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OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE 2014

Magazine di arte contemporanea / Anno III N. 12 / Trimestrale free press

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut: 170/ CBPA-SUD/CS

ISSN 2283-9771

ALEX URSO

Alessandro Roma - Roberto Giriolo - Stefano Bombardieri Eugenio Re Rebaudengo - Giovanni Longo - Giacomo Cossio - Giuseppe Mascaro - Nastynasty - Francesco Gabriele Alex Urso - Le Accademie di Belle Arti


TALENT TALENT

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ERA VULGARIS Roberto Giriolo

oberto Giriolo vive e lavora in un piccolo borgo in provincia di Reggio Calabria ma, ad onor del vero, si potrebbe dire che il suo paese è il mondo intero. È affetto da quel sentimento globalizzante buono, che significa sensibilità empatica verso la condizione critica degli uomini che abitano questo pianeta nell’Era vulgaris, ovvero, come egli afferma “l’era della standardizzazione e della sterilizzazione culturale”. Il ruolo sociale dell’artista è innanzitutto quello di denuncia indiscriminata nei confronti dell’Occidente capitalistico e conquistatore, fomentatore di ostilità e paure nei riguardi del diverso esoticoorientale, il quale poi, però, sorprenderemo consenziente e compiaciuta vittima dell’occidentalizzazione impostagli. È il risultato di quella globalizzazione nociva – all’uomo, alla sua cultura e all’ambiente – delle colonizzazioni, del consumismo e del conformismo di massa. Le ipocrisie e le contraddizioni della società contemporanea, Giriolo le dichiara e le affronta a colpi di colore e a chiare lettere. Difatti, il compromesso che lui stesso stabilisce a favore dello spettatore, consiste spesso nel raffreddare la libido irruente del gesto pittorico integrando sulla tela

- Valentina Tebala

parole o messaggi esplicativi-educativi intrisi di amara e dissacrante ironia (Who sell drama?), corredati da numerosi segni grafici e sagome in cui il nero – un noncolore che per l’artista è sinonimo di assoluta libertà espressiva – regna sovrano. Così, mentre colate di colore puro industriale vengono gettate di fretta direttamente sul supporto con il rischio di lasciare margini di tela vergine incompiuti (e si pensa a Pollock, Franz Kline e ad un certo espressionismo astratto americano), intervengono a mettere ordine le dovute “istruzioni per l’uso”: il disegno e le didascalie, giochi linguistici, nonsense, moniti, segnaletiche. E qui, sopra di tutti, c’è evidentemente Jean-Michel Basquiat, il linguaggio immediato e polemico del Graffitismo e la cultura Underground, con un tocco di Pop. Sì, perché a fare capolino sulle tele – così come sulle tavole o i collages – di Giriolo, troviamo freccette, mappe, cartelli stradali, missili, pompe di benzina e altri oggetti di uso quotidiano, nonché il ripescaggio di personaggi e simboli moderni importanti e pop(olari) come Saddam Hussein o la Statua della libertà, alternata ai Bronzi di Riace, fino alla figura ricorrente del teschio (che, attenzione, per l’artista non è emblema di morte ma 2

di “origine”). Un assemblaggio frenetico di colori e immagini che compongono e illustrano la civiltà vulgaris in una sintesi formale tuttavia equilibrata, suprema e drammatica. In Do the evolution si ricostruisce in poche, rapide, fasi una disincantata “pseudostoria” dell’evoluzione umana, sempre sotto la supervisione di Darwin posizionato al margine destro della composizione: dalla scimmia all’australopiteco, allo splendore della grecità, fino all’ominide contemporaneo dall’identità scancellata e deturpata, alienato o robotico, comunque inevitabilmente risucchiato nella metropoli industriale ammassata e claustrofobica. L’arte di Roberto Giriolo è complessa e loquace; ma ha ancora molto da dire, spazi geografici e culturali da indagare, da invertire oppure da scoprire: come farà nel suo prossimo – per ora segretissimo – progetto. Forse, l’artista etnologo, Colombo contemporaneo, scoprirà finalmente l’isola felice ed incontaminata, che non c’è. Da sinistra: WHO SELL DRAMA, 2011. Tecnica mista su tela, 160x110 cm. DO THE EVOLUTION, 2012. Acquerello e tecnica mista su carta, 50x70 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.


