SLOW ECONOMY 30

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Ambasciatori di Puglia, col pane di Altamura speciale cibo DiVino tra Bari e Milano

ANNO 10 - NUMERO 30 - Dicembre 2022 / Gennaio 2023
Comune di Bari Progetto realizzato con il contributo della Regione Puglia - Area Politiche per lo Sviluppo Rurale anche su YouTube
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FB: SlowEconomy - www.issuu.com/SlowEconomy - Youtube: Extra DiVino Slow Economy - Golf in Tour gustando Moda, Agroalimentare e Turismo Anno 10 - Numero 30 - dic 2022 / gen 2023 - Reg Tribunale in corso Direttore Responsabile: Stefano Masullo Direttore Editoriale: Saverio Buttiglione 3 ANNO 8 - NUMERO 29 - Aprile Giugno 2022 di Bari Pr ali ibu gion uglia lo Sviluppo Ru al anch YouTub La grande storia dell’Olio tra Bari e Milano 3

Turismo ed Enogastronomia

Attualmente secondo l’ Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), il turismo enogastronomico è un segmento in forte ascesa e uno dei più dinamici all’interno del settore. Nella sola Europa sono circa 600mila le vacanze all’insegna dell’enogastronomia e oltre 20 milioni i viaggi che includono attività enogastronomiche Raddoppia in un anno il turismo enogastronomico in Italia. Oltre 110 milioni di presenze nel 2017, il doppio rispetto al 2016, motivate proprio dal turismo enogastronomico avendo superato in termini di spesa i 10 miliardi di euro

con un impatto economico stimato di oltre 12 miliardi (pari al 15,1% del totale turismo) per quanto riguarda gli acquisti legati all’agroalimentare da parte dei turisti che fanno vacanze in Italia. Il 43% delle presenze riguardano il turismo italiano (con 47 milioni di presenze), mentre il 57% il turismo internazionale (con 63 milioni di presenze). In base ad una ricerca condotta dalla World Food Travel Association, l’interesse verso le esperienze enogastronomiche è in forte aumento rispetto agli anni scorsi e ben il 92% dei turisti ha preso parte ad attività legate al food e al beverage negli ultimi due anni.

Per il 21% le attività gastronomiche hanno rappresentato il principale motivo di viaggio, mentre il 58% ha svolto la vacanza per partecipare ad esperienze enologiche, ossia legate al vino, alla birra e altre bevande alcoliche. Non solo l’interesse, ma anche la percezione della rilevanza di questo aspetto nella scelta della destinazione è cresciuta: il 58% considera oggi l’enogastronomia più importante rispetto a quando viaggiava 5 anni fa. Non è quindi un caso che il 69% degli intervistati dichiari che le proposte enogastronomiche di una destinazione siano

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state da stimolo alla visita. Quando viaggiano, questi turisti ricercano una pluralità di proposte e attività innovative ed autentiche, come esperienze enogastronomiche nei ristoranti, visite guidate alle aziende agricole e alle cantine, festival ed eventi legati al cibo, al vino e alla birra, spesso abbinate ad altre esperienze (cultura, shopping, … ). La scelta quindi tende a ricadere su destinazioni che offrono un’offerta ampia e varia oltre che caratteristica del luogo.

Ma l’interesse per l’enogastronomia non si esaurisce alla conclusione della vacanza. Esperienze enogastronomiche soddisfacenti contribuiscono a rendere questi turisti sia più inclini a ritornare (75%) e raccomandare (81%) la destinazione visitata, che ad acquistare prodotti tipici una volta ritornati alla propria residenza abituale (59%). Oggi il cibo non è più semplicemente una “fonte

di sostentamento”, ma è un modo per stare bene, per divertirsi, per sperimentare, per stare in compagnia. Grazie alla crescente attenzione dei media sempre più persone si appassionano e ne parlano, tanto da averlo reso un elemento pervasivo della vita sociale. Ma oggi cibo è diventato anche una moda e una tendenza; si pensi al fenomeno dei “foodies”, persone appassionate di cibo che amano collezionare esperienze gastronomiche. Nei soli Stati Uniti sono circa 44 milioni, mentre in Italia più di 10 milioni È cresciuta anche la ricerca della qualità e della tipicità del prodotto, tanto da essere ritenuta oggi un fattore rilevante da ben l’87,6% degli italiani (dati Censis, 2015). La cultura enogastronomica è parte integrante di quella più ampiamente intesa. Il cibo e il vino sono espressioni di un territorio, della gente che vi vive e delle sue tradizioni e sono al contempo

elementi di identificazione e di differenziazione rispetto agli altri. Essi, infatti, non sono solo elemento alla base del sostentamento dell’individuo, ma rappresentano anche strumenti di trasformazione culturale e antropologica. La stessa Organizzazione Mondiale del Turismo ha riconosciuto il turismo enogastronomico come parte del turismo culturale. Lo sviluppo turistico oggi è contradditorio poiché genera al contempo processi di globalizzazione e di valorizzazione delle risorse locali In un mondo sempre più aperto e globalizzato, il turista ricerca esperienze autentiche e locali: la presenza di bellezze artistiche e paesaggistiche di elevato pregio non rappresenta più l’elemento discriminante nel processo decisionale, il turista vuole avere la possibilità di entrare in contatto e conoscere la cultura e la comunità del luogo.

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In questo contesto, l’enogastronomia ha assunto una rilevanza che mai aveva avuto in passato. Sebbene un buon pranzo con prodotti locali abbia sempre rappresentato un elemento fondamentale nella vacanza, oggi il turista si mostra sempre più interessato ad andare oltre al semplice consumo dei prodotti tipici e aspira a conoscerne le origini, i processi e le modalità di produzione e, attraverso questi, il territorio, le vicende storiche, artistiche e sociali, la vita delle persone del luogo… L’enogastronomia è diventata uno “strumento” privilegiato; essa, infatti, racchiude e veicola tutti quei valori che il turista contemporaneo ricerca, ossia: rispetto della cultura e delle sue tradizioni, autenticità, sostenibilità, benessere psico-fisico ed esperienza

Sempre più la ristorazione passa da bisogno primario a prima motivazione di viaggio, soprattutto per i turisti stranieri.

Sempre più frequenti le richieste di itinerari enogastronomici, di visite a cantine o aziende di produzione agricola, ma anche a laboratori di trasformazione che mantengono in auge le tecniche tradizionali del territorio. Il turista grazie alle degustazioni dei prodotti locali scopre il territorio con le sue eccellenze e tipicità che lo rendono unico.

La gastronomia italiana, dunque, frutto dell’agricoltura e della produzione locale, sta assumendo un ruolo sempre più importante sia dal punto di vista economico che culturale.

Tra le attività più praticate nel corso della vacanza da tutti i turisti, oltre il 13% sono legate a degustazioni di prodotti enogastronomici locali, mentre l’8,6% effettua acquisti di prodotti artigianali ed enogastronomici tipici del territorio. Il 6,6% dei turisti ama partecipare agli eventi enogastronomici durante il soggiorno.

Il legame profondo tra cibo, paesaggio e cultura , elementi distintivi dell’identità italiana va assolutamente enfatizzato e promosso a livello internazionale in quanto , la connessione tra le filiere dell’agricoltura e del turismo è una delle basi per uno sviluppo sostenibile del territorio, risulta quindi , quanto mai opportuno aprire a un profondo rinnovamento dei modelli turistici, anche in direzione della sostenibilità, dell’adattamento alle nuove tendenze della domanda e della qualità dell’accoglienza, per portare nuova ricchezza alle imprese ed alle comunità locali nazionali .

Gli elementi che soddisfano di più i turisti italiani e stranieri riguardano la qualità dell’offerta enogastronomica locale: dalla qualità del mangiare e del bere, alla qualità della ristorazione locale in particolare fino ai relativi costi .

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I simboli del Natale

della Redazione Speciale Natale 26
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Alla scoperta delle origini e delle tradizioni che ruotano attorno alla figura di Babbo Natale, all’albero e al presepe

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Il 25 dicembre si avvicina a grandi passi, e in tutto il mondo fervono i preparativi per festeggiare il Natale. Dalle vetrine dei negozi

e dei centri commerciali fanno capolino i simboli “classici” di questa festa: i pupazzi che raffigurano Babbo Natale, palline e ghirlande per addobbare l’albero e le stauette del presepe.

Tutti li acquistano ma pochissimi si soffermano poi sul loro vero significato: chi è veramente Babbo Natale e da dove deriva la sua figura, il perchè si addobba l’albero e la sacralità del presepe.

© rovaniemi.fi

BABBO NATALE

Il personaggio di Babbo Natale, presente nel folklore di molte culture nel mondo, è colui che la notte di Natale solca i cieli a bordo di una slit-

ta per distribuire doni e docliumi ai bambini.

Il suo mezzo di locomozione, la slitta appunto, è trainata da 8 renne i cui nomi italiani sono: Cometa, Fulmine, Don-

nola, Freccia, Ballerina, Saltarello, Donato e Cupido.

Per ricordare tali nomi, in italiano esiste una nota filastroccache tutti, bambini di oggi e di una volta sanno:

“Non solo fanno la slitta volare e in ciel galoppano senza cadere Ogni renna ha il suo compito speciale per saper dove i doni portare Cometa chiede a ciascuna stella dov’è questa casa o dov’è quella. Fulmine guarda di qui e di là per sapere se la neve verrà. Donnola segue del vento la scia schivando le nubi che sbarran la via. Freccia controlla il tempo scrupoloso, ogni secondo che fugge è prezioso. Ballerina tiene il passo cadenzato per far che ogni ritardo sia recuperato. Saltarello deve scalpitare per dare il segnale di ripartire. Donato è poi la renna postino porta le lettere d’ogni bambino. Cupido, quello dal cuore d’oro sorveglia ogni dono come un tesoro. Quando vedete le renne volare Babbo Natale sta per arrivare.”

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BABBO NATALE: LE ORIGINI

Le versioni del Babbo Natale moderno derivano dal vescovo cristiano del IV secolo San Nicola di Mira (antica città dell’Anatolia) ,famoso per le sue grandi elargizioni a favore dei poveri e, soprattutto, per aver fornito la dote alle tre figlie di un cristiano povero ma devoto, evitando così che fossero obbligate alla prostituzione.

Originario di Patara, sempre in Licia (Asia Minore), scoprì molto presto la sua vocazione religiosa e dedicò interamente la sua vita alla fede cristiana.

Le reliquie di San Nicola furono traslate a Bari da alcuni pescatori, e per ospitarle fu costruita una basilica nel 1087. Il luogo è da allora meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli.

San Nicola è considerato il proprio patrono da parte di

molte categorie di persone: marinai, mercanti, arcieri, bambini, prostitute, farmacisti, avvocati, prestatori di pegno, detenuti. È anche il santo patrono della città di Amsterdam e della Russia.

La leggenda di San Nicola è alla base della grande festa olandese di Sinterklaas (il compleanno del Santo) che, a sua volta, ha dato origine al mito ed al nome di Santa Claus nelle sue diverse varianti (Sint Nicolaas, Saint Nicholas, St. Nick o Sant Niklaus).

Gli abiti di Sinterklaas sono simili a quelli di un vescovo; porta una mitra (un copricapo liturgico) rossa con una croce dorata e si appoggia ad un pastorale.

