DI QUI NON PASSERANNO

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CONTROVENTO 2



di qui non passeranno Giugno 1918: la battaglia di Fossalta

Matteo Polo


Si desidera ringraziare per la preziosa collaborazione e per aver messo a disposizione il proprio sapere, sotto qualsiasi forma, don Umberto Modulo, don Roberto Donghi e G. Dal Cin, oltrechè tutte le persone che mi hanno aiutato lungo questa strada: Fabrizio Pizzol e Sandro Perissinotto dell’ufficio anagrafe di Fossalta di Piave, assieme al dottor Federico Mariani, per avermi aiutato a rintracciare i “miei” morti, Gian Ernesto Cattel per avermi spinto a migliorare questo lavoro, Flavia Furlanetto per le “strigliate” stilistiche, e molti altri. Un pensiero speciale e affettuoso va a Bruno Marcuzzo, vero e ultimo “recuperante” dei nostri tempi. Ma il ringraziamento più grande, per i suoi insegnamenti, va a Mario Isnenghi. Dedico questo lavoro ai miei genitori.


Sommario

Memorie del Basso Piave di Daniele Ceschin Presentazione

 

 I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) Fossalta nel post-Caporetto La Battaglia del solstizio a Fossalta (- giugno ): antefatto Fossalta occupata dagli Austriaci:  giugno Il contrattacco italiano fermato all’ansa di Gonfo:  giugno La lotta di Scolo Palumbo:  giugno La perdita di Capo d’Argine:  giugno Le piene del Piave:  giugno L’attacco degli Arditi:  giugno La liberazione di Fossalta:  e  giugno Dopo la battaglia

         

 Il racconto ufficiale I bollettini di guerra «La Tradotta» e «La Domenica del Corriere»

 

 I protagonisti Due lettere a confronto: Giuseppe Roncola e Benedetto Panciera Glorie e miserie della Trincea Diario di un fante Don Giuseppe Bianchi «I gas asfissianti» «Medaglie d’oro conferite per fatti d’arme avvenuti sul Piave e sul Montello»

     

 «Sono un ragazzo del Basso Piave» L’ossessione di Fossalta La guerra del soldato Ernest

 


L’appuntamento col destino a Buso de Burato Il racconto di Fossalta

 

 Il profugato (-) «Gli esuli di Caporetto» La “Via Crucis” di don Gallina Fossalta a Prato Il lungo ritorno a casa

   

 Il mito del Piave a Fossalta Il mito della Grande Guerra: la cerimonia dell’acqua Contrasti fra due poteri

 

 I luoghi e i segni della memoria Il battistero della Pace Il cimitero L’altare ai Caduti Il capitello di Sant’Antonio I monumenti e le lapidi I nomi delle vie

     

Appendice: «È mancato ai vivi...», i soldati fossaltini



caduti nella Grande Guerra

Bibliografia




Memorie dal Basso Piave di Daniele Ceschin Decine e decine di microcosmi anonimi diventano all’improvviso, tra il  e il , luoghi attraversati dalla guerra con attori, soldati e civili, pronti a recitare la loro piccola parte. Luoghi che vengono segnati profondamente dal conflitto, che mutano radicalmente la loro fisionomia fino ad esserne stravolti, che conservano – talvolta persino nel toponimo – il segno e la memoria di fatti che non hanno una rilevanza solo locale ma anche nazionale. È il destino spesso atroce dei paesi del fronte dell’Isonzo, di quelli dell’Altopiano di Asiago e ancora della linea del Piave. In questi casi le macerie non sono solo materiali – si pensi, ad esempio, alle distruzioni provocate dall’artiglieria – ma incidono le singole esistenze dei civili, scardinano la quotidianità dei luoghi, rimettono in discussione appartenenze e identità. Passata la guerra, rimangono pure le tracce immateriali, quelle della memoria, che però rivendicano la loro precisa origine facendola pesare su atteggiamenti e riti. Fossalta non fa eccezione. Diventa protagonista suo malgrado, dopo Caporetto, per la sua posizione a ridosso del Piave che ne fa zona di operazioni delle truppe italiane, sia nelle settimane immediatamente successive alla ritirata, che nei giorni della cosiddetta Battaglia del solstizio. Nel primo caso uno dei testimoni d’eccezione è Luigi Gasparotto che nel suo diario, a tratti un po’ troppo enfatico, descrive l’inizio della distruzione del paese. Ma è nel giugno del  che l’offensiva austriaca trova in questo piccolo comune un baluardo insormontabile: «Fu una giornata tremenda. Alle grida dei nostri si aggiungevano i rantoli degli austriaci morenti, fulminati sul greto dai nostri colpi e abbandonati al loro destino da compagni che li avrebbero soccorsi solo al sopraggiungere della notte». Occupato per diversi giorni, l’abitato viene definitivamente liberato il  giugno. Di lì a poco arriverà nella zona anche «un ragazzo del Basso Piave», Ernest Hemingway, che verrà ferito proprio a Fossalta. La minuta ricostruzione degli aspetti militari, tuttavia, è solo il cappello iniziale rispetto a quello che costituisce il cuore del volume, ovvero la vicenda di soldati e civili presenti sulla scena del Piave. Numerose, in questo senso, sono le fonti che mettono in evidenza il




senso di desolazione provocato dalla guerra: «La campagna attorno [a Fossalta] mostra le sue ferite attraverso un rosso terreno sconvolto dalle esplosioni e tronchi d’alberi divelti alzano i loro rami anneriti verso il cielo come moncherini». Probabilmente sono però i civili costretti alla condizione di profughi ad essere le vere vittime della guerra. Per Fossalta lo sgombero della popolazione – poco meno di . persone – è inevitabile, come del resto per gli altri paesi rivieraschi del Piave. Diventa a questo punto importante seguire le peregrinazioni di centinaia e centinaia di sfollati dispersi in ogni regione d’Italia, anche se è Prato a diventare la «piccola patria» dei fossaltini, la «colonia» che si ricostituisce attorno alle sue figure di riferimento, tra cui il sindaco e il parroco, riproponendo, come è logico che sia, anche la preesistente e paternalistica gerarchia sociale. Non è senza importanza che nel volume trovi ampio spazio ciò che succede nel dopoguerra, quando simboli e riti della guerra vittoriosa entrano di prepotenza nel discorso pubblico locale cercando di fare il verso alla retorica nazionale. E quale simbolo migliore del Piave che si appresta ad acquistare i crismi della sacralità? Le cerimonie collegate al fiume che aveva sbarrato la strada all’avanzata dell’esercito austroungarico, qui come altrove, non si contano. Quella della borraccia d’acqua del Piave offerta al Milite Ignoto nel , è senz’altro la più curiosa, in una fase che comunque vede ormai l’egemonia patriottica del fascismo al potere. Senza la pretesa di essere esaustivo, il volume di Matteo Polo cerca di mettere in rilievo il corto circuito tra la storia della Grande Guerra e la sua memoria collettiva, sia pur in un ambito circoscritto come quello di un paese investito improvvisamente e direttamente dalla violenza bellica. Verrebbe ora da chiedersi se a distanza di novant’anni dagli eventi non sia giunto il momento di uscire dal localismo cui sembrano orientate e alla fine destinate – spesso, per la verità, in maniera inconsapevole – molte di queste operazioni della memoria, per tentare di sistematizzare conoscenze, rilevanze e occorrenze di un teatro, quello del Piave, che al di là degli usi ed abusi della retorica, costituisce ancora un cantiere aperto. Anzi, se è concesso, una miniera per moderni “recuperanti” – non di cimeli arrugginiti o immateriali – ma di storie della Grande Guerra. Pieve di Soligo, marzo 2007




Premessa di Matteo Polo Questo lavoro di ricerca, nato come tesi di laurea triennale sulla memoria, è stato stimolato non solo da motivi professionali ma soprattutto da curiosità personali, diventando una sorta di “arazzo” di connessioni, che sarebbe probabilmente mancato qualora fosse stato presente uno solo dei due aspetti. Una volta raccolto il materiale, ho cercato di decifrarlo mediante chiavi interpretative che ho, parzialmente, acquisito dalla frequentazione delle lezioni e del seminario laureandi del Prof. Mario Isnenghi, il quale mi ha spinto, fin dal colloquio per la richiesta di sostenere la tesi di laurea triennale con lui, a studiare il mito del Piave come fiume-simbolo della Grande Guerra, a cominciare da uno dei paesi che ne costituiva la linea difensiva, per l’appunto Fossalta. Un’analisi che, a partire da quegli studi che indagano la duplice identità della regione Veneto nell’immediato dopo-Caporetto sia come terra di combattimenti che di occupazione, di soldati e civili in fuga, restringe il campo di osservazione sul Piave, inteso sia nel senso proprio di luogo geografico che in quello più ampio di luogo simbolo che arriva a coinvolgere, come altrove, anche la Chiesa, esemplarmente rispecchiata nella pervasiva figura di Andrea Giacinto Longhin, vescovo di Treviso nonché «del Piave e del Montello». Si tratta, cioè, delle diverse rappresentazioni che un luogo, nel nostro caso Fossalta, dà della propria memoria, relativa alla Grande Guerra e in particolare alla Battaglia del solstizio. Fonte preziosa è stata anche la memorialistica come può essere quella di un Luigi Gasparotto, foriera di pregiate suggestioni, e a parte il caso di Hemingway, gli scritti di Cecchin, Alba Bozzo e don Modulo: inizio, stella polare e fine del nostro viaggio. Questi ultimi tre, che si occupano direttamente di Fossalta, mossi da ambizioni e finalità diverse, percorrono itinerari quasi contrapposti e manchevoli di una sintesi complessiva, quale io ho l’ambizione di avere fornito con il mio contributo: la riflessione è ancora viva e probabilmente necessita solo di nuovi stimoli, in gradi di concretizzarsi materialmente per diventare fonte di un nuovo recupero della memoria.



di qui non passeranno Giugno 1918: la battaglia di Fossalta



Cap. 

I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)

Fossalta nel post-Caporetto Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, Fossalta si ritrova all’improvviso catapultata in «zona di guerra», cioè in una posizione di sostegno attivo all’esercito sia nel vettovagliamento dei soldati che nel fungere da zona di passaggio delle truppe1 che da Treviso e Mestre, via ferrovia, vanno al fronte. In questa sorta di placido «lavoro per la guerra in attesa della pace»2 non tardano ad arrivare a Fossalta gli effetti di una inattesa conflagrazione: Caporetto. Già dal  ottobre  i treni non arrivano più alla stazione ferroviaria fossaltina, ma pongono il loro nuovo capolinea a Meolo e i primi nuclei familiari cominciano ad abbandonare il paese volontariamente, mescolandosi ai soldati in rotta, che rapidamente affluiscono a Fossalta per ripartire dopo poche ore, come avviene la mattina del  novembre in cui compaiono «compagnie di sanità, reduci del Carso e della Bainsizza»3. Lo scenario cambia: Fossalta si trova in prima linea poiché occupa una delle due rive del nuovo spartiacque della guerra, il Piave, in opposizione a quella caduta in mano al nemico. Piave che sarà protagonista della battaglia (e non solo agente passivo) con le sue improvvise piene a danno ora dell’uno ora dell’altro dei contendenti. Immediata conseguenza è la conversione del paese a base per i soldati che si riversano ovunque: nelle case, nelle campagne, in piazza e sull’argine di San Marco*. La casa canonica diventa il  novembre alloggio e posto di mensa per gli Ufficiali; Fossalta, infatti, rientra nella zona di operazioni del xxiii corpo della iii Armata del Piave – con la a e la a divisione – comandato dal generale Diaz. L’ordine è uno solo: resistere. E la popolazione rimasta non tarda ad accorgersene. * Argine di contenimento, costruito dai Veneziani nel .


 di qui non passeranno

Il  novembre viene diramato l’ordine di sgombero, in quanto le prime pattuglie di austriaci, che hanno attraversato il Tagliamento, cominciano a premere sul Piave dove le loro prime pattuglie vengono avvistate la sera stessa. Venerdì  novembre, alle  del mattino, vengono fatti saltare i ponti di Ponte di Piave e San Donà di Piave; tre ore dopo arriva in paese la brigata Catania o reggimento, mentre alla stessa ora a Meolo, nella villa Folco ora Drena, avviene il passaggio del comando supremo da Cadorna, il «generalissimo», a Diaz che viene sostituito alla guida del xxiii corpo dal generale Petitti di Roveto. Nel novembre-dicembre ’ vi sono le prime avvisaglie di combattimenti a Fossalta sulla cui linea prende servizio la nuova classe del . Si tratta comunque di episodi isolati che preludono alla battaglia chiamata del Solstizio, in cui Fossalta per la sua posizione strategica assume un ruolo di notevole importanza: da lì infatti si ha il controllo delle operazioni di passaggio del Piave e da lì parte la strada della Fossetta, ambitissima dal nemico poiché conduce direttamente a Treviso e Mestre.

La Battaglia del solstizio a Fossalta (15-23 giugno 1918): antefatto Utile torna l’inquadramento geografico che Alba Bozzo pone come premessa della sua narrazione della battaglia: Uno sguardo alla cartina: la zona geografica del combattimento è contenuta tra Ponte di Piave e la linea del Piave fino a Caposile. Da tale linea si diparte la strada Callalta che conduce a Treviso diretta o girando per Monastier; quella di Fossalta da dove parte la strada della Fossetta, di cui noi conosciamo l’importanza; da Musile a Caposile, aggirando le paludi, ora bonificate, si chiude l’ala destra girando lungo il canale di Millepertiche. Fossalta è la cerniera principale della lunghissima azione.4

In particolare il settore Campolongo-ansa di Lampòl-borgata Ronche-paese di Fossalta-ansa di Gonfo è presidiato dalla brigata Avellino mentre più a nord, verso Zenson, c’è la brigata Ferrara. Il periodo gennaio-maggio è contraddistinto da quelle che il Co-


. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) 

mando Supremo chiama «piccole operazioni offensive»5: alcune avvengono a Caposile il  gennaio e il  maggio , risoltesi entrambe in successi italiani.

Fossalta occupata dagli Austriaci: 15 giugno La grande offensiva austriaca, largamente prevista, ha inizio, lungo tutto il fronte dall’Astico al mare, il mattino del  giugno ’. Nella nostra zona, le infiltrazioni nemiche tra Zenson e Noventa vengono respinte, mentre gli austriaci riescono a costituire due teste di ponte: a Fagarè e a Musile, all’altezza della linea ferroviaria San Donà-Mestre. Nell’analisi che ne fa il Comando Supremo6 la linea di collegamento tra Zenson e Fossalta viene individuata come una di quelle zone maggiormente esposte a un attacco nemico dalla sponda sinistra del Piave: la zona fa parte delle operazioni della a Armata, in particolare dei xxiii e xxviii Corpi d’armata. Per quanto riguarda gli austriaci, davanti a Fossalta opera la sera del  giugno il xxiii Corpo d’armata austroungarico con la a Divisione7. Alle  del  giugno comincia un violento bombardamento austriaco con l’uso di gas lacrimogeni e asfissianti che si concentra in particolare sulle anse di Zenson e di Lampòl per facilitare la strada ad alcuni battaglioni ungheresi: sulla riva davanti Fossalta battaglioni d’assalto austriaci della Isonzo Armèe passano il Piave alle , si impadroniscono delle prime linee dell’argine regio e fanno prigioniera una compagnia con il colonnello del ° reg. Fanteria della brigata Catania. Corre in aiuto il ii Battaglione, ma verso mezzogiorno gli austriaci sono sull’argine di San Marco dove combattono tutto il giorno con i soldati italiani, finchè questi ultimi non ricevono ordine di ritirarsi fino al caposaldo dell’Osteria di Fossalta, così ribattezzato dai Comandi militari per via della preesistente osteria dell’Orsola, per poi assestarsi sul bivio Fossalta-Capodargine; nel frattempo le truppe nemiche occupano l’abitato di Fossalta e arrivano fino allo Scolo Palumbo dove accorre la brigata Ionio.


 di qui non passeranno

Il settore di Osteria viene accanitamente difeso per impedire alle truppe austriache sbarcate di congiungersi alle colonne pervenute a Musile e marciare verso Venezia. Esse ormai hanno formato due teste di ponte: una a nord di Fossalta e l’altra a sud, in modo da creare con l’occupazione delle zone di Zenson, Lampòl, Gonfo, Ronche, Fossalta e Capo d’Argine un effetto tenaglia nei confronti degli attacchi delle nostre truppe, che, prive di una sistemazione, si trovano sempre risucchiate in una continua alternanza di posizioni.

Il contrattacco italiano fermato all’ansa di Gonfo: 16 giugno All’alba del  giugno8, poco prima delle , dopo un ulteriore bombardamento, giunge notizia che nell’adiacente settore del xxiii Corpo la brigata Sassari è riuscita a occupare il caposaldo di Croce e prosegue la sua azione verso l’argine San Marco: si fa perciò pressione sul comando della a Divisione perchè spinga a fondo l’avanzata del o fanteria verso l’ansa di Gonfo in modo da agire in concomitanza con la Sassari. Quest’ultima, però, nel suo ulteriore scatto dalla linea Osteria-Croce è arginata dalla resistenza austriaca: così l’azione in tandem viene rinviata a mezzogiorno, con successo, decidendo di diversificare le linee d’azione del o e della Sassari. Seguiamo la relazione ufficiale: rioccupata Fossalta mentre il o fanteria puntava energicamente all’occupazione dell’argine di S. Marco da Fossalta a C. Gradenigo, la brigata Sassari, nel settore contiguo, era costretta ad abbandonare il caposaldo di Croce, brillantemente conquistato in mattinata. [...] Ma il contrattacco, iniziatosi felicemente lungo la corda dell’ansa di Gonfo, non potette sostenersi a causa della violenta reazione nemica; ed in seguito al ripiegamento della Sassari, prima da Croce e successivamente anche da Capo d’Argine, fu necessario ripiegare la linea, per Ronche, e C. Gorghetto sullo Scolo Palumbo fino a Losson, dove si mantenne il contatto col xxiii Corpo d’Armata. [...] Malgrado le enormi perdite causate dall’intenso tiro delle artiglierie e dai ripetuti attacchi del nemico [...] la a Divisione manteneva sempre il possesso della linea del greto di Lampòl9.


. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) 

La lotta di Scolo Palumbo: 17 giugno Durante la notte la a Divisione è tuttavia costretta a sgomberare il caposaldo di Ronche e all’alba del  giugno le brigate Avellino e Ferrara, che resistono ancora sull’argine di San Marco a nord di Fossalta, vengono fiaccate dal fuoco nemico. La pressione austriaca si fa insostenibile. A mezzogiorno arrivano gli Arditi della a Divisione10 d’assalto del gen. Ottavio Zoppi, che nella notte si erano ammassati a Madonna del Vallio, per sostituire le brigate Sassari e Bisagno che hanno bisogno di riordinarsi, mentre all’Avellino si affianca la brigata Ancona. Secondo gli ordini: la a Divisione d’assalto doveva attestarsi nel pomeriggio sulla fronte Lampòl-caposaldo Ronchi-scolo Palumbo-Losson dalla quale doveva scattare all’attacco alle ; appoggiata dal maggior volume possibile di fuoco delle batterie del xxviii e xxiii Corpo d’Armata, doveva raggiungere in breve tempo la linea Fossalta-Osteria-Capo d’Argine: in secondo tempo la linea Gradenigo-Croce-Fosso Gorgazzo; la brigata Bergamo avrebbe seguito l’ala sinistra della Divisione per coprirne il fianco ed occupare l’argine di San Marco man mano che procedeva l’avanzata. Il xxiii Corpo, dalla fronte Malipiero-C. Bellesine, doveva spingere all’attacco le sue unità meno stanche, e appoggiandone la sinistra al canale della Fossetta, tendere a saldarle a Capo d’Argine con la destra della Divisione d’assalto; occupata la linea del Gorgazzo doveva, poi, dilagare fino all’argine di San Marco. [...] Il xxviii Corpo doveva contrattaccare alle ali del settore in direzione di Fossalta, in concorso all’azione del xxiii Corpo...11

Il xxviii Corpo, dopo la perdita nel corso della notte del caposaldo di Ronche, è dislocato lungo le posizioni di C. Rossetto-C. Gambara-C. Gorghetto-Scolo Palumbo, pur continuando a mantenere il possesso della linea del greto in corrispondenza di Zenson e all’ansa di Lampòl. Per tutta la mattina del  giugno si susseguono i contrattacchi in tutti i settori della linea del Piave. L’esercito italiano riconqui-


 di qui non passeranno

sta il caposaldo di Ronche ma è un’azione effimera poiché verso le  gli austriaci, penetrati attraverso il caposaldo di Villa Premuda, causano l’arretramento del xxviii Battaglione d’assalto riuscendo a superare le difese di Scolo Palumbo e quindi spingendosi verso il caposaldo di Monastier. Dovendo assolutamente ristabilire la situazione, il comando del Corpo d’armata sollecita pertanto l’avanzata del o fanteria, attardatosi in zona Madonna del Vallio, verso il Palumbo per lasciare libero il passo alla Divisione d’assalto che, in notevole ritardo, si dispone ad assumere la posizione assegnata. La a Divisione, spingendo all’attacco parte del xxv Battaglione d’assalto e il xxii messo a sua disposizione dal comandante della Divisione d’assalto, e lanciando ancora una volta al contrattacco i resti della brigata Ferrara, riesce a ricacciare il nemico oltre il fosso Palumbo. Così lo racconta Baj-Macario: Già al mattino la pressione concentrica della sinistra del vii Corpo d’Armata austroungherese verso sud-ovest e sud della destra del xxiii Corpo d’Armata verso nord-ovest soffoca la nostra a Divisione; alle  essa perde le trincee di Villa Premuda. Restano tagliati fuori, aggrappati all’argine regio, tappati nelle anse di Gonfo e di Lampòl, i resti di alcuni battaglioni delle Brigate Ferrara ed Avellino. Immobili come scogli nei flutti si spengono lentamente. Presso la sede del comando di brigata si posano spauriti candidi colombi; essi portano arrotolati sotto l’ala, scritti su minuscolo striscioline di seta, messaggi laconici dei difensori: «Siamo accerchiati ma non cediamo». È la parola dei forti che hanno ascoltato il comandamento della Patria scritto sui muri diroccati di una casa presso il Piave: «Meglio vivere un’ora da leone che cent’anni da pecora». Quando sono esauriti i viveri, quando sono esaurite le munizioni ed i fucili non sono che clave, nuclei di animosi tentano di aprirsi il varco a colpi di baionetta: molti uomini cadono coll’arma in mano, altri sono catturati, qualche manipolo riesce a sfuggire e raggiunge i camerati sullo Scolo Palumbo. Spezzate queste tenaci resistenze il vii Corpo d’Armata austroungherese prende finalmente contatto col xxiii, dilaga, rovescia reparti della brigata Ionio presso lo Scolo Palumbo.


. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) 

Folti gruppi nemici con numerose mitragliatrici sbucano lungo il torrente Meolo, puntano sul caposaldo di Monastier dove è appena giunta la brigata Bergamo, intaccano la seconda fascia difensiva. Momenti di panico e di ansia. Ritto in mezzo ad una strada battuta dal fuoco l’intrepido generale Latini incita i suoi uomini. Si ricorre alla cavalleria: i lancieri della iii brigata arrivano al galoppo da Roncade e si sguinzagliano pei prati e fra le spighe dorate per rastrellare le infiltrazioni nemiche. La lotta è confusa e di vicende alterne: verso le  un nostro gruppo d’assalto appoggiato da reparti della brigata Ancona si proietta animosamente fra gli avversari. Più a sud un’impetuosa corsa di arditi raggiunge Fossalta.12

Dopo le  la situazione torna critica a causa della crescente pressione nemica su tutto il settore: al centro i difensori dell’ansa di Lampòl, ormai circondati da ogni parte, devono ritirarsi sullo Scolo Palumbo; a destra la Divisione d’assalto, vista addensarsi la minaccia sul suo fianco sinistro e dietro, desiste dal compito affidatole e la linea retrocede così allo Scolo Palumbo. Fossalta è di nuovo rioccupata e, per quanto riguarda gli austriaci, dal  al  giugno passa, nel contesto della v Armata o Isonzo Armèe, dal xxiii Corpo d’armata Cicserics al vii Corpo d’armata Scharitzer (a e poi a Divisione) per poi tornare al xxiii (a Div. Schuetzen): si sono aperti ora un fronte ad est sullo Scolo Palumbo ed uno a nord della strada Fornaci-Osteria con un nucleo centrale a Pralungo.

La perdita di Capo d’Argine: 18 giugno La situazione continua a rimanere grave, causa soprattutto la mancanza di collegamenti con i settori vicini, per cui il comando opta per un ridimensionamento delle linee operative per il  giugno. Alle  del mattino viene notificato ai tre Corpi d’armata la decisione di desistere dal programmato impiego della Divisione d’assalto. Questa, assieme alla brigata Bergamo, viene posta alle dipendenze


 di qui non passeranno

del xxviii Corpo, perché possa attuare un attacco a fondo con obiettivo iniziale la fronte Capo d’Argine-Ronche e, in secondo tempo, la zona fra Scolo Palumbo e Argine San Marco; inoltre alle  con una direttiva del Comando d’armata si raccomanda al xxiii Corpo che la brigata Bisagno venga sorretta in modo tale da tenersi collegata con l’azione svolta su Capo d’Argine dal xxviii Corpo, che nello stesso giorno ha fatto ogni sforzo per consolidare la sistemazione delle linee. Nel frattempo la a Divisione occupa temporaneamente il fosso Palumbo, mentre i Battaglioni d’assalto della Divisione Speciale A riescono a rinforzare la destra del Corpo d’armata a sud e a nord della strada Pralungo-Osteria, ed occupare la linea C. Gorghetto-Fossalta-Ronche-C. Gasparinetti. La brigata Bergamo deve sostituirsi ai battaglioni della Divisione d’assalto e metterne uno a disposizione della a Divisione; la divisione prima si ripartisce i battaglioni in due gruppi, uno dei quali è collocato all’ala destra del settore con obiettivo la linea Fossalta di Piave-caposaldo di Capo d’Argine. A mezzogiorno la situazione si può riassumere cosi: la linea è tenuta sul Palumbo, da C. Gasparinetti a Zenson, dai resti della brigata Ferrara, Avellino e Ionio; in rincalzo i resti dei battaglioni ciclisti sono riuniti presso Pralungo; i battaglioni della Divisione d’assalto rinforzano la destra del Corpo d’armata a sud e a nord della strada Pralungo-Osteria in attesa che venga completata la loro sostituzione da parte di due battaglioni della brigata Bergamo. Alle  comincia la programmata azione offensiva e anche la a Divisione, approfittando dei progressi alle sue ali, inizia la sua avanzata al centro dello schieramento. Alle . il comandante della Divisione d’assalto, che aveva occupato Fossalta e Osteria, chiede di avere rinforzi per sostenere la lotta che va assumendo un carattere molto logorante a causa della tenace resistenza del nemico, che intorno alle  si lancia in vari contrattacchi sia al centro che alle ali dello schieramento: sull’ala sinistra la lotta è riportata sul Palumbo, mentre al centro le truppe italiane si sono stabilmente affermate sempre sul Palumbo e alla destra è stata raggiunta la linea Fossalta-Osteria-Capo d’Argine, come recita anche il bollettino ufficiale:


. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) 

... la resistenza nemica, che si affidava ai vespai di mitragliatrici, fu sgominata: il coltello di Ronche, il paese di Fossalta, le case di Osteria di Fossalta, le case di Capo d’Argine furono occupate di sbalzo: Fossalta viene riconquistata senza che si spari un colpo di moschetto: gli Arditi vi si sono gettati a raffiche di bombe a mano, e poi a colpi di pugnale.13

Questi successi sono però effimeri: un nuovo contrattacco nemico, con tre direzioni diverse, non può essere contenuto a causa della mancanza di riserve e progressivamente le posizioni conquistate devono essere abbandonate. Alle  è perso Capo d’Argine e di conseguenza, poco più tardi, cedono anche le posizioni di Osteria e Fossalta. La nuova linea del fronte, che passava per Losson-C. SacerdotiScolo Palumbo, non dà però grandi garanzie di resistenza soprattutto rispetto agli attacchi austriaci verso Losson, Pralungo e Zenson.

