazione sono una la "controparte" dell' altra, come le piume degli Uccelli e le scaglie dei Pesci.

suo maestro Platone è indiscutibile, ed è particolarmente rilevante nelle prime opere, tuttavia esiste una notevole differenza nell' approccio alla conoscenza dei due filosofi. Per Platone la conoscenza è frutto della sola attività autonoma del pensiero, mentre per Aristotele assume un' importanza di tutto rilievo l'osservazione diretta e la raccolta dei dati che devono poi essere interpretati in termini causali (cause finali).

Historia Anùna/ium

Quando Aristotele utilizza la parola "historia" la usa nel senso di "conoscenza", quindi il vero significato del titolo di quest'opera (Peri ta zoa historiai) sarebbe espresso dal termine moderno" Zoologia". Degli scritti che appartengono a questa raccolta, i libri l-VI e VIII sono sicura­ mente di Aristotele (anche se alloro interno è possibile individuare "inser­ zioni" - in genere brevi - probabilmente dei suoi allievi); il X è sicuramente spurio. Aristotele, forse con l'aiuto di alcuni discepoli, in special modo Teofrasto, effettuò numerosissime osservazioni personali ed esperimenti su molti e diversi animali, che vengono poi riportati in quest' opera. I primi 6 libri hanno una struttura unitaria e logicamente meditata: Aristotele comin­ cia con l'animale più conosciuto (da utilizzare come punto di riferimento), l'uomo, e prosegue via via secondo un ordine che va dagli organismi "più perfetti" a quelli meno perfetti. Oltre alle osservazioni personali Aristotele riporta anche dati fornitigli dai pescatori o citati dalle fonti letterarie, cercando sempre per quanto possibile di verificare personalmente ciò che afferma. Al di là della cronologia - la Historia Anima/ium pare in buona parte contemporanea al De Partibus Anima/ium - è abbastanza evidente che la Historia Anima/ium si riferisce alla prima fase della ricerca biologica di Aristotele, dedicata in massima parte alla raccolta di dati; non è tuttavia inutile sottolineare come già in tale opera, se da un lato il punto di partenza dell' analisi comparativa di Aristotele è l'uomo, il "più perfetto", l'uomo è comunque considerato un animale.

De Generatione et Corruptione

Nei primi tre libri Aristotele affronta il problema della generazione; nel IV le cause della differenziazione dei sessi; nel V le "cause secondarie", intese come conseguenza del processo naturale e che non presentano alcuna finalità particolare (es. il colore degli occhi). Anche tali aspetti hanno importanti risvolti tassonomici.

I metodi di indagine De Partibus Anima/ium

Per Aristotele l'individuo è l'unica "cosa" concreta, ed è possibile riuscire a rilevare alcune caratteristiche comuni (alcune comuni a tutti gli esseri viventi, altre solo agli esseri umani etc.) che permettano di raggruppare gli individui che le posseggono. Possono così essere giustificati anche in ambito zoologico i concetti di "ghénos" ed "éidos", categorie logiche relative che servono per rappresentare i raggruppamenti che a vari livelli è possibile

Questo trattato (Peri Zoon Morion) si compone di due opere distinte: il primo libro è una specie di introduzione generale nella quale Aristotele difende la Zoologia come scienza autonoma e discute fondamentalmente problemi metodologici. Gli altri libri costituiscono un'opera a parte, di carattere prevalentemente anatomico, anche se ai dati concernenti i diversi

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Capitolo 3

individuare. In questo caso ghénos è la classe più amplia a cui un individuo può appartenere sulla base delle sue caratteristiche generali. Le differenz~ evidenziate tra gli individui appartenenti allo stesso ghénos permettono dI collocarli in una delle "sottoclassi" in cui il ghénos stesso è diviso. Ciascuna sottoclasseè un éidos rispetto al ghénos iniziale, ma a livello inferiore diventa essa stessa un ghénos rispetto agli éide che la compongono. Quindi il primo passo del ricercatore è quello di raccogliere, sulla base dell'osservazione diretta, il maggior numero possibile di dati per arrivare a stabilire quali siano le differenze che intercorrono tra i diversi animali. Una volta raccolte tutte le differenze osservabili, il passo successivo consiste nel constatare quali caratteristiche si trovano sempre in combinazione in modo tale da individuare un determinato gruppo, e procedere poi a scoprire le cause dei fenomeni, principalmente la causa finale che per Aristotele è il vero obietti vo della ricerca. Nella Historia Animalium Aristotele comincia la sua analisi da "grandi gruppi" riconosciuti dall'uso ~omu~e, spe.sso a?che a li~eyo di ~~s~i~o. Questi vengono, almeno come IpotesI, consIderati come unIta da cUI InI.zIa­ re l'analisi. Alcuni esistono già nel linguaggio corrente come PescI ed Uccelli, per altri va sottolineato che Aristotele stesso conia nuovi nomi: "Mahlkia", "Ostrak6derma", "Éntoma", Malak6straka". Lo studio degli animali alla ricerca delle differenze viene condotto sull'analisi delle loro parti . Una volta realizzato lo studio delle parti bisogna procedere, sulla base delle differenze individuate, alla progressiva divisione del ghénos di più alto grado nelle sotto unità costituenti sino ad arrivare alle "specie non ulteriormente divisibili". Per compiere correttam~nte questo passaggio bisogna però individuare ed utilizzare solo ed esclusivamente le "differenze essenziali". L'omogeneità di questo metodo con la "dieresi" platonica è evidente. In sintesi: Aristotele sostiene che gli animali appartengono alla stessa éidos se le loro parti componenti sono le stesse (es. l'occhio di un uomo è esattamente uguale a quello di qualsiasi altro uomo); allo stesso ghénos, però ad éide differenti se le loro parti differiscono per il "principio del più o del meno" (per esempio tutti gli Uccelli possiedono un becco di struttura unitaria, ma le differenze di forma e dimensioni del becco permettono di separarli in specie distinte. E questo, senza conoscere i fringuelli delle isole Galapagos studiati molto più tardi da Darwin !). Gli organismi invece appartengono a ghénoi differenti se le loro parti differiscono per il "princi­ pio dell'analogia": Uccelli e Pesci sono ghénoi diversi in base al fatto che piume e scaglie sono strutture analoghe. In altre parole ~i p.uò sosten~re ~he Aristotele ha chiara la distinzione tra differenze quantitatlve e quahtatlve, e ne fa largo uso nelle sue elaborazioni sistematiche.

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Dall'analisi delle opere zoologiche di Aristotele è possibile individuare la presenza di tre livelli nello sviluppo del suo pensiero: Nella Historia Animalium Aristotele ad un primo livello cerca di otte­ nere una classificazione degli animali , sulla base delle loro differenze, in gruppi "opposti l'uno all'altro (es. animali acquatici e terrestri; notturni e diurni; gregari e solitari; etc.). Questo suo tentativo si rivela molto faticoso e poco fruttuoso . Se analizziamo la composizione sistematica dei due gruppi in antinomia: terrestri (meglio: aericoli) e acquatici, già lo stesso Aristotele nota che specie come la foca per molte caratteristiche sono classificabili in un gruppo, ma per altre andrebbero classificate nell'altro: in termini aristotelici "dualizzano". Compare già in questo caso, ed in molti altri, il problema fondamentale dei principi classificatori di Aristotele, che consiste nella mancanza di criteri che permettano una gerarchizzazione non aleatoria dei caratteri (al di là di quanto abbiamo accennato sulle differenze qualitative e quantitative) e di qui, una gerarchizzazione delle classi di organismi ed una loro delimitazione non equivoca. Almeno a livello intuitivo, tale problema sembra essere presente nel pensiero di Aristotele. Infatti, nel De Partibus Animalium Aristotele ribadisce l'importanza dello studio delle differenze per arrivare a classificare gli animali. Si potrebbe sostenere che quando Aristotele scrive che bisogna cercare "la differenza delle differen­ ze" preconizza in certo qual modo, il modernissimo problema della ponderazione differenziale dei caratteri, ossia, del criterio di valutazione di complessi di caratteristiche da cui emergono indicazioni in conflitto tra loro. Aristotele suggerisce che un corretto modo di classificare potrebbe consistere in: a) Prendere in considerazione inizialmente i gruppi che intuitivamente appaiono "naturali". Questi non necessariamente hanno già nomi nel linguaggio corrente. Per esempio egli considera naturali i gruppi che denomina rispettivamente "Enaima" (animali con sangue "rosso e cal­ do") ed "Anaima" (animali con sangue "bianco e freddo"). (cfr. fig. 3.1). Vale la pena notare che almeno grosso modo gli Enaima corrispondono ai Vertebrati e che gli Anaima comprendono tutti gli Invertebrati a lui noti. È superfluo ricordare che, benchè gli Invertebrati siano riconosciu­ ti oggi come un raggruppamento artificiale, la cui unica caratteristica comune è una "non caratteristica", la mancanza della colonna vertebrale, tale divisione degli animali è ancora mantenuta in manuali, trattati, corsi uni versi tari. b) Evidenziare "le differenze" (di cui però non specifica mai chiaramente la natura) che li separano e caratterizzano. Dall'analisi di alcuni passag­ gi del De Partibus Animalium si può tuttavia estrapolare che alcune differenze possono essere ricondotte a:

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Capitolo 3

TASSONOMIA E SISTEMATICA IN ARISTOTELE

Uomo Mammiferi terrestri Cetacei " ENAIMA"

Uccelli Anfibi+Rettili (partim) Ofidi+Anguidi e simili Pesci sensu lato

"Éntoma" (Artropodi terrestri) "Malak6straka" (Crostacei, partim) "ANAIMA"

"Ostrak6derma" (Molluschi conchiferi+Ricci di mare) "Malakia" (Cefalopodi) Gruppo eterogeneo di «forme intermedie» incertae sedis (Cnidari, Echinodermi partim, Poriferi)

che ritiene palesemente artificiali, contribuisce a portare Aristotele a rifiu­ tare infine la divisione dicotomica. Nella stessa ottica, nel De Generazione et Corruptione, segnala il fatto che non esiste alcuna correlazione tra gli organi di locomozione ed i differenti modi di riproduzione. Dopo avere aspramente criticato la divisio­ ne degli animali sulla base degli organi di locomozione, tenta di fornire una classificazione alternativa in accordo con il grado di perfezione degli animali. Questo viene identificato con la "perfezione" presentata alla nasci­ ta dalla progenie. Aristotele questa volta procede in "modo ascendente" dai gruppi meno perfetti a quelli "più perfetti". Individua quindi 6 gruppi che rappresentano altrettanti li velli di un' ideale sequenza, la "scala naturae". (cfr. fig. 3.2). l) Gli animali "più perfetti" descritti come caldi, umidi e non terrosi, che producono una progenie perfetta cioè esattamente uguale agli adulti, ma solo di dimensioni ridotte: i vivipari. 2) Gli animali freddi e umidi ovovivipari: i pesci cartilaginei e le vipere. 3) Gli animali caldi e secchi che non producono un animale perfetto, ma un uovo perfetto, ricoperto da un guscio duro e che una volta deposto

Fig. 3.1. Schema di classificazione degli animali secondo le prime concezioni tassonomiche di Aristotele. I termini tra virgolette sono di Aristotele e corrispondono con buona approssimazione ai gruppi indicati in parentesi.

VIVIPARI

OVOVIVIPARI

1) Funzione dell'anima, specialmente dell'anima locomotoria (es. volatori, nuotatori etc.); 2) possesso di un organo particolarmente importante (es. i polmoni); 3) presenza o assenza, quantità e qualità del sangue (vedi Enaima ed Anaima), visto come misura del calore naturale dell' animale ma anche della postura, della dimensione e della sua vitalità. Aristotele non indica alcun criterio unico che possa adottarsi per diffe­ renziare tutte le specie animali: a volte vengono utilizzate differenze di funzioni, altre volte di forma, differenze nelle parti esterne ed interne, differenze dovute alla presenza o assenza di certi organi, alla quantità e qualità del sangue e così via; anche gli organi di locomozione e di riprodu­ zione possono essere inclusi tra i caratteri distintivi essenziali. Tutti questi tentativi però falliscono almeno in parte, in quanto qualunque classe di differenze prenda in esame, il problema della dualizzazione si ripresenta puntualmente a vanificare i risultati. Questo, con il fatto che il suo metodo iniziale spesso lo costringe a suddividere gruppi naturali, e a crearne altri

I I

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OVIPARI DI II CLASSE

OVIPARI DI I CLASSE

LARVIPARI

TESTACEI

Fig. 3.2. Una possibile rappresentazione schematica della classificazione scalare di Aristotele.

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non subisce aumenti nella dimensione: gli ovipari di prima classe (Uccelli e Rettili squamosi). 4) Gli animali freddi e secchi che producono un uovo imperfetto, ricoperto da un guscio molle e che dopo la deposizione subisce aumenti di volume (in realtà per questioni legate alla pressione osmotica): gli ovipari di seconda classe (Pesci Ossei, Crostacei, Cefalopodi). 5) Gli animali estremamente freddi che copulano ·ma che non producono un uovo, ma bensÌ una larva (considerata meno perfetta dell'uovo): i larvipari (Insetti). 6) I testacei. Descritti come forme intermedie tra gli animali e le piante (Spugne, Celenterati, Ascidie e altri). Vale la pena di sottolineare come la scelta della sequenza 1-2-3 è in realtà arbitraria anche in base ai criteri esplicitamente enunciati dallo stesso Aristotele. Infatti, se la gerarchia di importanza delle sostanze fondamentali che lui ammette è caldo-freddo e umido-secco, non si vede perchè la combinazione freddo-umido, debba precedere quella caldo-secco e non viceversa. Questo sistema di classificazione è formalmente nuovo. In buona parte però gli stessi grandi gruppi e generi di animali continuano ad essere utilizzati (sostanzialmente rimane la divisione tra Enaima ed Anaima, anche se gli ovipari di II classe contengono rappresentanti di entrambi i gruppi: Pesci, Crostacei e Cefalopodi). Questa nuova classificazione tutta­ via non è più soddisfacente della precedente: non offre alcun modo di differenziare all'interno dei Vivipari tra Uomo, Quadrupedi e Cetacei, che vengono quindi sempre individuati, sulla base degli organi locomotori (cosÌ criticati in altra sede!), come Bipede, Quadrupedi e Apodi, rispettivamente. Infine anche questa nuova classificazione proposta divide alcuni "gruppi naturali" (per es. i Pesci). Nello sviluppo del pensiero aristotelico può essere intravista una cre­ scente tendenza verso l'empirismo. È sicuramente vero che Aristotele iniziò accettando in modo acritico il metodo platonico della suddivisione logica e che, all'incrementarsi delle sue conoscenze biologiche, venne elaborando un sistema molto più empirico e complesso in cui alla rigida dicotomia platonica si sostituisce spesso la politomia. Questo metodo, però, gli apparve presto insoddisfacente a fronte dell' accumularsi delle cono­ scenze empiriche sul mondo animale: è verosimile supporre che tale insod­ disfazione derivasse anche dall'impossibilità di riconoscere, al di là della prima divisione in Enaima ed Anaima, alcun gruppo realmente omogeneo, ossia, alcun gruppo i cui rappresentanti condividano tutti almeno un carat­ tere, se non un complesso di caratteri, esclusivo. Un carattere necessario e

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sufficiente per appartenere in modo univoco al gruppo stesso, e contrappo­ nibile ad un carattere confrontabile che identifichi il gruppo alternativo. Ciò dipende anche, a nostro parere, dal fatto che l'universo zoologico su cui Aristotele lavorava, e le sue profonde - per l'epoca - conoscenze di esso scoraggiavano qualunque tentativo di gerarchizzazione di caratteri cosÌ elegante e - almeno in apparenza - univoca come quella applicata da Platone nell' esemplificare il procedimento di classificazione-definizione tramite suddivisione logica (cfr. cap. 2). Questo, a sua volta, è in stretta relazione con la concezione aristotelica, che l'universo e tutto ciò che in in esso è compreso sono eterni e coeterni con la divinità, motore immobile non creatore. L'unica maniera per gli esseri viventi di assicurarsi l'eternità (non come singoli individui, ma come éide) è data dalla riproduzione. Tutte le specie sono eterne, non sono mai state create, nè mai cesseranno di esistere perpetuandosi eternamente per mezzo della riproduzione. Un discorso analogo viene fatto per i carat­ teri "essenziali" (o per i diversi stati di questi) che sono quindi altrettanto eterni. Aristotele conclude "aspettandosi" che ciascun ghénos possegga almeno un carattere essenziale (quello che egli chiama differenza essen­ ziale) esclusivo, ma poi, nei fatti, spesso questa aspettativa viene delusa. Tuttavia, la ricerca della causa finale continua ad essere caposaldo della sua concezione - fino alla sua ultima opera biologica (De Generatione et Corruptione). A questa si accompagna la costante presenza delle quattro sostanze fondamentali a due a due opposte (caldo e freddo; umido e secco) alla combinazione delle quali è riportato il diverso grado di perfezione degli esseri viventi. È peraltro convinzione di Aristotele che nella natura domini l'ordine e che ciascuna cosa materiale abbia un scopo, una causa finale (télos). Da tale concezione Aristotele è inevitabilmente portato a concepire un grandioso ordinamento graduale della natura. Sia gli oggetti inanimati sia gli esseri viventi hanno uno scopo, che in questi ultimi risulta più evidente e più facilmente determinabile per il ricercatore. Tutto ciò unito alle dualizzazioni dimostrate da moltissimi organismi, lo porta a concepire il sistema organiz­ zato secondo la "scala naturae", pensata come un sistema altamente ordina­ to e graduale (cioè caratterizzato da differenze che vanno impercettibilmen­ te sfumando da un gruppo all'altro), applicabile sicuramente almeno ai grandi gruppi, che procede dagli organismi inanimati al più perfetto degli esseri animati, l'uomo. U n discorso a parte merita la categoria "specie infima", l' éidos individibile. È stato sostenuto da diversi autori che Aristotele concepisce l'éidos attraverso due procedimenti indipendenti, l'uno di tipo più specula­ tivo, l'altro più empirico·. Da un lato, la specie si individua tramite un

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Il

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Capitolo 3

processo logico di derivazione platonica, ossia per differenze nel quadro di una classe di rango superiore. D'altro canto, Aristotele sostiene che - salvo in condizioni particolari, rare ed estreme - gli individui di una stessa specie si riproducono fra loro, con la finalità di perpetuare l'eternità dell'éidos e della sua identità. In termini odierni, si potrebbe affermare che Aristotele sostenga che la specie è un'entità biologica e diacronica, ovviamente non evolutiva in quanto immutabile, almeno nella sua essenza, nè genealogica, in quanto non è previsto alcun processo di cladogenesi. Allo stesso tempo però la specie è anche una collezione di individui riconoscibili come con specifici su base morfologica, a prescindere da qualunque contesto biologico e temporale. È evidente a questo punto l'influenza della tassonomia aristotelica su tutto il pensiero sistematico successivo, dalla questione della realtà o convenzionalità dei taxa sopraspecifici, sino alle polemiche tra evoluzionismo, nominalismo, filogenetismo e qualunque altro dei tanti "ismi" contemporanei.

Capitolo 4

TASSONOMIA E SISTEMATICA NELLA CULTURA

ELLENISTICA, LATINA E TARDOROMANA

Tradizionalmente il338 a.c., con la vittoria di Filippo il Macedone sulla lega tebano - ateniese a Cheronea, è considerato l'anno in cui ha termine la civiltà greca classica e prende inizio quella ellenistica. Se da un punto di vista politico è vero che tale anno segna la fine del sistema delle città stato popolate - almeno nei loro ceti superiori - da cittadini, sostituito da un impero popolato da sudditi, sarebbe eccessivamente ingenuo pensare ad un tramonto immediato di quella visione del mondo, essenzialmente laica e razionale, che caratterizzava la Grecia nel periodo del suo massimo fulgore. È vero, peraltro, che la conquista macedone, e soprattutto la fulminea espansione dell' impero attuata da Alessandro fra il336 e il323 a.c. non sortì unicamente l'effetto di ellenizzare, almeno superficialmente, l'intero Medio Oriente, il Nordafrica e i domini persiani, sino all' India: dai confini dell' impero diverse, inquietanti visioni del mondo, impregnate di mistica irrazionalità, contribu­ irono a modificare non poco l'intero assetto culturale della realtà greca e ad incrinarne le certezze. Tale crisi politico-sociale, e la fase iniziale di quella culturale, investirono la scuola filosofica fondata da Aristotele, il Liceo di Atene, appena il maestro ne ebbe abbandonata la guida .

Teofrasto Teofrasto era nato nell'isola di Lesbo probabilmente nel 371 a.c. , ed era diventato allievo e seguace di Aristotele forse già durante il periodo che questi trascorse in Asia Minore. A partire dal 322 raccolse l'eredità del maestro, rimanendo ad Atene come Scolarca del Liceo in pratica sino alla morte (287). La sua copiosa produzione abbracciava un campo di interessi molto esteso, in armonia con la concezione del filosofo come pensatore universale, così cara ad Aristotele, i cui interessi e le cui competenze, almeno potenzialmente, non hanno limiti. Tale produzione, tuttavia, è in gran parte perduta o smembrata e incorporata in testi attribuiti ad altri autori

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Capitolo 4

e quindi irriconoscibile. Fra le opere che ci sono pervenute, assumono particolare importanza due ampie trattazioni di botanica, Studio delle piante e Causa delle piante, nelle quali Teofrasto raccoglie e organizza una grande quantità di informazioni sul mondo vegetale, basate sia sull' osservazione diretta, sia sull' analisi, in genere critica, di notizie di seconda mano. Lo schema sistematico di Teofrasto, benché dichiaratamente di deriva­ zione aristotelica, risulta poi fondato più che altro su criteri empirici, e su quell' "occhio del sistematico", quella percezione complessiva degli orga­ nismi che ancor oggi caratterizza ogni valido specialista di qualunque gruppo, almeno dopo qualche anno di esperienza. Ed è proprio su questa base che egli riconobbe gruppi sistematici, la cui validità è ammessa tuttora, fra cui le palme, le faseolacee e le conifere. Sono ancora attuali molte delle sue considerazioni sul valore tassonomico di parti diverse della pianta, dei diversi tipi di frutti che produce, dei fusti, foglie, radici, a livello delle quali tentò anche di elaborare una nomenclatura univoca e coerente. I1fundamen­ tum divisionis teofrasteo è l'habitus della pianta, che gli permette di clas­ sificare il mondo vegetale in alberi, arbusti, cespugli ed erbe. Egli tuttavia non è affatto categorico in questo senso, ma anzi sottolinea non solo che in natura molte piante non sono riconducibili in modo inequivocabile ad una delle sue classi superiori, e rappresentano invece forme intermedie, ma riferisce anche, basandosi sulla sua lunga esperienza in campo agronomico, che le forme coltivate di una stessa specie possono discostarsi molto da quelle silvestri (che ne rappresentano per Teofrasto la "forma essenziale"). Va rilevato che Teofrasto, pur inserendosi direttamente nella linea di pensiero originatasi con Socrate e proseguita con Platone e con Aristotele, è molto critico con alcuni aspetti dell' aristotelismo, che apparentemente giudica riduttivi o comunque troppo schematici nel campo naturalistico. In partico­ lare, sembra non accettare la teoria delle cause prime e delle cause finali, o quantomeno esprime forti dubbi sulla possibilità di riconoscerle. Per capire questi atteggiamenti di Teofrasto, occorre considerare che, verosimilmente, egli abbia subito una certa influenza della filosofia scettica, che in quegli anni si stava sviluppando, la quale negava la possibilità per l'uomo di conoscere la verità in qualunque campo, e che poco più tardi, con Carneade, avrebbe prodotto la modernissima idea del probabilismo e del criterio di verosimiglianza. Teofrasto comunque giunge ad un livello di incertezza intrinseca, tale da fargli dubitare dell'esistenza di leggi di necessità in natura. È utile sottolineare che in questo atteggiamento del grande natura­ lista greco si possono riconoscere, almeno in germe, i presupposti di quell' impostazione essenzialmente empirica, dal contenuto teorico radical­ mente ridotto, che caratterizzerà la sistematica successiva e si esprimerà compiutamente nell' opera di Plinio.

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Plinio il Vecchio Nato nella Gallia Transpadana, a Como, attorno al 23 d.C., Caio Plinio Secondo, meglio conosciuto come Plinio il Vecchio, per distinguerlo da suo nipote Caio Plinio Secondo il Giovane, si trasferì ben presto a Roma, dove entrò molto giovane nell' amministrazione pubblica. Le diverse cariche che ricoprì lo portarono a viaggiare nelle Gallie, in Germania, Nord Africa e in Spagna, dove fu Procuratore di Roma fino al 69, quando fu richiamato nella capitale dall'imperatore Vespasiano con cui aveva legami di amicizia personale. Come Prefetto della flotta assistette all' eruzione del Vesuvio del 79, morendo asfissiato dalle emissioni del vulcano. Una bella morte per un naturalista curioso, eclettico ed enciclopedico, che aveva appena terminato di raccogliere le sue cognizioni nei 37 libri della sua Naturalis historia. La vastità del contenuto dell'opera di Plinio deriva oltre che dalle copiose osservazioni dirette compiute in buona parte del mondo allora noto alla cultura occidentale, dalla conoscenza di un'immensa bibliografia: egli stesso dichiara, nell'introduzione, che la stesura definitiva comporterà la consultazione di quasi duemila libri. Il risultato è di una vastità impressio­ nante: un computo recente, ad esempio, fa rilevare che soltanto in campo botanico Plinio riunisce quasi cinquemila dati diversi. Uno degli aspetti più interessanti dell'opera di Plinio è legato più alla biogeografia ed all'ecologia - entrambe ante litteram, è ovvio - che alla tassonomia. Annotazioni sulla distribuzione geografica, sul clima e sulle condizioni di vita accompagnano la trattazione di numerosissime specie, così come un quantità di osservazioni sul comportamento è riferita a molti animali. Anche se le sue interpretazioni dell'influenza del clima sui carat­ teri dei viventi, e sulle caratteristiche razziali degli umani (che in alcuni casi sembrano sfociare nella geopolitica), appaiono oggi abbastanza cervelloti­ che. Molti dei dati che riferisce sono recepiti in modo acritico e risultano alquanto fantastici. Sembra tuttavia eccessivo il disprezzo con cui menti anche acute dei tempi moderni trattarono l'opera di Plinio: valga per tutti l'esempio del grande naturalista francese 1. H. Fabre, padre dell' etologia degli Insetti, che scrive: "In mezzo a tutte queste insanie, preludi della medicina, figura il follone. Tertium qui vocatur fullo, albis guttis, dissectum ubique lacerto adalligant. Per combattere le febbri, bisogna dividere in due lo scarabeo follone, applicarne una metà sul braccio destro e l'altra sul sinistro". E commenta: "Chiudiamo il libro, spaventati dal pantano di sciocchezze da cui ci è venuta l'arte di guarire". Va riconosciuto a Plinio, pur con i suoi limiti, il merito del grande compilatore, del cultore dello studio del vivente inserito nel suo spazio e nel quadro delle sue interazioni. Molto tempo dopo un atteggiamento non così diverso assumerà Buffon, che

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Capitolo 4

come Plinio poco badava alla sistematica e molto all"'histoire naturelle", e che come Plinio tentò di associare, in un' ottica non soltanto contingente, gli organismi alle fasce climatiche della Terra (che già si configurano netta­ mente nella Naturalis historia). Dal punto di vista tassonomico, come si è accennato, l'opera di Plinio è del tutto carente: l'ordine in cui egli dispone gli organismi è quello che l'autore ritiene più utile per il lettore che la consulta. Così ad esempio, in molti gruppi animali le specie sono trattate in ordine di grandezza. D'altra parte, il fine del lavoro di Plinio non aveva nulla di speculativo: coerentemen­ te con il suo stato di cittadino romano, esponente di una civiltà fortemente pragmatista, la cui più alta espressione culturale era la legislazione, il diritto, egli produce un' enciclopedia, una sintesi della conoscenza organizzata in modo pratico, destinata alla diffusione molto più che alla discussione del sapere. E l'atteggiamento implicito di Plinio nei confronti della sistematica ebbe lunga vita nella letteratura scientifica, non soltanto medievale.

