Unicusano Focus 19 luglio 2016

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UNICUSANO FOCUS Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma

ALLEGATO AL NUMERO ODIERNO DEL

I.P. A CURA DELL’UNIVERSITà NICCOLò CUSANO e di SpoRTNETWORK

Settimanale di Scienza, Industria e Sport a cura della Cusano

Speciale Puglia Fumetti e giochi Dopo la tragedia Inventiamo servono investimenti il nostro lieto fine > A PAGINA III

Protagonisti Pancaro e la filosofia del calcio “estetico”

> A PAGINA VI

Umberto veronesi > Nel Manuale di etica il professore si rivolge ai colleghi più giovani: «Il dialogo con i pazienti deve essere profondo, non dimentichiamoci che curiamo le persone»

> A PAGINA II

LA VIGNETTA

la missione del medico special Olympics

Giulia è più forte degli stereotipi: la sua storia > A PAGINA IV Prodotto da “L’ Arte nel Cuore”, Testi di Andrea Giovalè, Disegni di Vincenzo Lomanto. www.fourenergyheroes.it

martedì 19 LUGLIO 2016 www.corrieredellosport.it

> A pagina VII

il punto

Terrorismo gli effetti sui mercati

L’

ultimo folle atto che il 14 luglio ha colpito Nizza e, quindi, la Francia – che rimane al centro della drammatica escalation del terrorismo – ripropone con prepotenza il tema della strategia del terrore che si basa sull’assoluta imprevedibilità degli eventi in riferimento a luoghi, tempi e modalità di attuazione. Ogni volta si ripetono e si rincorrono le analisi più disparate su dinamiche, motivazioni e in relazione alla necessità di misure preventive per evitarli – e, più in generale, del rafforzamento del livello di sicurezza – e all’attenta considerazione di altre problematiche direttamente connesse al manifestarsi degli eventi. Esistono tuttavia anche effetti collaterali e complementari che hanno origine da tali situazioni; tra questi, quelli sui sistemi economici, spesso non immediatamente avvertibili e individuabili. Tali effetti hanno un impatto tendente a diluirsi e a diminuire nel tempo ma rilevante nel creare un clima di pericolosa incertezza, ansia e generalizzata sfiducia, soprattutto nelle popolazioni delle aree colpite. Innanzitutto, a livello macroeconomico si può verificare un calo dei consumi e degli investimenti, sulla base del timore del ripetersi di nuovi eventi; in secondo luogo, l’esigenza di maggior sicurezza, l’individuazione di adeguate forme di contrasto e la relativa predisposizione generano un aumento della spesa pubblica, soprattutto nel Paese interessato ma non solo (anche in Italia, ad esempio, fortunatamente ancora non colpita e speriamo mai, è stato previsto in legge di stabilità lo stanziamento di fondi aggiuntivi destinati al generale rafforzamento della sicurezza). Fabio Fortuna Magnifico Rettore Università Niccolò Cusano SEGUE A PAGINA II


II UNICUSANO FOCUS CORRIERE DELLO SPORT / STADIO

martedì 19 LUGLIO 2016

ricerca e cultura

carriera

in libreria

Dirige l’Istituto Europeo di Oncologia

Tra i volumi un omaggio al cinema

Umberto Veronesi, 90 anni, è uno degli oncologi italiani più famosi e ricopre il ruolo di direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia. E’ stato anche Ministro della sanità fino all’11 giugno 2001 nel secondo governo Amato.

Ha scritto diversi libri tra cui “Una carezza per guarire. La nuova medicina tra scienza e coscienza” (2005), “Il primo giorno senza cancro” (2012) e “Tre sere alla settimana. 300 film, 12 anni di passione cinematografica”.

«prima degli organi curiamo le persone» Il professor Veronesi ai giovani colleghi: «La medicina moderna permette di avere tempo per approfondire il dialogo con i pazienti» Nel suo Manuale di Etica spiega l’importanza del confronto e dell’ascolto

«Non stiamo vincendo la lotta contro il cancro ma di passi avanti ne sono stati fatti»

Il professor Umberto Veronesi, oncologo di fama internazionale, è stato intervistato da Andrea Lupoli nel corso del format “Genetica oggi” su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Il luminare è intervenuto in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Manuale di etica per il giovane medico” (Franco-Angeli Editore) scritto insieme al professor Giorgio Macellari.

tarci dalla finestra. Occorre una legge del Parlamento. Il Parlamento da due anni ha davanti agli occhi una richiesta di legge di iniziativa popolare sull’eutanasia, ma non fa assolutamente niente. Questo perché c’è una forte contrarietà da parte del mondo della religione».

