Proprietà letteraria dell’autore Flavio Andreoli – Erat Verbum. La poesia di Maurizio Zanon © 2006 Stampato in proprio – Marzo 2006 Progetto grafico-editoriale: Mirko Visentin – www.mirkovise.net Stampa: Global Print – Gorgonzola (MI) In copertina: Andrea Valleri – Erat Verbum © 2005
F lavio Andreoli
ERAT VERBUM La poesia di Maurizio Zanon
Premessa storica Poiché l’arte è comunicazione, la storia dell’una è anche storia dell’altra. La scrittura risolve il problema di informare chi, assente, non è raggiungibile a voce, conservando, quale insostituibile la memoria di ogni fatto interessante. La scrittura nasce, coeva (circa cinquemila anni fa), nei due corni della “Mezzaluna fertile”. Nell’Alta Valle del Nilo il primo supporto usato è la pietra dura, mentre nella bassamedia Mesopotamia l’argilla. La differente disponibilità di supporto scrittorio determina la diversità di scrittura: dove è utilizzata per lo più pietra dura, difficile da incidere, la scrittura geroglifica si sviluppa puntando sulla leggibilità (a scapito della scrivibilità), mentre in Mesopotamia, dove è utilizzata di norma argilla, facile da incidere, la scrittura cuneiforme agevola la scrivibilità (e sacrifica la leggibilità). Solo le successive scritture alfabetico-fonetiche conseguono il massimo compatibile di scrivibi1ità e leggibilità. La scrittura è fenomeno limitato a funzionari, scribi, sacerdoti e ha fini magico-religiosi e pratici. È facile immaginare l’impressione che faceva sulla massa, analfabeta, il fatto che i pochi capaci di leggere e scrivere interpretassero quei segni misteriosi, con tutte le conseguenze, sicché fu automatico pensare che tali segni stessi fossero evocativi delle realtà indicate o, addirittura, in qualche modo, le realtà stesse. La stampa risolve il problema di raggiungere una grande pluralità di destinatari e quindi un gran numero di persone può finalmente imparare a leggere e ha accesso ai documenti, si forma il pubblico in senso moderno. Con la stampa il pensiero può dedicarsi di più alla letteratura. I copisti o amanuensi, cui per altro si deve la trasmissione di opere del passato, commettevano spesso errori e soltanto la pluralità dei testi ha consentito di arrivare, per collazione, all’edizione critica più vicina all’originale. Molte opere erano legate al filo più esile della tradizione orale o della trasmissione scritta, con pochi esemplari. Il caso della Bibbia in moltissimi documenti, papiracei o no, ha consentito la più fedele ricostruzione critica di un libro dell’antichità, rispetto a opere tradizionalmente acquisite come consegnate con certezza alla tradizione letteraria antica e in particolare
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a questo o quell’autore, ma la cui attribuzione è del tutto convenzionale (Omero), essendo fondata su pochi esemplari. Frederick Fyvie Bruce in Rotoli e Pergamene, sostiene che il disco di Festo, trovato a Creta, fosse scritto a stampa, con quarantacinque caratteri mobili. L’archeologo Sir Arthur Evans pensa che l’iscrizione fosse un canto religioso in onore della dea madre dell’Anatolia, regione di cui è ritenuto originario. Ma la percezione della capacità evocativa delle parole, rimane nell’inconscio e se ne ha traccia nella cultura paremiologica. Delle formule magiche invocative, quasi palindrome, spesso incise con nomi sacri su gemme e pietre usate come amuleti, talismani e portafortuna, la più nota è abracadabra, un po’ meno abrasax e quasi dimenticata ablanathalba. Tutte nate in ambito gnostico, nell’età ellenistica, sarebbero dotate, di potere apotropaico, dal greco apotrópaios, derivato di apotrépein “volgere (trépein) via da (apò)”, rideterminato come aggettivo in -ico, cioè della capacità protettiva e terapeutica di tenere lontano l’influsso degli spiriti maligni e le malattie. La prima, è forse