UnicusanoUP Giugno 2016

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TESTATA COPERTINA SU FONDO TRASPARENTE

Allegato gratuito al numero odierno del

Numero 6 GIUGNO 2016

Ricerca

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La rivincita del pensiero concreto

Boxe

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Un affare da donne

Al sole

a h s a t a N nko

Vitamina D bastano 15’

e n a Stef

Sport, cibo e naturalezza. E il tempo non passa mai i.p. A CURA dell’università niccolò cusano e di sport network


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il pensiero concreto per ridurre lo stress testatina per le pagine interne DX

K Intervista alla ricercatrice

Jennifer Wild dell’Università di Oxford

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ensare in modo concreto protegge dallo stress derivato da un trauma. Uno studio congiunto dell’Università di Oxford e del Kings College di Londra ha dimostrato, per la prima volta empiricamente, che un’elaborazione concreta di un evento scioccante riduce i sintomi del disturbo post traumatico da stress. Questo significa che tutte le persone che lavorano in situazioni di emergenza potrebbero allenarsi in strategie che le proteggano dagli effetti negativi di un evento violento, quali depressione, ricordi intrusivi e ansia. A spiegarci meglio i risvolti di questo interessante studio è la ricercatrice Jennifer Wild, che ha condotto l’esperimento insieme con la collega Rachel White. Cinquanta volontari sono stati divisi in due gruppi. «Tutti adulti, sani e reclutati attraverso l’ateneo» racconta la ricercatrice di psicologia clinica all’Università di Oxford. Tutti quanti sono stati invitati a segnare il loro stato d’animo prima dell’inizio dell’esperimento. Ciascun gruppo, quindi, è stato istruito a guardare le scene scioccanti di una serie di film, tenendo in considerazione domande diverse: astratte per il primo, concrete per il secondo. Il fine dei ricercatori era quello di predisporre i volontari a due approcci di pensiero differenti.

L’elaborazione concreta di un evento violento può ridurre i sintomi del disturbo post-traumatico

una ricerca inglese sviluppata dagli atenei di oxford e londra

i più esposti La ricerca si rivolge soprattutto a chi lavora in situazioni di emergenza ed è esposto a eventi violenti Tra le categorie, la ricercatrice annovera operatori del pronto soccorso, soldati e giornalisti inviati in zone di guerra


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K A cura di Silvia Degni, professore

Cinema e psicologia

La paura arriva dal grande schermo I rapporti tra il cinema e la psicologia sono da sempre stati caratterizzati da un mutuo interesse e da un vicendevole scambio. La psicologia offre importanti spunti al cinema ma la stessa psicologia ha scoperto ben presto che l’opera filmica e le sue immagini comunicano con il singolo spettatore a livello sia conscio sia inconscio. L’influenza che il cinema esercita sullo spettatore si realizza attraverso i due meccanismi fondamentali della “pro-

iezione” e della “identificazione”. Così come affermava Musatti: «Per effetto dell’identificazione, lo spettatore è di volta in volta tutti i singoli personaggi, mentre per effetto della proiezione i singoli personaggi sono sempre lo stesso spettatore». Le emozioni suscitate dal cinema possono raggiungere elevati livelli di intensità. Musatti ad esempio ha descritto il fenomeno degli “attacchi di angoscia cinematografica”, ossia attacchi di paura intensa che si possono verificare in alcuni soggetti e che possono determinare veri e propri stati fobici. © Copyright Università Niccolò Cusano

L’approccio astratto impedisce di elaborare cosa ci accade Ci può spiegare meglio che differenza c’è tra domande concrete e astratte? «Le prime si concentrano tipicamente sul “come”: come si svolge l’evento? Come viene risolto? Le seconde sul “perché”: perché accade l’evento? Perché io? Perché ora? Sono due approcci di pensiero molto diversi». Al termine della visione, ciascun volontario ha segnato nuovamente il proprio stato d’animo. Ma non è finita qui. Ognuno di loro ha ricevuto un diario per registrare nel corso della settimana successiva i ricordi intrusivi inerenti a ciò che avevano visto. Il risultato è stato che chi aveva praticato il pensiero concreto è stato meno colpito rispetto a chi aveva praticato il pensiero astratto, provando sentimenti meno intensi di angoscia e di orrore già durante la visione del quinto film. Inoltre, nella settimana successiva

all’esperimento, i pensatori astratti provavano quasi il doppio dei ricordi intrusivi rispetto ai pensatori concreti.

di fronte a esperienze traumatiche attese, che potrebbero allenarsi in strategie per proteggersi dagli effetti negativi».

Dottoressa Wild, come lo spiega? «Il punto è che l’elaborazione astratta impedisce alle persone di elaborare ciò che sta realmente accadendo e questo probabilmente influisce su come la memoria codifica e richiama il trauma. Un ricordo disorganizzato del trauma è collegato a disturbi di stress post-traumatico».

Qual è il prossimo passo? «Alcuni gruppi professionali sono regolarmente esposti a traumi. Tali gruppi comprendono operatori del soccorso, giornalisti che lavorano in zone di conflitto e soldati, per esempio. Abbiamo voluto vedere se potevamo aiutarli a prevenire lo sviluppo di ricordi indesiderati. La ricerca ha dimostrato che l’adozione di elaborazione concreta, pur testimoniando il trauma, ha portato a un minor numero di sintomi di stress post-traumatico. Quindi ora il passo successivo è scoprire come l’elaborazione concreta possa aiutare a prevenire lo sviluppo di sintomi da stress in questi operatori che lavorano in emergenza».

Pensa che questa ricerca possa aiutare a sviluppare delle strategie di resilienza ai traumi? «Questo studio è il primo a dimostrare empiricamente che il nostro modo di pensare il trauma potrebbe influenzare i ricordi che abbiamo di esso. Questa potrebbe essere la base per migliorare la formazione e la resistenza delle persone

© Copyright Università Niccolò Cusano

associato della facoltà di psicologia Università Niccolò Cusano

unicusano vi spiega che...