TALENT TALENT

OLTRE LA FORMA SI APRE IL PAESAGGIO Alessandro Roma

- Gregorio Raspa

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lessandro Roma è un artista che da anni propone, attraverso un linguaggio polivalente e metamorfico, un complesso immaginario naturalistico dotato di una carica eversiva capace di tradire il preesistente e corromperne gli schemi, di trasformare ogni osservatore in un moderno flâneur. Con il suo lavoro, infatti, Roma induce all’evasione, propone la vista di un esotismo a tratti romantico, caratterizzato da atmosfere corrosive e vagamente melanconiche in cui, nella maggior parte dei casi, non esiste linea d’orizzonte e le forme che compongono il paesaggio finiscono inesorabilmente per saldarsi fra loro. In questi lavori, piccole porzioni di mondo coabitano su un’unica superficie definendo la geografia di un luogo al tempo stesso alternativo e complementare alla realtà. Roma compone le sue opere assemblando immagini meticolosamente collezionate in un archivio personale bulimicamente alimentato da internet, libri, riviste e giornali. L’artista milanese - oggi di casa a Londra - fa ciò seguendo soluzioni compositive tipiche dell’approccio pittorico “tradizionale”, mescolando il proprio segno ai relitti delle immagini mediali. È attraverso un simile modus operandi che Roma ripropone nei suoi lavori la carica sperimentale delle grandi avanguardie del Novecento recuperando, ad esempio, il gusto per il polimaterismo dadaista e reinterpretando la spontaneità e l’azzardo dell’automatismo psichico surrealista. Più in generale, quello con la storia è un confronto a cui l’artista non si sottrae e a cui, anzi, guarda con ambizione ed interesse compendiando nella sua ricerca elementi primigeni del linguaggio pittorico come il dettaglio figurativo, proprio della tradizione paesaggistica, e l’audacia compositiva tipica dell’astrattismo. Tuttavia, pur accettando il confronto con la storia, e spesso cercando quello con la suggestione letteraria, Roma si dimostra abile a preservare, con lucidità ed intelligenza, l’identità contemporanea del proprio lavoro narrando, per mezzo di una personale dimensione estetica, i repentini mutamenti del mondo. Nelle sue opere infatti si riflette, amplificato da una prospettiva caleidoscopica, l’universo circostante, si mescolano le componenti di una realtà in continuo divenire, emergono scenari ottenuti per mezzo di reiterati esercizi di manipolazione, ibridazione e riorganizzazione del vero. Particolari, a tal proposito, appaiono gli innesti di elementi antitetici, naturali e artificiali, sperimentati in alcune opere dove la bidimensionalità dei collages - pittorici o cartacei - lascia spazio a composizioni tridimensionali - originali bassorilievi - e a sculture in cui, in maniera volutamente precaria, si sovrappongono materie capaci di suggerire l’ambiguità dei contaminati spazi odierni. È questa una suggestione efficacemente riproposta - anche - nelle più ampie installazioni ambientali realizzate dall’artista con dipinti, sculture, poster e stendardi collocati nello spazio secondo una disposizione apparentemente casuale ma, in realtà, direttamente ispirata dal medesimo automatismo che governa la composizione delle opere pittoriche. È un processo inconscio, quello appena accennato, che Roma prova a distillare - forse per comprendere in fondo e custodire - nei titoli attribuiti ai lavori una volta conclusi, piccole dichiarazioni - quasi confessioni finalizzate a cristallizzare nella parola le intenzioni estetiche e morali di un gesto artistico complesso, che guarda al mondo e all’inesauribile immaginario che di esso l’uomo produce e, senza sosta, nel quotidiano consuma. Dall’alto: UNTITLED, 2014. Olio, colore spray, matita, acetato e collage su carta, 50x39 cm. GENERALLY DARK AND DIM, 2013. Matita di grafite e foglia d’ottone su carta, 150x122 cm. Per entrambe courtesy Z2O Galleria | Sara Zanin e dell’artista.

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INTERVIEWS

UN’INASPETTATA MERAVIGLIA Stefano Bombardieri

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- Loredana Barillaro

utto è iniziato nello studio del padre scultore, e tutto, da subito, parla di arte, ogni elemento può essere quello giusto e attrarre a sé l’attenzione di Stefano Bombardieri. Una relazione dal duplice aspetto, emotivo e razionale, e in cui ogni cosa diviene ispirazione. E sono i sogni che a un certo punto prendono vita in una perfezione, forse solo apparente, dalle grandi dimensioni, pronta a sorprenderci determinando un impatto visivo forte, marcato, all’interno di contesti che necessariamente vengono ripensati nelle proporzioni, mutati nelle componenti più profonde, laddove il contesto è soprattutto interiore. Animali utilizzati come pretesto per parlare d’altro, allegoria di un sentimento collettivo di cui, troppo spesso, forse ci si dimentica. Una continua sorpresa, la libertà della creazione in cui tutto si anima per simboli e metafore di un viaggio, quello umano, attorno a se stessi, intriso di sensazioni e stati d’animo. Un bagaglio immateriale fatto di luci, suoni e atmosfera...

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Loredana Barillaro/ Sei uno scultore nel senso più autentico del termine. Come riesci, attraverso il tuo lavoro, a coniugare un’idea contemporanea della scultura ad una visione tipicamente ottocentesca del monumento? Stefano Bombardieri/ Se per scultore si intende saper scolpire o modellare posso dire di esserlo, può sembrare una precisazione banale, in realtà, oggi, ci si può definire scultori e fare scultura anche senza impugnare uno scalpello o sporcarsi le mani di creta, trovo questo del tutto lecito e “contemporaneo”, viste le possibilità offerte dalla tecnologia e dall’informatica. Se mi spiegassero quale scultura è più contemporanea rispetto ad un’altra potrei rispondere a questa domanda, non considero un’opera astratta o installativa più contemporanea di una scultura “ottocentesca” usata per esprimere un’idea contemporanea. LB/ Le grandi dimensioni suscitano un impatto visivo molto forte, ad esempio nel caso di opere installate negli spazi più ampi dei contesti urbani, poiché sembra realizzarsi una cesura nella fruizione, una sorta di “interruzione” fra la spiazzante massa scultorea e lo spazio urbano che di norma ci troviamo ad occupare …

SB/ Le grandi dimensioni sono capaci di superare i vari livelli di comprensione per arrivare direttamente a ciò che di più profondo abbiamo dentro noi stessi, stimolano direttamente quelle corde che ci fanno comprendere quanto ci sia di ancestrale nella nostra esistenza, come una spugna che ci pulisce da un rumore di fondo e ci fa sentire e vedere meglio. La scultura nel contesto urbano deve essere necessariamente di grandi dimensioni, è una questione di proporzioni.

l’aspetto ludico prevale l’effetto sorpresa, la meraviglia intesa come visione inaspettata.

LB/ La perfezione nei tratti rende le tue opere estremamente veritiere, al contempo per la presenza del colore acquistano un che di ludico, qual è il carattere che prevale?

SB/ Affermando questo dico una cosa del tutto banale, il mio, più che un messaggio, è un promemoria, un monito. La forza espressiva delle mie opere credo stia nell’usare l’animale come metafora per porsi interrogativi sull’uomo, il rinoceronte appeso parla del “Peso del tempo sospeso”, l’animale sul bagaglio rappresenta ciò che portiamo con noi o sopra di noi, esperienze di vita, dolori, momenti, oggetti che ci ricordano un vissuto, è un migrare continuo fuori da noi e un viaggiare perenne dentro di noi.

