TESTATA COPERTINA SU FONDO TRASPARENTE
Allegato gratuito al numero odierno del
Numero 3 Marzo 2016
Allenamento
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Il potere della musica
Olio di palma
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A confronto con la scienza
KiteSurf La terapia del vento
o n i n o t An olo
u i c c a v a n n a C
uno chef “da stadio”
i.p. A CURA dell’università niccolà cusano e di sport network
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il laboratorio nel campus
ecco perché la musica riduce la fatica
Aumentando la sincronicità dei movimenti la musica può migliorare l’efficienza del consumo di ossigeno da parte del corpo. Questi benefici psicologici sono particolarmente evidenti negli esercizi aerobici
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K Intervista a Elvira Brattico, neuroscienziata del Department
confronto a un esercizio senza musica. Inoltre, aumentando la sincronicità dei movimenti la musica può persino migliorare l’efficienza del consumo di ossigeno da parte del corpo. Alcuni risultati recenti però evidenziano che questi benefici psicologici di miglioramento degli stati affettivi e sincronizzazione sono particolarmente evidenti durante gli esercizi aerobici mentre sono meno presenti quando si supera la soglia anaerobica. Vanno comunque tenuti presenti anche gli effetti della musica sul periodo di recupero che sono potenzialmente molti, ma che non sono stati ancora sufficientemente studiati dai ricercatori».
of Clinical Medicine (Center for Music in the Brain) dell’Università di Aarhus in Danimarca
ricarica e dà piacere: per gli atleti rappresenta un coadiuvante psicologico
Provoca piacere come il cibo e il sesso
K Intervista
La musica ritmata è ergogenica e riduce lo sforzo In base a quello che la scienza ha scoperto fin qui, che influenza può avere la musica su una prestazione atletica? «Le ricerche mostrano che durante attività ripetitive di resistenza, l’ascolto di musica preferita e stimolante può ridurre lo sforzo percepito, migliorare il livello di energia e dunque portare a un risultato superiore. In questo senso si considera la musica come un coadiuvante psicologico “ergogenico”, ovvero, in grado di migliorare una performance grazie all’effetto indiretto su variabili fisiologiche associate con l’esercizio fisico, oppure grazie alla rimozione psicologica di blocchi soggettivi che limitano la capacità fisiologica individuale. Un tipico esempio è quello di musica sincronizzata con il ritmo del passo capace di aumentare fino al 15% il tempo massimo di un esercizio, ovvero di allontanare il tempo di sfinimento, in
unicusano vi racconta che…
Il Laboratorio H.E.R.A.C.L.E. area Educazione alla Salute dell’Università Niccolò Cusano sta sviluppando dal 2014 uno studio sperimentale sulla relazione tra l’ascolto della musica e la performance sportiva, indagando in particolare la retroazione biologica allo stimolo sonoro. Il primo step della ricerca ha evidenziato come la performance migliori quando c’è relazione tra variabilità del battito cardiaco e ritmo del brano ascoltato. Il lavoro è in corso di implementazione da parte del Direttore del Laboratorio il Prof. Peluso Cassese e del Dott. Luigi Piceci con l’analisi dei dati affidata al Prof. Francesco Maria Melchiori. © Copyright Università Niccolò Cusano
Una sequenza musicale dal nome MusiCure ha effetti scientificamente dimostrati per il rilassamento dei chirurghi nelle sale operatorie e dei pazienti nelle sale di attesa ospedaliere. In Danimarca questo cd è venduto in farmacia
la neuroscienziata elvira brattico: «durante le attività sportive l’ascolto migliora il rendimento» a musica accompagna gran parte dei momenti della nostra vita. Ha la capacità di cambiarci l’umore, darci la carica, generare emozioni e ricordi. E il connubio con lo sport è un must, tanto che alcune tra le palestre più trendy di Londra hanno cominciato a lavorare su specifiche selezioni musicali in base al tipo di allenamento coinvolgendo, addirittura, artisti da Top Chart. Ma anche questa medaglia ha il suo rovescio. Fece scalpore, infatti, il divieto di correre con l’iPod imposto qualche anno fa dalla Federazione americana di atletica alla Maratona di New York. Le motivazioni? Oltre alla sicurezza, si parlò di “vantaggio competitivo”. Ma come e perché la musica influisce sul rendimento sportivo? Lo abbiamo chiesto a Elvira Brattico, neuroscienziata del Department of Clinical Medicine (Center for Music in the Brain) dell’Università di Aarhus in Danimarca.
Sincronizzare il suono con il ritmo del passo aumenta fino al 15% e il tempo massimo e di un e esercizio
l’esperimento
Un giudizio da neonati Un neonato di 48 ore di vita è già in grado di riconoscere la musica e accorgersi delle stonature. È il risultato di una ricerca dell’Istituto scientifico San Raffaele di Milano che ha avuto un’eco internazionale. Gli scienziati hanno fatto ascoltare a bimbi appena nati brani di musica classica e hanno studiato l’attività del cervello con la risonanza magnetica. Volete sapere come hanno reagito i bebè all’ascolto di Schubert e Mo-
a Daniela Perani, Divisione di Neuroscienze Istituto Scientifico San Raffaele di Milano
zart? «Lo stimolo musicale ha attivato delle componenti uditive importanti nell’emisfero di destra, esattamente come nell’adulto - racconta Daniela Perani, autrice dello studio - L’esperimento ha dimostrato che il cervello dei bambini è già equipaggiato, da un punto di vista dell’evoluzione della genetica, di sistemi in grado di elaborare stimoli musicali e di rifiutare quelli dissonanti. Questa musica andava, inoltre, ad attivare delle parti del cervello che sono quelle che ci fanno sentire le emozioni». © Copyright Università Niccolò Cusano
Oltre al rilascio di dopamina, che reazioni provoca nel cervello ascoltare una canzone che ci piace? «Quello che sappiamo, esaminando i risultati degli esperimenti di neuroimmagine, è che le stesse aree sottocorticali del circuito motivazionale, “reward”, sono attive sia durante la musica sia durante piaceri primari come il gustare una cioccolata o un intercorso amoroso, che durante stati emotivi indotti da farmaci».
Dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei… Cosa c’è dietro la preferenza di un genere musicale? «Diversi studi di psicologia della musica hanno evidenziato relazioni fra tratti della personalità di un individuo e preferenze per generi musicali. Ad esempio, individui con marcata apertura all’esperienza tendono ad apprezzare musica complessa come jazz e classica contemporanea. Coloro che hanno invece una spiccata tendenza alla ricerca di novità sembrano preferire la musica tecno». © Copyright Università Niccolò Cusano
Una ricerca scientifica indaga sul biofeedback allo stimolo sonoro
In ambito clinico la musica ha un potente effetto su patologie neurologiche e psichiatriche Risultati di ricerche comportamentali e neuroscientifiche mostrano che la musica può stimolare le funzioni cognitive e migliorare
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marzo ono ragazzi autistici, eppure sem-
testatina per leatleti pagine brano ininterne pienaDX regola. An-
che se per lo Stato italiano sono invalidi al 100%. Basta affacciarsi, durante le giornate di sole, nello stadio Paolo Rosi di Roma, in zona Acqua Acetosa, e guardare quei giovani che corrono, senza che ci sia alcuna differenza rispetto alle persone normodotate. «In pista non ci sono i limiti, c’è solo il talento. E le persone con autismo ne hanno da vendere», ama ripetere Nicola Pintus, direttore generale dell’associazione Progetto Filippide, un programma di avvio all’attività sportiva per soggetti autistici nato nel 2002 a Roma e ormai diffuso in tutta Italia con 15 associazioni aderenti e circa 400 atleti. Nella Capitale c’è il centro pilota, dove i ragazzi coinvolti sono 80: il più piccolo, Matteo, ha 2 anni e mezzo e il più grande, Alberto, ne ha quasi 52. Tra lo stadio Paolo Rosi e la piscina del Foro Italico si allenano a correre su lunghe distanze, in media 10 km al giorno, e a nuotare, in attesa delle gare. Tra loro ci sono anche 12 ragazze down che praticano nuoto sincronizzato.
Risultati
Durante l’ultima maratona di Roma i ragazzi del Progetto Filippide hanno partecipato con una squadra di 5 atleti adulti che, con una staffetta, è riuscita a coprire i 42 km in 4 ore e 3 minuti. Si corre in pista, ma si corre anche nell’acqua, e si ottengono risultati strabilianti. Come quello raggiunto da Sofia Malatesta, 19 anni, già detentrice del record italiano dei 50 metri delfino, che lo scorso anno si è aggiudicata il titolo regionale nei 200 e nei 100 metri stile libero e nei 50 dorso. E dobbiamo anche considerare che i sette nuotatori presenti si sono classificati tutti.
il prof. girelli, docente della cusano, presiede l’associazione dei “siblings”: «accompagniamo in parallelo la vita dei nostri fratelli e sorelle e lottiamo ogni giorno contro le discriminazioni e le barriere» a Roma viene organizzato un evento con un tema differente, una sorta di Olimpiade. Per i prossimi quattro anni il tema sarà “Abbattere il muro dell’autismo”, partendo dal concetto che non bisogna considerare ciò che gli autistici non sanno fare ma, al contrario, ciò che fanno con le loro abilità, le loro potenzialità sportive che possono e devono essere espresse. Essere autistici non è una vergogna e vedere questi
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discriminatorio o sessista» e ci racconta della sua associazione. «Quando si parla di ragazzi con disabilità, la mente va subito ai genitori spiega - Invece anche essere fratelli comporta gioie, dolori, sacrifici e un modo di essere tutto particolare. I bambini, ad esempio, vivono la disabilità dei fratelli in maniera totalmente diversa». Un riferimento al Disegno di legge del cosiddetto “Dopo di noi”, approvato alla La testimonianza Camera dei Deputa«A volte penso che ti e ora in discussione al Senato: «È una non vorrei che Maria giornata dell’autismo A Roma buona legge ed è un Claudia non avesse la e in altre città italiane si svolgerà bene che stia passansua disabilità, perché do - commenta Girella maratona natatoria (Ab)bracciata altrimenti non sarebCollettiva, dedicata agli atleti disabili. be più mia sorella, sali - Anche se è migliorebbe un’altra persorabile. Ad esempio, na». È una delle riflesmi piacerebbe anche sioni più toccanti della che ci fosse una legge nostra chiacchierata “Durante noi”, perché con Federico Girelnoi fratelli accompali, 33 anni, presidengniamo quasi in pate dell’associazione rallelo la vita di queste persone». Sul sito Siblings, che raccoglie fratelli e sorelle www.siblings.it è possibile conoscere tutdi persone con disabilità. In particolare, te le iniziative dell’associazione. Il 2 apriGirelli porta con sé il le, invece, si svolgerà bagaglio d’esperienza a Roma e in contemquotidiana di essere il poranea in altre città fratello di Maria Claudia, 27 anni, giovane donna con sindrome di italiane la maratona natatoria (Ab)bracciadown. «Anche se posso dire che mi danno ta Collettiva, a favore delle persone con aupiù pensieri gli altri miei due fratelli», scher- tismo: una bella iniziativa dove si dà spazio za, alludendo a Giovanni, 36 anni, e Raffael- agli atleti diversamente abili, ovvero autistici, la, di 35. Girelli, professore di Diritto Costi- con sindrome di down e con disabilità mototuzionale all’Università Niccolò Cusano di ria. «Lo sport – conferma Girelli, che prendeRoma, è una persona entusiasta: ci raccon- rà parte all’iniziativa nella piscina CassiAntita del suo impegno per i “siblings”, «termine ca – è uno dei modi per far sentire normodoche in inglese raccoglie sia tate le persone disabili». © Copyright Università Niccolò Cusano fratello che sorella, non è
ragazzi, spesso considerati iperattivi, che corrono leggeri e pieni di energia, è la prova che abbattere anche questa barriera, il muro dell’autismo, si può. Come fa anche l’Università Niccolò Cusano, da sempre attenta a far sì che le persone con disabilità possano praticare sport senza sentirsi discriminate.