DPTS, le cause e i sintomi Il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) si manifesta con un complesso corteo di sintomi di disagio che insorgono in persone che sono state esposte a uno o più “eventi traumatici” (guerra, aggressione fisica, violenza sessuale, attacco terroristico, tortura, disastri naturali, gravi incidenti automobilistici). Le persone affette da DPTS tendono a rivivere l’evento traumatico attraverso ricordi ricorrenti e intrusivi, sogni spiacevoli, esperienze dissociative. L’intenso disagio emotivo e fisiologico derivante dall’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che assomigliano in qualche aspetto all’evento originario, induce il soggetto a evitare tutto ciò che possa in qualche modo ricondurre all’evento e ad allentare i meccanismi di percezione degli stimoli e delle emozioni associati al trauma. Dal punto di vista delle reazioni fisiologiche e comportamentali si osserva un aumento dell’attivazione dell’organismo: irritabilità ed esplosioni di rabbia, comportamento spericolato o autodistruttivo, ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme, problemi di concentrazione, difficoltà relative al sonno. © Copyright Università Niccolò Cusano

lo studio La ricerca è la prima a dimostrare che il pensiero può influenzare i ricordi legati a un evento traumatico


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G

giugno li stereotipi presi a pugni come un

testatina per lenello pagine interne DXdi qualche sacco scantinato

periferia degradata, la rabbia che muove i suoi passi dal cervello scatenando muscoli e nervi colmi di adrenalina. Il pugilato, la “boxe”, arte nobile praticata sin dagli antichi greci, è da sempre metafora di vita dall’alto valore filosofico. Lo è ancora di più oggi, se chi sale sul ring si lascia alle spalle il suo ruolo di madre, moglie, compagna. Nel ring della vita, le donne combattono ogni giorno un incontro contro gli uomini, a casa e sul posto di lavoro, dove la campana non suona mai e la spugna non la puoi gettare. Cosa saranno mai quattro riprese da 2 minuti, senza colpi bassi e con un arbitro imparziale? Lo iniziano a capire anche le donne italiane. Da quando, nel 2001 i ministri Katia Belillo e Umberto Veronesi firmarono il decreto che legalizzò la boxe in rosa anche da noi, si sono iscritte alla Federazione Italiana Pugilato circa 600 ragazze. Ma sono quasi in 3.000 a praticare la boxe a livello amatoriale nelle palestre italiane. Per tutte, il modello è Laila Alì, la bella 42enne figlia del grandissimo Muhammad Alì e, ad oggi, la più forte pugilessa di “sempre”. Le italiane, in particolare, da oggi avranno due icone: Maria Moroni, 39enne, che nel 2001 diventò la prima donna pugile tesserata in Italia, e Irma “The Butterfly” Testa, soli 18 anni, che quest’anno ha compiuto l’impresa di qualificarsi alle Olimpiadi di Rio, prima azzurra a farcela. Mentre Irma si allena per l’importante appuntamento di Rio, è proprio la Moroni in queste settimane a ricordare quando era lei a sognare l’olimpo. «Ho fatto il mio primo match in Croazia, con tessera croata. Il secondo è stato in America, con tessera statunitense», racconta. Poter gareggiare da atleta in Italia è stata «davvero la fine di una discriminazione. Perché la boxe può piacere o no, ma devi dare alle donne la pos-

le azzurre Qui sopra, la 18enne Irma “The Butterfly” Testa. Al centro, la 39enne Maria Moroni impegnata sul ring

la boxe ora è un affare da donne dal 2001 a oggi il pugilato femminile italiano è diventato una realtà la storia di maria, vissia e irma sibilità di scegliere». La rivoluzione, nel 2001, passò dalla modifica di una legge del 1971 che prevedeva controlli sanitari solo per i pugili. «Chi vuole praticare il pugilato o discipline affini – aveva motivato il ministro Belillo – deve poterlo fare e nella massima sicurezza. Si tratta di abbattere un divieto arcaico e ingiusto». Come in quasi tutti gli sport, se gli uomini iniziano con il fervore agonistico già ben coltivato, per le donne la passione per la gara arriva piano piano. Quasi tutte iniziano dalla pre-pugilistica, surrogato efficace di palestra e “zumbe” varie. E per molte non è l’unica passione. Vissia, 30 anni, ha cominciato ad allenarsi solo tre anni fa. Ha 11 incontri all’attivo, di cui 8 vittorie e 3 sconfitte. La sua vita si divide tra la boxe e la musica: «Sono cantante blues e insegno canto - racconta - Combattere e cantare sono due attività primordiali e mi danno le stesse emozioni. Sfogare la rabbia? No, sul ring si allena la propria forza di volontà». © Copyright Università Niccolò Cusano

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la fondazione università niccolò cusano vi racconta che...

Ring e Parkinson esiste davvero una relazione? Pugilato e morbo di Parkinson. Esiste una relazione? E se sì, quale? La scienza e la statistica si dividono sulla questione. Anche perché le ricerche specifiche sono ancora parziali. Il caso-scuola è ovviamente quello di Muhammad Alì, ufficialmente ammalatosi all’inizio degli anni ’80, ma i cui sintomi pare si mostrassero già durante gli ultimi incontri prima del ritiro. Altra vicenda che ha scosso il mondo della boxe è quella di Manny Pacquiao, ormai ex pugile filippino, classe 1978, che a soli 35 anni ha visto mostrarsi i primi tremori. E molti altre sono le storie. Quale relazione, dunque? Gli scienziati indagano soprattutto sul trauma cranico ripetuto, che sarebbe alla base del rapporto fra la malattia e la boxe. Ricercatori danesi, ad esempio, nel 2015 hanno confrontato la frequenza di storia di trauma cranico in 1705 pazienti parkinsoniani e 1785 soggetti senza Parkinson aventi lo stesso sesso e la stessa età. I dati provenivano dal Registro della Popolazione Danese e i traumi cranici dei pazienti dovevano essere avvenuti prima dell’esordio della malattia. Non hanno riscontrato alcuna associazione tra trauma cranico e lo sviluppo della malattia. Analisi che hanno tenuto conto del numero dei traumi, di un eventuale ricovero in ospedale, della perdita di conoscenza e dell’intervallo di tempo tra trauma ed esordio (almeno 10 anni) hanno avuto lo stesso risultato. Questo studio è in contrasto con uno studio californiano del 2014 che invece aveva trovato una associazione tra trauma cranico e Parkinson. L’apparente contraddizione potrebbe essere dovuta al fatto che i californiani hanno incluso solo soggetti che avevano subito un trauma dai 55 anni in poi, mentre in questo studio non si è tenuto conto dell’età a cui i soggetti avevano subito il trauma. Inoltre, nello studio californiano, un numero di soggetti era decisamente maggiore (165.000). Mentre i medici si dividono, a Longone al Segrino, in provincia di Como, si cerca di combattere il Parkinson… con la boxe. Qui, seguendo la scuola della statunitense Rock Steady Boxing, si fa “pugilato senza contatto”. © Copyright Università Niccolò Cusano