derivazione dall’ebraico-aramaico ha-berakah ha-debarah “la benedizione della parola”, o ha-berakah daberah “pronunciare la benedizione”, e, soprattutto a fini terapeutici, era scritta su righe parallele, dalla prima, in cui la parola era intera: ABRACADABRA, si passava alla successiva, sempre per troncamento dell’ultima lettera. Quindi, per formare un triangolo isoscele con il vertice in basso, per significare graduale diminuzione del male, gli altri due lati erano costituiti rispettivamente a sinistra da A, e a destra dalla nuova parola arbadacarba, dall’alto in basso, o ancora abracadabra, al contrario, dal basso all’alto. La seconda, abrasax o abraxas, in alcuni sistemi gnostico-teologici, indica una divinità o un eone. Il valore delle lettere greche della parola, era 365, numero magico corrispondente ai giorni dell’anno solare. Quando si dice, però, che Maurizio Zanon sa evocare con la parola le realtà descritte, non si intende il recupero dell’originario significato magico di questa, la cui traccia inconscia, è pur sempre presente, ma accentuarne la rara maestria di rendere, ogni parola, potente significante, evidente e vivace, con la figura retorica dell’ipotiposi, risemantizzata da contesto. Si è sempre fatto ricorso all’imma-
gine nei casi in cui la scrittura è insufficiente o ricorso alla scrittura nei casi in cui lo è l’immagine. Se alcuni tipi di concettualizzazione si risolvono meglio con la scrittura, per esempio filosofia, ve ne sono altri che richiedono immagini: raffigurazione geografica, di edifici, macchine. La più importante evoluzione tecnica, per descrivere la realtà, dopo la rappresentazione prospettica rinascimentale, è l’avvento della fotografia, che ha sostituito capacità tecniche e volontà espressiva dell’artista con procedimento fotochimico, meccanico e oggi anche digitale, capace di riprodurre, con grande fedeltà, il fenomeno della visione, da sempre, con diligenza e fatica, inseguito dall’uomo. Ne deriva una diffusione delle immagini ben più pervasiva di tutti i precedenti sistemi di stampa grafica. L’arte moderna ha evidenziato la capacità di penetrare i meccanismi del processo cognitivo. Maurizio Zanon utilizza di norma la scrittura, ma ricorre, spesso, a immagini, originando ancrage. Affida, poi, la lettura delle sue poesie ad attori, cioè persone che recitano professionalmente, e quindi è utilizzato anche il suono della voce, per recuperare la massima alterità semantica e rendere, sfruttando ogni elemento, del significante-immagine acustica, molto più “appetibile” il “prodotto poetico”. Si è partiti da lontano, ma non si sarebbe potuto non tener conto che Maurizio Zanon pensa l’arte nuova si affidi all’alfabeto, ama i libri nella loro essenza di carta (in Colpevole per amore, poesia Maurizio Zanon, pagina 14), ama La carta bianca, che può imbrattare, «di versi quasi inutili» (in Mi conforta il cielo, 16), perché scrive tantissimo.
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Dov’è nato questo libro
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La Barrique è il nome dell’Enoteca, di Via Aleardi, all’angolo di Via Bembo, a Mestre, gestita, con professionalità, dai fratelli Federica, Luca, Michele Hu. Enoteca è termine, di etimo greco, indicante collezione di bottiglie di vini pregiati e rari, che designa, per estensione, un esercizio in cui si possono acquistare o degustare vini di qualità, oppure, come nel caso in esame, un bar che privilegia la qualità di ombre (bicchieri di vino) e cicchetti (stuzzichini). Barrique è sostantivo, per botticella, e il denominale barriquer è divenuto famoso per significare, prima, l’azione di realizzare ostacoli con botti, poi, anche quelle di costruire ripari o chiusure di strade o passaggi con oggetti e materiali vari, durante sommosse, scontri, eccetera. Barricate, appunto. La