TASSONOMIA E SISTEMATICA NELLA CULTURA ELLENISTICA, LATINA E TARDOROMANA

l. Clava antennale di 3 articoli .................. ....... ...... ..................... ... ............ ....... ..... ....... . 2

- Clava antennale di 4 a 7 articoli .. .. ... .... ..... .... .......... .. ... .. .......... ..... ..................... ... ... 8

2. Antenne di lO articoli ................ ....... ...... ... .... .............. ... ...... ...... ..... .............. ............. 3

- Antenne di meno di \O articoli .. ..... .. .. .... .. .... .... .. .. ... .......... ...... ............ ......... ..... .. .... 7

3. Vertex con una forte carena trasversa, clava antennale subeguale .. .... .. ....... .... .... ... ... ..

nei due sessi .................... .... .... .. .......... .... .. ....... .. ...... .. .................. .. .. Haplidia Hope

- Vertex inerme, clava antennale nel maschio più lunga che .... .. ... .. ..... .... .................. .

nella femmina ......... .. .......................... .... .......... ............. .. ...... .. ..... ....... .. ..... .. ... ... ... 4

4 . Base del pronoto non ribordata ..... ........... ............ .. ...... .. .. .. ............... Miltotrogus Reitt

- Base del pronoto ribordata ............. ..... .................. ........ .. ....... ... ... ......... ...... .... .. .... ... 5

S. Specie alate. Tarsi brevi, supelficle dorsale delle metatibie ... .. .... .. ............... ............ .. .

per lo più spinosa ...... ....... ...... .... ...... .... ..... ... ........ .... ......... ... .... .. Rhizotrogus Berth

- Almeno la femmina attera. Tarsi allungati, superficie dorsale .. ......... ........ .. ....... ..... .

Poifirio Di origine fenicia, Malkhos (chiamato in seguito Basilio e quindi Por­ firio) nacque intorno al 232, probabilmente a Tiro, e si formò dapprima nell'Egitto ellenizzato, ad Alessandria, con il pensatore cristiano Origene che, come discuteremo più oltre, affermava un suo creazionismo su basi allo stesso tempo teologiche e filosofiche. Da Alessandria si spostò ad Atene dove studiò grammatica e retorica, per raggiungere Roma dopo il 260 ed entrare nella scuola neoplatonica di Plotino (204-270). Alla guida di tale scuola egli succedette allo stesso Plotino, dopo un soggiorno in Sicilia ed un breve viaggio in Africa, morendo quindi, probabilmente ancora a Roma, attorno al 305. Pensatore di grande cultura e assai fecondo, autore di oltre settanta opere, nonostante i suoi inizi fu un radicale oppositore del cristianesimo, tanto che scrisse un libro intitolato Contro i cristiani (che alcuni decenni dopo, cambiata la situazione, fu condannata al rogo e di cui conosciamo quindi poco più del titolo). La sua opera forse più nota, e certamente la più importante per quanto riguarda l'argomento che ci occupa, è una Introdu­ zione (Isagoghé) alle Categorie di Aristotele, scritta in greco durante il periodo siciliano. Commentando il pensiero di Aristotele, Porfirio discute i concetti di ghénos e éidos, e come sottolineano autori recenti, è esplicito nell' affermare che la differenza fra tali categorie consiste soprattutto nel fatto che il ghénos contiene le sue éide, ma queste non contengono il proprio ghénos. Egli rileva altresì che si tratta di categorie con carattere

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delle metatibie liscia .. ... ... ..... .... .. ...... ............ .. .... .. ....... .................... ... ... .. .... .. ........ 6

6. Maschi alati, callo omerale evidente. Femmine attere, ma con ........ .......... .. .. .......... .. ..

callo omerale evidente. Primo articolo dei . metatarsi breve .... ... ................. ........... .

in entrambi i sessi .. ..... ......... ... .... ........ .. ... ........... ..... ...... ... . Pseudoapterogyna Esc.

- Entrambi i sessi atteri, callo omerale assente. Primo ............... .... ... ... ... .................... .

articolo dei metatarsi allungato .. ... ..... ... ...... .. ........ ....... ..... .... .... ... Geotrogus Guér.

7. Antenne di 9 articoli ............ ... ... ...... .. ..... ... ........ ............. .... .. ...... . Amphùnallon Berth.

- Antenne di 7, a volte 8 articoli ..... .... ....... .. .................. ............ .. ........ Monotropus El'.

8. Protibia nel maschio priva di sperone apicale, clava antennale ..... .. ...... .. ............ .. ...... .

di 5 articoli nel maschio, 6 nella femmina .. ... .................. .............. ... Anox;a Cast.

- Protibia nel maschio con sperone apicale, clava antennale di ... .... ..... .... .................. .

7 articoli nel maschio, 5 o 6 nella femmina ..... ...... ........... ... ... .. ... .. .. ...... ... ... ...... .. . 9

9. Sterniti con un ciuffo laterale di peli bianchi, clava antennale ..... .... .. .... ... ....... .... ..... ...

della femmina di 6 articoli .. .. .. ........... ....... .................. ... ............ .... .. Melolontha F.

- Sterniti senza ciuffi di peli bianchi, clava antennale della femmina ...... ................. ..

di 5 articoli .......... ....... ..... ............. ... .. .. .. ...... ..... ... .. .... ... ..... .. .... ....... Polyphylla Har.

Fig. 4.1. Chiave per l'identificazione dei generi di Melolonthini (Coleotteri Scarabaeoidea) della fauna dell ' Europa occidentale (modificata da Baraud, 1977). Si noti come, nell' ambito sistematico e geografico analizzato, l'intera composizione del gruppo è rip0l1ata, e ogni taxon terminale (qui di rango genere) è identificato.

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Capitolo 4

relativo: un ghénos, definito dalla sua "essenza", è tale per le éide che nel suo ambito si definiscono tramite "differenze specifiche", ma è a sua volta éidos se viene considerato nell'ambito di un ghénos di rango superiore. Tali considerazioni lo portano a ridefinire i concetti di ghénos sommo e di éidos ultima, rispettivamente come ghénos che, in un ambito dato, non è a sua volta éidos di un ghénos di rango superiore, e come éidos che non è a sua volta ghénos, non ammettendo éide subordinate. In altre parole, il ghénos sommo ha soltanto relazioni con categorie subordinate, l' éidos ultima ha relazioni soltanto con categorie di rango superiore: al di sotto di essa, infatti, esistono soltanto singoli oggetti, o individui, e non categorie. La serie che si interpone fra tali estremi è formata da categorie che sono ghénoi e éide, a seconda del potere di risoluzione della nostra analisi, o dell' obiettivo che ci siamo proposti. È stato sostenuto che l'approccio di Porfirio può essere considerato l'antenato delle chiavi di identificazione ancor oggi di uso corrente in sistematica. In realtà, riteniamo che tale affermazione sia poco corretta. Infatti, se esaminiamo una qualunque chiave diagnostica, zoologica o botanica (cfr. fig. 4.1), rileviamo che il suo campo di applicazione compren­ te tutte le entità subordinate del taxon a cui si riferisce e sino al livello di risoluzione che si prefigge. Se trascriviamo in modo omogeneo un esempio della tecnica di suddivisione, tratto dall'opera stessa di Porfirio (fig. 4.2),

TASSONOMIA E SISTEMATICA NELLA CULTURA ELLENISTICA, LATINA E TARDOROMANA

notiamo che in realtà il procedimento, come già quello di Platone, non permette di classificare un intero universo, ma opera di volta in volta nell' ambito di un solo dei ghénoi-éide che riconosce. Lo schema di suddivisione logica cui abbiamo fatto riferimento ebbe un certo successo tra i filosofi logici medievali, che schematizzarono grafica­ mente lo stesso esempio sotto forma di albero, gli "alberi di Porfirio". È da notare che benché il procedimento logico sia discendente, l'immagine dell'albero (cfr. fig. 4.3) suggerisce in realtà un ordinamento ascendente, non in ordine di perfezione come queIio della scala degli esseri, ma in ordine di generalizzazione crescente.

l. Sostanza corporea ..... ...... ..... ....... .. .. ...... ................ ..... .... ...... .. ........... ...... .......... .......... 2 - Sostanza incorporea. 2. Corpo animato ..... ....... ..... ...... ..... ... ...... ............. ... .............. .... ........... .. ... '" ..... ....... ...... . 3 - Corpo inanimato. 3. Corpo animato sensibile ..... ... ... ....... ..... ........ ......... ........ .. .......... ... ................ .... .......... . 4 - Corpo animato insensibile. 4. Animale razionale ....... ... .... ... ......... ............. .. ... .......... .. .. ........... ........ ....... ...... ....... ...... 5 - Animale irrazionale. 5. Uomo (esempio: SOCl'ate, Platone)

I

Fig. 4.2. Il processo di suddivisione logica applicato da Porfirio al ghénos sommo "Sostanza", che porta all ' individuazione deJ\'éidos ultima "Uomo" (cui sono subordinate non ulteriori categorie, ma singoli individui, esemplificati da Socrate e Platone), organizzato come la chiave della figura precedente. Si noti come, a differenza delle attuali chiavi di determinazione, nel procedimento di Porfirio, ad ogni livello gerarchico una delle due alternative non soltanto è definita in negativo (mancanza del carattere), ma non permette di proseguire. Da ciò risulta che soltanto un percorso è permesso, e soltanto una parte dell'universo trattato (la "Sostanza") è identificata.

j .

l

I

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Fig. 4.3. Un "Albero di Porfirio", come riportato da Papavero e L10rente (1994; il tondo in basso a sinistra reca la dicitura "Sortes" per "Socrates").

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Capitolo 5

LA CULTURA ISLAMICA

L'affermazione della dottrina islamica,a partire dalla data convenzio­ nale del 622 d.C., l'anno dell'Egira, e l'unificazione della penisola araba sotto il governo del primo califfo, Abu Baia, segnarono l'inizio dell'espan­ sione musulmana e della formazione di un impero che in meno di cent' anni si sarebbe esteso dalla Persia alla Spagna. Alla conquista militare si accompagnò, come è noto, la formazione di una fiorente cultura, islamica dal punto di vista religioso, ma fondata soprat­ tutto sull'acquisizione e sull'integrazione del sapere classico, greco, elleni­ stico, ebraico e persiano, i cui testi furono presto tradotti e commentati da studiosi islamici arabi o arabizzati. L'arabo divenne così una lingua dotta di grande importanza e fu studiato anche in Occidente, quanto meno nei mona­ steri che per lunghi secoli furono in pratica l'unica sede della custodia e della trasmissione del sapere nel mondo cristiano. Ai traduttori islamici dobbiamo la conservazione di una parte del pensiero dell' antichità, per la quale le ver­ sioni arabe, non quelle originali, perdute, rappresentano le più remote fonti disponibili (anche se in genere furono molto presto tradotte in latino). È importante sottolineare, tuttavia, che la cultura islamica non fu pura compi­ lazione, al massimo commentata, ma dette contributi originali, anche alle scienze della natura. Di alcuni autori almeno è perciò necessario discutere.

al-Biruni (973-circa 1050) Abu al-Rayhan Muhammad al-Biruni, nato ai confini dell'impero, nel­ l'attuale Uzbekistan, fu, secondo il costume ancora radicato all'epoca, pensatore universale e studioso eclettico, filosofo, medico, geografo, astro­ nomo, e intrattenne rapporti con i principali sapienti contemporanei, tra cui A vicenna. Spedizioni militari musulmane gli fornirono le conoscenze e l'occasione per elaborare un grande trattato generale sull'India, in cui esprime fra l'altro alcune idee (in parte mutuate da intuizioni di autori

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precedenti) sorprendentemente moderne, che ne fanno per certi studiosi odierni un preconizzatore dell' evoluzionismo ottocentesco e di alcuni aspetti della biogeografia contemporanea. Egli sostiene infatti la crescita differen­ ziale degli esseri viventi e delle risorse disponibili (un concetto che sarà sviluppato da Malthus otto secoli più tardi), ne ricava la tendenza delle specie ad espandere il loro areale e ad occupare tutto lo. spazio loro disponibile, e dalle pratiche di selezione operate in agricoltura giunge alle soglie dal formulare il principio di selezione naturale. Da tutto ciò, comun­ que, non trasse alcuna conclusione di tipo evoluzionistico, ma anzi sostenne con ragionamenti matematici che le specie (qualunque cosa intendesse per specie) si conservano immutate attraverso il tempo.

Avicenna (980-1037) Abu Ali al-Husain ibn-Sina, conosciuto in occidente sin dal Medio Evo come Avicenna, anch'egli nato nell'attuale Uzbekistan, è noto soprattutto per la sua opera Al-qanun, il "Canone", un trattato di medicina nel senso più ampio del termine. Ottimo conoscitore di Aristotele, ma spirito profonda­ mente religioso e monoteista, Avicenna sostenne l'eternità e perfezione dell' opera del dio creatore, e di qui l'immutabilità delle specie, influenzan­ do decisamente molti pensatori successivi e lo stesso Tommaso d'Aquino. Secondo la letteratura corrente, che si rifà alle versioni latine del Canone, la sua interpretazione dell' origine dei fossili si baserebbe sull' idea già di Aristotele dell'azione nelle profondità della terra di una non meglio identificata "forza plastica", una "virtù pietrificante" che produrrebbe stra­ ne forme, alcune delle quali simili ad animali e piante o alle loro parti. Studiosi recenti tuttavia, basandosi su testi originali in arabo, contestano tale interpretazione e sostengono che Avicenna fosse convinto che i fossili siano autentici resti di viventi, su cui la "virtù pietrificante", in particolare delle acque di percolazione, avrebbe agito appunto mineralizzandoli, ma n­ tenendo ne l'aspetto esterno. Sta di fatto, comunque, che l'interpretazione dei fossili come appare nelle traduzioni latine di Avicenna fu quella che si diffuse in Occidente, sino a ben oltre il Medio Evo, dando origine ad espressioni come "lapides figurati" e "lusus naturae".

Averroè (1126-1198) Nato in al-Andalus, la Spagna musulmana, a Cordoba, Abu al-Walid Muhammad ibn-Rushd è ricordato in biologia soprattutto per il suo com-

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mento all'opera di Aristotele - spesso in polemica con le interpretazioni di Avicenna - presto tradotto in latino e diffuso in Occidente. Due aspetti dell' opera di questo autore, anch' egli dagli interessi enciclopedici, debbono essere sottolineati. In primo luogo, Averroè discute i passi di Aristotele dove questi sostiene che, come un blocco di marmo contiene già "in potenza" la statua che ne trarrà lo scultore, cosÌ la materia che formerà un embrione contiene già in potenza l'embrione stesso. Il pensatore islamico contesta quest' idea, sostenendo che il paragone non regge, e che sia l'embrione degli animali che il seme delle piante contengono già l'organismo adulto come tale, e non soltanto potenzialmente. Il dibattito sull' argomento riprese con forza molti secoli dopo, soprattutto quando furono enunciate le teorie preformiste, su cui discuteremo brevemente in un capitolo successivo. Per quanto concerne più direttamente la tassonomia, vale ricordare che A verroè sviluppa ulteriormente un concetto già presente in Aristotele, che tuttavia ancora oggi non è del tutto esplicito in certa letteratura sistematica: la non univocità di significato del termine éidos (che in linea di massima, e almeno ad un certo livello, corrisponde a "specie"), con cui si indica da un lato una classe di oggetti, circoscritta dalle proprie caratteristiche, dall'altro una categoria logica definita dalla sua subordinazione al ghénos (genere) cui appartiene.

Ellbochasùn (o Ububchasym) de Baldach (?-circa 1068) Abu'l Hasan al Muhtar ibn al-Hasan ibn Abdan ibn Sa'dun ibn Botlan , conosciuto sotto i nomi di cui sopra, nonché Ellucasim Elimittar, e altre traslitterazioni dall'arabo più o meno fantasiose, oggi indicato corrente­ mente come Ibn Botlan, fu uno dei più celebri rappresentanti della fiorente scuola medica islamica. Strettamente collegata alla botanica per ovvi mo­ tivi, la medicina araba prende le mosse dall'opera di Dioscoride (contem­ poraneo di Plinio il Vecchio), ma ne sviluppa in modo cospicuo idee e contenuti tramite gli apporti originali di un gran numero di studiosi. Dal punto di vista delle classificazioni, tali autori non apportano praticamente nulla alla tassonomia, stanti anche gli scopi eminentemente pratici delle loro opere; è notevole tuttavia l'incremento delle conoscenze di base che la botanica sistematica ricavò dai loro studi e dalle loro osservazioni effettuate anche in paesi relativamente lontani. Della vita di Ibn Botlan sappiamo pochissimo, se non che studiò a Baghdad (da cui, con un'evidente storpiatura, il "de Baldach"), che visitò gran parte del Medio Oriente, che si convertì al cristianesimo e che si spense ad Antiochia, in convento, con il nome di Giovanni. Notissima invece la sua

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Fig. 5.1. Una tavola del Theatrum sanitatis di Ububchasym de Baldach (= Taqwin es-~ihh~ di Ibn Botlan) tratta da un manoscritto medievale raffigurante un giovane castagno. SI noti la precisione dei particolari, foglie e frutti sia pendenti che al suolo, e del portamento generale della pianta.

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Fig. 5.2. Una pagina del De arte venandi cum avibus, tratta da una copia manoscritta francese. Le immagini che accompagnano il testo si caratterizzano per l'accuratezza dell'esecuzione e la fedeltà ai modelli naturali, evidenti anche nella cura delle proporzioni fra i soggetti nei diversi gruppi di figure .

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opera, Taqwin es-sihha (lett. "Tavole della salute"), tradotto in latino come Theatrum sanitatis e diffuso come manoscritto e poi come opera a stampa sino almeno al XVI secolo. La teoria medica di Ibn Botlan sugl i "umori" corporei, sul loro equilibrio e sulla necessità che il medico intervenga somministrando sostanze di natura opposta a quella dell' umore che con iI suo prevalere determina la malattia non ha in realtà nulla di nuovo nei confronti di quella di Dioscoride, Galeno ed altri, e la sua derivazione dalla teoria dei quattro elementi, ben presente in Aristotele (cfr. cap. 3) è palese. La sua influenza sul pensiero medico, e addirittura sul lessico popolare, fu comunque enorme: frasi come "sono di umore nero", "era di ottimo umore" e così via sono parte ancora oggi del linguaggio quotidiano. Il "Taccuino" di Ibn Botlan è però anche un eccellente esempio dell ' ac­ curatezza, per l'epoca, delle descrizioni delle piante citate e dell'apparato iconografico che le accompagnava, sia nelle versioni originali che nelle traduzioni latine (cfr. fig. 5.1) che circolavano in Europa. Benché i moti vi di tale accuratezza fossero molto lontani da quelli della sistematica pura, è evidente che tutto ciò contribuì in modo rilevante ad incrementare la conoscenza delle piante, e ad ispirare opere successive, prima fra tutte quella del grande botanico e medico rinascimentista Pierandrea Mattioli.

De arte venandi cum avibus Benché il più celebre trattato di falconeria della letteratura mondiale sia opera di un imperatore cristiano, Federico Il di Svevia, la cultura della Sicilia del XIV secolo in cui fu elaborato risentiva fortemente dell'eredità islamica e della presenza alla corte di Palermo di sapienti di tradizione musulmana, oltre che bizantina, ebraica e "latina" nel senso medievale della parola. Questo clima multiculturale fa sì che, a differenza dei bestiari medievali di cui faremo cenno nel capitolo successivo, il De arte venandi cum avibus sia un' opera del tutto laica e straordinariamente moderna. Nel libro di Federico Il è contenuta la prima descrizione accurata della corri­ spondenza delle ossa dell' ala degli uccelli con quelle dell' arto anteriore dei mammiferi, ma anche una ricca raccolta di notizie e dati su singoli animali, soprattutto mammiferi ed uccelli, che per qualche motivo possono avere attinenza con la caccia. L'apparato iconografico (cfr. fig. 5.2) che accompagna il testo - almeno nei manoscritti che sono pervenuti sino a noi _ non soltanto è qualitativamente superiore a quello che nonnalmente illustra i bestiari, ma soprattutto le raffigurazioni degli animali non hanno nulla di didascalico e tendono a raffigurare i diversi soggetti con la mas­ sima fedeltà.

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CapilO/O 5

IL CRISTIANESIMO E LE SCIENZE

SISTEMATICHE: DALLE ORIGINI AL MEDIO EVO

Le origini del creazionismo La diffusione del cristianesimo, e la tendenza del pensiero cristiano ad interpretare l'intera realtà alla luce della teologia, già sensibile ancor prima dell' editto di Costantino (312), posero rilevanti ipoteche sulle scienze naturali, ed anche sulla tassonomia. È necessario quindi che ci occupiamo brevemente di alcuni aspetti del dibattito teologico che si sviluppò tra il Il e il IV secolo della nostra era. In particolare, è interessante ricordare la disputa che oppose il traducianismo al creazionismo, e che coinvolse fra gli altri Tertulliano, Origene e quindi S. Agostino, Il traducianismo, che sembra derivare da più antiche concezioni precri­ stiane, era la dottrina che affermava che l'anima viene trasmessa come una sorta di germe attraverso lo sperma dell'uomo, e viene affidata all'utero della donna. Così almeno sosteneva Tertulliano nel Il secolo nel De Anima (dando prova di un maschilismo alquanto duro a morire, anche nei secoli seguenti). Il traducianismo conobbe un periodo di fortuna, in quanto per­ metteva agevolmente di affermare l'ereditarietà del peccato originale e le modalità della sua trasmissione attraverso le generazioni (non sappiamo peraltro come i dotti teologi dell'epoca risolvessero il problema dell'anima dei figli concepiti da uomini battezzati, e quindi mondati appunto dal peccato originale). AI traducianismo si contrapponeva il creazionismo, sviluppato da Ori­ gene (185-255), nell' opera Peri arkh6n (dei principi). Secondo Origene, Dio, essendo perfezione assoluta, è eterno, eternamente perfetto e non perfettibile; ma essendo signore dell'universo, stante la premessa anche l'universo deve essere eterno e immutabile. D'altra parte, la Bibbia espli­ citamente dice che in principio Dio creò i cieli, la terra, l'acqua, la luce e poi l'erba e tutte le altre creature. Allora il creato ha avuto un' origine nel tempo, e soltanto da quel momento Dio è divenuto anche signore dell'uni­ verso. Il che implicherebbe una perfettibilità che contrasta nettamente con

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la premessa. La soluzione che Origene propone è quella dell'eternità del creatore e dell'universo da lui creato, ma la ciclicità di quest'ultimo, che si esprimerebbe ab aeterno (e ad aetemum) i~ una serie di mondi finiti, se non nello spazio, almeno nel tempo. Se è palese in quest'idea di Ori gene l'eredità di molti pensatori della grecia classica e laica, è altrettanto palese l'influenza di quei miti cosmogonici ciclici che la cultura umana ha sempre prodotto, da quello greco preclassico dell' "età dell' oro", a quelli del brama­ nesimo dell'India o della mitologia azteca del Messico. Una delle voci più ascoltate del cristianesimo dei primi secoli, S. Agostino, (Tagaste presso Ippona, attualmente Bòne in Tunisia, 354 - ibid., 430), che dopo alterne vicende personali aveva assorbito a Milano il neoplatonismo e si era convertito poi al cristianesimo, sostenne come è noto la compatibilità della filosofia platonica con il cristianesimo nel De civitate Dei. In quest' ottica afferma fra l'altro che le specie erano tutte presenti dall'eternità, almeno nel pensiero del creatore, ma era possibile che non fossero comparse tutte allo stesso tempo. La creazione per Agostino non è eterna in essere, come per Origene, ma in potenza, nelle intenzioni del creatore che assomigliano tanto alle idee di Platone, e il momento stesso della creazione era dall' eternità nella mente di Dio. Al di là degli aspetti strettamente teologici, ma tenendo conto della pervasività che la dottrina religiosa stava manifestando, e manifesterà in modo sempre più netto e spesso soffocante, su tutti gli aspetti del pensiero, risulta comprensibile che il graduale affermarsi del creazionismo fu all' ori­ gine di una stasi nel pensiero biologico che avrà conseguenze di grande peso anche sulla tassonomia. Il creazionismo infatti, escludendo la possibi­ lità di relazioni genealogiche fra specie diverse, impedisce lo sviluppo di qualunque ipotesi filogenetica e rende lecito ogni sistema di classificazione sopraspecifica, purché logico e rigoroso. Benché la storia non si faccia con i "se", non è assurdo supporre che il traducianesimo, una dottrina obiettivamente più possibilista, privilegiando la trasmissione per così dire "verticale", attraverso generazioni successive, avendo cioè implicazioni di tipo genealogico, avrebbe forse opposto una minore resistenza all'idea che relazioni genealogiche non esistano soltanto a livello intraspecifico, ma anche interspecifico. Nei fatti, comunque, il traducianesimo ebbe un credito sempre minore, fino al suo definitivo e ufficiale rifiuto ad opera di S. Tommaso d'Aquino (1225-1274). Questi, nella Summa contra gentiles, riafferma con tutto il peso della sua autorevolezza il rapporto di dipendenza della scienza nei confronti della teologia, e analizzando puntualmente il Genesi, anche alla luce dell' aristotelismo, codifica e rende quasi un dogma la creazione e l'immutabilità dei viventi.

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L'interpretazione del Genesi che vede la creazione come atto unico e compiuto, che produce tutte le specie viventi in un 'unica soluzione, asso­ ciata all'idea della perfezione del creatore e quindi della sua opera, porta così al creazionismo fissista. Qualunque possibile idea sia di filogenesi, che di evoluzione, diventa così inconcepibile. In realtà però in ambito scienti­ fico il problema fu affrontato in modo esplicito soltanto a partire dal XVII secolo (cfr. cap. 8).

I bestiari medievali I cosiddetti "bestiari", scritti in latino medievale o in volgare, a volte in rima o in prosa ritmica, sono raccolte di brevi testi su animali diversi, reali o fantastici, a carattere simbolico, mistico o moraleggiante. La loro origine affonda le radici nelle favole di Esopo e di Fedro, e in quella tendenza, che era comparsa nel mondo cristiano sin dalle sue origini, a rileggere la storia naturale alla luce delle sacre scritture e della dottrina religiosa; anche a rischio di deformare l'informazione disponibile. In questa tradizione si inseriva il Physiologus, un' opera anonima da cui i catechisti dei primi secoli attingevano aneddoti su animali, e a volte anche su piante e rocce, con intenti didascalici ma spesso anche chiaramente apologetici. Nelle diverse versioni del Physiologus troviamo di tutto, dal castoro inseguito dai cacciatori che recide i propri testicoli e li abbandona lungo il cammino, alla volpe, animale astuto per eccellenza sin dalle favole greche, che simboleggia le male arti del demonio, a esseri fantastici come la fenice o l'unicorno. Anche le compila­ zioni del sapere naturalistico pagano, chiosate in chiave cristiana, come quelle, ad esempio, di Isidoro di Siviglia (570-631), non furono estranee al processo di formazione dei bestiari, soprattutto di quell' atteggiamento di ricerca di legami mistici (o esoterici) tra la natura e il mondo spirituale. Nel solco di questa tradizione, i bestiari medievali sono quanto di più lontano possiamo immaginare da un trattato di zoologia: ciò che vi prevale è l'aneddotica, l'uso simbolico di notizie, non importa se e quanto vere o verosimili, su animali esistenti o fantastici, da cui trarre lezioni morali o la glorificazione della divinità. Non è inutile notare che allo scarso interesse per la precisione delle notizie si accompagna anche un interesse altrettanto scarso per la corrispondenza fra l'oggetto e l'immagine che lo illustra (cfr. fig. 6.1), frutto spesso dell' opera di bravi "illuminatori", che tuttavia non disponevano che di una cognizione vaga e non certo di prima mano degli oggetti che dipingevano. Una chiave di lettura ancora legata al primato della teologia e delle sacre scritture può forse contribuire a spiegare come le immagini di animali che ornano testi di ben più alto significato, le Bibbie

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Caoitolo 6

IL CRISTIANESIMO E LE SCIENZ E SISTEMATICHE: DALLE ORI(;I NI .\ 1 ;\)I))I() EVO

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Fig. 6.2. "Marginule" di una Bibbia manoscritta medievale . l due cerbiatti delle immugini laterali sono resi con grande naturalismo, anche per quanto riguarda le loro posture. ~

manoscritte del tardo Medio Evo (cfr. fig. 6.2), siano decisamente plll accurate di quelle dei bestiari. Ben diversi intenti ispirarono gli illustratori del De arte venandi cum avibus di Federico II (vedi cap. 5), a cui dobbiamo peraltro immagini di animali altrettanto eleganti e precise.