Il richiamo al vescovo di Mira è ancora evidente. Sinterklaas ha un cavallo bianco con il quale vola sui tetti; i suoi aiutanti scendono nei

comignoli per lasciare i doni (in alcuni casi nelle scarpe dei bambini, lasciate vicino al caminetto); arriva in piroscafo dalla Spagna ed è accompagnato da Zwarte Piet, letteralmente “Pietro il Nero”, l’aiutante dalla faccia nera e dai costumi moreschi coloratissimi.

Secondo la leggenda, dopo al vittoria di San Nicola sulle forze del male, il demonio viene sconfitto, incatenato e reso suo schiavo e questo sarebbe il significato del colore nero che simboleggia le forze oscure.

Le strenne che vengono regalate in questa ricorrenza sono spesso accompagnate da poesie, talvolta molto semplici ed, in altri casi, elaborate ed ironiche ricostruzioni del comportamento di chi le riceve durante l’anno trascorso. I regali veri e propri, in qualche caso, sono addirittu-

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ra meno importanti dei pacchetti in cui sono contenuti, di solito molto sgargianti ed elaborati; quelli più importanti, spesso, sono riservati al mattino seguente.

In Grecia San Nicola viene talvolta sostituito da San Basilio Magno (Vasilis), un altro vescovo del IV secolo originario di Cesarea. Nei Paesi Bassi, in Belgio e in Lussemburgo, Sinterklaas (Kleeschen in Lussemburgese) arriva due settimane prima del 5 dicembre, data in cui distribuisce i doni. (Il suo compleanno risulta essere il 6 di dicembre).

L’equivalente di Babbo Natale in questi paesi è Kerstman (letteralmente: “Uomo di Natale”).

In alcuni villaggi delle Fiandre, in Belgio, si celebra la figura, pressoché identica, di

San Martino di Tours (Sint-Maarten).

In molte tradizioni della Chiesa ortodossa, San Basilio porta i doni ai bambini a Capodanno, giorno in cui si celebra la sua festa.

All’inizio, Santa Claus veniva rappresentato in costumi di vario colore, ma il rosso divenne presto predominante a partire dalla sua comparsa sulle prime cartoline di auguri natalizie, nel 1885.

Il primo artista a raffigurare

Santa Claus come noi oggi lo conosciamo, è stato il cartoonist americano Thomas Nast che, nel 1863, illustrò la copertina della rivista Harper’s Weekly.

Un’altra immagine che di-

© rovaniemi.fi 30
© 2006-2009 The Coca-Cola Company
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venne molto popolare è quella disegnata nel 1902 da L. Frank Baum, autore de Il meraviglioso mago di Oz, per il racconto La vita e le avventure di Santa Claus. Nell’immaginario collettivo, le immagini di Babbo Natale hanno preso piede grazie al suo uso nelle campagne

pubblicitarie natalizie prodotte dal colosso americano Coca-Cola Company, realizzate da Haddon Sundblom.

La popolarità di tale immagine ha fatto sì che si diffondessero varie leggende urbane che attribuivano alla Coca-Cola l’invenzione stes-

sa di Babbo Natale.

È, peraltro, vero che l’immagine della Coca-Cola e quella di Babbo Natale sono sempre state molto vicine, poiché pur non inventandolo viene comu-

© 2006-2009 The Coca-Cola Company 31
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Il magico Villaggio di Santa Claus a Rovaniemi, nel Circolo Polare Artico
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© rovaniemi.fi

nemente rappresentato con i colori bianco e rosso cioè come una lattina di Coca-Cola, se si esclude la campagna del 2005 che ha visto la sua sostituzione con gli orsi polari.

L’ALBERO DI NATALE

Assieme al presepe, è una delle tradizioni più diffuse. Si tratta in genere di un abete addobbato con sfere colorate, luci, festoni, ghirlande, dolciumi, piccoli regali impacchettati e altro.

Può essere portato in casa otenuto all’aperto, e viene preparato qualche giorno (o qualche settimana) prima di Natale, e rimosso dopo le feste.

Soprattutto se l’albero viene collocato in casa, è tradizione che ai suoi piedi vengano collocati i regali di Natale impacchettati, in attesa del giorno della festa in cui potranno essere aperti dai componenti della famiglia e i loro ospiti.

La data di allestimento e dismissione dell’albero varia da nazione a nazione: la tradizione più antica prevedeva che l’albero fosse addobbato il 24 dicembre e rimosso all’Epifania; in seguito il periodo si è notevolmente allungato.

Gli esercizi commerciali, in particolare, spesso iniziano a esibire alberi di Natale addobbati già nell’ultima settimana del mese di Novembre.

In generale, nella maggioranza delle regioni italiane l’albero viene addobbato l’8 dicem-

bre, giorno in cui si festeggia l’Immacolata Concezione. L’immagine dell’albero come simbolo del rinnovarsi della vita risale almeno alla Germania del XVI secolo. Ingeborg Weber-Keller (professore di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta.

La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Nata-

le della storia (vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510).

Precedentemente a questa

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prima apparizione “ufficiale” dell’albero di natale si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso. Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché quest’ultimi avevano una profonda valenza “magica” per il popolo.

Avevano specialmente il dono di essere sempreverdi, dono che secondo la tradizione gli venne dato proprio dallo stesso Gesù come ringraziamento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici.

Non a caso, sempre in Germania, l’abete era anche il posto in cui venivano posati i bambini portati dalla cicogna.

L’uso di candele per addobbare i rami dell’albero è attestato già nel XVIII secolo. Per molto tempo, la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni a nord del

Reno. I cattolici la consideravano un uso protestante. Furono gli ufficiali prussiani, dopo il Congresso di Vienna, a contribuire alla sua diffusione negli anni successivi.

A Vienna l’albero di Natale apparve nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau-Weilburg, ed in Francia nel 1840, introdotto dalla duchessa di Orléans.

Ad oggi, la tradizione dell’albero di Natale, così come molte altre tradizioni natalizie correlate, è sentita in modo particolare nell’Europa di lingua tedesca (si veda per esempio l’usanza dei merca-

tini di Natale), sebbene sia ormai universalmente accettata anche nel mondo cattolico (che spesso lo affianca al tradizionale presepe).

A riprova di questo sta anche la tradizione, introdotta durante il pontificato di Giovanni Paolo II, di allestire un grande albero di Natale nel luogo cuore del cattolicesimo mondiale, piazza San Pietro a Roma.

D’altronde un’interpretazione allegorica fornita dai cattolici spiega l’uso di addobba-

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re l’albero come una celebrazione del legno (bois, in francese è sia inteso come “albero” sia come “legno”) in ricordo della Croce che ha redento il mondo.

Gli alberi di Natale hanno conosciuto un momento di grande diffusione, diventando gradualmente quasi immancabili nelle case dei cittadini del mondo ed è il simbolo del Natale a livello planetario.

Oggi il fenomeno ha acquisito una dimensione commerciale e consumistica senza precedenti, che ha dato luogo, alla nascita di una vera e propria industria dell’addobbo natalizio.

IL PRESEPIO

La parola presepe (o più correttamente presepio) deriva dal termine latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, composto da prae (innanzi) e saepes (recinto), ovvero luogo che ha davanti un recinto e indica la scena della nascita di Cristo, derivata dalle sacre rappresentazioni medievali.

Per capire meglio il significato originario del presepe, bisogna fare luce sulla figura del lari (lares familiares), figura fondamentale nella cultura etrusca e latina.

I larii rappresentano gli spiriti protettori che avevavo il compito di vegliare sul buon andamento della famiglia, della proprietà o delle attività in generale.

Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera,

chiamata sigillum dal latino signum (segno, effigie, immagine).

Tutte le statuette venivano collocate in apposite nicchie e onorate con l’accensione di una fiammella.

In prossimità del Natale si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l’anno.

In attesa del Natale, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura.

Alla vigilia del Natale, dinnanzi al recinto del presepe, la fa-

miglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino.

Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e bisnonni.

Dopo l’assunzione del potere nell’impero (IV secolo), in pochi secoli i cristiani tramutarono le feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone i riti e le date, ma mutando i nomi ed i significati religiosi.

Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo dei familiari defunti), il presepe sopravvisse nella cultura rurale con il significato originario almeno fino al XV secolo e, in alcune regioni ita-

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Giotto di Bondone - Presepe di Greccio (o Natale di Greccio)1290-95 - tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi
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liane, ben oltre.

Nel presepe si riproducono tutti i personaggi e i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai Re Magi ai pastori, dal bue e l’asinello agli agnelli, e così via. La rappresentazione può essere sia vivente che iconografica. I presepi popolari più conosciuti sono quelli di San Gregorio Armeno a Napoli.

La tradizione italiana del Presepe risale all’epoca di San Francesco d’Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività.

Sebbene esistessero anche precedentemente immagini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che “sacre rappresentazioni” delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale.

Il primo presepe scolpito è quello realizzato da Arnolfo di Cambio fra il 1290 e il 1292.

Le statue rimanenti si trovano nel Museo Liberiano della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.

L’iconografia del presepio ebbe un impulso nel Quattrocento grazie ad alcuni grandi maestri della pittura: il Botticelli nell’Adorazione dei Magi raffigurò personaggi della famiglia Medici.

Ben presto questo tipo di simbolismo si diffuse all’interno delle famiglie, per le quali la rappresentazione della nascita di Gesù, con le statuine ed elementi tratti dall’ambiente naturale, diventò un rito irrinunciabile.

Nel XV secolo si diffuse l’usanza di collocare nelle chie-

se grandi statue permanenti, tradizione che si diffuse anche per tutto il XVI secolo. Uno dei più antichi, tuttora esistenti, è il presepe monumentale della Basilica di Santo Stefano a Bologna, che viene allestito ogni anno per Natale.

Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di “soprammobili” o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all’invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare.

Nel XVIII secolo, addirittura, a Napoli si scatenò una vera e propria competizione fra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i

Sandro Botticelli - Adorazione dei Magi - 1475 - tempera su tavola - Firenze, Galleria degli Uffizi
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Simone dei Crocefissi - Presepe in legno- 1370 - Bologna, Basilica di Santo Stefano dorazione dei pastori e la presenza di angeli nel cielo.

nobili impegnavano per la loro realizzazione intere camere dei loro appartamenti ricoprendo le statue di capi finissimi di tessuti pregiati e scintillanti gioielli autentici.

Nello stesso secolo a Bologna, altra città italiana che vanta un’antica tradizione presepistica, venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi, dopo oltre due secoli.

Con i secoli successivi il presepe occupò anche gli appartamenti dei borghesi e del popolino, ovviamente in maniera meno appariscente, resistendo fino ai giorni nostri.

Il presepe è una rappresentazione ricca di simboli direttamente tramandati dal racconto evangelico.

Sono riconducibili al racconto di Luca la mangiatoia, l’a-

Altri elementi appartengono all’iconografia dell’arte sacra: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo, San Giuseppe ha in genere un manto dai toni dimessi a rappresentare l’umiltà.