Professore, il libro si rivolge in primis ai giovani medici per guidarli nella riflessione su grandi temi. Ecco la prima domanda che le faccio è proprio questa: si sono perse le figure del “maestro” e del “mentore” in medicina? «Non è più come una volta. Il grande Educatore, con la E maiuscola, è scomparso. Oggi molto è affidato alla consapevolezza personale del medico. L’uso delle macchine è inevitabile, la tecnologia moderna ha fatto fare un balzo in avanti incredibile alla medicina. Questo facilita il rapporto tra medico e paziente, perché le macchine permettono una diagnosi più

Professore, lei è uno dei massimi esperti mondiali di oncologia. Stiamo vincendo la lotta contro il cancro? «Non stiamo vincendo la lotta contro il cancro, però ab-

«L’eutanasia è una sconfitta ma è anche un diritto per chi vuole essere aiutato a morire» rapida. Inoltre, c’è più tempo per il medico per dialogare con il paziente, che deve essere ascoltato. Non è giusto curare la malattia senza curare il malato, non è giusto occuparsi di un organo

senza sapere a chi appartiene quell’organo. Per questo nel mio ultimo libro ho lanciato la medicina della persona, cioè davanti a noi medici compare un’altra persona che ha bisogno di noi. Di

questa persona noi dobbiamo sapere tutto: chi è, cosa fa, come vive, la sua filosofia, le sue aspettative, le sue frustrazioni». Professore, nel libro si par-

la di eutanasia. Secondo lei, è un diritto per il paziente o una sconfitta per il medico? «L’eutanasia è ovviamente la sconfitta della medicina. Vuol dire che la medicina palliativa non è stata in grado di sollevare il malato da questo desiderio. Però è un diritto, a mio parere. Abbiamo il diritto di morire quando vogliamo, suicidarsi non è perseguibile per legge. Possiamo chiedere al medico, in un momento di disperazione, di aiutarci a lasciare la nostra vita in maniera non traumatica, cioè senza but-

Il professor Umberto Veronesi

biamo migliorato molto. Purtroppo il cancro non è una malattia, sono cento malattie diverse. Alcune sono state messe sotto controllo completamente e guariscono tutte, altre invece non sono state messe sotto controllo come i tumori cerebrali e quelli del pancreas; altre hanno indici variabili di guaribilità soprattutto in rapporto alla precocità della diagnosi. Noi stiamo puntando adesso ad anticipare la diagnosi il più possibile perché un tumore piccolo è facile da asportare e da curare. La guarigione è mol-

Radio Cusano Campus

Genetica Oggi, on air dalle 12 alle 13 “Genetica oggi” è una trasmissione radiofonica (in onda su Radio Cusano Campus, 89.100 a Roma e nel Lazio) di approfondimento scientifico sui temi legati alla medicina e alla salute a 360 gradi, con particolare attenzione a quelli provenienti dal vasto mondo della genetica. Un programma sempre attento alle novità provenienti dalla ricerca biomedica. Durante la trasmissione, in onda tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle 12 alle 13, il conduttore Andrea Lupoli intervista esperti del settore e ospita contributi audio di tipo narrativo/documentaristico.

to frequente». Fra pochi giorni il disegno di legge per la legalizzazione della cannabis inizierà il suo percorso in Parlamento. Lei, professore, è favorevole alla legalizzazione della cannabis? «Sono molto favorevole alla legalizzazione della cannabis perché i proibizionismi non funzionano. In Italia è proibito l’uso della cannabis e il 70% delle persone la usa o l’ha usata. Quindi è un insuccesso che va solo a vantaggio della criminalità organizzata, perché crea un mercato nero che fa vivere benissimo tutti i delinquenti. Se invece fosse libera, come lo è in molti altri Paesi, sarebbe tutto più facile. Chi la vuole se la compra, non deve andare in un angolo della strada a farsela vendere da un pusher. Io non consiglio certo ai miei figli di fumare marijuana, così come non consiglio di bere alcol o di fumare tabacco. Il tabacco fa 10mila volte più morti di quanti ne faccia la marijuana. Non è un trattamento totalmente innocuo, ma ha un limite molto basso di pericolosità». © Copyright Università Niccolò Cusano

l’analisi

Finanza ed economia, “assuefatte” al terrore La ripetitivtà degli eventi ha generato una sorta di auto protezione dei mercati mondiali SEGUE DA PAGINA I

