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AUT EDIT ORI
RACCONTO ILLUSTRATO
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Copyright © 2006 Roberto Cesaro Copyright © 2006 MiMiSol / AUTEDITORI Quarto d’Altino (VE) www.auteditori.it – redazione@auteditori.it Disegni e copertina: © Giovanni Donadini www.canedicoda.com Finito di stampare nel febbraio 2006 presso Litostampa Veneta S.r.l. – Mestre/Venezia PRINTED IN ITALY – Stampato in Italia ISBN-10: 88-89981-00-8 ISBN-13: 978-88-89981-00-9
NOSE TRUCK
RAILS WHEELS
TRUCK TAIL GRIP
noseduzione quando ero piccolo andavo in salagiochi con il mio skate giocattolo e mi facevo le ore su un videogame in cui a un certo punto uno sciame di api rincorreva lo skater protagonista, e compariva la scritta Skate or die! allora non pensavo certo che un giorno questa frase avrebbe assunto per me un significato reale. invece con il passare degli anni lo skateboarding è entrato nella mia vita ed è diventato parte del mio equilibrio, insieme alla letteratura e tutto il resto. quella che sto per raccontare è la storia di quando ho cominciato a skateare. l’ho scritta nei mesi invernali a cavallo tra il 2003 e il 2004, in crisi di astinenza da skateboarding, vagheggiando uno skatepark o una bowl al coperto, dato che col brutto tempo è impossibile skateare. ogni riferimento a fatti, persone e cose realmente esistiti è puramente VOLUTO. 5
tuttavia si tratta di ricordi personali, quindi la realtà potrebbe in qualche caso apparire involontariamente deformata. inoltre bisogna tenere conto che raccontare proprio tutto e nominare proprio tutti non è possibile, quindi spero che nessuno se la prenda se non si ritrova nella mia versione dei fatti. dedico questo racconto ai miei genitori, agli Auteditori che hanno reso possibile la pubblicazione di questo libro, a tutti gli amici con cui ho skateato e a quelli con cui continuo ancora a skateare, e anche a tutte le persone simpatiche che ho conosciuto in più di mezza vita passata skateando. un ringraziamento particolare va a Giò per le illustrazioni che hanno reso il libro centomila volte più bello, a Cooping/Arrigo lo gnomo delle rampe, e a Nikof, Paolo e Davide di Strange skateboards per il fondamentale supporto.
1. in principio era il variflex la storia comincia davanti a un negozio di articoli sportivi a Jesolo lido, in piazza Mazzini: è il luglio del 1989, ho 14 anni e come ogni anno trascorro un mese di vacanza qui con i miei. davanti alla vetrina ci sono io che guardo ammirato uno skateboard pre-montato con la tavola di un bel legno scuro di cui si intravedono le venature, i trucks arancio fluo e le ruote bianche gommose che vanno forte, non come quelle di plastica inchiodate degli skate giocattolo. è il primo skate decente che ho trovato in vendita: semi-professionale, come mi ha detto il negoziante, anche se non so di che marca sia, perché lui mi ha detto Variflex, ma Variflex non è perché non c’è scritto da nessuna parte e pazienza. i giorni precedenti a quella visione destabilizzante ho conosciuto un ragazzo di nome Alan che mi ha fatto provare una delle sue due tavole professionali, e ci sono rimasto di legno a scoprire che uno skate può andare così veloce. 7
la tavola che mi ha prestato è senza grafica, mentre quella che usa lui è la più bella che ho mai visto, se si esclude quella che aveva una sera in sala giochi un tipo tedesco, che non dimenticherò, con la facciona di un mostro sotto. la tavola di Alan è una Santa Cruz, con la grafica di un pagliaccio su sfondo celeste e le ruote che vanno a duecento: ti dai due spinte e vai a palla! altro che le ruote del mio skate giocattolo che si fermano subito...
SLALOM
BANANA VARIFLEX???
io sono troppo contento di skateare con lui perché cominciavo proprio ad annoiarmi ad andare ogni giorno in spiaggia a fare le solite cose. e poi lo skate mi è sempre piaciuto e ne ho già posseduti tre: uno di plastica giallo, a forma di banana, quando avevo circa 8 o 10 anni, e allora era l’unica cosa che avevo trovato in vendita e me lo ero fatto comprare 8
perché avevo visto mio cugino che ci giocava coi suoi amici, più grandi di me di quasi dieci anni. subito mi sono unito a loro anche se ero più piccolo, e all’inizio ci andavo seduto, anche giù per una discesa. poi col tempo ho imparato a stare in piedi e a girarmi facendo leva sui trucks. un altro skate che ho posseduto era veramente bellissimo e infatti poi me lo hanno rubato, non so più dove e quando: era di vetroresina bianco e rosso con le ruote morbide rosse, piccolo come il primo ma molto più bello. me lo aveva comperato mio padre in un negozio di articoli sportivi e mi ha detto che era uno skate americano professionale da slalom. il tutto è successo qualche anno dopo l’acquisto del primo skate giocattolo. poi, nel luglio 1988, ho scoperto che in un negozio di giocattoli, sempre a Jesolo, vendevano degli skate prodotti dalla Gioca, con la tavola grande, che costavano cinquantamila lire. le avevo sognate tanto, le tavole grandi che avevo visto soltanto in televisione, senza mai riuscire a trovarne una in vendita: così quell’estate mio padre me l’ha 9
comprata perché ha capito che ci tenevo, anche se ne possedevo già due di piccole. comunque, tornando all’estate 89, io ci sono rimasto male quando ho fatto vedere il mio skate Gioca ad Alan e lui ha cominciato a sfottermi perché in confronto ai suoi skate americani il mio era evidentemente una schifezza. e non erano serviti a niente i miei sforzi di farlo sembrare migliore coprendo la grande G rossa di Gioca con un quadrato di carta adesiva nera, su cui poi ho attaccato l’adesivo luccicante di un cobra, scrivendoci anche il mio nome con le lettere adesive. niente da fare perché il mio skate era una merda comunque, e Alan a un certo punto ha cominciato a prendermi in giro ripetendo ossessivamente: G - Gioca! G - Gioca! – fino a farmi incazzare.
così, in quel negozio di articoli sportivi di piazza Mazzini, ho visto finalmente realizzato il mio sogno di avere uno skate decente che andava a palla, e i miei me lo hanno comprato ancora una volta senza fare storie, perché ero stato promosso in terza media con un bel voto. e da quel momento, si può dire che ho cominciato a skateare veramente.
