SocietĂ interattiva
La vita a Raissa
Simone Scimmi Tesi di laurea in grafica dei sistemi, design ed editoria - II livello ISIA di Urbino - A. A. 2010/11 Relatore Prof. Marco Tortoioli Ricci Co-relatore Prof. Nunzia Coco
SocietĂ interattiva
La vita a Raissa
Simone Scimmi Tesi di laurea in grafica dei sistemi, design ed editoria - II livello ISIA di Urbino - A. A. 2010/11 Relatore Prof. Marco Tortoioli Ricci Co-relatore Prof. Nunzia Coco
Indice Mappa delle interviste e delle collaborazioni 6-9
“L’unica rivoluzione possibile è quella interiore.” PREMESSA
Incipit
10 - 31
“Saper Aude, abbi il coraggio di servirti della ragione.”
32 - 41
APPUNTO #1
APPUNTO #2
Intervista a Nunzia Coco
Intervista a Ora D’aria Lab
Democratizzazione della conoscenza • Metodologia viennese della statistica per immagini • Otto Neurath • Isotype
Josef Albers - I laboratori BMC • La didattica di Moholy-Nagy e Albers alla Bauhaus Bruno Munari - Laboratori • Giocare con l’arte
La Bauhaus • Il corso preparatorio HfG di Ulm • Il corso di base Design di base • Learning by doing • Natura delle esercitazioni • New Basic Design • Arte cinetica e basic design cinetico • Arte Programmata e Basic Design Computazionale
“Le parole si dimenticanono, L’esperienza no.”
42 - 53
“Si narra che la geometria nacque quando gli antichi Egizi decisero di ripartire le terre lungo il Nilo, in appezzamenti di uguale superficie.” APPUNTO #3
Vedere per progettare • Struttura visiva del cervello • Teorie fondamentali della visione
Gestalt • Strutture • Relazioni • Gruppi
54 - 67
68 - 107
Forma Mentis nel Progetto Ideale APPUNTO #5
Appunti sul colore
Intervista a Emanuela Bonini Lessing
“La città, un mondo artificiale, dovrebbe essere tale nel senso migliore.”
Natura dei laboratori “Io ci vedo una città” • Le esercitazioni sono caratterizzate da alcuni punti fermi • Documento 1: corso di base • Mappe mentali
APPUNTO #4
Intervista a Luciano Perondi
Io ci vedo una città #1
Elementi visivi della città • Le aggettivizzazioni della forma
Alcuni progetti Io ci vedo una città #2
Contrasti e convenzioni nei diagrammi e nelle mappe
Alcuni progetti
L’immagine pubblica
Manifesto del cittadino
Psicogeografia situazionista 108 - 135
Affissioni: mappe dalla città nella città Intervista a Utlità Manifesta Intervista a CoMoDo
136 - 141
Concludendo APPUNTO #6
Bibliografia
INDICE
Interviste realizzate per corrispondenza di posta elettronica.
Mappa delle interviste e delle collaborazioni
Le interviste sono rivolte ad alcune realtà che, sotto aspetti diversi, lavorano nel campo del design con uno sguardo particolare alle problematiche sociali. L’esperienza di realtà atte a sviluppare comunicazione ed iniziative umanitarie, pro-sociali si affianca all’attività di designer ed esperti di comunicazione, che si occupano della fruizione della comunicazione e dell’interazione e fruizione da parte dell'individuo. CoMoDo - Comunicare Moltiplica Doveri Intervista relativa alla loro attivita come cooperativa di grafici impegnati nella comunicazione socielmente utile. Collaborazione alla realizzazione dell’allestimento e della comunicazione relativa al primo laboratorio effettuato ad Umbrialibri 2011. Utilità Manifesta - Molly & Partners Intervista relativa alla loro attivita di associazione di grafici impegnati nella comunicazione socielmente utile. Emanuela Bonini Lessing Intervista relativa al rapporto tra designer, città e cittadino. Nunzia Coco Intervista relativa alla didattica e alla metodologia della disciplina del Basic Design. Luciano Perondi Intervista relativa alla rappresentazione cartografica, ai sistemi di rappresentazione della città. Ora d’aria Lab Intervista relativa all’attività laboratoriale all’interno della casa circondariale Rebibbia di Roma. Museo Caos di Terni Location e collaborazione alla realizzazione del primo laboratorio Io ci vedo una città. Biblioteca Comunale di Terni Location del secondo laboratorio Io ci vedo una città.
Fondamentalmente, un grazie a tutti per la collaborazione.
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La posizione nella mappa fa riferimento al luogo in cui gli intervistati svolgono la propria professione.
CoMoDo - Comunicare Moltiplica Doveri Molly & Partners - UtilitĂ Manifesta Emanuela Bonini Lessing
Nunzia Coco Luciano Perondi Ora d’aria Lab
Milano
Museo CAOS BCT
Urbino Perugia Terni Roma
PREMESSA La vita a Raissa è un progetto urbano, una realtà laboratoriale che vive nella città, che coinvolgere la popolazione alla progettazione del proprio spazio vitale. Il progetto non vuole compiere una diretta modificazione del territorio ma gettare le basi per farlo. I laboratori sono ideati per permettere al cittadino di entrare in contatto con la città in modo totale. Adattare lo spazio alle esigenze personali, dare modo e capacità di definire la propria idea di città. Partendo da un’analisi di come sia possibile esprimere visivamente concetti e visualizzazioni complesse, il tentativo è quello di semplificarne la procedura realizzativa al punto tale da rendere chiunque, in pochi minuti, autore di un progetto complesso in questo caso un progetto urbano. Attraverso il “fare” si vuole così attivare n processo di auto-presa di coscienza, il principio di un processo di comprensione della tematica “città”. Anche in un “paese democratico”, la progettazione della città è riservata a specifiche branche professionali e didattiche, e la popolazione spesso non può fare altro che accettare o dissentire da decisioni venute dall’alto. L’urbanistica, l’architettura, il design in generale, hanno spesso messo a disposizione il proprio sapere, la propria capacità di gestione delle complessità sociali creando un ponte tra amministrazione e cittadino. A volte, invece, questo processo di riappropriarsi dello spazio viene proprio dal “basso”, dai cittadini che collaborano attivamente nel ridefinire lo spazio in cui vivono, anche in modo spontaneo e autonomo. La vita a Raissa è l’ennesimo tentativo di rafforzare questo contatto. Citando la grafica di Pubblica Utiltà, che in Italia è stato esempio dello sforzo di creare continuità tra design istituzione e cittadino, i laboratori del progetto La vita a Raissa assumono questo medesimo ruolo, di entrare nella società urbana chiedendo agli enti pubblici e alle istituzioni gli spazi, e al cittadino la collaborazione. Durante i laboratori sono stati realizzati decine di progetti urbani, poi diventati idee pubbliche. Il cittadino in questo modo diventa autore diretto di un sistema di informazione, trovando spazio di espressione tramite i sistemi di affissione, troppo spesso utilizzati solo per scopi commerciali, di lucro. L’idea del singolo diviene parte di un complesso di idee portando in luce le esigenze di ogniuno e permettendo un confronto con il resto della comunità urbana. Il cittadino diventa allora il firmatario di un ipotetico Manifesto di progettazione ideale, affiancabile alla Carta del Progetto Grafico promossa da Anceschi, Baule e Torri, al First Thing First di Ken Garland. Ciò che è stato prodotto nei laboratori è solo la prima fase, un esempio, di un processo di rivoluzione ideale, nel quale centrale è la “dottrina del fare”, dell’essere partecipe, del sentirsi parte e autore della società. NOTA
Gli “APPUNTI” presenti all’inizio dei capitoli permettono di approfondire gli aspetti teorici che chiarificano il valore del progetto.
“L’unica rivoluzione possibile è quella interiore”
Da un intervista a Tiziano Terzani del 2002
Incipit
Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un’altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita con il martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti slle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano degli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato:- Gioia mia, lasciami intingere! - a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficile che le sorride nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: «Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicchè a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere».
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Tratto da Le città invisibili (2. Le città nascoste) di Italo Calvino
APPUNTO #1
Dalle prime forme di scrittura, e successivamente, dalle prime forme di riproducibilità, il sapere si diffonde in modo sempre più accellerato e totale. Il livello di alfabetizzazione cresce e negli ultimi due secoli si velocizza in modo esponenziale, permettendo alla quasi totalità della popolazione globale di fruire delle informazioni. Con l’avvento dei nuovi media la fruizione dell’informazione diventa una questione di consumo, un “prodotto” di cui ci si può costantemente servire e di pari passo l’industrializzazione permette, anche, la produzione di qualsiasi oggetto della vita quotidiana in modo massificato. Circa agli inizi del XX secolo, di conseguenza, nasce la definizione di “designer”, cioè il progettista-artigiano che pensa e “produce comunicazione” ed oggetti di vita quotidiana. La progettazione punta l’attenzione su chi fruisce del prodotto e pone le sue esigenze come centrali. Ad esempio, Otto Neurath con gli Isotype cerca di universalizzare informazioni complesse come le statistiche permettendo anche agli analfabeti di capire le dinamiche mondiali; nascono scuole di pensiero con la volontà di giungere ad un’obbiettività delle cose percepite, e conseguenzialmente delle cose progettate. Oggi si raccolgono i risultati di questo percorso e, da questi, si prosegue. Il comunicatore e il fruitore della comunicazione perdono i loro confini, una volta ben definiti, e l’accessibilità agli strumenti tecnologici e culturali facilita, per alcuni aspetti, questo processo. Il designer, l’artista, entrambe le cose, è parte di una comunità di conivisione del sapere. Le sperimentazioni puntano ad un fare collettivo, centrale diventa non la nozione ma lo “scambio”. Il designer, il teorico, l’artista, è il ponte, il faro che pone in luce questioni, che permette di allargare gli orizzonti della ricerca. In questo capitolo viene improntato un breve escursus del processo di “democratizzazione della conoscenza”, prendendo in considerazone il lavoro di Otto Neurath, per poi approfondire la metodologia del Basic Design ripercorrendo la sua evoluzione a partire dalla Bauhaus fino al Basic Design Computazionale. Ciò è utile a capire come questo tipo di esperienza sia essenziale alla progettazione e alla comprensione del progettato. L’impostazione metodologica di insegnamento del Basic è la base che identifica la natura laboratoriale del progetto La Vita a Raissa. Un'intervista a Nunzia Coco apre questo capitolo fornendo le chiavi di lettura per la comprensione del Basic Design.
“Sapere aude, abbi il coraggio di servirti della ragione”
Motto illuministico, citato da Immanuel Kant sul”Berlinischen Monatsschrift”
INTERVISTA #1
Cfr. isiaurbino.net
Nunzia Coco
Nunzia Coco si è laureata in Design del Prodotto e successivamente in Comunicazioni Visive e Multimediali presso la Facoltà di Design e Arti allo IUAV di Venezia. Nel 2009 ha conseguito un master in Interaction Design presso CIID Copenaghen Institute of Interaction Design. Ha collaborato per due anni con il professor Giovanni Anceschi al corso di Basic Design presso la facoltà di Design e Arti di Venezia e si è occupata dell’organizzazione dei seminari-workshop di Basic Design dal 2006 per il dottorato di ricerca in Scienze del Design presso IUAV di Venezia. Ha partecipato all’International Basic Design Conference del 2009 presso lo IUAV di Venezia e ha pubblicato articoli al riguardo su Progetto Grafico ed Il Verri. Dal 2004 lavora come visual designer ed interaction designer presso varie agenzie pubblicitarie in Italia e all’estero. Ha collaborato alla realizzazione di progetti di allestimento per alcune mostre a Milano e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Ha realizzato progetti editoriali per Università e privati. Si occupa di progetti di ricerca sullo Human Centered Design. Attualmente tiene il corso di Basic Design presso l’ISIA di Urbino. INTERVISTA A NUNZIA COCO Appunti sul Basic Design
Interviste realizzate per corrispondenza di posta elettronica.
1. Cosa è il basic design? Il basic design è una metodologia di insegnamento, di cui si possono identificare le origini al Bauhaus (Grundkurs, corso di base). La disciplina intreccia propedeutica e fondazione disciplinare. Permette di fissare le basi della progettazione, i fondamenti della attività di configurazione (Gestaltung) tramite la pratica. Il basic design è contemporaneamente un training, un avviamento alla progettazione vera e propria, e l’identificazione degli elementi fondativi del design. 2. Quali sono gli “obiettivi” perseguiti nei suoi corsi di Basic? In conformità con le sue origini nel Bauhaus, che lo vedevano come la risposta a nuove richieste educative e pedagogiche, proprio il corso di Basic Design si pone l’obbiettivo di accompagnare gli studenti all’interno della scoperta del “fare progettuale”. Partendo dalla scoperta della forma e dall’esplorazione della qualità nella configurazione, con un percorso di tipo storico, la disciplina si occupa di formare una designer consapevole che possa agilmente muoversi nella progettazione contemporanea possedendo adeguati fondamenti. 3. In che modo, lo studente, si relaziona al Basic? Come avviene “l’apprendimento”? Il corpus del Basic Design è la collezione complessiva delle esercitazioni pedagogiche dagli inizi ad oggi, dentro alla quale il docente sceglierà il set di quelle attualmente indispensabili. Utilizzo l’espressione “attualmente indispensabili” proprio per il fatto che la disciplina si propone non di definire un”a prescindere” bensì un proposito di fondamento. Il corso dunque per essere di fondamento deve essere assolutamente coerente con il contesto d’uso e quindi il corpus deve essere aggiornato rispetto al tempo di utilizzo. Lo studente dunque affronterà un percorso, all’interno del quale il docente si proporrà come guida, per “imparare a vedere”. Agli studenti verranno proposte una serie di esercitazioni, 8 nel
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mio caso, che hanno come obiettivo quello di raggiungere un effetto (strutturale, ma soprattutto percettivo, semantico, ecc). Tramite il dialogo e il confronto tra i componenti della classe, come suggerisce Albers, gli studenti impareranno, prediligendo una metodologia didattica di tipo induttivo, a sviluppare un pensiero di tipo costruttivo. 4. Anceschi definisce il Basic una disciplina che si relaziona con il tempo ed il contesto tecnologico e sociale. In che modo il Basic si relaziona con la società attuale? Come già detto, il corpus delle esercitazioni non è costante e i fondamenti non sono eterni. Alcuni si dismettono, ad esempio, oggi le esercitazioni che si limitavano ad esplorare staticamente gli elementi spaziali, cromatici, strutturali non sono più così rilevanti, mentre si cominciano a considerare essenziali le questioni della temporalità, del movimento, della multisensorialità, dell’interazione. I fondamenti di questa disciplina sono “adattivi”(Anceschi) e le esercitazioni si devono aggiornare rispetto al contesto d’uso. Oggi il progettista si confronta con una progettazione multimediale e interattiva, dove il supporto tecnologico può diventare spesso linguaggio stesso. È proprio considerando questi orizzonti che all’interno del corso di Basic dell’ISIA si fanno sperimentare agli studenti alti linguaggi, non solo quello visivo, ma anche quello di programmazione per esempio. 5. Esiste un Basic istantaneo? Si possono effettuare esercitazione svincolate da un corso strutturato, e comprenderne la finalità? Per rispondere a questa domanda vorrei innanzitutto citare G. Anceschi “Quello del Basic Design è un fiume ricco e talvolta tumultuoso di eventi e di processi pedagogici e ad un tempo fondativi”. Mentre si insegna a configurare viene identificato anche e nello stesso tempo cosa sia il caso si insegnare, allo stesso modo, mentre si eseguono delle esercitazioni, lo studente viene guidato in un percorso alla costruzione di un pensiero progettuale. È sicuramente possibile proporre alcune esercitazioni, ma solo se contestualizzate possono veramente portare all’apprendimento “del processo della configurazione”.
CAPITOLO #1
Cfr. Otto Neurath The lenguage of the Global Polis Nader Vassoughian NAi Publishers, 2011 Cfr. Design Storia, teoria e prassi del disegno industriale Bernhard E. Burdek Arnoldo Mondadori Editrice Cfr. www.magarinos.com.ar/ OttoNeurathISOTYPE.htm Cfr “Orbis sensualium pictus” di Johannes Amos Comenius, 1658
Democratizzazione della conoscenza
Le prime tappe della comunicazione visiva come strumento di divulgazione informativa per immagini possono essre fatte risalire al diciassettesimo secolo per opera di Johannes Amos Comenius in Orbis sensualium pictus (1658). Un importante passo verso la creazione di un linguaggio figurtivo universale è rappresentato poi dall’enciclopedia francese di Diderot e d’Alambert, nella quale si nota il tentativo di visualizzare funzionamenti di oggetti, processi produttivi in modo universalmente comprensibile. Nel diciannovesimo secolo Quetelet in Belgio, Balbi e Guerry in Francia e Fletcher in Inghilterra si sono occupati di demografia statistica con il trattamento statistico di questioni etiche, morali e sociali. Le chiavi di lettura di questi sistemi sono da ritrovare nella standardizzazione, normalizzazione e tipizzazione. Il loro utilizzo consente di ridurre la complessità del reale e di semplificarlo al fine di semplificarne la comprensione. Esemplari per gli enormi sforzi di standardizzazione è il Wiener Kreis, circolo che all’inizio del ventesimo secolo divenne famoso come movimento, interno al movimento moderno di Vienna, di scienziati e filosofi che tentava di condurre una lotta contro l’interpretazione metafisica della realtà. Metodologia viennese della statistica per immagini Prima della definizine del linguaggio Isotype, a partire dagli anni venti, Otto Neurath fondò la metodologia viennese della statistica per immagini. Di questo movimento fanno parte Enst Mach, Karl Kraus, Ludwig Wittgenstein (filosofia), Arnold Schönberg (musica) e Adolf Loos (design industriale), i quali, pur in modo differente a seconda delle discipline di appartenenza, si ponevano obbiettivi unitari: precisione, chiarezza e semplicità in tutti gli ambiti produttivi della scienza e della conoscienza. Sostanzialmente il fine di questi movimenti era di internazionalizzare la comunicazione sulla base di un linguaggio comune e vincolante. La loro attività mostrò l’ambizione di informare e organizzare la società attraversa tutte le discipline. Da un simile atteggiamento si pone in evidenza e si dispongono gli argomenti che fanno della comunicazione visiva una pratica non puramente artistica.
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Animali nell’Orbis sensualium pictus di Johannes Amos Comenius. L’immagine approfondisce la definizione scritta.
CAPITOLO #1
Cfr. Otto Neurath The lenguage of the Global Polis Nader Vassoughian NAi Publishers, 2011 Cfr. Design Storia, teoria e prassi del disegno industriale Bernhard E. Burdek Arnoldo Mondadori Editrice Cfr. www.magarinos.com.ar
OTTO NEURATH Filosofo, economista politico e sociologo austriaco (Vienna 1882, Inghilterra 1945). Nel 1929, Neurath fu tra gli autori del manifesto del neopositivismo, “per una visione scientifica del mondo”. Nel 1925, Neurath fondò e diresse il Museo Sociale ed Economico di Vienna. Obiettivo del museo era diffondere tra i cittadini la conoscenza di informazioni e dati statistici, in modo che essi potessero comprendere meglio la realtà del proprio paese. Secondo Neurath, “il cittadino medio dovrebbe essere in grado di acquisire illimitate informazioni su ogni tema che gli interessa, così come può ottenere informazioni geografiche da mappe e atlanti”. Per realizzare il suo programma di divulgazione, studiò una teoria, il cosiddetto “metodo viennese”, per la rappresentazione visiva di dati complessi, come quelli statistici, basata sul fatto che l’apprendimento avviene in modo più immediato e intuitivo tramite immagini semplici, rispetto alle parole. Neurath era cosciente del ruolo sempre maggiore che le immagini stavano prendendo nell’ambito della comunicazione: “L’uomo moderno riceve una grande parte delle sue conoscenze e della sua istruzione in generale tramite impressioni visive, illustrazioni, fotografie, film. I quotidiani di anno in anno mostrano sempre più immagini. Inoltre, anche la pubblicità opera con segnali ottici e rappresentazioni visive. Mostre e musei sono certamente il risultato di questa incessante attività visiva.” Prendendo spunto dalle teorie di Wittgenstein sul linguaggio, Neurath immaginò un linguaggio visivo composto da icone che potessero combinarsi tra loro secondo regole stabilite, per dar vita a un sistema di comunicazione visiva universale. Questo sistema aveva anche lo scopo di superare le barriere linguistiche e culturali tra le nazioni, aiutando, ad esempio, un viaggiatore in un paese di cui non conosce la lingua a trovare un telefono, una banca, una biglietteria. Neurath chiamò a collaborare un gruppo di persone, tra cui l’artista e grafico tedesco Gert Arntz (1900-1988) e Marie Reidemeister Neurath (1898-1987), che più tardi diresse l’Isotype Institute in Inghilterra. Arntz tradusse le teorie di Neurath in un sistema di segni grafici efficace.
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ISOTYPE Il lavoro di Otto Neurath e Gert Arntz fa parte di un filone alternativo della storia della comunicazione visiva volto a semplificare e rendere comprensibili complessi sistemi di dati e informazioni. Questo tipo di comunicazione visiva mette al centro del proprio interesse la questione dell’utilizzabilità, del funzionamento dei contenuti comunicativi. Il movimento Isotype fa riferimento al concetto progettuale-analitico del Bauhaus e mette in relazione il metodo progettuale della Hochschule für Gestaltung di Ulm con gli approcci razionali in Svizzera, in Inghilterra, in Olanda e negli USA. In primo piano si tovano le questioni della visibilità e leggibilità del mondo in quanto necessità storiche per l’alfabetizzazione e democratizzazione della conoscenza, della fruizione di dati statistici e quantitativi. Per ogni oggetto o categoria da rappresentare viene creato un segno: caratteristiche essenziali di questo segno sono la semplicità, la riconoscibilità, l’immediatezza, evitando quindi, che il segno abbia troppi dettagli. Nelle parole di Neurath: “Un’immagine che fa un buon uso del sistema deve trasmettere tutte le informazioni importanti riguardo all’elemento che rappresenta. Al primo sguardo si vedono gli elementi più importanti, al secondo i meno importanti, al terzo i dettagli. Al quarto, non dovrebbe cogliersi più nulla”. La semplicità del disegno permette anche di allineare i diversi segni Isotype su una stessa linea, come si farebbe con i caratteri tipografici. Per rappresentare quantità variabili di un’oggetto, lo stesso segno viene ripetuto in modo proporzionale alla quantità. Questo, secondo Neurath, rende i diagrammi Isotype più accessibili rispetto ai grafici astratti, che usano forme geometriche di dimensioni variabili. Anche la tavolozza cromatica è ristretta: i colori suggeriti sono sette (bianco, blu, verde, giallo, rosso, marrone e nero) e devono essere abbastanza diversi tra loro da essere sempre identificati dall’osservatore. Questi criteri di semplicità e immediatezza rendono il sistema Isotype utile anche come linguaggio internazionale per immagini o linguaggio visivo ausiliario. Neurath ne suggerisce l’uso nell’istruzione, nella realizzazione di un’Enciclopedia universale delle scienze, e nella comunicazione tra persone di lingue diverse. Tra i progetti che possono essere considerati una derivazione di Isotype si possono citare il sistema di pittogrammi che Otl Aicher ha realizzato per identificare i diversi sport alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, e gli studi realizzati dall’A.I.G.A. (American Institute of Graphic Arts) per il Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti, che ha contribuito a creare un alfabeto per i viaggiatori moderni. Il potere di immediata significanza dei disegni Isotype è stato però messo in dubbio. Come nota Giovanni Lussu tutti i segni comprese le frecce hanno insita una convenzione acquisita. Studi recenti, infatti, inferiscono alla scrittura una natura simbolica non pittografica, centrale è l’attribuzione del valore, il “cosa” sta a significare.
