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Intervista
INTERVISTA Raphael Vieira de Oliveira
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O sete das maravilhas
ALBERTO CRISTANI E MATTEO ZANON
Il sorriso gentile e contagioso è il suo biglietto da visita. Poco importa se ha un curriculum ‘da paura’ (per chi non lo conoscesse consigliamo una sbirciata a Wikipedia…) e ha vinto praticamente tutto, ovunque. Raphael Vieira de Oliveira, per tutti semplicemente Rapahel (o Rapha), è uno sportivo che – pur non ‘di primo pelo’ – dimostra che la passione non ha età. Si può amare un pallone da pallavolo come quando si era bambini? È possibile esaltarsi ogni volta che il compagno mette giù una tua alzata? È normale emozionarsi la sera prima della partita? La risposta è sempre e solo ‘si’. Il primo capitano di Verona Volley è lui. E da lui la pallavolo veronese di serie A riparte, con una gran voglia di lottare, stupire, vincere ma soprattutto divertire. Perché Rapha è qui per questo.
Rapha sei arrivato da pochi mesi a Verona: come ti trovi nella nostra città?
«Benissimo! Verona è una città spettacolare. La conoscevo perché quando ero a Trento ci venivo spesso con la famiglia, per fare una passeggiata e per prendere un caffè in centro. Conoscevo piazza Bra e l’Arena, ma adesso che la vivo ogni giorno ho conosciuto posti bellissimi. Verona è una città molto organizzata, sempre pulita. Mi piace lo stile di vita dei veronesi. Poter fare una passeggiata tranquilla con la famiglia, vedere ogni giorno cose belle e storiche mi piace molto. In Brasile ho studiato tanto queste cose e ora vederle e viverle dal vivo è stupendo. Cosa posso dire di più? Io e la mia famiglia ci siamo letteralmente innamorati di Verona».
Come è nata la possibilità di venire a giocare nel Verona volley?
«Ero tornato in Brasile, dopo tanti anni in Italia, per tornare a vivere con la mia famiglia. L’Italia però mi mancava e in fondo al mio cuore speravo di poter ritornare a giocare nel campionato italiano, il più bello e difficile del mondo. Quando sono stato contattato da Verona ho pensato che era la possibilità più bella che mi poteva capitare e quindi ho accettato immediatamente. Conosco Rado Stoytchev, allenatore con cui ho vinto tanto, e altri giocatori quindi sono contento e sicuro di aver fatto la scelta giusta. Quello che mi ha colpito positivamente sin da subito è che nel Verona Volley non solo i giocatori lavorano intensamente ma anche tutti quelli che ci sono dietro le quinte.. Tutti lavorano insieme, tutti soffrono quando perdiamo, sono felici quando vinciamo ed è veramente bello respirare questo clima. Essere il primo capitano di questa squadra e di questa nuova società è un onore e una felicità molto grande. Spero di aver iniziato una storia bellissima nella pallavolo».
Verona ti è anche stata ‘suggerita’ da un tuo quasi omonimo…
«Si, è vero! L’ex portiere dell’Hellas Rafael è un mio amico e quando gli ho detto che avevo un’offerta da Verona mi ha detto di accettare subito. Mi ha parlato bene della città e dei veronesi; insomma mi ha detto che non potevo rifiutare!».
Per Verona questo campionato non sarà facile, i risultati purtroppo lo dimostrano. Però la squadra c’è, combatte e non molla mai...
«Siamo molto dispiaciuti per i risultati non positivi perché scendiamo in campo sempre e solo per vincere però. Stiamo ancora mettendo a punto i meccanismi giusti. Abbiamo una squadra giovane, stiamo imparando a vivere i momenti di pressione che questo campionato ti presenta ogni domenica. La cosa più importante è che la squadra, dopo ogni sconfitta, si mette subito a lavorare con grande determinazione per reagire. Questo è un bel segnale: significa che non ci piace perdere e, soprattutto, sappiamo che solo continuando a lavorare arriveranno anche per noi i momenti belli».
E il pubblico, che finalmente è tornato all’AGSM Forum, lo ha capito…
«Credo proprio di si. A Verona ci sono venuto spesso da avversario e ho sempre apprezzato la tifoseria gialloblu, molto calda e rumorosa. Per noi è importantissimo avere nuovamente vicino i nostri tifosi: per noi è come giocare in uno in più».
E la squadra come sta assimilando le sue indicazioni?
«Alcuni lo conoscevano già e quindi lo capiscono, altri non conoscendolo fanno un po’ fatica. Il mio ruolo di capitano mi consente di parlare e spiegare alla squadra cosa vuole il mister. Questo per me è molto bello. E comunque Rado sa semprecome farsi capire, con le buone o con le ‘cattive’…».
Raphael con la moglie Ana Paula e i figli Arthur, Vitor e Igor
Rado Stojcev è il comandante di questa squadra e il palazzetto è la sua casa. Tu che lo conosci bene, spiegaci che allenatore è…
«È unico. Ho avuto la fortuna di poter lavorare con lui per tanti anni e di aver vinto tanto insieme. Mentre mi preparavo per venire a Verona pensavo che forse l’avrei trovato cambiato rispetto agli anni di Trento, magari più tranquillo, più ‘appagato’. E invece l’ho trovato… peggiorato (ride n.d.r.)! Spinge ancora di più per avere una squadra vincente. Per vincere dobbiamo fare qualcosa di più degli altri: lui lavora molto su questo aspetto. È l’allenatore ideale per una squadra giovane che ha ancora tanto da imparare».