2. l’arena di piazza aurora ho realizzato subito che ad Alan non gliene fregava nulla di skateare. quando gli ho detto che su una rivista avevo letto che con lo skate si può ollare, cioè fare dei salti senza toccare la tavola con le mani, e ho cercato di provarci imitando i movimenti che avevo visto nelle foto, lui mi ha detto che sapeva già che si poteva saltare così ma era difficilissimo e non ci saremmo mai riusciti. Alan mi ha chiesto di andare in giro in bici con lui e poi in spiaggia a fare il bagno. io gli ho detto che volevo imparare a fare i salti, e sono rimasto da solo. 11
era evidente che avrei dovuto cercare altri amici con cui skateare. e mi è venuta in mente una puntata dei Chips in cui Frank Ponciarello, il poliziotto con la carnagione scura, multava ripetutamente dei ragazzi che skateavano sui marciapiedi e infastidivano i passanti. così gli skaters lo odiavano ma alla fine Frank, per fargli capire che lo faceva per il loro bene, li invita un pomeriggio ad uno skatepark fatto di dune e curve di cemento, e si vedono loro che skateano con il casco e le ginocchiere, e si divertono un casino senza dare fastidio a nessuno. e nell’ultima scena i ragazzi hanno imparato a fare i salti sulle dune, mentre Ponciarello va giù di culo e tutti si mettono a ridere. ripensando a quel telefilm ho capito che voleva insegnare che bisogna skateare solo nelle piste dove non si crea pericolo per nessuno, ma a Jesolo non ce n’era neanche una, così ho preso il mio skate e sono andato all’arena di piazza Aurora, che almeno aveva un piano liscio al centro, lontano dalla strada.
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l’arena era una costruzione nuova piena di scalini, dislivelli e superfici lisce dove si poteva skateare senza che nessuno si lamentasse. lì ho conosciuto Matteo, Luca e Marietto, ragazzini che abitavano nei dintorni e si incontravano per skateare. Luca e Marietto erano bambini di dieci o undici anni, mentre Matteo era un po’ più grande e in skate la sapeva più lunga di tutti. usava un California Pro con la faccia di un mostro sotto, sapeva già ollare bene e saliva su tutti i gradini, compreso quello che loro chiamavano “il panettone”: il gradino più alto e difficile.
OLLIE!
con loro è stato da subito un gran parlare di tavole e manovre, riviste e skaters americani. veniva naturale parlare e confrontarsi e insieme era più facile imparare le manovre. parlavamo di Hosoi e Caballero, di Tommy Guerrero e Tony Hawk, che erano gli skaters più famosi che si vedevano nelle riviste in quegli anni. Marietto era il più piccolo e rotondo e faceva ridere perché sbagliava sempre i nomi delle manovre e dei pro, mentre Luca parlava poco e imparava in fretta guardando Matteo. con loro mi divertivo come quando giocavo in spiaggia da bambino, i pomeriggi volavano via veloci e imparavo a skateare. lì ho imparato a ollare, salendo sul gradino piccolo che c’è al centro della piazza. ho consumato tutto il truck a furia di caderci sopra incastrandomi sul gradino quando non riuscivo a far salire le ruote posteriori. poi ho imparato, nel giro di qualche giorno: ed è stata una conquista enorme, come scalare una montagna! da quel momento, skateare è diventato molto più bello, perché potevo ollare ogni volta che c’era un piccolo ostacolo o un gradino 14
da salire, senza dover prendere in mano la tavola. e pensare che Alan diceva che non ci sarei mai riuscito! contemporaneamente, passando ore e ore sulla tavoletta, quasi senza neanche accorgermene acquisivo equilibrio e sicurezza: scendevo dai gradini alti senza ollare, giocavo insieme agli altri a chi si caccia giù dal dislivello più alto, poi facevamo tutta una serie di figure prendendo la tavola con le mani, spingendoci coi piedi da terra o saltando giù dai gradini e ricacciandocela sotto (quelli che poi scopriremo chiamarsi foot plants e boneless...). conoscevamo pochissimi nomi di manovre, e facevano ridere i nomi che inventavamo, come Matteo, che diceva: adesso faccio l’albero – e appoggiava una mano per terra e cercava di mettersi in verticale, tenendo la tavola sotto i piedi con una mano, imitando le pose che si vedevano nelle foto dei giornali (tentativi di street plants, hand plant da terra, quella roba lì...). 15
nel tardo pomeriggio tornavo all’appartamento dove passavo le vacanze estive, e andavo in spiaggia a fare il bagno, leggendo poi i giornali di skate disteso sull’asciugamano. LIFE’S A BEACH era la frase che più mi piaceva in quel periodo: era lo slogan di una ditta che produceva surf e skate.
3. andrea di milano sfogliare le prime riviste di skate è stato fondamentale perché mi ha fatto capire che lo skateboarding ormai era una realtà anche in Italia e non soltanto un sogno televisivo, veicolato da telefilm come i Chips o film come Ritorno al futuro e Scuola di polizia, dove avevo visto per la prima volta alcune evoluzioni sullo skate. e leggendo i giornali di skate entravo in un nuovo mondo. si trattava dei primissimi numeri di due diverse riviste che mio padre mi portava dal suo negozio di giornali: Skate e Skate and Snow Board. attraverso quelle pagine, lo skate mi appari16
va come qualcosa di completamente nuovo e diverso da ogni altro sport. guardavo le foto e leggevo gli articoli che parlavano di gruppi di ragazzi che passavano i pomeriggi in strada o in luoghi della città particolarmente adatti per skateare, soprattutto nei grandi centri di Milano e Roma. erano tutti più grandi di me e dei miei amici e si vestivano con t-shirt colorate e jeans strappati, cappellini con il frontino e bandana. mi sembravano dei pazzi furiosi felici e trasandati, pieni di colori e simboli che mi piacevano. avevano tutte le tavole disegnate e piene di scritte e anche sui muri delle città che si vedevano sullo sfondo c’erano spesso degli strani disegni con delle scritte tutte colorate che mi piacevano un sacco. poi nelle riviste regalavano spesso adesivi che riproducevano i loghi delle ditte di skate oppure strani mostri mutanti con le budella di fuori, teschi ridicoli e mille altri soggetti bizzarri che mi ricordavano certi film dell’orrore che amavo guardare nelle sere d’estate, quelli del-
la serie Notte horror presentati dallo zio Tibia, un pupazzo di gomma mostruoso che faceva più ridere che altro. comunque, l’adesivo più bello da attaccare sotto la tavola era quello con scritto: SKATEBOARDING IS NOT A CRIME, perché quella scritta voleva dire a tutti i rompi palle che si lamentavano della nostra presenza lungo le strade e magari chiamavano anche i vigili o la polizia: lasciateci in pace che ci vogliamo soltanto divertire e non abbiamo nessun altro posto dove poterlo fare! uscendo spesso in skate, quell’estate ho incontrato altri skaters che trascorrevano lì una vacanza, e da ognuno ho imparato qualcosa. in particolare mi ricordo Andrea di Milano che era molto più grande di me, avrà avuto 18 o 19 anni, e sembrava uscito da una di quelle riviste. faceva tante manovre tutte diverse e di seguito, e sapeva tutti i nomi. lo guardavo e restavo strabiliato, quel pomeriggio in piazza Aurora, che fatalità non c’erano neanche gli altri amici e mi sono trovato da solo con questo milanese bravissimo che non potrò mai dimenticare. è stato il primo vero skater che ho visto dal 18
vivo, con i pantaloni tagliati al ginocchio, il cappellino rovescio e i capelli biondi abbastanza lunghi, una t-shirt colorata e la tavola tutta rovinata, i trucks consumati e la grafica segnata dalle slideate. sembrava non fregargliene nulla delle cose a cui noi ragazzini davamo tanta importanza e di cui parlavamo continuamente, come le grafiche e le marche delle tavole: voleva farmi capire che era più importante imparare a skateare e per questo mi faceva vedere un sacco di manovre dicendomi anche i nomi e rispondendo alle mie domande da inesperto. ero troppo contento di averlo incontrato e ci sono rimasto di legno quando si è messo a provare una cosa che all’inizio proprio non capivo: si avvicinava a un muro verticale e ci si lanciava addosso perdendo la tavola. a me pareva che si schiantasse apposta contro il muro e allora gli ho chiesto cosa stesse facendo e lui mi ha risposto: sto provando wall ride. io non ho capito quel nome e ho fatto finta di niente, ma continuando a guardarlo mi sono venute in mente delle foto incredibili in cui 19
gli skaters sembravano correre sui muri verticali. era una manovra che non riuscivo neanche a concepire, che non mi sembrava proprio possibile, ma dopo una serie di tentativi falliti, Andrea è riuscito a salire per un attimo sul muro con tutte e quattro le ruote e a scendere senza perdere la tavola. tutto soddisfatto ha detto: l’ho chiuso! – e io ci sono rimasto di sasso e gli ho detto: yeah! hai chiuso uenrait! (cercando di ripetere il nome che non avevo capito).