CAPITOLO #1
Cfr. Design Storia, teoria e prassi del disegno industriale Bernhard E. Burdek Arnoldo Mondadori Editrice Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Cfr. Basic, basic, basic Progetto grafico 12-13 Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010
La Bauhaus
Nel 1902 Henry van de Velde istituì a Weimar un seminario per l’artigianato artistico, che nel 1906 fu trasformato nella Kunstgewerbeschule. Nel 1919 fu accorpata alla Scuola Superiore di Arti Figurative e sotto la direzione di Walter Gropius si formò la Scuola Statale di costruzione di Weimar (Staatliche Bauhaus), che divenne il punto di partenza per lo sviluppo del design. Gropius chiamò ad insegnare rappresentanti della cultura astratta e cubista, tra cui: Wassily Kandinsky, Paul Klee, Lyonel Feininger, Oscar Schlemmer, Johannes Itten, Georg Muche e László Moholy- Nagy. L’idea fondamentale era di realizzare nella Bauhaus una nuova sintesi tra arte e tecnica, adeguata alla società moderna e a questo pensiero si legava anche l’idea che l’arte si dovesse ancorare alle esigenze comuni. La Bauhaus si riallacciava al movimento di riforma di fine secolo. Nel 1925, fu inaugurato il nuovo edificio di Gropius a Dessau. Sotto la pressione nazionalsocialista, la Bauhaus di Dessau fu chiusa ma un piccolo gruppo di insegnamenti e studenti era ancora attivo a Berlino, pur tra grandi difficoltà, negli anni 1932-33. Il ciclo produttivo della Bauhaus, tenendo conto dei lavori eseguiti, può essere suddiviso in tre fasi: 1919-1923 Momento pedagogico e fondamentale era il corso preparatorio, poi seguivano laboratori speciali a scelta tra tipografia, ceramica, metalli, pittura ad affresco e su vetro, falegnameria, officina scenica, tessitura, rilegatura e scultura lignea. I laboratori erano tutti diretti da due persone, un maestro della forma (l’artista) e un maestro d’arte (l’artigiano) in modo da sviluppare nello studente sia capacità manuali quanto capacità artistiche. Segue poi dal 1923 al 1928 una fase di sperimentazione e di produzione di prototipi industriali orientati sia alla produzione industriale che alle esigenze sociali di larghi strati di popolazione. Si sviluppa fortemente il concetto di funzionalità sia sul piano teorico che su quello pratico. In questa fase gli esperimenti artistici vennero posti in secondo piano rispetto a compiti di progettazione formale applicata. Responsabile di questa evoluzione fu l’architetto Hannes Mayer che divenne direttore della Bauhaus nel 1928. Ultima fase dal 1928 al 1933 nella quale vennero introdotti nuovi laboratori e discipline, tra cui fotografia, plastica e psicologia. La visione di Mayer era quella di concepire il progettista al servizio della società, capace di soddisfarne le esigenze, come quelle legate all’abitare. In questa fase molti artisi abbandonarono, tra gli altri: Schlemmer, Klee, Moholy-Nagy e nel 1930 anche lo stesso Mayer. Nel 1932, durante il nuovo rettorato di Mies van der Rohe, i nazionalsocialisti chiusero la Bauhaus di Dessau e Mies tentò di portarla avanti a Berlino, ma nel 1933 con la salita al potere di Adolf Hitler si verificò la chiusura volontaria della Bauhaus. IL CORSO PREPARATORIO Elemento portante alla Bauhaus era il corso preparatorio, introdotto nel 1919-20 da Johannes Itten. l’intento era di far sperimentare, individuare e verificare personalmente dagli studenti le proprie capacità creative e di determinare qualificazioni strutturali di base nel senso di un’oggettiva disciplina della forma. Successivamente il corso fu condotto da László Moholy-Nagy e poi da Josef Albers. Dal punto di vista metodologico, tanto Albers quanto Itten perseguivano nell’insegnamento della progettazione un metodo induttivo, lasciando che gli studenti ricercassero, provassero e sperimentassero. Le capacità cognitive venivano in tal modo sviluppate indirettamente. Venivano tratte conclusioni dall’analisi e dalla discussione degli elementi pro-
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gettuali, che si consolidavano poi in una teoria generale. Il corso di basic tenuto da Johannes Itten aveva dei caratteri curativi e addirittura catartici sviluppati ad esempio attraverso esercitazioni di scioltezza gestuale: volute a mano libera che coinvolgevano in una sorta di danza del tracciato, la postura del polso, del braccio, della spalla e di tutta la stazione eretta. Il corso preparatorio era considerato di fondamentale importanza sotto l’aspetto didattico pedagogico. Da questo punto di vista è infatti possiblie affermare che la Bauhaus fu una scuola di vita che basava l’esistenza su una filosofia di vita comune e costruttiva. Aspetti simili si possono ritrovare dopo la seconda guerra mondiale nella Scuola Superiore di Progettazione di Ulm, la Hochescule für Gestaltung. Esercizi di respirazione tenuti da Johannes Itten durante il corso di base. L’esercizio serve a liberare le capacità corporee.
Nero come colore Esercitazione ideata da Johannes Itten. Lo scopo è riuscire ad integrare i tasselli neri nella composizione in modo da non farli apparire come buchi.
CAPITOLO #1
Cfr. “La scuola di Ulm” Lindinger Herbert, Costa & Nolan, 1988 Cfr. Design Storia, teoria e prassi del disegno industriale Bernhard E. Burdek Arnoldo Mondadori Editrice Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Cfr. Basic, basic, basic Progetto grafico 12-13 Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010
HfG di Ulm
La Hochshule für Gestaltung di Ulm, ufficialmente inaugurata nel 1955, nasce per opera di Inge Aicher che, in memoria dei suoi fratelli Hans e Sophie Scholl giustiziati dai nazionalsocialisti, istituì una fondazione con il compito di erigere una scuola in cui competenza professionale e formazione culturale fossero uniti alla consapevolezza politica. Primo rettore fu Max Bill che ne progettò l’edificio. Allo sviluppo delle teorie di base lavorarono in particolare Inge Aicher, Olt Aicher, Max Bill e Walter Zeischegg. L’insegnamento era caratterizzato dalla ripresa della tradizione del Bauhaus, prettamente sull’aspetto teorico progettuale con interesse solo stumentale verso l’arte, utilizzata come supporto per le discipline fondamentali. L’insegnamento di Olt Aicher, Tomás Maldonado, Hans Gugelot e Walter Zeischegg posero in evidenza gli stretti legami tra progettazione formale, scienza e tecnologia. Nel dipartimento di progettazione del prodotto, nel periodo che va dal 1958 al 1962, furono chiamati Walter Zeishegg, Horst Rittel, Herbert Lindinger e Gui Bonsiepe che diedero particolare importanza allo sviluppo di metodologie del design; il design a sistema e il design a comparti furono posti in primo piano negli studi progettuali. Michael Erlhoff definisce la scuola di Ulm come la prima e ultima teoria motivata di processo creativo formale. Le sezioni che costituivano la Hocheschule für Gestaltung erano: insegnamento di base, cinema, informazione, progettazione del prodotto e comunicazione visiva. La scuola venne chiusa nel 1968, per motivi politici e per il fatto che dalla metà degli anni sessanta non è più riuscita a produrre progetti dal contenuto attuale. Negli edifici della HfG fu trasferito l’Istituto per la Pianificazione Ambientale all’Università di Stoccolma che sulle orme della teorie ulmiane si dedicò ancor più alla proposta di temi di interesse sociale e politico che, grazie anche al movimento studentesco, erano emersi nella coscienza del designer. Fu proprio un gruppo dello IUP a trovare per primo le basi per un nuovo orientamento nella teoria del design: la dialettica della progettazione formale di Jochen Gros, sostenendo che al lato affettivo e simbolico della progettazione formale spettava un significato di emancipazione politica. Gli studenti che uscirono da Ulm ebbero forte seguito professionale, iniziando come accadde per la Bauhaus, un’epidemia di sapere e metodo: Escola Superior de Desenho (ESDI) a Rio de Janeiro, Istituto per la Progettazione Ambientale a Parigi, sviluppo di prodotti per le esigenze formali in Cile, influenze in India al National Institute of design di Ahmedabad, all’Industrial Design Center di Bombay, Officina National de Diseño Industrial (ONDI) a Cuba, il Postgraduate Kurs für designer dell’Universidad Autonoma Metropolitanadi Città del Messico e il Laboratorio Associado a Florianopolis in Brasile. Ulm fu anche l’inizio di un movimento noto a livello internazionale come Gute Form (Buona forma) che applica le teorie formali al disegno industiale.
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IL CORSO DI BASE Analogamente a quanto accadeva alla Bahuaus, a Ulm fu attribuito grande rilievo all’insegnamento di base. Lo scopo era quello di trasmettere elementi generali di progettazione formale così come conoscenze teorico-scientifiche, di introduzione all’attività progettuale. Obbiettivo principale era quello di affinare le capacità di percezione, attraverso gli strumenti elementari della progettazione formale (colori, leggi della forma, materiali, superfici). L’intenzione dell’insegnamento di base era, quindi, di raggiungere una disciplina intellettuale attraverso l’allenamento alla precisione manuale degli studenti. La ricerca di razionalità, di forma e costruzione severa condizionava l’habitus mentale. Le materie facenti parte del corso di base furono pertanto discipline matematiche: matematica combinatoria, la teoria dei gruppi (nella forma di una teoria delle simmetrie per la costruzione di reti e griglie), la teoria delle curve, la geometria dei poliedri, la topologia. Gli studenti venivano educati a eseguire i processi progettuali controllandoli consapevolmente. Veniva in tal modo trasmessa una forma mentis, corrispondente alle richieste che più tardi avrebbero dovuto soddisfarre nella progettazione del prodotto, nella produzione industrializzata o nella comunicazione. L’opera di questa scuola è stata determinante nel settore della metodologia del design. La riflessione sisetematica sull’impostazione dei problemi, sui metodi di analisi e di sintesi, sulla motivazione e la scelta delle alternative progettuali.
Anti-primadonna esercitazione ideata da Tomás Maldonado ad Ulm nel 1956. Si tratta di fare in modo che nessun elemento o parte del pattern risulti prioritario visivamente rispetto agli altri.
CAPITOLO #1
Foto reperite dall’album Flickr di René Spitz
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Studenti del Grundkurs presso la Hochshule f端r Gestaltung di Ulm durante le esercitazioni. La sperimentazione e la ricerca laboratoriale era la base della didattica ulmiana.
CAPITOLO #1
Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010 Cfr. Basic, basic, basic, Progetto grafico 12-13 Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Design di base, fondamenta del design Giaovanni Anceschi Ottagono n°70 Cfr. Linea Grafica, 6 Azzurra Editrice Milano, 1994 Cfr. www.room50.org Cfr. www.iuav.it
Design di base
LEARNING BY DOING “C’è voglia di artefatti comunicativi che ci pongono con garbo contenuti informativi di cui abbiamo appetito e c’è voglia di interfacce interattive che ci prendono per mano e ci pilotino attraverso il mondo virtuale ma anche quello fattuale: attraverso il labirinto del mondo fisico. E comunque la richiesta di formazione in questo settore è pressante. Di proggettisti della vita urbana, della mobilità di merci e persone, dell’offerta e dell’utilizzo e del consumo delle merci, dell’offerta e della fruizione della cultura, dell’offerta e della partecipazione ai loisir non ce n’è mai abbastanza.” Così Giovanni Anceschi introduce in New Basic editore Il Verri, la sua visione dell’attuale disciplina del design, di quel design che include le basi di una progettazione cosciente in qualsiasi campo della comunicazione e del prodotto. Il besic design è caratterizzato dall’aspetto propedeutico analitico. La nascita della propedeutica del design in quanto disciplina è da riferirsi fondamentalmente alla Bauhaus all’interno del Grundkurs, sul piano pedagogico, con forti rimandi almeno nella prima fase alla pedagogia infantile, ma anche alla pedagogia antroposofica e vitalista di Rudolf Steiner1. Questa disciplina è intesa come un momento preliminare alle attività creative vere e proprie. Un momento atto a liberare le forze creative dell’uomo, impostato su una stimolazione diretta e su un training che si espande alle facoltà di tutto il corpo. Anceschi mette in evidenza il fatto che molti dei corsi interni al corso di base alla Bauhaus sono sfociati nella definizione di proto-teorie. Si possono citare Punto linea superficie di Kandinskij, il Pädagogisches Skizzenbuch di Paul Klee, nei quali è possibile notare lo sforzo di trasformare una poetica artistica personale in un sapere condivisibile. La scuola di Ulm, con il suo primo direttore Max Bill, propose la stessa formula applicata presso la Bauhaus, creando nel primo anno una grande sezione propedeutica che dal secondo anno si snodava nelle varie officine. Centrale è l’approccio di training-creatvo, l’avviamento alla progettazione e l’omogeneizzazione dei linguaggi espressivi degli studenti. Tómas Maldonado, subentrato a Bill, introduce una serie di aspetti disciplinari tratti da materie limitrofe come la topologia, calcolo combinatorio, simmetria, psicologia della forma ecc. Il corso di base dopo Maldonado va gradualmente abbandonando il carattere di ricerca libera para-artistica, e diventa principalmente un’allenamento o l’emulazione al raggiungimento di un preciso risultato. Il Basic ad Ulm assume l’aspetto di laboratorio seminariale andando a sviluppare la ricerca teorica. Con Gui Bonsiepe, ad esempio, si entra nel campo della Retorica verbo-visiva; Walter Zeischegg invece ne esalta l’aspetto della ricerca morfologica, morfostrutturale. Sarà poi William Huff che conoiugerà le lezioni di Albers con l’approccio di Maldonado, stendendo il testo che riassume la nuova concezione, strutturata in modo organico, della disciplina del Basic Design. La diffusione del Basic si ebbe poi di pari passo con la diaspora che dalla Bauhaus, proprio con
1. Rudolf Steiner (Donji Kraljevec, 27 febbraio 1861, Dornach, 30 marzo 1925) filosofo, esoterista e pedagogista austriaco. Fondatore dell’antroposofia, di una particolare corrente pedagogica (la pedagogia steineriana), di un tipo di medicina (la medicina antroposofica o steineriana), l’ispiratore dell’agricoltura biodinamica, di uno stile architettonico e di uno pittorico. Ha posto anche le basi dell’euritmia e dell’arte della parola.
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William Huff e le sue Parquet deformations negli Stati Uniti. Il termine Basic deriva infatti dall’americanizzazione di Grund. L’Optical Art è da collegare agli insegnamenti bauhausiani. Successivamente al Bauhaus, molti pedagoghi hanno portato avanti e definito queste teorie: Moholy-Nagy introdusse l’uso di nuovi media e materiali (fotografia, cinema, produzione di massa), Gyorgy Kepes al New Bauhaus a Chicago, Emil Ruder a Armin Hoffman in Svizzera, Wolfgang Weingart con le nuove tipografie alla Schule für Gestaltung, Dan Freidman e Katherine MacCoy in Svizzera e negli Stati Uniti. Successivamente, nel 1968, con la chiusura della HfG la diffusione della materia fu globale: India, Giappone, america del Nord e del Sud. NATURA DELLE ESERCITAZIONI Sin da Maldonado si nota che l’impostazione data alle esercitazioni di Basic è quella di definire casi semplificati di problem solving. Il problem da risolvere è circoscritto alle questioni della configurazione e si focalizza su una sola variabile o un solo obbiettivo (la gerarchizzazione percettiva, il pilotaggio della focalizzazione attenzionale). Il tema dell’esercitazione è formulato per iscritto e strutturato in obbiettivi, elementi, regole prescritte, vincoli esecutivi generalizzati. Anceschi in una delle sue esercitazioni, nel corso di Basic tenuto all’ISIA di Roma negli anni '70, impose delle regole talmente strette che gli studenti che affrontarono questa esercitazione furono costretti a ridefinire le regole per trovare una soluzione. Il tutto rientrava nelle aspettative del docente. Alla base di molte esercitazioni e teorie del Basic Design c’è l’aspetto relazionale. Analizzando infatti le esercitazioni ideate da Maldonado come Anti-primadonna che ponevano come priorità la gestione dei rapporti gerarchici, di lettura tra gli elementi; le esercitazioni di Albers in Interazioni del colore che puntavano l’attenzione sulla relazione tra colori non tanto sulla natura simbolica, artistica del singolo. La natura relazionale delle esercitazioni è evidente anche nella didattica di Itten che mette in continuo rapporto e contrasto più valori: chiaro/scuro, liscio/ruvido, duro/soffice, pesante/leggero. Fondamentale non è solo la relazione ma anche l’elemento basilare. Vassilj Kandinskij basa i suoi studi sugli elementi punto, linea, superficie andando poi ad analizzare le relazioni che intercorrono tra di loro. Anche per quanto riguarda i colori, Kandinskij, li prende come elementi isolati andando ad analizzarne gli effetti psicologici. Lo stesso fa Paul Klee che però analizza questi elementi primari in questioni più complesse come le dinamiche messe in gioco dalle forme. Ellen Lupton e Jennifer Cole Phililips partendo dalla stessa prospettiva elementare hanno cercato di ampliare e modificare i limiti di ricerca affrontando altri elementi come: ritmo, scala, textura ecc. Secondo William Huff il Basic Design si occupa principalmente della struttura sintattica ovvero dell’organizzazione di parti diverse in cui l’organizzazione è fornita dalla relazione tra gli elementi. Huff afferma che il Basic si occupa di: «forma, linea, spazio e volume, colore, texture e della relazione tra forma e forma, colore e colore, linea e linea, linea e forma, forma e colore e così via». Il Basic Design può fondamentalmente essere definito come studio di “strutture formali”, cioè da specifici elementi o configurazioni di questi, con relative esercitazioni successive (approcio della Lupton e Cole Phillips); o da un corpus di esercitazioni che fanno emergere successivamente l’esistenza di strutture formali (approccio di Albers e Anceschi). Dar rilevanza alle esercitazioni esplicita un metodo didattico induttivo. L’HfG è un esempio di
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Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010 Cfr. Basic, basic, basic, Progetto grafico 12-13 Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Design di base, fondamenta del design Giaovanni Anceschi Ottagono n°70 Cfr. Linea Grafica, 6 Azzurra Editrice Milano, 1994 Cfr. www.room50.org Cfr. www.iuav.it
didattica tra induttivo e deduttivo che unisce le sperimentazioni laboratoriali ad una serie di lezioni teoriche. La materia del Basic è in relazione ad altre discipline come, evidentemente, la psicologia della Gestalt. Fondamentale è anche l’aspetto della propedeuticità. Il Basic non è applicativo, non ha fini progettuali diretti, se non quelli intrinseci alle esercitazioni stesse, anche se può esistere la definizione di Basic Design specifico se si prende, ad esempio, in esame il periodo in cui ad Ulm venne eliminato il corso di base comune, andando così a stabilire ristretti percorsi di ricerca. L’approccio alla “disciplina” può essere sistematico se strutturato in modo graduale, dal più semplice al più complesso. La definizione di cosa è più o meno complesso potrebbe essere stato definito da Ellen Lupton che organizza le esericitazioni nell’ordine: frame, layers, grid, in cui tra la prima e la seconda vi è hierarchy e tra la seconda e la terza vi sono trasparency e modularity. Le qustioni di priorità possono essere però viste attraverso procedure differenti. Ad esempio, la questione dell’inquadratura può essere considerata prioritaria durante un esercitazione per capire come gestire gli elementi nello spazio; mentre, può essere vista come secondaria o risultante successivamente alla composizione degli elementi nello spazio. Volontà di fondo, come per i laboratori di Albers, è di rendere lo “studente” in grado di essere sensibile alle articolazioni tra relazioni e loro effetti di senso, non solamente per quanto riguarda il visivo. Importante non è il raggiungimento di uno scopo, quanto il processo che permette una sensibilizzazione al problema, ed in generale ad affrontare metodicamente le problematiche poste. Le esercitazioni possono essere viste come formali con lo scopo di far comprendere come utilizzare strutture formali, per creare dei contenuti; oppure, possono essere intese come un’educazione alla sintassi delle forme. Approcci differenti intendono, invece, le articolazioni di relazioni ed elementi come operazioni che coinvolgono il contenuto e la semantica, intendendo che il rapporto tra gli elementi è quello che dà loro significazione (Moholy-Nagy, Albers). Sempre Anceschi definisce il Basic, una disciplina che cresce e si evolve nel tempo ed in relazione al contesto tecnologico in cui è inserita. NEW BASIC DESIGN Ellen Lupton analizza il percorso del Basic inteso come disciplina oggettiva del vedere, che si è andata perdendo dal momento in cui le metodologie del design, a partire dagli anni '60, con una visione estetizzante della corrente post modernista nei confronti del design, si sono allontanate da concetti visivi universali per adattarsi più alle questioni antropologiche, ai gusti delle diverse culture. L’esigenza di andare alla ricerca di una base globale visiva è presente nell’operato di Ellen Lupton che reintroduce l’insegnamento del Basic dopo aver notato le difficolta che gli studenti avevano nel gestire ritmi, gerarchie, griglie e relazioni diagrammatiche; mentre mostravano grande capacità nel gestire le componenti estetiche della cultura Pop. Presso lo IUAV di Venezia nel 2006 si è svolto il primo seminario/workshop Basic Design, la tradizione del nuovo. Il programma dell’incontro era strutturato sulla partecipazione degli studenti ad esercitazioni prese dagli insegnamenti dei padri del Basic: Itten alla Bauhaus, MoholyNagy a Chicago e Maldonado a Ulm. Allo IUAV attualmente si stanno portando avanti innovative sperimentazioni di Basic Design interattivo proposte dagli studenti del workshop di Cristina
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Chiappini presso il corso di Basic del professor Anceschi. Successivamente a quello del 2006, è seguito nell’estate del 2007, il seminario/workshop di Giovanni Lussu tenuto sempre presso lo IUAV di Venezia. Esso pone come punto centrale la “pratica del fare”. Questa volta invece di ripercorrere le origini fondative della disciplina, è stato proposto di entrare in contatto con i processi del design dell’interazione.
Foto ottenute per gentile concessione di Nunzia Coco
Giovanni Anceschi durante il seminario/ workshop “Basic Design, la tradizione del nuovo” tenuto nel 2006 allo IUAV di Venezia.
Uno studente durante il seminario allo IUAV del 2006, alle prese con la realizzazione dell’esercitazione “Anti-primadonna” di Tomás Maldonado.