Le iniziative
L’associazione aspira a ottenere una validazione scientifica dei risultati che, oltre a dare soddisfazione e riempire il medagliere, hanno effetti benefici sugli atleti monitorati dai neuropsichiatri. Ogni anno
l’evento del 2 aprile valorizza le abilità dei ragazzi autistici
sport e disabilità i muri cadono così
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olio di palma parliamone L’
olio di palma non è nocivo per la salute, ma attenzione al consumo eccessivo. Parola dell’Istituto Superiore di Sanità, che su richiesta del Ministero della Salute ha elaborato un parere sulle conseguenze per l’essere umano dell’utilizzo di questo tipo di olio come ingrediente alimentare. Un dossier molto interessante, che associa l’olio di palma alla famiglia dei grassi saturi e dunque invita a non farne abuso e, soprattutto, a controllare le etichette, mettendo però da parte gli allarmismi. Secondo quanto rilevato dall’Iss, l’olio di palma è un ingrediente largamente impiegato nell’industria alimentare e rappresenta una rilevante fonte di acidi grassi saturi. Esso è infatti composto per il 50% da acidi grassi saturi (quasi esclusivamente acido palmitico), per il 40% da acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e per il restante 10% da acidi grassi poli-insaturi (acido linoleico). «La letteratura scientifica - si legge nel dossier - non riporta l’esistenza di componenti specifiche dell’olio di palma capaci di determinare effetti negativi sulla salute, ma riconduce questi ultimi al suo elevato contenuto di acidi grassi saturi rispetto ad altri grassi alimentari».
L’assunzione
L’Istituto Superiore di Sanità ha pertanto stimato il contributo dell’olio di palma all’assunzione complessiva di acidi grassi saturi con la dieta. Infatti, oltre a quelli contenuti nell’olio di palma aggiunto agli alimenti durante la trasformazione industriale, acidi grassi saturi vengono assunti attraverso il consumo di molti alimenti non trasformati che li contengono naturalmente, come latte e derivati, uova e carne. Le stime di assunzione di acidi grassi saturi effettuate dall’Istituto Superiore di Sanità riportano un consumo nella popo-
pannelli Alimentazione, conoscenza e poesia: alla mensa della Cusano il buon cibo è servito con la cultura. Nel riquadro l’Ode all’olio di Pablo Neruda.
lazione generale adulta di circa 27 grammi al giorno, con un contributo dell’olio di palma stimato tra i 2,5 e i 4,7 grammi. Nei bambini di età 3-10 anni, le stime indicano un consumo di acidi grassi saturi tra i 24 e 27 grammi al giorno, con un contributo di saturi da olio di palma tra i 4,4 vs. 7,7 grammi. Negli ultimi dieci anni si è osservato un trend di crescita delle importazioni in Italia di olio di palma a scopo alimentare. Complessivamente emerge che il consumo totale di acidi grassi saturi nella popolazione adulta italiana è di poco superiore (11,2%) all’obiettivo suggerito per la prevenzione (inferiore al 10 % delle calorie totali giornaliere). Il consumo complessivo di grassi saturi nei bambini tra i 3 e i 10 anni risulta superiore all’obiettivo fisso del 10%. Il minor effetto di altri grassi vegetali, come ad esempio l’olio di girasole, nel modificare l’assetto lipidico plasmatico è dovuto al minor apporto di acidi grassi saturi. Secondo la ricerca commissionata dal Ministero della Salute, nel contesto di un regime dietetico vario e bilanciato, comprendente alimenti naturalmente contenenti acidi grassi saturi (carne, latticini, uova), occorre ribadire la necessità di contenere il consumo di alimenti apportatori di elevate quantità di grassi saturi.
la scienza lo assolve ma sconsiglia di abusarne
© Copyright Università Niccolò Cusano
Confronto della composizione dell’olio di palma con altri grassi alimentari (valori espressi in percentuale) Olio di palma Olio di soia Acidi grassi saturi 44-55 11-21 Acido laurico 0-0,5 < 0,2 Acido palmitico 39,5-47,5 8-13 Acido stearico 3,5-6 3-6 Acidi grassi monoinsaturi 38-45 17-26 Acido oleico 36-44 17-26 Acidi grassi polinsaturi 9-12 54-72 Acido linoleico 9-12 50-62 Acido alfa-linolenico < 0,5 4-10
Olio di colza Olio di girasole Olio di oliva 2-8 10-16 9-26 < 0,2 < 0,2 < 0,05 1-5 5-8 7,5-20 1-2 4-6 0,5-6 56-65 15-26 56-87 55-62 15-25 55-83 26-32 62-70 4-22 18-22 62-70 3-21 8-10 < 0,2 <1
Burro Margarina vegetale 49-51 28 8 < 0,2 21 20 9 5 24 30-22 21 16-20 2-4 18-20 1-2 16-18 1-2 1-2
(...) verdi, innumerevoli, purissimi picciuoli della natura, e lì negli assolati uliveti, dove soltanto cielo azzurro con cicale e terra dura esistono,
lì il prodigio, la capsula perfetta dell’uliva che riempie il fogliame con le sue costellazioni: più tardi i recipienti, il miracolo, l’olio.