dopo poco che Andrea se ne era andato sono arrivati Matteo e gli altri: gli ho raccontato subito del mio incontro e di quella manovra difficilissima, e loro mi hanno raccontato di altri skaters tedeschi bravissimi che avevano incontrato qualche settimana prima, e delle manovre incredibili che facevano. alla sera, prima di dormire, ho ripensato a tutto e mi sono addormentato con l’immagi20
ne di Andrea che se ne andava spingendosi quasi senza sforzo e continuando a fare ogni tanto un trick, con una scioltezza strabiliante: quella creatura che mi sembrava venuta da un altro pianeta è sparita nel nulla come dal nulla si era materializzata lì, in piazza Aurora, quel pomeriggio assolato del luglio 1989, quando ero un kid di quattordici anni.
4. thrashin’ – corsa al massacro1 al ritorno dalla vacanza al mare ho contagiato con la mia passione per lo skate un mio compagno di classe con cui avevo condiviso mille avventure, giochi e scoperte negli anni delle scuole elementari e delle medie. quando mi ha visto così preso dallo skate, Marcello non ha resistito: se ne è comprato uno anche lui e abbiamo cominciato a skateare insieme nel piccolo paese di campagna dove lui viveva: sulle dune di uno strano marciapiede, giù dalla discesa che 1 il film di cui parlo in questo capitolo è Thrashin’, prodotto da Alan Sacks e diretto da David Winters (USA, 1986).
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portava al magazzino di suo nonno dove poi abbiamo costruito le prime jump e slaidiere, nella pista di pattinaggio e dovunque trovassimo piccoli scalini e muretti dove provare in pace le nostre manovre. a fine agosto mi sono comperato il California Pro perché il mio skate era ormai da buttare e poi mi sono fatto costruire una jump di metallo da un conoscente. insieme a Marcello la mettevamo ai piedi della discesa che portava al magazzino, arrivavamo giù a palla e saltavamo tenendo la tavola con le mani. quella rampetta era talmente incazzata che dovevamo fissarla per terra perché non si spostasse, incastrandola nella feritoia dove scorreva il portone del magazzino. ed eravamo costretti a metterci il casco perché ogni volta rischiavamo di sbattere la testa sul soffitto! (i nostri genitori ci avevano comprato tutte le protezioni dopo le prime sbucciature ai gomiti e alle ginocchia ma noi le usavamo solo quando provavamo le manovre più rischiose...) un giorno ci siamo accorti che in tv pubblicizzavano un film che parlava di skate, così, una sera di quell’estate, ognuno a casa 22
propria, ci siamo sintonizzati entrambi su Odeon Tv e abbiamo guardato l’indimenticabile THRASHIN’ – CORSA AL MASSACRO. mi sono esaltato già dalle prime scene, tanto che alla prima pubblicità ho telefonato a Marcello, anche lui molto gasato, per assicurarmi che lo stesse registrando, dato che io non avevo ancora il videoregistratore. Corey Webster è un ragazzo americano che una mattina si sveglia e si lancia in skate giù dalla finestra di casa atterrando su un bank che c’era sotto. da lì comincia il suo viaggio in skate e autostop verso Los Angeles dove si disputa un’importante e cruenta gara di discesa dalle colline: la down hill, detta anche Corsa al massacro. per strada Corey fa delle session da restarci male: grinda e slidea muretti e marciapiedi, olla e fa boneless e powerslide a destra e a manca, ammicca alle pattinatrici in bikini e chi più ne ha più ne metta... arrivato a destinazione viene ospitato da un gruppo di amici skaters che hanno appena terminato di costruire una rampa verticale. COPING
Corey è il primo a collaudarla, e anche lì ci dà senza ritegno e la session si anima tanto che una cifra di gente si ferma a guardare. insieme i ragazzi si divertono un sacco e vanno in giro a streettare e far casino, ma ben presto entrano in scena i cattivi di turno, che ovviamente non potevano mancare: trattasi della temibile Banda dei coltelli, capeggiata dal Gancio: tutti in jeans strappati e t-shirt nera, con le tavole nere con un pugnale disegnato sotto. ma a Corey non gliene può fregare di meno che Venice Beach sia zona loro, e si spara un paio di tricks sul loro quarter scatenando le ire del Gancio. la rivalità tra i due si acuisce ulteriormente quando Corey si innamora di una bionda da paura, la quale non poteva che essere la sorella del Gancio: Crissy, vista la prima volta a Venice e poi ad una festa esagerata dove suonano i Red Hot Chili Peppers... quindi amore contrastato e conseguenti atti di viltà consumati dai Coltelli ai danni di Corey e i suoi amici: il Frate, il più vile dei Coltelli, che getta le puntine nella bowl dove Corey stava disputando un’ottima gara, e ne 24
causa l’infortunio; e infine l’incendio doloso della nuova rampa dei locals. Corey però viene notato dal famoso produttore di tavole Mondo e di ruote che resisterebbero a una guerra nucleare, il quale a un certo punto gli pronuncia la mitica frase: vinci la down hill e correrai per la Smash Skate! per questo è molto gasato e di sera va a prendere furtivamente Crissy alla base dei Coltelli, dove c’è gente che skatea persino sopra il tetto, e se la porta nel camper dei suoi amici dove le mostra la grafica che lui stesso ha dipinto sulla sua nuova tavola. si tratta di un grosso ragno che stringe una biondona tra le zampe, immagine che turba molto Crissy, la quale si chiede quale mai sia la ragione di tanta aggressività. ma dopo aver guardato Corey negli occhi, Crissy sta già pensando ad altro e gli dice: e se fossi aggressiva io, adesso, subito... (seguono scene d’amore molto imbarazzanti in cui però non si vede neanche una tetta). il Gancio intanto si rode il fegato perché non sopporta che Corey venga da una riserva indiana, dato che oltre tutto è anche un bastardo razzista, e quindi lo sfida ad una lotta 25
notturna in skate in un grande canale di cemento, dove il nostro eroe si prende un bel po’ di legnate. però, sia pure con le ossa mezze rotte, Corey non rinuncia al suo sogno di vincere la difficilissima Corsa al massacro, e per questo stringe i denti e va ad allenarsi a scendere a palla giù dalle colline. arriva il gran giorno della gara e la discesa è talmente incazzata che prima o dopo cadono tutti, tranne Corey e il Gancio, che si disputano la corsa in un testa a testa mozzafiato. ovviamente vince Corey che, arrivando giù a una velocità spropositata, prende una jump enorme e fa un volo di qualche decina di metri, atterrando in mezzo al pubblico in delirio, dove lo aspetta il capo della Smash Skate che lo sponsorizza all’istante, e poi arriva anche il Gancio a stringere la mano al suo avversario, perché dopo la sconfitta capisce miracolosamente di essere stato cattivo per tutta la pellicola. limonata idilliaca di Corey vincitore e Crissy innamorata: e vissero tutti felici, skaters e contenti.