prima attestazione nota dei francesismi barricare e barricata, nella lingua scritta, in contesti linguistici volgari, di area italiana, è del diciassettesimo secolo. Oggi, barrique denota la botte di legno, capiente duecentoventicinque litri, usata per barricare i vini, cioè far assumere a essi profumo e sapore caratteristici, ceduti dal legno stesso. Ecco, dunque, che barrique connota, in definitiva, gran cura nel produrre e conservare il vino. Alle nozze di Cana Gesù Cristo trasformò (è il Suo primo miracolo) l’acqua, di alcune idrie di pietra, in ottimo vino. Le idrie erano vasi contenenti, ciascuno, due o tre metrete, rispettivamente, in litri, circa ottanta o circa centoventi. Ma i miracoli sono dati di fede, eventi straordinari, da valutare nella loro eccezionalità. Tutti conoscono, i proverbi spesso azzeccano, la chicca di saggezza paremiologica, la botte piccola contiene il vino buono, perché nessuno, per quanto poco assennato, perderebbe tempo (e denari) a mettere vino cattivo in piccole botti. “La barrique” è, allora, proprio il nome più adatto all’Associazione Culturale di Artisti, con sede nell’omonima Enoteca, il cui distintivo, in metallo, è la riproduzione, di valore simbolico, di una barrique. Sul rapporto endiadico tra filosofia e vino, è opportuno il rinvio a una recensione, ne “Il Gazzettino” di martedì 21.10.2003, di Andrea Tagliapietra, sul libro di Massimo Donà “Filosofia del vino” e al libro stesso. Il Sodalizio è stato fondato l’11.11.1993, il giorno di San
Martino. Tutti ricordano la poesia con lo stesso titolo, perché una volta si imparava a memoria. Associati, e non soci, dovrebbero dirsi i suoi sodali, perché la seconda qualifica riguarda le società, che, a differenza delle associazioni, hanno scopo di lucro. I giuristi assevererebbero che queste sono soggetti collettivi, costituiti per conseguire scopi comuni, non lucrativi. Se in astratto l’associazione è insieme di più persone, teso a raggiungere un fine legittimo, in pratica, proprio il modo di ottenere lo scopo o l’accertamento del grado di realizzazione è ciò che divide gli associati. Ma nell’Associazione culturale “La Barrique”, né c’è scopo di lucro, perché non è società, né vi sono divisioni sul modo di conseguire i fini statutari, perché i suoi associati sono Artisti di vaglia, che compongono eventuali piccoli conflitti, con onestà intellettuale, pronti ad ascoltare, senza pregiudizi, a farsi convincere da argomentazioni razionali e, caso raro, ad ammettere i propri torti. Fare buon vino o dedicarsi ad attività culturali, e, più in generale, a qualsiasi negozio, richiede e requisiti materiali e apertura mentale, clima spirituale adeguato. Cultura non è occuparsi di tutto, ma scegliere, al tempo stesso, contenuti e metodi. Ciò che l’Associazione ha sempre fatto, per merito dei fondatori: i Maestri Maurizio Azzolini, Gianfranco Bettinardi, Alessandro Camozzi, Giuseppe Dedemo, ai quali si sono aggregati, poi, altri Maestri: Gabriele Punginelli, Sandro Pavan, Mariuccia Pomiato, Arturo Siebessi... gli allora gestori dell’Enoteca, Coniugi Franco Chinello e Anna Tacchetto e, ancora, il Presidente, Gastone Papini, attuale responsabile delle “Colonete”. Primo, generoso, sponsor è stato l’Imprenditore Danilo Ottolin. I validi Associati hanno sempre cooperato entusiasti. Nel Consiglio Direttivo, il cui Presidente è oggi Antonio Sini, quali Onorari si sono sempre succedute persone di grandi meriti culturali. Concorsi, premi, conferenze, dibattiti, cataloghi illustrati, sono tutti prodotti culturali di alta qualità, perciò sempre di ampia eco nella stampa locale (Il Gazzettino, La nuova Venezia, Gente Veneta, Il Gazzettino Illustrato) e negli altri media. Di quest’attività si sono occupati molti critici: Flavio Andreoli, Tullio Besek, Enrico Buda, Orfango Campigli, Mario De Biasi, Tommaso Delli Santi, Giulio Gasparotti,
