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Copyright © 2006 Silvia Salvagnini (testi e disegni) Copyright © 2006 MiMiSol / AUTEDITORI Quarto d’Altino (VE) www.auteditori.it – redazione@auteditori.it Finito di stampare nel febbraio 2006 presso Litostampa Veneta S.r.l. – Mestre/Venezia PRINTED IN ITALY – Stampato in Italia ISBN-10: 88-89981-02-4 ISBN-13: 978-88-89981-02-3
Questa sera voglio solo dire che non ho voce mi sento i semi dei kiwi in gola la testa sola. Cerco altre sessanta pagine per tracciare queste giornate vacue.
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Allora ricapitolare: qui ci sono rose che non profumano macchine da cucire che non cuciono zanzare che pungono si rincorrono le mosche bisogna stare zitti in classe lavarsi i denti di mattina imparare l’inglese guidare la macchina bere nei bar attraversare la strada rimanere senza amore: sfollati spiazzati, pezzi di carbone carne e mattone.
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Sono le sei meno un quarto di sera c’è un cielo così paralizzato linee elettriche della ferrovia mia mamma vuole l’aspirina tira la tenda e mi ritrovo chiusa in cucina.
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Ho una casa stupenda fatta di mattoni e bianco due alberi in giardino ma sento intorno dei pezzi cadere come dei ritagli di ferro come la corteccia dai rami come gli aghi dai pini come un poco pi첫 di rumore.
Cadono gli aghi dai pini cadono i bambini nei giardini cadono le monete per terra gli anziani dalla barella cadono le pere dalle mani, si cade come il mondo, in un grammo o in un mezzo secondo.
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Questo sia un accumulo disorganico di quello che si disperde del guardare la tv del tirare un calcio sul muro del lasciare le scarpe in cucina dello stare fermi alla finestra del dormire di sera del giorno che non è festa, è l’accumulo dei cuscini sui divani del cucire i bottoni della spazzatura nei bidoni della testa che fa male della noia mortale.
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Darti una carezza un bacio sulla faccia una torta di mele mostrarti le tette aprirti le ďŹ nestre la mattina aspettarti in cucina regalarti degli scoiattoli prepararti la merenda i panini con la nutella slacciarti la cintura grattarti la schiena appoggiarti le guance farti ridere ďŹ no a sera portarti in vacanza saltare sul letto tenerti stretto accartocciarmi a te e non chiedere altro per qualche ora oltre a questo.
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Non so neanche spiegartelo che tutti gli anni sto male che le medicine le ho ďŹ nite che tu mi baci la bocca mi salvi la pelle, mi riempi il letto di stelle e io sono cosĂŹ vecchia, sono un topo, un pezzo di muro, qualcosa di rotto di sicuro.
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Sto cosĂŹ appesa alle tende attaccata al termosifone a pensare a chi mi ha tradita martoriata, buttata in un pozzo come una lumaca.
Oppure ascolto una canzone mi do i baci alle braccia mi lavo la faccia mi sento dei pezzi di ballerine qualcosa che pesa poco o sottili catenine.
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Ecco in questo continente si sta male per delle pieghe sulla pelle si sta male per la cellulite e si è più strani di sette marziani che fanno la cacca in giardino.
Io non capisco perché ci si deve pettinare i capelli. Io sono più bella arruffata con gli occhi mezzi chiusi le braccia molle, le tette fuori la pelle senza sapone.
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Stanno male le casalinghe stanno male quelli al lavoro stanno male i ragazzi a scuola sta male la mia amica che si sente sola sta male mia mamma se non ha il ďŹ danzato sta male qualcuno sta male peggio della febbre come i gamberetti surgelati come un pezzo di sole rotto come un albero storto.
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Io sono scesa dal letto ho trasgredito la prima comunione ho baciato un drogato ho mangiato il prosciutto ho vomitato anche gli spinaci ho dato i baci a mia mamma ho consumato le batterie della radio ho fatto centosei disegni ho messo in disordine l’armadio sbucciato le mele mi sono inventata sette torte mi sono svegliata le mattine, ma piÚ di tutto io mi diverto a saltarti sopra a bloccarti la digestione a tornare a casa e vedere la mia via arancione.
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Fare l’amore può essere anche solo guardare in alto come gira il ventilatore. O come scivolare sul sapone affogare nel sole bere l’acqua e menta sentirsi esplodere come nel termosifone.
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Avere i tuoi due occhi puntati addosso avere di te la lingua e i denti ma spesso la testa lontana come una filigrana come un’amaca inclinata come qualcosa che pende che batte la schiena e non si arrende.