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quando la forma fisica diventa una prigione C
olpisce soprattutto gli uomini. Per loro una muscolatura possente acquista un’importanza simbolica, ribadisce la dominanza e il vigore sessuale. Forma fisica, dieta, allenamenti massacranti diventano un’ossessione maniacale tale da compromettere tutto il resto. Ed è così che il mito del corpo da Big Jim diventa una prigione. Stiamo parlando di bigoressia, un disturbo psicologico che ha a che fare con la propria autostima e non solo. In pochi sanno cos’è «È un disturbo che riguarda l’alterata percezione della propria immagine corporea e una cronica insoddisfazione per il proprio aspetto fisico - spiega Claudia Prestano, Professore Associato in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano - Comporta un eccessivo esercizio fisico praticato in palestra, spesso il body building, e l’adozione di diete squilibrate, sostenute spesso da un uso scorretto di farmaci. Il bigoressico, in genere, possiamo descriverlo come una persona che tende a ricercare delle modalità compensatorie al fine di aumentare il proprio
K Intervista Claudia Prestano, Professore Associato in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano
la professoressa prestano spiega la bigoressia: «l’ossessione dei muscoli nasconde deficit di autostima»
tono muscolare e ridurre il grasso». Le cause L’attenzione degli studiosi si è focalizzata soprattutto intorno a tre possibili cause del disturbo, non del tutto indipendenti l’una dall’altra. «In primo luogo, vi è il fattore genetico, cioè un fattore biologico predisponente – prosegue Prestano la seconda spiegazione è di ordine psicologico e pone l’accento soprattutto sulla bassa autostima e sul modo in cui questi soggetti si valutano. Infine i fattori sociali: il maschio di oggi, nello sforzo di costruirsi un ruolo soddisfacente in un panorama sociale radicalmente mutato, si aggrappa alla prospettiva di successo che un corpo prestante sembra garantire». Chi colpisce «La bigoressia la ritroviamo spesso tra i culturisti e i fanatici del body building, anche se è importante sottolineare che non è il body building a essere patologico, dal momento che un esercizio regolare ed equilibrato può contribuire al mantenimento del benessere fisico e mentale di coloro che lo praticano - racconta la psicologa della
Cusano - La patologia insorge laddove le pratiche legate all’allenamento diventano così totalizzanti da interferire con tutti gli altri aspetti della vita. Il lavoro, lo studio, i rapporti sociali e le relazioni sentimentali sono ambiti che i bigoressici non esitano a sacrificare, qualora li considerino fastidiosi impedimenti al loro sacro programma di training. In particolare, questa patologia si manifesta principalmente nei maschi, giovani o adolescenti». Conseguenze gravi «Problemi inerenti al metabolismo, disturbi cardiovascolari, disturbi depressivi - conclude Prestano - Inoltre, l’utilizzo di prodotti che aiutano la crescita del muscolo può portare a disturbi dell’umore, ad ansia e attacchi di panico oltre che a gravi disfunzioni fisiche che compromettono irreparabilmente l’organismo». © Copyright Università Niccolò Cusano
I segnali da non sottovalutare osserva e Sicostantemente
e ossessivamente allo specchio
paragoni e Fatraspesso il proprio fisico e quello degli altri nel panico se e Entra salta un allenamento o se è costretto a mangiare cibi non proteici
proteine e Assume e spesso fa uso
di anabolizzanti e sostanze pericolose
la vita sociale e Trascura per gli allenamenti
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la formula magica dello chef olimpico testatina per le pagine interne DX
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il 19 aprile incontrerò allo stadio di roma gli imprenditori del settore culinario per dare consigli
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alla cucina allo stadio il passo è breve, almeno per Antonino Cannavacciuolo. Lo chef partenopeo, dopo una stagione trionfale nella già collaudata squadra di Masterchef dei Tre Moschettieri (trasformati con il suo ingresso nei Fantastici 4), si prepara - a breve - a conquistare l’Olimpico. La partita da vincere? Aiutare i tanti imprenditori della ristorazione che gli hanno scritto, chiedendo dritte e consigli su come far funzionare al meglio il proprio ristorante. Il salvatore di “Cucine da incubo” (che sarà in onda da oggi con i nuovi episodi su Nove, visibile in chiaro al canale 9 del digitale terrestre) non ha alcun timore di condividere i suoi assi nella manica: «Prendi 10 persone e dai loro gli stessi spaghetti, stesso pomodoro e stesso basilico: vedrai che non esce lo stesso piatto». Sarai all’Olimpico per svelare agli imprenditori della ristorazione i trucchi del mestiere. Non sei geloso dei tuoi segreti? «La differenza sta nella sensibilità: quello è l’ingrediente segreto. Nell’ultimo anno sono stato letteralmente sommerso da tante richieste di persone che non volevano apparire in televisione, ma che avevano bisogno di consigli e mi hanno inviato mail o lasciato messaggi su Facebook. Bisogna ricordare che uno Chef e un buon ristorante non si identificano soltanto con il piatto, ma da tutta la filiera che vi ruota attorno: l’accoglienza in primis. L’incontro del 19 aprile allo Stadio Olimpico di Roma si pone come scopo di formare gli imprenditori del settore anche dal punto di vista della comunicazione e della promozione della propria attività. Basti pensare che nel
«Non c’è un piatto che preferisco: amo soltanto mangiare bene»
Linguine di Gragnano Calamaretti e salsa al pane di Coimo: una ricetta per i lettori di Unicusano Up
”
2016 ci sono ancora strutture senza sito internet e pagina Facebook». Sei un grande tifoso. Come festeggeresti la vittoria scudetto del Napoli? «Scenderei a fare baldoria in mezzo alla gente».
