EtĂŚra nivea Una favola di Francesco Memo illustrata da Silvia Salvagnini
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EtĂŚra nivea Una favola di Francesco Memo illustrata da Silvia Salvagnini
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Illustrazioni: Silvia Salvagnini. Postfazione: Stefano Brentel. Progetto grafico: Mirko Visentin. Copyright © 2005 by eredi di Francesco Memo Copyright © 2005 by edizioni dn edizioni dn è un progetto di: Associazione Culturale Diapason&Naima piazza San Michele 57 30020 Quarto d’Altino (VE) www.diapasonenaima.org – info@diapasonenaima.org Mirko Visentin – Servizi per l’editoria via Abbate 32 30020 Quarto d’Altino (VE) tel./fax 0422 824727 www.mirkovise.net – info@mirkovise.net
I
n una primavera di molti anni fa, perduti nei luoghi più remoti delle montagne del nord, due sconosciuti entomologi erano alla ricerca della rarissima e meravigliosa Etaera nivea. Etaera era una piccola farfalla tutta bianca, dalle ali esili e dalla figura graziosa. Il profilo di quelle sue ali, disegnato da una mano ignota in un vecchio diario di viaggio, non ricordava alcunché di preciso, ma dava a chiunque ammirasse quella breve, bianca superficie, l’idea della vastità. 3
In realtà l’esistenza di Etaera non era mai stata registrata da nessuno scienziato (nessun catalogo di lepidotteri parlava di lei), forse mai nessuno l’aveva addirittura vista, e quei tratti incerti potevano alla fine non essere altro che il malinconico saluto di un passeggiatore solitario a qualcosa che non vide mai. Si diceva che la bianca Etaera prediligesse volare nei pressi di laghi perduti, quelle radure torbose ormai quasi senz’acqua e dalla vegetazione bassa, vicino alle quali gli abeti rossi diradano, lasciando il posto ad alberi dal fusto leggero e pieghevole. Ma erano soltanto voci, voci inafferrabili e incredibili. Etaera sembrava non essere che un sogno, una pallida ombra, niente di più che un lungo gesto fattosi graffite, ma in quella primavera, non trop4
po lontano proprio da una torbiera, la realtà sorprese e in un primo tempo deluse i due trasognati ricercatori: di Etaera era pieno il bosco. Non era ancora la fine di aprile, il breve periodo in cui la preziosa farfalla doveva lasciare il suo misterioso bozzolo, e il rosso sottobosco per gli aghi di pino caduti si presentava chiazzato di bianco: infiniti esemplari di Etaera sfarfallavano silenziosi e apparentemente felici. Se non fosse stato per la delusione provata, per quella falsa inestimabile rarità dell’insetto, quello spettacolo fatto d’aghi di pino e petali indistinti non avrebbe trovato paragone alcuno. I due entomologi non riuscivano a spiegarsi il fatto: tante erano le Etaera che rinunciarono persino a studiarne qualche esemplare. 7
Cosa mai di raro, di prezioso, poteva avere quella farfalla? Cosa la differenziava dagli altri variopinti lepidotteri? Cosa aveva reso tremante e lungo il gesto di quel lontano disegnatore? A maggio, in quei luoghi, si poteva passeggiare tra loro, calpestarle quasi, per intere ore. Non passarono però che pochi giorni di quel mese perchÊ, agli occhi dei due ricercatori, quel candido spettacolo non si mutasse nella piÚ struggente delle persecuzioni naturali: quei pallidi e fragili esseri, dal manto troppo evidente, erano in quei boschi il cibo di chiunque. Prive di segni e colori, le bianche farfalle cadevano facilmente preda anche dei piÚ volgari cacciatori. Quel bianco negava loro la quiete della mimetizzazione, e condannava la loro 8
vana fuga ad una facile e beffeggiante rincorsa. I due ricercatori passarono i mesi seguenti contemplando la lenta devastazione. Era sufficiente stare solo per qualche ora seduti a guardare un pendio chiazzato di bianco, o seguire passo passo una singola macchia, per assistere alla progressiva estensione della superficie rossastra tra gli abeti, alla dissoluzione in nulla, allo sfibramento ultimo di quel foglio vivente. A settembre, di Etaera non erano rimasti che pochi manipoli, dispersi e perduti. E in ottobre nessuna Etaera fu avvistata dai due. Intere giornate a setacciare quasi palmo a palmo le rive dei laghi perduti, tra gli ultimi alberi e le prime erbe, ma nulla, nessuna Etaera sembrava essere sopravvissuta. Quelle creature avevano allietato l’ultima primavera e l’intera estate 9