Nei Vangeli “classici” si tralasciano molti particolari che riguardano sia i personaggi che le ambientazioni, e per questo motivo si ricorre alle

tradizioni “popolari”: il bue a l’asinello, presenti ogni presepe, derivano da un’antica profezia di Isaia che dice “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”

L’immagine dei due animali venne utilizzata come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino). Anche la stalla, o la grotta in cui venne alla luce il Messia, non compare nei

© Giovanni Dell’Orto
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Vangeli canonici e a Gerusalemme la Basilica della Natività sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta ove nacque Cristo.

Tuttavia, l’immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.

LA FIGURA DEI MAGI

I Re Magi, invece, derivano dal Vangelo dell’infanzia armeno. In particolare, questo vangelo colma le lacune che invece Matteo non risolve, ovvero il numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkon, Gaspar e Balthasar, anche se non manca chi vede in essi un persiano (oro), un arabo meridionale (incenso) e un etiope

(mirra). Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa.

Anche il numero dei Magi fu piuttosto controverso. Fu definitivamente stabilito in tre, come i doni da loro offerti, da un decreto papale di Leone I Magno, mentre prima di allora oscillava fra due e dodici.

LA TRADIZIONE DEL PRESEPE NAPOLETANO

Il presepe napoletano aggiunge alla scena “classica della Natività (Gesù bambino, Maria e Giuseppe) molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici.

Questa è comunque una caratteristica di tutta l’arte sacra, che, almeno fino al XX se-

colo, ha sempre rappresentato gli episodi della vita di Cristo con costumi ed ambien tazioni contempora nee all’epoca di realizza zione dell’opera.

Anche questi personaggi sono spesso funzionali alla simbologia.

Ad esempio il male è rappresentato nell’osteria e nei suoi avventori, mentre il personaggio di Ciccibacco, che porta il vino in un carretto con le botti, impersona il Diavolo.

Alcuni artigiani producono anche “pastori moderni” che rispecchiano l’attualità quindi non c’è da meravigliarsi se, nelle vetrine della caratteristica via San Gregorio Armeno, nel centro storico di Napoli, ce ne siano alcune che raffigurano personalità conosciute come Totò, Pulcinella, Capi di Stato, attori e rockstar o commemorino certi accadimenti.

Una delle bancarelle di via San Gregorio Armeno a Napoli
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© Emanuela Cattaneo

Il bellissimo presepe barocco, in legno, ceramica e sughero dello scultore Joaquim Machado de Castro posto nel deambulatorio della Cattedrale di Lisbona

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Dolci della tradizione

della Redazione

Il repanettone, dei dolci natalizi

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Sempre

Già dal mese di novembre, sugli scaffali dei negozi e nei reparti alimentari dei supermercati, sono apparsi i primi panettoni e pandori, preannunciando sì l’arrivo del Natale ma togliendo il “gusto” dell’unicità della festa.

Sì perchè “una volta”, come si è soliti dire, questi dolci erano “riservati” solo ed esclusivamente per festeggiare il Natale ed apparivano proprio in prossimità di quei giorni mentre ora (grazie o purtroppo all’industrializzazione) il tutto viene anticipato creando uno strano effetto di doppia festività, sovrapponendo i dolci e le decorazioni di Halloween a quelli del Natale lasciando tutti un pò sbigottiti.

LEGGENDE E TRADIZIONI

Attorno al panettone ruotano diverse leggende che ne rivelano la nascita (quasi per caso) e la sacralità.

Originariamente era nient’altro che un grosso pane, alla preparazione del quale doveva sovrinten-

dere il padrone di casa, che prima della cottura vi incideva col coltello una croce in segno di benedizione.

Il grosso pane veniva poi consumato dalla famiglia solennemente riunita per la tradizionale cerimonia natalizia “del ciocco”.

Il padre, o il capo di casa, fattosi il segno della croce, prendeva un grosso ceppo, solitamente di quercia, lo adagiava nel camino, vi poneva sotto un fascetto di rami di ginepro ed attizzava il fuoco.

Versava il vino in un calice, lo spruzzava sulle fiamme, ne sorseggiava egli per primo poi lo passava agli altri membri della famiglia che, a turno, l’assaggiavano. Il padre gettava poi una moneta sul ceppo che divampava e successivamente distribuiva altre monete agli astanti.

Infine gli venivano presentati tre grandi pani di frumento ed egli, con gesto solenne, ne tagliava solo una piccola parte, che veniva riposta e conservata sino al Natale successivo. Il ceppo sim-

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1491 - olio su tela - Lubecca,

boleggiava l’albero del bene e del male, il fuoco l’opera di redenzione di Gesù Cristo; i pani, progenitori del panettone, simboleggiavano il mistero della Divina Trinità.

La tradizione milanese fa arrivare fino ai giorni nostri l’abitudine di conservare, in una scatola di metallo, una fetta del panettone consumato il giorno di Natale e di mangiarlo il 3 di febbraio: quel giorno si festeggia San Biagio, protettore della gola.

Per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi

presente sul le nostre tavole, regge la concorrenza del suo più “dolce” ed acerrimo nemico: il pandoro di Verona
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due candele incrociate (oppure con l’unzione, mediante olio benedetto), sempre invocando la sua intercessione.

L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigio-

in tavola, per il signore di Milano e per i suoi magnifici ospiti, un sontuoso banchetto.

Verso le ultime portate, il cuoco si accorse che mancava il dolce, ma in forno trovò solo un ammasso bruciacchiato e immangiabile. Le urla e le bestemmie arrivarono fino ai tavoli degli invitati.

giungere un po’ di frutta candita, uova, zucchero e uvetta. Voleva farselo cuocere al termine del lavoro per avere qualcosa da mangiare. Se il cuoco voleva poteva portare quel dolce a tavola.

samente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola.

Un’altra leggenda che racconta la nascita del panettone racconta che alla corte di Ludovico Sforza e, come ogni Natale, sta per essere servito

Era ormai troppo tardi per preparare nuovamente un impasto così elaborato; poco importava chi aveva dimenticato il dolce nel forno, tanto Ludovico se la sarebbe presa con lui e lo avrebbe condannato a morte. Disperato il cuoco si abbandonò su una sedia e cominciò a piangere sommessamente.

Toni, un povero sguattero, gli si avvicinò dicendo che aveva tenuto per sé un po’ dell’impasto del dolce perduto a cui si era permesso di ag-

Guidato dalla forza della disperazione il cuoco infilò nel forno quella specie di forma di pane. Nonostante il povero aspetto, non avendo più nulla da perdere, il cuoco fece portare il dolce in tavola.

Neanche a dirlo, il pan del Toni (da qui il termine panettone) riscosse un successo strepitoso, tanto che il cuoco fu obbligato a servirlo a tutti i banchetti natalizi degli anni successivi e presto l’usanza si diffuse fra tutta la popolazione.

LA RICETTA DEL PANETTONE “TRADIZIONALE”

Ingredienti: 800 g di farina bianca - 15 g di lievito - 150 g di burro - 2 uova intere - 4 albumi400 g.di zucchero - 80 g di canditi assortiti - 50 g di uvetta sultanina - 25 g di zucchero vanigliato - 60 ml di latte - un pizzico di sale

Preparazione: il giorno precedente alla preparazione, sciogliere in una ciotola il lievito e un quarto della farina nel latte tiepido. Date all’impasto una forma arrotondata, copritelo con un tovagliolo e lasciatelo lievitare, in un luogo asciutto e non freddo, per tutta la notte. Il giorno dopo riprendete l’impasto, lavoratelo a lungo sulla spianatoia con 100 g di farina e qualche goccia di acqua tiepida; poi copritelo con un tovagliolo e fatelo lievitare al caldo per circa 2 ore. A questo punto ripetere l’operazione usando altri 100 g di farina e aggiungendo acqua tiepida quanto basta per rendere l’impasto morbido ed elastico. Fatelo lievitare per circa 3 ore. Fate rinvenire l’uvetta in acqua tiepida per almeno 20 minuti. Poco prima di riprendere l’impasto fate sciogliere il burro in un tegamino su fiamma molto bassa per evitare che frigga, lasciandone da parte un po’ per ungere la tortiera; poi sciogliete anche lo zucchero e un pizzico di sale in poca acqua, sempre su fiamma molto bassa, aggiungendo, lontano dal fuoco, le uova intere ed i bianchi. Imburrate una pirofila da forno alta e stretta. Riprendete adesso l’impasto e tornate a lavorarlo con il resto della farina aggiungendo, poco alla volta, il burro sciolto e il miscuglio di zucchero e uova. Lavorate a lungo l’impasto inserendoci verso la fine anche le uvette (ben strizzate ed infarinate) e i cubetti di frutta candita. Disponetelo nella pirofila, copritelo con un tovagliolo e lasciatelo lievitare per almeno 3 ore. Accendete il forno e regolatelo su 180° C. Mettete il dolce in forno solo quando la temperatura è quella giusta e cuocetelo per circa 45 minuti o fino a quando si è ben colorato o la superficie è diventata bruna. Fatelo raffreddare a testa in giù per evitare che le uvette e i canditi si depositino sul fondo.

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Dolci della tradizione

della Redazione

Il “nobile”pandoro, sfidante

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Il pandoro è un tipico dolce veronese, il cui nome descrive perfettamente il colore della pasta giallo oro conferitogli dalle uova, leggero e soffice come la pasta brioche, ha sapore delicato e un leggero aroma di vaniglia.

LEGGENDE E TRADIZIONE

Una tradizione ne fa risalire la nascita ai tempi della Repubblica Veneta, quando sulle tavole delle famiglie ricche venivano serviti dei dolci a forma conica ricoperti da foglie d’oro zecchino, da qui il nome “pan d’oro”.

Altri invece sostengono che il pandoro derivi da un antico dolce veronese: il famoso “nadalin” di cui conserva la forma stellare.

La versione più recente sull’origine del pandoro lo lega invece alla Casa Reale degli Asburgo, sicuramente fin dal ’700-’800 erano note le due

tecniche del croissant e del “Pane di Vienna” che sono rimaste alla base della preparazione del pandoro.

In particolare la lavorazione della “brioche” francese consisteva nell’alternare due o tre fasi d’impasto con pause di lievitazione, mentre quella del “Pane di Vienna” prevedeva di completare l’impasto aggiungendo una maggiore dose di burro con il sistema della pasta sfoglia, dove

con il risultato che durante la cottura il dolce acquista volume.

In ogni caso c’è una data che sanziona ufficialmente la nascita del pandoro, il 14 ottobre 1894, giorno in cui Domenico Melegatti depositò all’Ufficio Brevetti un dolce dall’impasto morbido e dal caratteristico stampo di cottura con forma di stella troncoconica a otto punte, opera dell’artista Dall’Oca Bianca, pittore impressionista.

LA RICETTA DEL PANDORO “TRADIZIONALE”

Ingredienti: 610 g di farina - 250 g di burro - 175 g di zucchero - 30 g di lievito di birra - 8 uova1 limone - 1 dl di panna fresca - un pizzico di vanillina - 50 g di zucchero a velo Preparazione: la sua preparazione e lavorazione sono un pò lunghe: tre fasi di impasto alternate a pause di lievitazione. Setacciate 75 g di farina in una terrina, unite 10 g di zucchero, il lievito precedentemente sbriciolato, ed un tuorlo. Impastate bene il tutto, aggiungendo due cucchiai di acqua tiepida. Coprite l’impasto con un telo di cotone e lasciatelo lievitare per un paio di ore. Unite 160 g di farina setacciata, 25 g di burro ammorbidito, 90 g di zucchero, 3 tuorli ed impastate. Lasciate lievitare l’impasto per sue ore. Unite il resto della farina, 40 g di burro, 75 g di zucchero, 1 uovo intero e 3 tuorli.