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finito il film, avrei voluto che non ci fosse la notte in mezzo, per andare subito a skateare! il giorno dopo, io e Marcello tutti gasati abbiamo skateato in modo diverso: anziché fare singole manovre su una stessa transizione, abbiamo provato a distribuire i pochi tricks che conoscevamo lungo dei percorsi, come ad esempio partire dalla prima duna del marciapiede e arrivare alla jump giù dalla discesa del magazzino, chiudendo più manovre possibili. rendersi conto che skateare così non era per niente facile, inizialmente ci ha smontato, ma poi abbiamo cercato di concludere i percorsi anche commettendo degli errori, come si vedeva nelle scene del film in cui i ragazzi streettavano tutti insieme e ogni tanto qualcuno cadeva, ma si rialzava subito e continuava a seguire gli altri. comunque quel film ci ha insegnato qualcosa di nuovo e alla sera, distrutti, ci siamo messi a disegnare ragni e ragnatele sulle nostre tavole...
5. il capannone della nautica comincia la scuola e arriva l’inverno, e cambiano un sacco di cose. io e Marcello frequentiamo scuole diverse in paesi diversi, c’è tanto da studiare e ci vediamo molto meno. però vengo a sapere che nella zona industriale di Porto Marghera c’è un negozio di prodotti per la nautica che vende anche skate. un fine settimana i miei mi portano lì e i proprietari ci mostrano una cosa strabiliante: in un capannone dietro al negozio hanno costruito una rampa bella grande tipo quella dei ragazzi del film e una piccola area street con altre strutture! primo ingresso allo skatepark della nautica: entro con il mio California Pro sottobraccio. non faccio neanche in tempo a guardarmi intorno e vedere i disegni sui muri e sulle rampe che arriva uno skater come me che mi dà la mano e mi dice: ciao io sono Pippo, che tavola è? quante tavole olli? – è un California Pro e una volta ho saltato quattro tavole. 28
Pippo chiama altri due tipi e dice: oh, lui dice che olla quattro tavole! e uno di loro chiede: sì, ma quattro tavole messe come? – a Jesolo ho ollato quattro tavole in lungo messe giù da un gradino... Pippo: ah, ma no! io intendevo quante tavole olli messe in piedi incastrate coi trucks... così ho conosciuto i locals della nautica e li ho guardati girare nel loro spot: si muovevano già bene sulle rampe e usavano skate professionali. ho skateato un po’ con loro e ho capito che la strada per progredire passava sicuramente di là. poi in negozio ho guardato tutte le tavole fighissime che c’erano appese al muro, e i trucks e le ruote e tutti gli accessori. a Natale di quello stesso anno io e Marcello ci siamo fatti regalare finalmente uno skate professionale, acquistato alla nautica di Marghera. il mio set up era: tavola Tony Hawk street 29
nera con l’aquila viola piccola sotto e la sua firma, trucks Indy e ruote Rat Bones. inoltre rails e tail guard di plastica gialla, e paratrucks in carbonio. (para-coda e para-trucks li ho tolti dopo pochi giorni, quando ho realizzato che davano più fastidio che altro...) set up di Marcello: tavola Ray Barbee con la grafica del pupazzo con le carte, e anche lui Indy, Rat Bones e tutto il resto. skateare con quella roba era tutta un’altra storia! si andava da dio e ci divertivamo un sacco. e ci facevamo anche le foto per vederci in azione. ben presto però Marcello ha smesso di skateare, perché ci vedevamo molto poco per varie ragioni, a cominciare dalla scuola e dal calcio, che lui praticava da tanto e io invece da un paio d’anni appena, solo perché il paese non offriva di meglio: e non mi piaceva per niente. poi Marcello ha cominciato a frequentare altri giri di ragazzi con cui ascoltava musica da discoteca che mi dava i nervi. ho mollato il calcio come slegarmi una pietra dal piede, lasciandomi alle spalle le fatiche immani e i geloni ai piedi degli allenamenti 30
invernali, le sfuriate degli allenatori in spogliatoio e tutte le tensioni assurde legate alle partite di un campionato che non mi interessava molto di vincere. ho continuato a frequentare la nautica i fine settimana e ho conosciuto nuovi skaters di Mestre e di Treviso, mentre con Marcello ci siamo visti sempre meno. sono skateato inesorabilmente via dal piccolo paese dove passavo i pomeriggi da bambino, in cerca di nuovi mondi da esplorare con la tavoletta sotto i piedi.
6. la rampa di treba la rampa di Trebaseleghe era strapiena di scritte e disegni colorati. è stata la prima vert ramp che ho visto dal vivo in vita mia, e non c’era il coping, ma tanto nessuno ci sapeva arrivare, fino al coping, all’inizio. allora è stata tagliata e abbassata, ed è diventata una mini di circa due metri dove gli skaters hanno cominciato ad imparare a skatearla come si deve. 31
SKATEMANIA era la scritta più grande, di colore viola acceso, che si poteva leggere sul lato esterno della rampa. skatemania è quello che ho vissuto all’inizio degli anni novanta: una passione contagiosa per lo skate che è partita dagli Stati Uniti (dove era già una realtà con una storia alle spalle) e attraverso video promozionali e riviste si è diffusa anche in Italia, prima nei principali centri di Milano e Roma, e da lì, attraverso le riviste italiane nate tra la fine degli ottanta e i primi novanta, si è propagata in ogni piccolo paese sperduto delle province italiane, come quello in cui ho sempre vissuto. così è successo che gruppi di ragazzi assatanati di skate hanno cominciato ad incontrarsi nelle piazze, pubbliche o private, più adatte per skateare, e intorno alle strutture volute e realizzate dai gestori di negozi di articoli sportivi che per primi hanno cominciato a vendere skateboards importati dall’America. arrivo a Treba in macchina con mio padre e dal finestrino vedo la sagoma gigante della rampa. 32
avvicinandomi vedo che c’è un ragazzino in skate che va su e giù. guardo il tutto strabiliato e dico immediatamente: ma pa’, quello non ci sa andare! bisogna partire da sopra e fare i salti fuori dai bordi, non andare solo su e giù come fa lui! usavo ancora il California Pro ed ero convinto di arrivare lì, salire sulla rampa, cacciarmi giù dal coping e cominciare a volare come Corey nel film. arrivato vicino alla rampa mi è toccato cambiare idea immediatamente... ma solo provando a spingermi sulle curve partendo dal basso ho realizzato l’infinità complessità del tutto! girare in rampa era diverso da tutto quello che avevo imparato in skate fino ad allora. la curva ha i suoi tempi e bisogna rispettarli: capire come e quando spingere sulle gambe per prendere velocità, altrimenti dopo due su e giù ci si trova di nuovo fermi in mezzo alla rampa. uno dei gestori del negozio che era lì vicino alla rampa mi ha detto che il mio skate aveva le ruote lente e quindi spingere risultava più faticoso, mi ha fatto provare la tavola dell’altro ragazzino che stava ska33
teando ed effettivamente andava molto più veloce. ho skateato nella rampa per un po’ cercando di pompare il più possibile senza fermarmi e poi ho provato le altre strutture poste nel piccolo piazzale sul retro del negozio. anche a Trebaseleghe come a Marghera si erano incontrate la skate-domanda e la skate-offerta. l’offerta dei negozianti che per incentivare le vendite dei nuovi prodotti costruivano le prime rampe e strutture da street, e la domanda dei primi skaters in cerca di luoghi adatti per divertirsi in santa pace con la tavola a rotelle. ma le strutture dei negozi non erano certo l’unico punto di incontro degli skaters, che hanno imparato da subito ad individuare i luoghi più adatti per skateare, ragione per cui orde di giovani skateanti hanno cominciato ad invadere il parco della Bissuola a Mestre, in quegli stessi anni, prendendo d’assalto i cubi di cemento e le discese e le scalinate e i prendisole a forma di piramidi, così spesso inutilizzati. idem per il grande parcheggio del supermer34
cato Silos di Treviso, completamente vuoto di domenica, con i cancelletti gialli portacarrelli, lunghi e bassi: perfetti per scivolarci sopra con lo skate, per essere slideati dalle nostre tavole affamate di bordi scivolosi.