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Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010 Cfr. Basic, basic, basic, Progetto grafico 12-13 Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Design di base, fondamenta del design Giaovanni Anceschi Ottagono n°70 Cfr. Linea Grafica, 6 Azzurra Editrice Milano, 1994 Cfr. Le leggi della semplicità John Maeda Mondadori, 2006 Cfr. www.room50.org Cfr. www.iuav.it
ARTE CINETICA E BASIC DESIGN CINETICO Il processo è il prodotto Paul Klee nel testo Confessione Creatrice introduce l’elemento Tempo e Movimento attribuendogli il valore di ambito e carattere dell’opera d’arte. Questi elementi teorici anticipano, come fece Umberto Eco nel 1962, il concetto di “opera aperta” soggetta ad un continuo divenire, atta all’interazione con altre discipline e altri codici. Il fruitore assume un ruolo attivo nell’opera come co-autore. Il Basic Design attualmente si intreccia con discipline e sperimentazioni come la computergrafica, mothion graphics, computer animation, video arts che sono solo alcuni dei campi nei quali avvengono appunto le sperimentazioni e la continua definizione del metodo. Entrano in gioco i concetti di tempo, spazio in movimento, sinestesie visivo/uditive, interpretazioni semantiche e story-boarding che vanno a definire il Basic Design Cinetico. Gli esercizi propri del Basic diventano così più complessi in quanto più articolati gli aspetti sintattici, morfologici, percettivi e sensoriali. L’elemento grafico diviene narrazione con l’introduzione del tempo e del movimento e di elementi sinestetici come il suono. Riferirimento può essere il lavoro di Saul Bass,Jan Lenica e Norman Mc Laren che, a partire dal lavoro della società cinematografica Vitagraph, utilizzano l’animazione in relazione alla struttura narrativa, facendo diventare il moviemento ed il suono elementi costruttivi. Con Carson, poi, la sperimentazione cinetica si allarga alla tipografia andando a definire la Tipografia Cinetica. Precursore dell’introduzione di questi elementi nella disciplina del Basic fu il movimento d’arte cinetica programmata che aveva una particolare attenzione la relazione del fruitore con l’oggetto d’arte. Con il gruppo T e i loro ambienti interattivi, l’inclusione del fruitore nell’opera fu totale. Bruno Munari ed Umbrto Eco definiscono l’arte cinetica: «Un genere di arte plastica in cui il movimento delle forme, dei colori e dei piani è il mezzo per ottenere un insieme mutevole. Lo scopo dell’arte cinetica non è dunque quello di ottenere una composizone fissa e definitiva.» Oggi il Basic stà sempre più includendo esercitazioni cinetiche, interattive e multimodali. Il Basic va ad esplora l’elemento Movimento in modo da ampliare le possibilità di interazione e “l’opera aperta” permette un’interpretazione sempre nuova, modificandone ad esempio le relazioni tra gli elementi. Queste sperimentazioni danno campo alle attuali discipline del Design Partecipativo, Design dei Processi, del Conditional Design; e sono precorritrici dell’interattività ed immersività, presenti nel Basic Design Cinetico e in tutte le forme di progettazione di interfacce e d ambienti virtuali.
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Tre frame dei credits realizzati da Saul Bass per il film “Vertigo”, di Alfred Hitchcock.
Sferisterio di Grazia Varisco, 1960.
Esercitazione di “Basic Design Cinetico Interattivo” realizzata durante i workshop tenuti da Cristina Chiappini e dal Prof. Giovanni Anceschi presso lo IUAV di Venezia Facolta di Design e Arti.
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Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010 Cfr. Basic, basic, basic, Progetto grafico 12-13 Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Design di base, fondamenta del design Giaovanni Anceschi Ottagono n°70 Cfr. Linea Grafica, 6 Azzurra Editrice Milano, 1994 Cfr. Le leggi della semplicità John Maeda Mondadori, 2006 Procedure di Basic Design Tesi di Lorenzo Bravi ISIA di Urbino 2006/2007 Cfr. www.room50.org Cfr. www.iuav.it
ARTE PROGRAMMATA Le prime sperimentazioni di computergrafica possono essere fatte risalire agli anni '50 con le Oscillazioni di Ben Laposky e quelle di Herbert W. Frank facendo dello schermo un dispositivo accessibile ed attraverso delle strutture analogiche riusciva a programmare variazioni di forma dei modelli. Dalla fotografia e dalla musica si arriva al lavoro di Jhon Whitney Sr che attraverso il programma Citron realizza delle composizioni grafiche in movimento in relazione alla musica (Arabesque, 1975). Seguì poi il lavoro della sua assistente Larry Cuba che limita il suo vocabolario ad una serie di punti bianchi su fondo nero. Raphael Bassan nel 1981 in un articolo de La Revue du Cinèma: «La computer animation stabilisce un parallelo tra la percezione visuale e una struttura di ordine linguistico o matematico...». Dagli anni '60 l’uso della programmazione come forma espressiva artistica fu utilizzata dal movimento fondato, per esattezza nel 1962, da Umberto Eco e Bruno Munari con il nome di Arte Programmata che anticipa l’Arte Generativa. Nei lavori di questo movimento le regole di programmazione venivano esibite e valutate attraverso i risultati che producevano. Le finalità del gruppo erano quelle di utilizzare un metodo oggettivo per generare e comprendere gli effetti percettivi ma c’era anche la volontà di capire e di intervenire sui processi di trasformazione della società. Alla logica degli ambienti interattivi del Gruppo T è possibile attribuire l’utilizzo di primi computer elettromeccanici implementati attraverso la connessione cablata fra sensori, temporizzatori e attuatori. Successivamente l’attenzione si sposta propriamente sul codice softwere e si può parlare di Arte generativa, Softwere Art, Net.art. BASCI DESIGN COMPUTAZIONALE “Il designer può essere veramente libero di progettare per i nuovi media rimanendo l’utente finale di un prodotto pensato da altri?” Questa è la domanda che Antonio Belluscio pone riguardo al ruolo della programmazione nella disciplina del design. Belluscio analizza l’atteggiamento che le scuole di design hanno nei confronti della programmazione di softwere sminuendolo a questioni di puro calcolo. Nel caso del design lo sviluppo dei linguaggi di programmazione, negli ultimi anni, è progredito in modo particolare. Bellusco in un workshop tenuto allo IUAV di Venezia, Fondamenti di grammatica per l’interazione ludica, lavora su alcuni aspetti dei videogiochi, ponendo in luce gli aspetti relativi alle potenzialità esperienziali di questi artefatti fisicamente interattivi. Bellusco introduce così una componente fino ad oggi poco esplorata, ovvero l’insegnamento a pensare, progettare e realizzare un artefatto programmato. I linguaggi di programmazione sono gradualmente andati semplificandosi, resi più accessibili ai molti, a partire dagli anni '60 con la nascita di Logo. Alla fine degli anni '80 hanno avuto più successo linguaggi di scripting integrati in sistemi di autohring come HyperCard, ToolBook, Director e Flash che hanno permesso ai molti di lavorare più facilmente sui contenuti multimediali. Jhon Maeda con l’Aesthetics + Computation si è concretamente posto l’obbiettivo di definire un linguaggio per i designer. I primi tentativi di Maeda furono con Design by Numbers, poi, Casey
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Reas e Ben Fry hanno proseguito il lavoro creando Processing di natura modulare e open source che ha avuto notevole diffusione fra designer ed artisti. Poi con OpenFramework e PureData la possibilità di programmare con facilità si è ampliata. Oggi, il design computazionale è applicato in vari campi: da tempo nella progettazione di strutture architettoniche o di oggetti fisici, nell’ambito della comunicazione digitale. In Italia sono molte le realtà che si approcciano alla programmazione sviluppando nuove professioni (ToDo, Co-de-IT). Nasce così una nuova figura professionale che integra competenze da designer, da programmatore e da artista; possono essere citati Marius Watz e Joshua Davis. Bellusco in Newbasic propone un corso di Basic Design Computazionale che potrebbe prendere in considerazione i concetti e le modalità generative di base, dalla trigonometria, al calcolo combinatorio, ai sistemi ricorsivi e alla vita artificiale. Lo scopo è quello di capire meglio i processi della configurazione abituandosi a pensare, e quindi progettare, con la precisione richiesta dai nuovi strumenti di produzione. Attualmente, lo studio di una Generative Gestaltung, come scrive Belluscio, è in grado di porre in analisi la fase del lavoro sulla struttura, sulle regole, lasciando come aspetto secondario il raggiungimento di una forma. Per il designer riuscire a gestire il linguaggio di programmazione è utile a svincolarsi dai limiti che i softwere, utlizzati per il design, impongono.
Schermata di scripting del softwere opensource Processing 1.5.1
Due frame dell’oggetto interattivo risultante dallo script.
APPUNTO #2
La didattica e la metodologia progettuale esaminate, portano in luce l’aspetto sperimentale su cui sono strutturate. Sin dalle botteghe rinascimentali, nelle quali il giovane artista apprendeva dal maestro ma soprattutto dal fare pratico, l’insegnamento dato dall’esperienza ha un ruolo formativo, essenziale, nella comprensione delle fasi che portano ad ottenere un determinato artefatto. L’insegnamento quindi non si definisce secondo un’impostazione verticale, cioè nozionistica da docente a discente, ma orizzontale attraverso la quale, docente e discente, si trovano sullo stesso piano. Il docente mette a disposizione il suo sapere per permettere al discente di muoversi dentro uno spazio “libero”. Il confronto che nasce dalla collettività, dalla condivisione di senso è il vero risultato. Ho voluto esaminare due esponenti dell’insegnamento del design che hanno adottato e teorizzato un tipo di didattica induttiva: Josef Albers e Bruno Munari che, come molti altri, citando ad esempio Johannes Itten, Moholy-Nagy, Tomàs Maldonado e Giovanni Anceschi, hanno fatto dell’insegnamento e dell’arte una grande esperienza laboratoriale. Questo passaggio della ricerca porta in evidenza aspetti che poi saranno essenziali alla realizzazione dei laboratori cittadini. Ad aprire, l’esperienza dell’associazione ora d’aria Lab che da anni fa del “far fare”, in senso ampio, uno strumento per l’insegnamento alla vita.
“Le parole si dimenticano, l’esperienza no.”
Bruno Munari
INTERVISTA #2
Cfr. www.oradarialab.com Dala pagina “la nostra storia”
Ora d’aria Lab
L’associazione Ora D’Aria di Roma nasce nel 2008 quando produce, per conto del Comune di Roma, borse in PVC realizzate dalle detenute di Rebibbia Femminile. Ad aprile 2010 la FAO, Food Agriculture Organization, decide di donare ad Ora d’Aria i banner in PVC dismessi usati per le campagne di comunicazione. Ottenuta in dono la materia prima l’Associazione crea un nuovo laboratorio sartoriale di pelletteria, denominato La borsa delle immagini, all’interno dell’Istituto di Rebibbia Femminile per dare continuità all’esperienza del 2008. Obiettivo del laboratorio è quello di fornire opportunità lavorative attraverso fasi formative, recuperando allo stesso tempo materiali altrimenti destinati ad alimentare il ciclo dei rifiuti. Le Istituzioni hanno fatto la loro parte: la Direzione di Rebibbia femminile ha messo a disposizione del progetto il laboratorio di pelletteria del carcere, mentre il V Dipartimento del Comune di Roma ha erogato un contributo per l’indennità di frequenza destinata alle detenute occupate. Il risultato del progetto è riassunto in un campionario di 170 borse e 17 modelli diversi. Al termine del progetto l’Associazione decide di continuare l’attività con propri mezzi. Si chiede alla Direzione dell’Istituto di Pena di riavviare il laboratorio mantenendone la struttura di formazione/produzione. La richiesta viene prontamente accolta e a settembre 2010 riparte l’attività. L’idea di realizzare un laboratorio di produzione e di attività lavorativa all’interno di un istituto penitenziario è contenuta nella mission istituzionale dell’associazione che persegue, tra gli altri, l’obiettivo della promozione della cultura della legalità attraverso il “lavoro onesto” e l’apprendimento di mestieri volti a rafforzare l’autonomia e l’autostima delle detenute.
Alcuni dei prodotti realizzati nel laboratorio di Ora d’Aria presso il carcere Rebibbia di Roma, con banner in pvc donati da varie associazioni.
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Sono state avviate la vendita, la campagna di raccolta fondi attraverso la cessione delle borse prodotte e la ricerca per l’acquisizione di nuove commesse. Si punta in particolar modo alla realizzazione di cartelle per convegni commissionate da enti pubblici e privati. La FAO ha già acquistato parte della prima produzione che vende all’interno della propria sede. I vari modelli realizzati sono stati esposti e venduti al dettaglio nell’ambito del Salone di Giustizia, convegno organizzato dal Ministero di Giustizia a Rimini nel novembre 2010. Per dare forma giuridica all’attività di produzione si costituisce a marzo 2011 la cooperativa Ora d’Aria. Ne fanno parte le ideatrici del progetto, il designer e la sua assistente, le lavoratrici detenute. INTERVISTA AD ANTONIO MARCASCIANO Laboratorio di vita 1. Quale è, o quali sono, gli obbiettivi del laboratorio? L’obbiettivo centrale è quello di incoraggiare le detenute a riprendere in mano la loro vita. 2. Quali sono le regole del laboratorio? Le regole che normalmente si applicano a ogni lavoro, quali orari, normative nazionali sulla protezione e molto altro. Si aggiungono poi regole carcerarie sul controllo degli strumenti ed il controllo sulle persone. 3. Ora d’aria Lab oltre ad essere una realtà operativa che produce beni, può essere definita uno strumento per una prensa di coscienza delle proprie capacita? Si, necessariamente. Le detenute che partecipano ai laboratori prendono coscienza del proprio valore, del proprio potenziale attraverso appunto l’applicazione delle proprie capacità. 4. Chi partecipa al lavoro, se è possibile trarre un punto di vista univoco, come vede e come percepisce questa attività? Parlando delle detenute, all’inizio, vengono per perdere un po’ di tempo, guadagnando qualche cosa. Poi capiscono con chi e con cosa hanno a che fare e diventa una fonte di crescita ma anche di divertimento.
Antonio Marcasciano è designer dei prodotti e responsabile delle attività laboratoriale. Intervista avvenuta per corrispondenza di posta elettronica il 12 gennaio 2012.
CAPITOLO #2
Cfr. Interazione del colore Josef Albers Il saggiatore Tascabili Milano 2009 Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010 Cfr. Basic, basic, basic, Progetto grafico 12-13 Cfr. Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi Bruno Mondadori, 2001 Cfr. Linea Grafica, 6 Azzurra Editrice Milano, 1994 Cfr. Design Storia, teoria e prassi del disegno industriale Bernhard E. Burdek Arnoldo Mondadori Editrice
Josef Albers - I laboratori al Black Mountain College
I laboratori di Josef Albers eseguiti al Black Mountain College esplicitano un metodo sperimentale di studio ed insegnamento, nello specifico, del colore. Dal punto di vista globale questo studio promuove uno sviluppo della capacità d’osservazione e di discernimento. L’applicazione laboratoriale rovescia la prassi accademica della “teoria e prassi” e pone la prassi prima della teoria, che risulta essere il risultato della prassi. Le esercitazioni svolte hanno lo scopo di sviluppare, attraverso l’esperienza e gli errori, l’occhio per il colore. L’esperienza laboratoriale di Albers pone in luce una questione essenziale nella percezione visiva ma, a livello globale, nella percezione delle cose: la relatività. La relatività è determinata da una variazione della misura, dalla mancanza o dalla non applicazione di regole fisse, oppura da diversi e mutevoli punti di vista. Di conseguenza un fenomeno può essere osservato e interpretato in vari modi, può avere significati diversi. Le esercitazioni sono riassumibili in: ricordare i colori, lettura del colore in relazione al contesto, un solo colore appare come due colori diversi: somiglianza con gli sfondi invertiti, due colori diversi sembrano uguali: sottrazione del colore, contrasto simultaneo, quattro colori con tre colori, tre colori con quattro colori, riuscire a manipolare i colori. Gli esercizi sui diversi effetti cromatici proposti da Albers non sono mai compiuti ne hanno fine. In questo modo la ricerca sarà un mutuo dare e avere e dimostrerà che tutto nello studio è fondamentale e che l’istruzione è sempre auto-istruzione. Citando lo stesso Albers: “Sapere insegnare significa saper porre giuste domande piuttosto che dare risposte esatte.” Albers pone in luce anche la questione dell’oggettivo-effettivo, in quanto un colore è analizzabile sotto l’oggettivo aspetto della misura della lunghezza d’onda ma quando percepiamo ad esempio l’opacità come traslucida, vuol dire che la ricezione ottica dell’occhio si è trasformata nella nostra mente. Attraverso, quindi, una serie di esercizi di complessità crescente, chi pratica o legge, comprende il mondo cromatico. Questo percorso di esercizi semplici stimola il formarsi di un “pensiero pratico”, con la convinzione che la sperimentazione e la scoperta siano la base per il processo creativo. Citando Giovanni Anceschi in Design di base: fondamenta del design: “Il punto di Albers è che la disciplina che deve emergere dalla sua ricerca sia adeguata agli orizzonti della concreta sensorialità e percezione, piuttosto che simulare la scientificità istituzionale. Anzi la scientificità del suo trattato consiste nell’effettiva adeguatezza sensoriale. La validità dei risultati si fonda su un metodo di acquisizione e di giudizio che non è oggettivo ne tantomeno soggettivo, è un approccio intersoggettivo. A Yale, ma anche al Bauhaus e a Ulm, l’atteggiamento albersiano poneva la ricerca specifica (il basic) in una posizione di equidistanza equilibratissima sia nei confronti della scienza (la fisica cromatologica) sia in quelli della inventività sensibile ed espressiva. È da segnalare la non-ingenuità dell’approccio, l’autentica sottile sofisticatezza dell’approccio gnologico e pedagogico.”
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Tratto da LA DIDATTICA DI MOHOLY-NAGY E DI ALBERS ALLA BAUHAUS di Giulio Carlo Argan “Uno degli aspetti più interessanti delle esperienze didattiche di Albers è la ricerca di indurre la spazialità, anzi infinite ed equivalenti ipotesi spaziali in una superficie: tali, per esempio, gli sviluppi di una forma plastica, d’infinite forme plastiche, dalla semplice superficie di un foglio di carta mediante una serie di tagli e pieghe.” “Il più diretto intento pedagogico d’indagare le origini prime della forma del costruttivismo istintivo del bambino, che si attua per libere e successive designazioni formali, senza determinarsi in un positivo problema della realtà e senza che mai la forma si ponga come forma di qualche cosa. Di fatto quelle esercitazioni formali miravano a dimostrare sperimentalmente che la superficie, il volume e in genere tutte le consuete categorie delle forma non sono comunque ancorate alla realtà oggettiva e possono liberamente tramutarsi l’una nell’altra assumendo valori diversi e determinabili soltanto in rapporto alla volontà costruttiva che li disegna; e però sono nello stesso tempo reali e illusori, una tale distinzione non essendo possibile se non in riferimento a una realtà esterna oggettivamente certa.” “Lo spazio non è più che la dimensione dalle possibilità infinite; nell’assenza di limiti, ogni costruzione diventa un processo ad infinitum; è sempre una serie illimitata di forme. Allora l a riproduzione per serie diventa il processo intrinseco dell’ideazione formale, la macchina il più diretto mezzo espressivo dell’artista; e, in questo angolo visuale, il problema dell’architettura non è più determinabile nella singolarità degli edifici, ma in un sistema produttivo che va dalla prefabbricazione all’urbanistica.” Foto reperite dall’album Flickr di René Spitz
Josef Albers durante i corsi al Black Mauntain Collage.
CAPITOLO #2
Cfr. Design e comunicazione visiva Bruno Munari Laterza, 1974 Cfr. Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Bruno Munari, Editori Laterza, 2010 Cfr. Design Storia, teoria e prassi del disegno industriale Bernhard E. Burdek Arnoldo Mondadori Editrice Cfr. www.brunomunari.it
Bruno Munari - Laboratori
LE PAROLE SI DIMENTICANO, L’ESPERIENZA NO Bruno Munari sottolinea l’esistenza di due tipi di insegnamento didattico: uno statico e uno dinamico. Quello statico c’è quando un individuo viene forzato ad adattarsi ad uno schema fisso, la sua natura difficilmente si adatta al tempo. Quello dinamico invece è in continuo sviluppo e viene modificato dagli stessi individui e dai loro, sempre attuali, problemi. Il laboratorio, secondo Munari, è il luogo di creatività e conoscenza, di sperimentazione, scoperta e auto apprendimento attraverso il gioco: è il luogo privilegiato del fare per capire, dove si fa “ginnastica mentale” e si costruisce il sapere. È anche un luogo di incontro educativo, formazione e collaborazione. Uno spazio dove sviluppare la capacità di osservare con gli occhi e con le mani per imparare a guardare la realtà con tutti i sensi e conoscere di più, dove stimolare la creatività e il “pensiero progettuale creativo” fin dall’infanzia. Il vuoto metale Il Basic di Munari può essere definito concettuale, propedeutico e pedagogico. Il metodo applicato ai suoi progetti era quello del vuoto mentale. L’azione, la concreta dimensione del fare erano in linea con un pensiero elastico con all’origine del processo una disciplina ed un metodo rigoso che donavano spontaneità ad un’azione lungamente pensata. Le idee non vengono proposte dagli adulti, nascono dalla sperimentazione, secondo il principio didattico: “Non dire cosa fare ma come”. Un metodo fatto soprattutto di azioni didattiche ispirate a principi per lo più di origine orientale. Principi espressi con frasi semplici, essenziali, per essere capite bene da tutti. Molto spesso questo metodo viene frainteso. “È tutto qui? Facile, troppo facile...” Semplificare è più difficile che complicare...” soleva ripetere Munari. Un metodo in progress, perchè intende lasciare ampio spazio di azione creativa a chi ad esso si ispira. Munari dopo l’esperienza di Brera: “E chi continuerà questo esperimento potrà fornire dei dati utili al suo perfezionamento”. Il laboratorio può essere costituito in qualunque museo e in qualunque scuola. Gruppo T Bruno Munari già nelle sperimentazioni nel campo dell’arte cinetica, pone l’accento sulla relazione cinestetica. Alla prima mostra collettiva Miriorama 1 del Gruppo T si dimostrò il più attento sotto l’aspetto della dialettica fra spettatore e opera: il primo viene infatti sottratto a un ruolo puramente passivo e richiesto di un’azione che trasformi l’opera, o meglio la “situazione” data dall’artista, in un’altra possibile, già concepita in potenza ma non espressa di fatto. Da questo punto di vista, l’artista organizza strutture complesse, interattive, rendendo lo spettatore a sua volta creativo e attivo.
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GIOCARE CON L’ARTE Lo spirito che anima, sin dall’inizio, il progetto dei laboratori Giocare con l’Arte di Bruno Munari è quello di promuovere l’esperienza diretta dell’attività artistica per mezzo di attività concrete: il fare e l’agire in prima persona. Attraverso questo processo si intende quindi raggiungere la comprensione sia delle caratteristiche estetiche di un opera, che delle particolarità operative dei processi che portano alla realizzazione della stessa. Nell’operato di Bruno Munari si possono infatti individuare caratteristiche ricorrenti, riconducibili ad alcuni principi metodologici precisi: ritrovare l’azione, esplorare le variazioni, misurare i limiti, moltiplicare i punti di vista, cambiare le dimensioni, spiazzare le abitudini. Secondo Munari, l’apprendimento di azioni gestuali, operative, non mettono in gioco la personalità dell’individuo, ma lo aiutano a sviluppare l’attenzione e la scoperta delle differenze. Le esercitazioni svolte rientravano sotto le linee guida di tematiche scelte sotto l’aspetto educativo sperimentale. L’apprendimento di regole e tecniche sono analizzabili e unificate in una precisa volontà di inquadrare sperimentalmente una metodologia. Le semplici esercitazioni basate sull’utilizzo, ad esempio, della “linea solida” portano a sviluppare diverse informazioni sull’argomento. Le composizioni ottenute dall’utilizzo di forme, colori, scelte direzionali, espletavano le capacità di insegnamento induttive del laboratorio, atto alla presa di coscienza delle potenzialità espressive individuali. Questi laboratori pongo in evidenza questioni formali come la forma, i formati, la linea, il colore. La sperimentazione e l’applicazione di regole ha portato nel corso degli anni a definire nuove concezioni formali. Ad esempio il laboratorio svolto alle scuderie del Castello di Miramare ha dimostrato che l’approccio da parte dei bambini con la forma angolare, ritenuta fredda, razionale, troppo concettuale per un bambino, è invece di assoluta comprensione dimostrato dal fatto che la maggior parte dell’utenza era soprattutto elementare. Per stimolare l’attenzione da parte degli utenti sono stati presentati gli itinerari di Mondrian, i colori spaziali di Paul Klee. Le basi gettate da Munari hanno dato vista a laboratori tuttora operativi nel territorio italiano. Ne è un esempio il laboratorio per bambini all’interno del Museo di Faenza che partì da un’idea del Direttore Gian Carlo Bojani, il quale, dopo aver esaminato diverse possibilità decise, memore dell’esperienza alla Pinacoteca di Brera della primavera '77, di affidarsi a Bruno Munari: nacque cosi il laboratorio per bambini a Faenza, giocare con l’arte - ceramica. La fase progettuale, avviata nel 1978, coinvolse il gruppo milanese giocare con l’arte, coordinato da Munari, e alcuni insegnanti e studenti dell’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica Ballardini di Faenza. Il laboratorio è oggi attivo e include attività didattiche pedagogiche, in costante aggiornamento ed aperto a nuove sperimentazioni.