Impastate a lungo e fate lievitare per la terza volta, sempre coperto ed in luogo tiepido, per 2 ore. Lavorate l’impasto ed incorporatevi il resto del burro ammorbidito, la panna, la buccia grattugiata del limone e la vanillina. Impastate fino ad ottenere un composto morbido.

Ricavate dalla pasta due palle e disponetele in 2 stampi precedentemente imburrati e fate lievitare in un luogo tiepido finché la pasta arriverà al bordo degli stampi.

Fate cuocere per 40 minuti in forno preriscaldato a 190°. Abbassate il calore a 160° a metà cottura. Fate raffreddare e spolverizzate con lo zucchero a velo.

Il viaggio del pandoro da Vienna a Verona per contendere al “cugino” panettone il titolo di “unico dolce di Natale”
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Il torrone, un duro dal cuore dolce

Il pranzo delle feste non può definirsi tale se non si conclude con l’assaggio del torrone: scopriamone i segreti e la tradizione

Dolci
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della tradizione della Redazione

II torrone è un dolce tipico di molte zone d’Italia, composto da un impasto di albume d’uovo, miele e zucchero, farcito con mandorle o nocciole, spesso ricoperto da due ostie.

LA STORIA

La maggioranza degli esperti è d’accordo nell’at tribuire al torrone origini arabe; a supporto di questa tesi vi sarebbe, fra l’altro, il De medicinis et cibis sem plicibus, trattato dell’XI se colo scritto da un medico arabo, in cui è citato il turun Gli Arabi portarono que sto dolce lungo le coste del Mediterraneo, in particolare in Spagna e in Italia. La ver sione spagnola del torrone ha origine nella regione di Alicante e le sue prime at testazioni certe risalgono al XVI secolo.

Il torrone a Cremona, in

vece, pare abbia origini addirittura anteriori, se diamo credito alla tradizione che dice che il primo torrone sia stato servito il 25 ottobre 1441 al banchet-

to che si tenne alle nozze, celebrate a Cremona, fra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti.

Quel nuovo dolce, sempre secondo la tradizione, era stato modellato riproducendo la forma del Torrazzo, la torre campanaria della città, da cui sembra prenda il nome anche il dolce. La prima notizia certa riguardo al torrone a Cremona risale al 1543, anno in cui il Comune di Cremona acquistò del torrone per farne dono ad alcune autorità, soprattutto milanesi.

Questo episodio ci mostra come già all’epoca il torrone fosse radicato negli usi delle popolazioni lombarde.

LA RICETTA DEL TORRONE

Ingredienti (1,5 Kg di torrone): 300 g di miele - 300 g di zucchero semolato - 100 g di acqua150 g di nocciole pelate e tostate - 550 g di mandorle pelate e tostate - 150 g di canditi tritati (scorze di arancia e di cedro) - 3 albumi d’uovo - 1 busta di vanillina - la scorza grattugiata di 2 limoni - una trentina di grosse ostie da pasticceria.

Preparazione: mettete il miele nella pirofila, ponete il recipiente a bagnomaria e lasciatelo cuocere a fuoco basso per un’ora e mezzo o più, mescolando in continuazione con un cucchiaio di legno. Il miele sarà pronto quando, versandone una goccia in poca acqua fredda si solidificherà. Poco prima che il miele sia cotto versate in una casseruola lo zucchero e l’acqua e fatelo cuocere sempre mescolando. Anche lo zucchero sarà pronto quando una goccia versata in un piattino formerà una perla bianca e croccante. Montate a neve ben soda gli albumi, quindi uniteli al miele ormai pronto. Con questa aggiunta il miele si gonfierà, diventando bianco e spumoso, continuate a mescolare per altri cinque minuti, quindi aggiungete anche lo zucchero e mescolate ancora sino a quando il composto, dopo essersi ristretto, comincerà a indurire. Unite allora le mandorle, le nocciole, la frutta candita, la scorza dei limoni grattugiata, la vanillina e mescolate con cura e a lungo, in modo da riuscire ad amalgamare tutto perfettamente. Foderate con metà ostie lo stampo. Versate il composto nello stampo, livellate bene la superficie e coprite con le ostie rimaste. Lo spessore del composto dovrebbe essere di circa 3 cm. Ponete sopra le ostie un tagliere o un’assicella di legno e su questa dei pesi e lasciate riposare così per circa mezz’ora. Solo allora capovolgete lo stampo su un ripiano e, con un grosso coltello, tagliate il torrone a pezzi della misura desiderata. Avvolgete i pezzi ottenuti prima in carta pergamena e poi in fogli d’alluminio e conservateli in luogo fresco e asciutto in una scatola o in un barattolo di vetro a chiusura ermetica.

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Sacro & profano

Ambrogio e Nicola: a tavola con i Santi patroni

Dicembre è il mese dei grandi pranzi e delle sontuose cene che iniziano con i festeggiamenti di due tra i più importanti Santi d’Italia: San Nicola (6 dicembre) e Sant’Ambrogio (7 dicembre), e terminano con il pranzo di Natale ed il cenone di San Silvestro.

“Slow Economy” vuole ricordare questi due Santi patroni con le ricette dei cibi più tradizionali legati alle loro città.

E’ intanto curioso non siano nati nella città della quale sono i patroni; addirittura non sono nemmeno nati in Italia: San Nicola è di Pàtara di Licia in Turchia, l’attuale Demre, Ambrogio è di Treviri, una città della Germania.

SAN NICOLA

Incominciamo, in ordine di calendario, da San Nicola che viene ricordato a Bari il 6 dicembre, giorno della sua morte avvenuta nel 397.

E’ un Santo importante non soltanto per i baresi ma anche per i cattolici di molte altre nazioni; il nome Nicola nelle varie versioni (Niklaus, Nikolaj, Nikita etc) è il nome cattolico più presente nel mondo. Più di Giuseppe, Antonio, Francesco…

E’ il santo protettore delle zitelle perché aiutò tre ragazze che non potendo sposarsi per mancanza di dote sta-

vano per avviarsi alla prostituzione; regalò loro tre sacchetti di monete e le giovani poterono così convolare a giuste nozze.

Nella tradizione popolare è considerato anche protettore di marinai, pescatori, farmacisti, profumieri, bottai, ma soprattutto protettore dei bambini.

Babbo Natale, il mitico per-

sonaggio che la Notte Santa porta doni ai bambini di tutto il mondo, è chiamato dai popoli nordici Santa Klaus, nome che è la contrazione di “Sanctus Nikolaus”.

In suo onore vi indichiamo di seguito le ricette di 2 tra i più tradizionali piatti baresi: le “Orecchiette alla cime di rapa” e il famoso “Riso, patate e cozze”.

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“Orecchiette alle cime di rapa”

Dette anche “recchitelle” costituiscono il piatto più rappresentativo della città di Bari.

L’origine della pasta è avvolta nel mistero, non essendoci alcun documento che ne attesti la nascita; alcuni affermano che sia stata introdotta in Puglia da mercanti provenzali, altri la fanno risalire alla cultura ebraica ed altri ancora assicurano che è autoctona, non foss’altro perché somiglia ai tetti dei trulli.

Gli amanti della tradizione non vanno a comprare le “orecchiette secche” al negozio sotto casa o al più vi -

cino supermercato, ma le preparano fresche, con farina di grano duro, acqua tiepida e sale, considerando, per le dosi, un etto di farina per ogni commensale.

Si versa la farina sulla “spianatoia” e si fa la classica fontana; si aggiunge il sale e l’acqua tiepida, lavorando, impastando e rimestando per una decina di minuti.

Si forma una specie di “collinetta”, si copre con un panno (qualche massaia dice caldo) e si lascia riposare per una buona mezz’ora.

Successivamente, dalla “collinetta” si preleva un piccolo pezzo di pasta che si rimescola e si amalgama per farne un lungo bastoncino

(come fine un grissino) che si taglia a pezzet ti della grandezza di un’unghia - possi bilmente tutti di egua le dimensione.

Si schiaccia quindi cia scun pezzettino in maniera da ridurlo in forma di piccolo disco (a tale bisogna può servire il manico di un cucchiaio) e, esercitando una leggera pressione, lo si trascina sul tavolo da lavoro, in modo che il dischetto si curvi (seguendo la forma del manico di cucchiaio) coprendo parte dell’attrezzo. A questo punto si appoggiano - dischetto di pasta e manico di cucchiaio - sul polpastrello del pollice e si

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cerca di rovesciare all’indietro la pasta, come se si volesse avvolgerla sulla punta del si spinge, infine, con il pollice stesso per ottenere e accentuare quella “gobbetta” che è tipica delle orecchiette.

Si stacca delicatamente dal dito e si mette ad asciugare, con la “gobbetta” rivolta in alto e si aspetta qualche ora prima di cuocere.

Le cime di rapa (note anche come broccoletti di rapa) sono ortaggi tipicamente italiani coltivati prevalentemente nel Lazio, in Campania e in Puglia.

Si consumano le parti tenere (le cime, appunto, scartando le coste e le foglie dure e coriacee) più che altro nelle stagioni autunnale/

invernale, anche se esistono varietà primaverili, dette tardive di taglia alta (110 cm).

Si raccolgono a mano le infiorescenze e lo stelo con tutte le foglie, prima dell’a -

pertura dei fiori stessi (che ne deprezzerebbero la qualità, e renderebbero il prodotto poco commestibile) a circa 10 cm da terra per permettere il “ricaccio”, cioè una nuova buttata.

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Ingredienti per 4 persone: 1 kg di cime di rapa fresche; 4 cucchiai d’olio extravergine di oliva; 3 spicchi d’aglio; 2 filetti d’acciuga sott’olio; 360 g di orecchiette; peperoncino e pepe quanto basta.

Procedimento: mondate le cime di rapa, eliminate cioè le foglie grosse, sciupate, gialle, le parti dure del gambo e selezionate, invece, le infiorescenze e le foglie più tenere, tagliandole in più parti.

Lavatele abbondantemente con acqua fresca corrente, facendo attenzione che non rimangano frammenti di terra (solitamente sono

abbastanza sporche, un pò come gli spinaci).

Tagliate il peperoncino a rondelle. Ponete sul fuoco una capace pentola con abbondante acqua salata e quando questa bolle, versatevi le cime di rapa.

Ad avvenuta lessatura, scolate, mantenendo buona l’acqua di cottura, perché, rimessa sul fuoco servirà a cuocere le orecchiette. Intanto in una padella, fate imbiondire, con l’olio, gli spicchi d’aglio schiacciati (o tagliati a fettine), i filetti d’acciuga spezzettati e le rondelle di peperoncino.

A doratura avvenuta (non fatelo troppo a lungo, altrimenti il tutto diventerà nero e amaro!), unite le cime di

rapa ben scolate e fatele saltare allegramente.

Lessate le orecchiette nella stessa acqua di cottura della verdura e quando saranno più che al dente, scolatele ed unitele al resto nella padella, continuando a farle saltare per una manciata di secondi ancora.