Gli erbari

Fig. 6.1. Immagini di elefanti da un bestiario manoscritto del XIII secolo . Si noti la scarsissima cura con cui l'animale è raffigurato, evidente sia in molti particolari (apice della proboscide, orecchie, zampe) sia nella postura e addirittura nelle proporzioni.

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In termini generali, i testi medievali di contenuto botanico, siano essi opere relativamente originali, ancorché ampiamente compilative, o tradu­ zioni più o meno commentate di testi classici, nascono spesso in ambito conventuale, come complemento dei "giardini dei semplici" (le piante officinali). Opere come l' Hortus sanitatis di Magonza, per citarne una sola, forse la più famosa, appaiono alquanto più accurate dei bestiari, sia per quanto riguarda la trattazione delle singole piante, sia per l'iconografia. Tutto ciò è facilmente comprensibile, se si tiene conto che non si tratta mai di testi di sistematica, ma di opere a carattere medico o farmacologico . E benché il clima culturale dell' epoca pri vilegiasse, almeno ufficialmente, gli aspetti legati alla spiritualità e alla vita ultraterrena - da cui l'uso apologe­ tico dei bestiari - al saper distinguere il prezzemolo dalla cicuta non era negata una certa importanza. Ciononostante, non erano infrequenti le rap­ presentazioni alquanto fantasiose, soprattutto per quelle piante, come la

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IL CRISTIANESIMO E LE SCIENZE SISTEM ATICHE: DALLE ORIGINI AL MEDIO EVO

Capitolo 6

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Fig. 6.3. La mandragora nella raffigurazione di un erbario manoscritto quattrocentesco. Le credenze sui poteri magici di tale pianta hanno pesantemente influenzato la mano dell' il­ lustratore.

mandragora (fig. 6.3) cui si attribuivano virtù non soltanto medicinali. La sequenza delle trattazioni delle singole piante non era organizzata secondo criteri di sistematica, ma in funzione della comodità di consultazione da parte del medico o dell' erborista.

portanti posizioni in varie istituzioni culturali dell'ordine, fra cui lo Stu­ dium generale di Colonia; fra i suoi allievi ebbe anche Tommaso d'Aqui­ no, di cui abbiamo già fatto cenno. Dichiarato santo nel 1931, la Chiesa cattolica ne riconobbe anche i meriti scientifici nominandolo più tardi protettore dei naturalisti. La sua vastissima opera, massima espressione dell' enciclopedismo duecentesco, attinge dichiaratamente al pensiero di Aristotele, anche attraverso il "filtro" dei commentatori islamici, di poco precedenti, e lo chiosa ampiamente. Non è inutile notare che all'epoca Aristotele, o almeno l'aristotelismo nelle sue versioni medievali, non era molto ben visto dalle gerarchie ecclesiastiche. Nonostante ciò, il domeni­ cano che in seguito ebbe il soprannome di Doctor universalis per la vastità delle sue conoscenze, che abbracciano in pratica tutti i campi dello scibile dell'epoca, non soltanto si rifà dichiaratamente ad Aristotele, ma ne fa proprio quello spirito critico nei confronti delle fonti di informazione, di cui buona parte della letteratura naturalistica medievale faceva allegra­ mente a meno. Allo stesso modo, rivaluta l'osservazione diretta e la pra­ tica con costanza, giungendo sino ad effettuare dissezioni anatomiche (ovviamente, non dell'uomo), e addirittura qualche osservazione rudimen­ talmente sperimentale. In quest'ottica, egli critica anche una parte almeno delle più assurde credenze riportate dai bestiari, come quella sui castori che abbiamo riferito. La rivalutazione del, pensiero classico influisce anche sugli aspetti sistematici, con la ripresa, ancora una volta critica, della classificazione aristotelica, che per secoli, sulle orme di Plinio, l'occidente aveva trascurato a vantaggio di un'organizzazione esclusivamente pratica delle opere di contenuto zoologico e botanico. Se il pensiero di Alberto Magno influenzò profondamente, come si è detto, Tommaso d'Aquino e la dottrina della Chiesa, non altrettanto suc­ cesse per le sue opere naturalistiche migliori. Per molto tempo infatti ebbero grande diffusione, più o meno rimaneggiati, quei testi di alchimia in cui più si risente di influenze neoplatoniche ed esoteriche: i cosiddetti "Grande Alberto" e "Piccolo Alberto", un compendio molto inquinato, a cui si alluse per secoli come "il libro", ossia, il libro da cui maghi e streghe traevano il loro potere.

Alberto Magno Un'importante eccezione nel panorama naturalistico medievale, per molti aspetti piuttosto squallido, è rappresentata da Alberto da Bollstadt (circa 1200-1280). Frate domenicano, di vastissima cultura, occupò im­

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Capitolo 7 TASSONOMIA E SISTEMATICA

NEL RINASCIMENTO

Il tardo Medio Evo può essere considerato in realtà un' epoca di tran­ sizione, in cui le condizioni materiali e culturali dell'Europa, pur con differenze anche sensibili tra le diverse realtà nazionali, si vanno deline­ ando nel senso che sarà proprio del Rinascimento che si fa iniziare, con­ venzionalmente, con la caduta di Bisanzio e la fine dell'Impero Romano d'Oriente nel 1453. Il Rinascimento è caratterizzato dal grande incremento delle classi mercantili e artigianali e dall' aumento della loro agiatezza anche a seguito dello sviluppo tecnologico iniziato nel basso Medio Evo; l'aristocrazia stessa, direttamente o indirettamente, trae'grandi vantaggi da tale situazio­ ne. Le cause di tutto ciò sono molteplici, e vanno da una relativa stabilità politica e di confini, al flusso di ricchezze che arrivava in Europa come conseguenza della scoperta, conquista e spoliazione delle Americhe, Una società ricca, dove l'ascesa sociale di mercanti e artigiani aveva minato a fondo la tradizionale contrapposizione tra il sapere puro, appan­ naggio di pochi spiriti eletti, e il sapere tecnico sdegnosamente delegato a classi subalterne, rappresentava un fertile terreno per una rapida e radicale trasformazione della cultura. Alcuni eventi di grande portata contribuirono ad accelerare il fenomeno, L'esodo verso occidente dell' intellighentsia bizantina che fuggiva dai turchi portò soprattutto in Italia pensatori e idee che si erano sviluppate in un contesto nettamente diverso e per certi aspetti più fertile. La potenza ottomana nel Mediterraneo orientale, limitando drasticamente le vie tradizionali del commercio, favorÌ indirettamente viag­ gi come quelli di Bartolomeo Diaz, di Vasco da Gama, e soprattutto di Cristoforo Colombo. La conoscenza di nuove terre fu anche all' origine di un incremento esponenziale delle conoscenze naturalisti che, sia tramite le relazioni di viaggiatori e missionari, sia per la grande quantità di piante e animali che essi riportavano in patria. L'interesse per la cultura subisce un rapido incremento; al tempo stes­ so le sue possibilità di diffusione crescono quasi istantaneamente quando,

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Capitolo 7

con l'invenzione della stampa a caratteri mobili, la riproduzione dei libri passa dalla penna d'oca dell' amanuense al lavoro in serie della macchina. Non si può trascurare l'impatto della stampa sulla diffusione, e sulla stessa produzione della cultura, e soprattutto la rapidità con cui questo avvenne: basti pensare che dopo un quarto di secolo dall' edizione della Bibbia di Gutenberg (circa 1455), il primo libro stampato in Occidente, e il primo in assoluto con una macchina a caratteri mobili, esistevano stam­ perie in non meno di 110 città europee che producevano libri con una tiratura di oltre cento copie. Secondo stime recenti, dopo un altro quarto di secolo erano stati stampati e distribuiti in Europa non meno di 35000 libri, il che fa, ad un calcolo prudenziale, non meno di 15-20 milioni di esemplari. Soltanto oggi, al volgere del secondo millennio, con l'affer­ marsi della telematica, stiamo assistendo ad una rivoluzione nella circola­ zione dell' informazione paragonabile a quella che si verificò a cavallo dei secoli XV e XVI. L'intensa attività scientifica del Rinascimento, e il clima di rinnova­ mento culturale, di messa in discussione dell'autorità dei classici, assie­ me all'accumularsi di nuove e impreviste conoscenze provenienti da paesi sempre più esotici, ebbe importanti riflessi anche sulle scienze sistema­ tiche, sia in botanica che in zoologia. Benché la separazione dei campi di attività di queste due scienze non si fosse ancora definita, e le ten­ denze enciclopediche dominassero ancora fra gli uomini di cultura, al­ l'incremento della massa di dati corrispose l'inizio di quel processo che porterà nei secoli successivi all'individuazione di un grande numero di discipline naturalistiche diverse, e spesso sempre più divergenti per interessi e approcci.

Pierandrea Mattioli (1501-1577) L'opera botanica del medico senese Pierandrea Mattioli è ancora, al­ meno formalmente, un'edizione commentata di Dioscoride, ma la tratta­ zione delle piante è incomparabilmente più accurata e naturalistica di quelle degli erbari dei secoli precedenti. Il Mattioli non solo si avvale il più possibile di minuziose osservazioni personali, sia per redigere i testi, che per far realizzare l'iconografia che li correda, ma mantiene una cor­ rispondenza scientifica con colleghi di altre regioni da cui riceve notizie ed esemplari conservati. È l'epoca, vale notarlo, in cui inizia a diffondersi la pratica di formare erbari di exsiccata, e ai giardini dei semplici dei monasteri si affiancano i primi orti universitari (il primo Orto Botanico fu fondato a Pisa nel 1543).

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TASSONOMIA E SISTEMATICA NEL RINASCIMENTO

La sistematica sopraspecifica di Mattioli e di buona parte dei botanici rinascimentisti segue ancora la tradizione di Teofrasto (cfr. cap. 4) e le necessità pratiche della medicina e della farmacologia.

Andrea Cesalpino (circa 1520-1603) Un rinnovamento dell'impostazione tassonomica in vigore nella botani­ ca dell'epoca si deve al Cesalpino. Questi, nell'opera De plantis libri XVI, più volte ristampata, si lascia andare a teorizzazioni piuttosto discutibili intorno alla sede dell' "anima vegetati va" delle piante, che situa al colletto, dopo aver lungamente discusso e appoggiato l'idea - che mutua dalla Grecia classica - che le piante siano animali "sottosopra", con il capo (l' apparato radicale) infisso nel suolo. In contrasto con le opinioni di Teofrasto ancora in voga sostiene correttamente che frutti e semi sono veri organi riproduttivi, e che le loro caratteristiche, così come quelle degli "organi della nutrizione", le radici, attenendo a strutture che svolgono funzioni essenziali per la vita della pianta, debbono essere tenute nella massima considerazione dal sistematico. Le sue diagnosi delle singole specie (fig. 7.1) sono assai accurate, e non è privo di significato che i riferimenti alle opere tradizionali, quando sono riportati, lo siano in genere come semplici notazioni storiche. Il principio dell'autorità dei classici vacilla. Lo schema generale della sistematica botanica che Cesalpino propone è, almeno nelle intenzioni, del tutto diverso da quelli in uso sino al suo tempo, di cui critica l'utilitarismo antropocentrico, sostenendo la necessità di sostituirli con l'analisi delle somiglianze mOlfologiche. Allo stesso tempo, sviluppa un tentativo coerente di rifondare la tassonomia sul metodo della divisione logica. Ed è forse per questo motivo che il suofundamentum divisionis non porta ai quattro grandi raggruppamenti di Teofrasto, ma a separare in prima istanza le "piante legnose" da quelle "erbacee e suffruti­ cose". È da sottolineare che il recupero che Cesalpino effettua della dieresi aristotelica si manterrà a lungo, come tendenza, nella tassonomia biologica, culminando nell' opera di Linneo. Accurate analisi recenti degli aspetti metodologici della sistematica di Cesalpino mettono in evidenza come egli rifugga, tutte le volte che gli è possibile, dall'utilizzare in positivo l'assenza di un carattere (un problema che era già presente in Aristotele). Al di là dei risultati ottenuti - peraltro assai pregevoli, anche se da più parti accusati di essere viziati da pregiudizi di ordine "mnemotecnico" - va rilevato che il Cesalpino fu il primo, dopo molti secoli, a porsi esplicitamen­ te il problema di un approccio teorico, e non semplicemente empirico e pratico, alla sistematica dei vegetali.

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TASSONOMIA E SISTEMATICA NEL RINASCIMENTO

Capitolo 7

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male, sulla forma del becco (una caratteristica che molto più tardi ispirò a Darwin più profonde riflessioni) e delle zampe, nonché per aver incluso i delfini fra i pesci (mentre già Aristotele li collocava tra i Cetae), pur avendone studiato e correttamente interpretato!' anatomia. La grande noto­ rietà di cui gode è soprattutto legata al suo lavoro di precursore dell' anato­ mia comparata, e alla celebre tavola (fig. 7.2) che illustra le sue corrette interpretazioni delle corrispondenze fra le ossa del!' ala degli uccelli e quelle del braccio umano e dell'arto anteriore dei quadrupedi. Non si tratta però di una scoperta del tutto originale, in quanto già presente nel De arte venandi CU111 avibus (cfr. cap. 5).

Konrad Gesner, in seguito von Gesner (1516-1565) I

Svizzero di cultura tedesca, Gesner fu medico, filosofo e docente di "Fisica" - ossia di scienze naturali. Gran poliglotta, di enorme erudizione

C A P. X L. R ACHtD1U C~géDttccll.OrobaDçhc:S. pliit:\apud nos in opa cis nafcilUr, tcoCD:lma, {itccp[a, 9dorefuogl, gu!l.lli grata: ab eadem radIce, qna:ill profundum agilUr,nnmero/i veluri call1i­ culi ClI:Cam, c~ ... didi, iotta t<=rranf;Jad.lantc~.. quibus loco foliorDrn fre­ quentia in(unl JrpOta.fllngo[a, candida, vC"luti fquamz prn:cl'aiT", (pc­ de quodarnodo Iadicis Diél:ari:e jideo (unt, qui Upn'la~ia.m A phylion appellcut : ìidem CQllliculi, cum IClfa crupcrìnr~p\"'id,ébs fqllamis ca­ rent, fiDduoturq; in ramlllos.-bmilc,{)robanche iEoribus mulus, pur­ pllrcis, aut candlcanubus : kuél:os ferl blcutS;, in quib'lls remina candi­ da,lol1ida, io duobus vafcati Ialoribus Ccdcntia, ceqllitur in cib~ s,dum ten~ra ell-, more ACparagi,aut fungoram; cum cxarcfcir, dora rcdditur, aC nigrc(cir . io Gallia Ci (alpina vulgò Carpignam vocant. dalllr pu1uis in pOlli ad aff~él:us matricis,& colicos.Th~opbr~allS duasoilendir.Ara chidnam,& qllod Araco limilcell: amb~ iDqUÌ! fruél:om felllnl fllh [et ram,

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Fig. 7.1. Una pagina del De plan/is di Cesalpino, tratta dall'edizione fiorentin~ del 1633. S~ noti come l'autore, pur riferendo le proprietà alimentari delle piante che descnve, le releghI al rango di note marginali, o addirittura le attribuisca senza commenti a Teofrasto e a Plinio.

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Pierre Belon (1517-1564)

N aturalista eclettico e notevole viaggiatore, il Belon non dovrebbe essere ricordato in campo sistematico se non per aver proposto, nell' opera Histoire de la nature des Oyseaux avec leur description et naif portraicts retirés au naturel, una classificazione degli uccelli basata, nel bene e nel

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Fig. 7.2. La celebre tavola dell' HislOire de la na/ure des Oyseaux (1555) in cui Belon illustra le corrispondenze, indicate da lettere uguali, delle ossa degli uccelli con quelle dell'uomo .

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 7

e dotato di un' incredibile capacità di lavoro, si proponeva di redigere una summa dello scibile umano, che non gli riuscì di portare a termine anche perché la peste ne interruppe l'attività a soli quarantanove anni. La sua produzione, che gli valse il soprannome di "Plinio di Germania", era in larga misura compilativa, benché fosse integrata da osservazioni personali, e seguiva una tradizione enciclopedica ancora di tipo medievale. La sua opera zoologica, Historia anùna!ium (1551-1587), in parte pubblicata postuma, è organizzata secondo uno schema sistematico aristote­ lico non troppo modificato (quadrupedi vivipari, quadrupedi ovipari e così via), ma all' interno di ciascun grande gruppo le specie sono distribuite in ordine alfabetico, secondo una tradizione ancora una volta medievale, che non lo soddisfaceva dal punto di vista scientifico, ma a cui non seppe sostituire alcuno schema alternativo. Per i fossili invece - che considerava in parte veri residui di organismi viventi, in parte effetto di quella ricorrente "vis plastica" che di tanto in tanto ricompare nella letteratura naturalistica ­ escogitò un sistema che li classificava, in una con minerali e rocce, secondo la loro forma geometrica e la classe di oggetti a cui più somigliavano. A livello specifico, le descrizioni zoologiche di Gesner sono pregevoli, ed egli pose una cura particolare nel seguire l'opera degli illustratori che lavoravano per lui. A parte alcune tavole eccezionali, come quella, celeber­ rima, del rinoceronte che si deve al Di.irer, le raffigurazioni di animali che accompagnano l'opera di Gesner si distinguono sempre per l'estrema pre­ cisione, con la quale l'autore intendeva ridurre al minimo il rischio di ambiguità, così frequente nelle opere sistematiche dell' epoca (e in molte posteriori!). Altrettanto ricche di particolari (cfr. fig. 7.3) sono le figure degli esseri marini mostruosi che descrive. Una grande quantità di scritti di Gesner rimasero inediti, alcuni per lungo tempo. Fra questi, quelli di botanica pubblicati tra il 1751 e il 1771 da Schimiedel sotto il titolo di Conradi Gesneri opera botanica meritano particolare attenzione. Infatti, vi si ritrova un approccio sistematico gerar­ chico molto simile a quello che sarà poi codificato da Linneo, fondato sulle strutture di frutti, semi e fiori. Tuttavia, non è certo che sia del tutto originale, e non abbia invece subito interpolazioni prima della sua pubbli­ cazIOne.

TASSONOMIA E SISTEMATICA NEL RINASCIMENTO

Fig. 7.3. Alcuni dei "mostri" di Gesner, da una traduzione tede­ sca pubblicata a Zurigo con il ti­ tolo di Fisch buch nel 1563.

Ulisse Aldrovandi (1522-1605) Altro spirito enciclopedico, più inquieto del Gesner, tanto da avere qualche guaio con la Santa Inquisizione, il bolognese Ulisse Aldrovandi riunì nella sua città natale una biblioteca e un complesso di collezioni

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Capitolo 7

TASSONOMIA E SISTEMATICA NEL RINASCIMENTO

CAPSICVM

Fig. 7.4. Una figura dalla prima edizione del De piscibus di Aldrovandi (Bologna, 1638). Si noti la denominazione: "Turdus ab authore observatus primus" (cui seguono un secondo, un terzo e un qUatto).

naturalistiche impressionanti. La sua opera zoologica vide la luce solo in parte durante la vita dell'autore (i tre volumi di ornitologia e i sette dedicati agli insetti, un tema sino ad allora assai trascurato), mentre numerosi tomi furono pubblicati postumi. L'organizzazione sistematica è essenzialmente pragmatica, e i contributi di Aldrovandi alla tassonomia, e persino alla nomenclatura, furono alquanto scarsi: non è infrequente il caso di specie diverse che nomenclatorialmente vengono distinte soltanto con una nume­ razione. A livello di singole specie però le notizie che riferisce sono in genere accurate e attendibili (mostri a parte): ad esempio, molto di ciò che sappiamo oggi sull'uro (Ros primigenius), estintosi proprio a quell' epoca, lo dobbiamo al naturalista bolognese. Anche l' iconografia (fig. 7.4) è di alta qualità e notevolmente informativa.

Charles de Lescluse, o Carolus Clusius (1526-1609)

Il botanico Clusius fu noto soprattutto per aver introdotto in Olanda la patata, e per aver coltivato nel giardino botanico di Leiden i primi tulipani . Il secondo evento cambiò la storia dell'Olanda, il primo quella dell'Europa. Fra gli scritti è particolarmente importante Exoticorum libri decem, un' ope­ ra di traduzione e compilazione riccamente illustrata (cfr. fig . 7.5) che contribuì non poco alla diffusione delle conoscenze su piante e animali esotici, soprattutto americani.

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Fig. 7.5: Il peperone come raffigurato nell' Exoticorum libri di Clusio (Anversa, 1605). Questa IllustrazIOne accompagna un testo tradotto dall'originale spagnolo di Nicolas Monardes, che all'epoca aveva riunito a Siviglia un'importante collezione naturalisti ca dedicata ali' America.

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Capitolo 8 REDI, VALLISNERI E I SETTE CENTISTI ITALIANI.

FISSISMO E CREAZIONISMO

Come abbiamo discusso nelle pagine precedenti, se le grandi scoperte geografiche avevano fatto sì che si accumulasse in Europa, nelle sedi più diverse, un' imponente massa di materiali naturalistici, e le relazioni di viaggiatori e funzionari soprattutto spagnoli e portoghesi avevano fatto conoscere un' enorme quantità di notizie sulla fauna e sulla flora dei paesi extraeuropei, questo incremento delle conoscenze naturalistiche non aveva prodotto, se non in modo molto sporadico, alcun effetto di rilievo sul pensiero tassonomico. Questa mancanza di interesse per l'organizzazione del sapere naturalistico è imputabile, a nostro parere, ad un ristagno dell' in­ teresse per le problematiche tassonomich~. Il fatto che, come si è detto, la maggior parte degli autori del XVI e di parte del XVII secolo ordini le proprie trattazioni botaniche e zoologiche seguendo Aristotele e Teofrasto (almeno nelle versioni, più o meno ampiamente inquinate, disponibili all' epoca), o adottando schemi dichiaratamente artificiali o utilitaristici, rispecchia in realtà l'assenza di nuovi paradigmi scientifici, tali da stimolare la discussione anche in campo tassonomico. Lo scenario cambia radicalmente quando, a partire dal XVII secolo, il microscopio composto rivela ai naturalisti un mondo insospettato, e una serie di fenomeni sino ad allora sconosciuti, molti dei quali mettono in crisi i capisaldi della scienza dell' epoca. In particolare, la convinzione che le stesse leggi, gli stessi meccanismi, le stesse analogie regolassero l' in­ tero mondo sensibile si incrina profondamente. All' idea di un ordine del­ l'universo relativamente semplice e lineare (anche se per certi versi im­ perscrutabile) si sostituisce un certo relativismo, si fa strada l'idea di un mondo naturale capace di fornire risposte differenziate specifiche valide solo in determinati ambiti e non generalizzabili. Diventano quindi sempre più forti le istanze empiristiche, soprattutto a fronte della inaspettata di­ versità che il mondo naturale rivela a livelli sia macro che microscopici. Questo a sua volta si accompagna ad uno spostamento dell'asse degli interessi della scienza verso problematiche di tipo biologico. In particola­

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Capitolo 8

re, si accentua l'interesse per le ricerche sull' origine e sulla trasmissione della vita. In effetti, come notano i più acuti studiosi di storia della bio­ logia, le consolidate credenze sulla generazione spontanea, in auge fin verso la fine del XVII secolo, implicavano, almeno per i credenti, che l'opera del creatore non fosse stata istantanea, ma che fosse stata in certo modo diluita nel tempo, e magari continuata sine die da misteriose entità poco definibili, retaggio di un non dimenticato politeismo celtico, romano e barbarico: una sorta di aiutanti del Padre Eterno, fra cui soprattutto la Natura. D'altra parte, ancora oggi nel linguaggio corrente, si usa parlare di "Madre Natura", spesso invocandone l'intervento riparatore di fronte ai guasti che la nostra civiltà quotidianamente procura all'ambiente, o al contrario, la si considera "Natura matrigna" quando le si attribuisce la colpa delle nostre disgrazie. In antitesi a ciò, il creazionismo fissista sostenne, interpretando alla lettera il Genesi, la compiutezza dell'unico atto creativo iniziale, e da ciò l'immutabilità quantitativa e qualitativa del mondo vivente, negando, in coerenza con queste premesse, la generazione spontanea. Questa fu sotto­ posta ad un severo riesame critico soprattutto ad opera di quegli studiosi le cui teorie, pur differendo fra loro per aspetti anche abbastanza importanti, possono essere raggruppate sotto la dizione "preformismo". Almeno in prima approssimazione, tali teorie ammettono che la formazione di qualun­ que organismo vivente non sia in realtà che il processo di sviluppo di una entità già esistente come tale, almeno sotto forma di "germe". Per quanto riguarda la riproduzione e lo sviluppo degli animali (nelle piante il problema verrà affrontato a fondo successivamente), sin dalla fine del 1500 il meccanismo riproduttivo è ritenuto sostanzialmente uniforme, su basi teoriche mutuate dal pensiero filosofico piuttosto che su dati biolo­ gici. Estendendo per analogia quanto era innegabile per molti uccelli, rettili, e anfibi, gli studiosi ritenevano che tutti gli animali si generassero da uova. Valga per tutti l'esempio notissimo di Harvey (1578-1657) che nel De generatione animalium (1651) sosteneva che tutti gli animali, uomo com­ preso, nascono da un uovo. Molto più tardi il creazionista e fissista Linneo scriverà "Omne vivum ex avo". Ma la scoperta degli spermatozoi nel 1677, effettuata da A. van Leeuwenhoeck (1632-1723) viene a complicare ulte­ riormente la situazione. Infatti, alcuni scienziati (la maggioranza) sostengo­ no che la riproduzione sia legata solo all'uovo e che gli spermatozoi non abbiano alcuna funzione o siano dei semplici attivatori (ovisti); altri invece attribuiscono proprio agli spermatozoi un ruolo essenziale nel processo riproduttivo (animalculisti). Il problema principale tuttavia, riguarda come avvenga la formazione del nuovo individuo e lo sviluppo del nuovo orga­ nismo da una materia più o meno indifferenziata. Una delle correnti di

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REDI, VALLISNERI E I SETTECENTISTI ITALIANI. FISSISMO E CREAZIONISMO

pensiero a riguardo sostiene che l'individuo sia già preformato in tutte le sue parti (teoria preformista in senso stretto) e si trovi miniaturizzato all'interÌlO dell'uovo (secondo i preformisti ovisti) o all'interno degli spe­ matozoi (per i preformisti animalculisti). Nell'ambito di questo approccio, si inserisce anche l'ipotesi della panspermia, secondo la quale imprecisati "germi vitali" o "semi della vita" impregnerebbero il mondo intero, e raggiungerebbero, forse attraverso il cibo, gli organi riproduttori dei viven­ ti, rendendoli disponibili allo sviluppo. Un'altra ipotesi sosteneva che in ogni specie ogni individuo contenga dentro di sè i germi della propria specie. Questi a loro volta contengono i germi della successiva generazione, che conterrebbero i germi della generazione ancora successiva e così via (teoria degli inviluppi o dell '''emboìtement''). A parte le numerose varianti, si può asserire che elemento unificante delle teorie preformistiche è che esse implichino che ciascuna specie si perpetui come tale sin dalla sua origine, senza che esista alcun possibile rapporto trasversale fra le specie stesse, al di là degli eventuali casi di ibridazione. Dal punto di vista empirico tuttavia, le osservazioni condotte su molte specie di animali e piante sembravano fornire motivi per non scartare del tutto l'ipotesi della generazione spontanea: questi organismi infatti non si riproducevano in maniera evidente e "apparivano" in ambienti particolari indipendentemente dalla presenza di genitori riconoscibili. Il merito di aver confutato questa interpretazione viene generalmente attribuito al medico inglese William Harvey, che nel De generatione animalium sostiene che la generazione attraverso uova costituisce il modello universale di riproduzio­ ne animale. Queste sue affermazioni però, non sono supportate da osserva­ zioni sperimentali, ma si basano sostanzialmente su una concezione di carattere generale, cara agli aristotelici del tempo, secondo la quale la divina natura è perfetta e sempre coerente nelle sue cose: nel caso particolare della generazione, quindi, insiste sempre nello stesso modo per generare tutti gli esseri viventi. Benchè tale approccio teorico non apparisse soddisfacente a molti scienziati, soltanto con Redi si giunge ad una impostazione sperimen­ tale del problema, metodologicamente corretta e ispirata ad un consapevole atteggiamento critico. Francesco Redi (1626-1698), medico e letterato, fu anche linguista e accademico del Cimento. La sua opera più importante è Esperienze intor­ no alla generazione degli insetti fatte da Francesco Redi Accademico della Crusca e da lui scritte in una lettera all'illustrissimo signor Carlo Dati (1668). In essa, fra l'altro, riferisce i suoi studi ed esperimenti sulla riproduzione delle mosche che si sviluppano dalle carni in disfacimento. Egli pone a putrefare in recipienti, aperti e chiusi, diversi tipi di carni, cotte e crude, e vi vede sempre nascere "vermi", le larve delle mosche.