Cfr. Arte Gioco, Coco Frigerio Alberto Cerchi Erga Edizioni, 2000
CAPITOLO #2
Foto reperite da www.brunomunari.it
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Cfr. Disegnare un albero, Bruno Munari Corraini editore
Bruno Munari con i bambini del laboratorio Giocare con l’arte.
L’Albero di Bruno Munari La realizzazione di un’albero fatto di moduli ed il suo assemblamento permette una comprensione diretta della sua natura e struttura.
APPUNTO #3
Necessario in questo percorso è capire quali siano le basi fisiche-percettive e psicologiche che accomunano gli esseri umani. La progettazione non può esimersi da questo. Il progettista mette in pratica le conoscienze inerenti alle neuroscienze per dare vita ad una comunicazione che sia il più possibile di larga comprensione. Il design del prodotto comprende saperi che spaziano dalla anatomia, ergonomia, alla psicologia percettiva, all’arte, per permettere di progettare “oggetti” che siano il più possibile in linea con le esigenze umane. Il Funzionalismo si basa sul principio di totale usabilità, introduce il concetto di “user friendly”. Queste sono le basi anche per un buon web designer che riesce a distinguersi nella rete grazie a caratteristiche come: usabilità, rapidità, unicità. Si devono a Kurt Koffka e Max Wertheimer i pionieristici studi sulla psicologia della Gestalt che permisero un’analisi scientifica delle relazionali delle cose “viste”, delle elaborazioni che il cervello umano, come in molti casi quello animale, mette in pratica nella “semplice” attività del guardare, stabilendo gerarchie, gruppi, pesi ecc. Molti sono gli studi sul colore, le sperimentazioni, le definizioni e le differenziazioni. Molte sono anche le scuole che ne fanno la base per la didattica, tra cui le già citate Scuola del Bauhaus e di Ulm, e oggi la gran parte degli istituti di design.
“Si narra che la geometria nacque quando gli antichi Egizi decisero di ripartire le terre lungo il Nilo, in appezzamenti di uguale superficie.� Tratto da Geometrizzare e Percettualizzare di William S. Huff
CAPITOLO #3
Cfr. Guardare Pensare Progettare Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2011 Cfr. Manuale di semiotica Ugo Volli Cfr. Grammatica del Vedere Gaetano Kanizsa Il Mulino - Biblioteca Bologna, 1980 Cfr. Il colore della luna, come vediamo e perchè Paola Bressan Feditori Laterza Roma, 2010
Vedere per progettare
“Credo che il rapporto col mondo sia fondamentalmente emotivo, ovvero le attività cognitive, la comprensione intellettiva delle cose sono sempre inscindibili dallo stato corporeo, dallo stato somatico, dalle condizioni psicologiche e dalla storia culturale di chi guarda.” Così Riccardo Falcinelli introduce il suo libro Guardare Pensare Progettare, prendendo in considerazione ogni aspetto dell’essere vivente nel confronto con il mondo con la percezione di questo. Il cervello si modifica con il crescere anche delle esperienze che si accumulano e si può parlare quindi di una natura plastica e adattativa. Il processo di percezione coinvolge l’occhio e d il cervello in un rapporto di scampio di informazioni: l’occhio filtra informazioni dirette al cervello, ed il cervello invia segnali di movimento all’occhio per riuscire a percepire determinate informazioni. STUTTURA VISIVA DEL CERVELLO Il cervello organizza le informazioni percepite, fondamentalmente in tre aspetti: Modularità: Per vedere una scena questa deve essere scomposta secondo delle qualità: • Scomposizione retinale (luminosità e lunghezza d’onda) • Scomposizione corticale (movimento, colore e posizione) • Specializzazione dei singoli neuroni (contorno, direzione di movimento) Falcinelli spiega come le teorie Gestaltiche non siamo alla base del processo percettive quanto siano il risultato dell’elaborazione sviluppata dai singoli neuroni e il processo che porta alla definizione di determinati raggruppamenti non è ancora chiaro. Gerarchia: A livello neuronale la percezione delle cose non è per tutto uguale. Il cervello discerne le cose percepite e le gerarchizza per importanza. Colore, forma e movimento vengono percepiti dal cervello in tempi diversi: il colore prima della forma e questa prima del movimento. Empatia: L’empatia sta nel riconoscimento di azioni e comportamenti altrui ed automaticamente si genera il parallelo con i nostri sensi. Senso e significato: Il riconoscimento ed il senso di una determinata cosa percepita coinvolge diverse parti del cervello tra cui il sistema limbico, ovvero il nucleo emzionale del cervello, che valuta il significato emotivo di ciò che viene percepito. TEORIE FONDAMENTALI DELLA VISIONE Ci sono due teorie fondamentali della visione che pongono in questione la visione come innata o acquisita: Top Down: sono le ipotesi che individuano un ruolo chiave nella mente, che imprime caratteristiche alle cose guardate. La psicologia costruttivista prevede un ruolo attivo della mente nel
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comprendere la realtà e darle forma. L’approccio gestaltico è top down in quanto sostiene che la buona forma sia nella mente di chi guarda, non nelle cose guardate. Gestalt: Insieme di leggi della «configurazione» che partono dal presupposto che la percezione sia conformata in una struttura globale, un organizzazione globale dei singoli elementi. I testi di riferimento appartengono a Kurt Koffka e Max Wertheimer che formula alcune delle regole generali, note come regole di raggruppamento percettivo: buona forma, prossimità,destino comune, somiglianza, buona continuità, figura-fondo, esperienza passata. Bottom Up: sono le ipotesi sviluppate da J.J. Gibson che individuano nelle cose un ruolo chiave, cioè che la visione delle cose influenzi il cervello. Il rapporto con la scena è diretto, senza elaborazioni neuronali, una percezione “immediata”. Definisce il concetto di “flusso ottico” cioè la percezione non di quadri, immagini, figure, come assumono le teorie gestaltiche, ma un flusso di tessiture in movimento. Secondo Gibson l’individuo percepisce la qualità delle cose, la finalità della percezione non è la rappresentazione interiore del mondo, ma l’individuazione delle affordance.
Lobo frontale: • Movimento • Giudizi • Programmazione
Illustrazione rielaborata da: Guardare Pensare Progettare Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli
Corteccia motoria
Corteccia somatosensoriale Lobo parietale: • percezione del corpo Lobo occipitale: • processi visivi Area di Broca • Articolazione delle parole Lobo temporale: • informazioni uditive • centro del linguaggio Area di Wernicke • Percezione di parole o pseudoparole
CAPITOLO #3
Cfr. Guardare Pensare Progettare Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2011
APPUNTI SUL PROCESSO PERCETTIVO ED ELABORAZIONE CEREBRALE
Cfr. Manuale di semiotica Ugo Volli
•
• • • • •
Alto Percezione
Cfr. Il colore della luna, come vediamo e perchè Paola Bressan Feditori Laterza Roma, 2010
•
Una cellula regisce al rosso; un’altra al blu ma solo se posto su fondo nero; alcune cellule rispondono a linee con un orientamento preciso; altre solo al movimento e ignorano ciò che è stazionario; alcune cellule preferiscono linee sottili; altre più larghe. Possiamo così riassumere tre caratteristiche della recezione cellulare: posizione, forma e specificità. Il cervello trae informazioni retiniche di due tipi: binoculari, date dal confronto fra i due occhi, e monoculari. Di queste alcune si basano su indizi cinetici, altre su indizi pittorici, bidimensionali. Ci sono poi informazioni legate al sistema vestibolare per la percezione della propria posizione nello spazio, informazioni sonore che dicono dove si trova un’oggetto. Nella retina i neuroni vedono l’immagine in termini di quantità di luce, cioè in contrasto di chiarezza; nella corteccia i neuroni focalizzano i contorni secondo ordinamenti e qualità. Non esiste per l’uomo un guardare svincolato dal linguaggio. Percezione e linguaggio si condizionano a vicenda. Esiste una distinzione tra “vedere” e “riconoscere”. Centrale in questo processo è il dialogo tra mente e cose. Il riconoscimento è un vedere attribuendo un significato attraverso un angolazione, aspettativa, interesse. La percezione è sinestetica, la conoscienza avviene sempre con molti sensi attivi in parallelo. L’uomo si muove in un ambiente che subisce la forza di gravità. Questo strabilisce una polarità alto-basso che assume valenza di fatto semiotico: lo spazio significa attraverso la disposizione dei pezzi. Il cervello si è evoluto in un contesto con forza di gravità, senza di questa probabilmente non si avrebbero cellule sensibili agli orientamenti di linee orizzontali e verticali.
Centro Basso
Cielo Significati
Cfr. Grammatica del Vedere Gaetano Kanizsa Il Mulino - Biblioteca Bologna, 1980
•
Orizzonte Terra
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Statico
•
• • • •
• •
Dinamico
Molti sono i meccanismi che entrano in gioco percezione anche di una semplice forma: le cellule sensibili alle linee orientate, il sovrapporsi di campi recettivi, sensibilità vestibolare per l’ortogonalità, la capacità di attribuire significati, l’esperienza di oggetti che poggiano o che cadono. Per analogia si impongono le qualità fenomeniche del mondo nelle figure definibili astatte. Un esempio è il “colpisci i bianchi con il cuneo rosso” di El Lisitskij. Le convenzioni definiscono l’attribuzione di senso ed il valore alla configurazione. Ad esempio il senso di lettura che determina il prima o il dopo Predisposizione forte verso la simmetria, la capacità innata dell’uomo di inividuare un centro. Il discernimento degli elementi percepiti avviene per effetti di contrasti, più o meno forti, basati sulla capacità fisiologica nell’individuare e confrontare contorni, luminosità, direzione, movimento. Esempi di contrasto figurativo: Tono/tinta, Deformazione, Forma, Nitidezza, Ombra portata, Ombra propria, Dimensione, Numerosità, Parallelismo, Allineamento, Curvatura, Orientamento, Movimento, Direzione di spostamento, Lampeggio. La definizione di bello e brutto è legata dalla buona o cattiva organizzazione degli elementi, dalla qualità dei contrasti, dalla gerarchia facilmente percepibile. Questa valutazione è legata anche al contesto culturale (Es. occidentale diverso da orientale). La forma è spesso corrisposta ad un contenuto, anche sinestetico (alfabeto, punteggiatura). SI distinguono, così, le “immagine” cioè tutti i segni possibili e le “figure” ovvero i segni più strettamente mimetici o espressivi.
Illustrazione rielaborata da: Guardare Pensare Progettare Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli
CAPITOLO #3
Gestalt
Cfr. Visual grammar Christian Leborg Princeton Architectural Press, New York, 2006
STRUTTURE
Cfr. Guardare Pensare Progettare. Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2011
Struttura formale Quando le forme sono distribuite in una composizione. Gli assi che collegano gli oggetti sono chiamate linee strutturali.
Forme astratte disposte in uno spazio assumano valori strutturali ben precisi.
Struttura visibile/attiva Quando c’è una struttura con linee strutturali visibili. Essa può essere costituita da linee stutturali ed oggetti o solo linee strutturali. Quando le linee strutturali influenzano la forma degli oggetti nella struttura.
Struttura informale Quando non c’è regolarità nella composizione. La struttura è informale anche se viene riconosciuto un pattern siccome gli oggetti non seguono una struttura di linee ortogonali.
Simmetria Quando gli oggetti sono organizzati identicamente su entrambi i lati di un asse. Possono essere monosimmetrici o multisimmetrici.
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Dimensione La dimensione degli oggetti è relativa a come le persone la percepiscono. La dimesione di un oggetto deve essere valutata in relazione al posizionamento e al formato in cui è collocato.
Ripetizione Quando più oggetti con una sola caratteristica sono sistemati in una composizione, gli oggetti sono ripetuti, solo se altre caratteristiche degli oggetti sono diverse. Quando una moltitudine di oggetti hanno una particolare caratteristica in comune, come la forma o la dimensione, questa ripetizione è chiamata ripetizione di forma o ripetizione di dimensione. Quando la ripetizione degli oggetti comprende più caratteristiche in comune, quella dominante è selezionata per descrivere la ripetizione. Frequenza regolare
Frequenza e Ritmo Quando la distanza tra oggetti ripetuti è identica, la ripetizione ha una frequenza regolare. Quando la distanza tra gli oggetti. Quando la distanza è regolare tra gruppi di oggetti uguali, la ripetizione è un ritmo.
Frequenza irregolare
Ritmo
CAPITOLO #3
Cfr. Visual grammar Christian Leborg Princeton Architectural Press, New York, 2006 Cfr. Guardare Pensare Progettare. Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2011
RELAZIONI Gli oggetti in una composizione si relazionano con il supporto, cioè lo spazio, e con gli altri elementi della composizione. Struttura statica L’oggetto è equilibrato, non in movimento. Le forze attrattive sono ugualmente forti e si compensano.
Attrazione Più oggetti sono raggruppati insieme nello spazio e apparirà che sia attraggano o respingano l’un l’altro.
Combinate
Tangenti Quando due o più oggetti sono posizionati vicino e hanno un punto in comune.
Combinazione Quando due o più oggetti sovrapposti compongono un’unica forma.
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GRUPPI Quando gli oggetti in una composizione formano un gruppo o un’unità.
Gruppo lineare Elementi ripetuti disposti lungo una linea, un’unità lineare. I gruppi possono assumere svariate conformazioni.
Spazio Una composizione può avere aree dense o aperte in modo da creare spazi bianchi nello spazio. La disposizione degli oggetti nello spazio può rinforzare questa impressione.
Posizione Un gruppo di elementi si può definire posizionato nello spazio, se è in un angolo, al bordo al centro.
Peso Per usare coscientemente la parte alta e la parte bassa dello spazio a disposizione il designer deve giocare con le associazioni alle esperienze del mondo, facendo riferimento alla terra e al cielo. La composizione può creare illusioni di leggerezza o pesantezza, di volo o di caduta.
CAPITOLO #3
Cfr. Guardare Pensare Progettare Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2011 Cfr. Il colore della luna, come vediamo e perchè Paola Bressan Feditori Laterza Roma, 2010 Teoria e uso del colore Luigina De Grandis Mondadori Milano, 2007
Appunti sul colore
•
La percezione del colore è il risultato di due operazioni consecutive di tipo diverso. La prima viene svolta dai fotorecettori e consiste nell’attività di tre tipi di coni dotati di sensibilità differenti alle lunghezze d’onda. La seconda fase ha luogo in livelli successivi (cellule gangliari, corpo genicolato laterale, corteccia visiva) e consiste in un’organizzazione antagonistica delle risposte alle lunghezza d’onda. Il colore è un esperienza puramente soggettiva che dipende da due cose: la luce che gli oggetti riflettono e le proprietà del sistema visivo di chi guarda. I coni mediano la visione in condizioni di elevata illuminazione e permettono la visione dei dettagli.
• •
(alta energia) 10
−15
10
−14
lunghezza d’onda in metri
10
−13
10
−12
10
−11
10
−10
10
−9
10
−8
10
−7
raggi gamma
10
−6
10
−5
10
−4
10
−3
(bassa energia) 10
−2
10
1
−1
infrarosso
10
10
2
10
3
104
105
106
onde radio microonde
luce visibile
400 violetto
blu
verde
giallo
100
Illustrazione rielaborata da: Il colore della luna, come vediamo e perchè Paola Bressan
rosso
100 Carta bianca di buona qualità
90
Riflettanza (%)
700 arancio
90
80
80
70
70
60
60
50
50
40
40 Carta grigia
30
Limone
Arancio Pomodoro
30
20
Cavolo
20 Carta nera
10
400
500
10
600
Lunghezza d’onda (nm)
700
400
500
600
Lunghezza d’onda (nm)
700
55
• •
• • • • • •
Fra i 380 e i 700 nanometri, un osservatore medio è capace di discriminare circa 150 tinte. Per il cervello le tinte non scomponibili sono quattro: giallo, rosso, verde e blu. Questo perchè la retina invia al lobo occipitale, dove vengono smistate le informazioni di forma, movimento e colore, informazioni già elaborate da tre coni strutturate secondo tre coppie (blugiallo, verde-rosso, bianco-nero) fatte di informazioni che si cancellano vicendevolmente, dette appunto “segnali opponenti”. I segnali provenienti da due o più coni confluiscono su singole cellule nervose eccitandole o inibendole. L’accostamento di tinte percepite come opponenti le esalta reciprocamente e sono chiamate complementari. La loro mescolanza, empiricamente, produce un colore acromatico (bianco o grigio). Tinta: è il tipo di colore e corrisponde alla lunghezza d’onda. La percezione e definizione di una tinta è una qualità contestuale che si distingue per varie caratteristiche (brillantezza, sporco ecc.). Chiarezza: è la quantità di luce riflessa dalla superficie. Saturazione: è riferita a quanto il colore è vivace o pallido, tecnicamente, a quanto il colore si differenzia dal bianco. Neuronalmente, il colore è percepito indipendentemente dalle cose. I colori non possono essere visti isolati ma all’interno di un contesto. Avviene un costante meccanismo di confronto fra aree adiacenti.
A • •
• •
B
B
C
Cambiamenti nel livello di illuminazione modificano i valori di luminanza degli oggetti, ma lasciano invariati i loro rapporti. Oltre alle questioni fisiologiche il colore è un fatto storico e culturale e un’aspetto importante è quello semantico. Ogni cultura classifica i colori secondo modi, idee, e teorie diverse. I significati dei colori sono costruiti dalle varie culture attraverso processi di analogia. Per analogia sinestetica esiste il concetto di colore caldo e colore freddo dato dalla colorazione che i materiali assumono a determinate temperature. I colori caldi hanno lunghezze d’onda più lunghe (con meno energia) di colori freddi. Il nero ed il grigio vengono “costruiti” dal cervello quando la quantità di luce riflessa dall’oggetto è inferiore alla quantità media delle regioni circostanti.
MESCOLANZE Percettivamente le mescolanze possibili sono di tre tipi: • Mescolanze additive: quando si somma luce con luce (luce colorata). • Mescolanze sottrattive: quando si sottrae luce (inchiostri, tempere). • Mescolanze partitive: quando il colore si genera per giustapposizione o media spaziale (mosaico, stampa tipografica).
Illustrazione rielaborata da: Il colore della luna, come vediamo e perchè Paola Bressan
APPUNTO #4
La città è il luogo che meglio include argomenti di tipo strutturale-organizzativo. Essa ha caratteristiche formali definite, è composta da elementi isolati e da gruppi, da margini e contrasti, colore, unità, gerarchie, ritmi. L’urbanistica, l’architettura, il design affrontano questioni che, non si limitano alla sola organizzazione formale, in quanto, c’è da considerare “l’elemento umano”. Le relazioni umane sono definite secondo invisibili strutture, precorsi sensibili, in continuo mutamento. Una buna amministrazione, ad esempio, è ciò che fa di una città un luogo vivibile o meno, il rispetto per le cose, per l’ambiente, la comprensione totale del luogo che si abita. Le questioni formali si affiancano a quelle identitarie e sono, senza dubbio, essenziali nella percezione di un luogo. Il designer deve essere pronto a colmare vuoti comunicativi presenti, facilitare l’orientamento, collaborando con la città alla definizione di un’identità: legata alla tradizione, alla storia geo-politica, oppure, innovativa se non “rivoluzionaria”. Ho voluto citare l’attività svolta dall’Internazionale situazionista come esempio del connubio tra geografia e relazioni umane che insieme vanno a costituire una psicogeografia, un’organizzazione geografica che si avvale di elementi urbani e di elementi culturali. L’intervista a Luciano Perondi apre questo capitolo approfondendo le questioni inerenti alla progettazione della rappresentazione cartografica.
“La città, un mondo artificiale, dovrebbe essere tale nel senso migliore.”
Tratto da L’immagine della città di Kevin Lynch
INTERVISTA #3
Cfr. isiaurbino.net
Luciano Perondi
Luciano Perondi, progettista di caratteri tipografici e grafico professionista dal 1998, opera nel campo della progettazione grafica di aspetti legati alla scrittura (tipografica e non) e all’information design. Ha progettato diversi caratteri tipografici per quotidiani, per editoria, per sistemi di segnaletica e di identità. Oltre all’attività di progettista si occupa anche degli aspetti teorici della grafica, ha fondato EXP, un gruppo di ricerca dedicato prevalentemente alle tematiche inerenti la scrittura e la lettura, in cui confluiscono le competenze di psicologi, teorici della comunicazione, progettisti, semiotici, grafici e linguisti. Nel 2003 ha dato vita allo studio Molotro, che si occupa sia di progettazione tipografica e di information design, sia di ricerca nell’ambito della scrittura. Dal 2004 si è occupato di didattica della tipografia e dell’information design presso vari istituti, tra cui IED di Milano, Scuola Politecnica di Design, Accademia di Belle Arti di Urbino, Politecnico di Bari. Dal 2007 è docente presso l’ISIA di Urbino, dove si occupa anche di ricerca. Anche se più saltuariamente, continua ad occuparsi di progettazione.
Intervista realizzata tramite corrispondenza di posta elettronica.