Se dovessero risultare asciutte aggiungete un pò d’acqua di cottura e asciugate quanto basta a fiamma viva.

Servite immediatamente con un’abbondante grattugiata di pepe, un filo d’olio a crudo e accompagnatelo con uno dei grandi vini caldi e sensuali come la terra di Puglia: Primitivo, Nero di Troia, Negramaro.

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di riso, patate e cozze alla barese”

Ingredienti per 6 persone: cozze kg 1,5; patate g 800; pomodori maturi g 700; cipolle g 600; riso Superfino g 500; prezzemolo g 70; 3 spicchi di aglio; pecorino grattugiato; olio d’oliva; sale q.b.

Procedimento: aprite e la-

vate molto bene le cozze; tritate il prezzemolo e l’aglio, tagliate a fettine sottilissime le cipolle e affettate le patate sottili. Tagliate i pomodori.

Accendete il forno e portatelo a 180° circa. Ungete d’olio un tegame, possibilmente di coccio, partite con metà delle cipolle, del prezzemolo, dei pomodori, sale e abbondante pecorino.

Continuate con circa metà delle patate e tutto il riso

mondato, cercando sempre di fare uno strato uniforme. Distribuite le cozze sopra il riso e spolverizzate con il restante prezzemolo e il resto delle cipolle, dei pomodori, le rimanenti patate e un filo d’olio.

Aggiungete poco a poco dell’acqua fredda leggermente salata, quanto basta per coprire tutti gli ingredienti e cuocete per circa 45 minuti; se necessario, unite ancora acqua bollente.

“Tiella
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ANT’AMBROGIO

Non si sono spenti gli echi dei festeggiamenti che i baresi hanno dedicato al loro Santo Patrono e già a Milano stanno iniziando quelli dedicati a Sant’Ambrogio che culminano con la tradizionale Prima della Scala.

Si inizia con la Messa celebrata in tutte le chiese, ma la più importante avviene, naturalmente, nella Basilica costruita alla fine del IV secolo per volere del Vescovo Ambrogio nella zona in cui erano stati sepolti i Cristiani martirizzati dalle persecuzioni romane.

Ambrogio era nato nel 340 a Treviri, una città della Renania, da una delle più illustri famiglie romane; suo padre era titolare di una delle 4 prefetture in cui era diviso l’Impero sotto Diocleziano.

Nel 374 il popolo di Milano lo aveva proclamato Vescovo per la sua abilità e capacità di mediatore nel risolvere le contese tra cattolici ed ariani; in un primo momento aveva rifiutato, non sentendosi all’altezza del compito, ma - confermato nella carica dall’Imperatore - in una settimana fu battezzato ed ordinato.

Donò tutto il suo patrimonio ai poveri ed impostò la sua vita secondo uno stile austero e contemplativo, prodigandosi caritativamente per i fedeli.

Per la sua cultura e la sua sapienza è uno dei 4 massimi “Dottori della Chiesa”. Am-

brogio riformò la Chiesa milanese, che per questo da lui assunse il nome di “ambrosiana”.

Nel 393, pochi anni prima di morire, con l’Imperatore Teodosio I vietò i Giochi olimpici, che erano visti come una festa pagana, ponendo fine a una storia durata oltre mille anni.

Al Patrono di Milano dedichiamo 2 dei piatti più tradizionali della cucina meneghina: la “Cassöeula” e il “Risotto alla Milanese”.

“Cassöeula”

“Del maiale non si butta via niente”, recita un vecchio adagio; ecco perché esso occupa un posto di primissimo piano sia sulle mense dei ricchi che su quelle dei poveri. Fino a poco più di mezzo secolo fa in quasi tutte le case si allevava un maiale, che con la sua carne forniva provviste strategiche per un intero anno: il giorno della “maialatura” - cosi si chiamava in alcune regioni del

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centro Italia la sua macellazione - era considerato giorno di festa: un macellaio, detto “norcino” (perché l’arte della conservazione del maiale nasce a Norcia qualche secolo fa), si occupava di ritagliare prosciutti e “acconciare” salami, salsicce, cotechini, pancetta, guanciale, coppa e capocollo, zampone sanguinaccio e via di seguito.

Ogni regione, ogni provincia, addirittura ogni paese, ha un suo modo tradizionale di cuocere queste carni; i milanesi hanno la Cassoeula, uno dei piatti tipici invernali a base di verza e delle parti meno nobili del maiale: cotenna, piedini, orecchie e costine.

La verza - l’ortaggio più importante dell’inverno - è dotato di un sapore dolce e delicato; è una varietà di cavo-

lo che possiede quasi tutte le vitamine tanti sali minerali, tra cui zinco e magnesio e favorisce l’assorbimento del ferro. È una verdura salutare, che si acquista a prezzo relativamente basso ed è tra le più gustose e versatili in cucina.

I vecchi ortolani (i verzee)

insegnano che va raccolta dopo che ha subito la “gelata”, quando cioè la temperatura è scesa di qualche grado sotto lo zero e le sue foglie, corpose corazzate e opache, “crocchiano” allorché si cerca di aprirle per cercarne il morbido e fresco cuore bianco/verde.

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Ingredienti per 8 persone (perché pensiamo che la cassoeula vada gustata in compagnia): 1 kg di costine di maiale; 250 g di cotenne di maiale; 2 piedini di maiale; 2 orecchie di maiale; 8 salamini verzini; 400 g di luganiga (salsiccia fresca); 2 kg di verza; 1 cipolla; 2 carote; 2 costole di sedano; 1 bicchiere di vino bianco secco; 60 g di burro; sale e pepe, quanto basta.

Procedimento: in una pentola, con acqua abbondante e salata, fate bollire le cotenne e le orecchie del maiale, per tre quarti d'ora, e i piedini per un'ora, dopo averli ben raschiati e fiammeg-

giati; scolate il tutto e fatelo a pezzetti. Fate rosolare in poco burro le costine fino a quando non si siano colorite, quindi toglietele dalla fiamma e tenetele da parte; alla stessa maniera fate con i verzini (praticate dei buchi con la forchetta) e con la luganiga tagliata grossa.

Pulite e lavate bene la verza, senza scolarla eccessivamente, affinché tenga nelle foglie poca acqua del risciacquo, mettetela in una pentola, copritela e fatela appena appassire a fuoco lento. In una grande casseruola, nel burro rimasto (50 g circa), fate rosolare la cipolla, il sedano e la carota, previamente tritati e, appena si sono appassiti, unite i verzini

e la luganiga, sfumando con il vino - a fuoco allegro per lasciare evaporare; bagnate con un pò d'acqua e fate cuocere per 10' riducendo la fiamma.

Unite la carne e, trascorsi pochi minuti aggiungete le verze e se necessario un pò d'acqua. Fate cuocere per circa un'ora vigilando che la carne si stacchi dalle ossa, aggiungendo acqua, aggiustando di sale e di pepe. Una volta cotta, lasciate riposare la cassoeula per 20' prima di servire.

Accompagnate con una buona polenta e con un vino rosso: Bonarda secco, Oltrepo pavese d.o.c., Lambrusco mantovano d.o.c., Gutturnio Colli piacentini d.o.c.

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Ingredienti per 4 persone: 450 g di riso; 120 g di burro; 100 g di formaggio stagionato; 60 g di midollo di bue; 1,7 dl di brodo di carne; 1 cipolla; 2 cucchiaini di pistilli di zafferano.

Procedimento: sciogliete lo zafferano in pochi cucchiai di brodo; mondate la cipolla, affettatela e velo, rosolatela nel burro (del quale terrete da parte una noce) insieme al midollo di bue.

Quando il soffritto sarà pronto e profumato, tostateci il riso; quando i grani di riso saranno ben tosta-

ti bagnateli con un bicchiere di vino bianco e aggiungete brodo man mano che si asciuga, fino al completamento della cottura del riso. Unite solo in ultimo lo zafferano, poi condite il risotto con burro e Parmigiano e fatelo mantecare per qualche minuto. Rimestate e servite in tavola.

“Risotto alla milanese con zafferano”
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Protagonisti per un 2023 di turismo enogastronomico

Dal 16 al 18 novembre il prof. Luigi Caricato ha portato in Fiere di Milano i “Dialoghi sulla sostenibilità” con la sua Olioofficina che ha l’Olio extra vergine d’oliva quale focus del vivere sano, invitando anche aziende che intorno all’ulivo hanno costruito resort con spa di altissimo livello turistico come ad esempio Palazzo Verignana sui colli bolognesi, uno dei relatori è stato l’economista Francesco Lenoci che insegna alla Università Cattolica di Milano ed è Presidente onorario dei pugliesi a Milano, seconda “città della Puglia”

per numero di abitanti dopo Bari. Il prossimo appuntamento di Olioofficina sarà al Palazzo delle Stelline di Milano dal 4 marzo 2023 con i produttori di olio, i buyers, la stampa e gli stake holders. Per quella data con l’ex senatore Dario Stefàno e col prof. Lenoci abbiamo concordato di produrre un docufilm sul turismo dell’olio. Il senatore Stefàno dopo aver guidato la Commissione del Senato per gli affari europei ed aver promulgato sia la legge sul turismo del vino che quella sul turismo dell’olio aveva deciso di non presentarsi alle elezioni politiche dello scorso 25

settembre tornando a svolgere la sua carriera di avvocato manager che era cominciata proprio a Milano in Pirelli, chiamato poi per due legislature a guidare l’assessorato alle risorse agroalimentari della Regione Puglia. Con lui, vista la sua esperienza che in questi giorni si è formalizzata nel libro sul turismo dell’olio, e col prof. Lenoci abbiamo stabilito dopo il Festival di Olioofficina a marzo prossimo di proseguire questo cammino virtuoso con una fiera internazionale sull’olio da tenersi in Puglia, per la quale si è detto entusiasta di partecipare un altro senatore che è tornato ad indossare le vesti di manager di un importante gruppo industriale, il dott. Piero Liuzzi anch’egli pugliese di Noci dove è stato sindaco per due legislature, come pure il Presidente della Fondazione Agroalimentare “ITS Basile Caramia” prof. Vito Nicola Savino già Preside della facoltà di agraria dell’Università Aldo Moro di Bari e naturalmente anche l’Assessore alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia Donato Pentassuglia. Il programma è denominato OLITALY Extra DiVino è ha

Focus 44

OliO PantaleO

Always. For all.

Olives are like our sisters. We have them travelling comfortably to the mill, so that they do not get scratched. We care so much about the oil they contain that we do not want to lose all the good there is.

We take every possible care of our secular olive trees. They are our patriarchs and give us harmonic and fruity oil every year. We will never abandon them.

We are so eager for the future that we have planted thousands of olive trees that are intensively grown with highly - mechanized methods. They are very productive young plants ensuring more oil for all.

Our mill is a blend of ancient and new features, but behind our equipment, we are always there, following every stage, ready to get all possible nutrients, flavours and perfumes of oil from each and every olive.

Seeing oil flowing out is a moment of great celebration for us. Just imagine these intense fragrances: every time such a variety is wonderful. We never stop working, but each and all of us taste it to test all its goodness.

Eventually, here it is: our “Selezione Oro” bottle, 100% Italian extra virgin olive oil, versatile and fit for every use, ideal both raw and cooked. We will not add anything else, we do not want to be biased. You can simply experience it firsthand and discover it. What are you waiting for?