SB/ Le mie opere sono tutt’altro che perfette nei tratti, sono molto lontane dall’essere considerate iperrealiste, non sono interessato alla tecnica esasperata ma piuttosto ad una “risoluzione” più scenografica della scultura, diventa quindi fondamentale il contesto più che la perfezione del tratto. Il colore in sé non ha nulla di ludico e io, in realtà, ho poca sensibilità per il colore, tant’è vero che la quasi totalità dei miei lavori virano sulle tonalità dei grigi o al massimo su colori sporcati. Più che

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LB/ Affermi che il mondo animale è un tramite fra l’uomo e la sua incapacità di comprendere e difendere la terra che abitiamo. Quanto pensi sia potente il messaggio che lanci mediante questi animali dall’apparenza malinconica e che sembrano peraltro ricordare il migrare continuo dei popoli…

Da sinistra: BAGAGLIO ELEFANTE. Fiberglass, ferro, tecnica mista. Courtesy Bel Air Fine Art, Ginevra. THE ANIMAL’S COUNTDOWN - IPPOPOTAMO 156896. Fiberglass, display. Courtesy Mark Hachem Gallery, Beirut.


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LE ACCADEMIE DI BELLE ARTI Loredana Barillaro

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e Accademie di Belle Arti sono luoghi di talento ma allo stesso tempo enti di alta formazione, finalizzati alla didattica e alla ricerca e in quanto tali hanno la responsabilità e il dovere di contribuire allo sviluppo del futuro delle nuove generazioni. In questo senso, senza per nulla tradire la propria natura e, anzi, salvaguardando con convinzione la propria identità, le accademie, nella consapevolezza che l’arte è un grande motore di trasformazione individuale e collettiva, propongono obiettivi formativi da un lato congrui con le richieste della società di oggi e dall’altro capaci di stimolare la crescita attraverso la ricerca di nuovi modelli di natura artistica, esistenziale e comportamentale. Come tutte le istituzioni di alta formazione, le accademie operano in conformità dei principi indicati dall’U.E. per la costruzione dell’“Europa della conoscenza” sintetizzati nella formula “sapere, saper fare e saper essere”. Essere artista è una scelta, che attraverso una pratica quotidiana, dura una vita intera. Aurora Spinosa - ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI

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na formazione necessaria per il progresso della società, è così che l’Accademia di Belle Arti si pone come ponte fra la tradizione e l’innovazione, in grado di formare artisti e figure dalle più ampie capacità professionali. Ci siamo rivolti ai direttori di alcune delle Accademie presenti in Italia, abbiamo chiesto loro quale possa essere oggi la filosofia alla base del lavoro di un’accademia di belle arti, quanto sia cambiata la sua natura negli ultimi tempi e se può ancora definirsi fucina di creatività e luogo di formazione del talento. E ancora chi è l’allievo che una volta fuori sarà davvero un artista? Ciò che è emerso è la necessaria apertura alle nuove tecnologie in un contesto in cui l’arte diviene motore fondamentale per la trasformazione degli individui e la crescita umana delle nuove generazioni…

n controtendenza con le iscrizioni all’Università, tutte le Accademie delle Belle Arti italiane conoscono un considerevole incremento di iscrizioni. L’Accademia Albertina di Torino negli ultimi due anni ha avuto un aumento degli iscritti pari a circa il 13%. L’Albertina sta puntando ad un insegnamento di altissima qualità, cosa che peraltro l’ha sempre contrassegnata, ma tale eccellenza dei corsi proposti, a cui vogliamo tendere, si volge verso un nuovo segno dell’internazionalità della nostra Istituzione. Questo significa che l’aumento degli studenti stranieri diviene un’ulteriore possibilità di espansione e di conoscenza della nostra cultura e della nostra arte nei paesi degli studenti che decidono di studiare nel nostro paese. Ad esempio, un recente accordo che la mia Accademia ha siglato con una grande casa editrice di Pechino, ci permetterà di essere presenti con la nostra arte giovane ai massimi livelli dinanzi all’immensa platea asiatica. L’Accademia ha saputo quindi aprirsi alle nuove esigenze artistiche nate negli ultimi anni; l’incontro con la tecnologia ha creato nuovi indirizzi di studio che hanno ottenuto un considerevole successo tra gli studenti. La sfida è mantenere queste nuove istanze sempre ad un livello competitivo con altre realtà d’arte europee che hanno investito grandemente nelle nuove tecnologie come specificità dei loro insegnamenti. L’Accademia che dirigo, accanto al potenziamento degli indirizzi di cui si diceva prima, pone anche al centro del rinnovamento artistico le scuole classiche dell’Accademia, (pittura, scultura, decorazione, scenografia e grafica) che rappresentano le “scuole del fare” oggi particolarmente ambite perché assenti dall’insegnamento universitario artistico di tipo essenzialmente teorico. Le Accademie sono quindi il luogo storico della creazione e lo saranno anche in futuro; la figura dell’artista di tipo “romantico” ormai non esiste più. L’artista dell’Accademia, che non rinuncia al suo talento, sa dialogare con il presente, esercitando vaste gamme di competenze che lo rendono un professionista della comunicazione artistica. Salvo Bitonti - ACCADEMIA ALBERTINA DI