Però poi mi fai impazzire mi fai rotolare, mi togli i vestiti mi fai diventare un uovo sgusciato e sono più nuda dei lampioni delle buche e dei cartelli per strada.
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Vienimi a prendere portami in salvo portami tra i tuoi cuscini tra i pezzi sconosciuti di te spostami le mani agganciati ai miei seni realizziamo il nostro esercito d’amore che sia la piÚ tenace la piÚ tenace ribellione.
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Vivimi paralizzata sbocciata, stufata dei libri e dell’aranciata. Staccata dal contorno dal dentro e dall’attorno. Sperperate le mani, i piedi e la lingua rotta anche l’ultima stoviglia dipendente dallo zucchero e dalla vaniglia.
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Pomeriggio. Sedici merendine.
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Qui si mangia male io divoro la plastica il corpo è così lontano l’aria non respira.
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Allora so per certo che non ho pi첫 voglia di parlare di questa rabbia rompi culo che ho visto quelli spaccati drogati che ho visto questo cancro in ospedale e in camera mia che ho visto un minuto, sbucciate ginocchia. Intrufolata in vari pantaloni stancata delle perfezioni del ventilatore contenta di questa energia che viene e va via.
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Non mi trovo cosĂŹ bene se vuoi scopare e io devo cucinare, non mi trovo poi cosĂŹ bene mi sento in ospedale senza stare male, sono fatta di allergie di ipocondrie, sono fatta di mangiare troppo e sonno.
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Ho le gambe gonďŹ e un amico che mangia il farro un marciapiede rotto e vorrei fare amicizia con le talpe in giardino togliere la televisione spogliarmi e succhiare vicino alle ruote del trattore. E invece me ne sto bella rintanata non prendo la patente mi sento una mezza dissidente.
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Io non vado in palestra non vado piĂš in piscina non vado in vacanza non tradisco nemmeno piĂš i miei ďŹ danzati non sono vergine non ho avuto gli orecchioni non ho avuto il morbillo non riesco a controllarmi non riesco a farmi bella non riesco piĂš a fare la modella.
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Non punto più i piedi per terra, (sono settecento mesi che mi lamento parlo dell’intossicazione mi manca questa forza di linee rette) ma porca vacca troia neanche mia mamma lo capisce: mi infilo settanta volte al giorno nella credenza, tratto il mio corpo come le unghie da mangiare per dire che voglio più controllo e voglio penetrare il mondo.
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Mi piace stare con le mani in pasta mi piace andare in treno mi piace sputare addosso al pomeriggio mi piace buttare via i doveri ma devo fare qualcosa per buttare fuori questo straccio di errori rivissuti di granchi ancorati di gatti morti.
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Probabilmente era che mi bastava a toccare il cielo venire al mare con te fare l’amore sopra la golf dietro la strada alla casa con gli alberi verdi alla vigna sui sedili allo skatepark vicino al fosso vicino a casa di mio papà dietro la porta in bagno di casa tua in cucina sul tuo letto sul divano marcio o in spiaggia vicino ai vecchi per farci tirare dietro gli ombrelloni, i panini e i braccioli.
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Ci troviamo ancora nudi sbucciati come le patate stretti tutta la notte. Siamo rimasti agganciati raccontate le linee negli occhi. E poi mi perdi per strada. CosĂŹ sono costretta a ďŹ ngere. Sono una moglie nell’armadio ho ventidue anni di energia incastrata e mi perdi per strada, ho un lavoro assiduo da fare e lo lascio rotolare come ferro da rottamare, ci lasciamo sprofondare tra il divano e scopare senza sentire l’aria passare.
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Adesso non ti piace come lavo i piatti né come asciugo il lavandino. Una sera di festa è un motivo sensazionale per non starmi vicino a parlare, non mi vieni a cercare proponi di fare un film alla mia amica più normale. Non posso più stare con i piedi rannicchiata con la testa fuori dal finestrino, a digiuno a mangiare biscotti in giardino, non posso per te più stare se non immobile senza respirare.
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Urli mi schiacci la testa sul finestrino mi fai cadere sulla strada mi stringi la faccia con le mani ad uncino mi spingi addosso la porta mi rovesci la poltrona così sbatto la testa sul muro e tutto perde senso all’improvviso di sicuro. Mi lasci le lacrime seccare l’amore precipitare e divento la prima a cui fare male.
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E pensare che insieme sappiamo fare le canzoni rotolare nell’erba sappiamo stare per mano svelarci i segreti baciarci attaccati alle pareti. Sappiamo parlare del dolore universale aggredire la realtà e non lasciarci sopraffare sappiamo parlare con gli animali sbriciolare le briciole per gli uccelli al sole ridipingere la casa e fare l’amore.