ad ogni preda, involgarendo persino, per la facilità della loro cattura, le loro stesse tecniche di caccia. Quelle stesse costituivano ora e avrebbero continuato ad essere per tutto l’inverno le sicure scorte alimentari di animali terrestri e sotterranei, molti dei quali si erano mostrati durante la bella stagione quel tanto che bastava loro a nascondersi poi per tutto l’inverno. Un tempo prede troppo facili, risibili, erano ora cibo per bocche piccole e voraci. Un’unica, immensa, bianca disperazione per sfamare miseri esseri, rapiti solo dal proprio mortifero riprodursi. Perché? Perché esseri meravigliosi consumavano nella paura e nella fuga disperata la loro vita? Per quale ragione vivevano, se non potevano posarsi e aver pace in nessun luogo, volare sicure e imprendibili? 10
S’era fatto novembre. Il bosco, ora penetrato d’un silenzio più profondo, offriva generoso e cordiale ai due ricercatori i propri ultimi giorni d’ospitalità. Cadeva la prima neve, ornando i rami più spogli, chiazzando il fitto sottobosco e coprendo di bianco le radure senz’alberi. Cadeva la prima neve oltre il tempo della caccia, coprendo qua e là le tane dei letarghi predatori. Era strano a dirsi, ma tutti quegli altri insetti che avevano divorato Etaera, non avevano mai visto la neve, mai sarebbero sopravvissuti ad essa, bianca e inconsumabile. Gli ultimi colorati lepidotteri, salvati sino ad allora dai propri mimetici disegni, giacevano adesso nella loro stessa variopinta evidenza, esanimi, sopra la prima neve. 13
Fu proprio in uno di quei primi giorni di novembre che i due seguirono tra le inďŹ nite sfumature rossobrune del bosco che si apriva e perdeva nel bianco niveo della torbiera, l’ultimo volo di Etaera. Libera da ogni misero e volgare cacciatore, imprendibile ormai anche allo sguardo, le brevi e fragili ali di Etaera si confusero con la vastitĂ di quello spazio. Riguardando le linee incerte tracciate in quel vecchio diario, i due entomologi trovarono che vi era disegnato un profondo ed ultimo sorriso.
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Postfazione
di Stefano Brentel
A leggere questa favola ritorna in mente un frammento, lasciatoci da Archiloco – poeta greco del VII sec. a.C. – che recita: «la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande». Un verso, interpretato in molti modi, che ben sintetizza il senso di questa breve fabula ed il suo legame con la tradizione classica. Due ricercatori, un vecchio diario con le misteriose indicazioni di uno sconosciuto viaggiatore, la ricerca di una farfalla «rarissima e meravigliosa» chiamata Etaera nivea, il tutto ambientato in un suggestivo e mutevole paesaggio alpino, tra i boschi delle montagne del nord, dove gli abeti rossi lasciano il posto agli ultimi larici e alle torbiere prima che le rocce vengano coperte dalle neve invernale, ed una sorprendente scoperta finale. Tutto questo è Etaera nivea, dove quel nome sta ad indicare non solo il bianco lepidottero che si libra leggero nell’aria trasportato dal
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vento, ma anche la “candida e pura rivelazione” che scaturisce dalla scia del suo ultimo volo, con la scoperta che tutto in natura si esprime in segni e che tocca poi all’uomo cercar di afferrarne il senso nella malinconica certezza che «la bellezza, e con essa il senso ultimo delle cose, non sopporta alcuna imbalsamazione» e se «c’è qualcosa da capire è finché quella farfalla dalle ali trasparenti se ne va» (F. Memo, Sulle tracce di Jonathan Leverkuhn, tesi di laurea inedita, pp. 152-153).
FRANCESCO MEMO nacque a Venezia nel novembre del 1969. Dopo la maturità tecnica si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università Ca’ Foscari di Venezia laureandosi brillantemente nel 1997 con una tesi di estetica sul Doctor Faustus di Thomas Mann. Studioso appassionato e acuto osservatore di ogni forma e movimento d’arte, si è dedicato con particolare attenzione allo studio della letteratura e della filosofia. Si è occupato inoltre di scienze naturali – in special modo del paesaggio alpino e lagunare – e di problematiche relative all’inserimento di cittadini extracomunitari nella società veneta. Ha al suo attivo vari scritti, che sono attualmente in fase di catalogazione. Nel marzo del 2002, all’età di trentatrè anni, pose fine alla propria vita gettandosi da un viadotto.
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«Etaera era una piccola farfalla tutta bianca, dalle ali esili e dalla figura graziosa. Il profilo di quelle sue ali, disegnato da una mano ignota in un vecchio diario di viaggio, non ricordava alcunché di preciso, ma dava a chiunque ammirasse quella breve, bianca superficie, l’idea della vastità.»
2 euro (a sostegno delle attività editoriali dell’Associazione Culturale Diapason&Naima)