We take every possible care also when packing it, because quality extra virgin olive oil must be protected from the traps of light, air and temperature. This is why we dress it well: to keep each fragrance unaltered.

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Drawing byi Doriano Strologo

l’ambizione di aggiungere al marketing territoriale della regione Puglia oltre alla fiera internazionale da tenersi probabilmente a Taranto con incontri B2B tra produttori di olio e buyers internazionali, anche la visita degli stake holders esteri nei territori di coltivazione dell’ulivo visto che la regione tra masserie, cattedrali e castelli è terra vocata coi suoi 60 milioni di alberi di ulivo, vere opere d’arte viventi tra le quali migliaia sono centenari e molti addirittura millenari. Proprio un gruppo bancario del territorio di Taranto, la BCC di San Marzano nella persona del suo Presidente Emanuele di Palma, che è molto attento al marketing territoriale avendo sponsorizzato il film con Ron Moss (Ridge Forrester della soap opera “Beautiful”) girato in Puglia e la “SailGP” a Taranto unica tappa italiana delle regate fra i catamarani più veloci al

mondo, si è detto disponibile a sostenere OLITALY, che a fine marzo 2023 inizierà con la presentazione alla stampa nel castello dei Principi Giuliano e Fabrizia Dentice di Frasso nell’ambito della 11a edizione del “Premio Puglia: Unici e Protagonisti” che riconosce personalità pugliesi che si siano distinti nell’anno in Italia e nel mondo nei settori giornalismo, marketing, economia, cultura, turismo, agroalimentare ed industria, ospite d’onore sarà il Barone Ivan Giuseppe Drogo Inglese Presidente di Assocastelli. Il docufilm sul turismo dell’olio vedrà anche un importante

interprete della nostra dieta mediterranea, il famoso pane DOP di Altamura, sul quale versare gocce d’olio extra vergine d’oliva è una squisitezza unica. Per questo nuovo numero di Slow Economy di capodanno 2023 è stato doveroso recarci ad Altamura città fondata dall’imperatore Federico II di Svevia e fotografare il bassorilievo dell’Ultima Cena all’ingresso della Cattedrale dove i commensali di Gesù hanno in tavola pani rotondi a ciambella come usava 800 anni fa Federico. Naturalmente abbiamo incontrato un uomo, Giuseppe Barile da 60 anni maestro panificatore, che poi ha costituito il “Consorzio Pane DOP di Altamura” portandolo in tutto il mondo ed insegnando questa antica arte anche in masters universitari, ultima novità di don Peppino la “Ciambella di Federico”, creata proprio ispirandosi al bassorilievo della cattedrale, fatta con un grano antico di secoli e presentata questo dicembre a Torino. Di seguito l’intervista all’avv. Dario Stefàno quand’era ancora nelle sue funzioni di Presidente dell’importante Commissione del Senato per i rapporti con l’UE.

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Quale futuro per l’olio extravergine di oliva?

A tu per tu con l’ex senatore Dario Stèfano, facciamo il punto sulla situazione dell’olio extravergine in Italia e sulla legge sull’oleoturismo.

In uno scenario critico per via del cambiamento climatico in atto e del costante calo produttivo nonché di remunerazione dei produttori, la nuova frontiera del’olio extravergine italiano può davvero essere quella dell’oleoturismo? Ne abbiamo parlato con l’ex senatore Dario Stèfano.

Ha dedicato il suo ultimo libro alle opportunità dell’oleoturismo in Italia: le potenzialità del nostro Paese sono enormi. Che risultati si possono raggiungere?

“Le possibilità offerte da questo segmento dell’offerta turistica si potrebbe dire siano letteralmente infinite e i risultati che via via si raggiungeranno saranno da ulteriore stimolo e

da pungolo per continuare a fare sempre meglio. L’oleoturismo può essere un vero e proprio “miracolo” per gli operatori del settore e non solo, poiché da un solo raccolto all’anno che la natura concede, gli olivicoltori possono passare a due, anche a tre raccolti, in termini di entrate e volume economico. Se saremo realmente capaci di guardare all’olio non più solo come a un prodotto della molitura delle olive, ma come l’emblema di una grande storia e sintesi di tante, diverse, esperienze che si possono fare, con originalità, dal campo al frantoio, allora avremo cominciato a dare il giusto rilievo e spessore a quello che è un patrimonio materialee immateriale che racconta e rappresenta i nostri territori”.

A due anni dall’approvazione dellalegge sull’oleoturismo che ha contribuito a varare, quanto è

cambiato in questo settore e cosa deve ancora cambiare?

“Senza giri di parole, il vero tallone di Achille nello sviluppo dell’oleoturismo è dato dalla struttura particolarmente piccola che caratterizza e accomuna le aziende olivicole italiane. Una polverizzazione del tessuto produttivo che comporta chiaramente una maggiore difficoltà a fare sistema, a mettere a rete e costruire un’offerta condivisa, organizzata e soprattutto avanzata. Credo, tuttavia, che tutta una serie di fattori esterni, quali le difficoltà climatiche sempre più pressanti, la conseguente riduzione dei raccolti e quindi la diminuzione dei volumi di fatturato diretto, possano spingere, come in una sorta di vincolo esterno, a convergere e accelerare verso un necessario cambiamento/ rinnovamento”.

Se Piemonte e Toscana sono tradizionalmente tra le mete preferite in tema enoturismo,

Focus
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quali regioni italiane possono spiccare il volo nell’offerta dedicata all’extravergine?

“Sicuramente tutte quelle regioni che esprimono la propria identità agricola attraverso l’olivicoltura. Stando ad un criterio meramente quantitativo, saranno chiamate a svolgere una parte da leone regioni come la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Ma, non per mero campanilismo, mi aspetto una risposta di assoluto protagonismo da parte della mia Puglia. Questa regione, che ospita alberi millenari patrimonio Unesco perché vere e proprie sculture di un passeggio irripetibile, è allo stesso tempo però vessata dalla piaga della Xylella. L’oleoturismo potrebbe pertanto essere un’autentica possibilità di risposta resiliente”.

Come se lo aspetta il 2023 in termini di rinnovata capacità di offerta dell’eccellenza italiana?

“Credo che il nostro Paese abbia tutte le carte in regola per esprimere al meglio il grande profilo qualitativo della produzione primaria ma anche dell’accoglienza. Dirimente sarà il continuare a spingere, su entrambi gli aspetti (prodottoaccoglienza), sul pedale della qualità e dell’identità: l’unicità che caratterizza i nostri sapori, così come i nostri paesaggi agricoli, la nostra accoglienza, dovranno essere declinati in una chiave di altissimo livello per intercettare un turismo esigente che chiede unicità ma anche di emozionarsi con esperienze autentiche”.

Che aspettative ha sul nuovo Governo in merito ad attenzione al settore olio e quali misure si attende più rapidamente il varo?

“Sono un italiano che tifa Italia, sempre e comunque. Per cui spero sinceramente che il nuovo governo, per l’olio così come per il vino e per tutte le produzioni che qualificano il nostro made in Italy, abbia e dimostri quella sensibilità e quell’attenzione che ha sempre dichiarato di nutrire e sulle quali peraltro ha raccolto anche il consenso elettorale che lo ha portato a Palazzo Chigi”.

Cambiamento climatico, produzione in calo, remunerazione del produttore spesso non sufficiente: l’Italia cosa deve fare per rimanere ai vertici quali-quantitativi del settore oleario?

“Dobbiamo continuare a produrre le nostre eccellenze aggiungendo solo un ulteriore

sforzo, quello di saperle raccontare e comunicare al meglio, con professionalità, attenzione, cura dei dettagli e con un approccio che ci porti a migliorare sempre di più, a nutrire l’ambizione che si possa essere all’avanguardia anche per la capacità di mettere a sistema prodotti, paesaggi, creatività e servizi all’altezza della sfida. Si tratta insomma di rispondere e corrispondere ad una esigenza sempre più avvertita da parte del consumatore moderno, che è sempre più consapevole e informato su ciò che acquista”.

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Da agosto guida ufficialmente la Commissione Politiche Europee del Senato, per definire un impianto normativo e progettuale che dia corpo e sostanza al nuovo corso.

di Saverio Buttiglione

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Ho incontrato il 28 luglio all’aeroporto di Bari il Senatore Dario Stefàno che conosco da anni, da quando è stato chiamato a lasciare la sua professione di avvocato per dirigere l’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia.

In quegli anni si è distinto per l’impegno e la concretezza delle sue azioni tanto da ricevere apprezzamenti anche dalle forze politiche avversarie ed infatti fu indicato a presiedere il tavolo romano degli omologhi colleghi assessori delle

20 regioni italiane.

Ha inventato il Concorso Nazionale Vini Rosati nel suo Salento chiamando buyers, stockholders e media influencers nelle varie edizioni, numerosi i suoi eventi localizzati a turno nei castelli di Lecce, Otranto e Gallipoli, in uno di questi invitò l’allora Ministro alle Politiche Agricole Luca Zaia che ne apprezzò il lavoro. Eletto Senatore si è già distinto portando all’approvazione 2 leggi che a noi pugliesi stanno molto a cuore, ma sono importanti per tutta la

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POLITICA

nazione, quella sull’Enoturismo e recentemente quella sul Turismo dell’Olio.

Proprio del nostro progetto Extra DiVino OLITALY2020 abbiamo parlato in aeroporto prima della sua partenza per Roma dove il giorno dopo, in qualità di VicePresidente della Commissione Bilancio avrebbe presieduto la riunione per il finanziamento dei Comuni stressati dalla crisi post-covid. La Puglia, in specie la Puglia Agroalimentare deve molto a Stefàno, grazie a lui è stata la prima regione a dotarsi di un rigoroso disciplinare a favore delle imprese virtuose che superati i controlli previsti possono fregiarsi in etichetta del marchio “Qualità Puglia”.

Il 4 agosto l’amico Dario Stefàno ha assunto un altro importante e delicato incarico governativo per il futuro prossimo della nostra economia.

Gli ho chiesto un suo commento: “E’ un nuovo inizio. Oggi si avvia ufficialmente il mio impegno alla guida della Commissione Politiche Europee del Senato.

Come ho sempre fatto darò tutto me stesso, con la passione e lo spirito di servizio che mi hanno sempre guidato in tutte le esperienze vissute sin qui.

La Commissione, e con essa tutto il Parlamento italiano, è chiamata alla grande responsabilità di definire un impianto normativo e progettuale che dia corpo e sostanza al nuovo corso avviato in Europa.

Questa volta abbiamo davvero l'opportunità di rimuovere vecchie e nuove fragilità, di cambiare volto ai territori e di farli sentire convintamente europei. Io sono qui, grato per la fiducia del mio gruppo e dei miei colleghi, con l’obiettivo di centrare le aspettative degli Italiani”.

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Sopra: Dario Stefàno alla Camera

A destra: Il Senatore con Saverio Buttiglione

In basso: Stefàno con Simona Marchini

Nella pagina precedente: Dario Stefàno con una sua sostenitrice

DARIO STEFÀNO

Quando fu chiamato a dirigere l’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, lasciò la professione di avvocato. Si è distinto portando all’approvazione 2 leggi molto a cuore ai pugliesi, ma anche importanti per tutta la nazione: “Enoturismo“ e “Turismo dell’Olio“. Inventò il Concorso Nazionale Vini Rosati nel Salento, chiamando buyers, stockholders e media influencer Dal 4 agosto guida la “Commissione Politiche Europee del Senato“, responsabile di definire presto un impianto normativo e progettuale che dia corpo e sostanza al nuovo corso.