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Non posso affondare la faccia tra le tue spalle farmi fare le trecce ai capelli lasciarmi piangere su di te non posso come prima lasciarti vedere i buchi tra le ossa dentro di me.
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Rimanere fermi molto piĂš seri, molto piĂš seri di cosĂŹ con degli spazi chiusi con sei strati di lontananza dalle cose.
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Casa. E poi le parole non rimano piÚ. Mi è lontano il corpo. Provo a distinguere le simmetrie e gli spazi sbilenchi tra le cose e non so niente.
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Casa. Piove sopra il tetto io sono asciutta e quello che so non mi basta. Non si è messi a nudo si è pezzi di noci, sviliti sul divano.
(E poi fa paura rivoltarsi nel letto non si sa quanto lunghi siano i piedi né si è ben sicuri di chi si ha a fianco e è anche bizzarro che poi si muore e che si sente la zanzara nella testa e l’elettricità riflessa.)
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Io sto deďŹ nendo una condizione: avere da mangiare avere il dottore e lasciarsi cadere il paradiso dalle mani, come il sapone.
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Ho l’appetito sfasato il gatto mi è morto ammazzato non so giocare a pallone in giardino non so piÚ dimenticarmi del contorno rovino i giorni e a volte non mi ricordo bene come ci si sente da felici. Per cui io voglio guarire a tutti i costi non partire per una vacanza puntare i piedi e vincere la guerra tra me che sono una ragazza e certi giorni una vacca.
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Certi giorni sono storta fatta con il veleno ďŹ no ai capelli mi sento una rabbia diffusa e una voglia per niente confusa di andare a succhiarlo, leccarlo schiacciargli le tette addosso sudare con gli occhi e non pronunciargli piĂš di mezza parola. Finire tra le braccia e la bocca del primo che mi ha mangiato la ďŹ ga con la gola.
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Devo iniziare a raccontare che mi piace tradire chi amo mi piace ricordare: chi mi sbottonava i bottoni la lingua intrufolata il preservativo alla fragola le mie mani sui pantaloni: la meccanica nostalgia di chi ho toccato e di come si va via.
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(Ricordare: Io ho fatto l’amore la prima volta e mi ha fatto un male cane e lui mi ha lasciata come una cozza spalancata ma ero così felice, così felice che correvo più veloce del treno saltavo meglio dei canguri e avevo le lacrime più colorate più colorate dei colori.)
Le cose che parlano sottovoce: “sono la torta di mele calda preparata con le sue mani lavate con dentro una fetta rannicchiata per te che sei un suo ricordo un suo amore storto.”
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Stare la sera a mangiare i savoiardi tentare di tracciare il perimetro di casa che è la prima cosa da scoprire e da dire, raccontarmi l’amore svestito della sua arte migliore.
Le cose che parlano sottovoce: “sono la scatola di biscotti e le briciole mi fanno prurito.”
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A volte mi rovini le giornate e non sai capire quando ho voglia di scopare congiungermi, lasciare i tuoi pezzi penetrare. DĂ i baci come le scimmie dietro le labbra: la pelle avvicinata ma i pensieri sbriciolati.
Le cose che parlano sottovoce: la plastica silenziosa.
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E tu sei qui talmente che mi fai male ci si addormenta per giorni e fare l’amore è molto meno di un errore.
Poi si riscattano gli occhi e il tuo strumento spicca come un cactus impazzito la tv precipita nel suo rumore. Mi porti nella tua direzione: mi tiri con una corda e mi fai illuminare piĂš di un lampione.
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Ci siamo lasciati cosÏ come perdere le nostre circostanze naturali sperperati come semi di melograno senza spiegare i nervi amari senza scopare nÊ parlare siamo come l’aglio in frigo come il risotto nella busta.
(Mi manchi come l’insalata come la gioia elementare come saltare la corda come sentirsi con la cera sotto i piedi come le fragole e l’anguria a colazione. Mi manchi come rimanere senza.)
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Quel che manca è starsi svegli a guardarsi, è tenere gli occhi aperti nelle giornate spiegazzate. E neanche tu scherzi. Il lavoro ti è una plastica pellicola che si appiccica alle ore, ti è un cappello infilato duro e stretto e non ti fa respirare. Tu la sveglia non la vuoi mai più sentire.