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Guglielmo Gigli, Gabriella Niero, Piera Piazza, eccetera. È quindi facile immaginare quanti pittori, scultori, poeti, fotografi (Renato Borsato, Franco Contini, Pino De Riva, Giorgio Di Venere, Gianfranco Miotello, Giovanni Carlo Sala, Mario Stefani, Vinicio Stocco, Carmelo Zotti... ), siano passati per l’Associazione e abbiano collaborato con essa, per allestire mostre anche fuori sede. Gli originali di archivio, il cui fondo è curato dal Maestro Gianfranco Bettinardi, possono tutti ben figurare, integrali o per estratto, in pubblicazioni specializzate. Enoteca e Associazione Culturale avrebbero voluto offrire, in sinergico connubio, arte e cose buone per il palato. Questo programma, non è modesto, è anzi così ambizioso, che sia i gestori sia gli artisti, nei loro ambiti di competenza, pensano, instancabili, a innovazioni, affinamenti, migliorie. Se l’Associazione vive, non è per l’aspirazione di essere perfetta, nessuna istituzione lo è, e i suoi Dirigenti e Associati lo sanno, ma per la più ragionevole pretesa di essere, se non la migliore, quella in cui, invece di parlare di simpatia e competenza, questo clima è vissuto. Con il susseguirsi delle gestioni dell’Enoteca (si è già alla quinta), si è avuto quello dei genetliaci dell’Associazione che, con la sua continua crescita, è divenuta sicuro riferimento culturale. E, se Mestre sta sempre più diventando Città, un contributo, forse piccolo, ma certo di pregio, è del benemerito Sodalizio. Nessuno può indovinare futuro o prospettive. Per una scommessa importante occorre una formula vincente, quella della Barrique sembra esserlo. Infatti, quanti l’hanno lasciata continuano a parlarne bene e con nostalgia.
Lo scopo di questo libro Le opere di Maurizio Zanon, sono ormai una cinquantina, quarantadue sillogi, tre opere di cui è coautore per la poesia e cinque non poetiche. Se poi si considerano i lavori di critica già scritti su di lui (escluso, quindi, il presente), si sale a cinquantacinque. È evidente la necessità, oltre che l’opportunità, di avere un riferimento preciso per ricercare informazioni e dati fondamentali, almeno su queste cinquantacinque opere, poiché informazioni e dati riguardano ormai una massa enorme, sparsa su una pluralità di fonti eterogenee, oltre tutto non sempre disponibili. Le indicazioni date in fine al volume si limitano a segnalare l’esistenza di istituzioni in cui alcune opere, spesso non più in circolazione, si trovano con sicurezza. La prima ambizione è di rispondere a tale richiesta, di fornire un quadro sistematico, sintetico, ma aggiornato a fine 2004, anno del venticinquennio poetico di Maurizio Zanon. Concomitante aspirazione è dare un’idea, sul contenuto di ogni opera, il più possibile precisa. Le citazioni testuali sono, tuttavia, spesso sostituite, per motivi di spazio, alla sola indicazione della pagina del testo poetico originale. È stata quasi del tutto sacrificata l’aneddotica, importante per cogliere aspetti interessanti di ogni dipintura psicologica, per privilegiare solo quanto è documentato. In due soli casi si è derogato al principio: con gli interpreti, perché ormai la maggior parte degli inviti, per non dire quasi tutti, è sparita e sarebbe stato lavoro di grande difficoltà ricercare le fonti di stampa periodica, per altro non sempre complete, e si assicura che è detto senza polemica, ben conoscendo i limiti naturali dei media; e con i traduttori, perché, non disponendo di materiale tradotto, escluse le tre opere citate nella relativa sezione, si è fatto ricorso a interviste al poeta. Il formato stesso del volume (140 mm x 210 mm), ne illustra l’uso: manuale di rapida consultazione; comodità indispensabile per un libro, pensato per soddisfare le esigenze indicate.