Cosa cucineresti a
La prima cosa che hai cucinato nella tua vita? «La pastafrolla. Ricordo ancora quei biscotti mentre si colorivano nel forno come fosse oggi: ero il bambino più felice del mondo».
foto alessandro pizzi abiti Kiabi
Matteo
Sofia
Loren
Renzi
Piero
Angela
Hai mai fatto una dieta? «Tutti i giorni. Ogni sera ripeto a me stesso: da domani inizio. Così (sorride, ndr) sono perennemente a dieta». Qual è il tuo piatto preferito? «Mi piace mangiare bene. Non c’è un piatto preferito in assoluto, dipende da dove mi trovo e da cosa offre il territorio». Hai scritto “In cucina comando io”. E in famiglia? «C’e molto rispetto. Una coppia vincente deve avere rispetto e fiducia reciproca. Certo... ci sono quei momenti in cui ti mandi a quel paese, ma resta sempre un rispetto enorme». Gestisci uno splendido Relais con tua moglie Cinzia. Qual è l’ingrediente per andare d’accordo sul lavoro? «Mai invadere la sfera di professionalità e competenza dell’altro: ognuno il suo.
Quello che mi ispira il cuore in quel momento, ma sarebbe senz’altro il miglior piatto che si possa mai mangiare: è una promessa
Spaghetto pomodoro e basilico
ANTONINO CANNAVACCIUOLO
e e e e
Nato a Vico Equense (NA) il 16 aprile 1975 Ha conseguito l’attestato di cucina presso la Scuola Alberghiera nel 1994 Esperienze Lavorative: Auberge dell’Ile di Illerausen, Buerehiesel di Strasburgo, ristorante del Grand Hotel Quisisana con Gualtiero Marchesi Nel 1999 assume, insieme alla moglie Cinzia Primatesta, la gestione del Ristorante Hotel Villa Crespi, sul lago d’Orta. Dal 2012 Villa Crespi è Associato Relais & Châteaux Stelle Michelin: 2003, 2006 In tv: conduttore di “Cucine da incubo”, quarto giudice di “Masterchef” nel 2015
Ci riuniamo due/tre volte a settimana per pianificare il lavoro e vedere come andare avanti. Quello che viene stabilito è legge, se poi notiamo che occorre correggere il tiro lo modifichiamo la settimana successiva. È importante avere dei punti fermi». Giudice di Masterchef 2015: definisci con un aggettivo Cracco, Bastianich e Barbieri. «Rispettivamente il bello, l’americano e il buono». Cosa ne pensi della cucina vegana? «Deve essere uno stile di vita e non una moda. Un buon piatto vegano potrebbe essere il minestrone scomposto». Oltre ai fornelli hai qualche altra passione forte? «Pescare. Quando sono su una barca tra i fili da pesca, così come quando sono ai fornelli, me ne vado… mi estraneo. Una vera e propria meditazione». © Copyright Università Niccolò Cusano
Pasta mischiata con fagioli
in libreria Dopo “In cucina comando io” Antonino Cannavacciuolo torna in libreria con “Il piatto forte è l’emozione”, edito da Einaudi (Stile Libero Extra), che contiene 50 ricette dalla tradizione del Nord e del Sud
Dosi per 10 persone 500 gr linguine di Gragnano 10 calamari medi / 1l fumetto di pesce / olio extra vergine di oliva 2 spicchi d’aglio / sale / pepe pomodori pachino / prezzemolo 1 pane di coimo / 2 scalogni 6 rametti di timo / 1 lt. brodo di pollo / vino bianco Preparazione Per la salsa ai calamari: far rosolare due spicchi d’aglio, aggiungere calamari tagliate a rondelle e spadellarli velocemente. Aggiungere il fumetto l’olio extra vergine d’oliva, sale e pepe. Cuocere le linguine in acqua salata e finire la cottura in padella. A cottura ultimata aggiungere i calamari il prezzemolo e i pomodorini. Con l’aiuto di un colapasta e di una pinza fare un nido e posizionarlo al centro del piatto. Aggiungere la salsa di pane attorno alle linguine e infine posizionare calamari sopra le linguine. Per la salsa al pane: Tagliare a cubetti il pane e tostarlo in forno. Rosolare lo scalogno tagliato a filange con olio e timo. Aggiungere il pane sfumare con del vino bianco e bagnare con del brodo di pollo. A cottura ultimata frullare il tutto e passarla al passino fine.
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rugby scuola di vita stefano schiavi, dirigente roma olimpic club: «attraverso il contatto fisico i bambini imparano il rispetto e a non farsi male...»
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iccoli rugbisti crescono. Nonostante le sorti non proprio felici della Nazionale, il rugby ha fatto breccia nel cuore degli sportivi che, però, sembrano più a proprio agio sugli spalti dello Stadio Olimpico (a bere birra e mangiare popcorn) che a praticare il rugby, o farlo giocare ai propri figli. Il timore è che possa essere uno sport traumatico. Probabilmente lo è, ma non meno di altre discipline da contatto, su tutte il calcio. Ne abbiamo parlato con Stefano Schiavi, dirigente della Rugby Roma Olimpic Club, categoria Under 14, società fra le più antiche e blasonate d’Italia. Da che età si può iniziare a giocare a rugby? «Dai 5 anni in poi. Naturalmente le regole sono diverse e nelle prime fasi la pratica del rugby equivale a momenti ludici con delle norme molto semplici».