A 42 anni sei ancora anagraficamente giovane mentre, come atleta, fai parte della categoria ‘vecchietti’; cosa ti spinge ad andare ancora in campo?
«Direi soprattutto la passione. Amo la pallavolo, sport che mi ha dato tanto nella vita. Sono fortunato perché non mi sono mai infortunato gravemente e questo mi aiuta. Nel mio ruolo di palleggiatore non ho bisogno di tanta forza ma conta soprattutto l’esperienza. Quello che ora mi motiva di più è la possibilità di insegnare qualcosa ai giovani. Sto capendo qual è il mio ruolo all’interno della squadra, completamente diverso a quello di dieci anni fa. L’età conta ma comunque c’è sempre da imparare».
Quanto è cambiata la pallavolo da quando hai iniziato?
«Tantissimo. Oggi è uno sport più veloce e con giocatori potenti. Prima era uno sport molto tecnico; ora c’è un po’ meno tecnica ma molta più forza. Avendo fatto parte di questo passaggio di gene-
Raphael con la maglia della Nazionale Verdeoro
razione, riesco a vedere questi aspetti. Oltre a questo, c’è maggior differenza nell’uso della tecnologia, strumento che ci permette di avere tempi di recupero più brevi e di allungare, quindi, la nostra carriera».
Hai vinto tantissimo e il tuo palmares è pazzesco: vincere nello sport è fondamentale?
«Per me lo è. Ovvio che è fondamentale partecipare e lottare, però vincere è quello a cui tutti puntiamo. È la gratificazione che ci motiva sin da quando abbiamo iniziato a giocare. Io penso sempre a vincere: faccio un bagher, un palleggio, un recupero con la mente sempre rivolta a quell’ unico obiettivo».
La sconfitta però fa parte del gioco…
«Sicuramente. Chi vince ci riesce soprattutto perché ha imparato dalle sconfitte. Una squadra che perde e non si arrabbia non è una buona squadra. Al contrario una squadra che perde, si arrabbia e soprattutto si fa tante domande per capire dove ha sbagliato è sulla strada giusta. Soffrire e imparare dalle sconfitte è la cosa più importante».
Cambiamo discorso. Il Brasile è la patria del fútbol bailado: tu per quale squadra tifi?
«Flamengo, la squadra con la tifoseria più numerosa e importante del Brasile, formazione dove ha giocato il grande Zico, la nostra bandiera. In Italia tifo Hellas anche se, a dire la verità, ho tifato anche il Milan ma solo perché ha gli stessi colori del Flamengo (ride n.d.r.). Sono andato a vedere la partita Verona-Inter e mi sono divertito e innamorato di Veloso e compagni. Mi piacerebbe tornare al Bentegodi prima o poi…».
Curiosità: perché hai sulle spalle il numero 7?
«Avevo 12 anni e in Brasile facevo vari sport come calcio, basket, pallavolo. In quell’anno il Brasile aveva vinto il titolo Olimpico nella pallavolo. Mi sono innamorato di questo sport tant’è che come regalo di Natale ho chiesto ai miei genitori di portarmi a fare un provino di pallavolo a San Paolo. Eravamo in cinquemila e ne passavano solo cinque. Io sono passato e in quell’occasione mi hanno dato il 7, numero che mi ha portato fortuna e dal quale non mi sono mai più separato».
Cosa ti piace fare nel tempo libero?
«Stare con la mia famiglia, il centro della mia vita. Quando non mi alleno ne approfitto anche per passeggiare per Verona e stare con i bambini, con i quali mi piace giocare e guardare film. Stare con loro e con mia moglie è la gioia più grande».
C’è la possibilità che tu rimanga a vivere a Verona?
«Con mia moglie e i miei tre figli (italiani n.d.r.) stiamo pensano seriamente di rimanere a vivere a Verona. Spero di prendere la cittadinanza tra qualche anno e di riuscire a portare in Italia qualche familiare dal Brasile: sarebbe ancora più bello restare qui».
Cosa farai quando smetterai di giocare?
«Mi piacerebbe rimanere nel mondo della pallavolo. Fare l’allenatore? No, non fa per me. Però un ruolo dirigenziale credo potrebbe starci. È da trent’anni anni che mi sveglio ogni giorno pensando di migliorare, di vincere e di fare qualcosa di diverso per questo sport. Smettere di giocare e non pensare più alla pallavolo per me è inconcepibile. Spero che i miei figli possano giocare a pallavolo in modo da poter rivivere certe emozioni però con loro in campo».
Che 2021 è stato per te?
«Un 2021 da dimenticare per quanto riguarda la situazione legata al Covid. Nella parte sportiva e della famiglia, un vero e proprio sogno. Non immaginavo di poter tornare in Italia, di poter ancora cercare di costruire una bella storia nella pallavolo, nel campionato più bello del mondo, in una città dove si sta bene. A parte il Covid, per me è stato un anno speciale».
Se fosse possibile, cosa chiederesti al 2022?
«Prego ogni giorno che Dio ci dia la salute: con quella possiamo quello che vogliamo. Per quanto riguarda invece l’ambito sportivo-lavorativo vorrei veramente scrivere una bella storia a Verona insieme ad una società dove tutti si impegnano e lavorano con entusiasmo. Sarebbe davvero un bellissimo regalo».
Rapha con l'amico Osmany Juantorena
Rapha con l'indimenticato campione brasiliano Zico