Le piene del Piave: 19 giugno La mattina del  giugno il Comando della a Armata dispone che il xxviii Corpo ritiri dalla prima linea la Divisione d’assalto A e allo stesso tempo si dedichi al riordinamento della a Divisione, in vista di una nuova operazione controffensiva più vasta. La fanteria italiana sul fronte di Fossalta, ad ogni modo, è aiutata dalle piene del Piave e dal continuo fuoco dell’artiglieria e dei velivoli che tengono sotto controllo i posti di transito. Durante la notte del  il generale Zoppi, comandante della Divisione d’assalto, notifica al Comando d’armata ed a quello del xxiii Corpo il suo proponimento di riprendere, in giornata, l’azione congiuntamente alla brigata Sassari per riconquistare gli obiettivi a cui aveva forzatamente rinunciato la sera precedente. Il suo ordine di operazione prevede che si debba iniziare l’attacco alle : dopo una preparazione di artiglieria della durata di mezzora, un’avanguardia di arditi avrebbe aperto la strada alla brigata Sassari destinata all’occupazione del caposaldo di Capo d’Argine; un altro reparto di arditi avrebbe eseguito un’azione dimostrativa su Ronche-Fossalta, per richiamarvi almeno una parte delle riserve nemiche.


 di qui non passeranno

L’attacco degli Arditi: 20 giugno L’operazione, fatta comunque iniziare nonostante pericolose infiltrazioni nemiche nei settori vicini, è coronata da successo: alle . vengono rioccupate Fossalta e Osteria, alle  anche Capo d’Argine è conquistata. Nel corso della mattinata anche la a Divisione, integrata nel frattempo dalle brigate Firenze e Roma, si lancia alla conquista di nuove posizioni, prima all’altezza di Scolo Palumbo* e poi anche oltre. Gli austriaci cominciano a cedere, ma prima di ritirarsi vorrebbero a tutti i costi allargare la vecchia testa di ponte tra Piave Vecchia e Nuova – a sud di San Donà, che tenevano già da gennaio – estendendola fino a includere Portegrandi-Meolo-Losson-Fornaci-Ronche di Fossalta in vista di una futura avanzata. Fanno quindi di nuovo pressione nella zona circostante lo Scolo di Palumbo14, tuttavia fino al giorno  sono accanitamente contrastati dalle brigate Sassari e Bisagno supportate dall’arrivo del Settimo Lancieri di Milano utilizzato per ripulire le campagne e i fossi dalle infiltrazioni nemiche fino allo Scolo Palumbo. Nella notte gli Arditi di Zoppi si ritirano dalla prima linea in quanto hanno assolto al loro compito mentre per gli austriaci fallisce anche l’obiettivo di allargare la testa di ponte. Intanto i giorni -- le brigate Sassari e Bisagno devono contrastare gli ultimi disperati assalti austriaci sempre fra Capo d’Argine e Scolo Palumbo.

La liberazione di Fossalta: 22 e 23 giugno Il  giugno il comando austriaco, preso atto del fallimento del* «Lungo lo Scolo Palumbo, da casa Levi a Ca’ Giudici, il Tenente Maresciallo Urbarz rimanda in linea gli Schutzen della a Brigata rilevando la a Divisione e l’a Brigata, ormai logore. Invano la a Divisione austroungherese si accanisce contro casa Ninni. Lentamente il combattimento si spegne», in Baj-Macario, Giugno 1918, Corbaccio, Milano, , p. .


. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) 

l’offensiva, è costretto a diramare l’ordine di ritirata che però non riguarda tutta la linea del Piave, anche se alcuni punti devono essere mantenuti poiché rappresentano i capisaldi in grado di agevolare la ritirata dell’esercito. E fra questi c’è Fossalta, solo in parte occupato. Gli Arditi e i reparti della brigata Bergamo, che avevano combattuto nella zona fino a quel giorno seguendo un piano elaborato sempre dal gen. Zoppi15, si riuniscono per incalzare il nemico e impedirgli di riattraversare il ponte: operazione parzialmente coronata da successo dopo la rioccupazione di Fossalta a partire dalla famosa Osteria*. Il fulcro della battaglia trova il suo apice sulle rive del Piave a Campolongo, dove si combatte all’arma bianca, finchè il ponte non viene distrutto: i soldati austriaci vengono così tagliati fuori. Fossalta è interamente libera alle ore  del  giugno. In sostanza l’andamento della battaglia conferma il profilo generale tracciato da Rochat16: Il fiume in piena rappresentava un ostacolo difficile, gli austriaci dovevano prima traversarlo con barche e barconi, poi alimentare la loro offensiva su passerelle e ponti di barche; in compenso il sistema difensivo italiano era meno forte e continuo che su un terreno normale. La battaglia (conosciuta anche come Battaglia del solstizio) ebbe caratteristiche analoghe lungo tutto il corso del Piave: le truppe italiane ne difesero male il passaggio e furono rapidamente sopraffatte, ma il successivo intervento dell’artiglieria e dell’aviazione distrusse o danneggiò i ponti gettati dagli austriaci, la cui progressione si esaurì presto. Le riserve italiane * «Verso le  le nostre pattuglie escono, poi i grossi muovono e nel tardo pomeriggio tutta la sponda sinistra da Candelù a Fossalta è rioccupata senza contrasto. Vengono raccolti circa duemila sbandati. Dovunque raccapriccianti visioni di morte e di rovina. Più lento il deflusso del xxiii Corpo d’Armata austroungherese davanti a San Donà. A Losson troviamo qualche pezzo nemico e fra i canali rastrelliamo un migliaio di prigionieri. Premuta da tre lati, sferzata dalla nostra artiglieria la retroguardia dell’agguerrito Corpo d’Armata del Generale Csicserics – il Corpo che doveva entrare in Venezia – perde terreno: sull’imbrunire  uomini, gli ultimi, addossati all’argine del fiume si arrendono», in Baj-Macario, Ibidem.


 di qui non passeranno

affluirono in buon numero e con sufficiente tempestività, ma furono impiegate a piccoli lotti e con molta confusione. Riuscirono comunque a contenere gli austriaci, dopo alcuni giorni di viva preoccupazione, ma non a impedire che si ritirassero in relativo buon ordine. Le posizioni che costoro avevano mantenuto sulla destra del Piave vennero presto riconquistate.

Dopo la battaglia Dal  giugno le brigate Avellino – o e o fanteria – e soprattutto Ancona – o e o fanteria – si alternano al presidio del sistema di trincee Campolongo-ansa di Lampòl-borgata RoncheFossalta-ansa di Gonfo. In particolare a Fossalta, nella «casa del sindaco» – un modesto rustico tra il cimitero e l’argine di San Marco – ha sede il comando del reggimento delle prime linee quindi anche del o fanteria. La zona viene tenuta con qualche difficoltà anche perché il  luglio a San Donà, caduta la vecchia testa di ponte, gli austriaci, innervositi, intensificano la loro pressione mediante bombardamenti anche di luoghi precedentemente rispettati come i posti di medicazione, fra cui quello di Pralongo che viene evacuato. In realtà Fossalta dopo la «Battaglia del solstizio» assume una posizione interlocutoria: non è più luogo di significativi combattimenti in quanto la guerra ha preso altre direzioni, favorevoli agli italiani, fino alla battaglia della Sernaglia o di Vittorio Veneto.


. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’) 

note  Alba Bozzo, Fossalta, dal 131 a.C. alla battaglia del Piave, s.i.t., Treviso .  Alba Bozzo, cit., p. .  Don U. Modulo, Parrocchia di Fossalta di Piave, La Moderna, Lodi , p. .  Alba Bozzo, cit., p. .  Ministero della Difesa, Stato maggiore dell’esercito, Ufficio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918), vol. V, Le operazioni del 1918, tomo , p. .  Ibidem, p. .  Per i movimenti austriaci ci si basa soprattutto su Gianni Baj-Macario, Giugno 1918, Corbaccio, Milano , p.  e ss.  Baj-Macario, cit., p.  e ss.  Ufficio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra, cit., pp. -.  È possibile seguire i movimenti del xiii Reparto d’assalto a Fossalta nella sintesi, tratta dal Diario Storico del reparto, curata dal comandante dello stesso reparto, il maggiore di cavalleria Giorgio Moro Lin, e pubblicata in Giuseppe Cordenos, La fotografia di guerra sul Piave, vol. I, Da Caposile a Ponte di Piave, le imprese dei decorati e degli Arditi, Gaspari, Udine , pp. -.  Ufficio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra, cit., p. .  Baj-Macario, Giugno 1918, cit., pp.  e ss.  Bollettino di guerra,  giugno .  Succede lo stesso, intorno alle , a Losson, Ibidem.  Gianni Pieropan, 1914-1918 Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, Mursia, Milano , p. .  Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Milano , p. .

Foto in apertura di capitolo: gli Arditi dopo l’azione del Basso Piave [presumibilmente a Losson, N.d.R.]. Sono riconoscibili, oltre al caratteristico fez nero, perché ostentano pugnali sguainati e bombe a mano, tutti elementi distintivi dell’uniforme e del mito degli Arditi.


 di qui non passeranno


Cap. 

Il racconto ufficiale

I bollettini di guerra I bollettini espongono la «rappresentazione ufficiale» della guerra, che giunge dall’alto dei Comandi militari e che ha una funzione di narrazione accreditata, quindi rivolta più ai mezzi d’informazione e di conseguenza all’opinione pubblica che ai soldati, per i quali dopo Caporetto si utilizza il Servizio Propaganda con forme d’azione ben più incisive. Quindi una rappresentazione ufficiale dei fatti ad uso politico, viziata sin dall’origine rispetto all’andamento della guerra come dimostra, fra gli altri studiosi, Rochat. Significativo esempio è il famoso proclama di Cadorna del  ottobre, in cui il generale accusa di disfattismo parte dell’esercito: non un’analisi strategica della situazione, bensì una valutazione politica atta a proteggere il ruolo e la gestione della guerra e che avallerà in seguito le pesanti accuse rivolte alle truppe dalla stampa e dall’opinione pubblica. Fossalta è presente nei bollettini di guerra del «Solstizio vittoriale» che riportiamo di seguito1:  giugno Sull’Altipiano di Asiago e sul Grappa il nemico, che nella giornata del  ha subito perdite ingenti, si è limitato ieri ad ostacolare con forte reazione di fuoco la spinta controffensiva delle truppe nostre ed alleate, che tuttavia in più tratti hanno potuto conseguire parziali successi e rettifiche di linea. Lungo il Piave, invece la battaglia è continuata con estrema violenza. L’avversario, senza guardare a perdite, ha proseguito la sua poderosa pressione per estendere l’occupazione sul Montello ed aprirsi le vie alla pianura. Le nostre truppe hanno impegnato fortemente il nemico sulla linea Ciano-Cresta del Montello-Sant’Andrea: tengono fieramente le loro posizioni sul fiume da Sant’Andrea a Fossalta e contrastano efficacemente l’avanzata all’avversario nella zona di fronte alle anse di San Donà. [...]


 di qui non passeranno

 giugno sera Sulla fronte montana e sul Montello il nemico non ha nella giornata rinnovato attacchi di fanterie. Altre puntate di nostre truppe sono felicemente riuscite. Si occuparono alcune posizioni, catturando mitragliatrici e qualche centinaio di prigionieri. Importanti azioni si sono sviluppate a sud del Montello e lungo il Piave nella zona tra Zenson e Fossalta, ma l’avversario fu ovunque arrestato dai contrattacchi e lasciò nelle nostre mani parecchie centinaia di prigionieri. [...]  giugno La violenza della battaglia, attenuata alquanto sulla fronte montana va crescendo sul Piave. Nella giornata di ieri la Terza Armata ha sostenuto il poderoso sforzo nemico con l’usato valore. Di fronte a Maserada e a Candelù rinnovati tentativi di stabilire nuovi sbocchi sulla destra del fiume sono stati sanguinosamente respinti. Da Fossalta a Capo Sile la lotta ha imperversato fierissima e senza posa. Formidabili attacchi nemici si sono alternati con nostri contrattacchi; inizi di vigorosa avanzata sono stati frantumati dalla nostra resistenza ed arrestati da nostre azioni controffensive. La lotta ha sostato soltanto a tarda notte. Le valorose truppe dell’Armata sono state strenuamente provate, ma l’avversario non ha potuto aumentare la breve profondità della fascia entro la quale da quattro giorni il combattimento imperversa.  prigionieri sono restati nelle nostre mani. Gli aviatori hanno continuato a prodigarsi instancabilmente, intervenendo efficacemente nella battaglia sotto la pioggia dirotta. [...] In questo bollettino, inoltre, merita “speciale menzione” la brigata di Fanteria “Ferrara” (o e o) presente appunto a Fossalta.  giugno [...] Sul Piave la mattina di ieri fu calma, ma nel pomeriggio la battaglia divampò ancora furiosa. I nuovi tentativi nemici di passare sulla riva destra da Sant’Andrea a Candelù furono tutti respinti. Sull’argine del fiume, fra Candelù e Fossalta, la strenua difesa dei nostri mise a dura prova l’avversario, il cui impeto s’infranse di fronte all’incrollabile bravura delle nostre fanterie. Egualmente intensa, ma su fronte più vasta, la lotta imperversò nel settore Fossalta-sud-est di Meolo-Nord di Capo Sile. L’avversario, incalzato da noi, si difese disperatamente e ad ogni passo il terreno è stato teatro di epiche lotte, alle quali gli aeroplani nostri hanno contribuito dal cielo, colpendo con Kg. . di proiettili e decine di migliaia di colpi di mitragliatrice i vulnerabili bersagli delle truppe nemiche costrette in spazio angusto sulla destra del fiume. [...]


. Il racconto ufficiale 

 giugno [...] Nella zona ad occidente di San Donà l’avversario tentò una forte azione contro Losson. Arrestato una prima volta dal nostro fuoco, rinnovò invano per ben quattro volte l’attacco, finchè esausto dalle perdite eccezionalmente gravi subite, dové recedere di fronte all’incrollabile valore dei sardi della brigata “Sassari” (o e o) validamente coadiuvati dal o battaglione del o fanteria brigata “Bisagno” e dal o battaglione bersaglieri ciclisti.  giugno [...] Ieri l’avversario sferrò ancora un forte attacco locale in direzione di Losson, ma venne sanguinosamente respinto. [...]  giugno Speciale citazione per la brigata “Avellino” (o, o).

«La Tradotta» e «La Domenica del Corriere» Fossalta trova uno spazio anche su due giornali legati a filo doppio tra di loro: «La Tradotta» naturale appendice al fronte della «Domenica del Corriere», espressione di «borghesia italiana, mondo moderato, patria liberale»2 che cercano di intrattenere il fante e dialogare con lui avvalendosi dei talenti e delle pratiche comunicative disponibili. Un nome su tutti: Arnaldo Fraccaroli che contemporaneamente tiene una rubrica sulla «Tradotta»* e scrive epici resoconti di battaglia per il «Corriere»3, citando Fossalta negli articoli dedicati alla Battaglia del solstizio. La «Domenica del Corriere» fa parte di quella stampa della borghesia, che include anche «Il Corriere dei Piccoli», atta a fornire al paese un’immagine “virtuosa” dei suoi soldati e quindi spesso non rispondente al vero, poiché lo scopo implicito è una determinazione a priori degli atteggiamenti interpretativi della popolazione lontana dal fronte. In una delle tavole di Achille Beltrame pubblicata sulla «Domenica del Corriere»4 gli austriaci vengono ritratti nel vano tentativo di mettere in acqua delle imbarcazioni per tentare il passaggio sull’altra riva, impossibilitati da raffiche di mitragliatrici italiane. * È il settimanale della iii Armata, il primo numero esce il  marzo , l’ultimo (a guerra finita) il ° luglio .


 di qui non passeranno

Le illustrazioni di questo disegnatore si tengono sempre in sospeso tra una visione stereotipata, e conforme alle attese di narrazione degli Italiani rispetto alla guerra, e una descrizione lucida, tesa alla realizzazione di puntuali binari interpretativi. In base a ciò ci sentiremmo di affermare che la tavola concernente Fossalta è realistica nella rappresentazione, anche se non manca la pervasività di un mero intento propagandistico intenzionato ad accentuare le difficoltà del nemico. Nella «Tradotta», spesso e volentieri prevale lo spirito goliardico e dissacratore, “popolano/popolare” oseremmo dire, con cui vengono illustrate le vicende belliche, un ideale contraltare allo spirito più serio che contraddistingue la «Domenica». Per quanto riguarda Fossalta, nel n.  del  giugno  appare una tavola del sottotenente Antonio intitolata Gli spettacoli pirotecnici sul Piave; il merito dell’identificazione va al colpo d’occhio di Giovanni Cecchin: Con mia sorpresa noto che quella medesima località è stata oggetto di una tavola a colori del pittore Antonio Rubino*, Spettacoli pirotecnici sul Piave [...] Ci sono gli stessi elementi: il dedalo di trincee del Basso Piave, il fiume che “punta a elle” verso le linee italiane, il nido di mitragliatrici, la spiaggetta. [...]5

* Nato il  maggio  a Sanremo (Imperia), Antonio Rubino inizia a collaborare al «Giornalino della Domenica» nel  e alla fine dell’anno successivo passa al «Corriere dei Piccoli», diventando in breve tempo uno dei più prolifici e importanti autori di questo popolarissimo settimanale, per il quale crea numerosi personaggi: da Quadratino a Viperetta, da Pino e Pina a Lola e Lalla. Durante la Prima guerra mondiale collabora assiduamente a «La Tradotta», una rivista destinata ai soldati, per la quale ha tra l’altro dato vita al caporale C. Piglio, sempre pronto a elargire consigli non richiesti a chiunque gli capiti a tiro, e all’eroico Muscolo Mattia. Nel  passa al «Balilla», disegnando le favole di Esopo, due anni dopo fonda e dirige «Mondo Bambino» e nel  inizia una lunga collaborazione con la Mondadori, assumendo la direzione di «Topolino» dal  al . In seguito si dedica all’animazione. Antonio Rubino è morto a Baiardo (Imperia) il primo luglio .


. Il racconto ufficiale 

La rappresentazione dei combattimenti a Fossalta si attesta su due registri diversi: epica una, ironica l’altra; entrambe però rilevano e sostanziano gli stessi elementi della vita di trincea in quel particolare settore in cui, più che i soldati è protagonista il «fiume sacro», il Piave che pretende notevole spazio per sé, lo occupa e in un certo senso lo sublima dandogli alterazioni, ora tragiche ora comiche, rispettando occultamente i canoni della tragedia greca, secondo la quale tragico e comico sono solo le due facce di quel Giano bifronte che è la guerra.

note  «Bollettini di guerra del solstizio vittoriale (dal  giugno al  giugno – Proclama del re all’esercito vittorioso)», in Oreste Battistella (a cura di), Commemorazione del VI annuale della battaglia del Montello, Soc. Anonima Longo e Zoppelli, Treviso , in Amerigo Manesso (a cura di), La Grande Guerra nel Trevigiano, Stamperia della Provincia di Treviso, Treviso .  Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, cit., p. .  Mario Isnenghi, Giornali di trincea, Einaudi, Torino .  Numero del  aprile- maggio , Centro di documentazione sul Monte Grappa – Biblioteca Comunale di Crespano del Grappa.  Giovanni Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos sui campi di battaglia italiani della Grande Guerra, Mursia, Milano , p. .

Foto in apertura di capitolo: Gli spettacoli pirotecnici sul Piave, in «La Tradotta», n. 10, 6 giugno 1918.


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Cap. 

I protagonisti

Ciò che sappiamo dei soldati è poco, pochissimo: la documentazione, sia pubblica – atti comunali e parrocchiali – che privata è andata quasi completamente distrutta; sorte diversa è toccata agli ufficiali di complemento sui quali invece siamo ben informati. Anche ciò che concerne Fossalta rientra nei paradigmi interpretativi fin qui impostati secondo linee metodologiche di carattere più generale proposte da Mario Isnenghi e Antonio Gibelli; infatti dell’archivio della memoria più veracemente popolare restano solamente una lettera e una testimonianza raccolta in un’opera miscellanea, mentre dal versante più “alto” ci sono pervenuti una lettera e in più ben tre diari, scritti contemporaneamente alla guerra, quindi nel suo “farsi”: quelli di Arrigo Pozzi, di Luigi Gasparotto, da me analizzato, e di don Giuseppe Bianchi. Sulla linea mediana vi è quello di monsignor Albino Schileo, un prete soldato, che si compone di scarne, se pur drammatiche, note che non ho analizzato nel dettaglio, rinviando a Cecchin che lo ha conosciuto direttamente riportando le testimonianze orali nel suo libro.

Due lettere a confronto: Giuseppe Roncola e Benedetto Panciera Giuseppe Roncola è un soldato fossaltino del i Granatieri che ricevette una medaglia d’argento alla memoria con la seguente motivazione: «Caduto il portatore di una mitragliatrice nei tentativi di forzamento di un paese eseguiti avanzando in corsa e contemporaneamente sparando, ne raccoglieva l’arma e continuava l’azione, cadendo pure esso fulminato dal piombo nemico. Caposile,  luglio ». Sua è l’unica lettera di un soldato fossaltino che abbiamo rinvenuto1, inviata alla madre il .. da Tivoli dove era stato assegnato in attesa del fronte:


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Tivoli li .. Carissima mamma vengo con questa mia lettera per farti sapere che io sto bene e così spero anche di te e tutta la famiglia. Cara mamma mi scuserai se non tio mai scrito, tu mi ai deto nela tua lettera che tu mi ai scrito che non staga pensare a casa ma se tu sapessi quanto male che sista soto le armi pensarmi che a casa stavo molto bene. Cara mamma pensarmi quando era che dicevo non vedo ora di andare a militare, perché avevo poco giudizio. Pensarmi quando ero a casa quando non avevo soldi venivo da te e invece qui da chi vado a soldi se non mi mandate valtri. Cara mama pensarmi quel giorno che sono partito io credeve di partire allegro ma invece non sono stato buono. Ma sono stato per un po’ fino alla stazione dopo mi sono trovato con altri due granatieri e me la sono pasata molto bene. Cara mama ho fato un bel viagio che mi sono divertito molto. E dopo apena rivato lì mi sono trovato con Gildo [...] e siamo andati fuori per Roma. Cara mama ti facio sapere se qui non si a giudizio qui neo fa fare per forza con le bote o con la prigione. Cara mama fatemi sapere qualcosa di Parigi come si porta, fami sapere qualcosa della signorina [...] come si porta con il suo caporale e poi fatemi sapere qualche bela novità. Cara mama ti ricomando il mio vistito che non il vada tocato da nessuno e poi la bicicletta che non vada toccata. Cara mama non mi resta che salutarti te e tutta la famiglia. Sono il tuo filio Giuseppe Adio mile baci a te e li bambini che non pasa un giorno che menzionino.

Da questa lettera, secondo le chiavi interpretative fornite da Antonio Gibelli2, possiamo cogliere più di qualche spunto interessante, nonostante lo scrivente non sia ancora effettivamente calato nella realtà estraniante del fronte. All’inizio il soldato Roncola cerca di rassicurare la madre, seguen-


. I protagonisti 

do il canovaccio che prevede un esordio rassicurante («io sto bene») evitando di accrescere l’angoscia e i penosi tentativi della madre di avere sue notizie («tu mi ai deto nela tua lettera che tu mi ai scrito»); ben presto però emergono tutte le paure di Giuseppe che vanamente cerca di occultare. La lettera si muove su due registri, diversi e insieme complementari: infatti il soldato prima dà ragione alla madre che lo aveva avvertito della durezza della vita sotto le armi; poi si sforza di sminuire la durezza della sua situazione accennando a come si sia divertito durante il viaggio, infine non rimane che un’ultima sofferta presa d’atto («cara mama ti facio sapere se qui non si a giudizio qui neo fa fare per forza con le bote o con la prigione»), stranamente sfuggita alla censura. Confermato è anche l’attaccamento, quasi ossessivo, pur di sfuggire all’alienazione cui è sottoposto, alle memorie della famiglia e della casa, tale da costituire una sorta di rifugio in una situazione del tutto precaria. Roncola chiede notizie di persone a lui care e accenna a determinati oggetti che pur nella loro banalità conservano per lui un forte principio d’identità («cara mama ti ricomando il mio vistito che non il vada toccato da nessuno e poi la bicicletta che non vada tocata»). A parziale contrapposizione, presentiamo la lettera del tenente fossaltino Benedetto Panciera inviata alla madre e alla sorella – profughe a Modena – il  giugno  dal Grappa3. È un testo fortemente intriso di patriottismo dove l’Austriaco è sentito come il nemico per eccellenza, verso il quale non si deve provare pietà alcuna in quanto invasore e profanatore della propria terra: [...] restare alla nostra Terza Armata, specie per il fatto di essere nei nostri Paesi, dove forse era più doloroso restare, ma dove anche l’odio maggiormente alimentato ci avrebbe reso molto più soddisfacente lo schiacciare la lurida Aquila a due teste.