Muhammad Alì, morto il 3 giugno scorso


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una ricerca conferma il fattore genetico della patologia

K Intervista a Giovanna Del Pozzo

dell’Istituto di genetica e biofisica

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dentificato il meccanismo molecolare che consentirà di fare previsioni sul rischio di ammalarsi di celiachia. A fare l’importante scoperta è uno studio tutto italiano, coordinato da Giovanna Del Pozzo dell’Istituto di genetica e biofisica (IgbCnr) e Carmen Gianfrani dell’Istituto di biochimica delle proteine (Ibp-Cnr). Che la celiachia fosse basata anche su fattori genetici non è una novità, secondo questa ricerca però, durata due anni e finanziata dalla Fondazione Celiachia, a determinare la predisposizione, oltre la presenza dei due geni di rischio HLA, sarebbe la quantità di molecole di RNA da essi prodotta. In futuro, quindi, attraverso un test molecolare sarà possibile stabilire se un individuo è destinato a sviluppare l’intolleranza al glutine. Dottoressa Del Pozzo, questa ricerca conferma che la celiachia è di origine genetica? «La celiachia è una malattia complessa basata su fattori genetici e ambientali. Il fatto che ci fosse una componente genetica era già noto. Quello che abbiamo scoperto è che esiste un meccanismo molecolare che regola i geni HLA nei pazienti celiaci, gli stessi geni che sono coinvolti nelle reazioni immunitarie dei trapianti. Le cellule del paziente possiedono specifici geni HLA definiti di “rischio” i quali producono un’elevata quantità di molecole di RNA che sono gli intermedi genetici che servono per la produzione delle proteine HLA. La novità sta nel fatto che questi geni producono grandi quantità di RNA e questo può influenzare il rischio di ammalarsi».

la celiachia si potrà prevedere in futuro sarà possibile sapere il rischio di sviluppare intolleranza al glutine tramite un test molecolare

«Tutte le malattie autoimmuni sono associate a specifici geni HLA. In queste patologie il sistema immunitario reagisce contro il proprio organismo provocando un danno agli organi. In condizioni non patologiche il nostro organismo tollera l’introduzione degli alimenti, pur riconoscendoli come particelle estranee. Più precisamente, instaura una tolleranza immunologica nei confronti delle molecole di natura alimentare che introduciamo con la dieta. Invece chi è celiaco non tollera l’introduzione del glutine e quindi il sistema immunitario innesca una reazione nei confronti del proprio organismo scatenata dal glutine stesso e danneggiando la mucosa intestinale. Però questo succede solo se coesistono nell’individuo fattori genetici e fattori ambientali, quali altre patologie o infezioni che determinano le condiQuindi in futuro sarà possibile stabilire il zioni favorevoli all’instaurarsi della malattia. Il meccanismo da noi identificato, cioè rischio di ammalarsi? E come? che sono importanti non solo la presenza di «Attraverso un test molecolare». specifici geni HLA ma anche l’elevata quanChe scenari aprirà la vostra ricerca?

tità di RNA e di proteina prodotta da questi geni di rischio, sembra essere comune anche ad altre malattie autoimmuni come il diabete e la sclerosi multipla».

I numeri della celiachia I dati più recenti relativi al numero di celiaci diagnosticati in Italia sono quelli forniti dalla Relazione al Parlamento del Ministero della Salute secondo i quali al 31/12 2014 il numero dei pazienti effettivamente diagnosticati è

e172.197

ma la prevalenza stimata di questa patologia è appunto l’1% della popolazione italiana. Significativo il fatto che dal 2013 al 2014 il numero di diagnosticati salga da 164.492 a 172.197

e+4%

Si calcola, però, che circa 5 celiaci su 6 rimangano non riconosciuti. Il numero teorico complessivo dei celiaci sarebbe quindi pari a 600.000 persone circa, dei quali oltre

e400.000 e72,6%

ad oggi non è ancora consapevole di essere celiaco. Si tratta del dei celiaci. Importante sottolineare che il rapporto stimato medio di pazienti celiaci maschi/ femmine è pari a circa 1:2.

Quindi l’alimentazione continua ad essere fondamentale? «Certo, in base a questo meccanismo identificato abbiamo ribadito l’importanza della dieta rigorosa per tutta la vita, senza trasgressioni». Questa ricerca aprirà scenari per una cura? «Vorrei ribadire l’importanza della ricerca “di base” che studia i meccanismi molecolari e cellulari che causano le malattie. Negli ultimi tempi si dà troppa importanza alla ricerca traslazionale, all’applicazione dei risultati scientifici. Invece è fondamentale ribadire il ruolo dei ricercatori del CNR che studiano le interazioni tra le molecole, le regole con cui le cellule comunicano, in condizioni fisiologiche e patologiche. Solo quando sono chiariti i meccanismi di base, le aziende possono utilizzare le conoscenze scientifiche per produrre nuovi strumenti diagnostici o farmaci per la cura delle malattie». © Copyright Università Niccolò Cusano

Per segnalazioni, commenti, informazioni e domande alla redazione del mensile UnicusanoUP potete scrivere all’indirizzo: ufficiostampa@unicusano.it