è evidente che esistono altri effetti indiretti e difficilmente quantificabili che influenzano in modo negativo la crescita globale già inferiore alle previsioni secondo l’unanime riscontro delle istituzioni nazionali e internazionali; si aggiungono a quelli direttamente connessi agli eventi e contribuiscono insieme ad altri fattori, come la Brexit, ad accrescere l’instabilità e a compromettere la crescita europea, globale e dei singoli Paesi, colpiti e non. L’esperienza purtroppo maturata ci insegna che l’esposizione a pesanti

conseguenze è di livello particolarmente elevato per le zone interessate e per i Paesi entro i cui confini sono ricomprese. Ripercorrendo a ritroso le situazioni drammatiche del passato in riferimento ai luoghi coinvolti, ci si accorge chiaramente, ad esempio, che il flusso turistico diminuisce vertiginosamente subito dopo gli atti terroristici per poi riprendersi, anche se non pienamente; è quanto è avvenuto a Parigi, dove inizialmente la riduzione era stata pari al 50%. A Istanbul e in tutta la Turchia l’attentato all’aeroporto ha provocato un disastro in questo senso e il ritorno ad una migliore situazione è stato fortemente ostacolato dall’aggravamento della situazione politica interna, sfociato nella notte di giovedì scorso nel fallito e goffo tentativo di colpo di Stato. In passato, eravamo anche abituati a immediate riper-

cussioni sull’andamento dei mercati finanziari; dopo il tristemente noto attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre l’impatto negativo sugli indici di borsa fu devastante e perdurante e anche in occasione degli attentati a Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005 le ripercussioni si fecero sentire. La ripetitività degli eventi manifestatisi con preoccupante intensificazione negli ultimi mesi ha originato un notevole ridimensionamento dell’incidenza negativa sull’andamento dei mercati finanziari; in sostanza – e si fa fatica a dirlo e riconoscerlo – questi ultimi hanno generato una sorta di auto protezione, originata dal fatto che si sono purtroppo “quasi assuefatti” e da un processo di forzata rassegnazione, che consente loro di convivere, senza eccessivi sconvolgimenti, con tali eventi. A conferma di quanto esposto, basta ricordare quanto è avve-

nuto subito dopo l’ultimo atto di terrorismo. Venerdì scorso, dopo l’attentato di Nizza, i mercati europei hanno avuto una reazione molto composta con l’indice Cac 40 di Parigi a -0,30% %, il Ftse Mib di Milano a -0,29% e lo Xetra Dax di Francoforte a -0,01%. Una tenuta quasi sorprendente – al pari di quanto sta avvenendo, almeno finora, nel dopo Brexit con le borse europee che registrano il 15 luglio, dopo il picco negativo del 27 giugno, un recupero rispettivamente del +9,7% a Parigi, del +10,9% a Milano e del +8,6% a Francoforte - da cui ha origine l’amara consolazione che ormai, purtroppo e per fortuna, si sono completamente abituati all’impatto emotivo generato da tali eventi e riescono ad assorbirlo con equilibrio. Venerdì notte poi è fallito il colpo di Stato in Turchia e dovremo vedere se, comunque, l’instabilità politica interna ed ester-

na del Paese, oltre alle conseguenze dirette a cui quest’ultimo non potrà sottrarsi e che si sono già avvertite nelle prime 48 ore, produrrà ripercussioni economiche negative anche a livello globale con possibili effetti sui mercati finanziari. Le considerazioni sinteticamente esposte portano a una conclusione: si deve comunque andare avanti e, soprattutto, reagire prontamente e con determinazione per evitare che il fanatismo dell’ISIS e degli altri gruppi terroristici possa essere rinvigorito da un atteggiamento di eccessiva preoccupazione e di generale difficoltà. Ciò al fine di respingere al mittente i tentativi di destabilizzazione della situazione economica globale e per attenuare gli effetti negativi connessi ai drammatici eventi. Fabio Fortuna Magnifico Rettore Università Niccolò Cusano

Per segnalazioni, commenti, informazioni, domande alla redazione dei contenuti del settimanale Unicusano Focus – Sport & Ricerca, potete scrivere all’indirizzo: ufficiostampa@unicusano.it


martedì 19 luglio 2016

UNICUSANO FOCUS III CORRIERE DELLO SPORT / STADIO

speciale puglia

il fatto

il più grave

Ventitré vittime il 12 luglio

Nel 1944 526 morti asfissiati

Martedì 12 luglio scorso, l’incidente ferroviario tra Andria e Corato, al km 51 della ferrovia Bari-Barletta, ha causato 23 morti e 50 feriti. Sei gli indagati al momento, tra i quali i due capostazione delle due stazioni ferroviarie.