Questo motivo, continuamente rimarcato nonché tenuto vivo nella memoria dello scrivente, indica come per i soldati ed ufficiali originari dei territori occupati la guerra si caricasse di nuove e più


 di qui non passeranno

veritiere motivazioni, quelle della difesa/liberazione del proprio territorio e anche della vendetta: Il sibilo dei proiettili che, fischiando, portano la distruzione e la morte fra i nemici, mi rassomiglia e mi ricorda il grido di dolore vostro che avete dovuto abbandonare i nostri focolari: mi ricorda il dolore dei nostri morti che vennero sconvolti nelle loro tombe dal fuoco e dall’artiglio nemico, contenti ed orgogliosi di aver visto i loro figli alla riscossa, a vendicare le loro donne, vogliono ora riposare in pace! Va fuori, o ladro, questa è terra nostra... intangibile! Ti ricacceremo nei tuoi nidi di gubo, nelle tue gelide città: ove prospera e vive il sangue latino non c’è posto per il tedesco! Via! E voialtri, madri e sorelle, assieme alle spose e alle figlie, non accasciatevi! I vostri quassù vi difendono: ritornate tranquille alle vostre case che ricostruiremo più belle, a imperituro ricordo della magnifica epopea delle nostre terre. Mi sono lasciato un po’ vincere dai miei pensieri: scusatemi! Forse vi ho addolorato con i miei sentimenti perché avrò riaperto e messo a crudo ferite vostre che, sacre, non potranno essere mai rimarginate.

Con notevole lucidità il tenente Panciera considera la zona del Piave e del Grappa come ultimo baluardo («forse sento che quassù è più forte la minaccia nemica e che questo è il punto dove dobbiamo arrestare l’ingordigia asburghese») e soprattutto rileva il significato della guerra dopo Caporetto come portatrice di unità nazionale nella comunanza di intenti, in cui anche la Chiesa assurge a protagonista: Laggiù – nei nostri paesi – da un alto platano, dove arrampicatomi piantai un osservatorio, rividi Fossalta. Aveva la fisionomia lacera, ma sacra, di tutti i paesi martiri della guerra: più alta di tutti e meglio visibile la Chiesa dove maggiormente si è sempre accanita la rabbia austriaca: laggiù, come quassù contro la Cappella del Grappa, come vicino a me, dove, in questi giorni, la piccola Chiesa di un paese montano. Iddio, giustamente, ci ha chiamati ad eseguire la Sua vendetta: e bene hanno fatto i suoi sacerdoti a ringraziarLo della vittoria nelle Sue Chiese in Patria. Gradita a tutti, e in special modo a noi che abbiamo le nostre case


. I protagonisti 

dove maggiormente arde la battaglia, è riuscito il Te Deum che a Treviso venne cantato in Duomo*. È stata forse la prima volta che i nostri animi si sono tenuti veramente uniti a quelli del Paese: sempre siamo stati certi del Vostro appoggio per quello che facevamo quassù: ma ora questo appoggio tutto si è unito in tutta la Nazione ed è stato consacrato sugli altari. È ormai in noi, in tutta la sua eloquenza, la certezza che combattiamo per una causa giusta e sacra e sopportiamo meglio i nostri disagi e la nostra vita è più tranquilla! Come la Nazione ha sentito impulsivo di esprimere la sua doverosa ammirazione all’esercito, così l’esercito si è rivolto felice verso la sua Patria e orgoglioso e contento ha gridato «aiutateci... di qua non passano! Siateci, sempre come ora, strettamente uniti e vinceremo».

Vi è anche un accenno ai soldati, forse con toni troppo idealistici: [...] non siamo ufficiali e soldati, siamo tutti uguali. [...] unica loro soddisfazione [dei soldati, N.d.R.] il compiacimento di noi, ufficiali, per il servizio prestato.

Anche la descrizione dei combattimenti a Fossalta del  giugno è intrisa di toni aulici e di motivazioni di carattere personale dello scrivente: Quella giornata – il  giugno – che resterà forse una delle più belle giornate della nostra guerra perché consacrò il Piave, il nostro Piave, baluardo che proibì al «barbaro» di calpestare più oltre il suolo sacro della Patria; resterà indimenticabile pure nel libro nero delle sconfitte dell’Austriaco. Quante legnate!... Ma quante!... In qualunque posto volesse correre ai ripari, sempre trovava prima i nostri meravigliosi fanti, eroicamente coadiuvati dalle nostre magnifiche mitragliatrici, che davano gli ultimi colpi di grazia. Rastrellavano le pattuglie che non consce di battere non contro l’esercito di Caporetto, ma contro il migliorato esercito della nostra Patria Latina, testardamente voleva far fronte al loro * Si parla del  giugno , come si evince in Giovanni Brotto, Il Vescovo del Montello e del Piave, Editrice Trevigiana, Treviso , p. .


 di qui non passeranno

impeto vittorioso. Maggiormente si accanivano proprio all’altezza di Capo d’Argine: non volevano abbandonare le nostre terre, speranzosi di raccogliere il promettente raccolto. Ah!... no cari miei... Quello è pane delle nostre famiglie: non potrà mai soddisfare le vostre immonde fauci insoddisfatte. A voi vi regaliamo il piombo: niente perde l’umanità se scomparite voi, brutti esemplari di una peggiore razza!

Glorie e miserie della Trincea Glorie e miserie della Trincea 4 viene presentato dal suo stesso autore come un diario di guerra, quasi il suo testamento «convinto che un giorno o l’altro sarei morto»5. In realtà l’anonimo, ufficiale degli Arditi, sopravvisse alla guerra e, dimessa la divisa, dopo essere stato mandato a reprimere i moti dei «comunisti» a Roma nel quartiere di San Lorenzo, divenne un sostenitore del movimento fascista nel 6. Un intero capitolo delle sue memorie è dedicato all’azione del suo reparto a Fossalta, interessante per la descrizione vivida dei combattimenti e anche per la filosofia di quella singolare figura di soldato che era l’ardito: sul piave – giugno  La prima divisione d’assalto alla quale appartenevo era costituita da tre gruppi di due reparti ciascuno e precisamente x-xx, xii-xiii, viii-xxii e del o gruppo d’artiglieria da montagna che aveva il compito tattico di coprire la nostra avanzata. Le armi speciali, come i lanciabombe, i lanciafiamme e le mitragliatrici pistola, facevano parte organica di ogni reparto d’assalto. Questa divisione forte di  pugnali, venne impiegata per la prima volta come unità dal  al  giugno , al comando del Generale Zoppi, magnifica figura di ardito dal berretto sulle ventitré che infondeva nell’animo di noi tutti il senso del moto. In quelle giornate la divisione ebbe il compito di assalire il saliente dell’esercito austriaco che era riuscito a passare il Piave al Montello ed a Fossalta, di distruggere le teste di ponte e ributtare nel fiume il nemico. Compito difficile contro avversari disperati dal nostro attacco e senza via di scampo. Erano stati interrotti tutti i ponti alle spalle del nemico,


. I protagonisti 

dal tiro delle nostre artiglierie e dalla corrente del fiume ingrossatosi per la pioggia. Fin dal  giugno avevamo ricevuto l’ordine di tenerci pronti a partire, perché il nemico aveva iniziato un furioso bombardamento sulle nostre linee del Piave ed era imminente l’attacco. Bisognava che gli austriaci passassero perché fosse necessario il nostro intervento; noi non eravamo ancora preparati a intraprendere l’offensiva oltre il fiume. Venite pure!.. Questo era il recondito desiderio di ogni ardito. Se il nemico non fosse venuto al di qua dal fiume, noi saremmo rimasti... buoni per un’altra volta. Passò in due punti; penetrò per alcuni kilometri nelle nostre linee e si ebbe quello che si meritava. In questa azione morirono due persone a me tanto care: il capitano d’artiglieria da campagna Tombolan Fava, mio ex collega del o artiglieria da campagna ed un mio compagno, il tenente degli arditi Albertini Giuseppe, entrambi medaglia d’oro. Questo è il bollettino del Comando Supremo che in data  giugno , fa la storia del combattimento del  giugno. «Sul Piave la mattina di ieri fu calma, ma nel pomeriggio la battaglia divampò ancora furiosa... Sull’argine del fiume, fra Candelù e Fossalta, la strenua difesa dei nostri mise a dura prova l’avversario, il cui impeto si infranse di fronte all’incrollabile bravura delle nostre fanterie. Egualmente intensa, ma su fronte più vasta, la lotta imperversò nel settore Fossalta. L’avversario, incalzato da noi, si difese disperatamente, e ad ogni passo il terreno è stato teatro di epiche lotte. Le truppe nemiche sono costrette in spazio angusto sulla destra del fiume...» Io che ho avuta la ventura di viverlo, desidero che il lettore conosca qualche particolare di quello che fu il teatro di epiche lotte. Le due brigate, la Sassari e la Bisagno erano uscite dai combattimenti del  e  giugno decimate dai furiosi contrattachi contro il nemico che aveva passato il fiume e la Prima Divisione d’Assalto ebbe il compito di sostituirle. L’ordine fu di contrattaccare in direzione di Fossalta con uno schieramento parallelo al fiume. Per questo attacco ogni ardito ebbe una dotazione di  petardi in luogo dei  come al solito:  nel tascone,  nel tascapane. I soldati per nessun motivo potevano usare i moschetti: solo il pugnale nei corpo


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a corpo e le bombe a mano a distanza. Le altre armi da usarsi oltre i dieci metri erano state abolite. «Gli austriaci a portata di pugnale» era l’ordine tassativo ed era la posta degli arditi. Verso mezzogiorno del  giugno raggiungemmo con gli autocarri il teatro dell’impresa per la camionabile Roncade-Monastier, Fossalta di Piave. Balzare a terra e buttarsi in ordine sparso verso il Piave, ogni ufficiale coi propri uomini, fu cosa di un attimo. Uno strano presentimento di morire mi prese l’animo al vedere i resti di due brigate che tornavano verso le retrovie e che andavamo man mano sostituendo. Non vi erano trincee da cercare e da prendere in consegna; ogni drappello lasciava il nemico che gli stava di fronte in ordine sparso, senza trincee, senza una continua linea di possesso. La difesa del nemico era costituita da tanti capisaldi, tenuti ognuno da cinque o sei mitragliatrici. Di solito erano piazzate a ventaglio e dietro di esse, scaglionati in profondità, plotoni di fucilieri, di lanciabombe e soldati porta munizioni. Il mio reparto investì come primo obiettivo le case di Osteria di Fossalta mentre il reparto gemello attaccava il paese di Capo d’Argine, partendo da Losson. Percorsi  metri, col cuore in gola, alla testa dei miei arditi che sembravano più nervosi del solito. Forse erano stati emozionati alla vista dei superstiti della Sassari che venivano indietro tentennando il capo come se contro il nemico non vi fosse più nulla da tentare. Truppe di quella fama che tornavano disperate dalla resistenza opposta dal nemico, non era il più bell’augurio. Incappai subito in un nido di mitragliatrici che apri il fuoco sul nostro fianco con sei armi. Vidi cadere le prime coppie e sparpagliarsi il mio plotone come soffiato dal vento. Chi si buttava a terra, chi tentava di impugnare il moschetto, chi tentava di buttarsi contro le mitragliatrici. Mi buttai più per istinto che per ragionamento dietro un grosso gelso e tentai di farmi sottile il più possibile per non essere colpito dalle raffiche di una mitragliatrice che aveva preso di mira il mio posto. Vedevo saltare sbriciolata la scorza della pianta all’altezza delle mie ginocchia e urlavo parole inutili ai miei uomini.


. I protagonisti 

Fra le tante dette devo anche aver comandato il lancio di petardi ad alcuni uomini che erano sdraiati a terra a pochi metri dalle mitragliatrici. Vidi alcuni Thevenot cadere vicino ai nemici che sparavano; il tiro difatti si fece meno preciso poi confuso. Approfittai di quell’attimo per saltare tre metri avanti dietro un’altra pianta. Ripetei due o tre volte questi sbalzi, finché fui a dieci metri dai mitraglieri austriaci. Gridai un potente e disperato: «A noi!» E tutti i miei arditi balzarono in piedi o uscirono dai loro nascondigli. In un baleno fummo sopra il nemico, lo investimmo con una gragnuola di petardi, seguita da una violenta mischia a pugnalate, finché un mitragliere nemico fu in piedi. Contemporaneamente un terribile vociare si innalzò al cielo sulla destra avanti. Due plotoni del mio reparto erano stati assaliti alle spalle da una dozzina di mitragliatrici leggere che sparavano protette dai cespugli. Senza un comando, senza un gesto, i miei uomini si precipitarono addosso al nemico che venne a trovarsi preso fra due lanciatori di petardi. Anche qui seguì una tremenda zuffa col pugnale ed ogni mitragliere venne crivellato dai colpi di quattro arditi. Io assallii col mio sergente un mitragliere che in ginocchio tentava di disincagliare la sua arma inceppata. Lo colpii sulla faccia col manico del pugnale perché si arrendesse, ma non volle saperne. Ripetei il colpo con più violenza tanto che lo feci sanguinare dalla bocca; ma egli per tutta risposta accese una grossa bomba a mano. Col sergente mi buttai a terra a tre metri dall’austriaco per evitare gli effetti dello scoppio e poi nel fumo che ancora avvolgeva l’avversario tentai di assalirlo e finirlo a pugnalate. Mi accorsi che era già morto dilaniato dalla sua bomba: egli giaceva bocconi sopra la sua mitragliatrice. «Avevano ragione quelli della Sassari» commentò il mio uomo. Veniamo di nuovo assaliti da una sezione di mitraglieri che è uscita da una siepe. Un susseguirsi di vociare «A noi!» rompe il canto delle mitragliatrici; ora siamo tre plotoni mescolati, due giovani ufficiali comandano gli altri due; mi metto a capo di tutti e diamo l’assalto alle prime case in località Osteria. Da ogni finestra del pian terreno e dagli angoli delle case provengono


 di qui non passeranno

raffiche intermittenti di mitragliatrici ed ogni tanto mezzo elmetto e mezza faccia si vede spuntare dai vari nascondigli. Ci disponiamo a semicherchio e via di corsa. Cadono alcuni arditi mentre una pioggia intensa di petardi fumogeni investe l’abitato. I primi che raggiungono l’obiettivo ricevono nella schiena le bombe dei compagni: la situazione è assai critica e grido: «Solo pugnale, a noi!». Accerchiamo tre case semi diroccate e parecchie coppie vi si buttano dentro, la lotta dura pochi minuti: scoppi di bombe misti a spari di mauser, qualche urlo... poi un silenzio tragico. Il gruppo di case è pulito. Andiamo avanti riforniti di altre bombe: ormai la scorta di  petardi per ogni ardito è terminata. La nostra artiglieria verso le ore  iniziò un violento tiro sui ponti del Piave. Sulla mia destra infuriavano numerosissimi piccoli combattimenti isolati, che finivano subito come tante risse di bassifondi: un crepitar di mitragliatrici, quattro fucilate, quattro bombe, delle urla... poi silenzio. Approfittai di un momento di sosta, intorno le mitragliatrici tacevano, riunii i miei uomini dietro una casa e presi accordi coi due colleghi. Alcuni plotoni del mio reparto erano già entrati nel paese di Fossalta e stavano facendo quello che noi avevamo già compiuto a Osteria. Decisi allora di tentare una carta grossa; sapevo che il Piave fa un’ansa verso Fossalta e che dopo le case di questo paese con un balzo di  metri si può arrivare al fiume. Mi trovavo coi miei uomini a quattrocento metri dal paese sulla destra; decisi di attaccare puntando verso il fiume, da sud a nord. Ci disponiamo in ordine sparso e via a sbalzi. Fatti pochi passi incappiamo in un posto nemico. Maledizione! Un altro nido di mitragliatrici appostato vicino ai pezzi di una batteria da campagna. Siamo molto nervosi, eccitatissimi e decidiamo senz’altro l’attacco frontale, sparpagliati su un fronte di duecento metri. Questa volta usiamo la nostra tattica: avanziamo dietro la cortina di fumo degli scoppi dei nostri petardi ed in pochi minuti siamo sul nemico. Evito non so come una baionettata che mi vien diretta al ventre. L’austriaco sbaglia un secondo colpo e pianta la baionetta in terra tra le mie gambe... cade ai miei piedi e lo liquido, vibrandogli un paio di pugnalate nei fianchi. Inorridisco del mio gesto e gli lascio il pugnale nelle reni e vado oltre.


. I protagonisti 

Due arditi mi vengono incontro raggianti e mi gridano: «Tenente, fuori i biglietti da mille: quattro bei cannoni sono qui. Li abbiamo presi». Proseguo alcuni metri con loro e vedo una batteria da campagna... alcuni nostri artiglieri morti stanno vicino ai cannoni. Gli austriaci avevano già voltato i pezzi verso di noi, ma evidentemente non avevano saputo usarli perché gli otturatori erano ancora imbrattati di terra. «Niente da fare, dico, cannoni nostri, niente conquista, andiamo avanti». Restano un po’ male. Riprendiamo l’avanzata fino al fiume. Qui è stato quasi un giochetto perché il nemico non disponeva di mitragliatrici. Ci accolse con un nutrito fuoco di fucileria e con alcune bombe a mano, ma venne presto ridotto al silenzio. Quasi tutto il reparto giunse con noi al fiume: attaccammo in massa come se si trattasse di esercitazioni al campo. Qui facemmo parecchi prigionieri, perché all’apparire degli arditi nelle trincee, già nostre, il nemico alzò le mani; una dozzina si buttarono nel fiume per tentar la fuga, ma affogarono. Non è possibile tener la bocca chiusa e nuotare in simili occasioni. Chi si butta in acqua annega. Verso le cinque di sera venne la fanteria e prese in consegna l’argine del fiume raggiunto. Alle diciotto, dopo aver raccolto una cinquantina di mitragliatrici nemiche, ci riunimmo per l’appello a Meolo. Ottanta morti e duecento feriti, furono le perdite del mio reparto, in quel pomeriggio di lotta accanita. Venne distribuito il doppio rancio e mezzo litro di vino a testa... poi andammo a dormire nelle cascine dell’abitato di Meolo.

Un’ulteriore fonte sull’operato degli arditi nella zona è l’opera di Salvatore Farina, recentemente riedita7, che dà un’esposizione più organica dei fatti8.

Diario di un fante Il diario di Luigi Gasparotto9 (Sacile -Roccolo di Cantello ) è pregno di una singolarità derivante dallo status del suo au-


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tore: figura di soldato-deputato volontario, interventista senza essere nazionalista, attento fin dalle prime battute della guerra alla figura del «fante» di cui indaga il «morale» in largo anticipo rispetto al dopo-Caporetto e all’Ufficio Propaganda10. Il testo attraversa temporalmente tutta la guerra, dal Carso a Caporetto, dal Piave a Vittorio Veneto anche se inspiegabilmente manca l’anno , a causa forse dell’infittirsi dei contemporanei impegni parlamentari dell’autore. Prezioso dal punto di vista militare e anche letterario, questo diario acquista ulteriore importanza grazie alle frequenti considerazioni sui sentimenti sia dei soldati che della popolazione, modellandole sulla descrizione dei paesaggi circostanti che stanno quasi a simboleggiare le varie fasi della guerra. Inoltre, come viene spiegato nell’introduzione, [...] il diario di Luigi Gasparotto* non va considerato soltanto come espressione, pur efficacissima, della memorialistica di guerra, poiché la statura politica e personale dell’autore gli permette di avere una posizione aperta e consapevole delle vicende di cui è protagonista. Gasparotto non si lascia trascinare dagli eventi, pur così terribili, della Grande Guerra, ma riesce a mantenere uno sguardo criticamente lucido e cerca di valutare ogni situazione, pesandone le dinamiche e le possibili evoluzioni.

Dopo Caporetto egli si offre volontario per una seconda volta, prima viene assegnato come sottotenente al o Reggimento Fanteria e poi come tenente addetto al comando della iii Armata. Il primo accenno a Fossalta è datato  novembre , quando cioè comincia la preparazione della linea di resistenza e si prendono le posizioni sugli argini del Piave: La linea di Fossalta è tenuta dalla brigata Catania; le mitragliatrici sono

* Eletto per la prima volta deputato nel , fu presidente della Camera nel ’, ministro sia del Regno (-) che della Repubblica (- e  come primo ministro della Difesa della storia italiana); rifugiatosi in Svizzera a causa del suo antifascismo nel ’, negli ultimi anni di vita politica fu consultore e deputato alla Costituente e dal  al  senatore di diritto per il Partito della democrazia del lavoro.


. I protagonisti 

state portate oltre l’argine, sino all’acqua. Fra i canneti, sotto il tiro delle artiglierie, gli zappatori stendono reticolati, allineano cavalli di Frisia. Si grida per ostentazione «Viva l’Italia», di fronte al nemico, che da stamane ha collocato i suoi “cecchini”. Ma i soldati questa notte hanno sentito arrivare dall’altra sponda grida di donne e pianti di fanciulli, e ne sono sdegnati. Kobylinsky comincia a intenerirsi. «Di qui non passeranno», dice il maggiore Saracco del o fanteria. Arriva la prima granata sulla chiesa. Incomincia la fine di Fossalta. Si inizia così la distruzione di questa superba terra veneta, tanto diversa dal Carso, tutta percorsa da fiumi e da rivi, da rogge e da “tagli”, da brendelle e da bottenighe; la terra classica della Piave Vecchia, della Piave Nuova e della Piavesella; del Sile e del Siletto, dove ogni zolla è bagnata di sudore, dove ogni fiume e ogni canale ha la sua lunga storia di lutti e di vittorie.11

Come si vede Gasparotto predice la distruzione di Fossalta e si sofferma a lungo sulla dolcezza del paesaggio circostante contrapponendolo alle asprezze del Carso, anch’esso testimone degli orrori della guerra. Essendo addetto al comando della iii Armata, l’autore ha modo di girare in lungo e largo la zona circostante, da San Donà a Musile e soprattutto Zenson; sulle pagine del suo diario Fossalta ritorna in maniera diretta il  maggio , quando la situazione militare si è ormai assestata e le truppe fino a giugno vivono un periodo di relativa calma. L’autore ha così modo di raccontare episodi della vita quotidiana della truppa e della popolazione locale. Riportiamo l’interessante narrazione di un episodio di incoraggiamento alla diserzione di un ufficiale ceco:  maggio Il fronte di Fossalta è tenuto dalla brigata Avellino, che sorveglia le due anse di Gonfo e Lampòl. Al comando del o, alla casa del sindaco, ci sono due ufficiali giornalisti, Tondi e Cristiani. Fossalta è squallida, il campanile è a terra, ma sulla facciata delle scuole elementari si legge ancora: «Educa e spera». Intanto, il nemico spara. Sull’argine ci sono oggi gli czechi che tentano, attraverso il Piave, gli approcci con un ufficiale di Praga che è disposto a disertare. Ma di giorno la fuga è impossibile. Tre ufficiali legionari, Rodolfo Sàrek studente in legge, di Ostrava, già condannato a morte, il


 di qui non passeranno

dottore Vittorio Ettel, di Praga, e Nosàl Cyrill, di Tèsice, sperano di portar a compimento l’operazione questa notte. Intanto, si percorrono gli argini, si scende ai piccoli posti e si canta. Cioè, loro cantano le canzoni boeme e noi canticchiamo. Di tratto in tratto le vedette fanno cenni. Ci sono degli austriaci e con la mano ne indicano la direzione. Fra gli opposti gesti, fra le opposte parole, il Piave passa rapido e torbido, sostando nelle anse tortuose. È toccante questo sforzo di cuori fratelli che fanno arco sopra l’acqua che li divide, per congiungersi in un comune dolore, in un’unica speranza. Il sole incombe sull’una e sull’altra sponda, incolte entrambe e rosse di papaveri. Frattanto il nemico, per mezzo di palloncini, lancia dei numeri dell’«Elmetto», nel quale si esaltano gli effetti della campagna di sommergibili. Anche i polacchi che si trovano al di là, verso l’ansa di Gonfo, accettano di parlamentare, ma non sanno decidersi. Finalmente un ufficiale boemo lancia una parola: «A mezzanotte». Mezzanotte. È il plenilunio. Si tenta dapprima la caccia nell’ansa di Gonfo. Di qua ci sono i nostri czechi col tenente Ettel, di là ci sono i polacchi. Si parla lungamente, ma i polacchi sono esitanti. [...] Si passa all’ansa di Lampòl dove le cose procedono diversamente. [...]12

Questo brano non solo ricrea in modo suggestivo l’atmosfera sul fronte di Fossalta, ma è anche una decisiva testimonianza del pensiero di Gasparotto, che aveva compreso come uno dei punti deboli dell’Austria-Ungheria fosse la coesistenza di più popoli tutti tesi a difendere le proprie nazionalità, un punto di cui i soldati italiani dovevano approfittare per incoraggiare le diserzioni. Qui di seguito riportiamo una lunga descrizione di furiosi combattimenti, siamo in piena Battaglia del solstizio e a Fossalta si guerreggia aspramente: l’ansa di lampòl,  giugno [...] Anche oggi la brigata Avellino è alle prese col nemico. Ha già la sua pagina caratteristica, scritta col sangue, nella bruciata ansa di Lampòl. La sera del  giugno la corda dell’ansa, a nord di Fossalta, era tenuta dal secondo battaglione del o comandato dal maggiore Savardo, quando a mezzanotte fu dato l’annunzio che prima dell’alba il nemico avrebbe attaccato. Alle tre del  scoppiettarono le mitragliatrici e all’alba il sole non apparve, perché tutto il terreno e il cielo, fino a una certa altezza, sbiadivano in una fitta nebbia, che solo


. I protagonisti 

dopo si apprese che era artificiale; ondate lacrimogene obbligarono tutti a ricorrere all’impaccio delle maschere. Mentre davanti, sulla prima linea e ai fianchi, si combatteva, la corda, lacerata dalle bombarde, venne saldamente tenuta per tutto il giorno, senza che un palmo di terreno fosse ceduto. Il primo e secondo battaglione del o riescono a tenere le mitragliatrici sul ciglio del fiume per tutto il giorno . Ma a mezzogiorno del , folte schiere nemiche sbucavano dalla destra, dopo aver rotto il dronte del o fanteria, verso Fossalta, e il secondo battaglione del o dovette spostarsi per difendere il caposaldo delle Ronche. [...] Tutto ieri nell’ansa di Lampòl infieriva la battaglia; vi sono anche i fanti dell’eroica «Ferrara», col maggiore Meneghini. I nostri, ormai prigionieri in mezzo alle file nemiche, rifiutano di arrendersi. Si sa che un centinaio di uomini si sono barricati fra le rovine di casa Rossetto, altri tengono casa Musuruanna; ma in questo momento si ignora la sorte di questa falange di prodi. È certo che è abbandonata a se stessa, senza vettovaglie e senza possibilità di soccorsi. La brigata Avellino sbarrò così il passo al nemico che, secondo l’orario di Boroevic, per le  del  doveva essere a Meolo, stamane una ventina di soldati, caduti ieri prigionieri, riuscirono a fuggire e si affrettarono a correre al comando della brigata ad annunciare che questa notte altri tenteranno di evadere, perché nessuno vuole rimanere in mano dell’austriaco. [...] Quanti eroismi! Ma i tre comandanti di battaglione del o sono già tutti caduti, e morti sono pure i due ufficiali di collegamento della brigata. brigata avellino Sulla via di Fossalta, al Pralongo, a casa Scrinzi, c’è il colonnello Pau del o, Cristiani e Manfredonia: a poche centinaia di metri, il nemico sferra un attacco sullo Scolo Palumbo. Lo spazio che divide casa Scrinzi dallo Scolo è sotto il fuoco; i rincalzi scavano buche per ripararsi dalle pallottole. [...] Non sono giorni di chiacchiere, questi. L’aria è tutta un sibilo, un fischio un fremito; ma sul margine dello Scolo Palumbo i soldati rispondono al nemico con la calma dei forti*. Il capitano Cecchi mi dice: «Come non vincere con questi soldati?». [...] E che avviene nell’ansa di Lampòl? Si dice che, ancora oggi, a mezzogior* Si vede ancora come per il Gasparotto la cosa più importante sia sempre il morale delle truppe, in primo luogo del fante, che egli vede come il vero protagonista della guerra.