Settembre 2020 21
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Bruxelles

•Petit rue au beurre, 12 - Ristorante “La Capannina” a due piani nel centro storico, strada che immette nella fantastica “Grand Place” della città belga sede del Parlamento Europeo, con cucina italiana rivisitata al gusto francese e clientela internazionale, primo ristorante italiano in città fondato 50 anni fa da una giovanissima e tenace Anna Bianco emigrante da Noci in Puglia.

za, squisita la frittura di calamari e gamberi.

ogni stanza dedicata ad un paese del mondo che produce cioccolata, un museo incredibile.

Milano

•Ristorante l’”Osteria dei Pirati” - via Fogazzaro, 9 del noto presentatore TV Marco Predolin che offre fantastici menù a base di pesce con musica dal vivo

•Upper Merrion Street, Dublin 2 - “Merrion Hotel” - www.merrionhotel.com. Nel centro storico si nota l’eleganza già dal portale d’ingresso, di fronte al palazzo di governo irlandese. Creato dalla fusione di 4 antiche case in stile georgiano si sviluppa attorno a 2 giardini del XVIII secolo.

Dublino

•208 Lower Rarhmines Road, Dublin 6 - ristorante pizzeria “Il Manifesto”. Infotel: 353 1 496 8096 - m a n i f e s t o r e s t a u r a n t @ gmail.com - www. manifestorestaurant.ie - In Irlanda una vera pizza napoletana, fatta da Salvatore di Salerno che, se è in vena, fa pure il giocoliere con l’impasto, è un miraggio che pure in Italia sarebbe raro.

Torino

•via Santa Chiara, 54 - Ristorante “Asian Fusion”. infotel: 338 8194846. Nel quadrilatero romano non lontano dalla Mole Antoneliana ottime cucine tipiche malese, cinese, giapponese ed Italiana, con pietanze fedeli alle tradizioni ed ai gusti originali, crocevia culinario tra oriente ed occidente.

Cuneo

• Lower Ormonde Quay, Dublin

1 - ristorante pizzeria “Bar Italia”. Infotel: 353 1 874 1000info@baritalia.ie www. baritalia.ie. Fa onore alla cucina italiana nel mondo, ottimi primi, ottima piz-

•Santuario di Vicoforte - Ristorante albergo “CioccoLocanda” - via F. Gallo,19. infotel: 0174 563312. Website: www.cioccolocanda.it. Del grande artigiano della cioccolata Silvio Bessone

•Residence “Abbadesse Resort” - via Oldofredi e via Abbadesse antico monastero fra i grattacieli del nuovo Quartiere della Moda, Isola di Porta Nuova, magistralmente gestito dal proprietario ing. Antonio Savia.

“Pola Residence” - via PolaMilano. Di fronte al nuovo grattacielo sede della Regione Lombardia, al centro del nuovo quartiere della moda meneghina, e vicino alla Stazione Centrale

Punti di distribuzione 48 63

Camisano Vicentino (VI)

•Ristorante Locanda “Alla Torre da Zemin” - via Torerossa, 39/41 locale n.407 zona 4est infotel: 049 9065621. Nella torre di avvistamento del 1270 sul confine Vicenza/Padova, nei due piani della locanda un incredibile Gianfranco Zemin propone una cucina solo con prodotti di stagione e ingredienti del territorio, dalla “piramide di tartare di tonno su battuta di mango e avocado con salsa di limoni caramellati” alla “suprema di faraona”, indimenticabili i suoi risotti. Se lo si prega Gianfranco, forse, racconterà la storia di Occhi d’Oro e del cavaliere misterioso.

Padova

• “Q Bar” - vicolo dei Dotto, 3 infotel: 049 8751680. Nella centralissima piazza Insurrezione è elegantissima meta della movida chic padovana e ritrovo dei calciatori del Padova calcio. Dinner&Dance, cucina mediterranea e sofisticata musica live • “Osteria Barabba” - via Vicenza, 47. Marco offre la cucina delle osterie venete in un lounge space, a cominciare dall’ora dell’aperitivo, memorabile quello del mercoledì con ricco buffet, ottimo winebar infotel: 0498716845

Parma

•Ristorante “ I Tri Siochett”strada Farnese, 74/a. Squisiti “tortelli all’erbetta” piatto tipico parmense (grandi ravioli ripieni di spinaci annegati in burro fuso con Parmigiano) e torta fritta (detta anche “gnocchi fritti” nel modenese e nel reggiano, di origine longobarda, semplici sfoglie di pasta per pane fritte in olio che si gonfiano come pan-

zerottini vuoti all’interno) ottima per accompagnare il salame di Felino, il culatello di Zibello ed il prosciutto di Parma, oppure il Parmigiano Reggiano sorseggiando Lambrusco di alta qualità.

Collecchio (PR)

• Agenzia Viaggi “Tra le nuvole” -via Giardinetto, 6/I. Condotta con competenza e professionalità da Elena Bizzi.

Città di Castello (PG)

•Ristorante “La Taverna di Mastro Dante” - via Montecastelli Umbro/ Promano in località Coldipozzo, 45. E’ la patria dei prosciutti di montagna di Norcia infotel: 075 8648133

lena” - via Pasteur, 5. Emilio ed Emiliano Montanari accolgono con simpatia ospiti da tutta Italia deliziandoli con salumi parmensi e Parmigiano Reggiano.

•Resort B&B “Quattrocolli“ -Via Lenin, 81. Sulla collina tra Parma e Reggio Emilia offre una discreta raffinata ospitalità di lusso

San Polo d’Enza (RE)

•Ristorante “La Grotta” - via della Resistenza, 2/B. Sulla collina reggiana, fra stalattiti e stalagmiti in grotta con cucina tipica reggiana.

Roma

•Golf & Country Club “Parco di Roma” - quartiere Cassia, via dei due ponti, 110. Progettista P.B.Dye per un 18 buche “par72” infotel: 06 33653396, direttore architetto Giuseppe Miliè, progettista di campi da golf in tutto il mondo.

•Ristorante “Ristovino” quartiere Prati - via Durazzo, 19. Nei pressi dell’emittente televisiva nazionale LA7, è anche caffetteria per ottime colazioni mattutine ed enoteca ben fornita per pranzi o cene che vanno dai tipici piatti romani come gli “gnocchi freschi ai 4 formaggi” a quelli napoletani.

Soliera (MO)

•“Hotel Marchi” - via Modena/ Carpi. Situato tra la patria dell’aceto Balsamico e la più bella piazza d’Italia (Carpi), all’incrocio fra l’autostrada adriatica nord/ sud e l’autostrada del Brennero che collega l’Austria ed il nord Europa .

Quattro Castella (RE)

• Ristorante Albergo “La Madda-

Sant’Agata sui due Golfi (NA)

• Ristorante albergo “Don Alfonso dal 1890” - corso Sant’Agata, 11/13. Nel cuore della penisola sorrentina si affaccia sul Golfo di Salerno, è considerato tra i primi dieci migliori ristoranti d’Italia, condotto da Alfonso Iaccarino, chef internazionale, che vi ha aggiunto un albergo e la scuola di cucina con showcooking.

49 64

Orsara di Puglia (FG)

• “Piano Paradiso” ristorante. Peppe Zullo noto chef internazionale, riceve ospiti da tutto il mondo. Infotel: 0881 964763

Torre Canne (BR)

• Masseria San Domenico e Golf Club. Struttura composta dalla prestigiosa masseria San Domenico e da Borgo Egnazia, resort di alta qualità apprezzata anche da importanti clienti arabi e russi e dai divi di Hollywood, è munita di campo da golf a 18 buche fra gli ulivi secolari ed è affacciato sul mare

da Mosca di pellegrini cristiani ortodossi e, nel quartiere Palese hotel Parco dei Principi, di fronte al nuovo aeroporto Karol Wojtyla, modernissimo e dotato di tutti i confort per clientela business, entrambi della famiglia del vicepresidente Federalberghi di Bari, Antonio Vasile.

• Villa Romanazzi Carducci - via Capruzzi, 326. Albergo resort elegante e con architettura di prestigio circondata da splendido parco in pieno centro cittadino, diretto dalla famiglia dell’imprenditore ing. Lorenzo Ranieri, è dotato di suggestive sale convegni sparse nel giardino ed offre la cucina del noto chef prof. De Rosa.

• Ristorante Terranima - via Putignani. Nella strada delle banche e della movida, è l’unico ristorante che conserva l’architettura antica, dalle “basole” del pavimento alla coorte che ricorda le piazzette degli artigiani dei secoli scorsi (presenti ancora solo nel centro storico) offre l’inimitabile cucina tipica barese, dalle “strascinate alle patate e cozze”, dalle mozzarelle ai dolci caldi con crema “sporcamuss”

• Hotel Oriente, nel centralissimo Corso Cavour al numero 32, un 4 stelle di lussuosa eleganza, ospita da gennaio 2013 la Golf Club House “Porta d’Oriente”, punto d’incontro al Sud Italia di giocatori ed eccellenze della moda e dell’enogastronomia.

Bari

• Barialto Golf Club. Storica club house pugliese con importante campo da golf.

• Radicci Automobili S.p.A. - Via Amendola, 146. Concessionaria Ferrari e Maserati per il Sud Italia ora Concessionaria anche per la dorsale adriatica con la nuova sede di Ancona. Il Gruppo Radicci a Bari, è anche prestigiosa Concessionaria Jaguar e Land Rover.

Polignano a Mare (BA)

Resort & SPA Borgobianco

- Contrada Casello Favuzzi. Moderni arredi interni in una struttura esterna a masseria, intonacata a calce bianchissima che si specchia su di una immensa piscina con idromassaggio, che compone la “Salus per acquam” insieme al centro benessere interno “Unica”. Cinque stelle meritate come meritata è stata l’elezione a presidente “Associazione Albergatori Polignano” di Roberto Frugis socio e marketing manager. Tel: 080-8870001

• B&B dei Serafini - piazza Vittorio Emanuele, 43. Riduttivo chiamarlo B&B perché si tratta di un eccezionale albergo diffuso nel centro storico della città di Domenico Modugno. Sporgendosi dalle case costruite sulla scogliera a picco sul

50 65
Hotel Boston - via Piccinni, 155. A 5 minuti dal centro storico e dalla Basilica di San Nicola, meta

mare sembra proprio di ascoltare “Volare” o “Nel blu dipinto di blu” onde sonore che da Polignano hanno raggiunto ogni angolo del globo.

Putignano (BA)

• Proloco - piazza Plebiscito,1. Nel centro storico della città patria degli abiti da sposa e del Carnevale più antico e lungo del mondo.

• Fondazione Carnevale di Putignano. via Conversano, 3.