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Nota metodologica
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La biografia è, in senso sostanziale, il racconto della vita di una persona, oppure, in senso formale, tekmeria, documentazione, l’opera contenente tale racconto. Il termine (secolo XVIII) deriva dal greco tardo biografia, composto di bíos “vita”, e grafo “scrivo”. L’istintiva via più semplice, breve e comoda, non sempre è la più logica o vera. L’uso di classificazioni, più o meno razionali, è uso delle relative etichette, che molto spesso si rivelano autentiche trappole e gabbie. Non si può distinguere l’uomo dal poeta, perché sono tutt’uno. Nel caso in cui non lo fossero, infatti, vi sarebbe, un soggetto scisso in due personalità. Si dissente, quindi, da chi sottolinea la distinzione uomo-poeta, come si trattasse di aspetti divisi, separati, addirittura contrapposti. Solo se si pensa ad alcune scelte importanti, quali coniugio e insegnamento, si comprende come Maurizio Zanon possa aver scritto componimenti belli e vivi, quali Poesia sei tu o Settembre o A scuola i ragazzi. In molte opere di Maurizio Zanon oltre a biografia e bibliografia è riprodotta foto recente. È esempio da imitare. La stampa di tali indicazioni e immagine non dovrebbero, infatti, essere lasciate alla discrezione dell’autore, ma essere rese obbligatorie ope legis, perché, come esiste una serie di diritti soggettivi in capo a questi (diritto morale di essere riconosciuto autore dell’opera e diritto patrimoniale di sfruttamento economico dell’opera stessa); così dovrebbe, simmetricamente, esistere diritto, egualmente tutelato, di chi legge un libro, indipendentemente dall’averlo, o no, comperato, purché ne sia legittimamente entrato in possesso, di avere tutte le utili informazioni sull’autore stesso. Se è vero che esiste un diritto alla privacy, è ragionevole pensare che questo possa essere sacrificato, allorché la persona, già tutelata dall’ordinamento giuridico, diviene autore, rinunciando in modo implicito alla precedente tutela, assumendo il nuovo status di scrittore, anche nel caso di (avvenuta) adozione di uno pseudonimo.
Profilo biografico di Maurizio Zanon Nato a Venezia, città in cui vive, il 15.8.1954. Si diploma al Liceo Scientifico “Benedetti”. Laureato in lettere moderne a Ca’ Foscari, con tesi sul teatro del Settecento, tratta dai Notatori di Pietro Gradenigo, con centodieci, il 27.10.1980, relatore il professor Nicola Mangini, con cui svolgerà attività di ricerca nella Casa di Goldoni. Di leva (da 1/1983 a 4/1984), è nominato Sottotenente di Complemento di Artiglieria a Foligno, presta servizio a Udine. Conduce nel 1985, ad “Erretré” di Padova una trasmissione radiofonica di poesia. Sensibile e appartato (vive il paradosso degli artisti: per “lavorare” si isola e soffre, ma non si sente solo quando lo fa, perché resta in comunione spirituale). L’amore per poesia e arte lo porta, giovanissimo, a presentare mostre, conoscere e frequentare poeti (Virgilio Guidi, cui ha offerto una copia dell’opera La stella e la luna, contenente poesia a lui dedicata, Diego Valeri, Andrea Zanzotto), artisti e critici. Ha insegnato nelle Medie e oggi nel Centro di Formazione Professionale IRPEA di Padova. Trascorre vacanze nell’Agordino e nella Valle del Biois, dove ha passato infanzia, prima adolescenza e conserva poche, vere amicizie. Si sposa l’1.12.1990 a Falcade. Il rinnovato entusiasmo, fa nascere Poesie d’amore ed Erosversi, con echi di Petrarca e Boccaccio. Nel 1999, dopo vent’anni di poesia, è pubblicato il profilo, Maurizio Zanon: il canto di una voce solitaria, a cura di Mario Stefani, che lo ha sempre seguito, consigliato e spesso scritto di lui. Collabora con “Poesia Venezia” (Centro Informativo di Poesia Italiana Contemporanea), pure come Consigliere. Attento anche alle letterature minori, partecipa a più edizioni di Antologia poetica, alle “Colonete” a Venezia, e di Poeti Padovani, con il gruppo “Formica Nera”. Collabora a molte opere artistico-letterarie e rende in versi, intuizioni di amici artisti. Per notizie Internet: www.literary.it/ali/dati/autori/zanon_maurizio.html.