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Capitolo 8

Quasi sempre osserva direttamente la deposizione delle uova da parte degli adulti. Rileva da tali osservazioni che non esiste alcuna relazione tra il tipo di carne posta ad imputridire e la specie di mosca che vi nasce. In una seconda serie di esperimenti, chiude i recipienti prima con carta e poi con una stoffa che permetta il passaggio dell' aria. Constata cosÌ che se le mosche non possono raggiungere la carne, questa imputridisce senza pro­ durre vermi; verifica altresÌ che sul bordo dei recipienti chiusi con stoffa le mosche depongono uova dalle quali nascono le larve che subito cercano di raggiungere la carne. A questo punto l'ipotesi iniziale risulta esplicita­ mente dimostrata: Redi può negare su base sperimentale la generazione spontanea e affermare che la materia organica putrefatta nella quale gli insetti si sviluppano costituisce solo l'ambiente favorevole, il cibo per le larve, e non la causa della generazione. Le tesi del Redi non vengono facilmente accettate. A. Kircher (1601­ 1680) solleva molte obiezioni in proposito e addirittura dà una ricetta per ottenere rane per generazione spontanea. Redi la sottopone a ngorosa sperimentazione, e la prova fallisce. L'unico punto su cui non può compiere osservazioni dirette riguarda gli insetti gallecoli, di cui ammette la genera­ zione spontanea. Accettano le idee del Redi Malpighi (1628-1694) e Val­ lisneri (1662-1730); quest' ultimo riesce a dimostrare che anche gli insetti gallecoli si originano da uova deposte all'interno dei vegetali. Se le ricerche cui abbiamo accennato, e quelle di Swammerdam, Réau­ mur ed altri ancora hanno definitivamente negato la generazione spontanea negli organismi macroscopici, il problema si pone ancora per quelli micro­ scopici scoperti da Leeuwenhoeck: gli "infusori". L'ipotesi che gli infusori si generassero spontaneamente da sostanze organiche non viventi, già abbastanza diffusa all' inizio del secolo, tornò alla ribalta con gli studi dell'inglese Needham (1713-1785). Questi riprendono sostanzialmente l'im­ pianto sperimentale classico di Redi: Needham peraltro riscalda le sue infusioni a temperature che con sicurezza uccidono gli organismi attivi e che dovrebbero eliminare ogni possibile germe presente. Chiude i vasi con tappi di sughero nel tentativo di precludere l'accesso dall'esterno di altri germi. Dopo alcuni giorni osserva la presenza di una grande quantità degli stessi infusori descritti da Leeuwenhoeck. Ritiene cosÌ di averne dimostrato in modo incontrovertibile la generazione spontanea. Gli scritti di Needham non persuadono Lazzaro Spallanzani (1729­ 1799), che ne ripete esattamente gli esperimenti. Sin dalle prime osserva­ zioni degli infusori in vivo si convince della loro natura animale. Inoltre, osserva all' interno dell' infusione anche le cisti e vede come proprio da esse fuoriescano gli infusori stessi, fatto, questo, che ipoteca seriamente l'idea della generazione spontanea. Quando Spallanzani esegue gli esperimenti

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esattamente secondo le indicazioni di Needham, ottiene gli stessi risultati, ma quando prova a portare le infusioni e i recipienti a temperature molto vicine al punto di ebollizione, e usa contenitori di vetro suggellati alla fiamma evitando la contaminazione del contenuto, anche dopo molti giorni non osserva la comparsa degli infusori. La polemica si acuisce quando Needham ribatte che il calore eccessivo distrugge appunto la (metafisica ?) "forza vitale" delle infusioni, deducendone che le esperienze di Spallanzani confermano le proprie tesi sulla generazione spontanea. Spallanzani non demorde, e realizza una nuova serie di esperimenti ed osservazioni median­ te le quali demolisce gli argomenti opposti gli dal Needham. Alla corrente preformista, che come abbiamo visto, pur partendo da premesse almeno in parte discutibili, aveva portato al brillante risultato di confutare definitivamente la generazione spontanea, si contrappose il pen­ siero epigenetista, la cui tesi fondamentale è che gli organi dell' individuo si formino gradualmente a partire dalla materia indifferenziata, in risposta a "forze vitali" o "informative" che regolano lo sviluppo degli embrioni. L'epigenesi in sè non ebbe all'epoca grande fortuna, anche in quanto troppi dei suoi assunti erano del tutto indimostrabili, e in particolare le varie "forze" che necessariamente dovevano essere invocate apparivano oggetto di fede - ancorchè laica - molto più che di scienza. È comunque opportuno sottolineare che per oltre un secolo la dialettica, ed una certa compenetra­ zione fra le due correnti di pensiero, preformista e epigenetista, contribuÌ non poco allo sviluppo della biologia. Allo stesso tempo però il prevalere dell' attenzione per i fenomeni biologici si accompagnò ad un certo disamo­ re per lo studio degli organismi viventi dal punto di vista sistematico. L'interesse per argomenti come l'origine e la trasmissione della vita, e la loro interpretazione teorica e filosofica, fecero sì che non venissero perce­ pite le implicazioni che i risultati della ricerca biologica avrebbero dovuto fare emergere in campo sistematico. Un'interessante eccezione è rappresentata dal Vallisneri, che in una delle sue opere più note, Della curiosa origine, degli sviluppi, e de'costumi ammirabili di molti Insetti, Dialoghi, propone e sviluppa in parte una nuova classificazione generale degli insetti stessi. Le ragioni che mossero il Vallisneri ad addentrarsi nella tassonomia entomologica sono diverse: il motivo occasionale sembra risiedere nella moltitudine di specie inedite di insetti dannosi alle piante che egli aveva riconosciuto e studiato. D'altra parte però egli dichiara esplicitamente che pur trattandosi di esseri minusco­ li e spesso quasi invisibili, la loro organizzazione è tale da renderli degni dell' attenzione della scienza. Per di più, il Vallisneri sembra realmente stupito e stimolato dalla varietà di forme e di modi di vita cui inaspettata­ mente si trova di fronte.

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Capitolo 8

. REDI, VALLISNERI E I SETTECENTISTI ITALIANI. FISSISMO E CREAZIONISMO

A tale situazione corrisponde un'insoddisfazione nei confronti dei siste­ mi di classificazione disponibili in letteratura, che lo spinge ad elaborarne uno, nella speranza che: "il mio Metodo fosse il meno confuso di quanti finora sono usciti alla luce""'. Considerando anche gli aspetti utilitaristici della sistematica come stru­ mento di identificazione, egli elabora un sistema che è ancora, almeno formalmente, una classificazione discendente, ma che non è dicotomico. Infatti, Vallisneri suddivide gli insetti in quattro "universali generi, o Classi" - che peraltro non denomina, ma numera semplicemente - utiliz­ zando un criterio di tipo ecologico. Nella prima classe infatti comprende tutti gli insetti che vivono e si nutrono di materiali vegetali vivi o morti. La seconda raggruppa tutte le specie che vivono nelle acque o in fluidi di origine organica. Nella terza classe riunisce gli organismi endogei o che vivono dentro "marmi, sassi, crete, ossa fuora dal corpo, scorze di chioccio­ le e di conchiglie fuora dal mare ed altri corpi solidi e resistenti di tal natura". L'ultima classe comprende i parassiti e parassitoidi di altri organi­ smi animali nonchè gli zoosaprofagi. Nel quadro di ogni classe propone fra l'altro l'opportunità di utilizzare, analogamente a quanto già si faceva in botanica, le caratteristiche legate allo "sviluppo" (semi, fiori, frutti). Infine sottolinea che il riconoscimento delle singole specie deve essere basato sulle caratteristiche morfologiche ed anatomiche (sugli aspetti generali delle quali si sofferma a lungo), ossia "le ultime loro fattezze". A titolo di esempio, egli suddivide la prima classe in 41 "linee", sempre senza deno­ minarle, ancora su base ecologica e per certi versi comportamentale. Una di queste, la X, comprende organismi che depongono le uova all' interno della nervatura principale delle foglie di piante vive senza provocare la formazione di galle, le cui larve fuoriescono e si alimentano del parenchima fogliare. Nella fig. 8.1 riportiamo la tavola originale riferita a tali organismi. Gli sviluppi tassonomici più importanti degli studi cui ci siamo riferiti, tuttavia, non risiedono nei pochi, e tutto sommato poco innovativi schemi sistematici come quello di Vallisneri, ma piuttosto nel fatto che la confuta­ zione delle credenze sulla generazione spontanea, e gli studi sulla riprodu­ zione e sullo svii uppo, dimostrando l'identità specifica genitore-discenden­ te, rafforzano il più rigoroso fissismo, che diventa in breve la concezione dominante. Riteniamo non inutile sottolineare che, se l'approccio preformista al problema della continuità della vita, e la negazione della generazione spontanea, escludono necessariamente qualunque ipotesi di filogenesi, in­

" Le citazioni sono tratte dall' edizione veneziana del 1733 curata dal figlio.

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Fig. 8.1. Tavola tratta da un'edizione postuma (Venezia, 1733) delle opere di Antonio Vali isneri, che illustra organismi ricondotti alla "X linea" del suo schema di classificazione degli insetti.

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ORDI NANDO LA NATURA -

Capitolo 8

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Capitolo 9 LA RIVOLUZIONE LINNEANA

tesa come relazioni genealogiche fra specie, non appare oggi cosÌ ovvio che all'idea creazionista si accompagnasse necessariamente quella dell'immu­ tabilità delle specie attraverso il tempo. Infatti, anche ammettendo che in ogni individuo siano presenti i germi di tutta la sua discendenza - all'infi­ nito o almeno fino alla fine del mondo - ciò non significa che tali discen­ denti debbano necessariamente essere uguali fra loro. È verosimile peraltro che i creazionisti settecenteschi neppure si siano posti il problema, ma che la concezione della specie come entità immutabile nel tempo non derivi da considerazioni di ordine scientifico, bensÌ rifletta semplicemente la Weltan­ schauung di un periodo storico in cui l'ordine assolutista, di origine divina, trovava la sua più completa, rigida e pervasiva espressione. L'interpretazione letterale della Bibbia e la tradizione ecclesiastica, che datavano a poche migliaia di anni addietro l'origine del mondo, contribu­ irono a far accantonare definitivamente anche quei timidi tentativi, magari fondati anch' essi sulla Bibbia come quello di Kircher, di introdurre l'idea di un qualche cambiamento storico negli organismi viventi, ponendo così le premesse per l'elaborazione dei grandi schemi classificatori statici la cui massima espressione sarà rappresentata dall'opera di Linneo.

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L'opera di Linneo rappresenta probabilmente la più grande ri voluzione avvenuta nel pensiero sistematico biologico dopo Aristotele e prima del­ l'evoluzionismo. Per comprenderne la portata, tuttavia, è necessario sotto­ lineare che il secolo XVIII ebbe un'importanza eccezionale per la storia naturale. L'espansione delle potenze europee ha ormai coinvolto tutti i continenti, ma i viaggiatori europei non sono più, o non soltanto più , conquistatori militari o religiosi : l'esplorazione di terre lontane si accompa­ gna anche ad un grande interesse per lo studio della natura non soltanto per ovvie finalità economiche, sempre più presenti (non va dimenticata la rivoluzione industriale, che appunto in quell'epoca aveva avuto inizio). Ciò favorisce!' apertura di gabinetti di storia naturale, la diffusione di erbari anche fra la classe colta, e non più soltanto fra re e principi, e una certa diffusione della letteratura naturalisti ca. Allo stesso tempo, la cultura è pervasa dallo "spirito di sistema" che caratterizza tutto il '700 e che avrà una delle sue massime espressioni nell' Encyclopédie di Diderot e D'Alem­ bert: si sente vivissima !' esigenza di organizzare la conoscenza relativa ad ogni singola disciplina in complessi e completi edifici concettuali . In tale contesto culturale si inserisce, figura centrale della tassonomia settecentesca, Cari Lind (poi von Linné, latinizzato in Linnaeus). Linneo nacque a Rashult, in Svezia, nel 1707. Il padre, come già il nonno, era un pastore della chiesa luterana, apparentemente di scarse risorse economiche. Nonostante i suoi modesti risultati scolastici, riusCÌ ad entrare all ' Università dove seguì i corsi di medicina. Anche qui peraltro la sua carTiera fu per lo meno frammentaria, e sul suo titolo universitario olandese è stato molto ironizzato. In realtà i più precoci interessi di Linneo erano rivolti verso le scienze naturali, e soprattutto verso la botanica. È verosimile supporre che già all'epoca della collaborazione con Celsius alla stesura del!' opera di questo, Hierobotanicum (1745-1747), Linneo vedesse con un certo fastidio la disorganizzazione delle conoscenze botaniche cui attingeva, ed avesse concepito, almeno in embrione, il progetto la cui realizzazione occupò il

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ORDIN ANDO LA NATURA -

LA RIVOLUZIONE L1NNEANA

Capitolo 9

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Fig. 9.1. Frontespizio della tiratura di Lipsia della VI edizione del Systema Naturae di Linneo.

resto della sua vita: ordinare la natura. Il corpus delle sue opere infatti è quasi interamente costituito da monumentali trattati di sistematica, dappri~ ma botanica, poi anche zoologica, ed infine, sull' onda di un m~todo or~aI ben collaudato e di un indubbio successo anche personale, persmo medica: la classificazione delle malattie pubblicata poco prima della morte è sostan­ zialmente il tentativo di dimostrare il valore universale dei suoi criteri tassonomici e la loro indipendenza dall' oggetto a cui venivano applicati.

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Sarebbe facile ironizzare sul "toccasana di Linneo", ma non dimentichiamo che Platone ed Aristotele, su cui ben pochi hanno scherzato, applicarono una stessa logica alla classificazione sia dei mestieri che dei pesci. Alla sua morte, avvenuta ad Uppsala nel 1778, le sue opere principali, soprattutto Species PLantanun (1753) e Systema Naturae (12 edizioni a partire dal 1735: fig. 9.1), erano conosciute, e soprattutto consultate, in tutta Europa, e non soltanto nelle istituzioni scientifiche. Il successo di Linneo, e l'enorme influenza che la sua opera ha avuto sulla sistematica biologica sino ai nostri giorni richiede alcune riflessioni. Innanzitutto, Linneo stabilisce regole nomenclatoriali semplici e di valore universale, portando ordine e rigore in una nomenclatura sistematica sino ad allora arbitraria e caotica. Per quanto riguarda la specie, sviluppando sistematicamente i tentativi di naturalisti precedenti, generalizza l'uso della nomenclatura binomia. Ogni specie da quel momento viene indicata con una combinazione di due termini latini, il primo con lettera maiuscola indica il genere di appartenenza, il secondo rappresenta l'appellativo spe­ cifico. L'analogia con il cognome e il nome degli esseri umani è palese, e d'altra parte è menzionata dallo stesso Linneo. Il vantaggio di tale sistema nomenclatoriale è evidente. Da un lato, l' indissolubilità del binomio forni­ sce un'immediata informazione sulla collocazione della specie nel sistema. D'altra parte, il disporre di una regola certa - ancorché evidentemente arbitraria - e pratica per la formazione dei nomi rende la nomenclatura linneana univoca e di uso universale. Vale la pena notare che sostanzial­ mente le regole di Linneo sono recepite ancor oggi dai codici di nomencla­ tura biologica (fig . 9.2), a cui ogni studioso è tenuto ad adeguarsi al momento della descrizione e denominazione di nuove entità sistematiche, pena la non validità dei nomi che propone, e che nessun nome sistematico in zoologia è considerato valido se pubblicato prima della X edizione del Systema Naturae (1758); altrettanto succede in botanica, dove si fa riferi­ mento a Species PLantarum (1753). Sempre a livello specifico, introducendo una netta distinzione tra deno­ minazione e descrizione, Linneo rende molto più agile l'inserimento di nuove entità all'interno del sistema. Così facendo, può anche modificare notevolmente i criteri di descrizione sino ad allora in uso, sfrondando le frasi diagnostiche dagli elementi ambigui e, nei limiti del possibile, dai riferimenti comparativi. In altre parole, la descrizione di Linneo tende ad essere assoluta, o almeno autonoma ed esauriente. Sui criteri che adotta per ottenere ciò ritorneremo fra breve. Per quanto riguarda il sistema linneano nel suo complesso esso è basato, all' interno di ogni regno, su una gerarchia di 4 categorie: classe, ordine, genere e specie. Va notato inoltre che questo non è rigidamente dicotomico.

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Capitolo 9

LA RIVOLUZIONE L1NNEANA

Numb., oJ Words in the Sciélllific Names oJ Animals

4-6

CHAPTER II. THE NUMBER OF WORDS IN TRE SCIEN­ TIFIC NAMES OF ANIMALS Article 4. group.­

Names of taxa of ranks above the species

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Fig. 9.3. La classificazione del regno vegetale proposta da Linneo nel Systema Naturae. (a) N:unes ofsubgenera.-The uninominal 5c.knti(je name ora 9

Fig. 9.2. Parte delle regole nomenclatoriali contenute nella III edizione (1985) del Codice Internazionale di Nomenclatura Zoologica.

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Ricordiamo peraltro che, al di là delle intenzioni più o meno dichiarate, già con lo stesso Aristotele, e poi da Teofrasto in avanti, la dieresi platonica non era mai stata applicata con rigore in campo biologico. In termini generali, lo schema di classificazione linneano è un sistema di "scatole cinesi", un sistema modulare dove ogni gruppo di un determi­ nato rango è compreso in uno, e uno soltanto, dei gruppi di rango gerarchico immediatamente superiore. Nella fig. 9.3 riportiamo un esempio di classi­ ficazione linneana. Non è inutile ricordare che oggi, pur con l'inserimento

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di numerose categorie intermedie, la struttura generale del sistema di Linneo rappresenta ancora il fondamento dei nostri schemi sistematici: Orchis commutata è compresa, assieme a O. brancifortii, O. ustulata, O. sambucina, ed altre specie, nel genere Orchis. Questo a sua volta, con i generi Cephalanthera, Anacamptis, Ophrys, Gymnadenia, Aceras, Platan­ thera e molti altri generi costituisce la famiglia Orchidaceae. Anche i criteri adottati da Linneo per riconoscere, e quindi definire, i diversi taxa richiedono qualche approfondimento. L'esigenza di rigore ed obiettività è particolarmente sentita, soprattutto in funzione di produrre una classificazione "naturale". Sostiene Linneo, coerentemente con il suo approccio al problema della descrizione, la necessità di operare una scelta fra le caratteristiche disponibili, ai fini della classificazione: in termini

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odierni potremmo parlare di ponderazione differenziale dei caratteri, quando egli afferma che si debbono utilizzare caratteri costanti e di sicuro affida­ mento . Dal suo profondo e per molti versi innovativo interesse per la biologia della sessualità, in prima istanza delle piante, e da minuziosi studi di anatomia dei frutti e dei fiori, ricava la convinzione che gli organi della riproduzione sono i più costanti e, di conseguenza, i loro caratteri i più affidabili dal punto di vista sistematico. Va notato che Linneo basa tali considerazioni sul pieno riconoscimento della sessualità delle piante, dimostrata poco tempo prima dal Camerarius e dal Vaillant, ma che in realtà non era stata estranea a Teofrasto, che pur senza coglierne la por­ tata, ben conosceva le pratiche di impollinazione della palma da dattero e del fico messe in opera dagli agricoltori . Linneo arriva ad affermare che la fruttificazione è l'unico fondamento della botanica e trae dalle caratte­ ristiche del numero, della figura, della proporzione e della posizione delle diverse pal1i del fiore e del frutto i caratteri che permettono di individuare e delimitare in modo non equivoco i generi. Linneo sostiene che vi sono in natura tanti generi quanti diversi assetti assumono le 7 parti che forma­ no il fiore ed il frutto, valutate in termini di presenza e assenza, numero, aspetto, proporzione e posizione. In realtà però, nella sua determinazione dei generi, è molto più flessibile di quanto le sue dichiarazioni di princi­ pio lascino supporre. Estende quindi a tutti i livelli sistematici i criteri applicati al genere: stabilisce infatti le classi (24) secondo il numero e la posizione degli stami e gli ordini secondo la posizione reciproca di stami e pistillo. La ventiquattresima classe (le Crittogame) comprende quei ve­ getali in cui stami e pistillo sono imperfetti, sconosciuti o difficili da esaminare. Incontra maggiori difficoltà nella classificazione zoologica in quanto non riesce a trovare un carattere universale, la cui espressione differenziale permetta di delimitare ciascun genere animale. In situazioni di grande difficoltà non esita ad attribuire significato tassonomico anche alla mancan­ za di un organo (per esempio aracnidi e crostacei vengono riuniti con gli insetti atteri, solo perchè privi di ali). Seguendo l'impostazione di autori precedenti, da Aristotele a Ray, Linneo pri vilegia in ordine decrescente il cuore, il sangue, e quindi i sistemi respiratorio e riproduttivo ed individua 4 classi di animali "con sangue rosso" (Mammiferi, Uccelli, Anfibi e Pesci) e 2 di animali "con sangue bianco" (Insetti e Vermi). Interessante il fatto che Linneo, nonostante la sua formazione culturale e religiosa, classifichi l'uo­ mo con gli animali, e correttamente lo associ alle scimmie nell' ordine dei Primati. Per altri animali invece, mostra di avere idee alquanto confuse: basti pensare agli anfibi, dove assieme a rane e rospi, classifica anche coccodrilli, storioni, qualche selacio e così via .. ...

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Capitolo 9

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LA RIVOLUZIONE LlNNEANA

I gruppi dove realmente dimostra i suoi limiti sono tuttavia soprattutto gli insetti e i vermi, veri refugia peccatorwn dove apparentemente raduna tutti quei taxa che non sa dove collocare. Linneo opera in una realtà caratterizzata da un ordine sociopolitico rigido e "codino", e da una religiosità dogmatica: è convinto che nei vegetali e negli animali sia riconoscibile l'ordine e la gerarchia voluta da Dio, eterna ed immutabile. Tutte le specie sono state create nel giardino dell'Eden, un'isola-continente che, in un punto imprecisato dei tropici, comprendeva tutti i tipi di ambiente di ogni zona climatica della terra, distribuiti dalla pianura costiera alle più alte montagne. Da questo "centro di creazione" animali e piante, già adatti alle diverse situazioni ecologiche, avrebbero preso le mosse per colonizzare il mondo intero. E tutti i viventi sono stati creati da Dio per manifestare la sua infinita saggezza e perchè, come è scritto nella Bibbia, siano di utilità all ' uomo. Una valutazione della classificazione di Linneo non può non tener conto di ciò. Il suo scopo non è puramente scientifico: da un lato, egli vuole rendere omaggio al suo Dio descrivendo l'ordine mirabile del creato, dall' altro, anche in accordo con gli scopi divini, vuole contribuire al dominio dell'uomo sulle altre creature. Si prefigge quindi anche un fine eminentemente pratico: egli è infatti consa­ pevole dell'utilità, anzitutto per il suo paese, di un agile sistema di identi­ ficazione di oggetti naturali di reale o potenziale interesse economico e di organizzazione dell' informazione che li riguardava. Sul metodo tasso nomi co applicato agli organismi per classificarli nello schema categorico-gerarchico cui abbiamo fatto cenno molto è stato scritto. In sintesi, si può notare come il tentativo di utilizzare la suddivisione logica viene effettuato in modo molto disinvolto : probabilmente nessuno dei gruppi sistematici trattati da Linneo potrebbe essere contenuto in uno schema come quello di Platone (cfr. fig. 2.1). Linneo in effetti non applica quasi mai, se non quando lo impongono con ogni evidenza le caratteristiche di un dato gruppo di organismi, un metodo basato su successive divisioni rigidamente dicotomiche. Queste saranno del tutto abbandonate dalla tasso­ nomia biologica per più di 150 anni, anche in base a considerazioni di ordine teorico, sino a quando verranno riprese, su basi concettuali molto diverse da quelle platoniche e aristoteliche, da Daniele Rosa e poi da Hennig e dalla scuola cladista. Le politomie, o se vogliamo taxa costituiti da ben più di due elementi immediatamente subordinati, sono all'ordine del giorno nella sistematica linneana (vedi fig. 9.4). In realtà, comunque, molti dei gruppi istituiti da Linneo sono sostanzialmente considerati validi a tutt' oggi, dopo più di due secoli di critica e dopo che l'accettazione del principio di evoluzione ha radicalmente rivoluzionato buona parte degli scopi stessi, nonchè dei criteri, della sistematica. Questo si spiega soltanto

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LA RIVOLUZIONE L1 NNEANA

Capitolo 9

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tenendo conto del rapporto fra la tassonomia di Linneo e buona parte della sua sistematica: in realtà, egli era dotato di un eccellente "occhio sistema­ tico", o se vogliamo, di un'ottima percezione gestaltica degli organismi, Di conseguenza, in molti casi prima decide riguardo ad un genere, e soltanto dopo, prevaricando se necessario i suoi principi teorici , o quanto meno applicandoli in un modo molto disinvolto, ne giustifica l'istituzione, D'altra parte, come rilevato da diversi autori, Linneo sembra concepire che gli esseri viventi siano disposti all'interno del sistema naturale come i diversi paesi in una carta geografica; in altre parole, che ciascun taxon non abbia relazioni di tipo lineare, ma bensì reticolare, con gli altri taxa appaltenenti alla stessa categoria superiore , Ogni organismo è connesso attraverso le sue caratteristiche a moltissimi altri in un vero e proprio groviglio di "affinità", È chiaro che con questo termine non possiamo che intendere "somiglianze" : d'altra parte, il concetto di affinità come relazione di tipo genealogico implica necessariamente l'idea di evoluzione, e soprattutto di filogenesi , che è ampiamente estranea alla mentalità di Linneo, Nonostante qualche tentennamento infatti, Linneo non soltanto è creazionista, ma è anche fissista: "Species tot sunt quot formas ab initio creavit Infinitum Ens" , Per quanto riguarda le categorie superiori, che peraltro egli stesso istituisce, dal punto di vista teorico gli interessano molto poco, ed assume nei loro confronti un atteggiamento tendenzialmente nominalista: riconosce infatti che classe ed ordine sono meno "naturali" del genere, e li considera poco più che strumenti utili per immagazzinare e recuperare le informazio­ ni. D'altra parte, è convinto sostenitore del principio di continuità: "Natura non facit saltus" . Pi ù saranno le specie di cui, nel corso del tempo, si verrà a conoscenza, più gli iati tra le categorie superiori verranno colmati, fino alla scomparsa dei loro confini . L'essenzialismo di Linneo appare invece a livello di categoria genere: ciascun genere infatti è per lui un'entità fissa, naturale, la cui identità deriva da una "essenza" propria, immutabile dalla creazione e separata dagli altri generi da discontinuità nette e incolmabili. Il sistematico quindi non crea i generi (a differenza di quanto fa con le categorie superiori), ma semplice­ mente scopre i generi creati originariamente. In questo senso è vero ciò che alcuni autori sostengono, ossia che il più moderno concetto di genere, come complesso di specie e quindi come categoria collettiva, risale piuttosto a Pitton de Tournefort che a Linneo. Il genere si definisce - almeno in linea di principio - individuando e descrivendo la sua caratteristica "essenziale", che per Linneo è assoluta e non relativa. A tale definizione se ne affiancano altre due, soprattutto a causa delle difficoltà obiettive di riconoscere univo­ camente la prima: la definizione " artificiale" e quella "naturale". AI di là dell' ambiguità di questi termini, la definizione artificiale di Linneo corri­

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 9

sponde abbastanza bene ad una frase diagnostica differenziale, o agli elementi che individuano un taxon attraverso una chiave di identificazione. La definizione naturale, comprendendo tutti i caratteri che il sistematico è riuscito ad evidenziare, corrisponde in pratica alla descrizione. Per quanto concerne la specie linneana, questa è una classe di individui, il cui fattore aggregante è la somiglianza, che rappresenta a sua volta per così dire un caso particolare, una "differentia specifica" nell'ambito del genere. Nella concezione essenzialista di Linneo la somiglianza, ad un certo livello, produce conspecificità: tutti gli individui che corrispondono al "tipo" di una data specie appartengono a quella, e soltanto a quella specie. A parte tutte le possibili e lecite critiche a questo concetto di specie, ancora oggi ogni sistematico sa con quale frequenza è necessario ricorrere allo studio diretto di Holotypi e Paratypi, per dirimere un problema di a sistematica. Le variazioni intraspecifiche sembrano apparire a Linneo soltanto qual­ cosa di "fastidioso" e trascurabile: in pieno accordo con la sua logica essenziali sta, la variazione è ritenuta nient' altro che il risultato accidentale e impelfetto di una particolare e irrilevante manifestazione del "tipo" della specie. Per di più, non è inutile notare che, benchè Linneo annoti che gli individui conspecifici hanno la peculiarità di riprodursi fra loro, neppure in una dimensione sincronica, o atemporale, la specie linneana ha molto a che vedere, almeno concettualmente, con ciò che oggi intendiamo per specie biologica:

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Capitolo 10 BUFFON E LA DIMENSIONE STORICA

NELLE SCIENZE NATURALI

Georges Louis Leclerc nacque nel 1707 da una famiglia che aveva compiuto in poche generazioni una cospicua ascesa sociale: suo padre era un alto funzionario pubblico, sua madre era dotata di larghissimo censo; ciò faceva di lui il tipico "grand bourgeois", rappresentante di quel ceto che in termini generali mal sopportava la subordinazione all' aristocrazia, e spesso. aspirava ad entrare a farne parte con qualunque mezzo. Egli realizzò questa aspirazione pienamente, associando al denaro la cultura in un campo, quello naturalistico, che sia la moda, sia le prospettive economiche aperte con le esplorazioni soprattutto delle Americhe, rendevano ricco di opportunità, e divenne il conte di Buffon. Le sue prime esperienze naturalistiche, un viaggio in diversi paesi europei, e alcune precoci pubblicazioni, gli aprirono le porte dei circoli scientifici parigini; allo stesso tempo tuttavia, e non è soltanto cronaca il ricordarlo, le sue attitudini di organizzatore e di attento cultore degli aspetti applicativi della scienza gli avevano permesso di sfruttare in modo razio­ nale e con tecniche di avanguardia le sue proprietà terriere. Nel 1739 ottiene la nomina di responsabile del Jardin du Roi, l'attuale Jardin des plantes, e del Cabinet du Roi, che ne rappresentava una dipen­ denza, e da cui ha preso le mosse l'attuale Muséum National d'Histoire Naturelle. In questa posizione, di prestigio e di potere, egli applica le sue già sperimentate doti di organizzatore all' elaborazione - con l'aiuto di una schiera di collaboratori da lui diretti - dell' opera che occuperà il resto della sua vita, e che dopo la sua morte avvenuta nel 1788, alla vigilia della Rivoluzione, sarà completata a cura di Lacépède e di una schiera di zoo­ logi non solo francesi che diffonderanno assieme ai tomi originali le Suites à B~iffon. La versione originale dell' opera, Histoire Naturelle, générale et parti­ culière, avec la description du Cabinet du Roy, uscì a partire dal 1749 e comprende 35 volumi più nove postumi (fig. 10.1). Il suo successo fu tale, che anche in versioni più o meno abbreviate e manipolate, non vi è quasi

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo lO

BUFFON E LA DIMENSIONE STORICA NELLE SCIENZE NATURALI

HISTOIRE N ATURELLE, GÉNÉRALE ET PARTICULIÉRE, AVEC LA DESCRIPTION

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PARIS,

L'IMPRIMERlE 11'1.