BELLE ARTI DI TORINO

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l settore della formazione Universitaria e nello specifico dell’Alta Formazione Artistica rappresenta la risorsa fondamentale per la crescita della società che si basa sulla qualità e le competenze del capitale umano. L’Accademia di Belle Arti in Italia è la massima espressione della formazione artistica. È ancora oggi ovviamente luogo privilegiato della creatività con una formazione integrata tra pratico e teorico che ne fa un unicum nel panorama universitario italiano poiché oltre che esercitare un alto livello di formazione ed aprire a nuovi sbocchi occupazionali è chiamata a portare consapevolezza, sviluppare capacità interpretative e creative nuove. È un settore che pur conservando un legame forte con la tradizione artistica nazionale ed europea si sta evolvendo verso le nuove tecnologie e le forme contemporanee dell'arte. L’Accademia non forma solo artisti che comunque continuano ad emergere numerosi dalle fila degli studenti, ma anche figure professionali complete che trovano collocazione in un mercato del lavoro in piena evoluzione. Dalle Arti Visive al Teatro, dai nuovi Media al Digitale, dai Beni Culturali all’Industria dell’intrattenimento e alla Moda. A tale riguardo, occorre avere la capacità di prevedere le tendenze future per orientare i percorsi formativi a sfidare i profondi cambiamenti sociali ed economici che saranno ancora più sconvolgenti nei prossimi anni. Maria Daniela Maisano - ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI

REGGIO CALABRIA

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na volta le Accademie erano gli unici centri preposti alla formazione del sapere artistico, con la riforma seguita alla legge 508 del 1999, molte cose sono cambiate. Con il riconoscimento legale da parte del CNAM del titolo di studio di IED, Istituto Marangoni, NABA ecc., questa esclusività della formazione artistica è finita, e quindi esistono oggi varie strade per lo studio e lo sviluppo dell’istruzione artistica in Italia. Detto questo, secondo me attualmente in Italia le Accademie mantengono ancora, a costi contenuti, una buona specificità nello studio dell’arte e delle pratiche artistiche. Nel tempo si è cercato di introdurre un concetto di creatività allargata, rispetto a quando prevaleva un’idea di arte tout court. Con scuole quali Fashion, Graphic Design, Arredo urbano e Nuove tecnologie per l’arte, si è allargata la platea alla creatività, al mondo delle arti applicate e alle professioni specialistiche, nonché ai nuovi linguaggi usati nei propri lavori dagli artisti contemporanei: la fotografia, il video o la performance. Ritengo che le Accademie, tra molte difficoltà, nei propri laboratori artistici riescano ancora ad assecondare e ad alimentare le fantasie e il talento dei futuri artisti. Certo non è automatico una volta usciti dall’Accademia diventare artisti, oggi dopo gli studi, e grazie appunto alle nuove scuole gli studenti trovano la loro strada, esercitando le proprie doti di creatività, in professioni quali la pubblicità, la moda, il design, il cinema e io credo che in tutte queste professioni emerga sempre una forte dose di innovazione e fantasia, chiaramente appresa ed esercitata nei laboratori. Per quello che riguarda l’arte in senso stretto diventare artisti oggi richiede, oltre alle capacità tecniche, conoscenze di natura diversa, importantissimo l’approfondimento di una o più lingue straniere, la disponibilità nei rapporti umani e nelle pubbliche relazioni, i viaggi e le relazioni internazionali, che da noi vengono sollecitate con i progetti “Erasmus” per lo studio in altre istituzioni d’Europa, e il programma “Turandot” per gli scambi con altri paesi extracomunitari. Pietro Di Terlizzi - ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI FOGGIA 7

SMALL ZINE Magazine di arte contemporanea Direttore Responsabile: Loredana Barillaro Redazione e Grafica: Luca Cofone Stampa: Gescom s.p.a. Viterbo Redazione: Via della Repubblica, 119 - 87041 Acri (Cs) Editore: BOX ART & CO. Associazione Culturale Iscrizione R.O.C. n. 21467 del 30/08/2011 Legge 62/2001 art. 16 Contatti e info: 3393000574 / 3384452930 smallzine@hotmail.com www.smallzine.it Hanno collaborato: Valentina Tebala, Gregorio Raspa, Martina Adamuccio, Pasquale De Sensi © 2014 BOX ART & CO. È vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati, senza l’autorizzazione dell’Editore. In copertina: Alex Urso, FAMILY PORTRAIT, 2012. Paper assemblage, wooden frame, 22x25 cm (part.). Courtesy dell’artista Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista.


IN QUALSIASI PARTE DEL MONDO Eugenio Re Rebaudengo

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rescere in una famiglia di collezionisti mi ha regalato il privilegio di vivere da sempre a contatto con artisti e opere d’arte contemporanea. Questo ha fatto sì che, nel tempo, abbia stretto relazioni di amicizia, alcune delle quali sono poi diventate anche lavorative, con collezionisti, curatori e galleristi provenienti da tutto il mondo. Quando mi sono trasferito a Londra per completare il mio Master in Management alla London School of Economics, ho cominciato a vedere quello stesso contesto da una altro punto di vista. Il contatto costante con esperti del settore mi ha permesso, inoltre, di conoscere il mercato dell’arte ancora più dall’interno, portandomi a pensare un progetto che mi permettesse di far coesistere la mia passione per l’arte e interessi per l’impresa e per il mercato, acquisiti durante i miei studi universitari. Vivere in un contesto come quello di Londra, il più grande centro europeo d’arte e di cultura, mi ha dato l’energia e le giuste opportunità per realizzare un progetto personale che aveva come intento primario quello di avvicinare al mondo del collezionismo un numero sempre maggiore di persone, garantendo un approccio anche educativo. Il primo prototipo di ARTUNER nacque proprio alla London School of Economics, con un team di altri studenti, durante un lavoro di gruppo per un corso di gestione d’impresa. Il progetto vinse il “LSE Management Award” per migliore idea e business plan, e questo mi bastò per decidere