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Riconoscimenti
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Tanta attività ha avuto importanti riconoscimenti: affezionato pubblico di lettori, poesie sempre più recitate, è presente in antologie scolastiche ed extrascolastiche, dizionari letterari, eccetera; è tradotto almeno in sei lingue: francese, inglese, russo, spagnolo, tedesco, ungherese; ha conseguito vari premi letterari, ha reso la critica attenta al suo lavoro, ha ricevuto lettere di elogio e invito a proseguire. Della nutrita presenza a concorsi letterari, nazionali o internazionali, e dei relativi esiti (finalista o vincitore), sempre lusinghieri, si danno solo i brevi cenni seguenti. A Roma, è segnalato per aver superato la selezione al Premio Internazionale 1982 (Prima Edizione, Presidente Maria Luisa Speziani) di Poesia “Eugenio Montale” con Viale delle solitudini. Vince a Venezia, nel 1984, la prima edizione del Premio Nazionale di Poesia “Renato Nardi”. Partecipa, nel 1987, al Premio Letterario Internazionale a carattere editoriale “Book”, con L’uomo narciso, silloge presentata dal critico Osvaldo Noro, il 30.7.1994, a Chies d’Alpago, ove la Pro Loco chiede al Sindaco di premiare, con targa ricordo, il poeta, alla mostra di Franco Murer, Il tempo del mito e della memoria. È quarto al concorso 1988 “Giuseppe Ungaretti” di Napoli, con Andando e ascoltando. Partecipa al concorso “Bis Basariz” 1988, di Cison Valmarino. È segnalato a Castel Maggiore (BO), al Premio Editoriale Fèlsina 1995, e consegue, all’edizione 1997 dello stesso premio, quello speciale del Presidente, con Al caro prezzo del sangue la vita. A Roma partecipa a “Omaggio a Carlo Goldoni” e a Patti (ME) a “Logos”. Arriva terzo ex aequo al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa 2003 “Prato: un tessuto di cultura”. Ha conseguito il premio 2003 “Atheste” a Este (PD) con Un cuore lacerato ed è segnalato nel 2004, con omonimo diploma di Merito per la partecipazione con Colpevole per amore.
Poesia Di poesia si hanno, almeno le tre seguenti accezioni.
1 Versificare, seguendo norme convenzionali, in antitesi alla prosa, cioè fare versi, produrre unità ritmiche e strutturali. Trascurando la poesia quantitativa, salvo rare eccezioni non più in auge, i cui componimenti sono formati da piedi, nella poesia accentuativa, formata da sillabe, possono darsi, versi rimati, legati da rima, sciolti, non legati da tale vincolo, oppure liberi, per esclusione gli altri, che non rispettano norme di alcun genere. 2 Suggestività dativa o recettiva, di commozione, emozioni, sentimenti elevati, valori, che può essere presente in qualsiasi opera artistica, atto, situazione, eccetera. 3 Astrazione, fantasticheria, illusione, mancanza di concretezza. Poiché il linguaggio poetico si esprime, di fatto, con le parole del linguaggio ordinario è difficile dire quando c’è, o no, poesia. Un criterio empirico, certo non scientifico, ma sempre valido e quindi pratico, è quello dell’accettazione da parte di quanti sono già considerati poeti. Mario Stefani, per esempio, dice che Maurizio Zanon, poeticamente, non lo ha mai deluso. La poesia è un tentativo di risposta alla frequente incapacità espressiva del linguaggio ordinario, incapacità che dipende da una pluralità di motivi fra i quali la tendenza del cervello a semplificare, la quasi impossibilità di descrivere adeguatamente ciò che trasmettono i sensi, per cui il gusto, dev’essere provato, il tatto deve toccare, tastare, palpare; il suono richiede ascolto, l’odorato vuole annusare, la vista richiede l’attenta osservazione del guardare. L’ipocrisia, nelle relazioni sociali, o l’inconsistenza di certi dialoghi meteorologici, sono fenomeni generali. Ma se si accetta che un poeta dica chi è, o no, poeta, si può anche accettare che dica cos’è la poesia e Maurizio Zanon ne dà varie nozioni. Per esempio, nell’Usignolo ubriaco, la poesia è destarsi all’alba di maggio, godere a sazietà l’esistente, la compagna... il cui silenzio si traduce in versi.