INTERVISTA Appunti suoi sistemi di mappatura 1. Cosa significa stabilire priorità in una mappa? Quali sono, in sintesi, i principali metodi di definizione di gerarchia visuale? Dal punto di vista pratico una carta, nello specifico quella che viene chiamata “mappa della città”, serve alle persone che si trovano in un generico punto A per arrivare a un generico punto B, premesso questo, come in ogni progetto grafico entrano in gioco elementi “connotativi” che influenzano la scelta e i rapporti tra gli elementi grafici. Per quello che mi riguarda, per quanto li ritenga un po’ restrittivi, i criteri introdotti da Bertin sono un utilissimo punto di partenza per gestire il problema delle variabili visive e della gerarchia tra elementi grafici. All’interno della visione di Bertin, per gerarchia visiva si può intendere scegliere delle variabili visive in modo che l’informazione principale appaia più evidente delle altre e fare in modo che le informazioni siano isolate e visibili a seconda della rilevanza. In sostanza la tassonomia delle variabili visive di Bertin definisce anche in maniera pratica le caratteristiche delle variabili visive (ad esempio i concetti di variabili associative e dissociative). Questi criteri permettono di orientare il progettista nella scelta delle variabili visive da far corrispondere alle variabili da rappresentare. Forse è un po’ schematico come sistema, ma permette un approccio sistematico ai problemi, quantomeno permette di evitare errori grossolani o, quantomeno, di averne consapevolezza. I criteri di peso visivo sono legati al concetto di “energia luminosa” dei vari elementi grafici, il concetto di energia luminosa è dato dal peso visivo degli elementi grafici rispetto all’insieme. In pratica un elemento molto scuro, su fondo molto chiaro è molto visibile, più grande, contrastato, isolato è questo elemento, più è visibile. Tanti elementi simili tra loro formano dei gruppi, più gli elementi sono, più hanno forza. Rudimentale, ma efficace in fase progettuale. Ovviamente questi criteri non bastano e occorre raffinare le scelte grafiche definendo la tipologia di variabile grafica da usare, in base alla modalità di fruizione che si intende proporre. Di
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sicuro una “mappa della città” deve rispondere a problemi pratici di orientamento, ma diverso è il problema se la mappa vuole dare una immagine complessiva della città oppure vuole porre l’accento sui servizi essenziali (per fare due esempi): i problemi e la scelta della tipologia di indizi da proporre al lettore sono completamente differenti (privilegiare indizi procedurali o strutturali? Farli convivere?). Occorre tenere ben presente il modo in cui funziona il nostro apparato percettivo (il processo “saccadico” di raccolta delle informazioni, ad esempio) e il tipo di ragionamento che vogliamo/dobbiamo richiedere al nostro lettore (prescrittivo-dogmatico, flessibile o addirittura provocatorio). Definiti questi aspetti ne consegue l’adozione di strategie per costruire la gerarchia visiva tra le informazioni. 2. In che modo e in che misura chi fruisece di una mappa, in questo caso cittadina, ne determina una visione soggettiva? Quanto è possibile ‘soggettivizzare’ una città? Ogni visione ha degli elementi di soggettività. Il problema se mai è quanto un artefatto può generare una visione soggettiva. Io ritengo che meno è evidente una dimensione specifica e prescrittiva, più è facile conferire a una mappa una dimensione soggettiva, se per soggettivo intendiamo manipolabile e personalizzabile. Non so se si intendeva questo con soggettivo. In ogni caso che i fruitori possano entrare in rapporto diretto con la cartografia e lasciare “tracce” sull’immagine cartografica di un luogo sarebbe quantomeno auspicabile. Credo che la cartografia digitale aiuti, ma i modelli proposti sono spesso centrati sull’automobile e poco personalizzabili. Riguardo al soggettivizzare una città, temo di non aver strumenti per dire qualcosa. Di sicuro carte personalizzabili e cartografie adattabili potrebbero essere un territorio interessante su cui lavorare. 3. Realizzare la mappa della propria città può determinare una presa di coscienza della condizione di cittadino? Può far emergere carenze e virtù dello spazio e creare relazioni con le proprie esigenze (con il proprio profilo psicologico)? Tema molto delicato, in quanto lo spazio urbano è frutto di un compromesso tra cittadino, istituzioni, città esistente e, soprattutto, sistema legislativo. In questo gioco il cittadino non aggressivo tende a scomparire. Ma su questo ho veramente poche basi e preferisco non sbilanciarmi.
CAPITOLO #4
Cfr. L’immagine della città Kevin Lynch Biblioteca Marsilio quattordicesima edizione Venezia, 2009
Elementi visivi della città
L’analisi di una città porta in luce la sua natura formale. La città è costituita da elementi che entrano in relazione tra di loro e che permettono di definirne un’identità generale. Percorsi I percorsi sono i canali lungo i quali l’osservatore si può muovere abitualmente, occasionalmente o potenzialmente. Nodi Sono i punti, luoghi strategici in una città, nei quali un osservatore può entrare, e che sono i fuochi intensivi verso i quali e dai quali egli si muove. Ricavano la loro importanza dal condensarsi di qualche uso o di qualche caratteristica fisica, come avviene per un posto di incontro all’angolo della strada, o per una piazza chiusa. Quartieri I quartieri sono le zone della città, di grandezza media o ampia, concepite come dotate di un’estensione bidimensionale in cui si può entrare e sono riconoscibili in quanto in esse è diffusa qualche caratteristica individuante. Nuclei Alcuni nodi di concentrazione sono il fuoco o il culmine di un quartiere. Irradiano la loro influenza su questi e ne rappresentano il simbolo. Margini Sono confini tra due diverse fasi, interruzioni lineari di continuità: rive, linee ferroviarie infossate, margini di sviluppo edilizio, mura. Possono costituire barriere, più o meno penetrabili, che dividono una zona dall’altra. I margini possono spesso aumentare la tendenza dei quartieri a frammentare la città in modo disorganizzato. Forti margini possono infatti impedire la transizione da un quartiere all’altro e aggravare l’impressione di disorganizzazione. Tematica - continuità ed unitarietà Le caratteristiche fisiche che determinano i quartieri sono continuità tematiche che possono consistere in un infinita varietà di componenti: grana, spazio, dettaglio, simbolo, tipo edilizio, attività, abitanti, grado di manutenzione, topografia. Unità tematica L’unità tematica è distintiva, in forte contrasto con altri elementi, altre unità. Citando Lynch: “Non era infrequente il raggruppamento della Back Bay con il South End, nonostante le loro differenze d’uso, di ceto e di tracciato. Questo era probabilmente il risultato di una certa omogeneità architettonica... Tali similitudini tendono ad appannare l’immagine urbana.”
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Attribuzione del nome Il nome del quertiere, dell’unità tematica aiuta a conferirgli identità, anche quando l’unità tematica non costituisce un contrasto impressionante con altre unità. Contorni duri o soffici I contorni duri sono definiti, precisi e rafforzano l’identità di un’unità. I contorni soffici sono incerti, approssimativi. Nuclei e zone limitrofe Un nucleo forte può generare un gradiente tematico che svanisce gradualmente. Un nodo è tanto più definito se ha un contorno netto, preciso. Gerarchia Citando Lynch: “Alcune delle difficoltà d’orientamento nel distretto finanziario di Boston, o l’anonimità delle griglie di Los Angeles possono esser dovute a questa carenza di una gerarchia negli spazi.” Riferimenti La caratteristica fisica chiave per questa categoria è la singolarità: qualche aspetto che, rispetto al contesto, è unico e memorabile. Posseggono una forma intellegibile, contrastano con lo sfondo e hanno qualche preminenza nell’ubicazione spaziale. Il contrasto figura-sfondo sembra essere il fattore principale. Ripetizione deli riferimenti I riferimenti possono far parte di un gruppo, si rafforzano nella ripetizione e sono riconoscibili in parte dal contesto. Singoli elementi di riferimento a meno che non siano veramente imponenti, restano probabilmente deboli se isolati. Il loro riconoscimento richiede un’attenzione sostenuta. Se però sono raggruppati, essi si rafforzano l’un l’altro in maniera più che additiva. Riferimento vivace La caratteristica essenziale di un riferimento vivace, d’altro canto, è la sua singolarità, il suo porsi a contrasto col contesto o con lo sfondo. La preminenza spaziale attira particolarmente l’attenzione. L’oggetto è anche più notevole se possiede una chiarezza di conformazione generale. Cruciale è la sua ubicazione: la sua disposizione spaziale deve consentirgli di essere visto. La forza dell’immagine cresce quando l’elemento di riferimento coincide con una concentrazione di associazioni oppure gli viene attribuito un nome che poi diviene comunemente noto. Interrelazioni degli elementi Questi elementi possono essere composti insieme per fornire una forma che risulti soddisfacente. Questi accoppiamenti possono rappresentare un reciproco rafforzamento, una risonanza tale da accrescere il potenziale specifico di ciascuno, o possono entrare in conflitto e distruggersi a vicenda.
CAPITOLO #4
Cfr. L’immagine della città Kevin Lynch Biblioteca Marsilio quattordicesima edizione Venezia, 2009
LE AGGETTIVIZZAZIONI DELLA FORMA Per rappresentare la mappa di una città ci si avvale di alcune variabili in grado di distinguerne le caratteristiche fisiche generali: Singolarità O chiarezza di figura-sfondo: precisione di contorni, contrasto di superficie, forma, intensità, complessità, dimensione, situazione spaziale. Il contrasto è in grado di rendere l’elemento notevole, rilevabile, vivido, riconoscibile. Semplicità della forma Le forme semplici sono più facilmente incorporate nell’immagine, e gli osservatori tendono a distorcere fatti complessi in forme elementari. Continuità Continuità di margini o superfici, prossimità di parti, ripetizione ad intervalli ritmici, similarità, analogie o armonia di superfici, di forma, d’uso. Sono tutte caratteristiche che facilitano la percezione di una realtà fisica complessa, attributi che permettono una generalizzazione di identità. Chiarezza di connessione Elevata visibilità di congiunzioni e suture, chiara relazione ed interconnessione. Differenziazione direzionale Asimmetrie, gradienti e direttrici radiali che differenziano un’estremità dall’altra. Ambito di visione Qualità che accrescono il campo e la penetrazione dello sguardo effettivamente o simbolicamente. Un indizio, un dettaglio tipico per far presentire la prossimità d’un altro elemento. Serie temporali Serie percepite nel tempo. Ciò che viene figurato è il sistema di sviluppo degli elementi piuttosto che gli elementi stessi. Nomi e significati Possono intensificare la figurabilità di un elemento. Associazioni e significati, siano essi sociali, storici, funzionali, economici o individuali, costituiscono un campo che stà al di là delle qualità fisiche.
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Il vecchio municipio nella cittĂ di Boston. Anche se di dimensioni assolutamente inferiori ripetto ai palazzi che costituiscono la cittĂ , la sua forma e dimensione lo rendono un punto di riferimento fortemente riconoscibile.
Segni
Significati Diagrammi
Mappe
Contorno chiuso Forma chiusa Campitura colore Area texturizzata
Cosa Oggetto Entità Nodo
Regione geografica
•
Dimensione
Quantità Valore Importanza
Estensione Importanza
•
Linea
Quantità Valore Importanza
Estensione Importanza
•
Punto
Cosa Oggetto Entità Nodo
Luogo Città Edificio
•
Punto dentro ad un area
Contenuto in
Luogo in un’area: Città/Regione
. . . . .. . . . . . .. . . .. . . .. . .. . . . . . . . . . . . .. . . . .. . . . .
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Cfr. Guardare Pensare Progettare Neuroscienza per il design Riccardo Falcinelli Stampa Alternativa & Graffiti, Roma 2011
Contrasti e convenzioni nei diagrammi e nelle mappe
.
CAPITOLO #4
•
Punto su linea
Posizione
Luogo Tappa
•
Forme unite
Relazione
Collegamento di/tra A e B
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Segni
Significati Diagrammi
Mappe
•
Partizione della forma
Quantità Percentuale Frazione
Area delimitata
•
Forme contenute in un insieme
Contenuto in
Posizione dentro un’area: Città/Regione
•
Forme equidistanti ordinate
Sequenza
•
Linea di unione
Relazione tra entità
Collegamento stradale
•
Tipo di linea
Qualità della relazione
Tipo di confine Tipo di strada Tipo di fiume
•
Spessore
Forza del legame
Gerarchia Dimensione strada
•
Prossimità
Gruppo di entità
Vicinanza
CAPITOLO #4
Cfr. L’immagine della città Kevin Lynch Biblioteca Marsilio quattordicesima edizione Venezia, 2009
L’immagine pubblica
“Per ogni città esiste un’immagine pubblica, che è la sovrapposizione di molte immagini individuali. O forse vi è una serie di immagini pubbliche, possedute ciascuna da un certo numero di cittadini. Tali immagini di gruppo sono indispensabili perchè un individuo possa agire con successo nel suo ambiente e possa collaborare con gli altri.” Kevin Lynch ne L’immagine della città analizza i contenuti raccolti nelle interviste ai cittadini delle città prese in esame, confrontandoli con gli studi effettuati nei sopralluoghi diretti. In questo modo riesce sistematicamente ad apprendere molto sul carattere e la struttura dell’immagine urbana. Attraverso un’attivita di reperimento delle immagini della città, che ogni cittadino realizza e dal succesivo confronto degli elaborati, si evidenziano caratteristiche comunemente riscontrate: spazio aperto o chiuso, senso di movimento, contrasti visivi ecc. Le caratteristiche che emergono dal confronto sono materiale di studio per un’urbanista, per le amministrazioni cittadine, utili anche a capire quale sia l’identità visiva di una determinata realtà urbana. La figurabilità totale Lo sviluppo dell’immagine, il suo modificarsi nel tempo, la realizzazione di uno schema totale porta più facilmente ad una comprensione dell’ambiente in cui si vive. Citando Falcinelli si può affermare che “fermi restando i limiti fisiologici e l’orizzonte ecologico del nostro «stare», sospetto che per l’uomo moderno nel vedere lo spazio non possa prescindere dalla misurabilità e dalla disegnabilità di quello che lo circonda. Lo spazio per l’uomo moderno (e specialmente per l’uomo cittadino) sembra ormai essere sempre e comunque uno spazio figurativo.” Educare alla percezione del proprio ambiente Lo sviluppo dell’immagine è un processo reciproco tra ossrevatore e cosa osservata. Secondo Lynch è possibile rafforzare l’immagine del proprio ambiente attraverso la rieducazione di colui che la percepisce o anche attraverso la ristrutturazione. Si può quindi fornire allo spettatore un diagramma simbolico di come l’ambiente sia coerentemente formato: una mappa o delle istruzioni scritte. Quando il cittadino sarà in grado di far corrispondere la realtà ad un’ipotetico diagramma, egli possederà una chiave per relazionare le cose. Processo interiore di conoscenza L’individuo può sviluppare l’immagine dell’ambiente sia attraverso l’alterazione della sua forma fisica esterna sia attraverso un processo interiore di conoscenza. Figurabilità dell’ambiente Elevare la figurabilità dell’ambiente urbano significa facilitare la sua identificazione visiva e la sua struttura. Gli elementi precedentemente analizzati (margini, percorsi, riferimenti, nodi ecc.) sono i blocchi di costruzione nel processo di edificazione di strutture ferme e differenziate.
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Cfr. L’immagine della città Kevin Lynch Biblioteca Marsilio quattordicesima edizione Venezia, 2009
Immagini di Boston ricavate dalle interviste ai cittadini e dai sopralluoghi effettuate da Kevin Lynch. Le mappe mettono in luce pregi e difetti della cittĂ percepita.
CAPITOLO #4
Cfr. La nuova Babilonia. Il progetto architettonico di una civiltà, Lippolis Leonardo, Costa & Nolan, 2007
Psicogeografia situazionista
INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA L’Internazionale Situazionista nasce il 28 luglio del 1957 a Cosio di Arroscia, in provincia di Imperia, dalla fusione di alcuni componenti dell’Internazionale lettrista, del Movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, o MIBI, del movimento CO.BR.A. e del Comitato psicogeografico di Londra. Movimento rivoluzionario in campo politico e artistico, con radici nel marxismo, nell’anarchismo e nelle avanguardie artistiche dell’inizio del Novecento. Restò attivo in Europa per tutti gli anni sessanta, aspirando ad importanti trasformazioni sociali e politiche. Uno dei padri fondatori è Guy Debord. Nel corso degli anni sessanta si scisse in vari gruppi, tra cui la Bauhaus Situazionista e la Seconda Internazionale Situazionista. La Prima Internazionale Situazionista si sciolse nel 1972. A loro sono da attribuire le grandi produzioni di manifesti con contenuti rivoluzionari contro la società classista e capitalista e sul tema dell’università che invasero in modo abusivo le strade parigine ne periodo definito Maggio ‘68. Programma dell’Internazionale situazionista è il creare situazioni, definite come momenti di vita concretamente e deliberatamente costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi. Le situazioni vanno create tramite l’Urbanismo Unitario, un nuovo ambiente spaziale di attività dove l’arte integrale ed una nuova architettura possano finalmente realizzarsi. Il movimento situazionista è stato l’unico soggetto politico a cogliere e a seguire la trasformazione totalitaria del neocapitalismo nel suo divenire, tentando, allo scopo di deviare il corso della storia, di costruire l’ambiente favorevole al dispiegarsi di nuove passioni. Contro l’abbrutimento obbligatorio, allora agli albori, degli stadi e della televisione, la proposta di un uso ludico del tempo liberato dal lavoro, da sperimentare negli spazi urbani esistenti e nella costruzione diretta di città in cui coltivare la propria intelligenza creativa. Tutto ciò avrebbe dovuto avviare la rivoluzione permanente della vita quotidiana. Concetti fondamentali del programma dell’Internazionale situazionista al momento della fondazione furono l’urbanismo unitario, la psicogeografia, ovvero l’esplorazione pratica del territorio attraverso le derive, e l’idea del potenziale rivoluzionario del tempo libero.
Cfr. Internationale situationniste, n. 1, Parigi, giugno 1958. Trad. it.: Internazionale situazionista 1958-69, Nautilus, Torino 1994
Urbanismo unitario Teoria dell’impiego di insieme delle arti e tecniche che concorrono alla costruzione integrale di un ambiente in legame dinamico con esperienze di comportamento. Psicogeografia Studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico, disposto coscientemente o meno che agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui. Deriva Modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica di passaggio frettoloso attraverso vari ambienti. Si dice anche, più particolarmente, per designare la durata di un esercizio continuo di questa esperienza.
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Cfr. Internationale situationniste, n. 1, Parigi, giugno 1958. Trad. it.: Internazionale situazionista 1958-69, Nautilus, Torino 1994
Guy Debord, 1955 “Psychogeographic guide of Paris: edita da Bauhaus Imaginiste Printed in Danimarca by Permild & Rosengreen - Discourse on the passions of love: psychogeographic descents of drifting and localisation of ambient unities”. Un esempio di mappatura delle unità atmosferiche della città di Parigi. La mappa è stata tagliata in diverse aree, sperimentate da alcune persone e si snoda in diversi quartieri. La distanza mentalmente sentita tra queste aree è visualizzata dallo scaglionamento della mappa. Ogni quartiere rappresenta l’isolamento culturale, la disposizione a creare aree connotate. Le unità vengono lasciate galleggiare facendo si che ogni persona scopra le unità ambientali in una determinata città. Le frecce indicano gli incroci più frequenti utilizzati tra le isole dell’arcipelago urbano attraverso i quali avvengono le contaminazioni, volute o forzate.
APPUNTO #5 La comunicazione, quella effettuata tramite i mezzi di stampa, ha trovato sin dall’inizio larga diffusione ed applicazione nel mondo del prodotto, della pubblicità o della propaganda politica. Il grafico, il designer impiega le sue forze al servizio di clienti devoti all’accumulo di capitale e la professione, da sempre così legata all’arte si scosta verso altri campi come la psicologia ed il marketing. Nel corso del ventesimo secolo non sono stati pochi, però, i professionisti, gli artisti che hanno ribadito il loro ruolo sociale. Sociale nel senso di svincolato semplicemente da una commissione, dalla volontà di plagiare, convincere, sedurre il destinatario del messaggio. John Heartfield ne è un esempio, durante il periodo in cui in Gremania troneggiava il nazional-socialismo affronta un percorso di contro propaganda politica con la volontà di risvegliare coscienze assopite. A partire dalla prima metà del secolo si può analizzare anche il fenomeno avvenuto nell’industria italiana. Industriali illuminati, come il celebre Adriano Olivetti, si avvalsero di artisti-designer del tempo (Giovanni Pintori per la Olivetti ma anche lo Studio Boggeri, Franco Grignani, Erberto Carboni) che fecero della comunicazione commerciale una forma di arte, un modo di comunicare “alto”. Oltre all’aspetto prettamente legato alla comunicazione, il ruolo di questi industriali fu quello di creare contesti socieli, di organizzare spazi, di creare situazioni, di entrare nel quotidiano per migliorare la vita delle fasca media della popolazione, come nel caso della Olivetti per la cittadina di Ivrea. Designer, istituzioni, e privati uniscono le loro forze in questa “missione”. Altra strada presa dalla “comunicazione” è quella svincolata da ogni forma di potere, quella che nasce libera, che nasce dall’esigenza di dire, fatta da chi non è d’accordo con il potere. Il volantino esiste sin da quando esiste lo sciopero nelle fabbriche, sin da quando ogni forma di disagio sociale genera l’aggregazione. Il '68 è il periodo durante il quale, in tutto il mondo, si sviluppano movimenti volti a sovvertire l’assetto sociale borghese-classista e che scatena l’insorgere del popolo operaio come quello intellettuale universitario. Giornali, volantini, manifesti, stiscioni, diventano forme autonome di veicolazione di messaggi, attraverso i quali in modo più o meno artigianale si diffonde un pensiero rivoluzionario, frutto del disagio. Ispirato da questa storia del design così concreta, così "sana", nasce il progetto La vita a Raissa. Allora, questo lavoro si allinea alle parole di Ken Garland che nella stesura del First Thing First Manifesto struttura una gerarchia di priorità nel mestere del designer. Creare comunicazione utile, che si relazioni in modo diretto al cittadino, non subdolamente, non in modo persuasivo, che dia al cittadino informazioni, che mostri la società nel modo più reale ed utile. I laboratori che ne risultano sono solo il punto di contatto con la società, l’approdo alla collaborazione, una forma semplice di confronto, una sorta di comizio sociale, una riunione cittadina che ascolta le varie voci e dà modo a queste di diventare pubbliche, di invadere lo spazio, di prendere forma. Ad aprire questo capitolo c’è l’intervista ad Emanuela Bonini Lessing che nel corso dei suoi studi e del suo percorso professionale affronta in modo ampio questioni legate alla società urbana e all’idenità dei luogo in cui si vive.
Forma Mentis nel Progetto Ideale
INTERVISTA #4
Emanuela Bonini Lessing
Studia architettura presso il Politecnico di Milano, dove si laurea con la votazione di 100/100. Consegue la Borsa di Studio Erasmus presso la Staatliche Akademie der Bildenden Kuenste di Stoccarda. Da studente collabora continuativamente e a vario titolo presso il Corporate Design Department del Design Center della Daimler-Chrysler A.G. a Sindelfingen. Oggi, da Milano, presta la propria consulenza nell’ambito della comunicazione visiva e multimodale presso aziende pubbliche e private, nazionali ed internazionali. Presso la Facoltà di design e arti dell’Università Iuav di Venezia, dopo aver ricoperto l’incarico di assistente ai corsi della laurea triennale e specialistica in Comunicazioni visive e multimediali, ricopre attualmente l’incarico di tutor ai laureandi delle lauree specialistiche. Per viverevenezia3_in the labyrinth, sul tema della segnaletica e dell’orientamento urbano a Venezia, è stata curatrice del workshop internazionale, coordinatrice editoriale del relativo catalogo edito da Marsilio, curatrice delle presentazioni dell’iniziativa e degli allestimenti all’estero. Per la ricerca di dottorato indaga nuovi modelli di comunicazione di identità visive in ambito metropolitano. Collabora con alcune riviste di settore ed è stata relatrice presso convegni di rilievo locale e nazionale.
Intervista realizzata tramite corrispondenza di posta elettronica.