• Osteria “Chi va piano” - Via Monache, Putignano, 0802373445 - cell. 3932378898. In un vicolo nascosto di Putignano, Stefano Guglielmi, ex macellaio, ha creato una locanda di eccellenza. Con il suo staff cucina solo teglie di terracotta in un enorme camino utilizzando solo eccellenze enogastronomiche fresche di giornata. Il suo motto è “cibo e vino per andare lontano”.

nei pressi di Porta Barsento e dell’interessante centro storico. La struttura è gestita in maniera esemplare da Vincenzo Gigante: la sua gentilezza e le sue attenzioni vi metteranno a vostro agio, facendovi sentire in famiglia.

• Agenzia Viaggi Netti - via Tripoli, 63. La signora Netti organizza viaggi in tutto il mondo, pur in tempi del “fai da te via internet”, con una costante ricerca del prezzo più basso col massimo della qualità e della garanzia, facendo inoltre incoming turistica in Puglia con educationals tours, showcooking ed itinerari guidati in posti unici ancora sconosciuti ai grandi tours operators.

Noci (BA)

• Ristorante “L’antica Locanda” - via S.Santo, 49. In una “gnostra” del centro storico meta di turismo internazionale a novembre per “Bacco nelle gnostre”, di Pasquale Fatalino, chef noto in trasmissioni RAI, che prepara orecchiette con fave e cime di rape ed incantevoli braciole di carne al sugo. in-

• Ristorante “Il falco Pellegrino” in località Montedoro a Noci, immerso nella campagna della Murgia pugliese, fra antiche masserie, nel quale lo chef Natale Martucci prepara primi indimenticabili, secondi di pesce fresco o tagliate di manzo podolico, con attenta scelta dei migliori vini regionali.

• B&B “San Domenico” - Estramurale a Levante, 4 - 70017 Putignano (BA) - Cell. 3332284769 - info@bebsandomenico.com.

La struttura è in un angolo pittoresco della città, a pochi passi dalla Chiesa di San Domenico con vista sul campanile, dimenticabili come dimostrato dai personaggi del mondo dello spettacolo che lo raggiungono apposta in ogni momento dell’anno.

Conversano (BA)

• Ristorante “Savì” - via San Giacomo. Condotto dallo chef Nicola Savino, già chef a Dallas dove ha servito al presidente Bush ed al famoso cantante Frank Sinatra le polpette al sugo pugliesi. Qui ha inventato le crepès pugliesi, panzerottoni (dolci o salati) ripieni di leccornie regionali.

Turi (BA)

• Ristorante “Menelao” - via Sedile, 46. A Santa Chiara in un palazzo signorile del 1600 nella cittadina custode dell’”oro rosso”, la Ciliegia Ferrovia. Aperto da Michele Boccardi che dopo la laurea in economia e commercio e l’abilitazione di commercialista è diventato Marketing Manager alla Scuola di Economia & Turismo di Londra. Visto il successo ottenuto dall’aver trasformato

Da sinistra: Ignazio Capasso (imprenditore nel campo della plastica), Saverio Buttiglione, lo chef Pasqua- le Fatalino e Pino Sguera (Presidente di Teleregione) davanti al ristorante Antica Locanda di Noci
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la masseria fortificata di famiglia “Menelao”, sulla strada per Rutigliano, in eccellenza per la banchettistica, i ricevimenti, le cene di gala ed i meeting, con “Santa Chiara” affronta la sfida della cucina di alta classe internazionale. Dispone di un’ottima cantina di vini ed offre prodotti tipici, sia nazionali che d’oltremare, dai cappelletti con cicoriella campestre su letto di fave alla costata di manzo podolico della Murgia non disdegnando però il salmone Balik norvegese o la costata di manzo della val di Chiano della Toscana. Infotel: 080-8911897.

Castellana Grotte (BA)

• “Palace Hotel Semiramide”via Conversano. Affascinante albergo immerso nella natura, accanto al parco dei dinosauri in cartapesta, ospita anche la sede italiana dell’Università Europea per il Turismo, a cinque minuti dalle famose Grotte che richiamano visitatori da tutto il mondo per gli affascinanti percorsi carsici sotterranei lunghi chilometri, famose per le eccezionali stalattiti e le stalagmiti della “grotta bianca”.

•Ristorante e braceria “Le Jardin Bleu Belle” - via Firenze. Affascinante struttura in legno costruita su quella in pietra dell’antico bar della villa comunale, creandone un unico ambiente che guarda dalle vetrate le cime degli alberi che la circondano mentre si gustano squisiti piatti tipici pugliesi.

Alberobello (BA)

•Ristorante “Casanova” - via Monte San Marco, 13. Ricavato in un antico frantoio ipogeo sotterraneo in pieno centro fra i trulli patrimonio UNESCO. I soci Ignazio Spinetti (presidente

Associazione Ristoratori Alberobello) e lo chef Martino Convertino offrono l’ottima cucina tipica pugliese indescrivibile a parole perché semplicemente da gustare in silenzio.

• Museo del vino Antica Cantina Albea - via Due Macelli, 8. Unico completo museo del vino pugliese produce vino anche per il Vaticano, è la storica cantina che prima dell’unità d’Italia inviava, dalla vicina e collegata stazione ferroviaria, i propri vini per tagliaree migliorare quelli di Bordeaux in Francia. Produce “Lui” negramaro in purezza affinato in barrique primi 12 mesi.

• Condotta Slowfood “Alberobello e Valle d’Itria” - via Sisto Sante, 5. Fiduciario Francesco Biasi, promotore dei presidi “salame Capocollo di Marina Franca” (ingrediente delle famose “bombette”), “Cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti” e “Pomodorino di oasi protetta Torre Guaceto”.

• GAL Terra dei Trulli e di Barsento - Via Bligny, 23. Il primo Gruppo di Azione Locale fra quelli in cui, per zone omogenee, è stata diviso il territorio d’Europa, ad essere partito operativamente con gemellaggi in tutto il continente. I GAL sono un’iniziativa UE, che li finanzia col programma “Leader”, al fine di valorizzare le potenzialità dei territori integrando produzioni agricole, artigianali e di piccola industria per uno sviluppo

sostenibile. Questo GAL comprende i comuni di Alberobello, Putignano, Castellana Grotte, Turi, Sammichele, Noci, Gioia del Colle

Andria (BAT)

•Ristorante “Antichi Sapori”contrada Montegrosso. Pietro Zito importante chef internazionale offre la cucina tradizionale pugliese e le antiche erbe ed ortaggi riscoperti e curati nell’immenso orto che ha costruito e nel quale lavora tutta la contrada.

• Cantina Rivera con annessa sala di degustazione, condotta dal presidente di “Movimento Turismo del Vino” Sebastiano De Corato, produce il famoso “Falcone Rivera”.

Corato (BA)

• Cantina Torrevento condotta dal prof. Francesco Liantonio presidente della “Strada dei vini Castel del Monte” guarda lo splendido maniero ottagonale dell’imperatore Federico II di Svevia “Stupor Mundi” patrimonio UNESCO, dove produce eccellenti vini.

Crispiano (TA)

•Masseria Resort “Quis Ut Deus”. Una delle inimitabili “Cento Masserie di Crispiano”, affascinanti masserie in pietra e tufo, ristrutturate per resort di livello e aziende agricole di prodotti tipici quali olio extravergine d’oliva e prodotti caseari.

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Fasano (BR)

• Tenuta Monacelle - Selva di Fasano. Antico monastero di monache del 1700 fatto di trulli, ognuno adibito a stanza d’hotel, con affianco parco nel quale sono ricavate modernissime stanze d’albergo costruite in tufo. Si affaccia dal monte Selva sui sei milioni di ulivi secolari che lo distanziano dal mare di Fasano.

Savelletri di Fasano (BR)

• Masseria Resort Torre Coccaro - contrada Coccaro, 8. Infotel.:080 4827992. Bianca e splendida sul mare, antica torre

Il buffet preparato dagli chefs della struttura è stato inimitabile. Masseria Torre Coccaro è risultata per il 2012 tra i migliori 10 Beach Hotel nella classifica di “Conde Nast Travel”.

Ostuni (BR)

• Grand Hotel Masseria Santa Lucia SS.39, km 23.5 località Costa Merlata. Incantevole resort sul mare sotto la città bianca di Ostuni, diretto da Bartolo D’Amico, presidente ADA Puglia, associazione direttori d’albergo.

Cellino San Marco (BR)

• Cantina Tenuta Albano Carrisi. Prestigioso albergo e ristorante ricavati nella masseria del padre del famoso cantante, don Carmelo, che da il nome al vino più prestigioso qui prodotto.

Fry” per un 18 buche “par71” di 6192 metri, con ben sette ettari di specchi d’acqua, accanto al “Castello di Acaya”, costruito seguendo le nuove esigenze fortificatorie dell’epoca dovute all’affermarsi delle armi da fuoco ed ora esempio di moderno restauro. L’albergo resort della catena Hilton è costruito nel ricordo stilistico degli antichi monasteri con una grande piscina esterna ed un’importante SPA di ben 1200 metri quadri.

Bari

di avvistamento della linea difensiva dalle scorribande dei Saraceni del XVI secolo, che andava dal Gargano al “finibus terrae” Santa Maria di Leuca. Non ci sono parole per descriverla, guardare sul web! La stessa famiglia Muolo possiede la collegata Masseria Torre Maizza infotel: 080 4827838.

Un hotel a 5 stelle con campo da golf 9 buche executive “par27” costruito fra gli ulivi secolari ed affacciato sul mare. A Coccaro Golf Club il 4 novembre, festa della Vittoria dell’Italia nella grande guerra, l’Apulia Golf District dell’architetto Giuseppe Germano e Do You Golf di Ester Monacelli hanno organizzato per il Circuito “Eccellenza di Puglia 2012” la 2a edizione della gara Pitch&Putt, 18 buche stableford con 18 squadre e 36 giocatori.

• Cantina Due Palme. Con avveniristica sala convegni ricavata nella bottaia produce vini ormai famosi nel mondo e vincitori di primi premi al Vinitaly di Verona come il “Selva Rossa”.

Salice Salentino (BR)

• Cantina Conti Leone De Castris. Cantina ricavata nel palazzo dei conti Leone De Castris, dove è nato il primo vino rosè del mondo settant’anni fa,il “Five Roses”. E’ annessa al prestigioso albergo e ristorante di proprietà della famiglia.

Lecce

• Acaya Golf Resort - Strada per Acaya, km.2 località masseria S.Pietro. Infotel: 0832 861385. Splendido campo da golf rivisto e ristrutturato, anche agronomicamente, dallo studio di architetti “Hurdzan

• Eataly Bari - Lungomare, ingresso monumentale Fiera del Levate: Oscar Farinetti ha voluto portare in Puglia Eataly per il sudItalia, affittando e ristrutturando la parte monumentale della Fiera del Levante, facendo affacciare i ristoranti sul lungomare di Bari, offrendo nel capoluogo pugliese le migliori specialità enogastronomiche italiane, così come Eataly fa ormai in tutto il mondo.

www.facebook.com/SlowEconomy - www.issuu.com/SlowEconomy

Oscar Farinetti tra il Presidente del Consorzio DOP Pane di Altamura Giuseppe Barile ed il direttore Saverio Buttiglione
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della redazione

Miss Slow Economy Dicembre

Martina Lenti

Martina Lenti è proprietaria e conduce con la sorella gemella un affascinante resort B&B a Manduria in provincia di Taranto, il PalEat dove si coniugano cibo mediterraneo ed arte in uno stile unico ed inconfondibile

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