 di qui non passeranno

no, due mitragliatrici e una cinquantina di fanti si difendessero disperatamente a casa Rossetto sud. [...] Giunge notizia che gli arditi hanno ripreso Fossalta e la tengono.13

Arriviamo così al  giugno, giorno della vittoria e della definitiva liberazione di Fossalta: qui Gasparotto annota solo l’arrivo del o e o reggimento fanteria mentre per il giorno successivo, il  giugno, si limita a una breve ma intensa annotazione: Anche il viale alberato di Fossalta è semidistrutto: distrutta la bella piazza del paese. Ma sugli avanzi delle scuole restano ancora le parole: «Educa e spera»; il programma di domani.14

A metà settembre, la situazione è completamente cambiata: adesso sono i soldati italiani che hanno l’iniziativa e cercano di attraversare il Piave.  settembre Mezzanotte, sulla strada di Biancade. Passano autocarri a velocità sfrenata, con soldati che cantano. Si ferma l’ultimo. «Alto là, dove andate?» «Siamo arditi; andiamo a fare l’azione.» «C’è l’ufficiale?» «C’è padre Giuliani, che dorme.» Si sveglia padre Giuliani, il cappellano del xxviii reparto d’assalto. Si deve passare il Piave, stanotte. Ormai le gite oltre Piave, per alimentare lo spirito aggressivo degli arditi, sono venute di moda. Allo sbarramento di Fossalta, le sentinelle si oppongono al passaggio, perché nessuno di noi conosce la parola d’ordine. Poiché si protesta, il sergente domanda: «Ma chi sono, loro?». Si risponde, accennando a Simoni: «Il tenente è direttore della “Tradotta”». «Ah, il giornale che fa ridere i soldati! Allora li faccio passare! La parola d’ordine è Lugo». Si arriva all’ansa di Lampòl sotto un cielo che è tutto un ridere di stelle. Corrono tra le due sponde lampi di riflettori, razzi, bombarde, fucilate. Una colonna di arditi scenderà in acqua a Lampòl, un’altra a Gonfo; dovranno incontrarsi al di là. [...]15

L’ultimissimo riferimento a Fossalta è datato  ottobre, poco


. I protagonisti 

prima della battaglia di Vittorio Veneto o della Sernaglia, come la chiama l’autore: A Losson è straripato lo Scolo Palumbo, a Capo d’Argine stagna l’acqua nei campi; il nemico tira rabbiosamente su Fossalta.16

Don Giuseppe Bianchi Trovo tracce di questo tenente-cappellano* (del o e, interinalmente, del o fanteria), amico di Hemingway, nello studio di Giovanni Cecchin e leggo con curiosità del suo diario, a cui lo stesso scrittore statunitense attinse notevolmente per il suo Addio alle armi, ad esempio per la vivida – seppure romanzata – descrizione della ritirata di Caporetto. Constatato che trascorse gli ultimi anni della sua vita nell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore di Asciano (Siena), approdo anch’io in questo luogo suggestivo dove ho modo, grazie alla gentilezza di don Roberto Donghi, di consultare il suo registro delle Messe e diario. Nelle pagine dove don Bianchi annota i suoi spostamenti lungo il fronte, traspare la sua forte fede e, quasi conseguentemente, le sue salde aspirazioni pacifiste, anche se mai arriva ad una recisa condanna della guerra che sta combattendo. Vi sono solo due riferimenti diretti a Fossalta: uno fugace del  novembre ; l’altro, più corposo, che può essere letto come una indiretta testimonianza di come influisse sul morale dei soldati e dello stesso cappellano militare la “qualità” di chi li comandava: Il tenente colonnello Gario (perfido uomo) faceva togliere il comando [del ° fanteria, N.d.R.] al buon colonnello Soria. Alla chiesa di Vaglio [in realtà Vallio, N.d.R.] si costituisce il comando del Reggimento e vengono in quei giorni  complementi. Il  [giugno] si parte per mettere il comando a Pralongo-Casa Scrinzi. Il ii battaglione va in linea, il primo si accampa vicino al comando stesso e il iii a S. Pietro Novello. * Nominato tale con un telegramma del Ministero della Guerra del  marzo  e assegnato il  aprile dal Vescovo Castrense al ° fanteria.


 di qui non passeranno

Il col. Gario fa fare molti insensati tentativi e finalmente viene sbalzato dall’egregio e valente col. Cravero Giulio Cesare di Roma che ha  anni e  decorazioni. Come per incanto quest’uomo militare rialza le sorti del reggimento e fa risplendere tanto il suo valore che con lui verrà a riscuotere anche quelle lodi che per lo innanzi meritatesi non gli erano state concesse.

Fra l’altro, don Bianchi intratterrà anche negli anni seguenti ottimi rapporti con questo colonnello Cravero.

«I gas asfissianti» Questo è il titolo di una testimonianza, quella del fante Ernesto Piceni a Fossalta di Piave il  giugno , trovata da una classe di scuola media, nel contesto di una ricerca sul centenario dei «Ragazzi del ’», in una raccolta di testimonianze curata dal generale Faldella17. La riportiamo nella sua interezza perché ci sembra un episodio interessante nel contesto delle forme di fraternizzazione tra gli italiani e gli austriaci18: un momento rivelatorio della tragedia intriseca della guerra a cui i soldati trovavano modo di ribellarsi con gesti “piccoli” ma altamente significativi: fossalta di piave,  giugno  Il  ho lasciato Padova ed il  mattina giungo a pochi chilometri da Fossalta di Piave in uno scenario desolante. La campagna attorno mostra le sue ferite attraverso un rosso terreno sconvolto dalle esplosioni e tronchi d’alberi divelti alzano i loro rami anneriti verso il cielo come moncherini. Il Piave, intravisto da lontano, mi è parso ingrossato paurosamente e scuro e limaccioso trascina relitti d’ogni specie. Da alcuni giorni il nemico ha sferrato un’offensiva e noi della a compagnia mitraglieri, aggregati al o reggimento della brigata Sassari, abbiamo il compito di contenerne e limitarne i movimenti. Verso la sera del  siamo già a contatto di fuoco: poi giunge la notte insonne che porta ripetuti scontri di pattuglia all’altezza delle trincee dove mi trovo, sotto l’incessante tuonare delle artiglierie.


. I protagonisti 

Sono le cinque e venti ed il disco giallo del sole è già nitido all’orizzonte: improvvisamente pallottole di mitraglia si conficcano nei sacchetti di terra a pochi centimetri dal mio capo, mentre esplosioni si susseguono ad alcuni metri da me. Schegge arroventate falciano l’erba sibilando. Mi scuoto, ma faccio solo pochi passi in direzione delle nostre mitragliatrici e dei serventi che si trovano a brevissima distanza, quando un urto violento mi percuote il lato destro del viso. Stordito mi getto a terra, mentre terriccio e fumo mi ricoprono. Mi rialzo e tra il fumo e l’odore acre della polvere da sparo bruciata vedo brandelli di carne sanguinante appiccata dappertutto. In bocca sento il sapore dolciastro del sangue. Più nessuno è accanto a me. Mi catapulto fuori dalla trincea ed inizio a strisciare carponi; non so dove dirigermi e pare che siano tutti scomparsi o morti. Gli scoppi delle granate aumentano d’intensità e mi impediscono di sentire urla o richiami. Percorro strisciando venti metri, quasi acceccato dal terriccio che mi è penetrato fra le palpebre, e scorgo l’orlo di una buca provocata da un’esplosione. Mi ci infilo e cerco a tentoni il fondo, ma tocco qualcosa di caldo e viscido. Sotto di me, all’intorno, sono sparse le interiora di un cadavere. Inorridito tento di risalire lungo il fianco del cratere, quando uno scoppio accecante ne colpisce la sommità. Attendo che il terriccio sollevato dall’esplosione sia ricaduto e ricomincio ad issarmi, ma incespico e cado all’indietro. Ritento con maggiore forza ma faccio solo un passo e le gambe, non reggendomi, mi costringono a ricadere inginocchiato. Riprovo ma è inutile. Ora sento che lungo la gamba sinistra sta scorrendo un liquido caldo. Il panno della divisa è rosseggiante di sangue. Devo essere stato colpito da una scheggia ma non provo dolore. Strappo il tessuto all’altezza del ginocchio ed appare la ferita ampia e profonda. A un tratto, l’olfatto percepisce un tanfo orrendo e sento in bocca il sapore dello zolfo. Il fumo che ricopre la buca prende sfumature verdognole ed il panno della divisa mi appare giallo. Ora il fumo si fa più denso e scende fluido lungo i fianchi del cratere. I gas asfissianti! Sono privo di maschera per proteggermi e non posso muovermi. Il respiro si fa difficoltoso e colpi di tosse mi provocano conati di vomito. Uno strano languore s’impossessa di me e mi adagio, quasi estraneo a ciò


 di qui non passeranno

che mi circonda. Non provo sensazione alcuna e mi abbandono inerte. Sembra che tutto attorno si sia quietato. L’udito è l’ultimo senso che pare non mi abbandoni. Ascolto. Del pietrisco frana dall’alto. Mi sforzo di alzare lo sguardo, che sento ormai spento, verso la sommità della buca. Un soldato austriaco, forse un ufficiale, mi sta osservando. Il viso è ricoperto dalla maschera antigas che ne nasconde i lineamenti. Istintivamente cerco un’arma, mentre lui rimane immobile a fissarmi. Non fa alcun gesto ostile e da questo intuisco che si sia reso conto della mia situazione. Con un balzo mi è accanto ed io m’irrigidisco in attesa del colpo. Secondi terribili trascorrono. Accovacciato accanto a me, strappa una maschera antigas che porta appesa alla giubba e, chinatosi, m’infila il boccaglio respiratore tra le labbra e mi stringe le cinghie sulla nuca. Stacca la fiaschetta dell’acqua dal cinturone e me la ripone tra le mani. Rimane ancora un breve istante a fissarmi mentre i nostri sguardi s’incrociano e poi, senza alcun cenno, risale veloce lungo i fianchi della buca e scompare dalla mia vista. Tutto ciò si è svolto in pochissimi minuti senza che io potessi reagire in alcun modo, mentre la nebbia verdognola si fa maggiormente densa ed aleggia pesantemente sul terreno. Poi perdo i sensi. Trentasei ore trascorrono prima che mi trovino in quella fetida buca, attanagliato dal dolore e dal delirio. Poi mi trasportarono in un ospedaletto da campo nelle nostre retrovie, presso Mogliano Veneto, per l’amputazione dell’arto ormai in stato di avanzata putrefazione.

Tale testimonianza trova i suoi motivi di interesse anche nella cruda descrizione della battaglia e dell’incombere della morte, temi ampiamente affrontati dal Gibelli19.

«Medaglie d’oro conferite per fatti d’arme avvenuti sul Piave e sul Montello» È il titolo del paragrafo che la famosa guida del cti (Consociazione Turistica Italiana), Sui campi di battaglia: il Piave e il Montello20, dedica all’elenco dei combattenti che in seguito ad atti di grandissimo valore, quasi sempre culminanti con la morte, furono decorati con la massima onorificenza militare: la medaglia d’oro.


. I protagonisti 

Fra questi figurano anche combattenti decorati per fatti d’arme avvenuti a Fossalta e nei suoi immediati dintorni21: Maggiore mignone Francesco, da Savona, del o Regg. Fanteria. Comandante di un battaglione a difesa di una importante posizione, accerchiato, resisteva fieramente per tre giorni a forze nemiche assai superiori, finchè, impegnatasi la lotta a corpo a corpo, cadeva sul posto del dovere e dell’onore combattendo eroicamente fra i suoi soldati. (Ansa di Lampòl, - giugno ). Aiutante di battaglia Saloni Soccorso, da Lecce, del xxiii Reparto d’assalto. Volontariamente e non ancora guarito, usciva dall’ospedale per raggiungere la prima linea. Alla testa della sua compagnia superava, primo fra tutti, i reticolati nemici. Ferito, continuava ad avanzare, finchè cadeva colpito in pieno da una raffica di mitragliatrici. (Losson,  giugno ) Caporale verdirosi Attilio, da Longone Sabino (Roma), del xxiii Reparto d’assalto. Quarantasettenne, volontario di guerra in un reparto d’assalto, animatore e suscitatore di eroismi, cadde colpito a morte al grido di: Viva l’Italia! nel trascinare gli arditi delle prime ondate in un fulmineo attacco che ricacciò in disordine il nemico. (Losson,  giugno). Capitano tombolon-fava Ottorino, da Strà (Venezia), del o Reggimento Artiglieria da campagna. Comandante di batteria, ricevuto l’ordine della difesa ad ogni costo ed assalito da forze preponderanti, assicurò col sacrifizio del suo reparto il ripiegamento dei pezzi di medio calibro, impegnando col nemico violenta lotta corpo a corpo finché, colpito da una bomba a mano, cadde da eroe sull’ultimo pezzo rimastogli, col fucile ancora spianato e col nome d’Italia sulle labbra. (Musile,  giugno) Sottotenente albertini Giuseppe, da Milano, del xxv Reparto d’assalto. Alla testa della propria sezione di mitragliatrici d’assalto conquistava una forte posizione nemica distruggendone il presidio. Manovrando personalmente un’arma, allo scoperto, riduceva al silenzio quattro mitragliatrici avversarie. Contraccatto da forti masse, resisteva con pochi


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uomini per oltre due ore dando tempo ai rincalzi di sopraggiungere. Accerchiato, si apriva la strada a colpi di bombe e quindi, incontrati rinforzi, tornava con essi al contrattacco e riconquistava la posizione. (S. Pietro Novello, Fosso Palumbo, - giugno).


. I protagonisti 

note  In possesso di Giancarlo Dall’Acqua, giuntagli probabilmente mediante gli ultimi eredi della famiglia Roncola.  Antonio Gibelli, L’officina della guerra, Bollati Boringhieri, Torino .  Archivio privato di don Umberto M. Modulo, copia dattiloscritta.  Tenente Anonimo, Glorie e miserie della Trincea, Omero Marangoni, Milano .  Ibidem, p. .  Ibidem, p. -.  Salvatore Farina, Le Truppe d’Assalto Italiane, a cura di Federico Cavallero, prefazione di Giorgio Rochat, Edizioni Libreria Militare, Milano .  Ibidem, pp. -: si rimanda al primo capitolo, paragrafi La lotta di Scolo Palumbo e La perdita di Capo d’Argine.  Riedito recentemente, dopo un lungo silenzio editoriale che persisteva fin dal secondo dopoguerra, a cura di Riccardo Zuliani, presso la Nordpress Edizioni, Chiari .  Per un inquadramento dell’azione dell’Ufficio Propaganda si veda Gian Luigi Gatti, Dopo Caporetto. Gli ufficiali P nella Grande Guerra: propaganda, assistenza, vigilanza, Editrice La Goriziana, Gorizia, .  Ibidem, p. .  Ibidem, pp. -.  Ibidem, pp. -.  Ibidem, p. .  Ibidem, p. .  Ibidem, p. .  Emilio Faldella (a cura di), I racconti della grande guerra, Edizioni Periodici Mondatori, Milano .  Somigliante a quello raccontato da Luigi Baccolo in M. Isnenghi, Le guerre degli Italiani. Parole, immagini, ricordi (1848-1945), Mondadori, Milano , p. .  Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Sansoni, Milano .  Sui campi di battaglia: il Piave e il Montello, cti, Milano  (xviii anno dell’era fascista. Prima edizione, Milano ).  Ibidem, pp. -.

Foto in apertura di capitolo: don Bianchi in una foto del ’.


 di qui non passeranno


Cap. 

«Sono un ragazzo del Basso Piave»

L’ossessione di Fossalta «Gli dissero [...] tu sei un ragazzo di Torcello». Rispose: «Io sono un ragazzo del Basso Piave».

Questa citazione, tratta da Al di là del fiume e tra gli alberi (), è una sorta di retro-illuminazione ovvero un immenso affabulare condensato in poche parole, tipico di Hemingway. Un’azione insistente, che torna spesso, quasi bisognevole di essere continuamente rimarcata, come in una lettera del  al noto critico d’arte Bernard Berenson, suo intimo amico, e che trova il suo polo di conflagrazione in Fossalta. Hemingway è ossessionato da Fossalta, essa è una delle sue tante angosce esistenziali: [...] Non ho mai avuto alcuna paura della morte e non ho mai creduto che potesse succedere a me fino a quando sono saltato in aria in un modo così veramente grave quella volta a Fossalta de [sic] Piave. Credo che la forza dell’esplosione [...] sia stata molto grave per i miei nervi e per la mia testa e hanno impiegato molto tempo per ristabilirsi. Per molto tempo non ho potuto dormire senza la luce accesa di notte.*

Ma anche un punto di raccolta, di confluenza e di riallineamento delle sue memorie della Grande Guerra. Un riannodarsi di memorie, che trova sostanza in buona parte della sua narrativa: Addio alle armi (), il già citato Al di là del fiume e tra gli alberi, i racconti Spiegazione di me stesso (), In paese straniero (), Qualcosa che mai proverete () e altri. Naturalmente non va dimenticato che per Hemingway «fare letteratura» significa enfatizzare la portata dei reali avvenimenti storici di * Lettera a Fernanda Pivano datata  novembre .


 di qui non passeranno

cui è stato protagonista, fondendoli con altri su coordinate spaziotemporali antecedenti, o più semplicemente sublimandoli. Non vi è cioè un effettivo realismo storico, quale si può trovare in un Kurt Sucker – Curzio Malaparte – o in un Giovanni Comisso1.

La guerra del soldato Ernest Tutto inizia nell’aprile  quando il giovane Hemingway, intento a pescare nella sua casa di campagna nel Michigan, riceve il telegramma di arruolamento e parte subito alla volta di New York per imbarcarsi sul Chicago il  maggio, arrivare a Parigi e dopo due giorni spostarsi a Milano. Viene assegnato alla Quarta sezione della Croce Rossa americana (arc) e distaccato presso Schio dove collabora al giornale «Ciao», vicino al fronte ma non troppo2. La permanenza in Italia nel  e la sua compenetrazione nella narrativa di Hemingway sono stati oggetto di una fondamentale indagine da parte di Giovanni Cecchin3, a cui ci atteniamo in particolare per quanto riguarda il Basso Piave e il fronte di Fossalta. Secondo le ipotesi di Cecchin, Hemingway arriva il  giugno come volontario presso alcuni «Posti di ristoro di emergenza», costituiti pochi giorni prima nelle retrovie per far fronte alle gravi condizioni degli uomini delle brigate ritiratesi nella notte tra il  e il  giugno perché provatissime, come la Ferrara, l’Avellino e l’Ancona. Per la precisione, il  l’ormai tenente Ernest giunge a Fornaci di Monastier per dirigere il Posto di Ristoro arc n. , ospitato nella Casa del soldato di Casa Botter, assieme a George C. Noyes. Viene distaccato presso il o fanteria della brigata Ancona che presiede le trincee di prima linea, mentre il o è immediatamente indietro. Come ufficiale ha, tra l’altro, libero accesso alle mense ufficiali di «casa del sindaco» (comando del o), Casa Scrinzi lungo lo stradone Osteria di Fossalta-Fornaci (comando del o) e a Villa Donà delle Rose a  mt. da Casa Botter vicino all’incrocio con lo stradone per Pralongo-Osteria di Fossalta (comando di brigata). Qui Ernest fa amicizia con gli ufficiali della «nuova» Ancona, tornata il  giugno al fronte dopo essersi ricostituita a Vallio, dai cui


. «Sono un ragazzo del Basso Piave» 

racconti trarrà molti spunti per la sua narrativa, e in particolare fa amicizia con il cappellano militare del o, il fiorentino Giuseppe Bianchi, uno dei protagonisti di Addio alle armi. Ernest trova da subito il modo di sfogare la sua curiosità di reporter. Dopo il  giugno lui e il suo compagno Noyes rimangono praticamente disoccupati in quanto è in corso una sorta di “sciopero” degli aiuti americani in sostegno a don Minozzi, il fondatore e animatore delle Case del soldato, ingiustamente messo da parte dalle autorità militari il  giugno. Hemingway ne approfitta per girare in bicicletta per la zona delle trincee a cercare ispirazioni e si trova anche un “lavoro”, distribuendo i generi di conforto che gli passa un nuovo conoscente, il ten. Edoardo Lanzetti, il rappresentante di Minozzi presso la iii Armata. Presto rimane solo: Noyes ritorna da dove era partito, cioè alla Sezione Tre dell’arc, in quanto il  luglio sul fronte a sud di Musile e San Donà comincia la battaglia per ricacciare gli austriaci. Hemingway, determinato a rimanere al fronte piuttosto che ritornare agli “agi” di Schio come avrebbe dovuto, appoggiato dal maggiore Lowell responsabile dei servizi militari dell’arc, segue la filosofia dei tenenti addetti ai posti di ristoro: si esigeva amore e volontà di comunicare e mescolarsi con uomini d’ogni genere e d’ogni razza [...] grandi capacità organizzative [...] una spiccata disposizione ad assumere iniziative in proprio4.

Nel frattempo diventa suo diretto superiore il già citato tenente Lanzetti, laureando in fisica e prete soldato, che, fra l’altro assieme ad altri amici di Hemingway – il col. Valentini del o, cui lo scrittore statunitense cambierà ruolo in Addio alle armi trasformandolo nel chirurgo che a Milano gli sistemerà la gamba, e naturalmente il cappellano don Bianchi – gli trova una divisa da bersagliere italiano. Questo almeno finchè l’affaire Minozzi non viene positivamente risolto con conseguente ristrutturazione dei «Posti di ristoro d’emergenza» che passano alle dipendenze del cap. Gamble. Ad Ernest viene assegnato un nuovo compagno che, presidiando Casa Botter, gli


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lascia un’ulteriore libertà di girare per il fronte ed avventurarsi in «libere iniziative», con il capitano Gamble pronto a chiudere un occhio, come suppone lo stesso Cecchin quando dice: Tutto sommato, è tutt’altro da escludere che Ernest a Fossalta abbia partecipato a piccole azioni militari.5

A supportare tale testimonianza potrebbe essere la foto che ritrae lo scrittore statunitense in divisa da bersagliere, con fucile e tascapane di bombe a mano, davanti alla chiesa di Fossalta.

L’appuntamento col destino a Buso de Burato Hemingway viene ferito l’ luglio proprio durante una di queste «libere iniziative»: giunto in un avamposto al di là dell’Argine Regio – zona che a Fossalta chiamano Buso de Burato, sulla riva dove il Piave punta ad “elle” verso il paese – dove c’è un protetto nido di mitragliatrici e posto di osservazione* pericolosamente vicino alle postazioni austriache, si ferma a distribuire cioccolata e sigarette nonché a conversare con un gruppo di mitraglieri. Ciò non sfugge agli austriaci che aprono il fuoco ferendo una prima volta Hemingway e uccidendo il soldato con cui parla. Ernest, nonostante sia stato colpito gravemente alle gambe, si rialza e cerca di trascinare con sé un altro soldato ferito. Viene nuovamente individuato e colpito, sempre alle gambe; si rialza con il ferito cercando di raggiungere il riparo dove viene gettato quasi a forza dai nuovi colpi austriaci che lo raggiungono al piede sinistro. Raccolto dai portaferiti viene trasportato, in mezzo a continui bombardamenti, in vari posti di soccorso, tra cui la chiesetta della Madonna nera a Pralongo, case coloniche trasformate in ospedali da campo e anche nelle scuole elementari di Monastier Lì durante la notte, in attesa dell’autoambulanza che la mattina successiva lo porterà alla Stazione di Sanità di Fornaci, Hemingway * Forse di lì è passato anche l’ufficiale osservatore Amedeo Fani, Il mio diario di guerra, Tipografia Commerciale, Perugia , p.  e ss.


. «Sono un ragazzo del Basso Piave» 

deve combattere contro la tentazione del suicidio in mezzo al fuoco di battaglia che si è scatenato nel frattempo. Poi verranno Milano ed Agnes.

Il racconto di Fossalta Ora che abbiamo ricostruito con sufficiente precisione le mosse del “pedone” Hemingway sullo scacchiere di Fossalta, possiamo cercare di rintracciarle su un piano più alto, quello della narrativa, e meno mediate cioè sfuggite al filtro “centrifugante” cui il romanziere statunitense pone le sue opere tutte giocate sul filo della memoria. A partire dal libro più famoso, ovvero Addio alle armi, Hemingway compie un movimento spazio-temporale non ortodosso e comunque slegato su più piani diversi tra loro, in quanto confonde le sue esperienze di giugno-luglio  a Fossalta di Piave, nonché l’immediato seguito, cioè la sua degenza a Milano, retrodatandole all’indietro come se i fatti fossero avvenuti nella Valle dell’Isonzo prima-durante-dopo Caporetto,  ottobre . Le suggestioni su Caporetto gli vengono da molteplici fonti e Cecchin le riconosce, fra l’altro, quando scrive: Nel diario del  di Ardengo Soffici La ritirata del Friuli, dove si narra di un profugo che, sospettato come spia per il suo accento straniero al ponte di Pinzano sul Tagliamento, si salva buttandosi in acqua, c’è in nuce l’episodio centrale di Addio alle armi, dove il tenente americano Frederic Henry, al posto di blocco del Ponte della Delizia, vicino a Codròipo (Udine), è sospettato anche lui come spia per lo stesso motivo e si salva buttandosi nel fiume inseguito da fucilate. Altri stimoli Hemingway li ebbe leggendo all’ospedale i numeri del «Red Cross Magazine» (Amabile, la storia di una ragazza che nel caos di Caporetto attraversa la piana veneta con un gruppo di bambini e li porta in salvo a Milano; Il tenente, resoconto di una difficile problematica di disimpegno...), seguendo sul «Corriere della Sera» (il «suo» giornale) le corrispondenze dal fronte di Luigi Barbini, Arnaldo Fraccaroli, e di altri, come pure sfogliando i giornali di trincea «La Tradotta», «L’Astico», «La Ghirba», il «Savoia!»...6


 di qui non passeranno

Comunque lo spunto più incisivo gli viene probabilmente dai racconti di don Bianchi che sono riportati nel suo diario, un modesto taccuino che il prete porta sempre con sé. Questo cappellano militare, come abbiamo già accennato, è una delle conoscenze più importanti di Ernest al fronte e anche una delle più familiari, non a caso sarà don Bianchi a riconoscerlo gravemente ferito a Fornaci, a battezzarlo e impartirgli l’estrema unzione. La sua grande umanità colpisce profondamente il futuro scrittore, che ne trasporrà quasi integralmente la figura nel personaggio del cappellano abruzzese di Addio alle armi – don Bianchi è fiorentino, ma questo cambiamento di provenienza sembra volere essere un velato riferimento a don Minozzi – e ne coltiverà l’amicizia avendo inoltre l’occasione di incrociarlo spesso a Fossalta prima di venire ferito. Il protagonista del romanzo, il tenente Frederic Henry, non è una completa trasposizione del io-narrante Hemingway, ma assume alcuni caratteri del suo predecessore ed amico, il ten. McKey, che viene ucciso da una granata il  giugno  vicino al ponte sul Palumbo, primo soldato statunitense morto in quella guerra (medaglia d’argento alla memoria, è uno dei . caduti che riposano all’Ossario di Fagarè della Battaglia). Questa sorta di sovrapposizione è provata anche da una poesia che Hemingway, in origine, scrive proprio per questo tenente McKey: Ucciso: Piave –  giugno  Desiderio e Tutte le dolci pene pulsanti E le gentili ferite Che tu eri Se ne sono andati nell’oscura terra. Adesso nella notte tu vieni immusonito Per giacere con me Una triste, fredda, rigida baionetta Nella mia calda, gonfia, pulsante anima.