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nell’etica fattoria

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angiare sano, nel rispetto del proprio corpo e della vita degli animali. Indipendente dal dualismo fra “onnivori” e “vegani”, che spesso raggiunge punte di odio reciproco e che infervora l’attuale dibattito sociale sugli stili di vita, tutta la comunità internazionale si interroga da tempo sulla sostenibilità della filiera alimentare. Le relazioni conclusive di Expo 2015 hanno confermato i rischi per la salute dell’uomo della produzione industriale nel settore, ancora oggi governato dalla semplice logica del rapporto domanda-offerta. Per questo nascono gli “allevamenti etici”, strutture dove si cerca di rispettare gli animali, permettendogli di portare avanti un’esistenza vicina a quella “naturale”, ma anche i consumatori, limitando i fattori di stress e le cure farmacologiche. Secondo il manifesto pubblicato dall’associazione Allevamento Etico, almeno il 50% del cibo necessario agli animali deve essere prodotto nell’azienda di riferimento. “L’azienda – si legge - deve incrementare in modo naturale la fertilità dei terreni, dove possibile utilizzando il letame prodotto in azienda dopo opportuna maturazione (in modo che non sia inquinante ma anzi una risorsa importante per la fertilità del terreno)”. è fondamentale adottare accorgimenti di sostenibilità, come pannelli solari e impianti di fitodepurazione. L’allevamento deve essere preferibilmente a ciclo chiuso. “Obbligo di un agronomo – afferma il manifesto - come referente della gestione agronomica e alimentare dell’allevamento o dove non presente, la presenta-

gli allevamenti etici rispettano consumatori e animali l’obiettivo è limitare l’uso dei farmaci e i fattori di stress su questi ultimi

zione del piano della gestione agronomica e forestale che deve seguire principi di rispetto dell’ambiente e del territorio privilegiando la biodiversità e le specie animali e vegetali ben adattabili al territorio”. Fondamentale la gestione delle fasi di nascita e allattamento che favorisca il legame madre-figlio, con la presenza del maschio della specie e l’inseminazione naturale. Il personale deve essere in numero sufficiente per gli animali accuditi, competente e istruito in relazione al rapporto con gli animali. “Gli animali – prosegue l’accordo - devono essere liberi e possono essere legati solo per un periodo di tempo concordato con il veterinario e per validi motivi”. Capitolo farmaci: “Le cure – afferma l’associazione - devono essere prevalentemente naturali, riducendo al massimo i trattamenti antibiotici ed escludendo dove possibile antiparassitari di origine chimica. Il trasporto al macello deve essere attuato nelle migliori condizioni di tranquillità e preferibilmente non per un singolo animale. Si deve utilizzare un macello il più vicino possibile e in regola con la normativa sulla applicazione delle buone pratiche di macellazione. è obbligatoria la scelta dell’eutanasia in azienda per gli animali con lesioni gravi, impossibili da curare e visto il parere veterinario”. Gli animali vengono macellati al loro arrivo al macello, così da non farli sostare in un luogo a loro sconosciuto e portati direttamente dal personale da loro conosciuto. Ad oggi in Italia esistono ben 28 aziende agricole certificate in grado di rispettare questi standard. Si trovano soprattutto nel centro-nord. © Copyright Università Niccolò Cusano

K Intervista al professor

corso di ingegneria agroalimentare

La chiave è la sostenibilità economica «Attraverso la sostenibilità economica, qualsiasi progetto industriale può avere successo». Gino Bella, coordinatore della Facoltà di Ingegneria all’Università Niccolò Cusano di Roma, parla in maniera entusiasta degli allevamenti etici, ma detta anche le linee affinché si possa auspicare una loro estensione nel mercato reale. La Cusano è da sempre in prima linea nei progetti di sostenibilità ambientale, attraverso progetti concreti e scientificamente validi. Il prof. Bella chiarisce: «Bisogna trovare il modo di abbattere i costi e sensibilizzare i cittadini affinché venga incrementata la domanda». L’esempio arriva anche da altri mercati: «Il boom dei

pannelli solari – spiega – è stato possibile attraverso la produzione all’estero. La nostra facoltà ha studiato il mercato delle batterie ecologiche, totalmente ad appannaggio dei mercati coreani. In questo modo è stato possibile diffondere queste tecnologie in Italia». Ovviamente, il mercato alimentare è del tutto diverso e si basa sulla territorialità (chilometro zero) e sull’abbattimento della filiera. «Si agisce in due modi – continua Bella – da un lato sono necessari incentivi a queste azienda alimentari affinché abbattano i loro costi. È evidente che l’allevamento etico comporti delle spese maggiori e una produzione inferiore rispetto a quello intensi-

Gino Bella coordinatore della Facoltà di Ingegneria dell’Università Niccolò Cusano

vo. Così serve l’apporto delle istituzioni». Ma non basta. «Serve un’opera di sensibilizzazione – prosegue il professore - Abbiamo necessità di informare le persone, di convincerli a mettere sulle loro tavole prodotti in primo luogo di qualità, e in secondo luogo che rispettino la natura e l’ambiente. In questo modo la domanda aumenterà e l’industria si svilupperà». Infine, un pensiero dal professor Bella sugli anni a venire: «L’industria ecologica e sostenibile è il futuro, anzi il presente. Gli investimenti fatti adesso potranno colmare i gap odierni. è nostro dovere inculcare questa mentalità nei futuri professionisti». © Copyright Università Niccolò Cusano


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«L

testatina per le pagine interneaDX prima volta che l’ho visto è

stata emozionante: mi è mancato il fiato, le parole mi morivano in gola, ho provato una sensazione unica. La prima volta che ho visto il mare avevo 17 anni». Algida nei colori, biondissima e sguardo di ghiaccio: Natasha Stefanenko di “glaciale” ha forse l’aspetto, ma il sorriso e la voglia di condividere fanno della ex top model russa una delle donne più amate dalle italiane. Sul suo blog Natasha’s Way offre consigli di bellezza, trucchi per mantenersi in forma e ricette detox per espiare i sensi di colpa dovuti a peccati di gola e a cene non proprio light. Un’attenzione particolare Natasha la dedica alle “over 40” perché, come scrive lei stessa sul web, la minigonna non ha età. Purché indossata con classe.