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Io perdo il sangue dalle gengive e non ci sto a sopportarti voglio sentirmi il corpo vivo ho l’inuenza il sedici di agosto voglio uno che mi guarda gli occhi che mi rimane disteso sopra con il cazzo duro ďŹ onda che mi stringe con le mani che mi tiene ferma che mi fa scivolare la mia rabbia e ogni bugia, che mi aggiusta il sentire che mi fa essere un animale che mi capisce l’onda che ho nel cuore e le vibrazioni della testa.
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Questo libro lo finisco quando ho sputato il rospo quando sto bene al sole quando ho spaccato questa noia mangiato un girasole eliminato il superfluo la nozione di imperatore e quando riesco a correre con meno fiatone:
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Cosa sarà svegliarsi la mattina e far girare l’aquilone. Questa sera costruirlo con un bastone. Cosa sarà andare in bicicletta con il freddo tra la gonna. Che cosa, questi trecento giorni di tentativi finiti e di bronci appassiti. È meglio svegliarsi presto la mattina non correre a fare benzina non rimanere intorcolati tra le lenzuola e non avere nemmeno il nodo in gola.
54
Io voglio stare tutti i pomeriggi in giardino ribadire le parole fare i salti correre sulle aiuole scrivere i verbi come imperativi imparare le leggi dei pini voglio mangiare le mele al sole fermare il mondo bruciare il ventilatore voglio la stufa a carbone le matite e quattro grammi di sapone.
56
Io voglio stendere i calzini sull’erba. Io non sono una ragazza metropolitana mi aggiusto le mutande con i ďŹ li di lana.
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E allora sai cosa dico che forse sono stanca di preparare la pasta di fare il letto la mattina ma non sono stanca per niente di coltivare il mio giardino di fare questa lotta di aggiustare prima il mio mondo piccolino. E sono ďŹ era di me della noia di queste cantilene del cercare di aggiustarmi del cucire i bottoni e di cercare il motivo dei giorni andati a male sbucciati, sperperati messi in un vaso tutti appiccicati.
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Ora qui si è detto delle noie strane che si ficcano sotto il tetto nelle case ammassate, qui si è detto dell’amore coi pidocchi e lo si è detto quando si riusciva, lo si è detto con qualche rima che scivola via con qualche rima facile leggera con qualche filastrocca da dirsi di sera da dirsi l’uno all’altro per non perdersi la vita per non finire arrabattati nelle sabbie mobili da sposati.
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E tutto questo male scritto io te l’ho detto non per prendermela con te ma per ricominciare a vedersi nella tutta intera interezza dentro un tubo di silenzio senza niente di niente se non questo corpo che siamo sulla sedia, senza raccontarci niente senza l’affanno che vince le giornate senza la paura appoggiata di essere vivi e di starsi a guardare.
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E tutto questo è per dire che io voglio l’amore dei bambini: l’amore dei bambini che se ti arrabbi mi tiri i capelli con le mani che mi lasci di nascosto un fiore nel quaderno che si sta nudi nella vasca a fare il bagno. Lo voglio dopo aver attraversato questo silenzio di abitudini disincantato questo silenzio schiacciato dalla vita scrostato, lo voglio capito questo amore ricucito alla casa, di nuovo squisito capace di trasformare, di farci stare vivi di farci rinnovare le pareti di dirci i segreti di lasciarci liberi, sviscerati impazziti, capaci di dare i baci ai muri che si erano avviliti.
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Tornare a parlare d’amore delle urla al cuore del sentirsi la pelle appena piÚ altrove del sentirsi come le ombre dei rami come gli spilli se cadono come per strada i cani.
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Lasciare i piedi molli come le lumache.
È
AUT EDIT ORI
/RA QUI SI Ã’ DETTO DELLE NOIE STRANE CHE SI l CCANO SOTTO IL TETTO NELLE CASE AMMASSATE
QUI SI Ã’ DETTO DELL AMORE COI PIDOCCHI E LO SI Ã’ DETTO QUANDO SI RIUSCIVA
LO SI Ã’ DETTO CON QUALCHE RIMA CHE SCIVOLA VIA CON QUALCHE RIMA FACILE LEGGERA CON QUALCHE l LASTROCCA DA DIRSI DI SERA DA DIRSI L UNO ALL ALTRO PER NON PERDERSI LA VITA PER NON l NIRE ARRABATTATI NELLE SABBIE MOBILI DA SPOSATI 3ILVIA 3ALVAGNINI 6ENEZIA HA PUBBLICATO LA RAC COLTA DI POESIE E DISEGNI h3ILENZIO CILENOv !UTEDITORI !LTRI SUOI TESTI SONO STATI PUBBLICATI NELL ANTOLOGIA h POETI ESORDIENTIv EDIZIONI$. *4#/
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