Il più grave incidente ferroviario in assoluto in Italia risale al 2 marzo 1944, quando a Balvano (PZ) il treno che andava da Salerno a Potenza si bloccò all’interno di una galleria e 526 persone morirono asfissiate.

settore ferroviario è ora di investire L’analisi tecnica del professor Paolo Delle Site dopo la tragedia di Corato: «Stabilire priorità sulla sicurezza» Anche l’Università Niccolò Cusano fornisce il suo contributo al dibattito sulla sicurezza della rete ferroviaria in Italia. E lo fa ospitando un parere di assoluto rilievo. Il professor Paolo Delle Site è docente associato di Tecnica ed Economia dei Trasporti presso la facoltà di Ingegneria dell’Ateneo. Con lui abbiamo provato, durante la trasmissione di Radio Cusano Campus “Ho scelto Cusano”, a spiegare sotto il profilo strettamente tecnico quali sono le caratteristiche della rete ferroviaria italiana. Un argomento tornato purtroppo di stretta attualità, dopo l’ultimo incidente ferroviario che si è verificato in Puglia. Professore, iniziamo con una domanda di natura prettamente tecnica. Ci può chiarire il principio della “sicurezza di marcia” nella rete ferroviaria italiana? «Tale principio si applica su

zione automaticamente per garantire la sicurezza qualora il macchinista non rispetti qualche segnale o non utilizzi le corrette procedure. Nelle linee a singolo binario la situazione è completamente diversa. Oggi per queste linee si utilizza il blocco telefonico».

Come funzionano le linee di trasporto: lo spiega il docente dell’Università Niccolò Cusano tutta la rete ed è attuato per evitare le collisioni fra treni. La regola vuole che le linee ferroviarie siano divise in sezioni e ogni sezione debba essere occupata da un solo treno. Questo è quanto sancisce il principio». Quali sono le differenze di dotazione tecnologica e di sicurezza tra linee a doppio binario e linee a binario unico? «Sulle linee dell’alta velocità e su quelle ordinarie a doppio binario esistono due sistemi di controllo, denominati, rispettivamente, ERTMS/ETCS e “controllo marcia treno”. Il loro funzionamento è simile. Questi sistemi entrano in fun-

L’incidente del 12 luglio in Puglia visto dall’alto

Ci può spiegare di cosa si tratta? «È molto semplice: in pratica c’è un operatore che dà il via libera al treno quando ha avuto l’informazione che il treno precedente ha liberato la tratta». La situazione dei due convogli coinvolti nel disastro

«Dobbiamo potenziare al più presto il trasporto locale e pendolare»

Quali sono le caratteristiche specifiche della linea sulla quale è avvenuto l’incidente in Puglia? «È una linea a traffico locale non controllata da RFI, ma gestita da un altro gestore. E questo aspetto mi sembra importante, perché se i principi e le tecnologie sono comuni, i modelli di gestione sono specifi-

ci del singolo operatore e non sono uguali per tutti». Cosa ne pensa della lunghezza delle tratte a binario unico che si snodano lungo la nostra rete ferroviaria? «Credo che in un recente passato si siano effettuati investimenti ingenti per l’alta velocità, destinando risorse molto più modeste per altri tipi di tratte. Come, ad esempio, proprio quelle a binario unico e quelle per il trasporto locale. È stato molto vivo anche il dibattito sulla costruzione di un ponte sullo stretto di Messina. Io penso che andrebbe posta maggiore attenzione anche sul resto della rete di trasporto terrestre, con una maggiore considerazione per le esigenze di tutti coloro che, quotidianamente, si spostano per andare a lavorare, o a scuola oppure per recarsi all’università». Professore, qual è secondo lei il livello di sicurezza del-