INTERVISTA Appunti sulla città ed il cittadino 1. Che cosa è oggi la città? È una domanda alla quale non si può rispondere in un modo solo. La città è sempre stato un sistema complesso di gestione di persone, cose e simboli. Attualmente, direi che uno dei tratti che maggiormente la contraddistinguono è la frammentazione. Bernardo Secchi parla di frammentazione della morfologia della città media europea. Una città, come sosteneva anche Aldo Bonomi ne La città infinita a proposito di Milano e dell’hinterland, sfrangiata sia nelle sue propaggini verso la “periferia”, sia al suo interno, dove aumentano i “buchi”: aree abbandonate, sotto-utilizzate o veri e propri ghetti. Rifkin, nel suo famoso libro, L’era dell’accesso, parla dello squilibrio che già esiste e che andrà aumentando nelle città tra coloro che hanno acceso ai servizi (e le informazioni posso essere intese come un tipo di servizio) e chi invece non ce l’avrà. Sta cambiando infatti il modo, i mezzi, con cui accedere alle informazioni. Diverse città europee e alcune città italiane tra gli anni '60 e '80 del secolo scorso si sono dotate di sistemi unitari per veicolare le informazioni ai cittadini: si pensi ai sistemi di segnaletica, dei trasporti pubblici ecc., ben piantati sul solido terreno urbano! Oggi sarebbe impensabile gestire quel tipo di dati unicamente attraverso sistemi “analogici”. I mezzi e i sistemi di comunicazione si sono più che moltiplicati. Più attori, pubblici e privati, collaborano o concorrono tra di loro nell’erogare i servizi informativi. Ciascuno di noi dispone di un proprio computer e di un proprio smatphone per procurarsi le informazioni come crede e quando ne ha bisogno. Anche la comunicazione pubblica e istituzionale della città sta andando frantumandosi e parcellizzandosi in una moltitudine di media. La relazione tra pubblico e privato, relativa agli spazi fisici della città come a quelli virtuali, è molto più sfumata di un tempo. In questo sfrangiarsi fisico della città e delle relazioni tra le persone, si fanno però largo alcune particolari esigenze di “ricomposizione”. Nella
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maggior parte dei casi si tratta dello spontaneo costituirsi di gruppi di persone sulla base di interessi specifici, per lo più transitori: una volta raggiunto il risultato i gruppi si sciolgono, ma molto spesso le persone si ri-trovano accomunate da altri interessi e nuovi obiettivi. E questo accade sia nello spazio virtuale che in quello reale della città. Come sostiene l’urbanista Francesco Indovina, è difficile che qualcuno possa fare l’esperienza metropolitana nella sua interezza, nel senso che nessun cittadino, temporaneo o residente, conosce e vive con partecipazione tutti i luoghi e tutti gli aspetti della vita nelle grandi città. Viviamo sempre più spesso esperienze parziali ma sovrapposte, in termini di spazio e di tempo. 2. Ritiene che “l’immagine” della città in cui si vive, influisca sulla formazione della personalità dell’individuo? Si potrebbe rispondere banalmente: certo che vivere in una bella città d’arte italiana influisce più positivamente sullo sviluppo della personalità che non una favela... In effetti credo che anche una considerazione un po’ banale come questa sottenda in realtà un problema di accesso: ovvero di opportunità per le persone di ottenere ma anche reciprocamente di poter contribuire a realizzare un patrimonio comune, un immaginario collettivo. Dipende poi da cosa si intende per “immagine della città”, e da come avviene il processo di costituzione dell’immagine. Potrebbero esserci il caso un po’ paradossale in cui l’immagine ufficiale della città, quella veicolata da chi controlla i media, non coincida affatto con gli elementi che invece costituiscono la città reale. Qualcosa del genere si è vissuto fino a poco tempo fa a Napoli, città della quale venivano riportate immagini molto diverse (molto pulita/ molto sporca) a seconda delle situazioni. Lo stesso potrebbe succedere nel caso di un progetto di comunicazione visiva: si vedano le polemiche che spesso accompagnano i progetti di corporate identity o di city branding. In molti casi i cittadini non si identificano affatto con i simboli proposti. La relazione tra l’individuo e il progetto proposto potrebbe essere allora di totale indifferenza. Oppure i cittadini potrebbero decidere di opporsi. Il rischio di un’immagine calata dall’alto è proprio quello per cui prima o poi, soprattutto grazie a sistemi di comunicazione orizzontale, l’immagine ufficialese troppo “ritoccata”- venga “ribaltata” dai cittadini, in un gesto appunto dal basso verso l’alto. In Affichage, Fontanille aveva parlato di una sorta di “prassi dell’aggiustamento”, che caratterizzerebbe la realtà quotidiana dei fruitori della città. L’autore mostrava quanto distanti siano, ad esempio, il gesto dell’affissione di un manifesto da parte di un privato o di una pubblica istituzione, rispetto alla fruizione del manifesto stesso da parte del cittadino. Nel primo caso si tratta di un’operazione di comunicazione che va dall’alto verso il basso, nel secondo dal basso verso l’alto. Non vi è alcuna linearità, alcuna reciprocità tra i due processi. Il cittadino, bombardato da un’infinità di messaggi, che si presentano ai suoi occhi in modo tutt’altro che integro, cerca una propria strada, un proprio metodo per ricostruire i canali e le fonti di comunicazione. E non è affatto detto che vi riesca. Penso dunque che un’immagine visivamente progettata di una città abbia molte più probabilità di essere accettata e accolta dai cittadini quanto più questi possano partecipare alla sua costituzione.
INTERVISTA #4
3. In che modo si può far diventare l’individuo parte attiva nello sviluppo della città e della sua identità? Durante la mia ricerca di dottorato ho individuato alcuni casi studio, costituiti da città europee che hanno sviluppato nell’ultimo decennio progetti di comunicazione pubblica. In nessuno di questi casi, principalmente Bristol, Amsterdam, Berlino, Torino, i cittadini sono riusciti a farsi promotori e sostenitori delle proprie idee sul cambiamento in corso delle città. Le istituzioni politiche, in democratica ma mediata rappresentanza dei cittadini, hanno discusso i piani di rinnovamento strategico sia con gli attori economici locali che con quelli “esterni” al territorio. È stata un’amara constatazione: nei migliori dei casi sono è stata data udienza alle proposte espresse da associazioni di cittadini e da vari comitati locali. In tutti gli altri casi ai cittadini è stata per lo più loro offerta la possibilità di partecipare ai momenti di “messa in mostra” della città (si pensi alle Olimpiadi di Torino). Al momento, credo invece che le persone, più che il singolo individuo, riescano ad agire positivamente nel caso dell’organizzazione e della gestione o meglio dell’auto-organizzazione di servizi che affianchino quelli ufficiali ritenuti carenti. Penso a situazioni di co-working, oppure di car-sharing o di servizi per i bambini autogestiti. I mezzi di comunicazione orizzontale, i social network hanno un ruolo fondamentale nella riuscita dell’operazione, a partire dall’aggregazione delle persone con interessi comuni. In questi casi non credo che la questione dell’immagine della città o del servizio sia prioritaria. Penso invece che stia a cuore la risoluzione di problemi pratici che accomunano più persone. Se poi le questioni vengono risolte in modo positivo, allora in qualche modo possono diventare dei simboli: più per i metodi e gli strumenti applicati, che non per l’estetica della forma. 4. Quale è il futuro della città, dei luoghi fisici di relazione: la piazza, la biblioteca ecc,? Come dicevo precedentemente, non penso che i luoghi virtuali sostituiranno mai quelli reali. Al tempo della diffusione della tecnologia del telefono fisso, alcuni sociologi americani sostenevano che di conseguenza la città sarebbe scomparsa, poiché le persone non avrebbero più avuto necessità di incontrarsi tra di loro! Credo che un tratto della società attuale sia il moltiplicarsi delle possibilità e dei mezzi, che non va però scambiato con una generale facilitazione all’accesso dei beni, dei servizi e delle informazioni. Sulla base delle considerazioni fatte prima, cambiano sicuramente i modi e i tempi di fruizione degli spazi pubblici urbani. Bisognerà prima o poi riflettere seriamente anche sulle modalità di archiviazione della conoscenza e delle esperienza. È forse un caso che un social network come facebook abbia introdotto la timeline? A me sembra una risposta al fatto che ormai rasentiamo la saturazione con “l’attualità”: c’è maggior bisogno di “profondità temporale” e di archiviazione che negli anni più recenti. Le biblioteche si stanno attrezzando per archiviare i flussi di informazioni digitali? Sarà ancora possibile distinguere la conoscenza “alta” e ufficiale” dalla miriade di esperienze dei singoli individui o dei loro temporanei raggruppamenti? Cosa ci aspetteremo di trovare quando entreremo in una biblioteca tra dieci anni?
CAPITOLO #5
Natura dei laboratori “Io ci vedo una città”
Cfr. “newbasic” il verri n. 43, giugno, 2010
Il naming dei laboratori è ispirato al gioco che si fa guardano le nuvole e scorgendo in esse delle forme note: animali, oggetti e quant’altro. Ciascuno da forma a ciò che più vicino è ai propri gusti, alla propria fantasia, alla propria memoria. Io ci vedo una città, non con delle nuvole, ma utilizzando delle forme semplici, coinvolge il cittadino alla realizzazione del proprio progetto urbano, della propria idea di città. Questa esercitazione si pone come obbiettivo quello di intervenire sulla forma mentis dell’individuo e attraverso un’applicazione concreta, ragionare su come meglio vivere lo spazio urbano diventandone autore, progettista. Le mappe realizzate, indicano le sostanziali differenze nella percezione di uno spazio urbano, nelle qualità formali, nelle qualità delle relazioni umane, nella struttura amministrativa e di gestione istituzionale del territorio. Questo esercizio di manipolazione dell’ambiente induce dunque ad una presa di coscienza, ad una riflessione sui problemi del spazio in cui si vive, in una visione totale. L’obbiettivo, il problem solving, non è tanto la forma raggiunta, ma la qualità dell’immagine mentale sviluppata durante l’attivita progettuale realizzativa. La volontà è quella di condurre il “progettista” per la città, quasi come in una “deriva situazionista”, inducendolo a “vedere”, a osservare le forme svariate della città e come esse interagiscono, arricchendo la sua esperienza attraverso lo sforzo di dare forma. Questo esercizio pone in evidenza anche la necessità per una città non solo di essere ben organizzata ma di possedere aspetti poetici e simbolici. Emerge infatti l’aspetto umano, l’individuo, le relazioni, le aspirazioni, le tradizioni storiche, la situazione ambientale. A comporre le città infatti entrano in gioco anche elementi concettuali in grado di definirne l’identità umana, che ne qualificano i pregi, i difetti, i punti su cui lavorare. L’organizzazione simbolica del paesaggio cittadino può quindi contribuire a eliminare la paura di ciò che di essa non si conosce, a stabilire tra gli uomini e l’ambiente complessivo una relazione emotiva sicura, a generare senso di appartenenza e magari porre in questione responsabilità civili.
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DOCUMENTO 1: CORSO DI BASE I punti stilati da Tomàs Maldonado nel definire il corso di base sono uno spunto per la definizione dei laboratori “Io ci vedo una città” 1. Avviamento alla pratica e all’analisi di un uso etico dei mezzi della progettazione. 2. Avviamento alla pratica e all’analisi dei mezzi visuali sia sul versante produttivo che su quello percettivo. 3. Avviamento alla pratica e all’analisi dei problemi culturali del nostro tempo. 4. Promozione della consapevolezza delle sue future responsabilità sociali come designer. 5. Promozione di una sua liberazione da pregiudizi e deformazioni psicologiche provocati dalla sua educazione precedente. 6. Selezione degli studenti più capaci. LE ESERCITAZIONI SONO CARATTERIZZATE DA ALCUNI PUNTI FERMI: •
• • • • • •
L’attività è orientata a risolvere un solo obbiettivo molto chiaro e definito, il numero di variabili in gioco è limitato, il processo di realizzazione è definito da regole. Per queste ragioni i risultati delle esercitazioni sono comparabili collettivamente (al fine della valutazione inter-soggettiva) e l’obbiettivo formativo è chiaro. La caratteristica fondamentale è “il fare” che facilità la comprensione del risultato finale ottenuto attraveso un processo di comprensione induttivo piuttosto che nozionistico. Le esercitazioni hanno regole molto semplici per la facile comprensione dello scopo didattico progettuale. Durante l’esperienza laboratoriale avvengono modifiche, si prendono strade alternative e si ristrutturano le regole, raccogliendo punti di vista differenti, aggiustando il tiro di volta in volta in modo da continuare a far evolvere la ricerca. Questi laboratori sono pensati come a dei “problem-solving in miniatura” in cui sono in gioco pochissime variabili, chiaramente definite e contenute nell’ambito dell’esercizio stesso. La “soluzione” è presente nell’atto costruttivo-analitico che volge a determinare una presa di coscienza nei confronti dello spazio urbano definito “città”. Lo scopo è di creare paralleli progettuali che esplicitano la natura progettuale ed evolutiva della forma della città educando a vederla, chiarificandone l’immagine mentale.
CAPITOLO #5
FASI STRUTTURALI DEI LABORATORI • • • •
Definizione dell’inquadratura: lasciata vaga per permettere all’utente di stabilire la propria. Fissare l’obbiettivo: finalità dell’esercitazione. Stabilire la sintassi: le regole, le chiavi di lettura per una comprensione univoca. Riscontrare i risultati: confutazione e confronto.
METODO DI REPERIMENTO DI DATI • • • • • •
Cfr. Graficamente Marco Gustavigna Carocci Faber Roma, 2007
Gli esercizi sono stati svolti da un numero limitato di persone. L’esercizio della durata di circa 10 minuti ha permesso di raccogliere immagini individuali che lette nell’insieme rendono un’immagine pubblica approssimativa. L’attribuzione del nome al progetto ha permesso di definire il punto di vista del progetto, le aspettative, l’aspetto critico. L’interazione, l’aspetto conoscitivo nasce anche dal confronto esplicito durante la realizzazione del progetto, dal commento delle azioni e e delle attribuzioni del valore. Il blog successivamente realizzato ha permesso di effettuare un confronto attento e meticoloso, permettendo un’inquadramento univoco della città. Questa raccolta sintetizza l’immagine pubblica dell’area analizzata, i problemi e i pregi, gli elementi critici, dettagliandone le aggettivazioni e le possibilità di trasformazione. Un futuro piano urbanistico potrebbe essere basato su di un analisi simile, costantemente modificata ed aggiornata.
MAPPE MENTALI Il sistema di mappatura che caratterizza i laboratori Io ci vedo una città può, in un certo senso, essere paragonato al sistema delle mappe mentali: una modalità di rappresentazione grafica della conoscienza pensata da Tony Buzan nel 1982 all’interno di una sua più ampia riflessione sul perfezionamento delle tecniche per prendere appunti. Pochi sono gli elementi di base della tecnica di realizzazione del mind mapping, che obbedisce a un modello logico-operativo di fondo molto semplice da descrivere e da comprendere, ma proprio per questo molto potente e di applicabilità assai estesa. Una mappa mentale ha lo scopo di organizzare le idee intorno a un argomento; tale raccolta di idee può essere anche frutto di lavoro di gruppo, anche in modalità di brain-storming. La sua realizzazione deve avvenire seguendo regole di composizione: Central topic: l’argomento di partenza che può essere rappresentato in forma testuale e/o iconica e va collocato al centro di un foglio o di una lavagna o di una scheramata. Radialità: la logica della mappa è radiale, essa andrà sviluppandosi dal centro verso la periferia;
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Topic: gli item che vengono via via in mente possono di nuovo essere rappresentati in forma testuale e/o iconica e vanno collocati via via intorno all’elemento di partenza; Livelli: a ciascun Topic (elemento di primo livello) possono essere associati elementi di secondo livello, chiamati Subtopic, sempre testuali o iconici e sempre da collocarsi a raggiera. Sintassi: la costruzione di ogni mind map utilizza sempre, indipendentemente dal contesto e dall’argomento, la medesima sintassi, vincolata e soprattutto dichiarata e condivisa, a cui è possibile riferirsi costantemente; Fruizione: la mappa si svincola completamente dal contesto di elaborazione e può essere facilmente compresa anche da chi ne sia meramente fruitore, a patto che abbia sufficienti nozioni per quel che riguarda la realtà rappresentata; Regole: la presenza di regole definite ha come conseguenza l’annullamento dei rischi di incomprensione dei criteri utilizzti per strutturare la rappresentazione grafica.
Mappa mentale realizzata da Tony Buzan sulla “forza del cervello”. Essa sviluppa le tematiche della comprensione e dell’apprendimento, ma anche, le relazioni con le attività fisiche.
CAPITOLO #5
Io ci vedo una città #ı
Il laboratorio è strutturato secondo una sintassi che permette di realizzare ed interpretare in modo univoco le mappe. Queste regole durante l’esercitazione hanno subito in molti casi delle modifiche e spesso l’interpretazione personale degli utenti ha preso il sopravvento andando a definire configurazioni frutto di un ragionamento personale. Elemento che non è considerato nella sintassi sono i collegamenti tra i topic o con il central topic. In molti hanno aggiunto questo elemento. Punto di vista Posizione nello spazio, unicità, contrasto (1). Due sono le fasi del laboratorio e gli elaborati, corrispondenti a due punti di vista: È: posizionare il centro, o i centri, del territorio intorno al quale ruotano gli elementi urbani, realizzando ciò che, secondo la propria conoscenza, rappresenta in modo oggettivo il territorio selezionato. Dovrebbe: posizionare se stessi assumendo un punto di vista personale, rappresentando ciò che, secondo la propria volontà dovrebbe costituire il territorio selezionato. Posizione topic Vicinanza, posizione nello spazio, unità, gruppo (2). È: vicinanza o distanza dal centro della città. Dovrebbe: vicinanza o distanza, proporzionale al più o meno interesse personale, dal proprio punto di vista (vicino prioritario, distante non prioritario). Dimensione topic Dimensione, gerarchia (3). È: dimensione direttamente proporzionale al valore, all’importanza che riveste l’elemento, fisico o concettuale, nella vita sociale della città. Dovrebbe: la dimensione dell’elemento, fisico o concettuale, è proporzionale all’importanza che, secondo una personale visione, dovrebbe rivestire nella vita sociale della città. Associando, ad esempio, dimensione e posizione si può definire: il campo da basket importante nel contesto urbano ma non per se stessi. Attribuzione valore Dare un valore nominale ai topic ne connota un’identità fisica o concettuale come: libreria, parco, partecipazione, disinteresse. 1.
2
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Immagine del laboratorio Io ci vedo una cittĂ #1.
Cartolina distribuita per la cittĂ di Terni. I promotori del laboratorio sono quelli della fiera Umbrialibri 2011.
CAPITOLO #5
“IO CI VEDO UNA CITTÀ” AD UMBRIALIBRI 2011 Il primo laboratorio è stato organizzato presso il museo CAOS di Terni in occasione dell’evento fieristico riguardante l’editoria locale, Umbrialibri 2011, dal 4 al 6 novembre. La fiera organizzata a Terni ha preceduto quella di Perugia nella Rocca Paolina. L’allestimento del laboratorio è stato sostenuto da CoMoDo - Comunicare Moltiplica Doveri di Perugia. La frequenza all’evento è stata alta e molte sono le persone che si sono interessate al laboratorio Io ci vedo una città. La realizzazione di progetti urbani richiedeva pochi minuti ed in tre giornate tante sono state le persone che si sono avvicendate a realizzare la propria ideale città. I progetti hanno riguardato per la maggior parte la città di Terni, città che ospitava l’evento, ma sono state realizzate mappe di ideali Roma, Massa Martana, Amelia, Soriano, e molte altre. La sintassi del laboratorio faceva da sfondo. I tavoli a disposizione erano due e nel primo doveva essere realizzata la mappa della città come attualmente ed obbiettivamente è, mentre nel secondo tavolo, il progetto della stessa città secondo il proprio ideale. La realizzazione e lo sviluppo di ogni esercizio è stata caratterizzata da un continuo confronto, dall’espressione delle volontà, dalle critiche. Importante è stato il processo di presa di coscienza che si è andato a sviluppare durante le realizzazioni. Le persone si sono ritrovate a parlare della propria città in modo analitico, come non troppo spesso fanno, e ne hanno visualizzato e sottolineato i pregi e i difetti. Nella seconda parte del laboratorio, nella quale si chiedeva di sviluppare un progetto ideale, l’entusiasmo è andato crescendo e l’impegno è stato accompagnato da una sicurezza maggiore. Inizialmente, molti, si sono approcciati all’esercitazione con timidezza e modestia, ma gradualmente c’è stata la sensazione di essere padroni della situazione. Alla fine di ogni progetto le persono hanno ringraziato per l’opportunita datagli e volevano saperne di più riguardo al progetto dei laboratori. Alcuni sono tornati dopo più di mezz’ora comunicando di essersi dimenticati alcune cose o che volevano cambiarne altre. Alla fine delle tre giornate sono stati realizzati intorno ai quaranta progetti. L’utenza è stata varia, dai più piccoli di quattro anni ai più grandi di oltre sessanta.
Cartroline distribuite nella città di Terni.
Il CAOS - Centro Arti Opificio Siri. Ex sede dello stabilimento SIRI di Terni. Location della fiera Umbrialibri Terni 2011. Foto reperita dal sito: caos.museum
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Scorcio della hall del museo CAOS di Terni invasa dai libi della fiera Umbrialibri 2011 a Terni.
Allestimento laboratorio Io ci vedo una cittĂ #1.
CAPITOLO #5
Alcuni progetti
Antonio Marcasciano durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
ANTONIO MARCASCIANO - DESIGNER SAN LORENZO, ROMA: CITTÀ CREATIVA Antonio Marcasciano vive e lavora a Roma. Costumista e designer, è responsabile del laboratorio-associazione Ora d’Aria Lab operativo presso la casa circondariale femminile Rebibbia di Roma. Il suo quartiere è San Lorenzo, e lo descrive come una delle zone più interessanti della città. Ne esalta la storia antica e moderna fino ad analizzarne il degrado che ormai da anni lo caraterizza. Con l’apertura di sedi distaccate della Sapienza di Roma il quartiere è diventato luogo di forte aggregazione giovanile e questo ha portato elementi positivi e negativi. Alle iniziative culturali si affianca la vita dello “sballo” e serpeggiante è la presenza della criminalità organizzata e del degrado urbano. Antonio nel rappresentare il nuovo quartiere di San Lorenzo, si esclude da esso, e mantiene pochi forti elementi che potrebbero far tornare una sorta di armonia generale: società, memoria, pace e cultura.
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Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
I CI VED UNA CITTÀ F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Società
Memoria
Pace
Cultura
ANTONIO MARCASCIANO SAN LORENZO, ROMA: CITTÀ CREATIVA Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzati in occasione della Manifestazione UmbriaLibri 2011 presso il Museo CAOS di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
Società interattiva
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CAPITOLO #5
Livia e Pietro durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
LIVIA E PIETRO - STUDENTI TERNI: NUOVO RINASCIMENTO Livia e Pietro sono due studenti universitari. Loro realizzano la città di Terni e nel definirla per come attualmente è ne sottolineano la poca organizzazione a livello di eventi ed iniziative rivolte ai giovani. Puntualizzano anche la perdita di tradizioni che facevano di Terni una realtà internazionalmente riconosciuta: la cultura dell’acciaio, la tradizione motociclistica. Sottolineano l’abbandono di teatri come per il caso del Teatro Verdi che da sempre è stato luogo di iniziative legate alla recitazione ed al balletto e che adesso rischia di essere chiuso in quanto da anni mal utilizzato e lasciato in degrado. Livia e pietro riprogettano Terni battezzando il progetto con il nome di “Nuovo Rinascimento”. Esaltano le iniziative e gli eventi, la vita mondana, l’istruzione e la tradizione.
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Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
I CI VED UNA CITTÀ F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Turismo/cultura enogastonomica
Proposte mondane culturali
Carsulae
Cultura motociclistica
Centro storico Teatro Biblioteca CAOS Polisportive non solo calcio Acciaieria
Comune
Cultura dell’acciaio
LIVIA E PIETRO TERNI: NUOVO RINASCIMENTO Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzati in occasione della Manifestazione UmbriaLibri 2011 presso il Museo CAOS di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
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CAPITOLO #5
Sara Perruccio e Antonio Di Domenico durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
SARAH PERRUCCIO ROMA: CIRCOLAZIONE DI IDEE E PASSIONI Sarah Perruccio viene da Manchester e vive a Roma da molti anni. Rappresentare Roma con pochi elementi, riuscire a farne una sintesi, non è cosa facile. Sarah porta in luce nel definirla per come la conosce: la bellezza artistica che puntualmente si scontra con la confusione organizzativa e l’inquinamento dato dal traffico. Nel riprogettarla Sarah dispone gli elementi in modo rigorosamente simmetrico, al contrario della prima fase, posizionando se stessa al centro della composizione. La volontà di creare ordine ed armonia è evidente. I valori attribuiti alle forme sono relativi ad un ambiente “sano” e “democratico”: possibilità di espressione, piste ciclabili, mezzi pubblici, spazi liberi.