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Fig. 10.1. Frontespizio della Editio Princeps dell' Histoire Naturelle di Buffon.

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biblioteca anche privata di una celta consistenza e tradizione che non contenga un Buffon. Le ragioni di tale popolarità sono da ricercarsi sia nel linguaggio elegan­ tissimo e scorrevole che Buffon utilizza, accessibile anche ad un pubblico non specialista ma di media cultura, sia soprattutto nel suo approccio allo studio della natura, totalmente diverso da quello del suo contemporaneo Linneo: l'identificazione e la classificazione sono l'ultima delle sue preoc­ cupazioni. Egli privilegia il discorso monografico, la trattazione esauriente di tutti gli aspetti relativi ad ogni specie o gruppo di specie di cui si occupa. Dal punto di vista tassonomico, è opportuno sottolineare che, almeno nel periodo iniziale, Buffon affronta il problema specie da posizioni oppo­ ste a quelle di Linneo e dei linneani, anche in modo alquanto polemico. Mentre infatti Linneo privilegia pochi caratteri "essenziali" e spesso un singolo carattere diagnostico, opta cioè come si è detto per una ponderazio­ ne differenziale ante litteram, Buffon sostiene la necessità di analizzare e prendere in considerazione tutti gli attributi del!' oggetto in studio, inclusa la sua bionomia e la distribuzione geografica. Da un lato !' approccio di Buffon si potrebbe considerare null' altro che la riedizione delle vedute di naturalisti rinascimentali come Aldrovandi e Gesner, o magari di quelle di Plinio, che organizzavano il sapere naturaUstico in funzione della fruizione dei loro trattati molto più che di considerazioni teoriche. Linneo invece aderisce alla logica classica e tomistica (almeno in linea di principio, in quanto, come si è visto, la sua prassi classificatoria era poi molto meno rigida) ed è pervaso dallo "spirito di sistema". In realtà Buffon non è privo di retroterra teorico in sistematica, ma, fortemente influenzato da Newton e Leibniz, ritiene almeno nella fase iniziale del suo pensiero che le unità della classificazione siano funzione del potere di risoluzione del naturalista, e di conseguenza che soltanto gli individui siano dotati di esistenza reale. Da ciò il suo apparente nominalismo. Ben presto però Buffon modifica le sue concezioni, considerando le specie entità costanti, invariabili e ben delimitate. Secondo alcuni autori, aderisce così al concetto essenzialistico di specie. Ciascuna specie è carat­ terizzata da una "forza" intrinseca ("moule intérieur") che ne determina l'assetto fisico. Secondo altre interpretazioni, che riteniamo più aderenti al pensiero di Buffon, questi ammetterebbe la realtà della specie su una base molto più moderna, quella genealogica. La specie sarebbe per Buffon un'entità stolica che si mantiene attraverso il tempo tramite la riproduzione. Il moule intérieur va quindi visto non come una qualche forza dalle conno­ tazioni più o meno vitalistiche, ma come la manifestazione visibile dei rappolti di derivazione fra generazioni successive. Questo concetto di specie ha delle evidenti connotazioni biologiche, molto più vicine alle

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BUFFON E LA DIMENSIONE STORICA NELLE SCIENZE NATURALI

Capitolo lO

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Fig. 10.2. Frontespiziodi una rielaborazione dell' HisLOire Naturelle di Buffon edita in forma anonima a Venezia nel 1834.

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concezioni teoriche attuali di quanto non lo fossero quelle dei linneani. Occorre però sottolineare che Buffon, nel prosieguo della sua opera, modi­ ficò ulteriormente le sue concezioni, e che la loro comprensione non è così ovvia senza tener conto dell 'uso alquanto disinvolto che egli fa dei termini "specie" e "genere". Non è immediato capire il suo pensiero, quando egli sostiene che le "specie" dei climi tropicali, in particolare del Nuovo Mondo, derivano per un processo degenerativo da quelle del Vecchio Mondo, e che lo stesso clima fa nascere ovunque le stesse "specie". Allo stesso .modo, appare molto enigmatico il passo in cui sostiene che l'uomo può modificare le "specie" domestiche sino a trasformarle in altre "specie". L'elemento chiarificatore risiede in un aspetto della sua concezione di genere: infatti, mentre spesso - almeno in apparenza - riserva tale termine a classi veramen­ te sopraspecifiche, utilizzandolo cioè in un' accezione più tradizionale, quando approfondisce il discorso appare chiaro che il suo "genere" raggrup­ pa in realtà entità che differiscono morfologicamente, ma che sono unite sia dalla interfertilità che dalla comune ed esclusiva genealogia. In pratica cioè il genere buffoniano è, come rilevato in studi recenti, un ghén.os biologico, cioè una vera specie, che può comprendere delle sottounità morfologiche. Queste, indipendentemente dal fatto che egli spesso le chiami specie, possono essere considerate morfotipi o al massimo sottospecie. In questa ottica risulta quindi chiaro che le "specie" tropicali che derivano per influenza del clima da quelle del Vecchio Mondo temperato non sono realmente specie, ma manifestazioni locali di una specie unica. Anche in questo aspetto l'approccio tassonomico di Buffon differisce radicalmente da quello di Linneo. Questi infatti, partigiano della discriminazione e dell' unitarietà dei "tipi", vedeva le varietà come fenomeni accidentali di cui il sistematico doveva tenere poco o nessun conto. Per Buffon la "variété" è qualcosa di più, e soprattutto di più interessante per il naturalista: è una linea genealogica che pur non separandosi nel quadro della specie, ha una sua individualità storica e spesso geografica ed ecologica. Le categorie superiori invece lo interessano molto poco, e l'uso che egli fa di termini come ordine e famiglia, è spesso tutt' altro che rigoroso e uniforme attraverso la sua opera. In realtà ciò deriva dal fatto che Buffon considerava poco adeguata l'applicazione di categorie logiche alla realtà dei viventi, al di là dei risvolti pratici della classificazione. Buffon critica ogni sistema classificatorio in quanto tale, non solo le insufficienze di quello linneano. Critica in particolare la pretesa di introdur­ re i metodi delle scienze fisiche, soprattutto quantitati vi, nelle scienze naturali, e sostiene che "bisogna essere naturalisti filosofi e non semplici nomenclatori", dove per nomenclatori intende i sistematici puri. Il loro errore secondo Buffon è "il volere sottomettere le leggi della natura a leggi

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BUFFON E LA DIMENSIONE STORICA NELLE SCIENZE NATURALI

Capitolo lO

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Fig. 10.3. Una tavola del primo volume dell' opera il cui frontespizio è riprodotto in Fig. 10.2. Il testo che le si riferisce riporta fra l'altro, citando il pensiero di Buffon, che: "il bissante d'America potrebbe provenire originariamente dal bissante d'Europa. L' urus o l' aurochs è il nostro toro comune nel suo stato naturale e selvaggio. Per ultimo il bissante non differisce dall' aurochs che per qualche varietà accidentale, e, conseguentemente, esso è, del pari che \' aurochs, della stessa specie del bave domestico; di modo che crede poter ridurre a tre tutte le denominazioni e tutte le sottoposte specie de' naturalisti tanto antichi che moderni, cioè a quelle del bave, del bufalo e del bubalo".

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arbitrarie, voleri a dividere là dove essa è indivisibile e misurare le sue forze con la nostra debole immaginazione". L'alternativa che propone è descri­ vere senza preconcetti. Ed è forse da questo atteggiamento che Buffon intuisce la necessità di passare da una classificazione discendente ad una ascendente, per raggruppamento, quando sostiene la classificazione per ispezione: "raggruppare cose che si assomigliano e separare cose che differiscono l'una dall'altra". Sulla base della distinzione chiarita da Leibniz tra "ordini" astratti e concreti, Buffon rifiuta comunque la categorizzazione della storia naturale, almeno al di sopra del livello specie: sottolinea la necessità di distinguere ciò che è reale da ciò che è imposto arbitrariamente all'oggetto quando lo si prende in considerazione. Questa distinzione tra astratto e reale è alla base dell'attacco di Buffon alla tasso nomi a e, nel particolare, alla tassonomia linneana. Buffon tuttavia non sostiene che la classificazione sia totalmente arbitraria, ma afferma che i taxa debbano essere chiaramente distinti: le entità astratte create dalla ragione umana, utili se mai per fini puramente pratici, e, in contrapposizione, le entità reali nella successione del tempo e dello spazio, che come si è visto sono per lui soltanto le specie. Questa continuità nel tempo della specie è uno degli aspetti più importanti e innovati vi del pensiero di Buffon. Egli non è un protoevoluzionista, come alcuni hanno voluto, ma pone un'importantissima premessa all'evoluzioni­ smo introducendo la dimensione storica, e biogeografica, nella discussione sui criteri di classificazione. Questa visione dinamica della natura, legata alla "scoperta del tempo", si esprime anche nelle idee di B uffon sulla storia della Terra: queste, per quanto fossero poco accurate nei particolari, ebbero il grande merito di riaprire la questione dell'interpretazione del racconto biblico, che pochi (fra cui va ricordato almeno il secentista Isaac de la Peyrière) avevano osato sollevare direttamente negli ultimi secoli. Le più accurate e recenti analisi dell'opera di Buffon hanno messo in luce come in realtà egli sia stato un pensatore molto più profondo di quanto non lo si sia considerato tradizionalmente. Buffon non fu soltanto l'autore di una bella enciclopedia zoologica; egli giunse concettualmente alle soglie dell' evoluzionismo, ed in particolare alle soglie della concezione che si esprimerà poi con il suo allievo Lamarck dell' esistenza di relazioni di derivazione fra le specie. Leggendo certi passi dell' Histoire Naturelle ci si stupisce che egli non abbia varcato quelle soglie. La spiegazione è proba­ bilmente molto complessa, ma forse non ne è estranea la storia personale di Buffon, gran borghese e poi gentiluomo, che aveva vissuto personalmente un trasformismo, un'evoluzione sociale e che non poteva di conseguenza condividere nell' intimo la rigida e pretesa immutabile divisione in classi della società del suo tempo, e più in generale, non poteva condividere una

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Capitolo lO

BUFFON E LA DIMENSIONE STORICA NELLE SCIENZE NATURALI

visione statica del mondo e della natura. D'altra parte però, appartenendo ormai all'aristocrazia dominante, non era forse così interessato ad attribuire al fenomeno trasformista il valore di principio generale. L'anno dopo la sua morte, come è noto, le cose cambiarono radicalmente. La critica che Buffon porta, a volte anche polemicamente, a Linneo e ai sistematici del suo tempo, si inserisce in una tendenza diffusa soprattutto in Francia, che reagiva alla tassonomia linneana essenzialmente perché la considerava frutto di una visione riduttiva della storia naturale, e in parti­ colare della zoologia. È indubbio che la classificazione, e molto più la nomenclatura linneana ebbero grande successo, ma non mancarono le critiche anche di molti naturalisti sistematici, che ritenevano che il sistema di Linneo contenesse molti elementi artificiali. Buffon considera lo schema di Linneo poco sensato perché raggruppa nella stessa classe organismi (vegetali o animali) assolutamente differenti secondo i suoi criteri tassono­ mici. In armonia con la visione della scienza francese contemporanea, Buffon si concentra sulla comprensione della "diversità" naturale, piuttosto che afferrarsi come Linneo a quegli aspetti, giudicati frammentari e isolati, che possono facilitare l' dentificazione e che vengono attribuiti ad una scarsamente definibile "essenza". Ogni classificazione basata su caratteri essenziali e che dà origine ad una gerarchia di classi non rispecchia secondo Buffon l'ordine della natura (come presume Linneo), ma soltanto un ordine arbitrario imposto dalla mente umana. Inoltre, l'errore di Linneo è giudicato un errore filosofico, quello di ritenere che una gerarchia di concetti astratti possa ben applicarsi ad un mondo che contiene solo individui concreti. Nelle pagine precedenti abbiamo sottolineato però come Linneo fosse caduto in tale elTore molto più in apparenza che in realtà. In ogni modo, il dibattito fra sistematici puri e naturalisti più eclettici fu assai vivo, durante buona parte del Settecento, in particolare quello sulla arbitrarietà o meno delle categorie sistematiche, soprattutto quelle sopraspecifiche, benchè fosse viziato dalla mancanza di un vero criterio scientifico per discriminare fra gruppi "naturali" e gruppi artificiali. Con l'enunciazione delle prime teorie evoluzioniste coerenti il dibattito assunse connotazioni più precise.

Fig. 10.4. Lo scoiattolo come è raffigurato nell' Editio Prince?s di Buffo~. Si noti come, coerentemente con le idee dell'autore, l'animale è raffigurato In una pOSlZlone naturale ed è inserito nel suo ambiente, descritto con ricchezza di particolari.

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Capitolo Il

IL TRASFORMISMO DI LAMARCK

Jean Baptiste de Monet, cavaliere di Lamarck - anche se a partire dalla Rivoluzione e per tutto il resto della sua vita preferì chiamarsi "le citoyen Lamarck" - nacque nel 1744, undicesimo figlio di un piccolo gentiluomo di campagna di scarse fortune. Secondo l'uso tradizionale, fu avviato alla carriera ecclesiastica, che per motivi circonstanziali abbando­ nò per arruolarsi nell'esercito. Il precoce congedo a seguito di una ferita lo ridusse ad una condizione di vera povertà per un periodo abbastanza lungo, durante il quale esercitò mestieri diversi, intraprendendo allo stesso tempo studi di medicina. Una personale curiosità naturalistica, forse in­ crementata dagli stretti rapporti tra la medicina (almeno per quanto con­ cerne la farmacologia) e la botanica, lo spinse allo studio delle piante. In campo botanico il suo lavoro principale, Flore Françoise del 1779 (fig. 11.1), è un' opera essenzialmente sistematica. Questa gli valse l'appoggio del de Jussieu, e quindi quello di Buffon. Alla morte di quest'ultimo, nel 1788, Lamarck ottenne un impiego stabile presso il J ardin du Roi. L'anno dopo però la Rivoluzione riduce drasticamente i finanziamenti delle isti­ tuzioni scientifiche e culturali e i loro organici; Lamarck conserva il posto per un puro caso, e nel 1793, in pieno Terrore, viene promosso professore di Zoologia degli invertebrati in quello che era diventato il Muséum Na­ tional d'Histoire Naturelle. Tale promozione non deve essere imputata ad alcuna manovra politica di Lamarck - che purtuttavia aveva sinceramente aderito alle idee rivoluzionarie, tanto che restò per tutta la vita un giaco­ bino, anche con Napoleone - ma semplicemente alla necessità che quella cattedra, che come molte altre già occupate da oppositori politici era rimasta vacante, non restasse scoperta. Il botanico Lamarck quindi diven­ ne zoologo a tempo pieno. In tale campo le sue opere principali sono senza dubbio Philosophie zoologique (1809) e Histoire naturelle des ani­ maux sans vertèbres (7 libri, 1815-1822), la cui ultima parte fu pubblicata quando già la cecità, nel 1819, lo aveva costretto ad abbandonare il Mu­ seo, dieci anni prima della morte.

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IL TRASFORMISMO DI LAMARCK

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Va sottolineato non soltanto per senso di giustizia, ma anche per pene­ trare nel pensiero di Lamarck, che egli fu per tutta la vita uno spirito libero, che rifiutò sempre il compromesso e l'opportunismo. Ciò gli valse l'ostilità di molti personaggi potenti dell' ambiente accademico francese che si veni­ va consolidando nel primo' 800 (fra questi Laplace e Cuvier, che era stato suo allievo) e non soltanto di quello: è noto l'episodio di Lamarck che presenta all' imperatore una copia della sua Philosophie Zoologique nel corso di una riunione delI'Institut National de France, e Napoleone lo umilia pubblicamente. Gli interessi scientifici di Lamarck furono molteplici: a parte la sua opera di primo teorico dell' evoluzione e i lavori di botanica cui abbiamo già accennato, egli si occupò di vari aspetti della zoologia (aveva radunato fra l'altro una ricchissima collezione malacologica) nonchè di fisica, di chimi­ ca, di mineralogia e di geologia. È importante sottolineare alcuni punti del pensiero di Lamarck che non riguardano direttamente nè l'evoluzionismo, nè il suo approccio alla tasso­ nomia. Tali aspetti infatti, come hanno messo in evidenza numerosi studio­ si, sembrano rappresentare punti di partenza importanti da cui egli prese la mosse per le sue più note elaborazioni teoriche. Fra questi le sue idee in chimica. Tra il 1793 e il 1799, in opere diverse, egli si oppose alle teorie di Lavoisier e di Fourcroy; in particolare, rifiutò l'ipotesi dell' esistenza di un numero fisso e limitato di composti per sostenere la variabilità continua, qualitativa e quantitativa, delle sostanze chimiche. E questo, nel tentativo di rivalutare antiche ipotesi alchimistiche. Per quanto riguarda la geologia è opportuno ricordare che, benchè non per primo, egli fu convinto che la storia della terra fosse molto più lunga e la sua origine molto più remota di quanto non fosse stato comunemente ritenuto sino a poco tempo prima. E a questo proposito scrive: " ... quanto sono piccole le idee di quelli che attribuiscono a questo globo un' esistenza di seimila e più anni dalla sua origine ai giorni nostri". L'anticlericalismo giacobino emerge ancora una volta! Nell' ambito delle scienze della vita Lamarck è noto soprattutto come il primo biologo evoluzionista. In realtà egli non fu affatto il primo ad affermare che la vita è soggetta a un divenire storico, che implica successivi cambiamenti nelle caratteristiche delle singole specie, e neppure, a rigore, egli fu il primo a ritenere che le specie viventi possano essere legate da rapporti di parentela. Qualche idea di tipo trasformi sta è riconoscibile in al-Biruni (cfr. cap. 5) e più in generale nel pensiero dei filosofi arabi dell' epoca. Autori recenti hanno messo in evidenza come anche nella filosofia orientale siano ricono­ scibili elementi concettuali che si richiamano al1' idea del divenire dei

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viventi nel tempo e della loro trasformazione. Secondo Chuang Tsu, filo­ sofo cinese del IV secolo a.c., una serie complessa di trasformazioni, causate anche da fattori che potremmo definire ecologici, legherebbe un gran numero di forme sia animali che vegetali, da certi "germi" all'uomo attraverso piante, farfalle, uccelli, quadrupedi (cfr. fig. 11.2). Anche duran­ te il periodo cinese classico (VI - III secoli a.c.) si possono riconoscere, almeno nell' opera di Xunzi, elementi dell' idea di trasformazione delle specie attraverso il tempo. Vale ricordare infatti che Xunzi (nato attorno al volgere del IV secolo a.c. e morto fra il 235 e il 230 a.c.) sostiene che i viventi possono assumere nel tempo forma diversa, senza che questo ne faccia "realtà" diverse. È estremamente interessante il fatto che egli ricorra all'esempio del bruco e della farfalla adulta che da esso deriva, dell' essere umano giovane e dell'anziano che questi diventa, e utilizzi tali esempi per discutere quelle trasformazioni che la "realtà" specifica subisce attraverso il tempo, senza per questo cessare di essere un'unica "realtà". Riteniamo

Fig. 11.2. Le trasformazioni dei viventi secondo la visione di Chuang Tsu. Benché tale visione del mondo , come in molte culture orientali, ammetta successive trasformazioni di organismi in altri, è da notarsi che il suo andamento non è in realtà lineare: la tappa finale di questa serie infatti, l'uomo (la figurina numero 16), ritornando alla terra, rientra in un grande schema ciclico. (Secondo Kawakatsu et al. , da Papavero et al., 1995).

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IL TR ASFORMISMO DI L AMARCK

non assurdo ritrovare in questo aspetto del pensiero di Xunzi non soltanto un germe di idea di evoluzione, per lo meno anagenetica, ma anche quel concetto di specie come entità storica e individuale che, presente ma misconosciuto già all'inizio del Novecento nelle concezioni di Daniele Rosa, ha avuto uno sviluppo di eccezionale importanza negli ultimi venti anni grazie all'opera di Michael Ghiselin e David BuI!. E tutto sommato, magari a livelli impliciti, l'idea della trasformazione e della moltiplicazione delle specie nel tempo si mantiene in tutta la storia della biologia: persino il gesuita Athanasius Kircher, in pieno Seicento, scrive: "Sunt ipsae species

se l11.ultiplicantes, juxta il/ud divinul11. preceptul11.: crescite et l11.ultiplical11.ini et replete terral11." (Arca Noe in tres libros digesta ... , 1675)*. Ciò che invece è indiscutibile è che nessuno aveva sviluppato una teoria coerente dell'evoluzione, in termini causali, come fece Lamarck. In accordo con la sua visione del mondo, che lo faceva progressi sta in politica e sostenitore (a torto, tuttavia) della variabilità qualitativa e quan­ titativa dei composti chimici in netta opposizione alle teorie di Lavoisier, Lamarck non può condividere il concetto statico di specie di Linneo, soprattutto alla luce dell'idea - già degli enciclopedisti - di equilibrio dinamico e dialettico fra gli organismi (di cui sostiene la variabilità, consi­ derandola caratteristica fondamentale dei viventi) e le condizioni ambien­ tali continuamente mutevoli. L' evoluzionismo di Lamarck nasce sostan­ zialmente dal suo radicale rifiuto ad ammettere un ordine immutabile, sia in ambito sociale che in natura. In quest' ottica egli interpreta i fossili come testimonianze di antiche vicende di modificazione della crosta terrestre e documenti della trasformazione dei viventi nel lungo volgere dei secoli. Anche questa idea peraltro non era del tutto nuova: già pensatori greci classici come Senofane ed Eratostene, e per certi aspetti lo stesso Aristotele, avevano considerato i fossili come resti di antichi organismi viventi, in genere marini, pietrificatisi a causa di fenomeni diversi, fra cui la sedimen­ tazione in territori che successivamente il mare aveva lasciato allo scoperto. Più tardi anche autori islamici affrontano il problema (cfr. cap. 5). Durante il Medioevo cristiano diversi autori si occuparono dei cosiddetti "lapides figurati", attribuendoli di volta in volta o a opera diabolica, o alla manife­ stazione del potere di Dio. Alcuni ritennero invece che non si trattasse che di effetti del tutto casuali di una qualche forza della natura, di "scherzi della natura" . E l'espressione è ancora in uso ai nostri giorni, anche se ha assunto connotati alquanto dispregiativi. Queste interpretazioni dei fossili , a dir

;, "Le spec ie stesse si moltiplicano. secondo il precetto divino : crescete e moltiplicatevi e riempite la Terra".

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Capitolo J J

poco curiose, assieme ad altre ugualmente cervellotiche che ritenevano i fossili pietre cadute dal cielo, si mantennero fino a tutto il '700. Soltanto pochi studiosi particolarmente critici affrontarono il problema in modo scientifico. Fra questi Leonardo da Vinci, che sostenne che i fossili sono resti di animali e piante pietrificatisi a causa di fenomeni naturali. Egli si spinse sino a chiedersi i motivi della presenza nelle rocce di montagne, anche di rilevante altezza, di fossili di organismi chiaramente marini, e a discutere su tali basi la biblica "universalità" del diluvio. Partendo dalle premesse cui abbiamo fatto cenno, Lamarck elabora un'interpretazione teorica dei meccanismi causali che producono gradual­ mente la separazione e la divergenza degli organismi viventi nel tempo e nello spazio. Ritiene che tali meccanismi siano riconducibili a due ordini di fattori. Il primo è la tendenza intrinseca dei viventi a "perfezionarsi", ossia, ad evolvere per cause interne. È importante sottolineare che, al di là di ogni interpretazione superficiale dellamarckismo, tali "cause interne" non hanno per Lamarck nulla di metafisico, ma sono una conseguenza della complessità dell' organizzazione della vita stessa. In termini attuali potremmo sostenere che Lamarck, in una visione olistica del vivente, considera la sua tendenza a realizzare una complessità crescente come una "proprietà emergente". Il secondo meccanismo, il più famoso, ma anche quello più spesso travisato in letteratura - è quello dell' acquisizione individuale di caratteri ereditabili. In realtà però esiste una certa confusione sul significato origina­ le, lamarckiano, del concetto di eredità dei caratteri acquisiti. Secondo le più recenti, accurate interpretazioni, Lamarck sostiene che modificazioni dell'ambiente provocano cambiamenti comportamentali a livello indivi­ duale. Tali cambiamenti sarebbero responsabili di modificazioni strutturali ereditabili (il celebre principio dell'uso e del disuso di un organo, che ne provocano lo sviluppo o l'atrofia). Un mutamento dell'ambiente farebbe insorgere nell'organismo nuovi bisogni, stimolando una risposta motoria. I "fluidi" dell'organismo si diri­ gerebbero quindi verso il punto del corpo dove possono esplicare un'azione adatta a soddisfare quel bisogno. Con la ripetizione meccanica degli stessi atti, dovuta al perdurare degli stimoli ambientali, verrebbe così sviluppato un organo già esistente o addirittura se ne produrrebbe uno nuovo. Il disuso al contrario provocherebbe la regressione degli organi, causandone la scom­ pars~ o la riduzione ad una condizione vestigiale. L'adattamento (Lamarck, evidentemente non usa questo termine) risulterebbe così dall' interazione tra i fluidi interni dell' organismo e 1'ambiente. Per Lamarck la variazione è quindi un adattamento attivo dell'organismo alle mutate condizioni am­ bientali. È importante notare che, a differenza di quanto sosterrà Darwin, ogni variazione è per Lamarck adattativa.