7. il parco della bissuola il capannone della nautica a Marghera, il parco della Bissuola a Mestre, il parcheggio del Silos a Treviso, le strutture del negozio di Trebaseleghe: questi i primi posti dove andavo a skateare nei primi anni novanta. c’erano sabati invernali freddi o piovosi in cui il capannone della nautica esplodeva di gente e solo i migliori riuscivano a skatearselo e davano spettacolo, come Paolo Busetti, capo indiscusso delle rampe di Marghera e Treba, che faceva lunghe session di airs, hand plants e liptricks di ogni genere: tutti ne parlavano, qualcuno ne criticava lo stile, ma nessuno riusciva effettivamente a stargli dietro (e infatti ha vinto lui il primo contest di mini a Trebaseleghe, nel 1990). 35
il capannone in quei giorni era fantastico! con i materassoni di gomma piuma addossati al muro di fianco alla rampa, per non spetasciarvisi contro, con la scritta SKATE rossa con il teschio nero. un casino di tavole che sbattevano ovunque, di trucks che grindavano i coping e di YEAH urlati ad ogni trick chiuso. lì ho droppato la mini per la prima volta, incoraggiato dai più grandi, e mi sono smaltato a terra di cattiveria; mi sono alzato dolorante e l’ho fatto una seconda volta arrivando giù con la coda che strisciava per terra, e la terza volta l’ho chiuso come si deve, tutto contento tra gli yeah degli altri. lì ho anche scoperto che nei giorni di sole si skateava al parco della Bissuola, e un sabato mia madre mi ci ha accompagnato. arrivando in macchina ai piedi dei palazzoni popolari mi pareva di essere capitato nel posto sbagliato, ma mi sono ricreduto subito, quando ho visto due ragazzi grandi, uno bianco e uno nero, che provavano dei tricks insieme. ho salutato mia madre preoccupata di la36
sciarmi da solo in quel posto sconosciuto e li ho seguiti in skate scoprendo così le meraviglie del parco: scivolare veloce giù dalla prima discesa di sasso lavato che porta al terreno liscissimo del campo di pallavolo, dove i locals avevano piazzato una jump bella potente che spingeva un casino; percorrere il lungo viale alberato guardando sulla destra le piramidi di pietra rossa che sembravano non aspettare altro che di essere skateate; sbucare infine sulla grande piazza con i cubi e le gradinate dove ho rincontrato gli skaters della nautica e ne ho conosciuti di nuovi. tutti questi ragazzi di età diverse, più o meno simpatici, più o meno bravi, ognuno con il suo carattere, ognuno con il suo stile; i più piccoli a fantasticare sull’abilità dei più grandi; tutti vestiti colorati e trasandati come si vedeva nelle riviste, alcuni con il grip tagliato a ragnatela come Corey nel film, altri con il pugnale disegnato sotto la tavola come la banda dei coltelli: tutti lì a skateare e parlare di pro e di manovre, di video e riviste; a provare la figura più bella dalla jump, il wheelie più lungo sui cubi, il trick più innovativo e difficile in flat. 37
tutti lì senza pensare ad altro che a skateare per infiniti sabati pomeriggio nei primissimi anni novanta, con gli adesivi attaccati ovunque, con scritto sopra, nero su bianco, la frase mitica: SKATEBOARDING IS NOT A CRIME! così, provando fs air 180 dalla jump, ho conosciuto un tipo coi capelli lunghi che assomigliava a Luky Luke e abitava a Treviso, e abbiamo scoperto di frequentare la stessa scuola.