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Maurizio Zanon è formalmente poeta
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Forma e sostanza, sono distinguo, per fissare le idee, ma gli aspetti sottesi sono inscindibili. Se ne parla, a parte, solo per comodità. Ogni tassonomia del reale, non lo cambia. Ma volendo classificare, Maurizio Zanon è poeta completo, perché sa anche versificare in rima. Ogni lavoro artistico è conquista di libertà e tanto più lo è per il poeta, che preferisce il verso non in rima, che consente eguale classicità. Lo fa discreto, senza pretese, capace di amare, ma pure di franchezza disarmante. I versi sciolto e libero permettono di dare ritmo al canto, sofferto, essenziale, semplice, il linguaggio scabro delle grandi verità, le cui parole diventano necessariamente importanti. I poeti laureati, vivono, invece, in mondi fittizi, realtà che non sono più, come le parole desuete che li descrivono. I moderni confondono quanto è intelligente con il complicato e il poeta, che ben potrebbe scrivere secondo le migliori tradizioni accademica, formale o ermetica, lo fa, invece, con parole semplici, spesso senza rima, così da indurre gli sprovveduti a credere e dire di essere altrettanto capaci. Il poeta sa che sono cambiate le coordinate poetiche, ne prende atto, ma non segue mode, non ha bisogno di perifrasi per far sapere, anche ai potenti, ciò che pensa, ma che, pur verità, non vuole imporre. Per Mario Stefani nella prefazione a Mi conforta il cielo: «La rima è riscoperta spesso in funzione più che di sostegno, di accordo musicale, piroetta, aggancio e sgancio dal reale», come in Tiritera, tiritera (14). In Andando e ascoltando vi sono spesso monostrofe la lunghezza del cui verso aumenta (Sovente, 20), o decresce (Per te ancora, 44), ma anche quando le sequenze di righe sembrano regolari, difficilmente i versi hanno stessa lunghezza grafica e metrica. Le Trentasette parole sono ognuna all’inizio di riga (19). Il Magazzino dei sogni contiene quello di Marta, cantata con schema geometrico-simmetrico (19), tipo ripetuto anche in L’alba (63), della silloge L’uomo Narciso. In Poesie d’amore, per Dino Manzelli, sono raggiunte vette di perfezione formale.
Maurizio Zanon è sostanzialmente poeta Il suo sistema deontico è, infatti, riflesso non solo nelle scelte più importanti, ma anche in quelle minute, quotidiane, che richiedono atteggiamento pratico, ove altri poeti rifiuterebbero l’apparente banalità: buoni cibi («ghiotte pietanze in rima sopraffina», «buon burro sopra una fetta biscottata», «invitanti pasticci di verdura», «bucatini» e, anche «desiata minestra»). I giovani, invece, vogliono mix, compilation, che uccidono il bello, cercano, egoisti, l’inesistente meglio del meglio, avvelenano ogni attimo, senza goderlo per ciò che è, senz’essere in alcun modo disposti alle relative, inevitabili, conseguenze, come se, non pensandole, non ci fossero e prima o poi non si presentassero. Il poeta è coerente, ma pur inascoltato, in un mondo superficiale e distratto, combatte il dolore, specie se figlio di violenza, sopruso e cecità mentale, con parole dure. Eguale per tutti, la verità, assai spesso offende, particolarmente i potenti. Poeta lirico dunque, perché esprime l’interiorità, ed è ricco di pietas. Al caro prezzo del sangue la vita e Le possibilità del cuore sono le opere in cui l’estensione del concetto d’amore e la conseguente solidarietà, più rendono avvertibile questa pietas e concretano poesia in cui eleganza formale e sostanza divengono tutt’uno. Ciò che è degno di porsi come modello, per l’alto grado di perfezione raggiunto, può considerarsi e definirsi, per dirla con altro termine, senz’altro classico. È assodato che poesie dedicatorie non possono essere particolarmente ispirate (come osserva Dino Bridda) e... poetiche. Sostenere che un autore è sostanzialmente poeta non significa dire che lo sia sempre allo stesso modo. Non è una scoperta straordinaria, ma è del tutto naturale notare maggior spontaneità, anche le pur minime imperfezioni lo confermano, nella silloge di componimenti tutti inediti: Prime poesie. Poi, il progressivo affinamento porta a risultati sempre più maturi e soddisfacenti, per cui Andando e ascoltando, ove pure si hanno solo poesie inedite, la proposta poetica è stata rilevata più intensa e profonda.
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