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Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
I CI VED UNA CITTÀ F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Possibilità di espressione
Possibilità di espressione Più mezzi e piste ciclabili
Mezzi pubblici
Piste ciclabili
Possibilità di espressione e spazi liberi
SARAH PERRUCCIO ROMA: CIRCOLAZIONE DI IDEE E PASSIONI Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzati in occasione della Manifestazione UmbriaLibri 2011 presso il Museo CAOS di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
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CAPITOLO #5
Patrizia Santini e Rossella Noncreduto durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
PATRIZIA SANTINI ROSSELLA NONCREDUTO TERNI:SOGNO D’UNA SERA DI MEZZ’AUTUNNO Patrizia e Rossella sono due maestre di scuola elementare di Terni. Vivono in una zona periferica della città ed è proprio il senso di distanza percepita dal centro cittadino a diventare argomento principale nella realizzazione della città “reale”. Lamentano l’assenza di servizi di mobilità pubblica e la totale mancanza di eventi e situazioni nel loro quartiere. Si rendono conto però di essere fortunate nel vivere in un quartiere che ancora ha legami con l’ambiente, vicino alla campagna e distante dalle industrie. Il cento secondo una prima analisi è costituito da negozi, luoghi legati al consumo. Patrizia e Rossella definiscono la loro città ideale inserendo l’elemento mare, sentendosi libere di immaginare e di giocare. A questo però affiancano elementi che, data la vicinanza con il punto di vista, sottolineano una reale urgenza: rispetto, teatri, piste ciclabili, corridoi ecologici, educazione.
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Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
I CI VED UNA CITTÀ F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Mare
Alta formazione
Rispetto Nera navigabile
Teatri
Educazione / No suv
Piste cilabili
Corridoi ecologici
PATRIZIA SANTINI E ROSSELLA NONCREDUTO TERNI: SOGNO D’UNA SERA DI MEZZ’AUTUNNO Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
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CAPITOLO #5
Tommaso e Caterina durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
TOMMASO E CATERINA TERNI: LA CITTÀ DEI PUFFI Tommaso e Caterina, di quattro anni e mezzo, sono gemelli. Accompagnati dal papà si mettono alla prova nel realizzare la loro città. Quando è stato chiesto loro di rappresentare la città per quello che conoscono, è stata una sorpresa notare che avevano una chiara idea di cosa caratterizza il centro urbano: negozi, macchine e parchi pubblici. La loro analisi è stata rivelatrice di un punto di vista critico ed attento, fatto di cose che quotidinamente vedono e vivono. Il progetto ideale è stato, invece, frutto della loro immaginazione ed espressione dei desideri di bambino: giostre, mare, lago, piscina e cinema. Singolari e divertenti sono stati gli elementi legati a dettagli tra immaginazione, cartoni animati e giochi d’infanzia: bolle di sapone, cavalli, stella marina, Città dei Puffi. Hanno per l’appunto definito il loro progetto: Terni, la città dei Puffi.
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Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
I CI VED UNA CITTÀ F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Stella marina
Mare Lago Bolle di sapone Cavalli Giostre
Cinema Piscina
Città dei Puffi
TOMMASO E CATERINA TERNI: LA CITTÀ DEI PUFFI Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzati in occasione della Manifestazione UmbriaLibri 2011 presso il Museo CAOS di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
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CAPITOLO #5
Io ci vedo una città #2
La capacità di capire cosa percettivamente è più o meno importante è cruciale nel mestiere del designer, ma nella persona che effettua l’esercitazione, che sia panettiere come avvocato, arrivare ad una risultanza visiva che si approccia con l’astrattismo, è un’allenamento induttivo a focalizzare, comprendere e gestire lo spazio e la gerarchia percettiva degli elementi che lo compongono. La rappresentazione ottenuta, sarà in grado di porre in evidenza le priorità, le critiche e l’impostazione mentale delle persone nei confronti della propria città. Durante la progettazione c’è presa di coscienza delle proprie capacità di gestione ed organizzazione. Questo laboratorio è ispirato alle esercitazioni di Josef Albers al Black Mauntain College e alle esercitazioni di definizione o annullamento di gerarchia visiva di Tomàs Maldonado. Ad esempio, in Anti-primadonna, esercitazione ideata da Maldonado ad Ulm nel 1956, l’allievo deve fare in modo che nessun elemento o parte del pattern risulti prioritario visivamente rispetto agli altri. Gli elementi dell’esercitazione sono sette fasce, di cui cinque riempite di un colore piatto a piacere e due con due diverse trame isometriche in bianco e nero. I discenti si allenano così a produrre pattern non gerarchizzati, e questo sviluppa l’abilità a realizzare, di consequenza, gerarchie percettive. Il laboratorio Io ci vedo una città #2 chiede, invece, in modo esplicito di riuscire a visualizzare una gerarchia percettiva degli elementi cittadini, in modo da ottenere una visualizzazione intuitiva ed univocamente riconoscibile della struttura cittadina. Ci si avvale di una superfice quadrata bianca e di forme quadrate di colore rosso giallo e blu di tre dimesioni diverse come elementi della composizione. Le forme sono quadrate in modo da mantenere un’astrazione fisica, portando in evidenza i valori di dimensione e colore. Punto di vista In linea di massima sono due le fasi del laboratorio: nella prima fase realizzare una mappa con una visione oggettiva della città come attualmente è; nella seconda legata ad un proprio ideale di ambiente urbano. Il punto di vista in entrambe le fasi è lasciato vago in modo da permettere all’utente una totale gestione dello spazio. Dimensione topic Dimensione, gerarchia (1). È: Dimensione direttamente proporzionale al valore, all’importanza che riveste l’elemento, fisico o concettuale, nella vita sociale della città. Dovrebbe: La dimensione dell’elemento, fisico o concettuale, è proporzionale all’importanza che, secondo una personale visione, dovrebbe rivestire nella vita sociale della città. Posizione topic Vicinanza, struttura La posizione nello spazio definisce raggruppamenti ed elementi isolati. La composizione risultante definisce una struttura compositivamente ordinata, simmetrica opure casuale se non confusionaria.
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Effetti percettivi dei colori presenti nel laboratorio Gerarchia, gruppo, unicità (2). Il giallo tende a venire in avanti se posto su fondo scuro e a non emergere su fondo chiaro; il blu tende a venire avanti su fondo chiaro e a scomparire su fondo scuro. Questi effetti percettivi dipendono dallo scarto di chiarezza rispetto al fondo, ma anche il fatto che i coni sensibili al blu sono meno numerosi di quelli sensibili al rosso e al verde. Il rosso sembra sempre predominante e venire avanti. Anche la dimensione della campitura influisce sull’apparenza del colore. Opaco / traslucido (3). La selezione di una superfice traslucida permette di creare sovrapposizioni e di generare colori dalla combinazione con altri. Attribuzione valore Dare un valore nominale ai topic ne connota un’identità fisica o concettuale come: libreria, parco, partecipazione, disinteresse.
1.
2.
3.
Locandina affissa nella città di Terni relativa al laboratorio presso la Biblioteca Comunale.
CAPITOLO #5
“IO CI VEDO UNA CITTÀ” PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE DI TERNI Il secondo laboratorio ha avuto luogo presso la Biblioteca Comunale di Terni il 15 febbraio 2012. La location è la sezione Why Not? dedicata alla graphic novel nello specifico, ma anche a manuali di design grafico e libri di fotografia. La frequanza alla sezione non è altissima ma in una giornata sono stati realizzati ugualmente molti progetti. I partecipanti sono stati principalmente giovani. La realizzazione dei progetti urbani richiede, anche in questo caso, pochi minuti ed ha riguardato unicamente la città di Terni. La sintassi del laboratorio era brevemente esposta sul tavolo in una sorta di display esplicativo. La realizzazione di ogni mappa è stata caratterizzata da un continuo confronto, dall’espressione delle volontà e dalla definizione di una visione soggettiva. Importante è stato il processo di presa di coscienza che si è andato a sviluppare durante le realizzazioni. Le persone si sono ritrovate a parlare della propria città in modo analitico, come non troppo spesso fanno, e ne hanno visualizzato e sottolineato i pregi e i difetti. Nella seconda parte del laboratorio, nella quale si chiedeva di sviluppare un progetto ideale, l’entusiasmo è andato crescendo e l’impegno è stato accompagnato da una sicurezza maggiore. Inizialmente, molti, si sono approcciati all’esercitazione con timidezza e modestia, ma gradualmente c’è stata la sensazione di essere padroni della situazione. Questa esercitazione è stata una delle tante che identificano la serie dei laboratori Io ci vedo una città. L’idea è, infatti, di riuscire, tramite il variare delle regole in gioco, a creare una continuità tra le esercitazioni in modo da affermarsi nell’ambiente urbano, diventando una realtà nota, uno strumento alternativo per l’espressione delle proprie volontà. Il progetto La vita a Raissa ingloba queste sperimentazioni in una visione d’insieme allo scopo di coinvolgere la società ad eventi partecipativi, che in modo spontaneo ed intuitivo, stimolino ad una riflessione sulla condizione urbana.
Affissione della locandina in un locale pubblico del centro storico di Terni.
Ingresso principale della Biblioteca Comunale di Terni che ha ospitato il laboratorio.
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I colori scelti hanno lunghezza d’onda diversa che ne distingue fortemente la caratteristica cromatica
Un gruppo di ragazzi che legge le indicazioni per lo svolgimento dell’esercitazione.
CAPITOLO #5
Alcuni progetti
Anife Dzemaili durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
ANIFE DZEMAILI TERNI: PROGETTO UTILE Anife Dzemaili è una ragazza di sedici anni di origine macedone e residente a Terni da alcuni anni. Anife si limita alla realizzazione della città che conosce. Rappresenta Terni per come è e mette in evidenza gli elementi che secondo lei esprimono il reale volto della città. Evidente è il suo amore per la Cascate delle Marmore, un luogo naturale che la affascina e la stupisce ogni volta. Al rosso attribuisce un valore prioritario, insieme al blu, e lo utilizza per rappresentare gli elementi che meglio rappresentano il centro cittadino. L’organizzazione degli elementi è equilibrata e non vi è un forte centro focale.
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I
Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
CI VED UNA CITTÀ
F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Piazza Tacito
Acciaieria
Biblioteca
Teatro Secci
Cascata delle Marmore
Palazzo Gazzoli Via Roma
ANIFE DZEMAILI TERNI: PROGETTO UTILE Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzato presso la Biblioteca Comunale di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
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CAPITOLO #5
Marco Federici durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
MARCO FEDERICI TERNI: PROGETTO CITTÀ Marco Federici di Terni ha trentacinque anni ed è appassionato di fumetti e film. Ha svolto l’attività di aiuto regista negli studios di Cinecittà di Roma. Attualmente risiede a Terni ed il suo sogno è di riuscire ad aprire un locale pubblico a metà tra bar e fumetteria. Marco, come alti, è stato presente ad entrambi i laboratori ed in entrambi i casi è evidente la sua volontà, la sua forma mentis. Gestisce lo spazio in modo sempre ordinato e ragionato andando a creare strutture simmetriche. Il centro della sua attenzione è l’attività che sta progettando di realizzare: il bar-fumetteria; limitrofi ma di eguale rilievo anche se di dimensione sempre più ridotta elementi di interesse pubblico: centro sociale, consultorio, cinema e centro multimediale inteso come luogo di formazione informtica in senso ampio. Posiziona una forma gialla al centro andando a definire un punto focale fortemente centripeta.
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I
Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
CI VED UNA CITTÀ
F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Centro sociale
Consultorio
Bar fumettria
Cinema
Centro Multimediale
MARCO FEDERICI TERNI: PROGETTO CITTÀ Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzato presso la Biblioteca Comunale di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
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CAPITOLO #5
Tanja Carpinelli, Elena Marchi e Claudio Celori durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
TANJA CARPINELLI - ELENA MARCHI - CLAUDIO CANDELORI TERNI: PROGETTO T.E.C. Tanja, Elena e Claudio sono tre studenti, al secondo anno del liceo scientifico di Terni. Si approcciano all’attività in modo totalmente disimpegnato ed il risultato del loro lavoro si limita ad un tentativo di riprodurre la geografia urbana secondo un sistema cardinale che tenta di seguire quello reale. Singolare è la sperimentazione effettuata con le forme traslucide. Fondamentale nella loro progettazione, infatti, è la riuscita e la sperimentazione delle qualità combinatorie delle forme traslucide che permettono la creazione di nuovi colori. Il concepire i colori andando a valutarne la risultanza secondo un sistema di priorità percettiva, non è stato rispettato ed i colori sono diventati la rappresentazione delle cose nel tentativo di imitarne la natura: acqua blu, parco verde, biblioteca arancione perchè così intonacata.
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I
Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
CI VED UNA CITTÀ
F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Liceo Donatelli
Scuola Leonardo da Vinci e liceo Classico Bar di Ezio Piazza e chiesa di San Francesco
Corso Tacito Piazza Dalmazia
Palazzo Gazzoli
Via Roma
Biblioteca
Palazzo Spada Parco della Passeggiata
TANJA, ELENA, CLAUDIO TERNI: PROGETTO T.E.C. Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzato presso la Biblioteca Comunale di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
Società interattiva
La vita a Raissa Progetto di riqualificazione del territorio www.lavitaaraissa.it www.iocivedounacitta.blogspot.it
CAPITOLO #5
Marco Valentini e Agnese Astarita durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
MARCO VALENTINI E AGNESE ASTARITA TERNI: PROGETTO “HOPE” Marco Valentini proviene da Pordenone ed è Terni per studiare Medicina. Agnese Astarita, invece, è originaria di Terni e studia a Roma, Ostetricia. Apprendono in modo intuitivo la sintassi del laboratorio e si spingono nella prima fase in un’analisi attenta e dettagliata della città. In questa prima fase inseriscono nella configurazione solo elementi relativi a caratteristich fisiche della città, tralasciando aspetti sociale o relativi ad un punto di vista contenutistico-critico. Nel definire il proprio ideale di città inseriscono una grande varietà di elementi e sfruttano anche la sovrapposizione delle forme traslucide per creare altri colori. Creano unità forti che diventano centri focali della composizione tra elementi concettuali e fisici: università, rinnovamento, teatro, radici. La capacità di mantenere presente il valore gerarchico del colore è evidente nella maggior parte della composizione mentre per quanto riguarda l’elemento “ambiente” si nota la relazione con il convenzionale colore verde uguale natura.
105
I
Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
CI VED UNA CITTÀ
F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Radici Università
Ospedale
Europa
Eventi Ambiente
Teatro AGORÀ
Spazio ai giovani
Rinnovamento Comune
Biblioteca
MARCO VALENTINI E AGNESE ASTARITA TERNI: PROGETTO “HOPE” Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzato presso la Biblioteca Comunale di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
Società interattiva
La vita a Raissa Progetto di riqualificazione del territorio www.lavitaaraissa.it www.iocivedounacitta.blogspot.it
CAPITOLO #5
Carolina, Elena, Filippo durante il labaoratorio Io ci vedo una città.
CAROLINA, ELENA, FILIPPO TERNI: PROGETTO “PUFFOLANDIA” Carolina e Filippo sono fratello e sorella ed Elena è la migliore amica di Carolina. Sono tre bambini che frequentano la scuola elementare. Come aveva notato Bruno Munari nei suoi laboratori Giocare con l’arte i bambini risultano molto perspicaci e rigorosi nella comprensione delle regole e dei sistemi di convenzione, nella capacità di progettare in modo coerente. La scelta dei colori non è stata mai casuale. Hanno costantemente commentato il loro lavoro, ad esempio: «Mirabilandia facciamola blu che deve vedersi bene!», oppure: «Bè anche il bar di nonna è importante... lo facciamo più piccolo e rosso almeno si vede uguale», in ultimo, persuasi dal papà che interviene dicendo che al Mc Donalds tutti i giorni non si può andare che fa male, hanno deciso di sostituire il colore rosso con il giallo. La rappresentazione che ne è risultata dimostra anche la volontà del bambino di volere “tutto e subito”, gli elementi si sovrappongono e diventano un tutt’uno ed ogni cosa è a portata di mano.
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I
Ipotesi di affissione pubblica che espone il progetto cittadino dei partecipanti al laboratorio.
CI VED UNA CITTÀ
F RMA MENTIS NEL PR GETT IDEALE
Mirabilandia
Pasticceria
Bar di nonna Mc Donalds
Banca gratis Casa Elena
Casa Carolina
Ludoteca
CAROLINA, ELENE, FILIPPO TERNI: PROGETTO “PUFFOLANDIA” Progettare significa visualizzare prima dell’atto costruttivo. Il progetto del singolo è parte del progetto in progress di molti. Gradualmente si delinea una forma mentale collettiva capace di essere la base di piani urbanistici “democratici”.
Progetto realizzato presso la Biblioteca Comunale di Terni. Progetti ideali per una città nuova, fatta di persone.
Società interattiva
La vita a Raissa Progetto di riqualificazione del territorio www.lavitaaraissa.it www.iocivedounacitta.blogspot.it
CAPITOLO #5
Manifesto del cittadino
Partecipando al laboratorio si entra a far parte di un movimento, si stila così un manifesto firmato da “persone comuni”, di qualsiasi età e professione, che esprimendo la propria idea ne hanno fatto materiale di condividere. Il progetto in progress permette di raccoglere punti di vista ed idee che nell’insieme possono permettere la realizzazione di progetti urbani condivisi e democratici.
Joseph Caston Terni: Informatica design e natura Serena Rossi Terni Francesco P. Francesco B. Elisabetta B. Terni: Progetto “Utopia” Patrizia Santini Rossella Noncreduto Terni: Sogno d’una sera di mezz’autunno Micòl Ricci Ottavia, Roma: Progetto “Riprendiamoci la città” Marco Federici Terni: Città di passioni; Terni: Progetto “città” Roberto Leonardi Amelia Rossana Gentili Terni Franca De Sio Terni Elena Melchiorri Lorenzo Celori Terni: Progetto anti-crisi
Carla Bartollini Mauro Scimmi Terni: La perfezione utopica Terni: Progetto solidale Paola Lilli Terni: Progetto “vedo oltre” Flaminia Borelli Terni: “Nuovo progetto di vita in città” Federica Fabbretti Nomentano, Roma: Progetto previdente Michele Annesanti Terni: Progetto alternativo Antonio Marcasciano San Lorenzo, Roma: Città creativa Annarita Botondi Terni:Progetto necessario Antonio di Domenico Roma: Progetto necessario Sara Petruccio Roma: Circolazione di idee e passioni Matteo Scimmi Terni: Progetto necessario
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Riccardo Manciucca Terni: Progetto “la mia città” Chiara Athor Brolli Roma: Città ecologica Sara Binarelli Terni: Progetto culturale Matteo Pacetti Terni Samuele Terni
Livia Pietro Terni: Nuovo rinascimento Matteo Terni: Progetto indispensabile Ester Tanamachi Terni: Città vivibile Marco Valentini Agnese Astarita Terni: Progetto “Hope”
Claudia Soriano (VT): Progetto “Faggeta”
Carolina Cruciani Filippo Cruciani Elena Leonardi Terni: “Puffolandia”
Angelo Soriano (VT)
Anife Dzemaili Terni: Progetto utile
EmmeVu Soriano (VT)
Tanja Carpinelli Elena Marchi Claudio Candelori Terni: Progetto T.E.C.
Maria Letizia Terni: Città che pensa Tommaso Caterina Terni: “La città dei Puffi” Francesco Andrea Massa Martana Chiara Emma Terni Mirco Terni
APPUNTO #6
La comunicazione socialmente utile, oggi, trova spazio grazie a svariate associazioni presenti in modo attivo e costante nel territorio. In Italia, il riferimento principale della comunicazione per la promozione sociale è relativo alla grafica di Pubblica Utilità che nello specifico nella città di Pesaro con Massimo Dolcini è stata tramite tra istituzioni e cittadini. Lo spazio d’affissione pubblica diventa il luogo di un continuo aggiornamento della situazione sociale, cornice che accologlie quella forma d’arte che oltre all’espressione estetica, informa e sensibilizza su tematiche di ordine pubblico. Il progetto La vita a Raissa entra nello spazio urbano e diventan portavoce della volontà del cittadino. Il materiale realizzato durante i laboratori Io ci vedo una città è il messaggio. Le affissioni oltre ad una rappresentazione sintetica della città sono dunque, il risultato della partecipazione ed esprimono l’importanza del fare per essere. La conclusione della risposta ad una domanda posta ad Emanuela Bonini Lessing (pag.71), sintetizza questo pensiero: “Penso dunque, che l’immagine visivamente progettata di una città abbia molte più probabilità di essere accettata e accolta dai cittadini quanto più questi possano partecipare alla sua costituzione.” Ad aprire questo capitolo c’è l’intervista adUtilità Manifesta, associazione di designer con sede a Terni nello studio Molly & Partners, che si occupa di comunicazione per la promozione sociale; e l'intervista a CoMoDo - Comunicare Moltiplica Doveri, cooperativa che si occupa di comunicazione sociale con sede a Perugia. Il confronto con la loro attività è necessario per capire il contesto in cui sono stati realizzati i laboratori del progetto La vita a Raissa e quali sono le iniziative già presenti nel terrirorio.
Affissioni: mappe dalla cittĂ nella cittĂ
INTERVISTA #5
Cfr. utilitamanifesta.it
Utilità Manifesta
Il progetto di comunicazione non profit Utilità Manifesta nasce nel 2004 come percorso progettuale diretto all’incontro scuola-impresa, in un contesto che promuove il confronto tra graphic designer e società attuale. Utilità Manifesta è un associazione di Promozione Sociale e nasce da un gruppo di grafici con sede a Terni nello studio Molly & Partners di Francesco Maria Giuli. L’associazione de sempre si impegna ad affrontare tematiche sociali, utilizzando i mezzi del design grafico e non solo per comunicare, parlare ed agire a favore dello sviluppo sociale, della tutela dei diritti umani. Utilità Manifesta utilizza lo spazio pubblico per riuscire a dare voce ad un tipo di comunicazione non finalizzata al lucro: “Attraverso il segno grafico, desideriamo promuovere nuove occasioni di confronto e concertazione dirette a fare del graphic design uno strumento di sviluppo etico, sociale, di comunicazione. Utilità manifesta sottolinea l’importanza di renderci tutti responsabili dell’Altro, complici nel comunicare la possibilità di sostenere realtà sociali solidali.”
Fight The Poverty Contest di design, per designer, contro la povertà nel mondo. 2010
Manifesto per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti dell’alienante condizione dei carcerati.