. «Sono un ragazzo del Basso Piave» 

In seguito Hemingway cambia la data, sostituendola significativamente con quella dell’ luglio. Dal romanzo Addio alle armi, proponiamo il passo in cui lo scrittore descrive, quasi alla maniera di Marinetti, gli avvenimenti in cui viene ferito: Attraverso gli altri rumori udii un colpo di tosse, poi venne il sciu-sciusciu-sciu, poi ci fu un lampo, come quando lo sportello di un altoforno si spalanca, e un muggito che incominciò bianco e divenne rosso e via e via nella corrente dello spostamento d’aria.

Un altro riferimento ai combattimenti di Fossalta è nella «punta secca» – racconto in miniatura con cui Hemingway vuole ottenere il massimo dell’effetto con il minimo delle parole – Trincea del , in cui il soldato immaginario della brigata Avellino Nick Adams rimane coinvolto nel terribile bombardamento austriaco del  giugno  sull’argine San Marco, che delimita l’ansa di Lampòl. Racconto importante, perché Ernest anticipa il motivo della paura, ripreso due volte in Addio alle armi e nella narrativa successiva. Un accenno al paese si trova anche ne La scomparsa di Pickles McCarty, quando lo stesso Pickles accenna al contrattacco degli Arditi avvenuta nel  giugno, ma è nel lungo racconto Qualcosa che mai proverete che Hemingway dispiega innanzi a se stesso il significato dannante e insieme salvifico che Fossalta ha per lui, riassunto nella inquietante «casa gialla» che popola i suoi incubi. Quelle erano le notti in cui il fiume scorreva più ampio e tranquillo, e fuori di Fossalta c’era una casa bassa dipinta di giallo con salici tutto intorno e una scuderia bassa e c’era pure un canale [...]. Ciò che gli metteva paura e di cui non sapeva sbarazzarsi era quella lunga casa gialla e la diversa lunghezza del fiume [...] Si svegliava sudando freddo, più atterrito che se si fosse trovato sotto un bombardamento, e tutto per una casa gialla con una scuderia e un canale [...].

Interessante anche la descrizione di quando Nick Adams entra nel paese:


 di qui non passeranno

[...] Evidentemente, verso la fine, il paese era stato difeso dalle posizioni della strada incassata [a ridosso dell’argine di San Marco, N.d.S.] e pochi austriaci c’erano rimasti. Sulla strada davanti [ora via Ragazzi del ’, N.d.S.] c’erano soltanto tre cadaveri di austriaci, che sembrava fossero stati colpiti mentre scappavano. Le case del paese erano state tutte colpite dai proiettili, le vie erano piene di pezzi d’intonaco e di schegge di mortaio, e c’erano travi spezzate e tegole rotte e molte buche, alcune orlate del giallo del gas iprite. C’erano anche frammenti di proiettili e, sparse tra i rottami, pallottole di shrapnels. Nel paese non c’era anima viva. Appena fuori delle case e prima che la strada declinasse, c’era una radura [il colmello dove gli argini Regio e San Marco si toccano, N.d.S.] e di qui egli potè osservare la placida distesa del fiume e la curva bassa dell’opposta riva e il fango, tutto bianco ed arso dal sole, dove gli austriaci si erano trincerati [...] Il battaglione era sulla riva verso sinistra [dell’ansa di Lampòl, N.d.S.]. C’era una serie di buche sulla sommità dell’argine, con pochi uomini dentro. Nick notò le postazioni delle mitragliatrici e i razzi per i segnali di allarme pronti nelle ruote. Gli uomini nelle buche sul fianco dell’argine dormivano. Nessuno gli intimò niente ed egli proseguì finchè, svoltata una curva dell’argine di terra, un sottotenente con la barbetta e gli occhi rossi spiritati gli puntò contro la pistola e gli chiese chi fosse...

Un’altra «punta secca», Al riparo (), ritrae sempre Nick Adams che è appoggiato a un muro della chiesa, ha il sole che gli batte in faccia, guarda su per la strada [sempre via Ragazzi del ’, N.d.R.] e nota all’angolo della piazza l’osteria-alberghetto color rosa [ho anche conferma di quel colore da un’anziana maestra di Fossalta, signora Alba Bozzo, N.d.R.]. Tutto ciò significa che Nick era appoggiato al muro est della chiesa e che era prima di mezzogiorno. Il riferimento sarebbe quindi alla presa di Fossalta del mattino del  giugno.7

Non a caso il canto del cigno di Hemingway, Di là dal fiume e tra gli alberi, contiene ancora riferimenti a Fossalta – nonostante la


. «Sono un ragazzo del Basso Piave» 

delusione che prova quando vi ritorna nel  assieme alla moglie Hadley8 – questa volta puntuali, senza alcun travestimento occulto, quasi che l’ormai anziano scrittore, prossimo al suicidio, voglia, con il famoso rito propiziatorio di sapore indiano, chiudere idealmente il cerchio fra il suo primo e ultimo faccia a faccia con la morte. Qualche settimana prima era passato da Fossalta e si era spinto sulla strada avvallata per trovare il punto dove era stato ferito, sulla sponda del fiume. Era facile da trovare per via della curva del fiume, e nel punto dov’era stato il nido di mitragliatrici pesanti il cratere era coperto d’erba liscia. Era stato usato come pascolo, da pecore o capre, fino a parere una depressione predisposta in un campo da golf. In quel tratto il fiume era lento e di un azzurro fangoso, con le canne lungo le sponde, e il colonnello, mentre non c’era nessuno a vederlo, si accoccolò a terra e guardando di là del fiume dalla sponda dove non si poteva mai mostrar la testa alla luce del sole, fece i suoi bisogni nel punto esatto dove aveva stabilito, per triangolazione, di esser stato ferito gravemente trent’anni prima. [...] «Ora completo il monumento» disse ai soli morti, e prese di tasca un vecchio coltello a serramanico Solingen, di quelli usati dai franchi cacciatori tedeschi. Lo fissò aperto e facendolo girare scavo un buco nella terra umida. Si pulì il coltello sullo scarpone destro e poi inserì un biglietto da diecimila lire nel buco e lo tamponò e lo coprì con l’erba che aveva divelto. [...] Ora va bene, pensò. Merda, denaro e sangue; guarda come cresce l’erba, e nella terra c’è il ferro, con la gamba di Gino, le due gambe di Randolfo, e il mio ginocchio destro. È un monumento magnifico. C’è dentro tutto. Fertilità, denaro, sangue e ferro. È proprio una nazione. Dove c’è la fertilità, denaro, sangue e ferro, c’è una patria.9

Se Hemingway è legato indissolubilmente a Fossalta, lo stesso paese porta fortemente in sé le tracce dello scrittore statunitense a tale punto che, dopo averlo nominato cittadino onorario, gli ha dedicato assieme all’associazione trevigiana “Amici di Comisso” una lapide, opera di Simon Benetton, inaugurata con solenne cerimonia da parte delle autorità civili e religiose il  settembre 10. Alla cerimonia è presente anche la traduttrice italiana di Ernest nonché sua amica, Fernanda Pivano, che depone un fiore, come omaggio personale11.


 di qui non passeranno

La lapide in ferro battuto, che tuttavia non è collocata nel punto preciso in cui Hemingway fu ferito, riporta incise da un lato le parole: Su questo argine Ernest Hemingway Volontario Della Croce Rossa Americana Veniva ferito La notte dell’ luglio  A cura degli amici di Comisso Il  settembre 

Dall’altro: Io sono un ragazzo del Basso Piave Ernest Hemingway

Quella lapide ora è uno dei luoghi della memoria di Fossalta.


. «Sono un ragazzo del Basso Piave» 

note  Si veda l’imprescindibile lavoro di Mario Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Giunti, Firenze .  Fernanda Pivano, Hemingway, Tascabili Bompiani, Bologna , p. .  G. Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos, cit.  Rapporto del  marzo , in G. Cecchin, cit., p. .  G. Cecchin, cit., p. .  G. Cecchin, cit., pp. -.  Giovanni Cecchin, Le strade bianche, Collezione Princeton, Bassano del Grappa , p. .  Visita di un reduce al vecchio fronte, articolo comparso nel «Toronto Daily Star» del  luglio , in G. Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos, cit., p. : «A Fossalta fermammo l’auto e camminammo in giro. Tutta la devastante e tragica dignità della città distrutta se n’era andata. Al suo posto c’era una nuova, funzionale, orribile collezione di case dall’intonaco fresco e dai colori sgargianti: blu, rosso, giallo. Io, a Fossalta, c’ero stato probabilmente cinquanta volte, ma non l’avrei più riconosciuta».  Ernest Hemingway, Di là dal fiume e tra gli alberi, Oscar Mondadori, Milano , pp. -.  «Il Gazzettino», articolo del  settembre .  Fernanda Pivano, cit., p. .

Foto in apertura di capitolo: Hemingway davanti alla chiesa di Fossalta in divisa italiana.


 di qui non passeranno


Cap. 

Il profugato (-)

«Gli esuli di Caporetto» Nella categoria esplicata dal titolo dello studio di Daniele Ceschin1 rientrano a pieno titolo, anzi forse più di altri, i fossaltini. Infatti Fossalta è per la sua stessa localizzazione destinata all’evacuazione di gran parte dei suoi abitanti che devono cedere il territorio a un esercito provato da Caporetto e che colloca la sua linea di resistenza sul Piave. Esercito che, come si rendono conto ben presto gli sgomenti cittadini fossaltini, ha bisogno dei prodotti della ricca campagna circostante e soprattutto necessita di basi logistiche per le operazioni militari. Già prima dell’ordine ufficiale di sgombero,  novembre , molte famiglie hanno raccolto le masserizie più funzionali sui carri per iniziare il loro tragico esodo; per quanti sono rimasti le autorità militari, insediatesi nel municipio – sindaco è l’avvocato Remo Dall’Acqua – provvedono a diramare il foglio di via che prevede come destinazione generica la provincia di Firenze – la destinazione specifica sarà precisata durante il viaggio. Che l’evacuazione sia stata più sofferta per i fossaltini che per gli altri abitanti della zona del Basso Piave è esplicato nella tabella di p. , ricavata dal censimento dei profughi di guerra fatto a suo tempo dal ministero per le Terre liberate.2

La “Via Crucis” di don Gallina Il  novembre anche il parroco, don Giovanni Gallina, è costretto ad andarsene e addirittura le autorità gli chiedono le chiavi della chiesa, in quanto vogliono destinarla a luogo di rifugio per la truppa e posto di osservazione. A proposito di chiavi, curioso è il ricordo della maestra Alba Bozzo3:


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Il giorno  novembre un proiettile entrò dalla finestra della nostra cucina. Spezzò un lume a petrolio e vi si adagiò nel fondo. Capimmo che la nostra presenza era diventata incompatibile e il giorno dopo partimmo. Fummo gli ultimi; chiudemmo accuratamente la casa, ed è grottesco, lasciammo la chiave ad un sergente, con tante raccomandazioni.

Celebrate le ultime due messe, vengono nascosti nella cantina della canonica, in un sacco, ad una profondità di  cm, ritrovato intatto subito dopo l’armistizio, i principali oggetti di valore mentre i paramenti sacri sono rinchiusi negli armadi della sagrestia – in parte li salverà il cappellano militare del o fanteria subito dopo la partenza di don Gallina e inviati alla Curia mediante il deposito del reggimento. Nel giorno della partenza si uniscono al parroco, dopo aver messo in salvo i documenti della pubblica amministrazione, che verranno però comunque dispersi, le due massime autorità civili: il già citato sindaco avv. Remo Dall’Acqua e il segretario comunale Ildebrando Luconi con la famiglia. La partenza a don Gallina è in un certo modo imposta, come riporta don Umberto Modulo4: È tempo che se ne vada – impose il Colonnello stanziato nella Casa Canonica –; la sua casa, come il Municipio, rimangono affidati a noi: non c’è più tempo per discutere. Fino a ieri la consigliai di fermarsi... oggi devo usare un altro sistema e ciò per il suo bene: Lei partirà senz’altro a mezzogiorno.

Per quell’ora tre carrozze allestite lasciano Fossalta e si dirigono, per la via di San Michele del Quarto, oggi Quarto d’Altino, a Favaro Veneto dove giungono la sera stessa; la comitiva viene ospitata dal parroco don Giammaria Fàvaro, ma la mattina dopo deve subito riprendere il viaggio in quanto anche quella Canonica è requisita dalle truppe. Il maltempo rende ancora più difficile il viaggio: la nuova tappa è nei dintorni di Padova, in casa del Priore di San Gregorio, un certo don Giovanni Marangoni di Crespano Veneto, dove i profughi ri-


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mangono per due giorni a causa delle precarie condizioni di salute di don Gallina. Il viaggio per Rovigo riprende e la descrizione che ne viene fatta è tristemente suggestiva: La strada era impraticabile, tramutata in un vero torrente umano. La colonna di profughi, che procedeva lentamente, si incrociava con un’altra colonna: quella dei soldati che, procedendo a piedi o sugli autocarri, si dirigevano verso il Piave. Di tanto in tanto, persone e cavalli stramazzavano sfiniti nel fango e venivano abbandonati in mezzo ai campi. Raccapriccianti scene di terrore di madri sfinite dalle sofferenze, di bambini piangenti, di animali gettati a morire nei fossati, di carri sfasciati e abbandonati sulla strada, stringevano il cuore.5

La sera di quell’undici novembre il gruppo di profughi arriva a Boàra Polesine dove viene ospitato da una famiglia di contadini perché il parroco di quel paese, don Carrèr, nativo di Noventa di Piave, è impossibilitato a ospitarli essendo la Canonica già occupata da altri profughi del Basso Piave. Don Gallina cade nuovamente malato e i suoi compagni di viaggio, timorosi che il sacerdote non sia in grado di arrivare a Bologna a piedi, lo persuadono a vendere il cavallo e il calesse in modo tale da avere i soldi per il viaggio ferroviario dalla stazione di Rovigo fino a Prato. Il sindaco e il cappellano, invece, proseguono a piedi fino alla città emiliana dove giungono il pomeriggio del  novembre: qui, fra le carovane provenienti dal Friuli e dal Piave, incrociano la famiglia fossaltina dei fratelli Perissinotto, arrivata lì dopo un viaggio di sei giorni su due carri trascinati da buoi.

Fossalta a Prato Il giorno dopo è la volta di Prato dove i fuggiaschi vengono accolti da don Gallina e ospitati prima dalla signora Francesconi e poi per venti giorni presso l’Hotel dei Giardini. Subito le autorità cominciano ad organizzarsi per far fronte all’emergenza, anche attraverso il supporto del «Comitato profughi di guerra»; il sindaco Dall’Acqua,


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nominato commissario prefettizio del comune di Fossalta, ottiene dal citato comitato di fare aprire un asilo per i fossaltini presso la «Villa della Sacca» in località di Coiano, a circa 4 km da Prato. È una spaziosa villa dotata di grandi dormitori, numerose stanze, un’ampia cucina e anche una chiesa: accoglierà circa  profughi fossaltini fra cui don Giovanni Gallina e il cappellano don Sernagiotto, che viene nominato direttore con decreto prefettizio. I legami di comunità permangono anche con le famiglie fosssaltine che non hanno trovato posto nella villa e sono state sistemate nei paesi circonvicini: i rimanenti si disperdono un po’ ovunque per l’Italia: da Avellino a Ravenna, da Comacchio a Pompei, e così via. Ceschin, riferendosi proprio ai profughi fossaltini, usa il termine colonia e lo precisa nel contesto del dopo-Caporetto: Durante l’ultimo anno di guerra, il termine colonia da un lato venne esteso all’insieme dei profughi residenti in un determinato comune, indipendentemente dalla loro provenienza, che dunque per l’assistenza facevano riferimento a uno stesso Patronato; dall’altro venne utilizzato per indicare coloro che provenivano da una stessa località e che si erano costituiti in colonia potendo contare nella maggior parte dei casi sulla presenza delle autorità comunali o del parroco. [...] Ad esempio, dei circa  profughi ricoverati a Prato, la metà che proveniva da Fossalta di Piave si costituì in una colonia ben organizzata, con tanto di scuole, laboratori ed ufficio notizie dipendente dal municipio che lì aveva fissato la propria sede; era presente anche il parroco e il nucleo più numeroso era alloggiato presso la Villa della Sacca, sede estiva del Collegio Nazionale Cicognini.6

Don Gallina si affretta a dare sue notizie al vescovo di Treviso mons. Andrea Giacinto Longhin: villa della sacca, prato Prato:  novembre  Ecc. Rev.ma, col cuore straziato dal dolore mando due righe per farLe noto che, dopo lungo e faticoso viaggio, giunsi a Prato di Toscana col mio Cappellano e col Sindaco di Fossalta.


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Appena giunto andai ad ossequiare il Vescovo di Prato, che mi accettò con molta gentilezza e mi assegnò ad alloggiare la Villa Sacca in Prato, dove vi sono circa  miei parrocchiani. Spero che sia breve la mia dimora costì e che possa ritornare nella mia disgraziata Parrocchia. Con filiali ossequi Sac. Giovanni Gallina

Don Giovanni quindi segue la parola d’ordine del suo vescovo: Stare al proprio posto, in mezzo ai cari figli, per essere d’aiuto e di conforto ai tanti poveretti che ora più che mai sentono urgente la necessità di essere sorretti dal pastore. Se in qualche paese i fedeli fossero colpiti dal decreto di sgombero e costretti ad emigrare in massa, i parroci si diano premura, perché i loro protetti stiano possibilmente uniti, perché vengano diretti a una stessa meta e li seguano partecipando alla loro dura sorte, che richiederà previdenze e sacrifici per renderla meno disastrosa.7

Ciononostante la lettera di risposta di mons. Giacinto Longhin sembrerebbe dare adito a qualche interpretazione equivoca: curia vescovile, treviso Treviso:  novembre  Carissimo Arciprete, sono lieto di avere Sue notizie. Purtroppo non è ancora così della Sua Parrocchia, né della Sua Chiesa, né degli arredi sacri. Dio li preservi da ogni profanazione! Non posso approvare che anche il Cappellano sia fuggito e Le includo la lettera del S. Padre, in cui è detto chiaramente quale sia la Sua precisa volontà. Il Cappellano adunque si aspetti a ritornare, perché i bisogni nella cura d’anime si fanno ognora più urgenti e domani diventeranno estremi. Le faccio notare, caro Arciprete, che domani tanto Lei quanto il Suo Cappellano potreste essere tagliati fuori da Treviso... chi sa per quanto tempo! Dal momento che tutta la popolazione dei nostri paesi invasi è partita,


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l’ordine del S. Padre diventa, anche umanamente parlando, ragionevolissimo e sapiente. Benedico di cuore, dicendomi dev.mo Fr. Andrea – Vescovo

In realtà mons. Longhin non è ancora informato che a Fossalta ormai non c’è più nessuno e che la zona è invasa e mitragliata. Inoltre la lettera di papa Benedetto xv 8, di cui parla il vescovo, arriva a Treviso quando ormai tutti i fossaltini sono già partiti. Comunque l’equivoco viene presto chiarito dallo stesso vescovo, una volta venuto a conoscenza dei fatti, al punto tale da congratularsi in una lettera successiva con lo stesso cappellano don Sernagiotto per la sua nomina a «Economo spirituale» della chiesa annessa alla villa, come risulta dal seguente decreto di nomina del vicario generale di Prato: Al diletto in Cristo rev.do sac. Giovanni Sernagiotto, addetto presentemente, quale profugo, al Clero di questa nostra Diocesi. Mossi dal desiderio di provvedere al bene spirituale dei profughi ricoverati nella villa detta «Delle Sacca», con queste nostre lettere vi nominiamo, «ad beneplacitum nostrum», Economo Spirituale dell’Oratorio annesso alla Villa suddetta. A tal fine vi concediamo le necessarie ed opportune facoltà e tutti gli onori ed onéri annessi a tale ufficio. Prato dalla Curia Vescovile  novembre . Paolo Badiani v.g.

Grazie a questo decreto la comunità parrocchiale fossaltina si ricostituisce, in un certo modo, a Prato anche se vincolata a una sorta di regolamento interno molto rigido e il cui tempo è calibrato sulle funzioni liturgiche, quali la messa o le preghiere. Una presenza notevolmente pervasiva nella vita quotidiana dell’elemento religioso, che però agisce anche come polo unificatore. I Fossaltini si guadagnano da vivere occupandosi del giardino e della campagna; viene inoltre aperta una regolare scuola elementare interna che rende Prato un vero e proprio “centro fossaltino” dal punto di vista sociale e civile oltreché religioso: infatti funziona-


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no bene anche la sede comunale e un regolare servizio postale per la corrispondenza tra i profughi, i combattenti e i prigionieri. A questo proposito, ci è nota la lettera rivolta «Alle Famiglie dei miei soldati»9, datata maggio  in località Erba, in cui un tenente colonnello dalla firma indecifrabile si rivolge alle famiglie fossaltine che hanno propri cari al fronte. Il testo offre spunti interessanti: innanzitutto viene sottolineato l’intento, per quei particolari destinatari, salvifico che viene ad assumere la guerra: non è solo guerra di liberazione di fratelli oppressi da un barbaro nemico, non è guerra che si combatte per l’onore, ma è guerra per la nostra stessa esistenza, per la nostra casa [...]

Dopo un richiamo allo storico nemico tedesco e all’esigenza di intendere vittoria come sinonimo di pace, la lettera diventa una sorta di “vademecum” di come ci si debba regolare con la corrispondenza da e per il fronte: Non scrivetegli lettere che parlino di sofferenze o di miserie, ch’egli non potrebbe alleviare. Questi racconti gli rattristano l’animo e ne indeboliscono la fibra, non solo, ma lo spingono involontariamente a commettere delle mancanze che sono causa di punizioni, e anche reati infamanti come quello della diserzione causa di pene gravi e disonore. [...] Tenetegli alto il morale; scrivetegli sempre e spesso cose belle e buone per renderlo sicuro, fidente e tranquillo. [...] Non abbiate per lui preoccupazioni esagerate [...] Con le vostre lettere non rendete sterile l’opera educativa dei Superiori[...].

Come si può intuire, siamo arrivati ai tempi di Diaz e dell’Ufficio propaganda e della conseguente rilevanza assunta dal cosiddetto «morale» dei soldati. Ma tornando a Prato, il nostro don Gallina scrive un’altra lettera suo caro amico monsignore Domenico Panciera10: Carissimo Memi, solo oggi posso darti risposta alla tua lettera, non avendo veduto prima


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il Fregonese, poiché Grignano ove risiede dista dalla Villa Sacca circa  chilometri. Avendo domandato al Fregonese cosa ha fatto della tua roba trasportata da lui dalla tua casa, mi rispose che nel fugi fugi fu salvata poca della sua e poca della tua, veduta bensì molta in casa Camillo dal tuo fratello tenente Giovanni. Questo potè constatare anche il tuo zio Modesto a Roncade ove fu depositata e veduta dalla tua zia a Grignano, ove due volte si recò dal Fregonese. Mi disse che tutto quello che aveva di tua mamma e sorelle fu consegnato alla signora Angelina e che il cassettone tua zia ha dichiarato che era sua. Si vera sunt exposita, non resta altro dire: tutto è perduto con grave danno della tua buona famiglia. A me rincresce molto di non avere potuto ottenere nulla dal Camillo, dopo di avergli dimostrato la gravità della faccenda e la conseguenza che potrebbe andare incontro, e noie non indifferenti. Sarebbe mia opinione che i tuoi fratelli scrivessero una lettera dimostrando, con dati certi in mano, che una parte della roba fu venduta da lui o per esso a L.  a Roma per indurlo a sborsare il danaro ricavato dalla vendita della merce. Ieri ho avuto la gradita visita di mio cugino Vitale e mi raccontò tutto quello che avvenne di rapina nella mia canonica. Poveri noi abitanti del Piave... Spero che la tua salute sia buona e così quella della tua mamma e sorelle e fratelli. Io sto bene, così don Giovanni e mia nipote Giulia e mandiamo tutti un saluto di cuore. Ricordati di me nelle tue orazioni. Obb.mo aff.mo Parroco Sac. Giovanni Gallina Prato (?) Villa Sacca, ..’

Lettera interessante perché adombra come nel momento drammatico e tragico della fuga dalle proprie case si siano verificati furti ed episodi simili; la missiva è anche una dimostrazione dell’impotenza ad agire contro, determinata dal particolare momento storico in cui tutto è basato su quello che dovrebbe essere il collaudato apparato di relazioni a livello parrocchiale e comunale. Inoltre don Gallina accenna alla distruzione della sua canonica dimostrando che può continuare ad avere informazioni su Fossal-


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ta grazie alle visite di concittadini muniti dei necessari permessi e soprattutto dalle cartoline del nipote ten. Guido Gallina, che comanda una batteria sistemata proprio presso l’abitazione dello zio e che gli racconta, tra l’altro, il curioso episodio del trafugamento di  bottiglie di raboso che il povero prete aveva messo da parte per festeggiare adeguatamente il nuovo campanile iniziato  anni prima. Che si cerchi di riprendere i binari della consuetudine quotidiana lo dimostra la cerimonia della prima comunione a cui vengono ammessi molti bambini l’ giugno  nella chiesa della Villa, di cui troviamo notizia in una commossa lettera che mons. Longhin invia in risposta a quella mandatagli dai suddetti bambini, come pure la festa organizzata a sorpresa per i  anni dell’ordinazione sacerdotale di don Gallina ricorrente il  settembre. Si fa carico della cerimonia un apposito comitato composto dal cappellano, dal sindaco, dal segretario comunale e dal parroco di Magnana, dimostrazione di come i legami civili e religiosi della comunità fossaltina sono rimasti saldi, trovando nell’esilio una irripetibile opportunità di speculare identificazione. In risposta a una delle numerose lettere di felicitazioni – vi sarà anche quella di papa Benedetto xv –, quella di Andrea Giacinto Longhin, don Gallina esprime la sua commozione per la festa preparatagli e sottolinea la durezza dell’esilio che però è destinata a finire presto. Infatti a fine ottobre giungono a Villa della Sacca le notizie della vittoria e dell’imminente armistizio, che viene firmato a Villa Giusti la sera del  novembre.