la rete ferroviaria italiana? «Io credo che il livello sia alto. I casi di incidente sono statisticamente peraltro molto rari e non hanno avuto tutti la stessa tipologia di cause. Il trasporto ferroviario, assieme a quello aereo, è il più sicuro in assoluto. Ma certo è giunto il momento di stabilire delle priorità». Cosa fare allora per cercare, in futuro, di dotarci di una rete ferroviaria ancor più efficiente? Quali sono, secondo lei, queste priorità? «Io porto avanti da sempre una mia idea. La ribadisco: ritengo che le poche risorse economiche che abbiamo, le dovremmo convogliare maggiormente sul trasporto pubblico locale e sul traffico pendolare, in modo da potenziare un settore che in questo momento, più di ogni altro, risente della mancanza di interventi». © Copyright Università Niccolò Cusano

il parere

Rinnovare le infrastrutture e definire procedure certe L’ingegner Andrea Buonomini della RATP è intervenuto a Radio Cusano Campus L’ingegner Andrea Buonomini, 45 anni, uno dei massimi esponenti di sicurezza legata ai trasporti e che attualmente ricopre molteplici ruoli nell’azienda francese RATP (Régie autonome des transports parisiens), è intervenuto alla trasmissione di Radio Cusano Campus “Ho scelto Cusano” sulle polemiche generate dall’incidente ferroviario in Puglia, provando a delineare il quadro della sicurezza della rete ferroviaria in Italia. Un’analisi lucida e attenta sulle molteplici problematiche che ancor oggi risultano irrisolte. Ingegner Buonomini, ci chiarisca innanzitutto un

aspetto: esistono oggi delle procedure di sicurezza standard che dovrebbero consentire di prevenire possibili tragici incidenti come quello di Corato? «Il punto centrale del discorso è proprio questo. È fondamentale che i processi che regolano la sicurezza sui mezzi di trasporto debbano seguire in modo tassativo delle procedure chiare. E questo purtroppo non sempre accade. Occorre avere un’esperienza, occorre aver lavorato con estrema attenzione su determinati sistemi fino ad arrivare alla realizzazione di procedure certe, esatte e corrette. E ancor più importante è migliorare, modificare, aggiornare continuamente tali procedure. Fino a raggiungere il massimo livello di sicurezza». Come è possibile realizzare tutto ciò? «Senza dubbio attraverso una formazione continua

«Errore umano? Bisogna migliorare anche l’efficienza tecnica dei sistemi di sicurezza»

I soccorsi sono stati estremamente complessi: le vittime finora sono 23

del personale ferroviario e la realizzazione di corsi di aggiornamento. Occorre tenere sempre viva l’attenzione su questi aspetti, perché poi saranno proprio questi

aspetti che andranno a influire sulla capacità del personale di essere sempre efficace e attento, anche nella cura verso i minimi particolari».

Ciò può esser raggiunto anche attraverso vere e proprie prove di simulazione? «Le prove e le simulazioni di incidente sono mol-

nel nostro paese i meccanismi di sicurezza su rotaia, soprattutto su tratte periferiche, siano regolati da strumenti che ormai molti giudicano inefficienti e obsoleti? «Di certo questo è un problema molto serio. Ma non di facile soluzione. Va infatti sottolineato che il problema delle nuove tecnologie legate al trasporto pubblico è innanzitutto di natura economica. Un sistema di controllo-treno a distanza, ad esempio, è oneroso. Il costo di questa tecnologia non può essere applicato su tutta la rete ferroviaria italiana. Ecco perché punterei anche sulla realizzazione di un’efficiente preparazione del personale viaggiante».

to importanti. Io, nella mia esperienza di gestione e costruzione di infrastrutture, ne ho fatte molte. E poi mi permetta di fare una riflessione: si parla spesso dell’esigenza di dover limitare al massimo l’errore o la svista umana. Io invece dico che è necessario anche migliorare l’efficienza tecnica dei sistemi di sicurezza. Un errore o una svista umana devono esser previsti da un sistema di sicurezza efficiente, impedendo che possano causare tragici danni, come Ingegner Buonomini, la nel caso dell’incidente ferro- sua azienda si occupa di viario in Puglia». infrastrutture e opera anche nel nostro paese. Cosa Veniamo ora alla questione c’è ancora da fare per imtecnologica. Possibile che plementare questo partico-

lare settore, in Italia? «C’è molto da fare. Innanzitutto occorre al più presto pensare a degli investimenti seri. I soldi sono pochi e allora sarebbe opportuno almeno stabilire delle priorità. È necessario rimodernare le infrastrutture che già abbiamo e che sono ormai obsolete. Poi occorre investire sul rinnovo delle linee». A tal proposito, ha in cantiere qualche progetto? «Le faccio un esempio: la mia azienda ha presentato alla Regione Lazio una proposta per il rinnovo completo della linea ferroviaria Roma-Lido. In più abbiamo proposto di rinnovare completamente il parco vetture con 18 nuovi treni e il restyling completo di tutte le stazioni. Siamo ancora in attesa di una risposta, ma ritengo che questa sia la strada corretta da seguire per migliorare veramente le cose». © Copyright Università Niccolò Cusano