«La tensione agonistica esiste ma non si va in campo per picchiare, anzi: è l’unico sport dove al fischio finale ci si mette alle spalle tutto per stare insieme»
Qualcuno lo etichetta come uno sport violento. «Assolutamente no. È uno sport pieno di regole, l’arbitro fischia molto e non ci si fa male più di quanto avvenga nel calcio. Il rugby è uno sport di contatto, e come tale un bambino che lo pratica si abitua sicuramente a ricevere e dare colpi. È proprio l’abitudine al contatto fisico che permette ai giovani che praticano questo sport di evitare traumi, e nel contempo rispettare l’avversario. Inoltre si comincia ad acquisire il concetto di disciplina in campo dove non si deve mai protestare né reagire e imparare a controllare le reazioni». Si rischiano infortuni gravi? «Può accadere, esattamente come nel calcio. Ma il rugby è una scuola di vita e insegna anche a superare i momenti di difficoltà. Il bambino che avrà praticato il rugby diventerà un adulto combattente». Qual è il bagaglio tecnico che si apprende? «Il bambino che gioca a rugby impara a correre con la palla, a fermare l’avversario che è portatore di palla e a superare la linea di meta. Acquisisce quindi le modalità per una corretta corsa e un corretto modo di cadere se placcato e comincia ad acquisire capacità di destrezza per evitare di essere bloccato dall’avversario». Il fair-play c’è solo al terzo tempo o anche in campo? «La tensione agonistica esiste per tutti, ma
gran fisico Durante la crescita praticare rugby è di grande aiuto allo sviluppo della struttura fisica e all’apprendimento di comportamenti leali. è consigliabile iniziare a giocare a partire dai cinque anni
non si va in campo per picchiare, anzi. E poi il terzo tempo è molto importante, è l’unico sport dove al fischio finale ci si mette alle spalle tutto e si sta insieme. Si fa parte di un unico mondo, chi è rugbista lo è per sempre, anche quando smette». Tutti i bambini possono giocare a rugby? «Sì, dato che c’è notevole differenza fra i ruoli. Contrariamente a quello che si pensa un bambino non eccessivamente grande può giocare tranquillamente: svilupperà le capacità per risolvere il “problema” statura e peso». Come deve essere l’alimentazione? «Prima delle partite i bambini devono mangiare in maniera abbondante. Colazione ricca con il latte, niente pasti striminziti. Meglio i carboidrati dei grassi, via la cioccolata e gli altri zuccheri che non servono. Bisogna avere energia, non ingrassare. Sono tanti i bambini con accenni di obesità che si affacciano a questo sport, ma la struttura fisica si fa con il tempo. Negli altri giorni, bisogna mangiare sano e regolare. Noi, alla Rugby Roma, cerchiamo anche di consigliare le famiglie in questo senso». E gli adulti? «Una recente ricerca scientifica plaude all’abitudine dei rugbisti adulti di bere birra dopo le partite. Pare che disseti più dell’acqua e permetta di recuperare le energie spese, che sono molte. Dunque, un boccale di birra nel terzo tempo non si nega a nessuno». © Copyright Università Niccolò Cusano
il terzo tempo della cusano per la ricerca scientifica Un’immagine di sportività tra avversari e di alleanza a favore della ricerca scientifica. Prima di ogni partita casalinga l’UnicusanoFondi, la squadra dell’Università Niccolò Cusano, posa insieme alla formazione ospite per ricordare i valori dello sport e l’importanza del sostegno alla scienza. Un rituale che, come avviene nel rugby con il terzo tempo, vuole esaltare e sottolineare lo spirito condiviso fra gli sportivi.
lealtà fair-play e sviluppo: la palla ovale fa bene agli under 14
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la dieta che batte gli integratori
mariangela perrupato La 28enne azzurra, nata a Castrovillari, ha vinto il bronzo ai Mondiali di Kazan nel 2015, nel programma libero del duo misto, con Giorgio Minisini
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K Intervista a Enrica Marchiori,
biologa nutrizionista dell’Istituto di Medicina e scienze dello sport Coni
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li integratori sono sempre più diffusi tra le abitudini alimentari degli italiani. Esiste però molta confusione sull’uso e l’abuso di queste sostanze. Per chi fa sport a livello amatoriale, infatti, possono bastare una sana alimentazione e un giusto stile di vita per ottenere ottime prestazioni. Non solo. Giocano un ruolo importante anche idratazione e timing di assunzione degli alimenti. Abbiamo chiesto a Enrica Marchiori, biologa nutrizionista presso l’Istituto di Medicina e scienza dello sport del Coni, di darci qualche consiglio utile. Servono davvero gli integratori alimentari a chi fa un’attività sportiva non agonistica? «L’integrazione potrebbe essere necessaria solo per atleti di alto livello che si allenano almeno 5-6 volte a settimana dalle due alle quattro ore al giorno, naturalmente con il supporto di uno specialista. Nello sport amatoriale non è necessaria. Basta seguire un’alimentazione sana che preveda tutti gli alimenti e i rispettivi nutrienti. Inoltre, si deve fare attenzione al timing di assunzione dei nutrienti in base agli orari di allenamento. Bisogna sempre considerare i tempi digestivi necessari. Per esempio, se si hanno tre ore di tempo per digerire prima della seduta di allenamento si può fare un pasto completo che non preveda però cibi elaborati. Se invece si hanno solo due ore, sarebbe auspicabile fare un pasto a base di carboidrati: per esempio, se è il pranzo, un piatto di pasta, riso o altri cereali con un condimento leggero a crudo; se è lo spuntino, una barretta energetica, fette biscottate con miele o frutta fresca». Qualche indicazione da seguire durante e dopo l’attività fisica? «Durante l’attività fisica è importante idratarsi: in genere si suggerisce di assumere 500 ml per ora di allenamento inten-