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IL TRASFORMISMO DI LAMARCK

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Fig. 11.3. Il meccanismo lamarckiano dell' eredità dei caratteri acquisiti, reinterpretato modernamente. I cerchi rappresentano singoli organismi, in cui si distingue la frazione somatica (in chiaro) e quella germinale (ombreggiata). Lo stimolo ambientale produrrebbe un effetto sulla frazione somatica, che a sua volta determinerebbe un' omologa modifica­ zione nella linea germinale; questa verrebbe così trasferita alla prole, riproducendo quindi in essa la modificazione somatica (modificato da Jablonka e Lamb, 1995).

Benchè questo aspetto della teoria di Lamarck sia stato a lungo criticato e a volte ridicolizzato, è bene ricordare che gli attuali sostenitori dell' eredità epigenetica hanno rivalutato tali concezioni, affermando la possibilità di un' influenza dell' ambiente sul DNA della linea germinale, mediata dagli effetti dell'ambiente stesso sulle strutture somatiche (fig. 11.3). È evidente che la visione evoluzionistica di Lamarck si Iiflette anche sulle sue concezioni tassonomiche. La tassonomia lamarckiana della matu­ rità infatti nega la concezione che un ordine gerarchico regga 1'insieme delle creature, a testimonianza dell' esistenza di una intelligenza creatrice e delle direttive dell'Onnipotente. Egli giunge ad affermare l'universale pa­ rentela dei viventi: per Lamarck lo studio delle affinità è lo strumento principale per il progresso della scienza naturale. Su tale base stabilisce che i rapporti fra le varie categorie della sistematica, botanica e zoologica, corrispondono ad una sorta di albero genealogico (figg. Il.4 e Il.5; ulte­ riore discussione nelle didascalie), e non più a quella "scala"di organismi concatenati da una perfezione crescente che, nata con la filosofia greca classica, si era mantenuta con alterne fortune fino al XVIII secolo. Anche quella visione dei rapporti fra le specie basata su relazioni di contiguità, come quelle che intercorrono fra luoghi diversi disegnati su una mappa, che permeava la tassonomia di Linneo, viene ad essere accantonata. Fra i numerosi importanti risultati ottenuti da Lamarck in sistematica, è doveroso ricordare almeno che risale a lui la distinzione moderna tra vertebrati e inveltebrati. Questa, benchè criticata e criticabile (è ovvia oggi la debolezza della contrapposizione tra una classe monofiletica, i Vertebra­

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IL TRASFORMISMO DI LAMARCK

Capitolo Il

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De quelque manière que l'on s'y prenne, je SU~5 persulldé que jllmais on ne parviendra, dans la sérle Fig. 11.5. In questo schema Lamarck riassume la sua concezione della filogenesi degli invertebrati, combinandola con le categorie sistematiche generali riportate nella figura precedente (tratta dalla stessa opera). Si noti come, al di là della grafica resa complessa dall'uso alquanto grossolano delle parentesi, la rappresentazione della filogenesi degli invertebrati (i vertebrati sono soltanto giustapposti) abbia l'andamento di un albero, benché rovesciato.

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Capitolo 11

Capitolo 12

IL CREAZIONISMO DI CUVIER ti, e l'enorme raggruppamento parafiletico degli Invertebrati, definito in base all'assenza di un carattere), almeno per fini pratici è tuttora in uso. Dal punto di vista metodologico è importante sottolineare come l'uso di tabelle dicotomiche per l'identificazione fu introdotto per la prima volta da Lamar­ ck nella Flore Françoise. Infine, è forse utile ricordare, benché si tratti di un aspetto che non presenta implicazioni tassonomiche dirette, che Lamarck per primo intro­ dusse il termine "Biosfera" ed una prima definizione di tale concetto.

Georges (Leopold Frédéric Chrétien Dagobert) Cuvier nacque nel 1769 nell' antica Franca Contea, un territorio politicamente e culturalmente di transizione fra il mondo francese e quello tedesco. All'epoca la Franca Contea dipendeva dal Ducato di Wiirttemberg, e ospitava molti francesi di religione riformata, come la famiglia Cuvier. Una rigida educazione prote­ stante non fu certamente estranea alla visione del mondo, analitica estatica, che caratterizzò il suo pensiero, e neppure alla sua ferrea volontà di ascesa sociale ed~conomica. La sua formazione culturale fu essenzialmente tedesca, soprattutto quel­ la superiore, alla Karlsschule di Stoccarda, dove gli furono impartiti sia corsi di tipo naturalistico che di ambito amministrativo e burocratico. Questi ebbero una grande influenza nel formare quella mentalità di studioso di grande scrupolo e metodicità che caratterizzò tutta la sua opera. Le vicende della Rivoluzione colgono il giovane Cuvier in Normandia, precettore del figlio di un castellano. E probabilmente anche l'ambiente e la regione in cui trascorse sette anni, quell'angolo di Francia dove alle istanze liberali e progressiste della Rivoluzione si rispondeva con la guer­ riglia dei Chouans, monarchica e sanfedista, contribuirono a consolidare in Cuvier un approccio non precisamente disponibile alle idee di evoluzione che nel frattempo maturavano, soprattutto con Lamarck. Studi naturalistici condotti in quell' epoca con un altro rifugiato, l'Abate Teissier, gli valsero, passato il Terrore, la possibilità di entrare al Muséum National d'Histoire Naturelle e di ottenervi bèn presto la cattedra di Anato­ mia Comparata. Da quel momento la carriera di Cuvier fu una continua, brillante ascesa, accademica e sociale, che attraversò senza problemi la Repubblica, il Consolato, l'Impero, la Restaurazione. Alla fine della sua vita, nel 1832, egli era barone, Pari di Francia, varie volte accademico, e le cariche che aveva ricoperto andavano dal Consiglio di Stato alla "Direzione dei culti dissidenti", alla Cancelleria della Pubblica Istruzione e così via. Come ricorda un acuto storico italiano della biologia, il Dictionnaire des Girouettes,

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Capitolo 12

ossia delle banderuole, dopo i Cento giorni di Napoleone gliene attribuÌ ben quattro; il suo opportunismo, comunque, fu sempre ricompensato. Al di là di ogni pettegolezzo, tuttavia, Cuvier fu uno scienziato di prim'ordine, benchè non abbia mai capito - secondo alcuni, non abbia mai voluto capire - la portata del pensiero evoluzionistico, cosa che lo fece molto presto oppositore inconciliabile di Lamarck. Il suo principale, ma non esclusivo, campo di interesse furono i verte­ brati, attuali e fossili. Della sua enorme produzione occorre ricordare almeno le opere seguenti:

IL CREAZIONISMO DI CUVIER

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Mémoires sur la structure interne et externe, et sur les affinités des animaLlX aLlXqUelS on a donné le nom de vers (1795) Leçons d'Anatomie Comparée (5 volumi 1800-1805) Sur un rapprochement à établir entre les différentes classes des ani­ maux(l8l2) Recherches sur les ossemens fossiles des quadrupèdes (1812) Le règne anùnal distribué d'après son organisation (1817) Histoire naturelle des poissons (1828-1849, completata dopo la morte di Cuvier da Valenciennes e da Duméril) . L'importanza del pensiero di Cuvier nello sviluppo della biologia è legata soprattutto al suo approccio metodologico e ai risultati che ottenne nel campo del!' anatomia comparata (fig. 12.1), al cui studio dette un' im­ pronta che perdura a tutt' oggi. Per quanto riguarda la sistematica invece, benchè molti dei suoi schemi classificatori siano, almeno a grandi linee, ancora validi, la sua impostazione tassonomica è del tutto superata, almeno per quegli aspetti direttamente legati al suo creazionismo fissista. Cuvier sviluppa una serie di argomentazioni contro il trasformismo di Lamarck e dei suoi seguaci, che si fondano sulle considerazioni seguenti. Anzitutto, il problema tempo: egli considera la perfetta identità dei caratteri delle mummie degli Ibis egiziani, portate in Francia dalla spedizione napo­ leonica, con quelli contemporanei, come prova inoppugnabile dell'invaria­ bilità delle specie. All'opinione di Lamarck, che sostiene l'irrilevanza in termini evolutivi di poche migliaia di anni, oppone una cronologia delle età della Terra (più strettamente biblica) che non permette i tempi necessari per i lentissimi processi della graduale trasformazione lamarckiana delle spe­ cie. La variazione, sia quella naturale che quella indotta dall' uomo su piante coltivate e animali allevati, si limita a produrre, o a far prevalere, caratteri "secondari", esterni (e la predilezione di Cuvier per le caratteristiche ana­ tomiche è palese in tutta la sua opera). L'effetto di tutto ciò è la comparsa di varietà e non di specie nuove. Per di più, si tratta di entità effimere, che tendono a scomparire quando le popolazioni ritornano allo stato selvatico. Nessuna di tali "varietà" osservabili raggiunge una differenziazione tale da

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Fig. 12.1. La parte iniziale di una delle tabelle delle Leçons d'Anatomie Comparée, dove Cuvier confronta la struttura dei polmoni dei principali gruppi di Mammiferi .

di ventare sterile nei confronti delle altre, e quindi da comportarsi come una nuova specie (si noti come anche questo ragionamento è condizionato dalla ristretta visione cuvieriana del tempo).

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• ORDINANDO LA NATURA -

IL CREAZIONISMO DI CUVIER

Capitolo 12

Il problema dei fossili, sui quali Cuvier aveva conoscenze approfondite e dirette (fig. 12.2), viene affrontato elaborando una teoria, quella delle catastrofi, non originale (basti pensare al Diluvio biblico, e agli eventi simili riportati in numerosi miti cosmogonici), ma che egli s:ilup~ò estes~m~nte. Cospicue modificazioni ambientali, rendendo inadatti molti organismi, ne provocano l'estinzione, e non la trasformazione, che richiederebbe ancora una volta tempi troppo lunghi perchè il Cuvier li potesse ammettere. Quest~ aspetto è reso ancora più evidente dall'an~ament? .ciclico d~g~i e,:,entl catastrofici, geograficamente più o meno clrcoscnttl, che egli Ipotlzza; tuttavia, tale visione della storia della vita non lo porta ad immaginare una (eterodossa!) successione di creazioni postcatastrofiche: queste saranno appannaggio, pochi anni dopo, di Alcide d'Orbigny, ch.e ~e des~rive~~ allegramente un gran numero, tutte seguite da nuove creaZIOni. Cuvler, plU coerentemente, si era limitato a supporre fenomeni di ripopolamento per

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Fig. 12.2. Lo scheletro fossile di un "rettile volante dei dintorni di Aichstedt, che alcuni naturalisti hanno scambiato con un uccello, e del quale formiamo un genere di Sauri, sotto il nome di Pterodattilo". Da Cuvier, 1812, Recherches sur les ossemens fossi/es de quadrupèdes.

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dispersione. Questi, in un'altra ottica, saranno molto più tardi il cavallo di battaglia della biogeografia evoluzionista darwiniana e neodarwiniana. La visione creazionista e fissista di Cuvier ne condiziona tutta l'opera, anche in campo sistematico. Da un punto di vista generale, per Cuvier ammettere l'evoluzione implicherebbe vanificare il lavoro sistematico e più in generale le ricerche naturalistiche: egli asserisce infatti l'impossibilità di classificare oggetti in continuo divenire, e addirittura di studiarli. Condizio­ ne per l'esistenza delle specie come entità reali e distinte è la loro stabilità. Inoltre, egli si dichiara nettamente empirista, affermando che il naturalista deve lavorare sui fatti, senza indulgere alle speculazioni. Questo preteso atteggiamento, vale notarlo, è in contraddizione con tutta l'opera di Cuvier che, essendo un vero scienziato, non si limitò a osservare e descrivere "fatti", ma ne intraprese sempre un'interpretazione in termini causali. Ciò vale per quanto abbiamo accennato sulle sue idee in paleontologia, ma anche per la sua opera di anatomo comparato e di sistematico. Nella fase iniziale, la sua opera sistematica non presenta alcun elemento innovativo rispetto ai principi aristotelici, dal punto di vista concettuale. La sua è ancora una classificazione discendente ottenuta attraverso un processo di suddivisione. È ancora presente la ricerca dell '''essenza'' e dei caratteri "essenziali", secondo un approccio di tipo linneano. Tuttavia, mentre Lin­ neo ricercava soprattutto uno schema di organizzazione ed identificazione degli esseri viventi, Cuvier - che non amava la speculazione! -è soprattutto interessato alla tassonomia, alla classificazione ma principalmente ai suoi criteri informatori. La sistematica linneana si avvaleva, ovviamente, dello studio dei caratteri, ma questi venivano presi in considerazione singolar­ mente, come avulsi dal contesto biologico di cui sono parte. Questo atteg­ giamento, riduzioni sta non soltanto da un punto di vista metodologico, ma anche concettuale, era stato già criticato più o meno implicitamente da Buffon, che dissentiva radicalmente da tale approccio "atomistico". In realtà la paternità di questa concezione non è esclusiva di Buffon - d'altra parte è raro che idee di grande portata nascano improvvisamente, almeno in forma organica e più o meno compiuta. Abbiamo accennato in precedenza che persino Linneo, campione della classificazione per suddivisione, basata sull'uso di caratteri "essenziali", in realtà operava in modo non del tutto coerente con i principi tassonomici a cui dichiaratamente si ispirava. Il problema dell'irriducibilità di taxa palesemente "naturali" (almeno a livello intuitivo) a gruppi definiti da uno o pochi caratteri comuni ed esclusivi, "essenziali" cioè, era già sentito dallo stesso Aristotele, come abbiamo avuto occasione di rilevare in precedenza. In tempi più vicini a quelli di cui ci stiamo occupando, già alla fine del XVII secolo, autori come John Ray, 1. Pitton de Tournefort e altri avevano elaborato classificazioni

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Capitolo 12

fondate su un numero abbastanza elevato di caratteri, e soprattutto non si erano peritati di includere in un dato gruppo anche elementi subordinati che non possedessero tutti i caratteri ritenuti descrittivi del gruppo stesso. Nel 1689, nell' opera Prodromus historiae generalis plantarum, in quo familiae plantarum per tabulas disponuntur, P. Magnol (1638-1715) sosteneva esplicitamente la necessità in sistematica dell'uso dei caratteri di tutte la parti delle piante, affermando per di più l'ineffabilità di quella affinità fra le piante "che non sta nelle parti considerate separatamente, ma nel loro insieme". L'approccio basato su quella che, nel nostro secolo, sarà chiamata percezione gestaltica, e l'atteggiamento olistico ante litteram di Magnol appaiono evidenti. Più tardi F. Vicq d'Azyr (1748-1794), peraltro più noto per le sue ricerche di anatomia, affermava che un gruppo può essere naturale anche se nessuno dei suoi caratteri è comune a tutte le specie che ne fanno parte. Tale concetto sarà ripreso con forza negli anni '60 di questo secolo dalla tasso­ nomia fenetica, che definì i gruppi politetici come quei gruppi le cui entità subordinate condividono la maggioranza degli attributi, ma nessun attributo è condiviso da tutti gli appaItenenti al gruppo. Bisognerà però attendere l'opera del botanico francese M. Adanson (1727-1806) per trovare in letteratura una discussione ampia e coerente sia dei principi teorici che dei risvolti metodologici di quanto asseriva Vicq d' Azyr. È importante ricorda­ re che Adanson sottopose a serrata critica l'intera questione, tramite il confronto fra raggruppamenti da lui stesso istituiti privilegiando di volta in volta un diverso carattere, o una combinazione di due soli caratteri. Da tale confronto ricavò la convinzione che l'uso di uno o pochissimi caratteri fosse d.el tutto fuorviante in botanica sistematica. La logica di base del modo di ra'gionare - e di procedere - di Adanson non è poi così dissimile da quella del fenetismo numerico, e, pur con il sostanziale distinguo della valutazione dei caratteri in termini di apomorfie condivise, neppure dalla prassi cladi­ stica. È altrettanto importante sottolineare che Adanson ebbe chiara la nozione del valore tassonomico differenziale dei caratteri, non definito a priori su base teorica (o teleonomica), ma su base empirica, a posteriori. Egli sostenne infatti che se da un lato l'esperienza insegna che alcuni caratteri aggiungono poco o nulla alla soluzione di un problema sistemati­ co, d'altro canto la gerarchia dei caratteri non è omogenea nei di versi taxa superiori, e i caratteri sistematici di maggiore contenuto informativo non sono gli stessi nei diversi gruppi almeno di rango famiglia. Buffon aveva intuito che un organismo non è riducibile alla somma dei suoi caratteri, ma che esiste una correlazione fra di essi; Cuvier sviluppa ulteriormente e soprattutto rende esplicite queste idee, formulando il prin­ cipio della "correlazione delle parti", basato prevalentemente su considera­

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IL CREAZIONISMO DI CUVIER

zioni di morfologia funzionale. Secondo tale principio, le diverse parti di un organismo sono interdipendenti: l'organismo è un tutto armonico, e di conseguenza una sua parte non può variare senza creare una condizione di squilibrio. Cuvier asserisce che "Ogni essere organizzato forma un insieme, un sistema unico e chiuso, le cui parti corrispondono reciprocamente, e concorrono alla stessa azione definitiva tramite una reazione reciproca. Nessuna di tali parti può cambiare senza che cambino anche le altre; di conseguenza ciascuna di esse, presa separatamente, rende manifeste tutte le altre". È classico a questo proposito l'esempio della architettura del carni­ voro: "In una parola, la forma del dente implica la forma del condilo, quella della scapola, quella delle unghie, esattamente come l'equazione di una curva implica tutte le sue proprietà, e usando come punto di partenza ciascuna di queste forme, chi fosse padrone delle leggi dell' economia organica potrebbe ricostruire l'intero animale". Il metodo su cui ancora oggi si lavora in molti aspetti della paleontologia trova qui il suo primo fondamento coerente. Dal principio di correlazione Cuvier continua ad argomentare contro l'evoluzionismo, ma al tempo stesso ne ricava in tassonomia il concetto che le specie e più in generale i taxa sono individuati da un complesso di caratteri, e nonc.. da uno o più caratteri singolarmente considerati. Il merito di Cuvier fu soprattutto di aver proposto un'interpretazione causale di quest' ordine di considerazioni, tramite il principio della correlazione delle parti. I caratteri vengono così valutati a posteriori in base alla capacità di contribuire alla formazione di raggruppamenti "naturali". Al principio di correlazione Cuvier associa il principio di subordinazio­ ne dei caratteri. Questo era stato enunciato nel 1789 dal botanico A. L. de Jussieu, che sosteneva che ai caratteri debba essere attribuito un valore relativo, in funzione della loro costanza e dell'estensione dell'ambito entro cui si mantengono costanti. Queste considerazioni, che Cuvier aveva svi­ luppato fin dal 1795 nella Mémoire sur une nouvelle division des Mammi­ fères, scritta in collaborazione con E. Geoffroy Saint-Hilaire, lo avevano indotto a sostenere che caratteri diversi permettono di istituire dei raggrup­ pamenti di livello gerarchico diverso (genere, famiglia etc.). Si deve notare che, se come si è detto il principio della correlazione delle parti implica in tassonomia la ponderazione a posteriori del valore di un complesso di caratteri, il principio della subordinazione comporta la ponderazione a priori del valore dei caratteri in funzione dell'importanza gerarchica della struttura che li manifesta. Nel lavoro citato, Cuvier e Geoffroy scrivono che "l'esistenza, la vita dell'animale dipende anzitutto dalla generazione che la produce, e poi dal movimento regolato dei suoi fluidi, che la mantengono. La generazione e la circolazione debbono dunque fornire i caratteri primari

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IL CREAZIONISMO DI CUVIER

Capitolo 12

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o indicatori di primo ordine. Le classi sono cosÌ determinate dagli organi primari". Per esempio, per quanto concerne i caratteri relativi alla riprodu­ zione, la classe dei mammiferi sarà definita dai caratteri legati alla vivipa­ rità e all'allattamento. È opportuno riconoscere che, benché l'approccio teorico di Cuvier alla sistematica fosse per molti aspetti criticabile già ai suoi tempi, egli dette un notevolissimo contributo alla classificazione animale con la scoperta del grande contenuto informativo dell' anatomia (a buon diritto è considerato il padre de))' anatomia comparata) degli invertebrati. Ciò gli permise di indi­ viduare un gran numero di nuovi caratteri e di tipi di organizzazione, che analizzò applicando quel metodo comparativo di cui fu il primo grande campione. Dai risultati dell' applicazione di tale metodo, Cuvier ricavò concetti importanti, quali quello di "piano di struttura"degli organismi, di "simmetria", radiale (fig. 12.3) o bilaterale, di "metameria", che utilizzò ampiamente nella costruzione dei suoi schemi sistematici. Riconoscend'o che non è possibile inquadrare in un unico piano di struttura la morfologia di tutti gli animali conosciuti, individua l'esistenza di 4 piani fondamentali e classifica gli animali in 4 gruppi principali, che chiama "Embranchements": Vertebrati, Molluschi, Articolati, Raggiati. Egli respinge ogni idea di continuità tra i 4 embranchements (phyla) animali che istituisce - e che ispireranno le "masse principali" di Lamarck. Con l'affermazione che tutte le forme animali si riconducono ad uno dei quattro piano di organizzazione, fondamentali e assolutamente distinti l'uno dall'altro, Cuvier mirava a distruggere il concetto della "scala natu­ rae"; nonostante ciò egli trova nella subordinazione dei caratteri, un nuovo criterio di disposizione in serie. Per esempio, )' ordinamento secondo lo sviluppo del sistema nervoso centrale determina chiaramente una possibile sequenza. L'idea fondamentale della scala di perfezione non viene del tutto abbandonata, anche se in realtà si potrebbe più vantaggiosamente parlare di numerose scale, o catene di esseri, indipendenti fra loro a seconda della struttura i cui caratteri vengono considerati. All'interno di ciascun "em­ branchement", quindi, ogni elemento viene ad essere legato agli altri da nessi multipli con andamento reticolare: l'idea non è così lontana da quella che aveva portato Linneo ad assimilare i rapporti tra tutti i viventi a quelli che intercorrono fra gli elementi che costituiscono una mappa.

Fig. 12.3. Una tavola degli Echinodermi tratta da un atlante zoologico francese dell a metà dell" 800, basato sulla classificazione di Cuvier.

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Capitolo 13

DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

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Motivi diversi, ai quali non fu certamente estranea la grande influenza di Cuvier e della sua scuola, fecero sì che il "trasformismo" lamarckiano non avesse un' influenza decisi va sullo sviluppo del pensiero sistematico; soltan­ to dopo la metà del XIX secolo, con l'opera di Darwin, l'evoluzionismo si impose come base di un nuovo approccio alla tassonomia. È paradigmatica a questo proposito l'opera del grande botanico svizzero Augustin Pyrame de Candolle (1778-1841). Pur essendosi formato a Parigi, ed avendo seguito anche i corsi tenuti da Lamarck, egli fu sostanzialmente un linneano (cfr. fig. 13.1 .) e un fissista. Nella sua opera fondamentale, Théorie élémentaire de la botanique (1813), espone criteri sistematici che non recano traccia degli insegnamenti lamarckiani. AI di là dell' aver coniato il termine "tassonomia" (in un' accezione peraltro non del tutto chiara), De Candolle ha comunque il grande merito di aver prodotto una sistematica botanica che conserva ancor oggi una rilevante parte di validità. Questo nonostante i presupposti teorici relativamente antiquati cui abbiamo fatto cenno, e una metodologia basata sulla ponderazione a priori di un piccolo numero di caratteri, che proprio per l' influenza del prestigio di De Candolle si impose per molto tempo su quella fondata sull 'utilizzo di numerosi caratteri, ponderati in modo differenziale, a posteriori, in base al loro grado di costanza nei diversi gruppi via via oggetto di indagine. Questo approccio sistematico fu seguito anche nel monumentale ProdrOlnus systematis naturalis regni vegetabilis, iniziato nel 1825 e completato dopo la morte del De Candolle da un gmppo di allievi e collaboratori fra cui il figlio Alphonse (1806-1893). L'opposizione di De Candolle all'evoluzionismo è probabilmente da ricondursi allo spirito di sistema, ancora settecentesco, che ebbe una larga parte nella sua concezione naturalistica generale, ed alla sua diffidenza nei confronti della "ambiguità"di molti esempi botanici che venivano interpre­ tati in chiave evoluzionistica. Per di più, per De Candolle l'evoluzione comporta necessariamente una concezione nominalistica della specie, che egli ritiene inaccettabile, Questa posizione in realtà non è del tutto coerente

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 13

DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

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con le elaborazioni biogeografiche dell' autore svizzero, basate sulla com­ petizione tra specie per lo spazio (e quindi necessariamente dotate di una dimensione temporale), che, pubblicate nel celebre Dictionnaire des scien­ ces naturelles (1816-1830), furono riprese anche da Lyell e certamente influenzarono sin dall'inizio H pensiero di Darwin (il Dictionnaire era presente a bordo del Beagle, e, come è noto, l'opera di Lyell fu studiata a fondo da Darwin).

Charles Darwin (1809-1892)

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Fig. 13.1. Una tavola del primo volume dell'opera di De Candolle lcones selectae plantarum . .. (Parigi, 1820). Si noti come soltanto gli organi riproduttori sono raffigurati nei particolari, coerentemente con l'impostazione tassonomica dell'autore, in linea con quella Iinneana.

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Charles Robert Darwin nacque a Shrewsbury il 12 Febbraio del 1809, da un'agiata famiglia borghese. Il padre era medico, così come il nonno, Erasmus (1731-1802), noto per le sue idee liberali, filantropiche e antischia­ viste. Poeta e trattati sta scientifico, egli aveva pubblicato fra l'altro, tra il 1794 e il 1796 un' opera in due volumi, Zoonomia, or the laws oj organic life, in cui sosteneva tesi di tipo evoluzionistico, fondate peraltro su consi­ derazioni decisamente finalistiche. Va notato tuttavia che, nonostante una certa confusione di idee e di argomentazioni, Erasmus Darwin insinuava che per lo meno i grandi gruppi animali, vertebrati "a sangue caldo", vertebrati "a sangue freddo", artropodi, "vermi" (in pratica, tutti gli altri animali), nonchè le piante, hanno ciascuno un' origine unitaria. Pare asso­ dato comunque che l'opera del nonno non abbia avuto in pratica alcuna influenza sul pensiero del nipote. Seguendo la tradizione di famiglia, Charles Darwin si iscrisse giovanis­ simo alla Facoltà di Medicina dell'Università di Edimburgo, che abbando­ nò ben presto per quella di Teologia di Cambridge. Qui sviluppò, ovvia­ mente al di fuori delle sue attività universitarie, i suoi interessi naturalistici, anche grazie all'amicizia del botanico 1. S. Henslow (1796-1861), che nel 1831 gli propose di imbarcarsi come naturalista sul brigantino Beagle che al comando del capitano Fitz-Roy sarebbe salpato alla fine di quell'anno per quella che divenne la più famosa navigazione della storia della biologia. La nave toccò le isole di Capo Verde, poi Bahia, la Terra del Fuoco, le Malvine, quindi il Cile, il Perù, le isole Galapagos. Da qui la navigazione proseguì attraverso il Pacifico facendo scalo a Tahiti (fig. 13.2) e raggiungendo la Nuova Zelanda. Il ritorno comprese tappe in Australia e Tasmania, nell' ar­ cipelago delle Cocos, a Mauritius e nell'estremo Sud Africa, da dove attraversò nuovamente l'Atlantico per fare scalo in Brasile e poi, via isole Azzorre, raggiungere l'Inghilterra. Dopo brevi periodi a Cambridge e a Londra, nel 1842 si trasferì defini­ tivamente nel cottage di Down, dove trascorse tutto il resto della sua vita, elaborò la quasi totalità delle sue opere, e si spense nel 1882.