Il lungo ritorno a casa La mattina del  dicembre, dalla stazione di Prato, il prete parte per Fossalta in compagnia del cugino mons. Vitale Gallina, novello vicario generale di Treviso; la sua permanenza. Di dodici giorni è davvero sconfortante in quanto non si è salvato nulla, solo macerie. Ritorna a Prato la sera del  e il giorno dopo, riunita la comunità dei fedeli, racconta quanto ha visto esortando tutti a prepararsi per


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il ritorno; in realtà solo dai primi di marzo del  comincia l’esodo dalla Toscana e verso la fine dello stesso mese le prime famiglie si sistemano in paese. Qui subito inizia il lavoro di riparazione o più spesso costruzione ex novo di abitazioni e di esumazione delle salme che sono sparse praticamente ovunque; in maggio il sagrestano Antonio Velludo, per ordine del sindaco, comincia a sistemare il cimitero. Il  maggio giunge a Fossalta anche don Sernagiotto che, con decreto vescovile, viene nominato vicario parrocchiale – don Gallina è costretto dalla sua salute malferma a fermarsi ancora un anno a Prato – e provvede subito a restaurare la vita religiosa della popolazione. Deve fare i conti con la pressoché completa distruzione della chiesa e della canonica, nonché dell’abbattimento avvenuto nel luglio  del pericolante campanile ordinato dal commissario prefettizio, magg. Valente. Celebra messa ogni giorno presso l’unico capitello rimasto incolume, quello della Madonna del rosario, dove il  giugno celebra anche il primo matrimonio dopo l’armistizio; nei giorni festivi invece le funzioni religiose vengono celebrate su un tavolato in piazza, di fronte ai ruderi della chiesa almeno finchè nella seconda settimana di agosto non vengono ottenute una baracca-abitazione per don Sernagiotto e una baracca-chiesa. Il sentimento di concordia e preminenza religiosa non è uniformemente accettato, come viene dimostrato da varie manifestazioni di protesta di una squadra di operai qualificati come «estremisti» da don Modulo e di cui abbiamo testimonianza in una lettera di Andrea Giacinto Longhin al ministro Nava: curia vescovile, treviso Treviso:  giugno  Eccellenza, sono spiacente di doverLe di nuovo scrivere per reclamare la baracca ad uso Chiesa in favore di una popolazione di  abitanti: Fossalta di Piave. La baracca era stata approvata dal Genio: il Sacerdote vi aveva anche celebrato, quando sopraggiunse una squadra di operai che la occupò: e non intendono affatto di lasciarla.


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Eccellenza, io non qualifico certamente questi atti, ma reclamo a vantaggio del popolo cristiano ciò che si accorda alle altre persone private. Mi pare che con l’aria che spira non si dovrebbe amareggiare gli animi di popolazioni eminentemente cattoliche, le quali finora hanno attinto dalla fede e dalla parola pacifica del Sacerdote il coraggio per sopportare dolori d’ogni sorta. Io voglio sperare che l’Ecc. V. si prenderà a cuore la situazione di quel povero paese e vorrà provvedere a bisogno così sacro ed urgente... Fr. Andrea – Vescovo

Fra il  febbraio  e l’agosto dell’anno seguente due perizie, la prima schematica, la seconda più circonstaziata, vengono inviate alla prefettura di San Donà circa i notevoli danni ai beni mobili ed immobili della parrocchia e che giungono anche allo stesso Longhin, come attesta la sua rammaricata lettera dell’ottobre  al vicario parrocchiale. Particolarmente significativa risulta la circolare, sullo stesso argomento, destinata ai fedeli di Fossalta del marzo  che rivela come su un danno quantificato in L. . il ministero dei Lavori pubblici ne ha risarcito solo L. .,. Inoltre si accenna anche alla sparizione delle pale dei tre altari laterali della chiesa di cui ancora oggi è ignota la sorte: [...] Da quanto si dice, le pale non andarono distrutte, ma furono asportate, i primi giorni di Caporetto, da un individuo che si è presentato quale speciale incaricato dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia: risulta ancora che le stesse Autorità Militari abbiano coadiuvato all’opera di salvataggio. Chi sia stato questo “incaricato” e dove siano state portate le tele, è un problema che meriterebbe una soluzione. [...]*

* La prima pala raffigurava la Sacra Famiglia e i Sacri Cuori di Gesù e Maria, la seconda i Santi Patroni Ermagora e Fortunato ed è del luglio , la terza la Madonna del Rosario (ottobre ) e sono tutte opera di Stefano Serafin di Possano: le ultime due sono citate, rispettivamente, alle pagine  e  in L. Bonora (a cura di), Scritti del beato Andrea Giacinto Longhin vescovo di Treviso, ed. E. San Liberale, Treviso .


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Ritornando ai profughi, essi continuano a tornare in tutto l’arco del  richiamati dall’autorità locale, dove vengono sistemati in baracche; il ritorno alla vita normale parte ovviamente dalle campagne che vengono ripulite dai numerosi proiettili ma per la loro coltivazione si deve aspettare l’anno seguente. Vengono installati anche ambulatori per l’assistenza medica, igienica e antimalarica, affidati all’onnipresente don Sernagiotto, e un centro di rifornimento viveri seguito dall’Opera bonomelliana, dalla Croce rossa e dal vescovo di Treviso. Simbolo della ricostruzione diventa la nuova chiesa, riedificata sulla pianta della precedente e ultimata nel . Come ideale conclusione del capitolo, riporto dalla guida cti 11, la descrizione di Fossalta negli anni quaranta nel contesto di uno degli itinerari consigliati per poter visitare i campi di battaglia del Montello e del basso Piave: Ora non esistono più vestigia di tanta epica lotta [del giugno , N.d.R.]: la vanga e l’aratro hanno trasformato in lussureggiante giardino quello che fu il triste campo della morte; sono scomparse le macerie immense; e i nuovi lindi e spaziosi abitati danno alla regione un senso di gaiezza e di vita novella. Profughi di guerra della provincia di Venezia, distretto di San Donà di Piave Comune

Censimento popol. ..

Censimento profughi ott. ’

Cavazuccherina

.

.

Ceggia

.



Fossalta di Piave

.

.

Grisolera

.



Meolo

.

.

Musile

.

.

Noventa di Piave

.

.

S. Donà di Piave

.

.

S. Michele del Quarto

.



Torre di Mosto

.



.

.

Totale


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note  Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto: i profughi in Italia durante la Grande Guerra, Laterza, Bari .  Ministero per le Terre Liberate – Ufficio Censimento, Censimento dei profughi di guerra, Tipografia del Ministero dell’Interno, Roma , p. ., segnalatomi da Daniele Ceschin.  Alba Bozzo, cit., pp. -.  Don Umberto M. Modulo, La parrocchia di Fossalta di Piave, cit., p.  e ss. su cui si basa quasi tutto questo capitolo.  Ibidem, p. .  Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit., pp. -.  «Bollettino Ecclesiastico, », pp. -, citato in Giovanni Brotto, Il vescovo del Montello e del Piave, Editrice Trevigiana, Treviso .  Non siamo riusciti a trovare un riferimento diretto, ma vi è un accenno nella lettera che il Longhin invia a mons. Ridolfi, vescovo di Vicenza, il .., in A. G. Longhin, supplemento al «Portavoce di San Leopoldo Wandic», numero unico, , p. .  Proveniente dall’archivio privato di don Umberto M. Modulo.  Ibidem.  Sui campi di battaglia: il Piave e il Montello, cit., p. .

Foto in apertura di capitolo: l’ultima famiglia di profughi lascia Fossalta. (Archivio Modulo)


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Cap. 

Il mito del Piave a Fossalta

Il mito della Grande Guerra: la cerimonia dell’acqua Un articolo del Gazzettino1, non a caso uno dei giornali più impegnati a sostenere il fascismo, supportato da alcune foto, offre una rappresentazione vivida di come il paese di Fossalta rientri a pieno titolo nella costruzione del mito della Grande Guerra, al di là delle disposizioni di carattere cimiteriale e monumentariale2. Si tratta della cronaca di una cerimonia di «offerta» dell’acqua del Piave che si avvia a diventare il fiume sacro alla Patria, e che anticipa in maniera quasi inquietante e, perché no?, ironica altre manifestazioni di squisito sapore padano-leghista come quella legata alla ormai famosa «ampolla del dio Po». L’articolo è interessante anche perché dà un’idea di carattere pratico e locale di come il fascismo costruisca il mito, procedendo cioè alla costruzione delle origini e cercando una saldatura ideale, quasi una chiusura del cerchio, con le altre componenti di questo «racconto della vita»3. fossalta offre l’acqua del piave In una borraccia simbolica al Milite Ignoto Fossalta,  ottobre Fossalta di Piave, il ridente paesello posto sulla destra del fiume sacro che visse le ore più martoriate durante l’epica battaglia che dal Piave stesso ebbe il nome, ha visto svolgersi nella mattinata di ieri, domenica, una delle più suggestive cerimonie patriottiche. Una squadra di ciclisti dell’«Audax Club Italiano»*, sezione di Rovigo, ad iniziativa di un loro consocio e valoroso ex combattente, il capitano Ugo Rogna, è giunta * È curioso questo incrociarsi tra manifestazione patriottica e manifestazione sportiva, quasi preludio all’opera unificante di altri avvenimenti “ludici” come il Giro d’Italia.


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in paese in bicicletta per portare una simbolica borraccia, contenente l’acqua del Piave, alla tomba del Milite Ignoto a Roma. Quivi la squadra giungerà il  novembre p.v. giorno anniversario della Vittoria, compiendo complessivamente da Rovigo alla Capitale una marcia di  chilometri che verrà suddivisa in cinque tappe. Alla cerimonia, sorta sotto l’alto patrocinio di S.E. il Primo Ministro, hanno partecipato le autorità locali, numerose rappresentanze del Mandamento e tutta la popolazione, nonché parte di quella limitrofa, giunta con ogni mezzo per unirsi in corteo dal Municipio al Piave, ove si è compiuto il rito con commovente austerità. l’attesa in paese Sin dalle  il paese è in grande animazione. Da tutte le finestre delle case, linde e pulite, e riedificate completamente dopo la tremenda (...) della guerra, pende il tricolore. Striscioni tricolori, con scritte inneggianti all’«Audax», agli «Eroi del Piave» e al «Milite Ignoto» sono stati affissi ai muri, accanto a un patriottico manifesto, lanciato dal Podestà ing. Guglielmo Rossetto. Squadre di avanguardisti e balilla vanno ordinandosi davanti alla sede municipale, luogo designato pel convegno delle autorità e delle rappresentanze, in attesa che giungano i baldi ciclisti rodigini. Notiamo: il Podestà di Fossalta, il sindaco di Rovigo, cav. Di Gr. Cr. Avv. Maneo, giunto in automobile, recando la borraccia simbolica, il comm. Bortolotto, per la Federazione Provinciale Fascista e per l’Associazione Combattenti di San Donà di Piave, il segretario comunale di Fossalta, sig. Mignon, il segretario del Fascio sig. Ferrari, l’ufficiale dello stato civile sig. Nievo, il dirigente del servizio sanitario dr. Da Re, ed il dott. Lino Spica, il sig. De Bartoldi fiduciario del Fascio di Rovigo, il seniore Del Turco comandante la a Coorte della Milizia Volontaria Fascista, il Podestà di Meolo cav. Simonato, di Torre di Mosto cav. Barbieri, di Grisolera cav. Stocchino, di Musile cav. Argentini, di Zenson cav. Botter, il Commissario Prefettizio di Noventa di Piave cav. Pilla, di S. Michele del Quarto sig. Gries, di Cavazuccherina cav. Viaro, il segretario del Fascio di Meolo sig. Gallo, col direttorio, di S. Michele del Quarto cav. Caberlotto, il segr. Com. di Noventa di Piave sig. Gialan, il segretario della sezione combattenti di San Donà signor Guerrati, il cav Spaccani pel Podestà di Ceggia, col segretario del Fascio signor Viviani, il Giudice Conciliatore di Fossalta, cav. Busanel, i segretari politici del


. Il mito del Piave a Fossalta 

Fascio di Musile sig. Satin, di Meolo sig. Bellanovich, di Grisolera sig. Vanin e molti altri. la scquadra dell’«audax» Verso le  arriva dallo stradale, in perfetto ordine di marcia, la squadra rodigina dell’«Audax Club Italiano». La compongono il co. Dott. Alvise Bragadin che ne è il capo, il sig. Rino Molinari direttore della marcia, il fratello Cesare e i compagni Ugo Bacchiega, Lino Goggia, Augusto Manservigo, Luigi Salmaso, Carlo Raffaelli, Antonio Bordin, Arturo Piva, Dino Toffoli, cap. Ugo Rogna, Luigi Grompi e Mario Bottari. La squadra è partita da Rovigo alla mezzanotte, salutata da tutta la sezione e dall’on. Enzo Canalini, che pronunciò un vibrato discorso d’augurio. I baldi giovani, con il conte Bragadin alla testa, hanno compiuto la prima tappa di  chilometri, pedalando sotto una pioggia incessante e dopo aver fatto una unica sosta di pochi minuti a Padova. Ciò non ostante essi appaiono freschissimi. La squadra è ricevuta dal Podestà che muove incontro con tutte le autorità e le rappresentanze, mentre la Banda di Fossalta suona la Marcia Reale e l’Inno Giovinezza. la borraccia simbolica È questa un pregiato lavoro di grandezza comune tutto in argento lucidato, chiuso in un elegante astuccio di pelle. È stata ideata ed eseguita dal sig. Egidio Zilio di Padova. Essa porta inciso, in alto, il famoso motto del fante: «Di qui non si passa»* e più sotto: «Al Milite Ignoto, Audax Italiano – auspice la sezione di Rovigo».

* Qui si riferisce ad un episodio dagli aloni leggendari di cui trovo traccia in una circolare informativa dell’associazione nazionale “I ragazzi del ’”: «Sul Montello, accanto ai ragazzi del ’ dove si trovava inquadrato nella Brigata “Lucca”, il poeta E.A. Mario testimoniò la scena del tutto singolare che il Re Vittorio Emanuele iii si era rivolto a un Fante del  chiedendogli, secondo lui, quale sarebbe stato l’esito dell’offensiva che il nemico stava preparando; il “Ragazzo”, Fante Luigi Saccaro, non avendo riconosciuto (essendo notte) il suo Sovrano, così gli rispose: “Se voi vecchi aveste fatto prima tutto il vostro dovere, oggi l’Italia avrebbe già vinto la guerra. Comunque ora, fin qui arriverà il nemico ma di qui non si passa!”. Il poeta, di fronte a quella scena tanto vibrante di passione, ebbe la felice ispirazione di scrivere, in quel momento tragico per le sorti della guerra che lì si stavano decidendo, l’Inno del Piave: “Il Piave mormorò: non passa lo straniero!”».


 di qui non passeranno

Al centro, lavorati finemente in ismalto, vi sono gli stemmi di Fossalta e di Rovigo, i quali sono separati da una fascetta di bronzo che porta in rilievo la stella d’Italia e la scritta: «Marcia ciclistica Rovigo-Fossalta di Piave-Roma – Km ». Su calce vi è poi la data « novembre mcmxxvi». Fatta girare fra molti dei presenti, in modo che possa venire ammirata la sua squisita fattura, la borraccia viene presa in consegna dal sig. Rino Molinari, il quale la porterà in corteo, sino al Piave perché vi siano rinchiuse dentro due fiale di vetro, ripiene d’acqua. l’imponente corteo si ordina alle .. Lo aprono gli avanguardisti di Fossalta, di Cavazuccherina e di Grisolera, coi rispettivi gagliardetti. Poi vengono gli orfani di guerra, i Balilla e le Piccole Italiane di Fossalta guidate dalle insegnanti elementari signorine Sembiante, Bonomaro, (...), Parmesan, Baretta, Sussi e Silvestri. Gli orfani portano per distintivo una fascia tricolore a tracolla e le Piccole Italiane recano in capo una coccarda tricolore e in mano un mazzetto di fiori rossi che verranno gettati nel Piave. Seguendo l’ordine del corteo, notiamo: i Balilla e le Piccole Italiane di Cavazuccherina e di Grisolera, la Banda di Fossalta, che lungo il percorso alterna gli inni patriottici ad allegre marce, venti cantori della «schola cantorum» locale, col loro istruttore sig. Aurelio Velludo, la bandiera del comune di Fossalta fiancheggiata da due gagliardetti azzurri dell’«Audax Club Italiano», il sig. Rino Molinari, che porta la borraccia “simbolica”, seguito dal gruppo dei compagni che indossano tutti la maglia azzurra. Poi vengono le autorità e le rappresentanze in gruppo, con alla testa il Podestà di Fossalta, il Sindaco di Rovigo e il comm. Bortolotto: quindi il parroco locale, don Giovanni Gallina, in camice e stola, preceduto da tre chierici e dalla croce e le bandiere dei comuni, dei Fasci di Combattimento e delle Sezioni dei Combattenti di Fossalta, Meolo, S. Michele del Quarto, Ceggia, Grisolera, Noventa di Piave, Cavazuccherina, Zenson, Musile e Torre di Mosto. Segue la popolazione di Fossalta e dei paesi limitrofi. Il corteo è fiancheggiato da carabinieri in alta tenuta al comando del brigadiere Balali che dirige il servizio d’ordine. Percorsa Via Municipio il corteo svolta a sinistra, infilando Via Piave e giunge lentamente alla riva del fiume sacro ove sosta qualche istante.


. Il mito del Piave a Fossalta 

L’autorità, le rappresentanze e le bandiere prendono quindi posto su apposito pontile mobile, ornato con fasce tricolori: i cantori e le bande in una grossa peata, pure adorna di addobbi tricolori, i Balilla e le Piccole Italiane si schierano lungo un terrapieno, vicinissimo alla riva e la folla si stende lungo l’argine, serrandosi in linea di fronte. la consacrazione del rito Trascorsi alcuni minuti dal pontone mobile, che viene spinto a forza di remi verso il centro della corrente, si avanzano i due orfani di guerra Itala Silvestri e Guerrino Marchi. Essi, guidati dal segretario comunale di Fossalta, raccolgono l’acqua del Piave in apposito bacile, depositandolo poscia sopra un tavolo. Il parroco di Fossalta, tra un religioso silenzio, si avanza a sua volta e consacra l’acqua raccolta entro il bacile, benedicendola. Poi vi sparge dentro il sale e recita le preci di rito.4 L’acqua viene prontamente introdotta in due fiale di vetro. Chiuse ermeticamente, le fiale vengono legate con nastro tricolore e sigillate col timbro del Comune, che reca le firme del Podestà, e (...) poste entro la borraccia simbolica, che s’apre a libro per essere fissate con appositi anelli. Tale operazione dura alcuni minuti e, quando è cessata, imprende a parlare per primo il Podestà di Fossalta, tra la viva attenzione di tutti i presenti. il discorso del podestà L’ing. Rossetti [Rossetto, N.d.R.] ringrazia le autorità e le rappresentanze convenute, a nome della popolazione, dicendosi lieto e grato che la scelta per l’attuale cerimonia sia caduta su Fossalta, paese che fu teatro di spaventose battaglie, il cui caposaldo, Ronche, resistendo per tre giorni, quantunque accerchiato dal nemico, sventò il piano e le bieche mira del generale austriaco Boroevic. Al Milite Ignoto, «simbolo dei nostri  mila morti immolati per la santa causa, in virtù dei quali fu possibile distruggere una concezione politica ultra-secolare, instaurando sulle sue rovine un ordine nuovo e un edificio di saggezza incrollabile»5 il Podestà manda il più sincero e devoto omaggio. Dopo aver elogiato i baldi ciclisti dell’«Audax» rodigino per l’impresa ardua che si sono accinti di compiere, recando con una marcia le acque del fiume sacro all’Altare del Milite Ignoto, l’oratore così conclude: «O voi, giovani che onorate i nostri morti per la patria con questa suggestiva


 di qui non passeranno

cerimonia, abbiate presente che essi, col loro sangue versato, hanno suggellato la più bella pagina della nostra storia e contribuito grandemente a far sì che la Patria nostra possa avere una frontiera la più formidabile e precisa, come nessun altro paese del continente d’Europa possiede. Per quei morti, in segno di devozione profonda, serva di sprone a tutti i combattenti sopravvissuti, la bellezza della nostra vittoria feconda di pace onde l’opinione pubblica abbia l’esatta percezione dell’immenso sforzo fatto e dell’effetto conseguito. L’Italia ha bisogno di far conoscere la sua guerra per sé e per il mondo; soprattutto, per la compilazione della storia universale che non può e non deve subire deformazioni a danno del paese che ha sofferto per tutti e più di tutti». Le parole del Podestà sono accolte da vivi applausi. Parlano quindi, ancora applauditissimi, il Sindaco di Rovigo, il conte Bragadin e il comm. Bortolotto. la canzone al milite ignoto Cessati gli applausi e dopo un istante di raccoglimento profondo, osservanda tutti i presenti alla cerimonia, i cantori e la banda, diretti dal maestro sig. Mason, intonano la canzone «al soldato ignoto», le note (...) si diffondono nell’aria ascoltate religiosamente, mentre le bandiere e i gagliardetti si inchinano e il Piave, con un mormorio tenue, sembra voglia accompagnare l’ode bellissima. L’istante suscita nei presenti un’intensa commozione e il sole, che ora dardeggia luminosissimo, offre un quadro d’incomparabile bellezza, tra l’ultimo verde dell’inoltrata stagione. Alla canzone del «Soldato ignoto» segue quella del «Piave»69 cantata dalle freschissime voci bianche dei bimbi, mentre le piccole italiane, sporgendosi dalla riva, gettano entro le acque del fiume i loro mazzetti di fiori rossi, simbolo gentile dell’amore purissimo che tutti gli italiani devono sentire pei morti del Piave. il ritorno a rovigo La bella cerimonia volge così alla fine. Il corteo poco dopo si riordina e, incolonnatosi con la stessa formazione, si reca al cimitero, per una visita di omaggio ai Caduti gloriosi, tra i quali ve ne sono oltre duecento rimasti tutti ignoti. Poscia fa ritorno alla sede comunale dove si scioglie, tra ripetuti alalà. Alle autorità che si raccolgono nelle sale del Municipio, viene offerto un rinfresco mentre si dà lettura di un telegramma giunto dal Prefetto di


. Il mito del Piave a Fossalta 

Venezia il quale dicendosi dolente di non poter presenziare alla simbolica cerimonia, manda la sua adesione e il suo saluto augurale. La lettura del telegramma venne accolta da poderosi alalà e da grida di Viva l’Italia, viva il Milite Ignoto. La squadra rodigina è ripartita alle  precise per Rovigo, portando con sé la borraccia simbolica. Come abbiamo detto, la squadra sarà a Roma il  novembre p.v. e vi giungerà dopo aver compiuto l’intero percorso, con le seguenti tappe: Rovigo-Fano, Fano-Perugia, Perugina-Viterbo, Viterbo-Roma. La partenza da Rovigo avverrà il  novembre. P.B.*

Tutto il contesto della cerimonia rientra nel piano della gestione della memoria della Grande Guerra, che il Regime utilizzò ampiamente per auto-designarsi unico e legittimo erede sia dei sacrifici che del significato della guerra stessa.