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Un’alimentazione sana e corretta è sufficiente per chi pratica sport a livello amatoriale ma attenzione al timing di assunzione dei nutrienti: bisogna rispettare le ore della digestione IDRATARSI Assumere liquidi è fondamentale durante l’attività fisica: gli esperti suggeriscono di ingerire 500 ml per ogni ora di allenamento intenso
so. E nel post allenamento, entro la prima mezz’ora, per favorire un recupero ottimale si può fare un piccolo pasto che contenga proteine e carboidrati: un frullato o un bicchiere di latte o uno yogurt». Spesso si ricorre all’uso di integratori proteici per accrescere la massa muscolare. «Anche in questo caso va benissimo solo l’alimentazione. Per chi fa la sala pesi 3-4 volte a settimana, a livello amatoriale con carchi onerosi, bastano 1,2-1,5 grammi di proteine per peso corporeo al dì, il giorno dell’allenamento. Non è sano assumere un esagerato introito proteico giornaliero poiché non necessario e dannoso per la salute». Ci sono altri alimenti, oltre la carne, che possono apportare proteine? «Le proteine le troviamo sia negli alimenti di origine animale (carne, pesce, uova, latte e derivati), così come negli alimenti di origine vegetale (legumi e cereali) in cui però sono di basso valore biologico. Una cosa importante da dire, inoltre, è che ormai molti italiani confinano l’apporto proteico esclusivamente al pasto serale, invece è auspicabile distribuirlo nei tre pasti principali in modo tale che si ottimizzi la sintesi proteica giornaliera». © Copyright Università Niccolò Cusano
è tanta Asd Unicusano Aurelia Nuoto nella spedizione italiana del Nuoto Sincronizzato che ad agosto parteciperà ai Giochi olimpici di Rio De Janeiro. Un grande risultato per la blasonata società sportiva che da quest’anno può avvalersi del decisivo apporto dell’Università Niccolò Cusano per un binomio vincente che continua a sfornare atleti di livello internazionale. Come le tre ragazze che faranno parte della selezione azzurra per Rio: ci sono Mariangela Perrupato, Manila Flamini e Elisa Bozzo. Tutte e tre sono allenate da un’altra atleta targata Aurelia Nuoto, Roberta Farinelli, che partecipò alle Olimpiadi di Atlanta 1996. Una grande soddisfazione anche per il direttore sportivo dell’Aurelia, Cristina Del Sette, che ha visto crescere queste ragazze: «Ormai sono una realtà del Sincro nazionale e internazionale – afferma – Per noi è motivo di vanto e ci auguriamo che a Rio de Janeiro possano togliersi delle grandi soddisfazioni». Ma andiamo a conoscere una per una queste gemme azzurre dell’Aurelia Nuoto.
tre stelle a caccia di medaglie ELISA BOZZO Genovese di 29 anni, Elisa Bozzo ha condiviso con le compagne le medaglie agli Europei del 2006 e del 2008
Mariangela Perrupato Mariangela Perrupato ha 28 anni ed è nata a Castrovillari, in provincia di Cosenza, il 15 settembre del 1988. Fa parte della generazione delle azzurre con il medagliere più ricco. Agli Europei 2006 di Budapest ha vinto un bronzo nella prova a squadre e nel combinato. Agli Europei 2008 di Eindhoven, invece, ha ottenuto la medaglia d’argento nella prova a squadre e nel combinato. La grande soddisfazione arriva nel 2015, quando ai Mondiali di Kazan vince il bronzo nel programma libero del duo misto, specialità al suo debutto ufficiale a livello internazionale, insieme con Giorgio Minisini. Visto quest’ultimo risultato, può puntare di diritto a una medaglia anche a Rio de Janeiro. Manila Flamini Se la Perrupato viene dal Sud, dalla Calabria per la precisione, il Centro Italia è rappresentato da Manila Flamini, 29 anni, nata a Velletri il 18 settembre 1987. Manila ha ottenuto la sua prima medaglia internazionale agli Europei del 2006 a Budapest, dove ha raggiunto il bronzo sia nella prova a squadre sia nel combinato. Come
perrupato, flamini e bozzo: le sincronette dell’unicusano aurelia nuoto preparano la missione di rio con l’obiettivo di centrare un podio olimpico l’ateneo romano tiferà per loro Mariangela Perrupato, anche la Flamini ha fatto parte del team che ha ottenuto le medaglie di argento agli Europei 2008 di Eindhoven, anche qui sia nella prova a squadre che nel combinato. E medaglia di bronzo anche per lei ai Mondiali di Kazan, dove ha raggiunto il gradino più basso del podio nell’edizione inaugurale del programma tecnico del duo misto insieme con Giorgio Minisini.