8. i locals, le crew e chi spacca di piÙ Luky Luke è un tipo simpatico e si chiama Felice, ci vediamo ogni tanto a scuola e ci si becca spesso in giro a skateare nei soliti posti. con il passare del tempo la scuola mi stressa sempre di più. ho scelto ragioneria perché volevo iscrivermi al conservatorio dato che strimpello il piano e le tastiere, ma non avevo studiato 38
abbastanza musica e quindi avrei dovuto darmi un sacco da fare per superare gli esami di ammissione e non sopportavo i classici esercizi che i prof mi obbligavano a fare per imparare a leggere la musica. così ho scelto una scuola qualsiasi evitando i troppo impegnativi licei e sono finito a compilare finti assegni e risolvere problemi di matematica attuariale tra gli imponenti muri dell’ITC Riccati di Treviso. in questo modo, skateare il sabato diventa per me una necessità vitale come respirare. e per distrarmi un po’ dagli studi economici orrendi continuo a suonacchiare per i fatti miei le tastiere e programmare il sequencer. skateo anche qualche mezz’ora prima di cena nella sala da ballo dei miei zii, dove imparo i tricks da flat, su un terreno scivolosissimo spesso cosparso di borotalco dai maestri della scuola di ballo, e lì vado avanti e indietro in pochi metri quadri e provo tutto solo i flat tricks che vedo nei video, oppure mi ollo via le sedie e i divanetti e grindo il bordo del palco. 39
frequentando tutti i sabati i principali skate spot della zona, mi rendo conto che ogni spot ha i suoi locals, ogni paese le sue crew e ogni crew i suoi skaters più spaccusi: Paolo è il capo delle rampe, ha uno stile molto da vert e per questo dà il meglio sulle mini alte. a Mestre Pippo è il primo ad imparare i tricks più innovativi, skatea street tecnico e ci sa fare anche sulle curve piccole, mentre Manu è il re delle jump e impressiona con airs alti e contorti. il fenomeno di Treviso è invece Enrico Biffis che ha talento da vendere sia in street che in mini ed è innovativo e veloce, mentre tra i padovani si distinguono il Crazy per lo stile inconfondibile e le manovre tendenzialmente old, e il Saggio per la velocità e la consistenza con cui skatea street peso, muretti gradinate rails, e per gli olloni sulle curve. al primo contest della zona, a Trebaseleghe, nel 1990: Paolo vince in mini, Crazy in street A, e in street B si piazzano primo Biffis e secondo Pippo. ma intorno ai capi delle varie crew c’è una selva di altri skaters, ognuno con un ruolo e ognuno ugualmente importante per il gruppo: alcuni magari meno talentuosi nel40
lo sport ed interessati ad altri aspetti della cultura di strada, alla musica o ai graffiti; altri più giovani che crescono guardando i più bravi; altri che contemporaneamente skateano e tengono i contatti con le riviste fotografando e scrivendo articoli, realizzando piccole mappe degli spot e resoconti degli eventi che poi gli skaters di tutta Italia possono leggere sui giornali ed invogliarsi magari a fare altrettanto nei loro paesi: e così cresce la scena. il contest è di certo un evento importante ma lo skateboarding va ben oltre le classifiche di gara, ciò che più conta è incontrare gli skaters dei paesi vicini e divertirsi insieme imparando nuovi tricks. tramite Felice conosco altri skaters di Treviso e ci incontriamo un pomeriggio al parcheggio del Silos strapieno di gente riunita lì per skateare insieme. qualche mese più tardi mi aggrego ai Trevigiani per una fotosession a Lignano Sabbiadoro, a cura di Beppe, uno skater padovano che fotografa e scrive articoli per la rivista Skate and Snow Board. ci accompagna in macchina Arrigo, punk rocker e skater del41
la prima generazione, e giungiamo alla meta dove incontriamo i padovani. skateiamo street tutti gasati dalla presenza della macchina fotografica di Beppe e dai nuovi fighissimi spot: il piazzale del supermercato Epam con le panchine di marmo liscio dove Saggio ci dà di nosewheelie; la discesa straincazzata che porta ai garages di un palazzone dove il Biffo si spara sad to fakie improbabili; i cancelletti ferma posto e i pilottini di marmo da grindare e slideare; e infine il bank to wall dell’arena e la scalinata da sette che sempre il Saggio si mangia in olloni grabbati e tirati.
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trascorriamo un pomeriggio stupendo in una Lignano invernale deserta e l’architettura della città, le forme delle piazze e dei luoghi più impensati, progettati per le esigenze della vita di tutti i giorni, diventano teatro delle nostre session. monumenti al nulla come un parcheggio vuoto o una piazza o una gradinata deserte acquistano significati inediti sotto i colpi delle nostre manovre: si fanno skatepark sotto le nostre ruote.
9. tha spastegon prot-eam vivere in campagna tra Mestre e Treviso, più o meno alla stessa distanza dai due centri, mi ha portato ad entrare in contatto da singolo individuo con le due diverse scene skate sentendomi inizialmente un po’ alieno da entrambe le parti. poi, studiando a Treviso, ho intensificato i contatti con i trevigiani e naturalmente, quasi senza accorgercene, abbiamo dato vita ad una vera e propria crew. uscivamo a skateare insieme ogni sabato e ogni giorno di vacanza, sempre in cerca di nuovi spot: alla scuola elementare di Pre43
ganziol, piena di muretti, panchine di marmo e gap su fondo di cemento liscio e asfalto, e davanti al nuovo municipio di Dosson, contornato di piccoli banks. ma la cosa migliore era allontanarsi un po’ da Treviso, usando i mezzi pubblici, dato che nessuno guidava, principalmente verso il parco di Mestre e soprattutto verso Bassano, che aveva una sua piccola scena di locals simpatici, uno skateshop con relativa mini bassa molto facile e divertente, e una serie di street spot interessanti. incontrarsi alla stazione, salire in treno con gli skate sotto braccio e parlare di mille cazzate durante il viaggio, poi giungere alla meta e passare ore di divertimento skateando con i locals in giro per la città era il nostro modo per ricaricarci dopo una settimana di studio e per distrarci dai problemi di tutti i giorni: trascorrevamo ore spensierate condividendo non solo la passione per lo skate, ma anche parlando dei nostri diversi interessi, di musica e di arte. cosÏ, sabato dopo sabato cresceva sempre piÚ il piacere di stare insieme e la coscienza di essere un gruppo. ogni sabato al ritorno da scuola i nostri te44
lefoni di casa diventavano incandescenti: io chiamo quello, tu chiami quell’altro e poi ci becchiamo lì a quell’ora per prendere quel treno... ma dove si va questa volta? uno preferisce da una parte, uno dall’altra ma alla fine si trova sempre un accordo, si perde qualche treno per aspettare i ritardatari e si arriva allo spot sempre troppo tardi, accomunati dalla voglia di skateare oltre ogni limite. nasce così lo Spastegon team, o meglio ancora prot-eam (dove prot è l’onomatopea di scoreggia, sia chiaro!), nome bizzarro che ci siamo dati in quel periodo: di composizione estremamente variabile, ma con i seguenti membri fissi, che resteranno tali negli anni seguenti: Felix e Guido: fratelli, il primo più vecchio di qualche anno del secondo. litigano tutto il giorno con rari momenti di tregua durante le skateate, quando non si sfidano a chi spacca di più. Felix è il più vecchio e responsabile, quasi un team manager, praticamente lo zietto del gruppo che per primo si farà la patente e ci scarrozzerà in giro per nuovi remoti spot. 45
Guido skatea come un folle, inizialmente è sempre per terra e torna a casa con i vestiti sporchissimi e strappati, perché prova manovre assurde che progressivamente impara a chiudere con grande stupore di tutti. una volta, a Bassano, si caccia giù da una gradinata estendendo un sad con le gambe parallele in stile Mat Hensley, come nessuno di noi mai era riuscito a fare, però si spetascia inspiegabilmente a terra. rialzatosi subito dopo dichiara: era così bello vedere la mia ombra in sad tirato che mi dispiaceva mollare la tavola per atterrare... voglio restare in sad per tutta la vita! altra volta: Guido skatea senza ritegno mentre Felice va a comprare una boccia di coca al supermercato. al momento di lasciare lo spot per prendere il treno, Guido la ficca nello zaino senza chiudere bene il tappo e giunto alla stazione realizza di aver inzuppato i ricambi suoi e del fratello. tutti si piegano in due dalle risate, tranne Felice che senza proferire parola spacca a metà la tavola di Guido con una scarpata. in segno di sfida Guido la raddrizza alla meglio e comincia a skateare come se nulla fosse, chiudendo manovre a raffica mentre insul46
ta il fratello. non si sa come, la tavola non si spezza e il folle chiude la session con un sad più tirato che mai, urlando: tieni! questo è per te! brutto pezzo di merda!!! Andrea: testa tonda e sorriso smagliante nonché risata piratesca, è l’avanguardia del gruppo dato che impara per primo i tricks tecnici all’ultimo grido visti nei video. è il primo a ricevere tavole gratis come sponsorizzato dallo shop bassanese e dà il meglio in street puro che preferisce di gran lunga alle curve. Mr Love: fico bello fotomodello, carnagione olivastra capello lungo, origine sud americana, skatea street e strutture, sciupa femmine, dimentica ovunque il portafogli e gli viene la diarrea appena prende freddo. infine ci sono io, folgorato dallo stile del pro americano Christian Hosoi, capello lungo come il mio idolo, molto amante degli skatepark delle jump e degli ollie grabbati, nonché della demenza intesa come atto consapevolmente liberatorio. questa la cricca di skaters a cui se ne aggiungono vari altri in momenti diversi tra cui anche il Biffo che ci degna ogni tanto della sua 47
presenza facendoci sbiancare ogni volta con la sua abilità fuori dall’ordinario.