Contrasti fra due poteri Il fascismo a Fossalta è anche espressione delle grandi tensioni a livello religioso, politico e sociale che caratterizzano la nazione nel dopoguerra e si lega saldamente al quadro delle lotte delle leghe agrarie per la spartizione della terra, che era stata promessa dal governo Salandra ai reduci. In questa ottica rientra l’episodio di violenza da parte di una squadra fascista ai danni del sacerdote Sante Bianco, “reo” di aver confortato una famiglia fossaltina, quella dei Fregonese, a cui era stata incendiata la casa poiché si era esposta nelle lotte mediante riunioni e comizi vari tesi a riunire il maggior numero possibile di contadini. Troviamo traccia del fatto nella corrispondenza fra don Bianco e mons. Andrea Giacinto Longhin:

* Dovrebbero essere le iniziali di Pino Bellinetti, noto articolista del «Gazzettino».


 di qui non passeranno

parrocchia di s. maria immacolata, fossalta di piave (ve) Fossalta di Piave: ottobre  Eccellenza Rev. ma, questa notte verso l’una fui svegliato di soprassalto. Che c’era? Una visita poco gradita: una pattuglia di persone entrava a forza nella mia stanza da letto e colla rivoltella spianata alla tempia m’invitava a seguirle così com’ero, in puri pantaloni. E senza aspettare, mi spinsero fin fuori del piccolo cortile, nella strada, dove mi dettero varie bastonate al capo e due colpi col clacio d’un moschetto. Ho cercato di riparare i colpi con le mani e le braccia e in parte vi sono riuscito. In tal modo ebbe fine la poco gradita visita accompagnata con bestemmie e con frasi triviali. [...] Il motivo pure desidererà sapere: credo che motivi seri non ne abbiano, poiché in nove mesi che sto a Fossalta, non mi sono occupato che di bambini e della Chiesa, trattando tutti con rispetto. Domandato ad essi il motivo, mi dissero che giravo troppo di notte e che ero andato a visitare coloro che avevano avuta incendiata una casa. Ecco l’accusa! [...] Suo dev.mo figlio in G.C. Sac. Bianco Sante – bastonato A sua Ecc. Rev.ma Mons. Andrea Giacinto Longhin Treviso

La reazione del Vescovo non si fa attendere; alcuni giorni dopo scrive al Prefetto di Venezia: curia vescovile di treviso Treviso:  ottobre  Ill.mo Prefetto di venezia Dall’ottimo mio sacerdote Sante Bianco, Cappellano di Fossalta di Piave, ricevo una lettera di cui unisco copia e nella quale egli mi dà relazione di una brigantesca aggressione di cui fu vittima per parte di individui che io bramo di credere non ascritti a nessun partito. Come cittadino e come Vescovo, umiliato ed avvilito che sulla sponda del Piave, alla distanza di quattro anni dalla strepitosa vittoria riportata


. Il mito del Piave a Fossalta 

dalle nostre armi si rendano possibili per colpa di Italiani scene del genere di quella narrata dal sullodato Sacerdote (il quale durante la grande guerra in epiche battaglie come semplice soldato di artiglieria da montagna ha compiuto tutto il suo dovere) invoco da lei, Signor Prefetto, quei provvedimenti che reputerà necessari per tutelare l’incolumità personale non soltanto del Sacerdote in parola, ma anche dei suoi Confratelli del Basso-Piave che son fatti segno all’odio anticivile di alcuni torbidi elementi*. Anticipando i più sentiti ringraziamenti e con perfetta osservanza mi rassegno Della S. V. ill.ma Dev.mo Fr. Andrea – Vescovo

La risposta del Prefetto è fumosa, e la denuncia del prelato si risolve in un nulla di fatto. il prefetto di venezia Venezia:  ottobre  Eccellenza, appena avuta notizia delle deplorevoli violenze commesse a Fossalta di Piave, disposi l’invio colà di un funzionario di P.S. con adeguata forza per provvedere alla identificazione e denuncia dei responsabili e per tutelare da ulteriori attentati le persone e la proprietà. L’opera del funzionario è stata efficace in quanto alcuni degli autori delle violenze sono stati già denunciati all’Autorità Giudiziaria. Relativamente alle minacce fatte al Parroco di Noventa di Piave, ho subito ordinato che ne siano identificati e diffidati gli autori e che sia esercitata la maggiore vigilanza possibile perché l’incidente non abbia a ripetersi. Con devoti ossequi Il Prefetto di Venezia A S.E. Andrea Giacinto Longhin Vescovo di Treviso * Chiaro ed interessante riferimento del Vescovo alla violenza delle squadre fasciste che si esplica contro i sacerdoti della zona.


 di qui non passeranno

In realtà questa è solo una delle tante situazioni di pericolo che monsignor Longhin, vescovo di Treviso, si trova ad affrontare in quei cruciali anni, come si può capire dall’analisi del contesto più generale dei rapporti della chiesa trevigiana con il fascismo: Il rapporto tra chiesa – intesa nella sua totalità che va dalle alte gerarchie alla moltitudine dei parroci e dei cappellani – e fascismo è stato certamente complesso ed articolato. [...] Anzitutto è evidente che chiesa e fascismo si presentarono sulla scena come soggetti organizzati e coesi al loro interno e con una precisa strategia nei confronti della società in cui operavano. Entrambi si proponevano di mantenere ed ampliare la propria sfera di influenza, mettendo in campo iniziative che apparivano complementari, sotto certi aspetti, concorrenti in altri. È anche logico pensare che il fascismo degli anni venti sentisse la supremazia della organizzazione ecclesiastica e che avvertisse la necessità di trovare una strada per ottenere autonomamente il consenso della popolazione, in gran parte aggregata attorno alle parrocchie.7

Il vescovo di Treviso ha nei confronti del fascismo un atteggiamento diverso rispetto ad altri prelati come monsignor Eugenio Beccegato, vescovo di Vittorio Veneto: egli infatti rispetto al fascismo è più ostile e schierato a difesa della supremazia delle istituzioni ecclesiastiche: Andrea Giacinto Longhin appare come la guida forte e autorevole di una chiesa che non è disposta ad accettare limitazioni nell’attuazione della sua missione, soprattutto quando queste tentano di imbrigliare le organizzazioni cattoliche diffuse nelle parrocchie. Difende per principio i suoi sacerdoti accusati di atti ostili al fascismo e non accetta pressioni nelle nomine di nuovi parrocci. Nell’altro fronte è un vociferare di podestà, di sindaci fino al questore e al prefetto che vorrebbero tacitare preti scomodi o poco benevoli nei confronti delle iniziative di regime.8


. Il mito del Piave a Fossalta 

note  Datato ...  Di cui ci occupiamo nel capitolo , «I luoghi e i segni della memoria».  Si vedano, per un inquadramento generale, Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari .  Per le riflessioni sulle interrelazioni tra i codici civili e religiosi rimandiamo a Mario Isnenghi, «Alle origini del  aprile. Miti, riti, mass media», in Mario Isnenghi, Silvio Lanaro (a cura di), La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile, Marsilio, Venezia .  Notevole rilettura della Grande Guerra, inevitabilmente frutto di forti suggestioni e finalità fasciste come si evince dal seguito del discorso.  Per le riflessioni sulle canzoni come luogo della memoria rimandiamo al saggio di Emilio Franzina, «Inni e canzoni», in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, cit.  A. Manesso, (a cura di), Il trevigiano tra le due guerre, Provincia di Treviso, Treviso , p. .  Ibidem, p. .

Foto in apertura di capitolo: i ciclisti rodigiani dell’«Audax Club Italiano» in piazza Vittoria, in attesa di dirigersi, alla testa di un corteo di cittadini fossaltini, verso il Piave, dove riempiranno la simbolica borraccia da portare successivamente presso la tomba del Milite Ignoto a Roma. (Archivio Modulo)


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Cap.

I luoghi e i segni della memoria

Il battistero della Pace Il battistero è forse l’edificio simbolo che meglio richiama e mantiene la memoria collettiva della Grande Guerra a Fossalta, secondo le linee tratteggiate da Maurice Halbwachs1. Anche se la sua inaugurazione risale al  giugno , più vicino a coloro che ricordano piuttosto che a coloro che debbono essere ricordati, e quindi sfuggendo alla scansione periodizzante in tre diverse fasi che dà Mario Isnenghi di quella che lui definisce, nel contesto della costruzione dei luoghi della memoria della storia patria, la seconda ondata monumentale, dedicata ai caduti della Grande Guerra*. Il battistero è stato costruito grazie all’iniziativa dell’associazione nazionale «Ragazzi del ’», a cui successivamente hanno aderito anche l’autorità politica e l’intera cittadinanza: Fossallta infatti è uno dei fronti su cui vengono mandati questi «ragazzi» e dove essi costruiranno il loro «mito». L’associazione «Ragazzi del ’» nel primo dopoguerra rientra nei quadri dell’ancr, nel  se ne stacca diventando ente autonomo che si allarga anche a figli, nipoti degli ex «ragazzi» e ai simpatizzanti. Dotata di una festa sociale che ricorre il  novembre, a ricordo * «Volendo tentare una periodizzazione, si possono distinguere tre grandi momenti in questi processi di diffusione su tutto il territorio nazionale degli spazi sacri dedicati al culto dei morti per la Patria. Il primo momento, negli anni tra Vittorio Veneto e la Marcia su Roma, è quello più legato a una genesi spontanea e locale [...]. Il secondo momento [fino al , N.d..R.] fa già capo a precise direttive dall’alto e a un progetto organico di intervento sulle forme e i contenuti della memoria in gestazione [...]». Mentre il terzo momento organizzativo è quello che parte appunto dal : «[...] il Regime ha decretato la fine del monumento ai Caduti di iniziativa locale, avocando al centro la costruzione di grandi spazi sacri a carattere nazionale e di luoghi della memoria più confacenti al secondo decennio del Regime». In Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani 1848-1945, Mondatori, Milano , p.  e ss.


 di qui non passeranno

del bollettino di Diaz in cui per la prima e unica volta viene citata come singola classe e di un periodico, intitolato dapprima «I ragazzi del ’», poi «Il Tascapane» e di nuovo con il nome originario, secondo il settimanale diocesano «La vita del popolo» si scioglie il  ottobre  quando in realtà rimane viva fino al , trasformandosi quindi in fondazione. I «Ragazzi del ’», alcuni dei quali combatterono effettivamente in queste zone, identificandosi e facendosi portatori dei meccanismi della memoria collettiva della Grande Guerra a Fossalta, ne sono infatti cittadini onorari: a loro è stata intitolata una via nelle immediate vicinanze del monumento, e a partire dal  si ritrovano in occasione del raduno nazionale ricordato da un ceppo sull’argine. Questa identificazione è ulteriormente comprovata da una testimonianza di Ignazio Buttitta, raccolta da Mario Bernardi2: [...] Arrivammo a Monastier, quindi ci attestammo nella zona tra Campolongo e Fossalta di Piave. Lì erano concentrate la a e a brigata ed il nostro o reggimento della Ionio. Era il  giugno e la sorte non ci aveva certo favoriti, perché l’indomani sarebbe incominciata l’offensiva nemica. Improvvisamente fummo investiti da un mare di fuoco. Stavo dentro ad una trincea con il mio gruppo e, dalle feritoie, riuscivamo a scorgere il fiume in piena che trascinava nella corrente tronchi d’albero e soldati annegati. Dietro a noi le artiglierie incrociavano i tiri con quelli delle bombarde nemiche che cercavano di colpire le nostre postazioni e al fragore degli scoppi si accompagnava una miriade di schegge. Ci furono subito morti e feriti, ed anch’io fui colpito di striscio da uno shapnel, ma dopo una medicazione sommaria ero nuovamente col fucile in mano a sparare, a sparare, a ricaricare e sparare, senza sapere dove ed a chi, perché il fumo e la nebbia ci impedivano di vedere. [...] Il giorno  ci fu il grande scontro. Noi vigilavamo il fiume e loro giunsero dalla campagna, a decine di migliaia. In fondo alla strada si sentiva il crepitare delle mitraglie e non sapevamo più da che parte stesse il nemico. Qualcuno urlava degli ordini e ci parve di capire che dovevamo ripiegare. Oltre il fiume, le macerie di alcune case si distinguevano appena in mezzo al fumo ed alla polvere sollevata dalle nostre cannonate. Alcuni drappelli di soldati austriaci cercavano di calare in acqua dei pontoni per forzare le nostre difese. Sparammo all’impazzata fin quasi ad esau-


. I luoghi e i segni della memoria 

rire le scorte di munizioni che stavano nella trincea. I nostri mitraglieri facevano miracoli con le loro Fiat raffreddate ad acqua, che ogni tanto si inceppavano per l’eccessivo riscaldamento della canna. Li ricacciammo, e – a darci man forte – arrivarono gli «arditi» che caricarono la valanga nemica all’arma bianca compiendo un massacro, mentre noi tenevamo a bada i nemici che tentavano di attraversare il fiume. Fu una giornata tremenda. Alle grida dei nostri si aggiungevano i rantoli degli austriaci morenti, fulminati sul greto dai nostri colpi ed abbandonati al loro destino da compagni che li avrebbero soccorsi solo al sopraggiungere della notte. Io – «ragazzo del ’» – coi piedi affondati nel fango della trincea, pregavo ed imprecavo insieme, senza avere coscienza di quello che mi stava attorno. In quell’indimenticabile chiarore di un tramonto di sangue, mentre le ombre lunghe delle macchie di acacie stendevano una coltre pietosa sui corpi di tanti compagni che avevano parlato con me poco prima, scherzando sull’idea della morte, come fosse soltanto un gioco.

Il battistero non è solo un punto di arrivo e di partenza per le memorie di questi reduci, ma qualcosa di più: nelle intenzioni dell’associazione e del suo presidente onorario, il comm. Arturo Radici Valenti, oltre che «monumento ai Caduti», rappresenta il segno tangibile di una volontà di superamento della Guerra in nome di ideali più “alti” quali la Pace e la Fratellanza. L’intento della cerimonia inaugurale è stato infatti quello di un armonizzarsi delle diverse memorie, compiendo prima un battesimo collettivo di  bambini italiani, ungheresi, germanici ed austriaci, e cioè delle quattro nazionalità che si diedero battaglia nel ’-’, e poi promuovendo un incontro fra i reduci delle stesse nazionalità. In realtà l’evento si è risolto in un aspro scontrarsi di memorie, come viene ricordato in un articolo dell’«Avvenire» del  giugno  forzatamente dai toni neutri, e nella testimonianza orale da parte di don Modulo, officiante della cerimonia: Un paio d’anni or sono venne ospitato a Fossalta, per l’inaugurazione del Battistero della Pace [in realtà siamo nel  giugno , N.d.R.], dedicato ai «Ragazzi del ’», un gruppo di «ragazzi» che, durante la Grande Guerra, combattè sulla sponda opposta del Piave.


 di qui non passeranno

Non erano ormai più «ragazzi», ma vecchi, e, nel lungometraggio girato con mezzi di fortuna da un regista dilettante loro compatriota, evocavano i ricordi. Indomiti sempre, però. Neanche sette lustri di duro regime comunista, con Rakosi prima e poi con Kadar, gli avevano insegnato nulla. Nulla della mitezza che pure deve essere nella convivenza civile. Erano Ungheresi, Magiari. Nelle loro vene scorreva il sangue dei barbari più feroci, dagli Unni, ai Gepidi, agli Avari; nell’inconscio la puszta; nelle membra ormai arrese alla vecchiaia, ancora sussultava l’energia selvaggia del nomade. Duri. Cattivi. Solo gente così poteva resistere due settimane ai carri sovietici a Budapest. Duri, cattivi anche nell’esilio. Eccetto uno, un vecchio gentiluomo rassegnato, che era orefice e che il regime comunista aveva trasformato in orologiaio (ebreo probabilmente), nessuno che abbia espresso riconoscenza ai Fossaltini per il calore umano dimostrato e l’ospitalità offerta. Al contrario, rievocavano i loro crimini di guerra con primeva incoscienza, facevano del sarcasmo sui nostri soldati, erano ancora rancorosi con quegli smidollati d’Austriaci che li avevano «traditi» nel ’. Parlavano così: «Mi ricordo che ci passò in rassegna il re Carlo» (per loro, l’austriaco imperatore era il «re». Ricordate: impero d’Austria, ma regno d’Ungheria?) «Fu subito dopo la battaglia di B...» «Ah sì! Ricordo. Fu quando usammo per la prima volta i gas...74 Era una novità, per gli italiani... Che strage! Quanti ne ammazzavamo...!» «Dopo, quando facevano prigioniero uno di noi, e riconoscevano le mostrine del “Battaglione Armi chimiche”, l’impiccavano sul posto...» «A Pederobba, nel giugno del ’, passammo dall’altra parte del Piave. Sorprendemmo una pattuglia italiana...» «Alcuni li abbiamo ammazzati subito. Gli altri, appena ci vedono, buttano via i fucili, e se la danno a gambe... Non erano molto coraggiosi, i soldati italiani...» «Gli ufficiali austriaci ci tradirono...» «Se avevamo ufficiali nostri...! Vincevamo la guerra...!» Un popolo così, ci chiediamo, può avere dei Santi? L’unico santo ungherese che ci viene in mente, è Szent Istvan, quello della corazzata. Ma poi?4


. I luoghi e i segni della memoria 

L’evidente acrimonia dell’autore dell’articolo è indice che l’esperimento di riconciliazione delle memorie tentato dai nostri «ragazzi del ’» non ha avuto successo. L’inaugurazione del battistero ha avuto eco nei maggiori quotidiani locali – «Gazzettino», «Nuova Venezia» –, nelle colonne de «La notte» di Milano, ma solo Vittorio Franchini, de «La voce del Sud», in un articolo del luglio  sembra averne colto i significati più immediati e meno reconditi cui abbiamo accennato poco innanzi. E queste intenzioni sono ulteriormente confermate dalla decisione dell’autorità comunale di festeggiare la ricorrenza innalzandola a giornata della Pace con la realizzazione di un busto di bronzo dedicato alla memoria del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa nella giornata della Pace del  giugno  e intitolando una nuova via cittadina al vice questore Alfredo Albanese, ucciso dalle Brigate rosse, in occasione della giornata della Pace del  settembre .

Il cimitero Il terzo momento organizzativo della memoria monumentale della Grande Guerra è infatti quello che – smantellati i piccoli cimiteri di guerra originari, immediatamente a ridosso dei luoghi dei combattimenti – porta alla erezione dei giganteschi edifici.5

Fossalta, nell’ambito cimiteriale, non fa eccezione. Nel  nel suo cimitero vennero poste le salme di  caduti:  austriaci e  italiani, recuperate nella campagna circostante; ad ognuna fu assegnata una croce di legno con una piastrina di ottone indicante nome, cognome, età grado e luogo di nascita, come suggerito dal sagrestano Antonio Velludo che ne compilò anche un elenco scritto. Per questo «Cimitero Militare»6, dedicato alla Medaglia d’oro Saloni Soccorso, inaugurato ufficialmente nella primavera del , venne innalzato un monumento di massi rocciosi, sormontato da una croce, da una lampada votiva a forma di tripode e da simboli di guerra, come il fucile, l’elmetto, bossoli di cannone: una evidente


 di qui non passeranno

interrelazione di codici civili e religiosi, inclini entrambi al patriottismo7. Un’iscrizione bronzea ricorda l’eroismo dei soldati e la riconoscenza loro dovuta da parte della città di Venezia: I soldati d’Italia – primi al cimento – forti nella titanica gesta – immolati nell’ultima guerra – per l’indipendenza nazionale – qui gloriosi vivono – nella memoria dei posteri. Il comitato per le onoranze ai Caduti in difesa di Venezia.

Estremamente interessante il riferimento all’indipendenza nazionale, quasi a voler dimostrare che il significato della Grande Guerra come quarta guerra d’indipendenza sia stato almeno in parte recepito e non del tutto dimenticato. Nel  le salme degli italiani vennero traslate a Fagarè e raccolte nel famoso Ossario; a Fossalta rimangono soltanto i resti dei soldati austriaci che, nel luglio , per la nuova sistemazione e ampliamento del cimitero, furono riesumati e messi in un modesto loculo comune, segnato da una lapide, unico ricordo del cimitero di guerra.

L’altare ai Caduti Come segno di memoria storica va citato l’altare ai Caduti che si trova nella chiesa parrocchiale di Fossalta. Si tratta di un dono fatto dai genitori fossaltini privati dei figli dalla Grande Guerra, nel , ed è accompagnato da una suggestiva pala, opera del pittore trevigiano Gino Borsato, che raffigura un soldato moribondo visitato dal Cristo e confortato da un angelo. Suggestiva perché mostra, una volta di più, come la guerra sia esplicitamente entrata nella zona d’interesse del pubblico e del sacro, che se ne fa carico e sembra quasi volerne gestire la rappresentazione come una sorta di messa in scena del culto dei morti per la patria in uno spazio sacro.


. I luoghi e i segni della memoria 

Il capitello di Sant’Antonio Storia curiosa quella del capitello di Sant’Antonio, che si lega anche alla presenza di Ernest Hemingway a Fossalta, ma soprattutto ha costituito un estremo punto di riferimento devozionale per i soldati della Grande Guerra che combattevano a pochi passi da lì. Il capitello, collocato presso il caposaldo più importante nella battaglia del Piave, la famosa osteria di Sant’Orsola successivamente ribattezzata «Osteria di Fossalta», spiccava ancora di più per essere rimasto intatto nella generale distruzione circostante. Come testimonia Hemingway/Frederic Henry in un episodio di Addio alle armi quando, ricevendo in dono dalla fidanzata Catherine Barkley una delle statuine di Sant’Antonio che si acquistavano davanti al capitello dell’Orsola affermò «dicono che un S. Antonio porta bene», esso assume un significato vagamente pagano di elemento salvifico o, semplicemente, di “portafortuna” per i numerosi fanti che vi transitano diventando così, per un tortuoso processo di scambio di significati, punto di riferimento della loro semplice religiosità. Anche monsignor Albino Schileo, prete soldato e testimone della battaglia afferma che da quelle parti S. Antonio valeva assai più del Padreterno. Sue medagliette e statuine, dentro una piccola capsula di metallo bianco, andavano a ruba tra i soldati.

Il persistere nella memoria collettiva di Fossalta del culto del santo con il tempo si è sfaldato, come ben si esplica in occasione di un’inchiesta8 di un inviato della «Nuova Venezia», Luciano Ferrario, che scopre come il capitello risparmiato dalle artiglierie non sia sopravvissuto alla dabbenaggine di alcuni amministratori comunali che nel  lo hanno tolto per fare posto a una nuova circonvallazione e hanno affidato la statua di Sant’Antonio a un privato appassionato di raffigurazioni religiose, il sign. Antonio Bardella, che ne aveva fatto richiesta. Parliamo di persistere della memoria, perché questa inchiesta rivela come a distanza di tanti anni il capitello e il suo significato siano


 di qui non passeranno

ancora ben vivi all’interno del gruppo di alcuni vecchi frequentatori dell’osteria di Fossalta e risvegli almeno all’apparenza i meccanismi di funzionamento della memoria collettiva fossaltina negli altri gruppi che vi si identificano e se ne fanno portatori (e il portavoce, oltre allo studioso di Hemingway Giovanni Cecchin, è sempre la vecchia maestra Alba Bozzo seppure con molti distinguo) arrivando all’ente pubblico, cioè comunale, che si assume l’impegno di restituire al capitello tutti i suoi connotati originari di luogo della memoria. Ora il capitello di Sant’Antonio è rimasto al suo posto, in un gabbiotto di legno a lato della via Cadorna. Ciò sta a significare una cosa sola: la scomparsa pressoché totale dei gruppi identificatisi nei meccanismi, di cui si facevano pure portatori, della memoria collettiva legata specificamente alla Grande Guerra.

I monumenti e le lapidi Sul già ricordato battistero sono state collocate due lapidi: una delle quali riporta una frase di Diaz assunta dall’associazione a proprio motto*: Li ho visti i ragazzi del ’ Andavano in prima linea cantando Li ho visti tornare in esigua schiera Cantavano ancora. Diaz

Affissa al muro della «Casa Rossa» di Passo Lampòl, sede di un’associazione di assistenza ai disabili, vi è un’altra lapide, dedicata ai caduti di quei luoghi, collocata sempre dall’associazione «Ragazzi del ’» il  giugno  in occasione del o anniversario della Battaglia del solstizio. Appartengono a quella che Isnenghi definisce la «seconda ondata monumentale» una lapide di sicura committenza privata, non * Pronunciata da Diaz circa i «ragazzi» inquadrati nel ° Battaglione Bersaglieri in occasione della battaglia di Moriago.


. I luoghi e i segni della memoria 

ne abbiamo trovato tracce nelle delibere podestarili di quegli anni, posta in data  novembre  sulla facciata dell’ottocentesca villa Bortolozzi-Belloni, a Lampòl, per ricordare un glorioso episodio di resistenza al nemico dei battaglioni Ferrara ed Avellino ill  giugno . Ben più carico di significati è il campanile-monumento ai Caduti, che viene ricostruito a partire dal marzo , come si evince nella delibera n.  del ..9 in cui si risponde alla domanda presentata dalla fabbriceria comunale per l’amministrazione degli edifici serventi al culto pubblico e dal locale comitato per l’erigendo campanile-monumento ai Caduti. Scarseggiando i fondi e trattandosi dell’«opportunità di completare detta opera pubblica che riveste due nobilissimi scopi fronteggiandoli con un’unica spesa per sicuro raggiungimento del fine proposto» il comune decide di girare cinque cartelle dal valore di L.  ciascuna del Prestito del Littorio che era stato da poco sottoscritto. Per decifrare questo passo della delibera, ci serviamo della illuminante spiegazione che ne fornisce Isnenghi10, premettendo che anche a Fossalta il primo dopoguerra è carico di tensioni sociali esplicatesi in gesti concreti11: Il comitato pro-erezione del monumento nasce anche, localmente, per esprimere un’opzione patriottica e combattentistica di fronte a questo tipo di recriminazioni postume [cioè le manifestazioni popolari di rancore e protesta, N.d.R.]. E il fatto di incentrare questa forma storica della memoria sulla pietà e il lutto per i soldati morti – anzi, eufemisticamente, caduti in guerra – è anche una maniera per sacralizzare il manufatto e offrirgli una tutela d’ordine spirituale anche agli occhi degli avversari. Da una parte il monumento provoca, perché sancisce il prevalere di una scelta da molti voluta, ma da molti altri subita; dall’altra, sposta il discorso dal terreno politico a quello umano, sociale e religioso. A favorire sensi di pietà e inibire gesti ostili si aggiungono inoltre le lunghe liste di nomi noti: concittadini, parenti, padri e figli, tutti i «Figli» di una località «Caduti per la Patria».

Anche di questo troviamo traccia in un’altra delibera12, in cui il comune copre una parte delle spese del comitato locale committen-


 di qui non passeranno

te fin dal  di due lapidi di marmo di Carrara, collocate ai lati della monumentale ditta campanaria, su cui sono riportati tutti i nomi dei soldati fossaltini morti nella Grande Guerra. L’autoriconoscimento collettivo sul piano locale, la traduzione dell’evento a livello microstorico e la sua declinazione in termini religiosi si manifestano non di rado nella decisione di far debordare il racconto pubblico dalla piazza o dal municipio sulle pareti esterne della chiesa. [...] Il presidio in comune di uno spazio sacro che dall’edificio parrocchiale si protende verso quella sorta di altare all’aperto, oltre che di monumento funebre, che la collocazione, i riti, la celebrazione della Messa faranno diventare il monumento ai Caduti, è un passo successivo che le autorità civili e militari compiono con naturalezza. Indizio dei nuovi tempi, la sacralizzazione e la clericalizzazione del nuovo monumento pubblico derivano dal suo carattere eminentemente funebre. Alla morte e alla commemorazione dei defunti, in un paese di tradizioni confessionali quale l’Italia, presiede la Chiesa.

Per quanto riguarda Fossalta, il racconto pubblico più che debordare si manifesta fin da principio tutto collocato sul versante religioso, confermato dall’erezione del battistero con connotazione di monumento ai Caduti. Siamo pur sempre nel bianco Veneto, e lo scandire del tempo è modellato oltreché sulla vita di campagna anche sui modi religiosi che vogliono essere punto di riferimento per tutta la comunità. L’autorità comunale, ben cosciente di questo, demanda, apparentemente senza particolari conflitti di potere, alla Chiesa e ai comitati locali tali compiti di rappresentanza e partecipazione alla vita pubblica almeno al livello più esplicito. In altre delibere si parla anche di un «parco della rimembranza»13, che probabilmente può essere identificato con l’attuale parco comunale.