Natasha’s Way è il tuo filo diretto con le donne dove parli di forma fisica e non solo. Come è nato? «è una cosa che è nata da sola, istintivamente. Ho sempre fatto la modella, lavorato in tv, condotto trasmissioni dedicate alle donne dove si parla di trucco, sport e di come mantenersi in forma. L’esperienza sulle passerelle e il contatto con i truccatori mi hanno dato la possibilità di carpire piccoli segreti, qualche dritta per correggere quelle imperfezioni sul viso grazie a un po’ di fondotinta o di fard. Dieci anni di nuoto agonistico poi mi hanno fatto capire l’importanza dello sport e di come, grazie alla memoria muscolare, si possa vivere quasi di rendita praticando facili esercizi. L’attività fisica favorisce il buonumore producendo endorfine e ti regala una

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nella moda e in televisione il contatto con i truccatori le ha insegnato le “ricette”

moda Da un paio d’anni Natasha Stefanenko dispensa consigli di bellezza sul suo blog, dedicato in particolar modo alla bellezza over 40

Natasha “ dà lezioni di bellezza

la voglia di condividere TUTTI I MIEI SEGRETI con le altre donne mi ha portato ad aprire un blog


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Credo che l’Italia fosse impressa nel mio DNA La amo con tutti i suoi difetti e i suoi pregi

impressa nel mio DNA. La amo con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. è nel mio cuore e quando sono fuori per molto tempo faccio fatica, devo tornare. Quando torno, già al terminal dell’aeroporto, che sia Roma, Milano o un’altra città, dico: sono a casa». Natasha è anche tifosa della Nazionale e lancia uno sguardo ai Mondiali. «Siamo stati eliminati dagli Europei e Mosca adesso si sta preparando per i Mondiali. Spero non ci siano più scontri, il calcio deve essere un momento di festa e aggregazione, non un motivo di scontro. Spero che episodi come quelli accaduti in Francia non si ripetano più». © Copyright Università Niccolò Cusano

maggiore consapevolezza del tuo corpo. E così, per la voglia di condividere con le donne segreti e ricette di bellezza, da un paio d’anni mi trovo a scrivere sul mio blog e a rispondere alle numerose mail che ricevo dalle mie lettrici. Uno spazio particolare è dedicato alle donne che, come me, sono over 40, perché ricordatevi: non è finita. Avere più di 40 anni oggi è come essere nella fascia over 30 qualche anni fa». Ci sei passata tu per prima con la nascita di Sasha, ora adolescente. Quali consigli ti senti di dare alle donne in dolce attesa? «Non mangiare subito tantissimo, non abbuffarsi fin dall’inizio. Controllarsi, prediligere frutta e verdura - soprattutto nella bella stagione - e scegliere alimenti alcalini. Anche fare lunghe passeggiate nell’acqua, magari al mare, non sarebbe male. Ma poi bisogna anche godere della propria dolce attesa e concedersi qualche cosina in più, cedere alle voglie sempre che queste siano sane e non facciano male a mamma e bambino. Fortunatamente, io ero impazzita per l’anguria. Quando ero in attesa di Sasha per me era un’amichetta e mi sentivo più sexy, femminile. Mi sentivo come se fossi più utile per la società: una donna che portava in grembo un dono». Bellezza giornaliera: cosa non deve mancare nella nostra trousse? «Si può essere belle con poco, con prodotti che non costano moltissimo. Le creme indispensabili alleate della nostra bellezza, una per il contorno occhi in primis. Tuttavia non bisogna truccarsi troppo perché tanto make up invecchia. Molte donne temono l’effetto lucido con poco trucco, tut-

tavia una buona base con la BB Cream e fondotinta leggero garantiscono l’effetto giovane. No all’esagerazione, all’effetto fondotinta-crosta. Meglio il trucco che c’è ma non si vede, un mascara che intensifica lo sguardo e un gloss leggero». Costume intero o bikini? «Entrambi. Un bel due pezzi per garantire un’abbronzatura uniforme e poi sbizzarrirsi anche con costumi interi dalle fantasie più varie, anche a righe. Oppure più chic, magari senza spalline e ottimi per affrontare aperitivi a bordo piscina oppure in spiaggia corredati da un bel pareo. Sempre di moda ed eleganti». Tacco 12 o scarpe basse? «Indosso tutte e due. In serate eleganti o grandi eventi o red carpet adoro il tacco e la scarpa interessante. Ma per le corse di tutti i giorni e la vita dinamica sono ideali le sneakers, quando posso le metto anche sotto lo smoking e mi diverto a indossarle nelle combinazioni più improbabili». Ultimo libro letto? «“Siamo liberi” di Elena Sacco». Cosa ti manca della Russia? «La natura, i boschi. Non sono nata a Mosca, ma negli Urali vicino alla Siberia, e lì la natura è davvero uno spettacolo. Mi manca papà che era sempre vicino a proteggermi e mamma che mi insegnava moltissime cose. E ovviamente mi manca la lingua». Di cosa non riesci più a fare a meno dell’Italia? «Credo che l’Italia fosse nel mio destino,

La vita e la carriera di NATASHA STEFANENKO Natasha stefanenko, figlia di un ingegnere nucleare, è nata a Sverdlovsk-45, una città segreta che per circa mezzo secolo non esisteva sulla carta geografica e non aveva un nome, ma solo un numero. A 17 anni inizia gli studi di ingegneria metallurgica a Mosca e nel 1991 partecipa casualmente al concorso “Look of the Year” e vince ma rinuncia al viaggio premio a New York per concludere gli studi. Dopo aver ottenuto la laurea sceglie di trasferirsi in Italia. Nel 1992 la sua prima esperienza televisiva nel programma di Canale 5 “La Grande Sfida”

sport Dieci anni di nuoto agonistico hanno dato a Natasha grande consapevolezza del proprio corpo: «Fare attività fisica favorisce il buonumore producendo endorfine»



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acqua e idratazione facciamo chiarezza K Intervista a professore Nicola Tridico,

esperto nelle malattie del fegato e del ricambio, medicina interna e medicina aeronautica e spaziale