di realizzarlo. Era il momento giusto per creare ARTUNER, proprio come risposta alle esigenze di quei giovani e futuri collezionisti, ma naturalmente anche dei collezionisti già affermati. ARTUNER è stato creato per essere una piattaforma online incentrata a provvedere un libero accesso a una selezione di opere d’arte contemporanea di qualità, disponibili a una dettagliata visualizzazione direttamente sul sito tramite una galleria virtuale, e alla vendita diretta ed esclusiva. Io credo che il fatto di poter comprare arte solo tramite immagini digitali, senza vederla prima con i propri occhi, sia una tendenza positiva perché elimina i limiti geografici e temporali di chi non potrebbe, per svariati motivi, viaggiare per vedere l’opera. Ora è l’opera a viaggiare verso il collezionista, in qualsiasi parte nel mondo. Lanciare un business di questo genere comporta molte difficoltà logistiche e legali, considerando che la realtà online è ancora nuova seppur in grande espansione. Ci sono ancora poche regole scritte, pochi sono i business che si affidano totalmente a Internet e inoltre, cosa fondamentale, l’opinione pubblica è la base dei feedback che riceviamo ogni giorno, ancora più dei numeri e dei dati. Tutti questi elementi di rischio comportano non poco lavoro e stress quotidiano, ma il rischio è anche la parte entusiasmante ed eccitante di lavorare in una start-up. Ogni momento è un possibile confronto tra me e il mio team, alla base di scoperte e idee che vanno a comporre velocemente 8

PEOPLE ART

i pezzi di un progetto mai del tutto predefinito. Quello appena passato è stato un anno sicuramente produttivo; abbiamo lavorato a quattro show online di grande rilevanza tra cui non solo la mostra dedicata a Luigi Ghirri, curata da Filippo Maggia, ma anche quella che presentava opere rare o inedite di Nobuyoshi Araki e Daido Moriyama. In collaborazione con due tra i più acclamati giovani curatori operanti in Gran Bretagna, Adam Carr e Andrew Bonacina, abbiamo poi elaborato due interessanti mostre collettive, positivamente accolte dal pubblico e dalla critica. Nell’ultimo periodo, oltre a continuare i nostri progetti digitali, stiamo allestendo vere e proprie mostre fisiche in spazi popup, che ci permettono di lavorare in concomitanza con eventi particolari e di forte richiamo nel mondo dell’arte a seconda di dove essi si svolgono. Tra queste, qui a Londra durante il periodo di Frieze presenteremo presto un’esposizione dedicata a uno dei più promettenti artisti italiani, Gabriele De Santis. Subito dopo avremo una mostra a Torino in concomitanza con Artissima dove presenteremo in un ampio spazio industriale in prossimità della fiera, il lavoro di tre artisti: Sebastian Lloyd Rees, Max Ruf e Adriano Costa. Stiamo inoltre collaborando con un’importante organizzazione inglese, Bloomberg New Contemporaries, il cui intento è quello di promuovere giovani artisti emergenti, per lanciare una mostra dedicata ai lavori di alcuni dei partecipanti al programma negli anni precedenti. Infine in primavera abbiamo in programma altri grossi progetti a Parigi e Berlino. Per chi si chiede cosa pensi dell’avvento del digitale nel mondo dell’arte, non nego che l’esperienza di visitare un museo o una galleria d’arte di persona sia insostituibile, e sono il primo che spende molto del suo tempo a visitare mostre, istituzioni e studi d’artista. ARTUNER non vuole essere un sostituto a quel tipo di esperienza formativa, ma è piuttosto un’aggiunta, un ulteriore supporto per far sì che un più ampio pubblico possa esplorare e scoprire nuove realtà come quelle dell’arte contemporanea. Ed entrare nel fantastico mondo del collezionismo.

Eugenio Re Rebaudengo durante l’opening della mostra di Christian Rosa alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Courtesy Eugenio Re Rebaudengo.


SHOWCASE

ALEX URSO | a cura di Pasquale De Sensi

BORN TO FLY AWAY, 2014. 26x26x24 cm. Courtesy dell’artista.

NON SI GUARDA, SI ENTRA NELL’OPERA DI ALEX URSO di Solidea Ruggiero

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vvertire l’esigenza continua di percorrere linguaggi differenti, con la consapevolezza che la distanza da essi racchiuda una credibilità artistica proprio nella sua totalità, come se ogni salto tecnico fosse legato all’altro. Vertere il senso e piegare l’interno a evoluzioni interpretative. L’avvertimento che quello a cui si assiste non può essere vissuto solo frontalmente, ma esige un movimento attorno ad esso, pretende attenzione da tutti i lati. Non si guarda, non basta osservare, si entra nell’opera di Urso. La sceneggiatura principale che è l’alcova del contenuto, si esprime attraverso una scenografia tappezzata da oggetti che gli altri chiamano “scarto” e che Alex recupera, pulisce, rianima, costruendo nuove dinamiche di suggestione che invitano a sottotesti disarmanti, surreali, dissacranti, rifiniti con una minuzia ai limiti della più patologica precisione. Tutta l’opera di Urso è la messa in scena di un’indagine cucita con un lirismo altissimo che ricolloca ogni volta i personaggi in una nuova autonomia. L’artista, che è la somma di una formazione filosofico-letteraria e artistica complessa e necessaria alle sue evoluzioni, si è appropriato di tutte le tecniche che si distanziano dalla iniziale e pura pittura, la quale, come dice lo stesso: “mi blocca, mi circoscrive, mi obbliga ad un limite, ad uno spazio, un formato. La tela mi respinge. Gli oggetti mi chiamano”. Ed è proprio nell’assemblaggio, nel collage, nella ricerca spasmodica di materiali poveri, arrugginiti e abbandonati semplicemente perché hanno esaurito il loro utilizzo iniziale, che Alex monta, mescola, piega e scolpisce visioni che fanno da ponte tra la quotidianità e il suo intimo e familiare, tra il personale e il pensiero universale. 9