I nomi delle vie La toponomastica di Fossalta contiene un elemento diversificante rispetto al quadro delineato da Sergio Raffaelli14, perchè si muove


. I luoghi e i segni della memoria 

in notevole ritardo nella generale denominazione di vie e piazze e quindi nello sfruttamento del «luogo pubblico». Bisognerà aspettare il 7 o Censimento generale della popolazione, in occasione del quale il podestà in carica Guglielmo Rossetto è “costretto” a procedere a tale operazione toponomastica15, in ottemperanza alle direttive dell’Istituto centrale di statistica, affidandola alla Commissione comunale di vigilanza presieduta da Giuseppe Ferrari. Dal verbale di suddetta commissione – datato  febbraio  – sembra si sia trattato di un’operazione abbastanza lineare senza particolari discussioni, e attenta a rispettare le disposizioni in tale materia della legge n.  del  giugno , che disciplina tuttora le scelte odonomastiche dell’Italia democratica e repubblicana. Le denominazioni richiamantesi alla Grande Guerra sono presenti in numero abbastanza consistente. Si va dai riferimenti locali (viale della Stazione, via della Favorita, via della Madonna del Soccorso, vicolo della Speranza, via Passo Lampòl, via delle Carbonere) ai riferimenti ad eventi e personaggi (via  Giugno, via Saloni Soccorso, piazza della Vittoria, piazza  Novembre, via Duca d’Aosta e via Armando Diaz) e a riferimenti idealistici (via della Gloria, vicolo della Concordia, via della Conciliazione) fino a quelli riferiti al fascismo (via  Ottobre, via Benito Mussolini, via Tripoli e via Roma), per finire con la casa regnante (via Principe Umberto, via Vittorio Emanuele iii). Nel verbale vi sono note di spiegazione per via  Giugno – liberazione del territorio comunale occupato dagli austroungarici –, via Saloni Soccorso – medaglia d’oro caduto in guerra in Fossalta di Piave –, via Favorita – antica denominazione della località – come vicolo della Speranza, mentre curiosamente via Conciliazione originariamente era  Febbraio, poi cancellato con un tratto di penna. Per via Roma c’è un’apposita delibera, n.  dell’ agosto , che fa riferimento alla circolare prefettizia n.  datata  luglio  contenente «l’obbligo di intitolare strada non secondaria a Via Roma = Mussolini». Via Benito Mussolini invece viene cambiata in  Aprile16 a seguito del perentorio telegramma ai prefetti del  dicembre  inviato dallo stesso Duce che non voleva riferimenti a sé e ai suoi familiari. Due delibere degli anni successivi17 attestano che lo stradario non


 di qui non passeranno

viene più cambiato almeno fino al  febbraio , data in cui il telegramma della prefettura di Venezia n. , in data  dicembre , invita i comuni ad abolire vie e piazze intitolate a casa Savoia, come conseguenza dell’ settembre : via Vittorio Emanuele iii diventa così via Ettore Muti e via Principe Umberto diventa via G. Mazzini: si salva solo Via Duca d’Aosta, in quanto la denominazione viene considerata riferita direttamente alla Grande Guerra e perciò al comandante della «invitta» iii Armata. Con la Liberazione, in un eccesso di zelo, fra le vie intitolate al fascismo viene tolta via  Giugno18, in seguito prontamente restaurata; fino alla nuova toponomastica comunale in occasione del 9 o Censimento generale della popolazione, «le vecchie denominazioni delle strade sono rimaste invariate»19. Da qui in poi sembra che il comune di Fossalta voglia, almeno nella denominazione delle vie, considerare il Fascismo e la Liberazione come la famosa «parentesi» di cui parlava De Felice richiamandosi più volentieri al periodo precedente. Ricordiamo l’apposizione sulla torre campanaria di due lapidi con i nomi dei caduti della Seconda guerra mondiale proprio sopra quelle preesistenti della Grande Guerra quasi a volere instaurare una ideale continuità tra i due eventi. Per quanto riguarda specificamente la guerra ’-’ nella delibera n.  del  agosto  si decide per la denominazione di una via dei Caduti e di una via Don Giovanni Gallina. Negli anni Cinquanta viene deliberata l’intitolazione di una via ai «Ragazzi del ’», negli anni Settanta vi è una via riferita a Vittorio Veneto, una via a G. Roncola in anni più recenti e nel Duemila il curioso episodio20 della rettifica di via Soloni Soccorso in via Saloni Soccorso grazie a un cittadino di un paese limitrofo che, in occasione della ricorrenza del  novembre al sacrario di Fagarè della Battaglia, notando una lapide ricordante la medaglia d’oro Saloni Soccorso, aiutante di battaglia leccese morto a Losson della Battaglia il  giugno , segnalò l’errore al commissario generale delle onoranze ai Caduti di guerra, che rispose con la fotocopia dell’attestato di decorazione. Quindi il cittadino scrisse al sindaco di Fossalta di Piave e l’ufficio anagrafe del comune rettificò immediatamente la toponomastica stradale in tutti gli atti comunali relativi. Tutto ciò nel novembre .


. I luoghi e i segni della memoria 

note  Sull’argomento si veda Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, a cura di Paolo Jedlowski e Teresa Grande, Unicopli, Milano .  Mario Bernardi, Di qua e di là dal Piave, da Caporetto a Vittorio Veneto, Mursia, Milano , p.  e ss.  Vedi testimonianza di Ernesto Piceni, capitolo , «I gas asfissianti».  Itinerari umani e non del Basso Piave, in «San Donà domani», marzo , contenuto in Camillo Pavan, Grande Guerra e popolazione civile, vol. I, Caporetto. Storia, testimonianze, itinerari, Pavan, Treviso , p. .  Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani, cit., p. .  Il cui percorso rientra nell’inquadramento generale che ne dà Antonio Gibelli nel paragrafo «Il retaggio dei morti» (p.  e seguenti) in La Grande Guerra degli Italiani, Sansoni, Milano .  Mario Isnenghi, Alle origini del 18 aprile. Miti, riti, mass media, cit.  «La Nuova Venezia»,  gennaio .  Questa, come tutte le altre delibere citate, proviene dall’Archivio Comunale di Fossalta di Piave.  Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani, cit., p.  e ss.  Vedi capitolo , «Il profugato (-)».  Delibera del  febbraio .  Delibera n.  del  dicembre  riguardante lavori di manutenzione di tale parco.  «I nomi delle vie», in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, Editori Laterza, Bari .  Ricavabile dalla delibera del  maggio .  Delibera n.  del  febbraio .  Delibera n.  dell’ marzo  e delibera n.  del  agosto .  Delibera n. / del  luglio .  Delibera n.  del  ottobre .  «Notiziario» del comune di Fossalta di Piave, n. , del , p. .

Foto in apertura di capitolo: il famoso capitello con le munizioni lasciate dagli austriaci in fuga. (Archivio Cordenos)





Appendice

«È mancato ai vivi...»: i soldati fossaltini caduti nella Grande Guerra La formula a cui si riferisce il titolo di questa appendice, dedicata all’elencazione dei fossaltini caduti nella Grande Guerra – partendo da quella precedentemente compilata da don Umberto Modulo nel suo lavoro Fossalta ai suoi Caduti – si trova spesso negli atti di morte compilati dagli incaricati dell’esercito, e trasmessi agli uffici dello stato civile, per essere fedelmente ricopiati nei registri mortuari. Dalla consultazione di questi ultimi, conservati presso l’ufficio anagrafe del comune di Fossalta, è stato possibile risalire ai nominativi, non tutti purtroppo, dei soldati morti nelle varie trincee della Grande Guerra. Il motivo della mancanza degli atti di morte di alcuni soldati può essere ipoteticamente imputato alla mancata trasmissione degli atti di morte dal ministero della Guerra all’ufficio anagrafe del comune, alla dispersione degli stessi, oppure alla trasmissione errata di alcuni atti. È il caso del soldato Luigi Scalon, il cui atto di morte è stato trasmesso al comune di Ceggia, dove era residente, anziché al comune di Fossalta, dove era nato. Un altro rilievo riguarda il caso inverso, e cioè i soldati fossaltini i cui atti di morte sono stati ritrovati nei registri e che non figurano nell’elencazione dei caduti di don Modulo, corrispondente a quella delle lapidi apposte sul campanile in onore dei morti delle due guerre mondiali. È la sorte toccata a Nardo Ruggero, Conte Antonio e Feltrin Emilio. Negli atti trasmessi dal ministero della Guerra, trascritti fedelmente nella sezione speciale dei registri mortuari, la ii C, sono conservati tutti i dati relativi alle circostanze della morte dei soldati: ci ha permesso di stilare la seguente tabella. La quale è stata strutturata in sei caselle: nome e cognome, data di nascita, grado, unità di appartenenza, data di morte, età, causa di morte, località di morte e prima sepoltura.


 di qui non passeranno

La maggior parte degli atti è stata riportata nei registri degli anni compresi fra il ’ e il ’, altri si trovano oltre questa data spartiacque, fin quasi al secondo dopoguerra. Si è cercato di riportare i dati più possibilmente attendibili, essendovi spesso problemi di omonimia fra i vari referti consultati, oltrechè difficoltà nella decifrazione della calligrafia, a volte poco chiara, degli ufficiali civili fossaltini addetti alla registrazione. I lettori fossaltini troveranno probabilmente qui citati il proprio nonno o bisnonno, quando non si va ancora più su nella scala genealogica. Forse potrebbe venire loro la curiosità di cercare qualche notizia in più su questo antenato, quando non ne conoscono già bene la storia e magari sono in possesso di documenti a lui legati. Questa tabella è un lavoro in divenire, è cioè aperta a qualsiasi contributo possa venire, e potrebbe magari trattarsi proprio dei lettori di cui si parlava poc’innanzi. Quindi con le loro notizie, qualora volessero fornirle all’Autore, la tabella potrebbe risultare ancora più completa e costituire un ultimo, sentito, omaggio a quei giovani soldati fossaltini caduti per la Patria.


Crico Giovanni

Cecchetto Attilio

Cecchetto Angelo

Casonato Narciso

Carrer Angelo

Cancian Attilio

Campaner Eliseo

Burato Antonio

Soldato

Caporale

Soldato

Brisotto Durando

Soldato

Grado

Bersagliere

--

Nato il

Brisotto Angelo

Bona Umberto

Bolzan Gio.Batta

Bidoia Narciso

Battiva Pietro

Basso Innocente

Bars Giuseppe

Barbieri Angelo

Baldissin Apostolo

Aliprandi Luigi

Nome

Carrettiere

o Fanteria Compagnia Stato Maggiore

o Reggimento Fanteria

--

--

--

--

o Reggimento Fanteria

a  Compagnia Mitraglieri

Morto il --

Unità

Età







Broncopolmonite e malaria

Scoppio di granata nemica

Causa decesso

Morto a

Ospedale di guerra n. 

Ospedaletto da campo n. 

Illeggibile (Francia)

Ospedale militare di Verona

Cimitero militare di Prechl (Innsbruck), tomba n. 

Sconosciuto

Maser

Prima sepoltura

Appendice 


Foresto Giuseppe



Florian Arturo

Soldato

Soldato

--

Finco Sante

Soldato

Soldato



Caporale

Appuntato

Grado

Finco Attilio

Fedato Domenico

Fasan Eugenio

De Rocco Attilio

De Rocco Antonio





Crosera Luigi

Davanzo Domenico

Nato il

Nome

--

--

--

o Reggimento Fanteria

o Reggimento Fanteria

--

--

o Reggimento Fanteria

Lavori Genio a Zona iv Armata

--

o Reggimento Artiglieria da campagna o  Reggimento Fanteria

Morto il --

Unità









Età

Causa decesso

Polmonite

Spappolamento massa cerebrale per fatto di guerra

Ferita alla coscia sinistra con estese esportazioni parti molli e frattura del femore

Tubercolosi polmonare

Ferite multiple in seguito a scoppio di bomba a mano

In seguito a fatto di guerra, per ferita da una pallottolla esplosiva all’emitorace sinistro con lesione di organi vitali

Setticemia da ascesso femorale

Morto a

Milowitg

Pederobba

Accantonamento Bivio Castrana

Austria (illeggibile il nome della località)

Paludello (Piave Vecchia)

Praga

Prima sepoltura

Cimitero comunale di Milowitg

Pederobba

Illeggibile

S. Apollinaire d’Asolo

Case Cento

Cimitero militare di Xelschan






Minetto Angelo

Palude Arturo

Oggian Michele

Moretto Luigi

Mometti Nicola

Modulo Attilio

--

Mazzuia Emilio

Mazzon Giacomo

Maschio Luigi

Maschio Alberto

Manzato Ruggero

Lucchetta Michele

Comune di Fossalta

Soldato

Sergente

Soldato

Sergente

Gorghetto Giovanni



Soldato

Soldato

Gardiman Giovanni

Furlanetto Giacomo

Fregonese Enrico

--

--

o Reggimento Brigadieri

--

--

--

--

o Reggimento Fanteria

o  Fanteria

Genio  Compagnia Zappatori

a

o Reggimento Fanteria

o Reggimento Cavalleggeri “Roma” a Squadra













Broncopolmonite post infuenzale

In seguito a ferite riportate in combattimento

Ferita d’arma da fuoco

Ferita da scheggia braccio sinistro con frattura commisurata dell’omero, anemia acuta, per fatto di guerra

Broncopolmonite

Ospitaletto di campo n. 

S. Lucia

Monte Civaron

Plava

Ospedale di tappa di Perticetto (?)

Ferita per scoppio Trincee di Adria, di granata (non leggibile), Monfalcone

Malo

Case Avanzo (?)

Plava, riva sinistra; Isonzo, cimitero verso Zagora (?)

Cimitero comunale di Perticetto (?)

Monfalcone

Appendice 




Perisssinotto Antonio di G.

Ros Giuseppe

Roncola Giuseppe

Rizzetto Antonio

Bersagliere

Soldato

Prata Eugenio

Prata Pietro

Soldato

Soldato

Soldato

Grado

Piovesan Alessandro

Pin Antonio

Perissinotto Pietro

Perissinotto Marco

Perissinotto Luigi

Perissinotto Emilio

Perisssinotto Antonio di A.



Nato il

Pavan Iginio

Pasini Antonio

Pasin Anselmo

Nome

o Reggimento Bersaglieri

 Reggimento Fanteria a Compagnia Mitraglieri

o

a Compagnia (?)

a  Compagnia Sanità

o  Reggimento Fanteria

Unità

--

--

--

--

--

Morto il











Età

Ampia ferita multipla all’addome da scoppio di granata

Ferita all’addome da scoppio di granata

Illeggibile

Colera

Causa decesso

a Sezione Sanità

Illeggibile

Ospedale di Prato

Villa Elisa, ospedale da campo n. 

Ospedale da campo n. 

Morto a

S. Michele del Quarto

Cimitero militare di Xelschan

Illeggibile

Illeggibile

Prima sepoltura




Tiepolo Domenico

Tamai Guglielmo

Sperandio Marco

Sperandio Giuseppe

Simonetto Domenico

Silvestri Ferruccio

Caporale

Soldato

Soldato

Sgnaolin Giulio

Soldato

Soldato

--

Soldato

Sforza Eugenio

Serafin Domenico

Serafin Alessandro

Scomparin Giulio

Scalon Luigi

Sanson Giuseppe

Sanson Basilio

Salmasi Leonida

Rossetton Gio.Batta

o Reggimento Granatieri a Compagnia

o Reggimento Fanteria, a Compagnia

o a  Regg. Fanteria  Compagnia

o Reggimento Fanteria

o Reggimento Artiglieria dao campagna, II Gruppo

o Reggimento Fanteria

--

--

--

--

--













Ferita grave da arma di fuoco per fatto di guerra

Broncopolmonite

Scoppio di bombarda

Broncopolmonite influenzale

Malattia

Ferite multiple (testa-tronco-arti) provocate da fatto di guerra

Monte San Michele

Ospedale da campo n. 

Vertoiba

Ospitaletto di campo n.  di San Martino di Vesrezze

Ospedale da campo n.  di Curtarolo (Padova)

Cima Torre

Monte San Michele

Illeggibile, fossa n.

Cimitero di Vertoiba

Cimitero comunale di San Martino di Vesrezze

Curtarolo (Padova)

Cima Torre, costone est

Appendice 


--



Nato il

Soldato

Soldato

Soldato

Grado

o Reggimento Fanteria

o Reggimento Fanteria

a  Brigata da montagna

Unità

--

--

--

Morto il

Soldato



Feltrin Emilio

Soldato

Soldato

--

Conte Antonio

Nardo Ruggero

--

--

o Reparto d’assalto alpino, a Compagnia

o  Reggimento Fanteria

--

o Reggimento Fanteria, a Battaglione

Soldati non nominati nell’elenco presente nel libro Fossalta ai suoi caduti di don U. Modulo.

Zucchetto Antonio

Vettori Oreste

Velludo Pasquale

Velludo Giuseppe

Vazzola Vincenzo (Alessandro)

Vazzola Luigi

Tiepolo Giovanni

Nome







Età

Pleurite

Peritonite secondaria a ferita del retto da pallottola di fucile

Pneumonite

Morto in seguito a ferita d’arma da fuoco al torace addominale

Caduto in combattimento

Causa decesso

Sigmundsherzeg (austria inferiore)

Ospedale da campo n. 

Lazzaretto di Lechfeld (Baviera); prigioniero il -- sull’Isonzo

Lazzaretto prigionieri di guerra di Zwicken

o Ospedale chirurgico mobile

Morto a

Cimitero militare, tomba n. 

Marostica

Cimitero militare di Lechfeld, tomba n. 

Illeggibile, Cividale, fossa a

Sul Podgora, presso Gorizia

Prima sepoltura




Appendice 

Foto in apertura: il cimitero militare, «Saloni Soccorso» dove nel  furono sepolti  caduti: i  di parte austriaca sono ancora lì, raccolti in un loculo comune, mentre i  di parte italiana sono ospitati nel grande sacrario di Fagarè. (Archivio Modulo) In questa pagina, dall’alto: a un Comando di reggimento presso Scolo Palumbo. (Archivio Cordenos); arrivo  o Lancieri Milano.





Bibliografia

A.A. V.V., Il Piave, Cierre Edizioni, Treviso  AA. VV., Monsignor Saretta «pastore» di San Donà di Piave, Tipografia Colorama, San Donà di Piave  Luigi Azzalini, Giorgio Visentini, (a cura di), Piave, le ferite della Grande Guerra novembre 1917-Ottobre 1918, De Bastiani Editore, Godega S.U.  Gianni Baj-Macario, Giugno 1918, Corbaccio, Milano  Emanuele Bellò, Razza Piave. Il cavallo veneto fra storia e leggenda, Sismondi editore, Susegana  Mario Bernardi, Di qui e di là dal Piave, da Caporetto a Vittorio Veneto, Mursia, Milano  Alba Bozzo, Fossalta, dal 131 a.C. alla battaglia del Piave, s.i.t., Treviso  Giovanni Brotto, Il Vescovo del Montello e del Piave, Editrice Trevigiana, Treviso  Luigi Cadorna, Pagine polemiche, Garzanti, Milano  Enrico Caviglia, Le tre battaglie del Piave, A. Mondadori, Milano  Giovanni Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos sui campi di battaglia italiani della Grande Guerra, Mursia, Milano  Giovanni Cecchin, Le strade bianche, Collezione Princeton, Bassano del Grappa  Enrico Cernigli, Roberto Lenardon, Paolo Pozzato, Soldati dell’Impero, Itinera, Bassano del Grappa  Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto: i profughi in Italia durante la Grande Guerra, Laterza, Bari  Daniele Ceschin, Giuseppe Corazzin, Cierre, Verona  Comando Supremo del Regio Esercito, L’esercito per la rinascita delle terre liberate. Il ripristino delle arginature dei fiumi del Veneto dalla Piave al Tagliamento. Dicembre 1918-Aprile 1919, Bologna  Giovanni Comisso, Giorni di guerra, Longanesi, Milano  Giuseppe Cordenos, La fotografia di guerra sul Piave, vol. I, Da


 di qui non passeranno

Caposile a Ponte di Piave, le imprese dei decorati e degli Arditi, Gaspari, Udine  Benedetto Croce, L’Italia dal 1914 al 1918: pagine sulla guerra, Laterza, Bari  Gabriele D’Annunzio, Contro uno e contro tutti, Roma  Gabriele D’Annunzio, La riscossa, Treves Edizioni, Milano  Amelio Dupont, La battaglia del Piave, Libreria del Littorio, Roma  Michele Falzone del Barbarò, (a cura di), Vittorio Emanuele III. Album di guerra 1915-1918, con saggi di Renzo De Felice e Mario Isnenghi, Alinari, Venezia  Emilio Faldella, I racconti della Grande Guerra, Edizioni Periodici Mondadori, Milano  Amedeo Fani, Il mio diario di guerra, Tipografia Commerciale, Perugia  Luigi Fassetta, La bonifica nel basso Piave, Unione provinciale degli agricoltori di Venezia, Venezia  Arnaldo Fraccaroli, La vittoria del Piave (giugno-luglio 1918), Alfieri & Lacroix, Milano  Ernesto Galli della Loggia, La morte della Patria, Laterza, RomaBari  Luigi Gasparotto, Diario di un fante, Nordpress Edizioni, Chiari  Angelo Gatti, Caporetto, Il Mulino, Bologna  Gian Luigi Gatti, Dopo Caporetto. Gli ufficiali P nella Grande Guerra: propaganda, assistenza, vigilanza, Editrice La Goriziana, Gorizia  Antonio Gibelli, L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Bollati Boringhieri, Torino  Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli italiani, Sansoni, Milano  Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Editori Laterza, Bari  Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari  Maurice Halbwachs, I quadri sociali della memoria, Ipermedium, Napoli & Los Angeles 


Bibliografia 

Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, Unicopli, Milano  Ernest Hemingway, Addio alle armi, Mondadori, Milano  Ernest Hemingway, Di là dal fiume e tra gli alberi, Mondadori, Milano  Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Milano  Mario Isnenghi, La Grande Guerra, Giunti, Firenze  Mario Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Il Mulino, Bologna  Mario Isnenghi, Giornali di trincea, Einaudi, Torino  Mario Isnenghi (a cura di), Operai e contadini nella grande guerra, Cappelli, Bologna  Mario Isnenghi, Le guerre degli italiani. Parole immagini ricordi (1848-1945), Mondadori, Milano  Mario Isnenghi, La tragedia necessaria. Da Caporetto all’Otto settembre, Il Mulino, Bologna  Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, (tre volumi), Laterza, Roma-Bari  Mario Isnenghi, «Alle origini del  aprile. Miti, riti, mass media» in Mario Isnenghi, Silvio Lanaro (a cura di), La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile, Marsilio, Venezia  Nicola Labanca, Caporetto. Storia di una disfatta, Giunti, Firenze  Silvio Lanaro (a cura di), Storia d’Italia Einaudi. Le regioni dall’Unità a oggi. Il Veneto, Einaudi, Torino  Diego Leoni, Camillo Zadra (a cura di), La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini, Il Mulino, Bologna  Andrea Giacinto Longhin, Le chiese della mia diocesi martoriate, Istituto Veneto d’arti grafiche, Venezia  Amerigo Manesso (a cura di), La Grande Guerra nel Trevigiano, Provincia di Treviso,  Amerigo Manesso, (a cura di), Il Trevigiano tra le due guerre, Provincia di Treviso, Treviso  Ministero della Guerra, 1918-1938. Ventennale della vittoria. Battaglia del Piave 15-23 giugno, Milano  Fortunato Minniti, Il Piave, Il Mulino, Bologna 


 di qui non passeranno

Renato Miracco (a cura di), G.A. Sartorio. Impressioni di guerra (1917-1918), Camera dei Deputati, Roma  Don Umberto M. Modulo, Parrocchia di Fossalta di Piave, La Moderna, Lodi  Don Umberto M. Modulo, Fossalta di Piave distrutta e rinata, La Moderna, Lodi 2 Don Umberto M. Modulo, Fossalta di Piave ai suoi Caduti (191518 / 1940-45), La Moderna, Lodi  Alberto Monticone, Gli italiani in uniforme 1915-1918. Intellettuali, borghesi e disertori, Laterza, Bari  Alberto Monticone, La battaglia di Caporetto, Studium, Roma  Roberto Morozzo Della Rocca, La fede e la guerra. Cappellani militari e preti soldati (1915-1919), Edizioni Studium, Roma  Vittorio Emanuele Orlando, Memorie (1915–1919), a cura di Rodolfo Mosca, Rizzoli, Milano  Andrea Papa, Guerra e terra 1915-1918, in «Studi Storici», , n.  Novello Papafava Dei Carraresi, Da Caporetto a Vittorio Veneto, Gobetti, Torino  Tito Paresi, Dal Carso a Fiume. Memorie di guerra (1917-1918), a cura di Luigino Scroccaro, Canova, Treviso  Camillo Pavan, Grande Guerra e popolazione civile, vol. I, Caporetto. Storia, testimonianze itinerari, Pavan, Treviso  Bruno Pederoda, Tra macerie e miserie di una regione sacrificata, Veneto 1916-1924, Piazza Editore, Silea  Piero Pieri, L’Italia nella prima guerra mondiale, Einaudi, Torino  Gianni Pieropan, 1914-1918 Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, Mursia, Milano  Fernanda Pivano, Hemingway, Bompiani, Bologna  Giuseppe Prezzolini, Caporetto, La Voce, Roma  Giuseppe Prezzolini, Tutta la guerra. Antologia del popolo italiano sul fronte e nel paese, Longanesi, Milano  Giovanna Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta, mentalità e comportamenti popolari nella Grande Guerra, Bulzoni Editore, Roma 


Bibliografia 

Giorgio Rochat, Gli arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti, Editrice Goriziana, Gorizia  Giorgio Rochat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925), Laterza, Bari  Mimmo Sacco, Attualità della Grande Guerra, Gaspari, Udine  Antonio Scottà (a cura di), I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, vol. ii, Edizioni di storia e letteratura, Roma  Emanuele Spagnolo, Cronaca ecclesiastica durante l’episcopato di A. G. Longhin, Treviso  Touring Club Italiano, Sui campi di battaglia. Il Piave e il Montello, t.c.i., Milano  Carlo Trabucco, Gente d’oltre Piave, Editrice a.v.e., Roma  Carlo Trabucco, Preti d’oltre Piave, Editrice a.v.e., Roma  Silvio Trentin, Politica e amministrazione: scritti e discorsi 19191926, Marsilio, Venezia  Ufficio Storico dell’esercito, 1918-1958. Nel 40° anniversario della battaglia del Piave e di Vittorio Veneto, Stato maggiore dell’Esercito, Roma  Luigi Urettini, Andrea Giacinto Longhin, Cierre Edizioni, Verona  «Venetica (rivista di storia contemporanea)», L’Italia chiamò. Memoria militare e civile di una regione, Cierre Edizioni, Verona  Gioacchino Volpe, Ottobre 1917. Dall’Isonzo al Piave, Libreria d’Italia, Roma-Milano  Gioacchino Volpe, Il popolo italiano nella Grande Guerra, Luni, Roma 



Rosa dei venti

Carattere: questo libro è stato composto in Garamond. Riconosciuto come uno dei migliori caratteri da stampa mai incisi, il Garamond fu disegnato a Parigi, nella prima metà del xvi secolo, dallo stampatore Claude Garamond (1480-1561), il quale prese ispirazione (perfezionandolo) dal modello più antico dei caratteri da stampa, sviluppatosi specialmente in Italia tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento. Carta: il volume è stato stampato su carta Arcoprint Edizioni da 100 gr/mq delle cartiere Fedrigoni. Redazione, grafica e impaginazione: Mirko Visentin (www.mimisol.it). Stampa: finito di stampare nel mese di febbraio 2008 per conto di Edizioni del Vento presso Grafiche Antiga Spa – Crocetta del Montello (tv).



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