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INTERVISTA A STEFANIA DELL’AQUILA Appunti sulla comunicazione di Promozione Sociale 1. Qual è il ruolo del designer nella società odierna? Non crediamo esista una risposta univoca ed imperativa a questa domanda poiché ogni designer, ogni progettista, è sempre, prima di tutto, un uomo che alle spalle ha un percorso di vita pubblica e privata unico ed originale, incontri che lo hanno più o meno segnato ed ispirato nell’approccio alla professione, esperienze del proprio mondo stratificate, visioni e letture di contesti più ampi acquisite, interpretate e metabolizzate differentemente. Così come non si può eludere il modo differente che ciascun designer ha di rapportarsi a ciò che lo circonda. A tutto questo potremmo ancora aggiungere i diversi gradi di interesse a fare emergere - o a ricercare - nuove motivazioni attraverso le quali rinnovare, quotidianamente, la scelta di essere un designer piuttosto che quella di fare il designer. L’aspetto umano della professione ci sembra assumere un’importanza davvero particolare per dare una risposta alla domanda presentata. Molly&partners, studio di progettazione grafica ed Utilità Manifesta/design for social, associazione di promozione sociale fondata dallo studio nel 2004, vivono l’esperienza della progettazione come opportunità di vivere attivamente il proprio tempo, di entrare nelle dinamiche sociali e culturali che determinano l’andamento delle economie, dei mercati, della nascita o dell’esaurimento delle relazioni sociali; e, ancora, considerano l’azione del progettare una opportunità per ri-orientare l’attenzione delle istituzioni e dell’individuo medesimo verso la centralità dell’uomo. Viene da sé che il designer assume con sé la responsabilità del progetto inteso sia in termini di prodotto realizzato sia in termini di “progettualità”. In questa seconda accezione, il designer ha l’importante responsabilità di mantenere vivo l’aspetto visionario della professione per agevolare la nascita di grandi scenari sociali e culturali, in un’ottica di sviluppo eticamente corretto. In quest’ottica possiamo affermare che uno dei ruoli del designer è quello di interagire con tutti gli aspetti della società, proponendo nuove direzioni di crescita e di diventare cerniera tra bisogni avvertiti e loro superamento. 2. Come sviluppate le vostre campagne ed iniziative? Ad esempio, da un’idea o dalla volontà di trovarne una? Le due cose non si escludono anzi si integrano perfettamente. Cosa sono le idee se non creatività? E la creatività richiede al progettista una tensione continua, dev’essere alimentata, costantemente. È proprio la volontà che spinge il designer ha uscire dal suo studio, a confrontarsi con il territorio e le persone, con le istituzioni, ad osservare ciò che lo circonda, a mettere a fuoco bisogni esistenti ma non percepiti, a trovare nuove idee o a trovare ispirazione per mettere insieme elementi già esistenti in maniera unica ed originale. Le nostre campagne ed iniziative hanno tutte origine dalla volontà di coniugare creatività e reale utilità sociale. Affinchè i nostri lavori producano tale effetto, supportiamo la creatività con costanti lavori di ricerca, indagini sul territorio, acquisizione di molteplici punti di vista, messa in rete di professionalità specifiche, diverse e allo stesso tempo complementari. 3. In sintesi, quali sono gli obiettivi perseguiti da UM? Utilità Manifesta nasce come evoluzione naturale del nostro approccio alla professione di de-
Intervista realizzata tramite corrispondenza di posta elettronica.
INTERVISTA #5
signer. Da sempre attenti all’aspetto etico del design, con Utilità Manifesta siamo riusciti a coniugare passione per la professione e utilità, mettendo il segno grafico al servizio di soggetti istituzioni, associazioni, organizzazioni non governative, onlus, cittadini - interessati ad alzare l’attenzione sociale verso temi di interesse collettivo. In collaborazione con tali realtà o autonomamente perseguiamo, costantemente, i seguenti obiettivi: sensibilizzare il tessuto sociale a temi di rilevanza collettiva; promuovere la valorizzazione e l’affermazione dei grandi valori sociali; progettare con - e non in assenza del territorio; promuovere su territorio internazionale i diritti umani fondamentali. Utilità Manifesta persegue anche obiettivi formativi realizzando workshop e sessioni di progetto sul design di pubblica utilità in collaborazione con le più importanti facoltà del design nazionali. 4. Riuscite ad avere riscontri successivamente all’uscita di una vostra campagna o iniziativa? Il sito www.utilitamanifesta.it è il principale contenitore di tutte le nostre attività promosse su territorio nazionale ed internazionale. Attraverso i social media, in particolare Facebook, Utilità Manifesta riesce a condividere i propri progetti ed iniziative. Dal 2004 ad oggi c’è stato un progressivo interesse sviluppatosi intorno alla realtà dell’associazione da parte delle facoltà del design, di designers professionisti e di progettisti in formazione. Anche all’interno del proprio contesto territoriale Utilità Manifesta è un gruppo conosciuto e riconosciuto per l’impegno a realizzare progetti d’interesse cittadino. Il fatto che l’associazione autofinanzi tutti i suoi progetti rappresenta, poi, sempre, un fattore che suscita stupore in chi si avvicina e scopre la nostra realtà. Fino ad oggi, aziende virtuose del territorio nazionale hanno ripetutamente creduto e sostenuto - ognuna per le proprie possibilità - iniziative importanti da noi promosse in risposta a situazioni di emergenza sociale. Ricordiamo, a tale proposito, il progetto di segnaletica Su Ali d’Aquila realizzato per la tendopoli di Poggio Roio, comune de L’Aquila, in occasione del terremoto in Abruzzo del 2009. In questo caso, un circolo virtuoso di aziende da noi messo in rete ha reso possibile la realizzazione della segnaletica. Le istituzioni del territorio condividono le attività di Utilità Manifesta ma è sempre molto difficile riuscire ad instaurare con queste un dialogo continuativo, finalizzato a collaborazioni che mettano al centro il benessere sociale del territorio. Come risposta finale possiamo comunque affermare che il principale riscontro in merito ai progetti realizzati è dato dal livello di partecipazione concreta delle persone alle varie iniziative promosse. 5. Quale è il ruolo della popolazione? Ha essa un ruolo attivo in questo processo? Utilità Manifesta è stato - e continua ad essere - un mezzo importantissimo per renderci conto di quanto la popolazione abbia bisogno di rendersi e quindi di sentirsi partecipe di quanto accade suoi contesti di riferimento. Il bisogno latente di dialogo, confronto e coinvolgimento, spesso, non è percepito dalle istituzioni e questo si trasforma, allora, in disinteresse per quanto accade o non accade nella vita e nei luoghi di ogni giorno. Quello che Utilità Manifesta cerca di fare è di entrare nelle pieghe del suo contesto sociale, interessandosi anche di cose apparentemente lontane dal lavoro di progettazione. In alcuni casi, guarda al suo territorio in maniera più esplicita e concreta, altre intraprende percorsi di progetto ispirati a condizioni di vita comuni ma intorno alle quali c’è silenzio, si fa silenzio.
115
Alcune case histories che riteniamo interessanti poiché assumono il cittadino come protagonista attivo e non passivo dei progetti realizzati: Voglio un sindaco votato alla città Nel 2009, in occasione delle elezioni amministrative della città di Terni, Utilità Manifesta realizza l’iniziativa: Voglio un sindaco votato alla città: un progetto complesso, costituito da una campagna affissioni, una mostra su pannelli di grande formato, l’attivazione di desk informativi nel centro della città e l’attivazione del sito web vederepensarecambiare.it: unico sito progettato per i cittadini in cui sono confluite tutte le informazioni che i vari candidati a sindaco hanno voluto condividere con la popolazione su richiesta dell’associazione. Completamente apolitico e apartitico, il progetto è nato per i cittadini e si è sviluppato grazie al loro coinvolgimento: appositi questionari inerenti la qualità della vita nel territorio sono stati distribuiti tra la popolazione che ha risposto permettendoci poi di presentare i risultati al Sindaco eletto. Città Giardino Quartiere Creativo e Think Brand Town Altro caso emblematico è quello di Città Giardino, emergente quartiere creativo della città di Terni, nel quale un gruppo di imprese con specifiche competenze nel campo del visual design, dell’arte, dell’architettura (Molly&partners, Indisciplinarte, Gatr-Giovani Architetti Terni) stanno conducendo un lavoro di riqualificazione territoriale, ripartendo dall’identità visiva del luogo. L’aspetto partecipativo della popolazione è una costante: c’è grande interesse per quello che accade nell’ambito del progetto, condivisione ma anche, talvolta, messa in discussione da parte della popolazione medesima. A Dicembre del 2011, Utilità Manifesta realizza nel quartiere di Città Giardino una campagna sui grandi valori sociali. Riscoperta dei valori e rispetto sono le condizioni per realizzare una migliore qualità di vita. Le reazioni non sono state, però, per tutti positive, alcuni manifesti, per esempio, sono stati strappati. Ma i progetti di Utilità Manifesta non nascono con intenzioni di autoreferenzialità o per mettere al centro dell’attenzione l’aspetto estetico del progetto. Al contrario, nascono proprio per fare emergere le contraddizioni del nostro tempo, i nodi sociali da sciogliere con la partecipazione di tutta la popolazione. L’attenzione prestata al quartiere di Città Giardino non coinvolge solo la sua popolazione ma tutta la città e i designer locali. Infatti, nel 2011, Molly&partners realizza in collaborazione con Jo Fuga la prima sessione di Think Brand Town dando vita a un tavolo aperto, partecipato e costituito da progettisti del territorio, interessati ad approfondirne la storia per poterlo reinterpretare. 365° Lateral Thinking Box Un progetto fuori dagli schemi, nel quale design grafico e arte convivono. 365° - Lateral Thinking Box è una installazione ispirata alla teoria del pensiero laterale dello psicologo maltese Edward De Bono, che prende vita solo con l’interazione del visitatore. Presentata per la prima volta nel 2009 nel corso di Es.terni-Festival della Creazione Contemporanea della città di Terni e ospitata dal Caos-Centro Arti Opificio Siri, nuovo polo museale cittadino, l’installazione invita il visitatore a collegare parole ed immagini realizzando visioni non convenzionali della realtà. E ancora partendo dal concetto di pensiero laterale, oggi il progetto è in fase di evoluzione, prestando un’attenzione particolare ad alcuni aspetti che interessano il disturbo specifico dell’apprendimento noto come dislessia. Soprattutto, però, tale evoluzione desidera essere un momento che rompe il silenzio che è ancora molto forte intorno a questa tematica.
INTERVISTA
1. Quanto è importante in questo processo comunicativo l’aspetto progettuale? È prioritario. Anche il processo comunicativo è un processo che va attentamente progettato e non può essere efficace in assenza di relazione con il contesto di riferimento. 2. Quali fasi del processo di comunicazione ritenete essenziali per raggiungere una presa di coscienza sociale da parte di chi viene a contatto con una vostra iniziativa? Chiarezza di obiettivi, azioni continuative nel tempo, sostenere l’identificazione dell’utente con il messaggio o l’attività promossa e poi realizzata, senza cadere in stereotipi e visioni convenzionali delle tematiche affrontate. 3. Quale è il ruolo delle istituzioni? Sebbene spesso assenti, il ruolo delle Istituzioni continua ad essere fondamentale per aumentare l’efficacia di azioni di comunicazione nei territori. Da soggetti co-agenti campagne di comunicazione e progetti di sviluppo a supporto della città e dei cittadini, l’istituzione sembra essere sempre più lontana dall’interessarsi ai disagi che incidono sulla qualità della vita della popolazione. La presenza attiva dell’istituzione sul territorio e l’auspicato ritorno a pratiche di progettazione condivise tra istituzione e designers potrebbero avere per risultato l’incredibile riavvicinamento della popolazione a tematiche di interesse collettivo e potrebbe spronare la popolazione medesima ad avere a cuore temi quali la tutela e salvaguardia dei luoghi fisici delle città e delle ancora più importanti relazioni interpersonali.
INTERVISTA #6
Cfr. comodosociale.it
CoMoDo - Comunicare Moltiplica Doveri
Coopertiva che si occupa di comunicazione sociale con sede a Perugia. Presidente della cooperativa è Marco Totroioli Ricci, titolare dello studio BCPT Associati di Perugia. Alternativa, sociale, energia, impresa, ambiente, lavoro, produzione, efficienza, tempo, diversità, futuro, idee, politica, media, giovani. Parole spesso inflazionate, ma ancora talmente ricche di contenuti da imbarazzare chi le deve utilizzare. CoMoDo ama le parole e i loro contenuti, mette passione e coscienza in quello che fa. CoMoDo progetta comunicazione necessaria, presta la sua voce a chi non sa parlare le lingue del mondo, ma al mondo deve parlare: per farsi conoscere, apprezzare, per crescere e produrre meglio e non solo di più. Chi lavora in CoMoDo crede che sia necessario comprendere per far comprendere; stanco del vuoto, della faccia solo bella delle cose, e da sempre appassionato alle idee, alle novità dei linguaggi e dei mezzi. La cooperativa è impegnata oltre a progetti di comunicazione visiva di pubblica utilità anche in corsi di formazione all’interno del carcere di Spoleto. L’esperienza passata vide il nascere della linea di Oggetti di CoMoDo con tema il tempo. CoMoDo progetta comunicazione necessaria, restituisce peso e colore alle parole e tratta il messaggio come materia coerente e responsabile: consulenza strategica, design della comunicazione visiva, design nuovi media, design ambientale e delle relazioni, redazione contenuti e ricerca, supervisione e assistenza.
Portale informativo contro le violenze di genere.
Comunicazione per Umbrialibri 2010.
Comunicazione per Umbrialibri 2011.
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INTERVISTA A COMODO Appunti sulla comunicazione di Promozione Sociale 1. In sintesi, quali sono gli obbiettivi perseguiti da CoMoDo? CoMoDo è nata per indagare la funzione del progetto della comunicazione come strumento di innovazione sociale. Nel tempo, grazie alle esperienze maturate, abbiamo sviluppato la tesi secondo cui oggi la promozione di beni e servizi che solitamente possano essere riconducibili a un marchio, pubblico o privato che sia, debbano contare più sulla buona reputazione che sono in grado di motivare spontaneamente nelle persone, piuttosto che sulle politiche di creazione fittizia del bisogno a cui ricorre il marketing abituale. 2. Quale storia del design ha ispirato il nascere di CoMoDo? Ci riferiamo in genere alla storia delle avanguardie che a partire dall'esperienza delle grandi scuole europee hanno rivoluzionato non solo linguaggi visivi e compositivi, l'uso di media emergenti come la fotografia e il film, la tipografia e il senso di pervasività indito nella nuova idea di progetto, ma ancora di più il metodo secondo cui committente e progettista fanno parte di una unica dinamica tesa al cambiamento e alla sperimentazione. Nello specifico persone notevoli come Albe Steiner hanno tracciato la linea sulla responsabilità che il progettista deve assumersi conducendo il proprio lavoro. 3. Come sviluppate le vostre campagne e iniziative? Dall’idea o dalla volontà di trovarne una? Il lavoro di CoMoDo si muove contemporaneamente su due binari. Lavorare su richieste e commesse specifiche così come avviene tradizionalmente; allo stesso tempo il nostro gruppo di lavoro, che per inciso non risiede in nessun posto visto che abbiamo scelto di lavorare in rete da ogni parte di Italia, sviluppa autonomamente filoni di ricerca che diventano poi esperienze ed eventi comunicativi e formativi per i nostri clienti. Tra questi una parte consistente è ricoperta dall'ormai decennale lavoro di formazione sul progetto editoriale che svolgiamo all'interno del Carcere di massima sicurezza di Spoleto. 4. Riuscite ad avere riscontri successivamente all’uscita di una vostra campagna o iniziativa? È difficile ricondurre il nostro lavoro a campagne o eventi finiti. Noi facciamo piuttosto un lavoro di affiancamento con amministratori e imprenditori e assistiamo in questo modo a veri processi di trasformazione culturale che hanno l'obiettivo di cambiare le tradizionali regole del gioco. Non necessariamente un progetto deve finire con un manifesto o un'investimento in spazi tabellari. Noi mettiamo in discussione il modo stesso con cui un'impresa o un'istituzione investe il proprio denaro, ritenendo la comunicazione stessa un momento di testimonianza del grado di trasparenza e coerenza dell'impresa stessa. In questo senso poter valutare gli effetti di questo lavoro richiede tempo e volontà di lavorare insieme. Dove riusciamo a farlo i risultati sono visibili. 5. Quale è il ruolo della popolazione? Ha essa un ruolo attivo in questo processo? Quasi sempre nei nostri progetti. Il coinvolgimento delle comunità è uno dei primi strumenti di responsabilizzazione di chi gestisce un'istituzione o un'impresa. Ci accorgiamo sempre più spesso che molti candidati politici, così come molti imprenditori che pretendono di capire il
Intervista realizzata tramite corrispondenza di posta elettronica.
INTERVISTA #6
perché di unc alo di consenso o di vendite, conoscono le persone solo in base a dati statistici o a valutazione empiriche di carattere locale. Noi suggeriamo che progetto e indagine coincidano, attuare processi di e momenti di relazione con le persone a cui ci rivolgiamo e allo stesso tempo studiarne e valutarne le risposte che ne derivano, abbrevia i tempi e obbliga tutti gli attori a un bagno di realtà. 6. Quale è il ruolo delle istituzioni? C’è un senso di continuità tra le iniziative dell’amministrazione territoriale e le iniziative di Comodo? CoMoDo non ha collaborazioni o rapporti stabili e continuativi con le istituzioni. Svolgiamo in molti casi piuttosto un lavoro di sollecitazione e proposta. Il vero problema oggi in Italia è che la maggior parte delle istituzioni sono principalmente occupate a difendere se stesse. Nessuno si occupa veramente di progettare quello che serve per migliorare la vita delle persone, nessuno ha la lucidità anche solo di studiare casi di buona amministrazione, già applicati in giro in europa e nel mondo, per assicurasi un futuro non basato sulla difesa di una posizione di potere ma sul credito che verrebbe dall'aver applicato idee che funzionano.
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APPUNTO #7
9/2/2012 “Oggi durante la pausa pranzo, dalla stesura di questa tesi, sono entrato nel Caffè Morandi che affaccia su Piazza Europa per prendere un caffè. Come ormai abitualmente faccio, sono uscito dall’ingresso secondario che dà sulla zona più antica di Terni: il quartiere del Duomo. Oggi, l’impatto con questa forma della città è stato simile a una boccata di aria fresca. Ho iniziato a camminare e ho visto quelle strade come fosse la prima volta: pietre e mattoni costituiscono i palazzi uguali a cento anni fa, selciato e sanpietrini a comporre le strade, piccole botteghe artigiane, antiquari, laboratori creativi, addirittura un’accademia di belle arti di cui non conoscevo l’esistenza; in una geografia come inesistente, poche persone che percorrevano quelle strade, fuori dal contesto sociale attivo, dalla città che si muove. Al senso di pace si è poi accavallato il pensiero terrorizzante che tra una settimana, un mese, un anno, proprio in quella piazzetta così armonica nella sua forma e rumore, possa comparire l’ennesima saletta per le slot-machine, l’ennesimo negozio di oggetti inutili a pochi euro o l’ennesima tag di un improvvisato writer. Allora ho smesso di pensare ed ho cominciato ad immaginare. A ogni bivio immaginavo una nuova via, una nuova piazzetta, un nuovo inesplorato angolo urbano, come a cercare un volto della città che ancora non conosco e che mi può salvare da quello che vedrò.”
Concludendo
Concludendo
Cfr. Le città invisibili Italo Calvino, Mondadori editore ristampa 2011
Questo progetto non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di tutte le persone che si sono interessate ai laboratori. L’entusiasmo e l’impegno di chi ha realizzato il proprio progetto è ciò che da spessore a questa iniziativa insieme al senso di comunità e di scambio che si è andato a creare durante le giornate di laboratorio. Allora, riferendomi a Raissa, la Città invisibile di Calvino, credo che nel progettare una città sia prioritario lavorare su quei legami invisibili che la rendono felice. La città è il rapporto emotivo con le cose attraverso gli invisibili percorsi tracciati dalle relazioni umane. La sua progettazione è il frutto di un impegno sociale, di una presa di cosciente del presente per uno sviluppo futuro non casuale. I laboratori di questo progetto rappresentano dei momenti di totale contatto con il proprio territorio e l'atteggiamento che il cittadino assume durante la progettazione rappresenta l'ideale per una costruzione sensata anche nella realtà. L'uomo conforma il territorio in base alle proprie esigenze e molto spesso includendo i propri simili in questo progetto. Un pezzo tratto dal testo di Kevin Lynch, L’immagine della città, esplicita la natura artificiale della città nella qualità formale, ma sottolinea che questa è il frutto di una qualità sensibile, naturale in quanto frutto delle volontà dell’uomo: “La città, un mondo artificiale, dovrebbe essere tale nel senso migliore: fatta ad arte, configurata per i propositi umani. Quella di adattare noi stessi al nostro ambiente, di differenziare e organizzare percettivamente qualunque cosa si presenta ai nostri sensi è antica abitudine. Sul nostro suolo noi possiamo cominciare ad adattare lo stesso ambiente al processo percettivo e simbolico delle persone umane.” Questo progetto è quindi l’inizio di una ricerca, di un approccio “alternativo” per un confronto con la società urbana, possibile solo grazie a persone in grado di porsi per prime la domanda:
QUALE È IL FUTURO DELLA CITTÀ?
Bibliografia Lezioni Americane, sei proposte per il prossimo millennio, Italo Calvino, Mondadori editore ristampa 2010 Le città invisibili, Italo Calvino, Mondadori editore ristampa 2011 Interazione del colore, Josef Albers, Il saggiatore Tascabili Milano 2009 Newbasic, Il Verri n° 43 giugno, 2010 Le leggi della semplicità, John Maeda, Mondadori, 2006 Procedure di Basic Design, Tesi di Lorenzo Bravi, ISIA di Urbino A.A. 2006/2007 Visual Grammar, Christian Leborg, Princeton Architectural Press, New York, 2006 La scuola di Ulm, Lindinger Herbert, Costa & Nolan, 1988 Teoria e uso del colore, Luigina De Grandis, Mondadori Milano, 2007 L’immagine della città, Kevin Lynch, Biblioteca Marsilio quattordicesima edizione Venezia, 2009 Il mestiere di Grafico, Albe Steiner, Einaudi, 2003
143
Dizionario dell’arte del Novecento Movimenti, artisti, opere, tecniche e luoghi, Bruno Mondadori, 2001 First things first, Ken Garland Guardare Pensare Progettare. Neuroscienza per il design, Riccardo Falcinelli, Stampa Alternativa & Graffiti Roma, 2011 Design di base, fondamenta del design, Giaovanni Anceschi, Ottagono n°70 Manuale di semiotica, Ugo Volli Grammatica del Vedere, Gaetano Kanizsa, Il Mulino - Biblioteca Bologna, 1980 I non luoghi, Marc Augè, Elèuthera Editrice Seuil, 1993 No logo, Naomi Klein, Rizzoli, 2010 Il colore della luna, come vediamo e perchè, Paola Bressan Feditori Laterza Roma, 2010 Basic, basic, basic, Progetto grafico 12-13 Disegnare le città, Andrea Rauch, Gianni Sinni SocialDesignZine, Lcd edizioni Utilità Manifesta, UM Works 4, Design for social CTF Grafica Città di Castello, 2007
Design e comunicazione visiva, Bruno Munari Laterza, 1974 Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Bruno Munari, Editori Laterza, 2010 Linea Grafica, 6, Azzurra Editrice Milano, 1994 Studio Culture: The secret life of the graphic design studio, Editors: Tony Brook & Adrian Shaughnessy Unit Editions Arte Gioco, Coco Frigerio Alberto Cerchi Erga Edizioni, 2000 Otto Neurath The lenguage of the Global Polis, Nader Vassoughian NAi Publishers, 2011 Design, territorio e patrimonio culturale, Vincenzo Cristallo, Ermanno Guida, Alfonso Morone, Marina Parente Workshop Design Design: storia, teoria e prassi del disegno industriale, Bernhard E. Burdek, Arnoldo Mondadori Editrice Graficamente, Marco Gustavigna, Carocci Faber Roma, 2007 Stile Industria, Carlo Vinti
La nuova Babilonia. Il progetto architettonico di una civiltà, Lippolis Leonardo, Costa & Nolan, 2007
Sitografia room50.org magarinos.com.ar utilitamanifesta.it comodosociale.it brunomunari.it oradarialab.it newbasic.it iuav.it isiaurbino.net aiapnet.it
Finito di stampare il 29 febbraio 2012