SMALL TALK

LA DITTATURA DELLE IMMAGINI Nastynasty

Gregorio Raspa/ Perché Nastynasty? Il vostro nome d’arte, dietro una vaga innocenza, sembra celare un carattere quasi provocatorio. “Nasty”, in inglese, può significare sgradevole, indecente, osceno ... Nastynasty/ Volevamo trasparisse la nostra attenzione (e fascinazione) per il lato perverso dell’immagine. Ogni immagine pretende di essere interpretata e la sequenza fotografica impone la visione delle cose. Le immagini hanno un incredibile potere manipolatorio perché nascono dall’esigenza di suscitare il desiderio, quindi esercitano un controllo. Il nostro punto di partenza è questo potere che ha l’immagine di corrompere l’uomo. GR/ Fotografie, video, libri d’artista e altro ancora. La vostra ricerca sembra proprio non conoscere confini disciplinari e/o metodologici... N/ Ogni supporto in grado di ospitare un’immagine diviene per noi oggetto d’indagine. Fin da subito abbiamo capito che oltre al messaggio è importante come veicolarlo, che ogni idea per essere sviluppata ha un suo giusto mezzo mediatico. A seconda di ciò che ci interessa comunicare cerchiamo il media più efficace nel tradurre il concetto che sta alla base del lavoro.

- Gregorio Raspa

GR/ La catastrofe è uno dei temi ricorrenti nelle vostre opere che, spesso, costringono lo spettatore a prendere confidenza con una dimensione fortemente ansiogena. Il vostro è più il tentativo di raccontare le paure contemporanee o di esorcizzarle? N/ Non si tratta né di raccontare né di esorcizzare, è semplicemente un prendere atto di un aspetto che oramai fa parte del nostro modo di essere. Ci interessa come la catastrofe (dal greco Katastrophe = cambiamento) abbia assunto un’accezione fortemente negativa eppure, nonostante ciò, venga trattata dai media occidentali come puro entertainment. GR/ In molti vostri lavori appaiono spesso simboli - come l’uniforme militare - che, in maniera più o meno esplicita, alludono all’autorità e al potere. Esiste in questi elementi una chiave politica della vostra ricerca? N/ L’uniforme militare allude al rigore e al dovere, è un simbolo illusorio di sicurezza, una parola che oggi ha assunto anche il significato di controllo. Le divise in realtà sono innocue rispetto alle telecamere di sorveglianza presenti ovunque, agli smartphone sempre attivi

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con gli obiettivi puntati su tutti noi, o al web attraverso il quale ogni scelta commerciale viene monitorata. Possiamo dire che esiste una chiave politica della nostra ricerca: si tratta di un invito a sviluppare anticorpi che ci difendano dalle fotografie. GR/ Mi parlate di BlisterZine? Come questo ambizioso progetto editoriale si inserisce nel vostro più ampio percorso di ricerca? N/ BlisterZine è un progetto editoriale nato nel 2008, quando abbiamo deciso di auto-pubblicare una serie di monografie fotografiche sul territorio romagnolo, una sorta di guida turistica solo per immagini. Poi abbiamo cominciato a pensare a progetti in “forma di libro” realizzandoli interamente a mano, ampliando in seguito la nostra ricerca editoriale attraverso il coinvolgimento di altri artisti, invitandoli a trattare il libro come uno spazio espositivo e al contempo come multiplo di un loro e nostro lavoro. R.I.P. (Real Italian Patriot), 2011. 3 video-fotografie digitali. Per tutte courtesy NASTYNASTY © (Emiliano Biondelli & Valentina Venturi)


SMALL TALK

UNA VITA A COLORI Giacomo Cossio

- Martina Adamuccio

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oto, oggetti, fiori, fantasia ma soprattutto colori, formano i lavori di Giacomo Cossio. Una stratificazione di materia e vissuto che porta ad una seconda vita oggetti di uso comune quali attrezzi, macchine, trattori, ma anche la figura umana. Un lavoro in cui ritrovare tracce di una natura che non si può afferrare né definire, ma che ci segue e ci inonda dei suoi colori come un fiume in piena. Una costruzione pittorica ma allo stesso tempo scultorea, in cui le opere paiono renderci partecipi da vicino di ciò che le ha costituite e formate. Arcobaleno di colori che la natura offre, ci ricorda che “tutto ciò che vediamo è sorto da una massa di colori trasformata in piano e volume, e ogni macchina, cosa, persona, tavola è un sistema pittorico di volumi predisposto per scopi precisi” (K. Malevic).

Martina Adamuccio/ Come è iniziato il tuo percorso in campo artistico?

queste certezze. MA/ Oggetti quotidiani vengono scomposti e ricomposti in maniera continua, ma cosa ti porta a scegliere un determinato oggetto rispetto ad altri?

Giacomo Cossio/ La pittura mi ha sempre colpito molto. Nel senso che fin da ragazzo era una forma di espressione che mi corrispondeva. Poi, dopo l’Università, ho provato seriamente a dipingere. Ora, a quarant’anni, non ho ancora capito come funziona.

GC/ Le macchine, i trattori, gli escavatori, i pianoforti, le piante nel vaso, i giardinetti, mi piacciono molto. La regola, a mio parere, è che quando un oggetto ti fa venire voglia di mangiarlo allora è quello giusto. Non sempre capita e allora è meglio lasciar perdere.

MA/ Il 18 ottobre inauguri la tua personale “L’ultima ruota del carro”, presso la Galleria Bonioni Arte di Reggio Emilia... GC/ Trovo molto stimolante l’incontro con la Galleria Bonioni. penso possa farmi bene e farmi crescere. La mostra vorrebbe essere una carrellata sul tema delle macchine, tema sul quale lavoro già da parecchi anni. Il titolo vuole essere un riferimento alla ruota e al tempo stesso un omaggio alla figura disgraziata ma eroicamente vitale di Van Gogh, con i suoi colori e la sua caparbietà è sempre stato per me un vero punto di riferimento. La mostra però è sostanzialmente il risultato di dieci mesi di lavoro. Sono convinto che celi al suo interno una trasformazione, un cambiamento, un vero progresso nel mio modo di lavorare; credo di essermi liberato da qualcosa che rendeva la mia pittura un po’ retorica. Comunque l’incontro con la galleria Bonioni mi ha stimolato, spronato. È molto importante avere un interlocutore che comprenda cosa potresti fare e ti mette nelle condizioni di poterlo fare.