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reni, filtro del nostro organismo e, per chi presenta diatesi urica, ovvero la propensione ai calcoli renali, croce (più che delizia) del nostro benessere. Ne abbiamo parlato con il pluri-specialista e professore Nicola Tridico, esperto nelle malattie del fegato e del ricambio, medicina interna e medicina aeronautica e spaziale. Tridico ci ha portato per mano nella “lettura” delle etichette delle acque smascherando falsi miti e offrendoci una legenda per districarci nel mondo dei minerali. «In medicina non esistono regole ferree - dissipa subito ogni dubbio il professore - Ogni cosa va contestualizzata in rapporto al singolo soggetto e alla situazione specifica: diciamo che vale il qui e ora. Il problema dell’idratazione è un problema importante che non riguarda semplicemente la possibilità della formazione dei calcoli renali. L’approvvigionamento idrico dell’organismo è in rapporto alle necessità di quest’ultimo e alle perdite di liquidi che si hanno con la sudora-

roma Le strutture idriche più antiche e importanti sono nella Capitale: si deve ai Romani infatti l’invenzione dei sistemi di tubature e condotti

residuo fisso, calcoli renali, ph e lettura delle etichette: impariamo a scegliere cosa, quanto e come bere zione, con urina e feci. Va da sé che il corpo è come una bilancia che deve essere in pareggio: tanti liquidi si perdono e altrettanti se ne devono introdurre. Di certo vanno predilette le acque che presentano un residuo fisso basso e che siano quasi “neutre” per l’organismo». Occhio all’etichetta: ci può spiegare qualcuna tra le tante voci che vi sono riportate? «Il residuo fisso è uno degli elementi con cui si valutano le qualità delle acque minerali. Altro non è che ciò che rimane dopo una bollitura dell’acqua per un certo periodo di tempo. Più il residuo fisso è alto, più è dannoso per chi

il corpo è come una bilancia in continuo equilibrio

ha una diatesi urica. Più il residuo fisso è basso e più l’acqua favorisce la diuresi. Un’acqua ipotonica e meno concentrata è ciò che è auspicabile per il buon funzionamento dei reni. Poi abbiamo il Ph, che misura il grado di acidità dell’acqua, ma la composizione di quest’ultima è fatta anche di sodio, potassio, calcio, fosforo e perfino degli elementi radioattivi, tutti tollerati dal nostro organismo purché nei margini delle soglie stabilite». Cosa si intende per acqua oligominerale? «Si identifica in questo modo l’acqua che ha un residuo fisso e i vari elementi contenuti in quantità molto basse. Ottima per l’azione diuretica e depurativa poiché con essa non introduciamo grandi quantità di sostanze che possono essere rifiutate dall’organismo». E quanto incide l’alimentazione sui calcoli renali? «Chi ha tendenza alla formazione di calcoli dovrebbe stare a digiuno! (ride, ndr) Terrorismo psicologico a parte, non c’è alimento che non contenga acido urico e sostanze precipitanti. Di certo sarebbe meglio dire no ai pomodori, alle interiora, alle animelle, agli asparagi, al lardo e ai grassi in generale e ridurre al minimo le carni rosse. Prediligere una dieta ipocalorica». © Copyright Università Niccolò Cusano

lo sapevate che...

La lezione degli antichi romani I Romani bevevano tanta acqua: ne avevano bisogno più di noi. Tra i primi ad avere inventato gli acquedotti, erano consapevoli di doversi depurare spesso dal momento che le tubature in cui veniva condotta l’acqua erano fatte con tubi di bronzo, i quali trasportavano molti metalli pesanti che potevano facilmente indurre alla formazione di calcoli. Gli acquedotti spostavano acqua solo per gravità, essendo costruiti con una leggera pendenza verso il basso all’interno di condotti. La maggior parte erano sepolti sotto terra, e seguivano i suoi contorni. A cura della Facoltà di Ingegneria dell’Università Niccolò Cusano


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in volo Francesco Russo, presidente della As Tamara Ski ed esperto di flyboard

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flyboard evoluzioni volanti in piedi su una tavola e “sparati” in aria con un tubo collegato a una moto d’acqua in tutta sicurezza: alla scoperta di un nuovo sport

C Ecco come si compone l’attrezzatura per praticare il Flyboard

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Una Tavola per Flyboard Un paio di boots di tipo Wakeboard Un sistema di rotazione, dotato di sfere per cuscinetti in plastica (al fine di evitare la corrosione dall’acqua) Due manichette con maniglia (opzionali) da inserire sulle braccia Un tubo che alimenta un getto di acqua pressurizzata, dalla moto d’acqua al Flyboard Un tubo ricurvo da 180° che serve per invertire il flusso dell’acqua dalla moto Un sistema conico di uscita per poter dirigere e accelerare il flusso di acqua dalla turbina

on i piedi su una tavola e «sparati» in aria attraverso un tubo collegato a una moto d’acqua che, grazie a un getto pressurizzato, consente di compiere evoluzioni che a volte diventano qualcosa di spettacolare. Stiamo parlando del flyboard, nato in Francia nel 2012 e che, adesso, fa impazzire i più spericolati d’Italia. Ma attenzione: contrariamente a quello che si pensa non è né difficile né pericoloso. In una parola è adrenalinico. Per capirne di più abbiamo contattato Francesco Russo, presidente della As Tamara Ski, Associazione Sportiva di Mirto Crosia (Cs). Francesco, come funziona il flyboard? «C’è una tavola con delle scarpette (in gergo boots, ndr) che grazie a dei propulsori collegati con un tubo, a sua volta allacciato ad una moto d’acqua, sospinge la tavola in aria e consente di fare evoluzioni e diverse figure spettacolari».

anche chi non è mai salito capisce subito come funziona

Ma è pericoloso? «Assolutamente no, purché si indossino gli strumenti di sicurezza, ossia ca-

l’appuntamento Dal 9 all’11 settembre si terrà a Tropea una tappa dei campionati nazionali di Flyboard schetto e giubbino, e venga praticato sempre al fianco dell’istruttore. Inoltre l’utilizzo della tavola è intuitivo. Anche chi non vi è mai salito, dopo qualche minuto capisce subito il funzionamento e può iniziare a praticare». è più una forma di spettacolo o può essere definito a tutti gli effetti uno sport? «Beh, è riconosciuto dal Coni. Consideriamo che a Dubai vengono fatti i Mondiali e che in Italia c’è il campionato nazionale in corso. La prossima tappa sarà proprio in Calabria, a Tropea per la precisione, i prossimi 9-10-11 settembre. Anche io parteciperò insieme ad altri due atleti, sempre della scuderia Tamara Ski, Mauro Coppola e Erika Campana. Quest’anno è nata anche la Federazione Italiana Flyboard, di conseguenza è una disciplina che si sta sempre più strutturando e regolamentando». In cosa consisterà la competizione? «Ci si può esibire eseguendo figure particolari, rotazioni e altre manovre che verranno valutate decretando poi il punteggio finale dell’atleta». © Copyright Università Niccolò Cusano