MANILA FLAMINI Manila Flamini, 29 anni di Velletri, ha conquistato un bronzo a Kazan nel programma tecnico del duo misto con Giorgio Minisini
Elisa Bozzo Dal Sud al Centro, fino ad arrivare al Nord Italia. Il Settentrione è rappresentato da Elisa Bozzo, genovese di 29 anni, nata l’8 maggio 1987. Il suo palmarés è leggermente meno nutrito delle prime due, in quanto non ha raggiunto alcuna medaglia agli ultimi campionati iridati di Kazan. Ma come le compagne di squadra si è distinta agli Europei 2006 di Budapest ottenendo il bronzo sia nella prova a squadre che nel combinato, così come agli Europei 2008, dove ha portato a casa l’argento a squadre e quello nel combinato. Anche per lei il sogno di tornare da Rio de Janeiro con una medaglia al collo è tutt’altro che un’utopia. © Copyright Università Niccolò Cusano
testatina per le pagine interne SX
testatina per le pagine interne DX
14
marzo
«Un campo da tennis lo puoi affittare... Il vento invece non si può comprare»
Quali sono quindi le accortezze da osservare? «Le prime volte è necessario affidarsi a professionisti del settore. È importante capire in quali mani si ripone la propria sicurezza e controllare sempre che l’istruttore scelto sia in possesso di tesserino tecnico Csen, Ente di promozione sportiva legato al Coni garante di serietà e affidabilità. Per chi invece plana regolarmente consiglio di controllare sempre l’attrezzatura prima di entrare in acqua e in particolare il sistema di sicurezza a sgancio rapido». Il KiteSurf può essere uno sport rosa? «Certamente. Negli ultimi mesi sono aumentate le iscrizioni di donne alle varie associazioni affiliate all’Ente. Un esempio per tutti è l’ASD Sapienza KiteSurf. Questo perché il kite non richiede fatica fisica ma è tutto questione di tecnica e manualità. Il vero asso nella manica però è la costanza nel praticare e cogliere sempre le condizioni meteo più favorevoli per planare». Quanto conta l’età nella pratica? «Io vado a chili, non ad anni. Il peso minimo per potersi far trascinare dall’aquilone in mare è di 40 kg. Uno stato ottimale di salute e una mente aperta fanno il resto. L’età non conta: Eolo soffia per tutti». Ci sono appuntamenti importanti in vista? «Ho il piacere di annunciare in anteprima il 1° Circuito Nazionale Csen settore KiteSurf che inizierà a giugno in Sardegna per terminare nel Lazio a ottobre, passando per la Calabria tra agosto e settembre. Tre tappe, un unico obiettivo: diffondere la disciplina e scovare talenti». © Copyright Università Niccolò Cusano
15
marzo
«Uno sport per tutti, purché praticato in sicurezza»
l’attrezzatura Aumenta la popolarità del KiteSurf e migliora l’attrezzatura tecnica a disposizione, sia per chi pratica freestyle sia per gli amanti del waveriding
foto di andrea zaniol
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iù che uno sport è una religione. Una devozione che richiede costanza e spirito di sacrificio, ma che in cambio regala soddisfazioni e scariche di adrenalina che ripagano tutto: attesa, spostamenti continui alla ricerca del vento giusto e freddo pungente quando è inverno pieno. Stiamo parlando del KiteSurf, lo sport acquatico che consiste nel farsi trainare da un aquilone - il Kite - collegato mediante dei cavi a una barra con cui si gestisce direzione e potenza. Un solo motore propulsore: il vento. Zio Eolo per gli amici. Per parlare di questa disciplina così giovane ma che in breve tempo si sta diffondendo a macchia d’olio, abbiamo intervistato il referente nazionale Csen (Centro sportivo educativo nazionale) Settore KiteSurf, Giuseppe Sabatino. «è uno sport che affascina e colpisce - conferma Giuseppe Sabatino - ma il primo pensiero di chi si avvicina a questa disciplina è che non sia semplice. Ecco, chiariamo subito: il Kite è un’attività facile, purché sia praticata al di sotto dei 20 nodi (40 km orari c.a), altrimenti diventa estrema. E deve essere eseguita nella massima sicurezza».
Al via la prima edizione del Trofeo Csen: il circuito prevede tre tappe in sardegna, calabria e finale nel lazio L’Ente di promozione punta forte sul Settore
2016
foto di andrea zaniol
testatina per le pagine interne DX
2016
Stefano Prandi
A vele spiegate verso la Ricerca: UniCusano non risparmia sul futuro
l’esperienza
Un Kiter alla Cusano
kitesurf
a metà tra
cielo e mare
Libertà, passione ed emozione. Queste le sensazioni che Stefano Prandi, che si occupa del settore Fundraising per l’Università Niccolò Cusano, prova ogni volta che poggia le mani sulla barra e tenta di dominare la vela tra cielo e terra, anzi: tra mare e vento. «Ho scoperto il KiteSurf nel 2000. Lo spot (area in cui può essere praticata l’attività, ndr) dove esco più spesso è quello di Ostia Lido». L’esperienza più estrema e coraggiosa che oggi puoi ancora raccontare? «Qualche anno fa, durante un’uscita con 30 knot di Libeccio, a circa 2 miglia dalla costa, sono caduto tra le onde. La vela si è distrutta e, a causa delle forti correnti, le onde non mi davano il tempo di riprendere fiato. Superato il primo momento di panico ho pensato: “Caro Stefano, ci siamo: ecco come si fa ad affogare”». Dagli albori a oggi, hai riscontrato miglioramenti sull’attrezzatura tecnica? «Assolutamente sì. Adesso c’è la strumentazione adeguata al tipo di disciplina che si vuole praticare, che sia freestyle o waveriding e, soprattutto, sono molto più sicure, aspetto fondamentale dal momento che il kite, se praticato sopra i 20 knot, è uno sport estremo giocato in un elemento che per noi non è naturale, e il motore è il vento che non si può spegnere come un ventilatore». © Copyright Università Niccolò Cusano
Attraverso la sua Fondazione, l’Università Niccolò Cusano finanzia e sostiene importanti progetti medico-scientifici (nella foto il laboratorio biomedico dell’Università Niccolò Cusano). La pratica del fundraising, basata sulla sostenibilità finanziaria di una causa sociale, è influenzata dallo spirito filantropico: la donazione non è una elemosina né una tassa, ma il frutto di uno scambio volontario tra soggetti che condividono un medesimo obiettivo. Il lavoro di raccolta fondi che viene svolto all’Università Niccolò Cusano, per una forte volontà della governance dell’Ateneo, è volto a sostenere i progressi dei propri ricercatori che, ormai da anni e senza alcun sostegno esterno, svolgono la loro opera scientifica in tre macro attività: la ricerca, la divulgazione e la formazione.
Giuseppe Sabatino, referente nazionale Csen Settore KiteSurf
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