MA/ Cosa vuol dire per te, oggi, fare arte? GC/ Oggi per me fare arte è costruire un’alternativa a ciò che del mondo non mi piace: resistere alle tentazioni omologanti, sapere ciò che si è e ciò che si vuole, cercare la propria identità. Tutto questo all’interno di un processo in cui la pazienza e il saper aspettare e accettare i propri limiti sono passaggi fondamentali. I tempi sono tutti umani. Quindi tentare di fare arte non è un viaggio rassicurante. MA/ Tre parole per definire il tuo lavoro. GC/ Colore, processo e intensità. MA/ Non bisogna mai fermarsi ma sempre guardare in avanti, per cui, cosa bolle in pentola per il futuro?

MA/ Stratificazioni di materiali differenti in cui il lavoro diventa costruzione pittorica ma anche scultorea. Un rimando visibile agli studi architettonici del passato?

GC/ Trovare me stesso e la mia identità.

GC/ A volte quello che si crede di sapere è ciò che bisogna dimenticare ed è spesso nemico, e ciò che non si sa è la strada per trovare se stessi. Quindi l’architettura ha sicuramente accentuato la mia vocazione costruttiva, derivante anche da un grande amore per Cezànne, ma adesso è venuto il momento di demolire tutte

TRATTORE INTRAVISTO IN UN PRATO, 2014. Collage e tecnica mista su tavola, 106x106x8 cm. Courtesy Galleria Bonioni Arte. Foto Dario Lasagni.

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L’IMPREVEDIBILITÀ DI UNA RICERCA Francesco Gabriele

- Loredana Barillaro

Loredana Barillaro/ Francesco, cos’è importante comunicare con il tuo lavoro?

confronto con quello che significa oggi fare arte e per me non c’è libertà maggiore nell’arte che dare vita ad un’opera scegliendo accuratamente un materiale - oggetto o qualsivoglia elemento - per le cui virtù sento di essere stato scelto a mia volta, in una sorta di sorprendente complicità. Per questo motivo, esplorare gli elementi che utilizzo non è mai frutto di una casualità, quanto piuttosto, la possibilità di non vincolare le mie linee guida a qualcosa di prestabilito.

Francesco Gabriele/ Siamo pervasi da svariate forme di comunicazione, e l’arte, in qualità di “linguaggio”, si pone in relazione tra un microcosmo – quello dell’artista – e un macrocosmo, fatto di immagini, persone, oggetti che grazie ad esso si traducono assumendo quella forma a me più congeniale (secondo le mie inclinazioni poetico-estetiche), per giungere ad un fruitore sicuramente attento e sensibile a questo tipo di linguaggio, non disdegnando i diversi modi con i quali esso verrà percepito. Mi affascina vedere come l’opera, una volta finita intraprenda un cammino che la porterà a crescere ancora, stupendo prima di tutto me stesso; questo mi permette di pensare che, al giorno d’oggi, sia importante non solo dare risposte, ma anche porre interrogativi nuovi, o da nuovi punti di vista. In base alla mia formazione accademica di scultore, credo sia certamente importante, per un artista, acquisire una tecnica in grado di supportare il proprio pensiero, quell’abilità necessaria, appunto, per porre nuovi interrogativi, e che dovrà inevitabilmente uscire dagli schemi sovvertendone le regole in base alle proprie esigenze poetiche.

LB/ Quanto è concettuale il tuo approccio all’arte? FG/ Che l’arte, dalle avanguardie in poi sia da considerare concettuale nella sua quasi totalità, non è di certo un mistero. Altrettanto vero è che la mia finalità principale è quella di conservare, attraverso le mie opere, un enigma che non venga immediatamente svelato al fruitore ma che, anzi, per mezzo di specifici elementi, apra un dialogo con esso mettendo in rapporto dualismi quali vita/morte, peso/leggerezza, anima/corpo, positivo/negativo. Aspetti di cui mi occupo relazionandomi con la vita, la fede e l’invisibile.

INVASIONE, 2014. Metallo. Veduta della mostra “Le forme dell’esistenza”, Artespazio, Catanzaro. Foto Federico Losito.

LB/ Le tue opere prendono forma mediante l’utilizzo di svariati strumenti… FG/ L’utilizzo di diversi materiali, dallo specchio al metallo, dalla fotografia agli elementi della natura - come la rosa, che spesso compare nei miei lavori - comporta, come dicevo, un costante 12


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IPOTETICI MONDI Giovanni Longo