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K Intervista al dottor Giovanni Leone

Dermatologia, Istituto San Gallicano di Roma

Alleata per combattere l’osteoporosi e addirittura per contrastare alcune tipologie di tumore: le proprietà fondamentali della vitamina D

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etti 15 minuti di esposizione al sole in cui ci scopriamo almeno per il 30% del nostro corpo e il «piatto» è pronto: la vitamina D è servita. Un quarto d’ora senza creme protettive – purché non sia nella fascia oraria in cui il sole è particolarmente violento (11.00-15.00) – altrimenti qualche minuto in più di esposizione, utilizzando però i filtri per gli ultravioletti, e il gioco è fatto. Alleata per combattere l’osteoporosi e addirittura per contrastare alcune tipologie di tumore, abbiamo parlato di questa sostanza con il dottor Giovanni Leone, Coordinatore del Gruppo di Studio in Fotodermatologia dell’Associazione dermatologi ospedalieri italiani (ADOI) e Responsabile dell’Ambulatorio per le fotodermatosi dell’Istituto Gallicano di Roma.

LA CURIOSITà

Vitamina D: sostanza ad “alta fedeltà”

La vitamina D

«Viene attivata con l’esposizione al sole ed è fondamentale per la fissazione del calcio nelle ossa: con la sua mancanza può insorgere il rachitismo, cioè una malattia grave dovuta alla carenza assoluta di vitamina D (caratterizzata da disturbi dell’ossificazione con deformazioni ossee conseguenti, ndr)».

Ma c’è di più

«è stato scoperto che la vitamina D scende nel dettaglio il dott. Leone - regola le funzioni di molte cellule, addirittura avrebbe un effetto antitumorale, ossia contrasterebbe la formazione di alcuni tumori come quello al colon o alla mammella. è importante come regolatore della funzione delle cellule in generale».

Il dilemma: protezione Sì, protezione No

«In realtà stare al sole senza protezione è sbagliato. Certo – sottolinea Leone – molto dipende dal nostro fototipo, ovvero la quantità di melanina presente in condizioni basali nella nostra pelle; tuttavia la fascia oraria in cui il sole è più alto, cioè dalle 11 alle 15, è sempre sconsigliata l’esposizione al sole. Per tutti, in special modo per i bambini. Le statistiche dicono che bastano 15 minuti al giorno di esposizione al sole alle nostre latitudini, sufficienti per sintetizzare la quantità di vitamina D necessaria per l’assorbimento, ma se ci stiamo un po’ di più bisogna ricorrere alla protezione».

Lo sapevate che...

«Agli anziani, che solitamente presentano maggiori problemi di osteoporosi, come dermatologi sconsigliamo una protezione altissima (50+). Ad un anziano con carnagione mediterranea basterà una protezione 20. Certo, se invece è di carnagione molto chiara dovrà salire con il fattore protettivo». © Copyright Università Niccolò Cusano

15 minuti

di sole e di salute

Tre gli ormoni stimolati dalla vitamina D: serotonina, ossitocina e vasopressina. Il primo è considerato per eccellenza l’ormone del benessere e regola umore, sonno, regolarità intestinale e l’appetito. L’ossitocina è anche nota come “ormone dell’amore”, influendo notevolmente sugli umori giornalieri, dunque sugli stati emotivi e le relazioni con il partner e il rapporto madre-figlio. Questa importante vitamina stimola inoltre la Vasopressina, detta ”ormone della fedeltà”, che fa cadere i freni inibitori e incita alla socializzazione e all’instaurazione di rapporti sentimentali. © Copyright Università Niccolò Cusano

pannelli Alimentazione, conoscenza e natura: alla mensa della Cusano il buon cibo è servito con la cultura alimentare e gastronomica. Prezzemolo (e uovo) sono tra i pochi alimenti a contenere una dose efficace di vitamina D


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K Intervista al professor

Massimo Andreoni, direttore dell’Unità Malattie Infettive al Policlinico Tor Vergata di Roma

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zika non cediamo alla paura il professor andreoni: «nel 99% dei casi si guarisce perfettamente, solo durante la gravidanza possono esserci problemi»

na piccola zanzara chiamata Aedes Aegypti ha rischiato di far deragliare il più grande evento sportivo del mondo. Sembra incredibile ma è così. Solo qualche settimana fa, più di un centinaio di scienziati e medici, con una lettera aperta, hanno chiesto di rinviare le Olimpiadi a causa della forte epidemia di Zika che ha colpito il Sud America e i diversi casi di microcefalia nei neonati di madri che avevano contratto il virus in gravidanza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal canto suo, ha parlato di ‘‘rischio molto basso’’ di diffusione internazionale, dal momento che i Giochi si terranno in inverno, e che il pericolo per gli atleti può essere minimizzato adottando buone misure di salute pubblica. Nonostante le rassicurazioni in molti hanno dato forfait. E anche fra chi parteciperà c’è chi cede il passo alla paura. è il caso di Greg Rutherford, atleta di salto in lungo, che ha deciso di congelare il proprio seme prima della partenza. Non è l’unico. Il campione iberico di basket Pau Gasol ha dichiarato di essere pronto a seguirlo. Così, a poco più di un mese dall’evento sportivo più prestigioso e antico del pianeta, abbiamo chiesto al professor Massimo Andreoni, direttore dell’Unità di Malattie Infettive al Policlinico Tor Vergata di Roma e past presidente della Società Italiana per lo Studio delle Malattie Infettive e Parassitarie, di fare il punto della situazione. Professore per la paura della Zika alcuni atleti hanno rinunciato ad andare alle Olimpiadi di Rio. Lei cosa ne pensa? «Mi sembra un’esagerazione perché questa malattia è autolimitante e dura mediamente poco più di una settimana. è fastidiosa ma nel 99% dei casi si guarisce perfettamente. In rarissimi casi può esserci una complicanza seria come la sindrome neurologica di Guillain-Barré ma tenga presente che di casi del genere in Italia ce ne sono diverse centinaia ogni anno correlate ad altre malattie infettive tipo la semplice influenza. Certo a una donna incinta sconsiglierei di andare in Brasile». Quindi tranquillizzerebbe gli atleti? «Stanno andando in una zona in cui è possibile che possano prendere la Zika ma