10. bologna e viserbella a momenti la scuola mi sembra un mostro che si vuole mangiare tutto il mio tempo. perché questo non accada devo muovermi veloce. allora le rotelle sotto i piedi mi servono proprio, mi sono necessarie. le mattinate passano grazie alle materie che mi piacciono e agli insegnanti che stimo. per il resto riempio il diario di foto di skate ritagliate dalle riviste e skateo i libri con un portachiavi a forma di skate su cui ho applicato pure il grip, faccio i tricks con le dita e uso il banco come uno skatepark in miniatura. anche l’amore per una mia compagna di classe mi fa stare bene: ha un anno più di me, è ripetente ed è più alta di me.
quando c’è un solo posto per sedersi, sto io in braccio suo, perché ci viene più naturale di fare così, date le proporzioni. ci scriviamo bigliettini nei momenti vuoti delle lezioni o ci scambiamo i diari, passiamo insieme la ricreazione e chiacchieriamo percorrendo la strada verso la stazione delle corriere. ci baciamo sulle scale, nelle aule vuote e nei bagni della scuola, in stazione, sulle panchine dei giardinetti. è così bella e grande, e mi piace parlare con lei. i pomeriggi studio sempre a casa da solo. suono un po’, skateo qualche mezz’ora in sala verso sera. il sabato torno a casa mangio e mi cambio mentre chiamo e rispondo al telefono che suona duemila volte, fin che si trova un accordo e riprendo la corriera per andare finalmente a skateare allo spot stabilito. sentire i miei compagni di classe il lunedì che parlano di discoteche mi fa venire mal di pancia. 49
la corriera strapiena che li porta tutti agghindati verso quei grandi cubi di cemento fumosi e pulsanti dove si rinchiudono ogni fine settimana mi sembra la carrozza che porta Pinocchio e Lucignolo al paese dei balocchi dove si trasformano in asini. penso che non voglio passare dalla prigione della scuola a quella della disco e non voglio restare intrappolato in questa catena. per carità: skateo via più veloce della luce! così, un fine settimana lo Spastegon team va in trasferta due giorni a Bologna. seguiamo l’invito dell’amico bassanese Occhiale che va spesso a skateare lì, dove abitano i suoi nonni. è la prima volta che passo una notte fuori con i miei amici e già in treno rompo le palle a tutti perché troviamo un posto per dormire appena arriviamo in città ma nessuno mi bada perché sono invasati di skateare in un posto nuovo e tempestano Occhiale di domande sugli spot bolognesi. sceso dal treno, la città mi sembra una giungla incasinata e per non perdermi mi attacco al serpentone di skaters con Occhiale in 50
testa, fin che si arriva al primo spot: i giardini Margherita. inutile parlare di posti per dormire, si skatea tutti senza pensieri e presto ci si sposta in autobus verso un ufficio postale di periferia dove skateano i locals. il pomeriggio passa in un baleno streetando con loro, e la sera, col buio, non abbiamo ancora stabilito dove passare la notte. a questo punto Occhiale chiede consiglio ai suoi nonni che gentilissimi ci ospitano tutti in blocco! dormiamo io Love e Felice su un letto matrimoniale e Andrea su un letto singolo dato che si è slogato una caviglia (Guido non c’è per qualche ragione). scoreggiamo sonoramente e ridiamo per questo prima di crollare addormentati. svegliati e colazionati sempre grazie ai gentili nonni Occhiali ci rimettiamo in treno e si parte per Viserbella insieme ai locals come deciso la sera prima. sempre gasati di vedere un altro posto nuovo giungiamo in questa piccola località di mare semideserta dato che è una domenica di marzo: c’è il sole, l’aria buona e skateiamo in gruppo dalla stazione 51
verso lo skatepark visto in foto sui giornali. il mare e la città mi scorrono veloci a lato mentre ollo ogni irregolarità del terreno per evitare di andare giù di bocca con lo zaino in spalla e tutto. e sono strafelice di sentirmi libero skater e non discotecaro inscatolato! le strutture da street sono facili e divertenti al centro di un’area contornata da una micro a spina, una mini bassa e una alta: ce n’è per tutti i gusti e l’adrenalina sale man mano che si anima la session. ad un certo punto fanno il loro ingresso tre skaters che in breve ci lasciano tutti di sasso. e chi l’avrebbe mai detto? il meno promettente di loro, in tuta da ginnastica verde pisello e occhiale spesso che sembra un incrocio tra Woody Allen e il ragionier Filini, spacca senza ritegno! gira a velocità doppia rispetto al migliore di noi e ha un bagaglio di tricks di tutto rispetto per ogni struttura, dal funbox alla mini alta, senza dire che prova improbable salendo sul funbox (come gli streeters più innovativi dei migliori video americani) e bs nollie kick tailgrab uscendo dal wallride, trick che ho visto fare soltanto da Steve Cab in foto. non c’è dubbio che 52
l’abito non fa il monaco! e girano bene anche i suoi amici, di cui uno sempre occhialuto e molto bambino che olla sulle curve come una cavalletta. ma chi sono questi? Giovanni Morri e i suoi amici, ci informano i bolognesi: un nome che ritroveremo spessissimo sulle riviste e nei primi video italiani di Totally Skate, negli anni successivi...
ma quanto è bello, dopo aver skateato le migliori ore del pomeriggio, sedersi in spiaggia al tramonto e sfondarsi di crackers panini patatine merendine e altre cazzate comprate il giorno prima al supermercato? e spaccarsi pure dalle risate rievocando le migliori scene del giorno precedente, come Andrea che fa la cacca sui binari e io che cerco di 53
addentare un trancio di pizza mentre ollo e quello mi cade a terra e ci passo pure sopra con le ruote restando a bocca asciutta... queste le gioie delle nostre giovani vite di skaters trevigiani in trasferta a Viserbella. salutiamo tutti e torniamo a casa sfasciati, addormentandoci in treno con la bolla che esce dal naso, come nei migliori cartoni giapponesi.