- Luca Cofone Luca Cofone/ Il tuo lavoro acquista una forte connotazione sociale, penso ad esempio all’opera Uomini compressi, recentemente esposta in Belgio al Kunstenfestival di Watou, in cui rifletti sulla condizione dell’essere umano contemporaneo … Giovanni Longo/ Solitamente non inizio a progettare con l’idea di dare a tutti i costi una connotazione sociale, capita inevitabilmente che il contesto in cui lavoro interferisca nel processo creativo come nel caso degli Uomini compressi. Ma non è sempre così. In Operazioni sociopatiche, per riflettere sulla compenetrazione tra mafia e politica, adotto il meccanismo inverso, rivolgendo l’attenzione alla fase precedente il prodotto di quella deleteria sinergia. Il risultato va oltre la mera analisi della problematica e pone il fruitore di fronte a una scelta da esaminare individualmente. LC/ Qual è il mezzo attraverso cui riesci a manifestare al meglio le tue esigenze espressive? GL/ Per la mia formazione di scultore prediligo lavorare con le tre dimensioni, specialmente se in funzione di spazi specifici. Anche quando utilizzo il disegno finisco inevitabilmente per concepire ipotetici ambienti o sculture. Ritengo tuttavia opportuno scegliere il mezzo ideale rispetto a ciò che voglio ottenere e agire di conseguenza, senza pormi limiti realizzativi. LC/ Parlami della serie di lavori realizzati con il legno di recupero. Il suo utilizzo nella creazione di “fossili” sembra una pratica costante... GL/ I Fragile Skeletons sono una parte importante dalla mia esperienza creativa e generano stimoli sempre nuovi. Dal puro studio scientifico dell’anatomia, alla ricerca materiale, al parallelo concettuale. Quello che recentemente sta accadendo con queste opere rimane per me affascinante e misterioso. Del semplice legno assemblato, recuperato lungo le foci delle fiumare locresi, viene recensito in arabo, russo, cinese. Ciò mi induce a riflettere su come l’arte visiva possa travalicare i linguaggi e la prospettiva presente per raggiungere dimensioni inaspettate. Attualmente per questa serie sto portando a termine nuovi progetti, anche di grandi dimensioni, e recentemente una di queste sculture è stata scelta per l’esposizione “Wood Mood” 2014 a cura di Davide Fabio Colaci e Valcucine per il “London Design Festival”. Dall’alto: UOMINI COMPRESSI 3X3-1, 2008-2010. Terracotta, dimensioni variabili, Kunstenfestival Watou 2014. Foto Luc Groosman. OPERAZIONI SOCIOPATICHE, 2011. Software Java. Foto Claudia Capogreco. STAZIONI DI LANCIO, 2013. Legno di recupero, 15x20x12 cm. Per tutte courtesy dell’artista.

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UNA TANGIBILE EMOZIONE Giuseppe Mascaro

- Loredana Barillaro

GM/ Il protagonista rimane sempre il fruitore, ciò che mi interessa non è comunicare qualcosa di definito, ma suscitare emozioni in chi osserva l’opera. Nel caso di Alberi c’è un gioco di ruoli in cui il vuoto diventa pieno e viceversa. Quel vuoto che diventa tangibile e assume, a sua volta, una forma riconoscibile poiché sottolinea il legame che esiste fra il tangibile e l’invisibile. L’uomo in fondo è tale non solo grazie alla sua entità tangibile, ha bisogno di essere completato da quell’entità invisibile che si chiama anima…

Loredana Barillaro/ Ho scoperto solo di recente il tuo lavoro, me ne parli? Giuseppe Mascaro/ Per capire il lavoro di un artista è necessario porsi una domanda: che cos’è un’opera d’arte? In molti provano a spiegarlo razionalmente, ma si può razionalizzare qualcosa che razionale non è? È proprio in questo clima che si fonda la mia opera, nell’incertezza razionale, e nella certezza di essere di fronte a qualcosa di irrazionale. Nel mio caso la ricerca è basata sulla creazione di materie che suscitino istinti primordiali e rapiscano in un vortice di sensazioni tattili e mentali.

LB/ Uno dei tuoi temi preferiti sembra essere la casa, cosa rappresenta per te, è forse una metafora per qualcos’altro? GM/ Con questo soggetto c’è il tentativo del superamento della forma stessa, la casa non rappresenta più una casa. Formalmente essa è un contenitore di entità organiche e viventi, ma in questo caso il contenitore diventa esso stesso entità organica e viva, abbandonando il suo ruolo originale. Anche in questo caso c’è uno scambio di ruoli che assume il nome di paradosso. Una cosa è, ma al contempo vi è forse la sua negazione, tutto ciò è alla base di molta parte dell’arte contemporanea. In fondo per un artista la forma è probabilmente ancora solo un pretesto per comunicare dell’altro.

LB/ Usi la terracotta e la spugna, materiali dalla consistenza molto diversa, eppure lasciano trasparire lo stesso effetto, lo stesso respiro… GM/ La scelta di un materiale è importante per esprimere delle idee, ma questa scelta non fa parte di quel meccanismo contemplativo che si chiama creazione. Molte volte la scelta è dettata da limiti tecnici, e il ruolo che assume è quello di essere consono alle necessità dell’idea. È per questo che la terracotta e la spugna producono lo stesso effetto, perché è l’idea che rimane la stessa, il loro ruolo non è altro che quello di esprimere al meglio ciò che l’idea, tramite la forma, deve comunicare.

Dalla serie CASE, 2013. Terracotta policroma, 22x21x19 cm ciascuna. Courtesy dell’artista.

LB/ C’è un continuo interscambio fra il dentro e il fuori delle tue sculture, qual è il “soggetto”, ciò che si vede o la parte mancante, tracciata solo mediante un contorno? 14


22 - 30 NOVEMBRE 2014 PREMIO NAZIONALE D’ARTE CITTÀ DI NOVARA A NOVEMBRE I VINCITORI DI OGNI SEZIONE E I FINALISTI CHE ESPORRANNO LE PROPRIE OPERE IN UN GRANDE EVENTO ESPOSITIVO 3 SEZIONI PITTURA, SCULTURA, FOTOGRAFIA 2 CATEGORIE UNDER 35 E OVER 35 LA MANIFESTAZIONE SARÀ AMPLIATA DA VISITE GUIDATE, LABORATORI DIDATTICI, PRESENTAZIONE DI LIBRI, PERFORMANCE E VIDEO PROIEZIONI NOVITÀ DEL 2014 SARÀ IL PREMIO WEB LE OPERE PIÙ VOTATE PARTECIPERANNO ALLA MOSTRA DEI FINALISTI PER RICEVERE IL REGOLAMENTO SCRIVERE ALL’INDIRIZZO DI POSTA ELETTRONICA premioartenovara@hotmail.com OPPURE SEGUICI SU www.artaction.it www.facebook.com/premionovara Con il Patrocinio Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Provincia di Novara; Comune di Novara; Fondazione Novara Sviluppo; Agenzia Turistica Locale Provincia di Novara Media Partner

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