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come da qualsiasi altra parte è possibile possano contrarre un altro virus. Se la contraggono avranno il fastidio del decorso della malattia e questo può compromettere una buona prestazione in gara, ma nulla di più». Le Olimpiadi però si faranno in inverno quando il clima freddo decimerà le zanzare… «Vengono svolte nel periodo in cui c’è meno circolazione di zanzare comunque qualche caso potrebbe esserci. Ma i Giochi non credo saranno falsati».

la vignetta La delegazione olimpica australiana ha fornito ai propri atleti dei preservativi speciali in grado di garantire una protezione antivirale quasi completa

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Il virus

Ci spiega meglio cos’è la Zika e perché ha suscitato così tanto interesse in questo ultimo periodo? «è una malattia virale che noi conosciamo da più di 70 anni, quindi dalla fine degli anni ’40. E oggi è giunta all’interesse della comunità per due motivi: primo perché ci sono stati tanti casi in Brasile e secondo perché c’è stata la correlazione con la microcefalia dei neonati. In particolare questa seconda evenienza ha portato alla ribalta questo virus così ben conosciuto da tanto tempo».

il virus è conosciuto da oltre 70 anni i sintomi sono febbre, dolori ed esantema

Sintomi

Quali sono i fenomeni della malattia? «Assomiglia ad altre malattie virali ed è caratterizzata da febbre e da un esantema morbilloso, con dolori alle articolazioni, muscolari e congiuntivite. Normalmente si risolve spontaneamente nel giro di dieci giorni. Non esiste una terapia specifica e quindi si utilizzano antipiretici e analgesici. Nulla di più. Esistono malattie molto più fastidiose».

Profilassi

Come possiamo proteggerci? «L’attenzione alle punture di zanzara. Intanto ci si può proteggere cercando di stare coperti il più possibile soprattutto nei momenti in cui la zanzara è più aggressiva, che sono le ore del tramonto e della notte. Anche se l’aedes aegypti tende a pungere anche di giorno. Anche i repellenti sono efficacissimi per allontanare le zanzare e le zanzariere sono delle ottime difese. Inoltre cercare di evitare condizioni favorevoli all’insetto come gli acquitrini in cui la zanzara si riproduce e depone le uova». Perché alcuni scienziati sono così in allerta? «Quello che ha spaventato è stato il fatto che alcune donne hanno partorito bambini con la microcefalia e questo ha destato l’interesse degli scienziati».

Mutazione

Non può essere che si faccia largo la convinzione che il virus possa mutare e diventare più aggressivo? «Difficile pensarlo, in questi 70 anni non si è mai mutato. Certamente c’è stata un’epidemia esplosiva e questo ha spaventato. Ma non stiamo parlando di ebola che causa una mortalità maggiore del 40%».

Come si trasmette

«Zika si trasmette abitualmente con la puntura di zanzara, più raramente per via verticale da madre a feto, eccezionalmente attraverso una trasfusione di sangue. Sono stati segnalati casi di trasmissione per via sessuale e per questo si consiglia di avere rapporti protetti per circa quattro settimane dopo aver avuto la malattia. Anche questa non è una novità assoluta perché già segnalata da diversi anni; comunque questa modalità di trasmissione ha scarso valore a fini epidemiologici». Eppure questi rarissimi casi ci sono stati. C’è qualche fattore che fa sì che alcune persone più di altre possano trasmettere il virus attraverso il rapporto sessuale? «Probabilmente la carica infettante può rappresentare il fattore determinante. Ovvero se una persona ha nello sperma una carica di virus sufficientemente alta la trasmissione può avvenire anche per questa. Oppure ci potrebbero essere persone particolarmente predisposte all’infezione. Anche il traumatismo dell’atto sessuale se rilevante può esser un’altra spiegazione. Ma, ripeto, sono casi che rimangono eccezionali». Un atleta inglese si è già fatto congelare il seme prima di partire. Cosa ne pensa? «Questa è una scelta che francamente non capisco. Ai fini della trasmissione della malattia basta avere rapporti protetti per un 2/4 settimane dopo la guarigione. Chi ha avuto il virus ed è guarito, dopo la convalescenza non lo trasmetterà e può procreare tranquillamente senza rischio di avere un figlio con problemi di microcefalia. Le donne che hanno avuto figli con microcefalia sono state affette dal virus durante la gravidanza». © Copyright Università Niccolò Cusano

K Intervista a Manila Flamini,

atleta dell’Unicusano Aurelia Nuoto e della Nazionale

UNICUSANO AURELIA NUOTO olimpiadi 2016

Flamini: «Tanta emozione e nessun timore» Dopo le qualificazioni di marzo, le formidabili atlete dell’Unicusano Aurelia Nuoto, torneranno a Rio per le Olimpiadi. Ma a far venire i brividi alle sincronette, più che la Zika, è l’emozione di un evento così importante. Lo spiega Manila Flamini. Manila voi siete state a Rio recentemente, come è stato gestito il ‘pericolo Zika’? «A marzo se ne parlava tantissimo e un po’ di paura c’era. Però quando siamo arrivate abbiamo visto che era tutto sotto controllo». Seguirete qualche indicazione o profilassi specifica? «La volta scorsa avevamo preso in farmacia dei microgranuli che cambiano l’odore della pelle e sono efficaci repellenti per gli insetti. Ma lì era già stata fatta una disinfestazione e di zanzare non ce n’erano. Dopo qualche giorno ci siamo tranquillizzate e anche chi non aveva acquistato questo prodotto non ha avuto nessun tipo di problema. Quindi penso che non prenderemo alcun tipo di precauzione né prima né quando saremo là». Nessuna paura quindi? Nemmeno dopo la lettera di questi 100 esperti che hanno chiesto di rinviare l’evento? «No e non penso ci sia un’emergenza tale da rimandare un’Olimpiade. Piuttosto proviamo l’emozione fortissima di partecipare, per la prima volta, al più grande evento sportivo del mondo». © Copyright Università Niccolò Cusano


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