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ORDINANDO LA NATURA -

CapitoLo /3

DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

fu profondamente influenzato dall' opera di C. A. Lyell (1797-1875), il geologo i cui libri lo accompagnarono durante il viaggio sul Beagle, e da quella dell' economista e sociologo T. R. Malthus (1766-1834). Dal trattato di Lyell, Principles oj geology, Darwin ricava l'idea del!' evoluzione della crosta terrestre e della costanza nel tempo dei meccanismi che la causano. Dalla lettura dell' Essay on the principle ojpopulation di Malthus, nel 1838, ricava il principio della selezione naturale, ragionando sulla competizione in condizioni di risorse insufficienti, e di lì l'idea che una specie può sostituirne un' altra. Non bisogna tuttavia credere che le elaborazioni teori­ che di Darwin siano il frutto di un'attività esclusivamente speculativa e dell' analisi comparata degli organismi, sia quelli, abbondantissimi, che aveva raccolto durante il suo viaggio attorno al mondo, sia quelli che quotidianamente poteva osservare in Inghilterra. La conoscenza delle pra­ tiche degli allevatori e dei coltivatori inglesi, i più avanzati dell' epoca, gli suggerirono anche un'intensa attività sperimentale, sviluppata soprattutto tramite pratiche di impollinazione incrociata di piante. Un' ampia sintesi dei risultati di tali ricerche fu pubblicata nel 1876 sotto il titolo The effects oj cross and selfjertilization in the vegetable kingdom (cfr. fig. 13.3). Fig. 13.2. Tahiti come apparve a Darwin durante il viaggio sul Beagle (da un disegno di C. Martens).

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La produzione scientifica di Darwin comprende oltre duecento titoli, e coinvolge problematiche che si estendono dalla geologia alla sistematica botanica e zoologica, alla biologia della riproduzione, all'antropologia, all' etologia, oltre che, evidentemente, all'evoluzione. Su tale tema egli pubblicò nel 1858 un saggio, integrato da uno scritto di Wallace, sotto il titolo On the tenelency ojspecies to jorm varieties; anel on the perpetuation oj varieties and species by natural selection. La sua opera più famosa, comunque, è On the origin oj species by means oj natural selection, or the preservation ojjavoured races in the struggle jor life. La prima edizione, uscita a Londra in 1250 esemplari il 24 Novembre del 1859, fu esaurita quello stesso giorno. Certamente Darwin non fu il primo evoluzionista, e neppure il primo a proporre una teoria coerente sull' evoluzione organica, ma fu proprio l' Ori­ gine delle specie a permettere la diffusione a livello mondiale non soltanto di una teoria evoluzionista, ma dell' idea stessa di evoluzione. Sull' evoluzionismo di Darwin sono state scritte migliaia di pagine, e non è certo il caso di estenderci in questa sede sull' argomento, al di là di quanto è indispensabile richiamare come fondamento della tassonomia darwiniana. È opportuno comunque ricordare come il pensiero di Darwin

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo J3

I principali capisaldi della teoria evoluzionistica di Darwin possono essere riassunti, molto schematicamente, come segue: a) Su base dichiaratamente empirica egli sostiene che gli organismi hanno la facoltà di variare, che la loro variabilità - sulle cui cause ammette la propria ignoranza-è casuale e non finalizzata ad alcun processo adattativo. Quest'ul­ timo aspetto, è evidente, contrasta nettamente con le idee di Lamarck. b) La variazione si trasmette per ereditarietà alla generazione successi­ va. Anche su questo aspetto Darwin non teorizza, ma si limita a considerare generalizzabile quanto l'esperienza gli suggeriva, anche quella legata alle forme domestiche di animali e piante. È appena il caso di ricordare a questo proposito che egli ricevette il lavoro di G. Mendel (1822-1884), Versuche iiber Pflanzen-Hybriden, anteriore di IO anni al libro sugli esperimenti di ibridazione, ma, probabilmente per difficoltà linguistiche, l'opera del padre della genetica rimase intonsa fra le carte di Darwin. c) Sul campo di variazione prodotto ad ogni generazione dalla variabi­ lità agisce la selezione naturale nei suoi vari aspetti, determinando l'evolu­ zione e gli adattamenti che l'accompagnano. È importante evidenziare come Darwin confuti la concezione, largamente diffusa, che ogni organi­ smo sia perfettamente adatto all' ambiente in cui vive. La variazione in quanto casuale è un processo senza fine; i parametri della selezione naturale mutano con il passare del tempo seguendo il modificarsi delle condizioni ambientali. Ne risulta che l'evoluzione non ha una finalità ma è un processo opportunista in continuo divenire. d) In base a tali premesse, l'evoluzione è necessariamente, per Darwin, un processo lento e soprattutto graduale. L'opera di Darwin sistematico, e tassonomo, può essere esaminata prendendo le mosse dai suoi lavori sui crostacei cirripedi (datati tra il 1851 e il 1854; esistono tuttavia indizi che alcune parti della monografia dei fossili della Gran Bretagna siano state stampate almeno nel 1858, se non nel 1861), e in particolare da A monograph ofthe sub-class Cirripedia, withfigures of alt the species, pubblicata in due tomi nel 1851 e nel 1854, rispettivamente. Secondo approfonditi studi recenti, la sistematica che Darwin propone per tale gruppo è il prodotto di una tassonomia del tutto linneana, dove non si trova alcuna traccia di un' impostazione evoluzionista. È lecito sostenere che, all' epoca della revisione dei cirripedi, Darwin avesse già concepito, almeno in embrione, la sua teoria dell' evoluzione. Sappiamo che aveva già letto sia la relazione dei viaggi di Humboldt, sia l'opera di von B uch sul popolamento delle isole Canarie, ed aveva meditato sulle affermazioni di entrambi gli autori riguardo alla formazione e mantenimento delle "varietà" in condizioni di isolamento, e alla lenta trasformazione di tali varietà in specie distinte, intersterili anche qualora, secondariamente, venissero a cadere i fattori di

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DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

isolamento geografico. Tuttavia, egli non manifesta, almeno in quest' opera, di aver capito l'importanza delle relazioni fra evoluzione e tassonomia. L'intero aspetto sistematico dell'opera di Darwin è ulterionnente com­ plicato dalla scarsa chiarezza della sua concezione di specie. Come hanno sottolineato diversi autori recenti, non è semplice ricavare dalle opere che Darwin pubblicò durante la sua vita quale fosse in realtà, o quale fosse venuto maturando, il suo concetto di specie. Il problema, è evidente, investe un punto chiave per l'interpretazione del suo intero pensiero tassonomico. Se da un lato Darwin dimostra di considerare la specie come "varietà permanente", ossia, come un'entità definibile in termini morfologici, ancor­ chè in una dimensione temporale, d'altro lato sostiene esplicitamente che il crite(Ìo prevalente per discriminare tra specie è di tipo biologico, e più prec'isamente quello dell'isolamento riproduttivo. Tuttavia anche su questo aspetto i suoi dubbi affioravano non sporadicamente: basti ricordare a questo proposito che nelle conclusioni della sua opera maggiore egli scrive "It cannot be maintained that species when intercrossed are invariably sterile and varieties invariably fertile". La sua maggiore preoccupazione tuttavia non era la tassonomia, ma il meccanismo evolutivo e le modalità secondo cui la selezione agisce: egli vede quindi il problema della defini­ zione della specie come meno rilevante di quanto non lo fosse per i veri tassonomi. Di conseguenza, egli utilizzò costantemente, nei suoi ragiona­ menti, strumenti morfologici (se non tipologici) per circoscrivere le specie. Da scritti non pubblicati all' epoca, tuttavia (i suoi celebri Notebooks che vennero alla luce soltanto tra il 1960 e il 1967) si evince chiaramente come al di là dei problemi dell' identificazione delle specie come taxa, egli pensasse alle specie come ad entità biologiche, definite dall'isolamento riproduttivo. Ciononostante, nei lavori sistematici e nelle trattazioni tasso­ nomiche egli fa uso di "specie", che sono in realtà specie morfologiche. Un altro aspetto poco preciso della tassonomia darwiniana, che deriva ancora da quanto abbiamo sottolineato della sua concezione - almeno operativa - di specie è quello legato all'equivoco tra gli effetti del processo che oggi chiamiamo cladogenesi e quelli dell' anagenesi, ossia della "mo­ dificazione attraverso la discendenza". Per Darwin stadi differenti di una linea genealogica in evoluzione rappresentano altrettante specie, anche se non è intervenut~ alcun fenomeno di scissione della linea genealogica stessa (fig. 13.4). E comunque inoppugnabile che Darwin ebbe il merito di superare, almeno dal punto di vista concettuale, la visione tipologica della specie, o in altre parole, l' essenzialismo, la convinzione cioè che le fonne organiche siano copie di "tipi" ideali - o di essenze più o meno astratte. Non è più quindi la similitudine ad essere causa di conspecificità, ma la conspe­ cificità a produrre similitudine.

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Capitolo J3

DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

Altri rettili

Fig. 13.4. Una ricostruzione delle tappe finali dell'evoluzione dell'uomo . Molto spesso ciascuna di queste tappe, morfologicamente diverse l'una dall'altra, viene considerata come una specie, e denominata di conseguenza. Tale approccio, di derivazione chiaramen­ te darwiniana, è contestato dai tassonomi cladisti che ritengono che i limiti temporali dell'esistenza di ogni specie siano scanditi da eventi c1adogenetici (o, evidentemente, dall'estinzione), indipendentemente dall'entità delle modificazioni che la specie stessa subisce per evoluzione anagenetica. Recentemente Papavero e Llorente hanno proposto per tali stadi la denominazione di "eidoforonti". Tale termine evoca quello di "semaforon­ te" coniato da Hennig per ogni successivo stadio della vita di un singolo individuo. Il concetto di eidoforonte è quindi in linea con le idee di M. T. Ghiselin che considera la specie come un' entità individuale, dotata di proprietà ontologiche (oltre che genealogiche).

Anche a livelli sopraspecifici, la tassonomia darwiniana si basa dichia­ ratamente sul principio della comunità di ascendenza. Con Darwin la genealogia diventa definitivamente il fondamento di ogni sistema naturale di classificazione. In linea di principio, i caratteri che permettono di rico­ noscere le affinità tra i gruppi sistematici sono quelli ereditati da progenitori comuni - e a questo livello egli mette in evidenza il peso differenziale di complessi diversi di caratteri; sottolinea altresì il rischio di interpretare caratteri convergenti, risultanti da adattamenti a modalità di vita simili, come prove di affinità. La sistematica, di conseguenza, assume non più soltanto il compito di ordinare la natura in modo logico e coerente, ma si pone l'obiettivo di riconoscere \' ordine intrinseco del mondo vivente. Questo però non ha nulla di metafisico, ma deriva dalle relazioni genealo­ giche che intercorrono fra gli organismi. In altri termini, la tassonomia

I

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Coccodrilli I

Uccelli

Fig. 13.5. Schema delle relazioni filogenetiche degli Uccelli con i Coccodrilli e con i rimanenti gruppi di "Rettili". La differente lunghezza ed inclinazione dei rami dell'albero indicano la diversa quantità dei cambiamenti evolutivi avvenuti in ciascuna linea filetica, simboleggiati dai rettangoli pieni (modificato da Zunino e Zullini, J 995 , CEA).

darwiniana pretende di essere filogenetica: ogni vera classificazione è genealogica. Tuttavia egli non traduce direttamente la genealogia in schemi sistematici, ma sostiene che la genealogia di per sè stessa non dà luogo automaticamente alla classificazione. Tale affermazione si basa sul princi­ pio del "grado di divergenza" (fig. 13.5); questo consiste, come è noto, nell' assegnare un rango tassonomico differente agli esiti di rami filetici che, pur avendo un' origine unitaria, divergono in modo sensibilmente differente l'uno dall'altro nei confronti della supposta condizione ancestrale. Un esempio classico di tale atteggiamento è quello che porta ad attribuire un rango diverso a due linee filetiche, quella dei Loricati (i coccodrilli) e quella degli Uccelli, pur ammettendone la derivazione da un ancestrale comune più recente di quello che i coccodrilli stessi condividono con gli altri "Rettili" Nella classificazione tradizionale, infatti, (fig. 13.6, a destra) gli Uccelli sono considerati una classe, come i Rettili ai quali è ascritto l'ordine dei Loricati. Tale approccio è oggi contestato dalla tassonomia filogenetista (o cladista), che basa ogni schema sistematico esclusivamente sulle relazio­ ni genealogiche e non ammette la validità dei gruppi non monofiletici (fig. 13.7). Per i cladisti Uccelli e Loricati rappresentano taxa dello stesso rango, nel più ampio quadro di un taxon superiore, i "Rettili sensu lato", che unisce

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DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

Capitolo 13

RAPPORTI FILOGENETICI

TAXA

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~-------~ Fig. 13.6. Secondo la tassonomia "evoluzionista" di tipo darwiniano (colonne ?i destra~ il gruppo di vertebrati simboleggiato dalle figure centrali comprende due classI, Uccelli.e Rettili. Questi a loro volta, comprendono 4 ordini. Si noti come il rango del taxa s~a ampiamente . indipendente dal grado di distanza genealogica. Secondo la tassonomla cJadista invece (schema di sinistra), il rango dei taxa subordinati del gruppo "Rettili sensu lato" è funzione esclusiva delle relazioni filogenetiche di ciascuno di essi, ed è indipenden­ te da qualunque valutazione del grado di divergenza (da Baccetti et al. , Trattato italiano di Zoologia, per gentile concessione della Zanichelli Editore).

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gli Uccelli ai rettili come tradizionalmente intes~, seco~do .p,i,ù art.i~~lat~ schema della figura 13.6 Ca sinistra). In tale ottica, qUindi, I Rettili del tassonomi evoluzionisti sono considerati un gruppo non naturale, in quanto parafiletico (fig. 13.7.). Al di là di ogni polemica, è comunque possibile affermare che l'opera di Darwin rappresenta una pietra miliare nello sviluppo del pensiero tasso­ norrllco. L'accettazione, almeno dei principi fondamentali, dell'evoluzioni­ smo darwiniano trasse con sè anche l'accettazione del principio che le classificazioni dei viventi non possono creare taxa che siano mere classi di oggetti, ma debbono fondarsi sulla valutazione dei rapporti evolutivi tra gli elementi che vengono classificati.

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Fig. 13.7. Schema dei principi fondamentali della tassonomia cladista. Solo i gruppi monofiletici, ossia quelli che comprendono tutti e soltanto i discendenti di un ancestrale esclusivo vengono ammessi. I gruppi polifiletici non vengono ammessi neppure dalla tassonomia evoluzionista darwiniana, che tuttavia ammette la validità di quelli parafiletici (da Hennig, 1968, EUDEBA).

Alfred Russel Wallace (1823-1913)

Benché Wallace sia comunemente ricordato più che altro come il fon­ datore della biogeografia moderna, un'attenta analisi della sua opera rivela che il suo pensiero evoluzionistico, e soprattutto i riflessi che questo ebbe sulla sua concezione della tassonomia e della sistematica, ebbero una profondità di gran lunga maggiore di quella che fu la loro influenza diretta sui successivi sviluppi dell'evoluzionismo e della biologia in generale. Per questi motivi riteniamo necessario occuparci almeno di alcuni aspetti del­ l'opera di Wallace, senza i quali una trattazione anche sommaria della tassonomia evoluzionista del XIX secolo sarebbe a nostro parere grave­ mente monca. Wallace nacque a Usk in Galles, da una famiglia di modeste condizioni economiche e sociali. Come naturalista fu essenzialmente un autodidatta: la sua formazione nel campo che lo avrebbe reso famoso fu infatti totalmente autonoma. È noto peraltro che fra le sue letture precoci ci furono le opere di Swainson, di Humboldt, di Lyell e di Malthus. La sua passione per le

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Capitolo 13

discipline naturalistiche lo avvicinò a H. W. Bates, di cui sono noti i lavori sul mimetismo e soprattutto i monumentali tomi della Biologia Centrali Americana. Con Bates nel 1848 parte per l'esplorazione dell' Amazzonia, dove rimane fino al 1852. Nel 1854, ottenuto il supporto della Royal Geographical Society, inizia l'esplorazione naturalistica dell' Arcipelago della Sonda, da cui riporterà in patria nel 1862, fra l'altro, quasi 135000 esemplari zoologici. La vendita di collezioni zoologiche fu per molto tempo la sua principale fonte di mezzi di sussistenza, assieme a diverse attività di naturalista indipendente e ai diritti d'autore per le sue opere maggiori: A narrative oj travels on the Amazone and Rio Negro (1853), The Malay Archipelago (1869), soprattutto The geographical distribution oj animals (1876), e lsland life (1880). Nonostante la pubblicazione di numerosi lavori scientifici, Wallace non ebbe mai alcuna posizione ufficiale nel mondo accademico. Durante le ultime due decadi una rilettura accurata dell' opera di Walla­ ce ha portato ad una notevole rivalutazione del pensiero dell' Autore gallese, anche per quanto riguarda gli aspetti tassonomici, di cui è stata messa in luce la chiarezza e l'originalità, soprattutto nei confronti di Darwin. Le idee di Darwin influenzarono, e soprattutto stimolarono le riflessioni di Wallace sul processo evolutivo molto presto, sin dagli anni della prima edizione (1839) del Journal oj researches into the Geology and Natural History oj various countries visited by H. M. S. Beagle, tuttavia è opportuno sottoli­ neare come già nel 1856 (Attempts at a natural arrangement oj birds) la critica che Wallace porta alla sistematica degli uccelli, di matrice cuvieria­ na, si basa su presupposti nettamente evoluzionistici, mettendo in evidenza sia la quantità di disinvolte interpretazioni di caratteri convergenti che ne inficiano la validità, sia l'importanza dei fenomeni di estinzione nel deter­ minare l'assetto sistematico dei gruppi, quali oggi possono essere osservati, e soprattutto gli iati che li separano. Ma è soprattutto l'esperienza dell'en­ tomofauna indomalese, successiva a quella del tropico americano, che permette a Wallace di condurre analisi comparative di cosÌ ampio respiro da indurlo già nel 1855 ad argomentare in favore dell' evoluzione delle specie da popolazioni inizialmente conspecifiche, differenziatesi in condi­ zioni di vicarianza geografica e per l'estinzione della "forma intermedia" ( ancestrale). La linea di pensiero che prese origine come abbiamo appena accennato si incrociò, come è noto, con quella di Darwin, al momento della pubblica­ zione del famoso lavoro a due nomi del 1858. Sono note le polemiche che ne nacquero, e che furono sopite in seguito, soprattutto per la fama immensa di cui Darwin godette. Lo stesso Wallace, nella sua piena maturità, assunse un atteggiamento di reverenza nei confronti di Darwin, che molti oggi

DARWIN E L'EVOLUZIONISMO MODERNO

riten.g~n~ ??CO gi~stificato. Sta di fatto che, se Darwin comprese a fondo - nel lImIti ImpOStI dalla cultura dell' epoca - il meccanismo di "discenden­ za con modificazione" tramite selezione, ossia le basi fondamentali del p.rocesso anagene~ic?, Wallac~ comprese probabilmente meglio, e applicò sicuramente meglIo lO campo sIstematico, le basi fondamentali del processo cladogenetico tramite vicarianza.

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Capitolo 14 LA REAZIONE AL DARWINISMO

L'evoluzionismo nato dal pensiero di Darwin ebbe il destino, raro per una teoria scientifica, soprattutto naturalistica, di diffondersi con grande rapidità, anche al di fuori dell' ambito puramente scientifico, e di suscitare reazioni di segno diverso in gran parte degli ambienti culturali, a partire dalla seconda metà dell'ottocento. Prima di discuterne brevemente almeno gli aspetti di rilievo in tassonomia è tuttavia opportuno chiarire che, come sostengono oggi diversi autori, molto spesso successe che l'oggetto del contendere non fu in realtà il pensiero originale di Darwin, ma l'interpre­ tazione, a volte alquanto personale, che ne dettero traduttori, seguaci e oppositori. Al di fuori degli ambienti scientifici, è noto come una gran parte del pensiero religioso di matrice cristiana fu per lungo tempo dichiaratamente ostile all' evol uzionismo, per moti vi teologici facilmente intuibili, legati all'interpretazione del Genesi, al concetto di peccato originale e a quello dell'unicità della natura dell'anima umana come emanazione diretta della divinità. Più sottilmente, il problema dell' estinzione e della sostituzione delle specie provocava un certo disagio nei confronti di un creatore perfetto, ma dell'impelfezione della sua creatura. La chiesa anglicana, peraltro, già pochi anni dopo la morte di Darwin cessò le ostilità; quella ortodossa non assunse mai posizioni ufficiali, in quanto da un lato il racconto biblico è considerato ampiamente allegorico, dall'altro, vige il principio che tutto ciò che non è espressamente rivelato e su cui i concili ecumenici non si sono pronunciati costituisce "Theologoumena", argomenti di discussione su cui ciascuno può liberamente esprimersi. La gerarchia cattolica tardò moltissi­ mo nell' ammettere il principio stesso dell' evoluzione, nonostante i tentativi di conciliazione tra evoluzionismo e fede non siano stati pochi nell' arco di un secolo. Vale ricordare a questo proposito l'opera di Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), che tuttavia trova meglio le sue origini concettuali in un certo neolamarckismo, piuttosto che nel filone darwiniano - del quale peraltro recepisce numerosi principi. Per quanto riguarda l'ebraismo, ben­

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Capitolo 14

Fig. 14.1. La celebre immagine riassuntiva della teoria della Gastrea tratta da Studien zur Gastraea- Theorie (Haeckel, 1877).

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LA REAZIONE AL DARWINISMO

ché questo rifiuti il principio di evoluzione, interventi di rilievo del pensiero religioso nel dibattito non sono noti. Negli ambienti del pensiero laico le posizioni furono più articolate, e le argomentazioni in favore o contro il darwinismo, e l'evoluzionismo in generale, molto più differenziate. In ambito naturalistico le posizioni furono altrettanto diversificate. In Inghilterra ThoJ1)~IS H. Huxley (1846-1895), medico, ma naturalista morfo­ logo, fisiologo, embriologo, fu uno dei più decisi e polemici sostenitori del darwinismo (tanto da meritarsi il nomignolo di "mastino di Darwin"), anche se, nei fatti, alcuni aspetti della teoria di Darwin, e soprattutto quelli legati alla selezione naturale, gli risultavano alquanto estranei e dai suoi studi di anatomia comparata traeva la convinzione che l'evoluzione procedesse molto più per variazioni discontinue che per quel graduale accumulo di piccole differenze sostenuto da Darwin . In Germania il darwinismo fu diffuso, e sviluppato, anzitutto da Ernst Haeckel (1834-1919), autore di importanti monografie su diversi gruppi animali (Radiolari, Poriferi, Cnidari e Ctenofori). A Haeckel risale anche quella teoria generale sull' origine dei Metazoi, largamente basata sulle sue ricerche di embriologia e su precedenti osservazioni di Huxley, nota come teoria della Gastrea (fig. 14.1). Nel campo dell' evoluzionismo teorico egli è noto soprattutto per aver enunciato nel 1872la "legge biogenetica fondamentale", un' espressione non precisamente modesta con la quale egli indicava il principio secondo cui lo sviluppo ontogenetico di un gruppo è una breve e sintetica ricapitolazione delle principali tappe attraverso cui si è svolta la sua filogenesi. Non è peraltro inutile ricordare come tale idea non fosse del tutto nuova: era infatti già presente in K.F. Kielmayer (1765-1844), uno dei fondatori della Naturphi­ losophie tedesca, che con Goethe avrà il suo massimo esponente; in E. Geoffroy St. Hilaire (1772-1844) - che ne tratta in collaborazione con E. Serres (1786-1868) - in J.F. Meckel (1781-1833) e in alcuni altri anatomo comparati dell'epoca. È opportuno comunque sottolineare che tali aspetti teorici del pensiero di Haeckel, così come il suo approccio tassonomico di cui parleremo più oltre, sono del tutto coerenti con quella visione della biologia evoluzionistica come scienza storica che egli sosteneva esplicitamente. Un discorso a parte, molto più lungo di quanto non sia possibile in questa sede, meriterebbe il francese Louis Pasteur (1822-1895), considerato da molti il fondatore della microbiologia. Chimico di formazione, speri­ mentatore brillante ed acuto, a cui si debbono innumerevoli scoperte in campi che vanno dai processi di fermentazione all' immunologia clinica, Pasteur portò a compimento quella linea di ricerca che con Redi e Spallan­ zani (cfr. cap. 8) aveva iniziato a confutare su basi non metafisiche le ipotesi di generazione spontanea. Dalle sue indagini Pasteur ricava la convinzione che nessun organismo vivente, neppure lieviti, batteri, rickettsie e addirit­

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I

LA REAZIONE AL DARWINISMO

Capitolo 14

tale, trascurando una coerente VISiOne comparativa d'insieme, tende a promuovere quella divaricazione fra discipline, in realtà complementari, che spesso sfocia in veri conflitti fra scuole e gruppi. In Italia l'evoluzionismo darwiniano arriva con Filippo De Filippi, che \' 11 gennaio 1864 pronuncia a Torino la celebre conferenza "L'uomo e le scimie" (fig. 14.2), che segna l'inizio di una graduale, generale (o quasi) adesione del mondo scientifico al darwinismo, e scatena un putiferio negli ambienti bempensanti e clericali. Non è privo di significato il fatto che anche Antonio Stoppani, geologo di prima grandezza, ma sacerdote, e Giuseppe Bianconi, naturalista non privo di meriti ma così clericale da dimettersi dall'Università di Bologna dopo l'annessione degli Stati Ponti­ fici al nascente Regno d'Italia, furono tra i più irriducibili oppositori del darwinismo e dell' evoluzionismo in genere. Tra i massimi sostenitori dell'evoluzionismo e di Darwin spiccano, oltre allo stesso De Filippi, Lessona e Canestrini, responsabili di gran parte delle prime traduzioni 'italiane delle opere di Darwin e dei suoi più importanti seguaci. Lo zoologo Giovanni Canestrini (1835-1900), autore fra l'altro di due opere originali sull' evoluzionismo darwiniano (fig. 14.3), fu certamente migliore interprete del pensiero di Darwin di quanto non lo fu Michele Lessona (1823-1894). Questi infatti, nel suo entusiastico desiderio di divul­ gare le idee del darwinismo (fig. 14.4) e di convincere della loro bontà - e non avendole forse comprese a fondo - spesso le presentò in modo alquanto disinvolto, contribuendo con ogni probabilità ad alimentare quel clima di insoddisfazione nei confronti del darwinismo che si diffuse al volgere del secolo, e che fu all' origine sia di teorie evoluzionistiche alternative, come ad esempio quella di Naegeli (cfr. fig. 14.5) e, in Italia, l'Ologenesi di Daniele Rosa, sia della revisione del darwinismo stesso, iniziatasi soprattut­ to in Inghilterra, in Europa centrale e in Russia. La nascita della genetica, con la riscoperta dei lavori di Mendel e con gli apporti di Weissmann (cfr. fig. 14.6) e di De Vries (cfr. fig. 14.7), e il pensiero popolazionista porte­ ranno, alla fine degli anni '30, soprattutto ad opera di Theodosius Dobzhan­ sky, Ernst Mayr, George Gaylord Simpson, all'elaborazione della versione moderna del darwinismo che si diffonderà sotto il nome, coniato da Julian Huxley, di "sintesi evoluzionistica".

tura "virus filtrabili", si origina se non da un altro organismo vivente. Pasteur tuttavia non trasse dai risultati della sua ricerca le conclusioni che sarebbero state possibili alla luce di una teoria scientifica sui meccanismi dell'evoluzione organica, quella di Darwin appunto, che egli conosceva, ma di cui fu sempre un radicale oppositore. Non è la prima volta, e sarà tutt' altro che l'ultima nella storia delta biologia, che l' approccio sperimen-

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Haeckel e la tassonomia

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Per quanto riguarda la sistematica nel primo periodo del darwinismo, il contributo di Ernst Haeckel fu forse il più significativo, e certamente quello che esercitò la maggiore influenza sul pensiero tassonomico. Ottimo ana­

Fig. 14.2. Il frontespizio della pubblicazione in cui De Filippi riassunse la conferenza nel cui ambito presentò per la prima volta in Italia le teorie di Darwin .