11. due giorni memorabili luglio 1991: come sempre sono in vacanza a Jesolo e skateo ogni giorno l’arena e altri spot con i locals e gli skaters vacanzieri. so che il 15 c’è un contest a Lignano Sabbiadoro e chiedo a tutti se ci vogliono venire ma nessuno può o a nessuno gliene frega nulla, compresi i compagni dello Spastegon, ognuno perso per la sua estate. fanculo! se aspetto gli altri marcisco qua: prendo la corriera e ci vado da solo. a Lignano c’ero già stato l’estate precedente e mi era piaciuto un casino. 54
c’erano tutti gli skaters che conoscevo attraverso le riviste, mi pareva impossibile averceli tutti a portata di mano, mi trovavo in un mondo che fino ad allora avevo visto soltanto in foto, e questo mi entusiasmava. in mini: i frontside roastbeef puliti di Geppo, le session varie e complesse di un giovanissimo Giorgio Zattoni e lo stile potente di Paolo Nelzi, che consideravo una specie di eroe per quanto mi erano piaciute le sue foto di vert sui giornali. in street: lo stile di Jena, che mi ricordava molto il pro americano Ron Allen nei video BBC e H-street, la velocità di Matteo Storelli, i sad di Pilutza e i contorcimenti dalla jump di Edo Tagliavini... immagini che si sono impresse a fuoco nella mia mente di quindicenne invasato di skate e assatanato di manovre. così a fine gara mi sono lanciato a skateare con loro in mezzo a quella bolgia e non era per niente facile, dato che arrivavano da tutte le parti a gran velocità per fare i tricks più pesi e guadagnarsi l’attenzione dei fotografi schierati ai piedi delle strutture. quel giorno ho deciso che l’anno prossimo mi sarei iscritto anch’io al contest. 55
nel frattempo ho partecipato a due piccole gare a Scorzè e a Marghera dove ho imparato a selezionare le manovre che chiudevo con più sicurezza e distribuirle nel breve tempo delle run: al primo contest non mi sono neanche qualificato per la finale, mentre al secondo mi sono piazzato quarto in categoria B.
così sono arrivato a Lignano con il desiderio maturato un intero anno di iscrivermi al contest e dare il massimo. lo spettacolo che mi si è presentato davanti agli occhi è stato indimenticabile: al posto delle vecchie strutture rattoppate e appros56
simative c’era un nuovo fighissimo skatepark appena ultimato, con una bowl di legno a fianco, ancora in fase di costruzione. ho skateato tutto il pomeriggio imparando a trasferirmi da una curva all’altra e provando le linee per la gara del giorno dopo. e ho passato la notte insieme a due amici incontrati allo skatepark, in una pensione a basso costo popolata soltanto da austriaci ultra sessantenni. in quei giorni a Lignano c’erano un sacco di pro che hanno inaugurato il nuovo skatepark con demo indimenticabili: Salman Agah, Max Shaff, Jason Rogers e Sluggo dei team Real e Evol hanno snocciolato i loro tricks davanti agli occhi di una quantità di skaters accorsi da tutta Italia per l’evento, ma anche dalle vicine Austria e Jugoslavia, senza contare gli skaters stranieri, principalmente tedeschi, che trascorrevano lì le vacanze estive. assistere a session di alto livello tecnico e vedere dal vivo chiudere tricks conosciuti soltanto attraverso i video ha fatto salire l’adrenalina di tutti gli skaters ed anche il contest si è rivelato entusiasmante. soltanto il tempo non prometteva nulla di 57
buono dato che nuvole minacciose si erano addensate sopra le nostre teste e dopo le qualificazioni qualche goccia di pioggia era bastata a seminare l’incertezza sulla possibilità di portare a termine la gara. ho skateato tenendo a mente le lezioni imparate nei due contest precedenti e sono riuscito a chiudere in run non solo le mie manovre preferite, prevalentemente da street, ma anche i tricks appresi appena il giorno prima sulle nuove strutture. qualificato per la finale di street B, la pioggia sembrava volermi rovinare la giornata, ma non ci è riuscita per niente, dato che le strutture si sono asciugate in tempo e la finale si è disputata al calar del sole. le due demo dei pro e il contest di A di un così alto livello, il senso di libertà che sentivo per essermi arrangiato da solo a giungere sul posto, provare le mie session e passare la notte fuori casa senza neanche i miei soliti amici che mi avevano un po’ deluso: quell’insieme di circostanze, e anche il superamento dell’incertezza finale causata dalla pioggia, mi hanno dato la forza per skateare al massimo delle mie possibilità. 58
ho vinto il contest di B portando a termine le run di ďŹ nale senza commettere alcun errore e sono tornato a Jesolo tutto felice con un paio di scarpe nuove ai piedi (primo ricco premio per la categoria B...) e il desiderio di continuare a skateare per sempre, o almeno ďŹ n che le gambe me lo avrebbero permesso.
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tailfazione dopo quel contest ne ho fatti molti altri ma lo skateboarding è rimasto per me sempre e soltanto un grande divertimento che si è affiancato a tutti gli altri miei interessi senza mai diventare un lavoro. ho skateato per piccoli sponsor e non ho mai vinto contest importanti, però in tutti questi anni la passione per lo skate non mi ha mai abbandonato e anche se col tempo molte cose sono cambiate, continuo ancora oggi a divertirmi e a provare le stesse sensazioni che provavo all’inizio: ogni volta che chiudo un trick stiloso o skateo una bella linea o imparo qualcosa di nuovo magari in un nuovo spot, insieme a vecchi e nuovi amici. non escludo che prima o poi per qualche ragione smetterò di skateare. ma per adesso, non ci voglio pensare.
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Roberto Cesaro (VE-Mestre, 1975) è laureato in lettere e ha collaborato con varie fanzine, giornali autoprodotti e riviste tra cui Space Cake e 06:00AM – Skateboard Culture Magazine. Nel 2003 ha partecipato all’antologia “9 poeti esordienti” (edizioniDN). Nel 2004 ha pubblicato il racconto lungo “Condominio Frontemare” (Auteditori). Vive in campagna con un gatto. Giovanni Donadini nasce a Treviso la prima calda domenica del luglio 1979, durante il GranPremio. Da allora cerca di svegliarsi presto la mattina, per disegnare o per giocare. Ama tuz tuz e la musica salterina, suona con la banda folk TheWithLove, stampa le t-shirts e si propaga nell’aere come la puzza.
indice
nose-duzione 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
in principio era il Variflex l’arena di piazza Aurora Andrea di Milano Thrashin’ – Corsa al massacro il capannone della Nautica la rampa di Treba il parco della Bissuola i locals, le crew e chi spacca di più 9. tha Spastegon prot-eam 10. Bologna e Viserbella 11. due giorni memorabili tail-fazione
5 7 11 16 21 28 31 35 38 43 48 54 60
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AUT EDIT ORI
a momenti la scuola mi sembra un mostro che si vuole mangiare tutto il mio tempo. perchĂŠ questo non accada devo muovermi veloce. allora le rotelle sotto i piedi mi servono proprio, mi sono necessarie. questa è la storia di quando ho cominciato a skateare, piĂš di mezza vita fa, nel 1989, quando Thrashin’ – Corsa al massacro veicolava sogni adolescenziali e la scena skate nel Veneto era appena nata. l’ho scritta perchĂŠ, come diceva il Leopardi, “la rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poeticoâ€?, e se fosse stato anche lui uno skater avrebbe sicuramente aggiunto che ricordare le prime skateate è una figata pazzesca che ci sta troppo dentro di cattiveria! Roby “hosoiâ€? Cesaro disegni di Giovanni Donadini *4#/
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