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l' ORDINANDO LA NATURA -

LA REAZIONE AL DARWINISMO

Capitolo 14

OPERE

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DI

TEORIA DELL'EVOLUZIONE

ERNESTO HAECKEL Proressore all'Università di Jeoa .

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STORIA

ESPOST A NE' SUOI FONDAMENTI

DELLA CO)IE

INTRODUZIONE ALL! LETTURA DELLE OPERE DEL DARWIN

NATURAJ~E

CREAZIONE

CONFERENZE SCIENTIFICO-POPOLARI

t.: DE' SUOI SEGUACI

SOLLA

TEORIA DELL' EVOLUZIONE IN GENERALE H SPECIALM&Nn so QUELLA

PER

DI DARWIN, GOETHE E LAMAROK

GIOVANNI CANESTRINI Profl!~s\l rc

di Zoo\oGla, Anatomia e

Fisi ~l llJgia.

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Traduzione sull'ottava edizione tedesca col consenso dell' Autore

UII!yersittl. ..lI l';uh)\';t.

DEL DOTTonE

DA.NIELE ROSA.

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dell~

Regia Unlvcfdtlà. di Torino

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Seconda edizione riveduta ed ampliata dall' Autore.

Illustra.ta. oon 20 Ta.vole, numeroso Inclslo:n.1 interoa.late noI lOS1.o

Alberi genoaloglol e T ..belle.

TORINO

TORINO

UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE 33 -

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1892

1887

Fig. 14.3. Il frontespizio di una delle prime opere di diffusione del darwinismo in Italia. Si noti come l'autore si riferisca espressamente sia all'opera di Darwin che a quella dei darwinisti.

140

Fig. 14.4. Il giovane Rosa tradusse quest' opera di Haeckel, con la prefazione - e sotto la supervisione! - di Michele Lessona, il cui acritico entusiasmo per il darwinismo non fu forse estraneo al tentativo che il Rosa intraprese più tardi di elaborare una teoria evolutiva alternativa al darwinismo stesso.

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LA REAZIONE AL DARWINISMO

Capitolo 14

Taf.L

Mechanisch-physiologische

Theori e der Ab st ammun9sIehre. Von

C. v. Nageli.

Mit eincm Anbang:

l, Die SchrflJlken der naturwissenschaftlichen Erkeuutniss ,

2, Krafte und Gestaltungen im molecularen Gebiet.

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1884.

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Fig. 14.5. C. von Naegeli (1817-1891), della cui principale opera teorica è qui riprodotto il frontespizio , botanico svizzero, elaborò una teoria evolutiva basata sul!' asserzione che il "protoplasma" degli organismi, con funzioni di tipo somatico, sarebbe distinto dal­ l'''idioplasma specifico" , cui sarebbero devolute le funzioni di tipo genetico e la cui attività si esplicherebbe in base a stati diversi di "eccitazione molecolare". Da tale concezione egli derivò una serie di congetture sulla tendenza intrinseca degli organismi a perfezionarsi ­ ossia, un'ipotesi di evoluzione direzionale promossa da cause interne - che esercitò una certa influenza sul pensiero contemporaneo e che non fu estranea al processo di elabora­ zione della teoria dell'Ologenesi di Rosa.

142

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Fig. 14.6. A. Weissmann (1834- 1914) fu uno dei più eminenti biologi teorici tedeschi del suo tempo . II suo contributo allo sviluppo de li' evoluzionismo consistette soprattutto nel\' enunciazione della teoria del "plasma germinale", nettamente separato dal "plasma somatico". Tale teoria permetteva di interpretare i processi di eredità dei caratteri, deter­ minati dalla continuità del plasma germinale, e di confutare l'ereditabilità dei caratteri acquisiti dal solo materiale somatico. Nella figura è riprodotta la tav. 1 del II voI. dell' opera Studien zur Descendenz-Theorie (1876) , che illustra lo sviluppo e le variazioni della larva del Lepidottero Sphingidae Macroglossum stellatarum.

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo /4

LA REAZIONE AL DARWINISMO

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tomo comparato ed embriologo, Haeckel operò quella coniugazione tra la morfologia comparata e la teoria dell' evoluzione che gli permise di propor­ re una serie di ipotesi di relazioni genealogiche fra gli esseri viventi, basate sull 'interpretazione delle omologie come risultato di una comunità di ascen­ denza (figg. 14.9,14.10). In tale ambito vale notare, fra l'altro, che dobbia­ mo a Haeckel la formalizzazione del concetto di filogenesi come processo di moltiplicazione di specie a partire da un ancestrale, e del termine stesso con cui ancor oggi lo indichiamo, ed una prima enunciazione del concetto di monofiletismo. I gruppi sistematici sono riconosciuti in base alla loro origine comune (figg. 14.8, 14.9). Le relazioni tra i viventi sono per Haeckel essenzialmente rappresentabili sotto forma di alberi. I rapporti fra genealo­ gia e sistematica sono più stretti in Haeckel che in Darwin, benché il rango dei taxa sia, come per Darwin, legato anche al risultato del processo anagenetico (vedi cap. 13 e figg. 13.5, 13.6).

La crisi della macrosistematica

Ocnotbera Lamllrcklanll, df1(; nlutJrcndc P tJanze.

Fig. 14.7. Il botanico olandese H. de Vries (1848-1935) è noto soprattutto per aver "l'i scoperto" l'opera pioniera di Mendel, e per la sua teoria genetica basata essenzialmente sulla mutazione come causa principale della variazione. Tale teoria fu sviluppata soprat­ tutto nell'opera fondamentale - Die Mutationstheorie versLlche Llnd beobachtungen iiber die Enlstehung VOI1 Arten im Pjlanzenreich (190 I), e si basa principalmente sullo studio di Oenothera lamarckiana (Enoteracee), di cui viene qui riprodotta l'immagine tratta da tale opera.

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Per quanto ciò possa sembrare paradossale, la diffusione dei paradigmi dell' evoluzionismo darwinista non pro~ocò uno sviluppo coerente degli studi sistematici, paragonabile a quello che era seguito alle opere di Cuvier. All' impulso iniziale, esemplificato dai lavori di Haeckel cui abbiamo fatto cenno, seguì un periodo di grandi incertezze e controversie, soprattutto per quanto riguarda i problemi inerenti i rapporti filogenetici fra i grandi gruppi e, di conseguenza, la loro classificazione. È appena il caso di ricordare che il dibattito su temi quali le relazioni filetiche di gruppi come i Poriferi, i Placozoi, gli Ctenofori, o i rapporti fra Anellidi e Artropodi, e la stessa monofileticità di questi ultimi, risalga proprio alla fine del secolo scorso e che, pur con alterne vicende e periodi di silenzio della scienza, non sia sopito ancora ai nostri giorni. Le cause di tali incertezze sono molteplici, e vanno ricercate sia nella perdita di fiducia nel valore intrinseco della similitudine come criterio di classificazione - perché la similitudine non è direttamente traducibile in affinità filetica -, sia nella non univocità delle interpretazione dei dati dell'embriologia, anche alla luce del "principio della ricapitolazione" di Haeckel (basti pensare al problema ancora oggi dibattuto della presenza o meno di vero mesoderma negli Ctenofori), sia ancora ad una certa circola­ rità delle argomentazioni dei tassonomi darwinisti: questi sostenevano infatti che soltanto i gruppi basati sulla filogenesi sono "naturali", ma le loro ipot~si filogenetiche prendevano le mosse da gruppi precostituiti, ricono­ sciuti, ancora una volta, su base intuiti va.

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 14

LA REAZIONE AL DARWIN IS MO

l. System dcI' Prlmnten. (NB.

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2. Stammbaum der Primaten.

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Fig. 14.8; La classificazione dei Primati secondo Haeckel. L'autore produce tale classifi­ cazione basandosi sull'albero filogenetico (fig . 14.9) pubblicato nella pagina seguente della stessa opera. Si noti, fra l'altro, che nello schema è attribuito un rango uguale, di Ordine, a un gruppo parafiletico - le "Prosimiae" - e a un gruppo monofiletico, le "Simiae", del quale tuttavia si ammettono relazioni genealogiche dirette con uno soltanto dei rami filetici del primo gruppo, i Necrolemures.

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Fig. 14.9. L' albero filogenetico dei Primati secondo l'interpretazione di E. Haeckel (da Ueber unsere gegemvarfige Kennfniss von Ursprung des M enschen, 1899). Si noti come stadi successivi dell'unica linea filetica che termina con Homo sapiens siano ritenuti appartenere a specie (Homo sfupidus) o addirittura a generi (Pifhecanfhropus) diversi .

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 14

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LA REAZIONE AL DARWINISMO

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La conflittualità dei risultati della sistematica darwinista, e il non trascu­ rabile grado di soggettività che li accompagnava, che i biologi più attenti non mancavano di rilevare, provocò verso la fine del secolo scorso un forte declino nell'interesse della comunità scientifica per questo ordine di ricer­ che. L'aprirsi di nuovi, stimolanti campi di indagine come la genetica, la biochimica, l'embriologia, ossia, la nascente biologia sperimentale (e tutto quanto ne è derivato, sino alla biologia molecolare dei nostri giorni) fu cauSa di un allontanamento della comunità scientifica dalle grandi problematiche filogenetiche, tassonomiche e sistematiche. Nasce così quell'immagine del sistematico come studioso di seconda classe, che si occupa di argomenti di scarso rilievo e che fa uso di criter.i fumosi e poco affidabili, poco più di un collezionista dilettante, a cui lo scienziato "vero" guarda dal suo scintillante laboratorio con bonaria indulgenza e pochissima considerazione. In campo sistematico tutto ciò produsse un incremento dell' interesse per la tassonomia infraspecifica, la "microtassonomia", e riaprì in termini nuovi un dibattito tuttora ben vivo, quello sulla specie come entità da un lato biologica, dall' altro storica.

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Fig. 14.10. Nel 1866 Haeckel (Generelle Morphologie. Allgemeine Grundziige del' orga­ nischer Formen- Wissenschaft, mechanisch begriindet durch die von Ch. Darwin refor­ mierfe Descendenz-Theorie) raggiunge la convinzione che tutti i viventi rappresentino un insieme monofiletico, e raffigura i loro rapporti tramite quest' immagine arborescente. Pur nella relativa difficoltà di seguire le artistiche volute di ciascun ramo, è evidente come molti dei gruppi sistematici che egli ammette sono realmente monofiletici, mentre altri, coerentemente con il principio della valutazione differenziale degli effetti del processo anagenetico, rappresentano soltanto una parte dei discendenti di un ipotetico ancestrale, costituendo così gruppi parafiletici.

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Il clima di insoddisfazione cui abbiamo accennato, tuttavia, non impedì che alcuni pensatori, tra la fine dello scorso secolo e gli inizi di questo, tentassero di esplorare ipotesi tassonomiche per certi versi alternative - che peraltro influenzarono poco o nulla gli sviluppi successivi della nostra scienza. Fra questi, Autori recenti, e in particolare Papavero e Llorente Bousquets, hanno analizzato i contributi di P. Ch. Mitchell (On the intestinal tract ofbirds; with remarks on the valuation and nomenclature ofzoological characters, 1901) e di Ch. L. Camp (Classification ofthe lizards, 1923). Al di là della complessa e faticosa nomenclatura che introduce, Mitchell si pose con forza il problema noto oggi come "polarizzazione dello stato dei caratteri" e del diverso significato filogenetico dello stato derivato di un carattere nei confronti di quello primitivo, e giunse a confutare il principio, ammesso dalla tassonomia darwinista, della "speciazione laterale", ossia della permanenza di una specie ancestrale dopo un evento di speciazione fortemente asimmetrico (fig. 14.11), e a sostenere il principio della dicoto­ mia della filogenesi. Camp teorizzò alcuni principi tassonomici che, come quelli di Mitchell, anticipano la tassonomia filogenetista di Hennig e dei cladisti attuali, sostenendo la necessità di fondare l'analisi filogenetica sulla condivisione di caratteri in stato derivato e la gerarchia dei livelli di universalità dei

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• ORDINA NDO LA N AT URA -

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LA REAZIO NE AL DARWINISMO

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Fig. 14.11. Secondo i principi dell'evoluzionismo darwinista un evento di speciazione asimmetrico per un radicale incremento dei processi anagenetici che coinvolgono uno soltanto dei due rami (schema a sinistra) porta alla separazione di una specie figlia (b) dalla "specie madre", che permane come tale (a). Secondo i cladisti e i loro precursori. invece. un evento speciativo provoca sempre (schema a destra) la formazione di due specie figlie (b, c) e la scomparsa della "specie madre" (a) (secondo Zunino e Zullini , 1995).

caratteri stessi, ossia il principio che livelli diversi nell' ambito di una serie di trasformazione di uno stesso carattere (a --7 a' --7 ali --7 a'" e così via) corrispondono a livelli successivi della filogenesi . In Italia, Daniele Rosa (1857-1944), allievo di Lessona, specialista di Oligocheti, fu tra quei biologi che attorno al volgere del secolo trassero dall'insoddisfazione per i punti deboli del darwinismo motivo di elaborare teorie evoluzionistiche alternative. Influenzato anche dal pensiero di Nae­ geli, Rosa elaborò la teoria dell'Ologenesi attraverso successive opere (soprattutto La riduzione progressiva della variabilità e i suoi rapporti con l'estinzione delle specie, 1899; Saggio di una nuova spiegazione dell ' origi­ ne e della distribuzione geografica delle specie (Ipotesi della "ologenesi"), 1909; Ologenesi, nuova teoria dell ' evoluzione e della distribuzione geo­ grafica dei viventi, 1918). Alcune delle idee di Rosa, come quella della speciazione dicotomica (fig. 14.12) e della "batisinfilia", ossia delle rela­ zioni filogenetiche tra gruppi attraverso una primitiva e remota specie ancestrale esclusiva, così come l'asimmetria dei rami derivati da un evento speciativo, anticipano Hennig e il cladismo. La sua concezione di "specie filetica" come un' entità che "ci si presenta in successi vi stadii di sviluppo,

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Fig. 14.12. La struttura dicotomica della filogenesi come schematizzata da Rosa nel 1909.

precisamente come abbiamo sempre davanti a noi lo stesso individuo, sia esso allo stato di ovo, di embrione, di gio.vane o di adulto" ha sorprendenti assonanze con quanto scriverà Ghiselin quasi sessant'anni dopo. AI di là di ogni valutazione generale delle concezioni di Rosa, vale ricordare l' influen­ za del suo pensiero su Léon Croizat (1894-1982) e di qui sia sulla Biogeo­ grafia vicariantista che sulla Panbiogeografia, le più vivaci correnti del pensiero biogeografico contemporaneo.

Tassonomia in itinere Benché convinti che un esame anche superficiale degli sviluppi della tassonomia biologica degli ultimi quarant' anni richiederebbe almeno un volume a sé, e nonostante il fatto che, come abbiamo premesso nel prologo, quanto è successo in questo periodo abbia legami troppo immediati e diretti con il presente per essere oggetto di storia, e non di sola cronaca, riteniamo non inutile concludere con minimi cenni alla situazione della tassonomia contemporanea, in cui approcci e scuole diverse si confrontano e discutono vivacemente risultati e teorie. Fra tali scuole è necessario ricordare almeno la tassonomia evoluzionista, la fenetica numerica e il cladismo. La tassonomia evoluzionista, per alcuni "tassonomia eclettica", deriva direttamente dalla tassonomia del darwinismo e dai suoi sviluppi avvenuti in questo secolo. Riconosce l'importanza della genealogia - che non ritiene

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ORDINANDO LA NATURA -

Capitolo 14

essere necessariamente un processo sempre dicotomico - ai fini della classificazione, ma non ne fa derivare direttamente schemi sistematici. Ammette la "speciazione laterale", con persistenza della specie ancestrale come tale anche dopo l'evento di separazione, coerentemente con il fatto che annette grande importanza ai processi anagenetici. Da tale approccio deriva l'ammissibilità dei gruppi parafiletici e il diverso rango tassonomico assegnabile agli esiti di un processo filogenetico unico, cui abbiamo fatto cenno nel capitolo precedente. L'approccio evoluzionista in tassonomia è ancora oggi il più frequente, benché numerose critiche gli vengano costantemente portate, soprattutto sulla base di un certo soggettivismo che consegue all'utilizzo che tale scuola fa dei caratteri autoapomorfi derivanti dai processi anagenetici. Molto di recente considerazioni anche di questo ordine hanno provocato l'inizio di un radicale processo di revisione della tassonomia contempora­ nea da parte del gruppo di pensiero guidato da Nelson Papavero, che utilizzando come strumento di analisi critica anche principi derivati dalla teoria degli insiemi, definisce "neobuffoniani" molti aspetti della tassono­ mia tradizionale. A partire dalla fine degli anni '50 autori come R.R. Sokal e P.H.A. Sneath hanno sviluppato una metodologia che si propone di evitare qualsi­ asi inferenza soggettiva nella costruzione delle classificazioni. Tale approc­ cio, noto come "tassonomia numerica" o "fenetica" , decisamente empiri­ sta, si basa sulla ricerca della "similitudine complessiva" (overall similari­ ty) attraverso la sommatoria dei risultati del confronto tra singoli set di caratteri. La fenetica prescinde volutamente da qualsiasi inferenza filogene­ tica ed evolutiva (che se mai, per i fenetisti, può essere effettuata soltanto a posteriori), e le stesse unità su cui basa l'analisi nlm vengono valutate in termini di entità sistematiche (e meno ancora filogenetiche), ma come OTU (Operational Taxonomic Units) . I principi fondamentali della fenetica sono l'uso del maggior numero possibile di caratteri, l'equivalenza del loro valore tassonomico (in nome dell' obiettività i fenetisti sostengono così di non ponderare i singoli caratteri. In realtà si tratta anche in questo caso di una scelta soggettiva, quella di ponderare in modo eguale tutti i caratteri). È evidente che la fenetica rappresenta per molti versi un passo indietro nei confronti di tutti i tentativi di produrre classificazioni fondate sul processo evolutivo, basate quindi su rapporti intrinseci fra gli organismi da classifi­ care. La fenetica tuttavia, introducendo nella tassonomia procedimenti matematici e l'uso del calcolatore, fu di stimolo per la cladistica che presto iniziò a sviluppare algoritmi, in parte derivati da quelli della fenetica numerica, ma adattati alla logica filogenetista, che hanno dato un impulso di enorme rilievo allo sviluppo e alla diffusione della cladistica stessa.

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LA REAZIONE AL DARWINISMO

Il cladismo nasce nel 1950, con l'opera di Willi Hennig Grundziige einer Theorie der phylogenetischen Systematik, ma la diffusione delle idee di Hennig è scarsissima sino alla fine degli anni '60, quando compaiono un' edizione inglese negli Stati Uniti (1966) e una spagnola in Argentina (1968). A partire dai primi anni '70, e con l'introduzione di procedure informatizzate per l'analisi filogenetica, il cladismo si diffonde rapida­ mente - suscitando anche le più diverse critiche e opposizioni - dapp'rima in America, e ovviamente in Germania, con qualche ritardo anche nel resto del mondo. Al di là di ogni polemica, è difficile non riconoscere che la tassonomia di Hennig, e l'odierno cladismo che ne deriva, sono caratteriz­ zati da un grande rigore concettuale e metodologico, ed hanno il grande merito di costringere il sistematico ad un continuo lavoro di esplicitazione e controllo di ciascun successivo passo cui deve ricorrere per formulare le sue ipotesi. Benché non pochi dei principi generali della "sistematica filogenetica" fossero già presenti in alcuni autori recenti (Mitchell, Camp, che probabil­ mente Hennig ignorava, e Rosa, di cui peraltro non cita l'opera maggiore), è fuor di dubbio che fu Hennig ad organizzarli in un corpus teorico e metodologico coerente. I principali capisaldi del cladismo, almeno nella sua prima formulazione, si possono riassumere come segue. Solo i gruppi monofiletici, che comprendono tutti e soltanto gli elementi derivati da un ancestrale esclusivo, rappresentano gruppi naturali, la cui coerenza intrin­ seca è data dall'esclusività della genealogia. Il processo cladogenetico è sempre dicotomico e l'oggetto della dicotomia è soltanto la specie (un gruppo superiore non deriva da un altro gruppo superiore, ma entrambi derivano da un'unica specie ancestrale). La specie è un'entità storica che compare, con la sua specie sorella, a seguito di un processo di cladogenesi, e scompare (salva estinzione) quando subisce un nuovo processo di clado­ genesi. I due "gruppi fratelli" che derivano da un evento cladogenetico unico hanno nella classificazione uno stesso rango, indipendentemente dal diverso processo anagenetico che possono aver subito. Dal punto di vista sia concettuale che procedurale, è opportuno sottoli­ neare che per la tassonomia hennigiana gli unici caratteri provvisti di significato filogenetico, e di conseguenza gli unici da prendere in conside­ razione, sono quelli omologhi. Nell' ambito delle omologie i caratteri primi­ tivi condivisi, che Hennig chiama simplesiomorfi, non sono considerati informativi della natura monofiletica di un gruppo: possono infatti essere stati ereditati da un ancestrale comune, ma non esclusivo. Fra i caratteri derivati o apomorfi, hanno significato nelle ricostruzioni filogenetiche quelli sinapomorfi, condivisi in quanto comparsi come tali nell'ipotetico ancestrale comune ed esclusivo

153


ORD INANDO LA NATURA -

Capitolo 14

Per saperne di più

Una bibliografia, anche soltanto essenziale, sull'evoluzione del pensie­ ro sistematico in biologia eccederebbe gli scopi di questo libro. Abbiamo tuttavia ritenuto opportuno segnalare alcune opere, di storici, biologi e filosofi, che consideriamo utili per chi volesse iniziare un approfondimento.

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AA .VV .. 1984. Immagine e natura. L'immagine naturalistica nei codici e libri a stampa delle Biblioteche Estense e Universitaria. Secoli XV - XVII. Edizioni Panini , Modena. Barsanti G., 1992. La Scala, la Mappa, l'Albero. Immagini e classificazioni della natura fra Sei e Ottocento. Sansoni, Firenze.

Fig. 14.13. La contestazione tassonomica (cortesia di Marco Valenti) .

Il panorama della tassonomia biologica si caratterizza oggi soprattutto per due aspetti nettamente contrastanti, ma non drasticamente conflittuali : da un lato il dibattito fra impostazioni radicalmente differenti raggiunge con una certa frequenza toni anche polemici; d'altro canto, l'esigenza di una scienza della filogenesi e della classificazione unificata non da un processo di omologazione, ma da uno sforzo di sintesi, è sentita da più parti e costituisce uno stimolo forte per nuove elaborazioni.

Continenza BeE. Gagliasso, 1996. Giochi aperti in biologia. F. Angeli, Milano. Dagonet F., 1970. Le catalogue de la vie. Presses Universitaires de France, Paris (tr. it., 1986: Il catalogo della vita. Theoria, Roma - Napoli) Ford B. J., 1992. Images of Science. A history of scientific illustration. The British Library, London. Galleni L., 1992. Scienza e teologia. Proposte per una sintesi feconda. Queriniana, Brescia. Jablonka E. & M. J. Lamb, 1995. Epigenetic Inheritance and Evolution. The Lamarckian Dimension. Oxford Univ oPress, Oxford. Kosso P., 1992. Reading the book of Nature . Cambridge University Press, Cambridge. (tr. it., 1995: Leggere il libro della natura. Soc. ed . Il Mulino, Bologna) Mayr E., 1988. The growth of biological thought. Diversity, evolution, and inheritance. Belknap Press, Harvard. (tr. it., 1990: Storia del pensiero biologi­ co. Diversità, evoluzione, eredità. Bollati - Boringhieri, Torino) . Minelli A. , 1991. Introduzione alla sistematica biologica. Muzzio, Padova. Omodeo P. , 1984. Creazionismo ed evoluzionismo. Laterza, Bari .

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PER SAPERNE DI PiÙ

Epilogo

Papavero N. & J. Llorente Bousquets, Ed., 1993 - 1996. Principia Taxonomica, voli. I - VII. Univo Na!. Autonoma de México, Mexico . Papavero N., 1. Llorente Bousquets, D. Espinosa Organista, 1995 . Historia de la Biologia Comparada, desde el Génesis hasta el Siglo de las Luces. I. Del Génesis a la caida del Imperio Romano de Occidente. Univo Na!. Autonoma de México, Mexico. Papavero N., G. 1. Scrocchi, J. Llorente Bousquets, 1995. Historia de la Biologia comparada, desde el Génesis hasta el Siglo de las Luces. II. La Edad Media: desde la caida del Imperio Romano de Occidente hasta la calda del Imperio Romano de Oriente. Univo Na!' Autonoma de México, Mexico. Papavero N., J. Llorente Bousquets, D . Espinosa Organista, 1995. Historia de la Biologia comparada, desde el Génesis hasta el Siglo de las Luces. III. De Nicolas de Cusa a Francis Bacon. Univo Na!. Autonoma de México, Mexico. Rossi P. (a cura di), 1988. Storia della scienza moderna e contemporanea (capitoli vari di W. Bernardi, B. Fantini, A. La Vergata, P. Rossi) . 5 voi!. U.T.E.T., Torino. Simonetta A. M., 1994. Breve storia della Biologia, dalle origini all'inizio del XX secolo. U .Z.I., Camerino. Tort P. (Ed.), 1996. Dictionnaire du darwinisme et de l'évolution. 3 voi!. Presses Universitaires de France, Paris .

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Mettere la parola fine a un libro provoca una serie di sensazioni alquanto deprimenti, come tornare a casa dopo un lungo, affascinante viaggio in paesi lontani. Quanti templi, quanti palazzi rimpiangiamo di avere soltanto sfiorato con uno sguardo affrettato, quanti paesaggi sono scorsi sotto i nostri occhi, senza che ne ricevessimo più di sparsi frammenti di emozioni, che ora soltanto capiamo quanto avrebbero potuto essere ricche ed appaganti. Allo stesso tempo però, riguardiamo con un senso di paga quiete le vecchie cose di casa, tornando ai rassicuranti, quotidiani ritmi. Le immagini, i fatti, le sensazioni del viaggio concluso diventano grati ricordi. Così, lungo un diverso, ma altrettanto affascinante viaggio, abbiamo dovuto trascurare o non approfondire alcuni temi e alcuni perso­ naggi; ricordiamo con un senso di gratitudine gli autori di quelle opere da cui abbiamo attinto dati e idee - condivise o contestate - ma soprattutto stimoli a pensare: fra questi, Giulio Barsanti, Barbara Continenza, Eva Jablonka, Antonello La Vergata, Jorge Llorente Bousquets, Ernst Mayr, A lessando Minelli, Pietro Omodeo, Nelson Papavero, Alberto M. Simonetta. L'apporto critico di Maria Carla Nosengo è stato fondamentale per redi­ gere il primo capitolo. Mario Lo Valvo ha interpretato e reso graficamente leggibili gli schemi con cui abbiamo cercato di chiarire alcuni passaggi. Monica Cosmai ha trovato per noi importanti notizie su autori islamici. Al Dipartimento di Biologia Vegetale dell'Università di Torino, e in partico­ lare a Rosanna Caramiello, dobbiamo la possibilità di aver riprodotto la tavola della copertina. Ai fortunati proprietari di antichi testi naturalistici siamo riconoscenti per averci permesso di consultarli e di riprodurne parte dell'iconografia. Siamo profondamente grati a Lodovico Galleni, che ha accettato di scrivere una prefazione che ci lusinga. Infine, alla memoria di Eraldo Arnaud, filosofo e maestro di vita, rivolge un riconoscente pensiero il primo autore che di Lui ebbe il privilegio di essere allievo.

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Finito di stampare

nell'anno 1997

dalla Tipografia Aiello

Bagheria (PA)

per conto della MedicaI Books


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