IV UNICUSANO FOCUS CORRIERE DELLO SPORT / STADIO

martedì 19 LUGLIO 2016

sport e disabilità

il salto di qualità della vita

Attraverso l’adesione a Special Olympics, Giulia ha battuto gli stereotipi e l’emarginazione In cima alle vette: dal 14 al 25 marzo prossimi prenderà parte ai Giochi Mondiali Invernali Giulia Colombi di Rivolta d’Adda, in provincia di Cremona, nasce a Milano 22 anni fa da Raffaella e Flavio, rispettivamente la mamma e il papà, che descrivono la sua nascita, la lotta per sopravvivere, il dolore e le preoccupazioni familiari. Giulia, appena venuta alla luce, ha dovuto affrontare, con tutte le proprie forze, tante difficoltà, fino alla consapevolezza, oggi, di aver raggiunto grazie allo sport la vetta più alta, dove poter guardare il mondo con occhi diversi e godersi finalmente la conquista più bella: la vita. Per i genitori la gioia di poterla raccontare, proprio in occasione della convocazione di Giulia ai Giochi Mondiali Invernali Special Olympics, che si terranno in Austria dal 14 al 25 marzo prossimo; un evento internazionale che la vedrà partire, insieme ad altri 33 Atleti, in rappresentanza dell’Italia, il suo paese. Da quella stessa vetta, emblema della vita, Giulia scenderà veloce nello slalom speciale e nel supergigante con la convinzione che da una caduta ci si può rialzare più forti di prima. Le difficoltà. Giulia è nata

con alcune malformazioni, ano-rettale e cardiaca, per le quali nei primi undici mesi di vita ha dovuto subire, per la correzione delle stesse, cinque interventi. «Subito dopo il parto me l’hanno tolta dalle braccia – racconta la mamma - e trasportata d’urgenza, con il papà e la nonna in macchina a rincorrere l’ambulanza, all’Ospedale Buzzi di Milano per essere sottoposta al primo intervento di deviazione del colon. Ci siamo ritrovati improvvisamente ribaltati in un altro mondo: dalla gioia più grande all’incubo più nero. Abbiamo rischiato ogni giorno di perderla. Durante l’intervento a cuore aperto, effettuato a soli 15 giorni dalla nascita, Giulia è stata raffreddata a 18 gradi e alimentata dal cuore artificiale, e noi aggrappati alla speranza e alle parole della sua cardiologa che ci diceva vostra figlia sta reagendo bene. Un percorso tortuo-

Giulia Colombi, 22 anni, vive a Rivolta d’Adda, in provincia di Cremona

al basket, ma è nello sci, iniziato, all’età di 8 anni, che si realizzerà il suo sogno mondiale. In tutte le gare regionali e nazionali cui ha partecipato ha vinto medaglie d’oro, d’argento e di bronzo. Quando si ritorna dalle trasferte sportive Giulia compare spesso, con degli articoli, sui giornali locali. Lei è felice perché ci tiene che la gente sappia dei suoi risultati, dei suoi successi. Con molta naturalezza dice:“Scriviamo sul giornale perché così la gente, leggendo, parla di qualcosa di bello e non sempre di cose brutte”. Ha maturato un atteggiamento positivo; è tenace e testarda, ma anche molto dolce. Siamo convinti che se non ci fosse stato lo sport non avrebbe avuto sbocchi di alcun genere. Oggi sta facendo, a Pioltello, un percorso di autonomia e di inserimento lavorativo socializzante; avendo frequentato la scuola alberghiera con indirizzo di cucina, sogna di aprirsi un ristorante tutto suo; fa dei risotti e delle torte spettacolari».

verso le paralimpiadi

Al Grand Prix di Berlino brillano Lanfri e Caironi Il velocista lucchese autore di due record Per la primatista mondiale solo conferme

il messaggio. «Ci auguria-

so, altri numerosi interventi e, all’età di 8 anni, la diagnosi definitiva: Giulia ha la sindrome di DiGeorge, molto rara e causata dalla delezione di una particolare regione del cromosoma 22 che oltre a malformazioni fisiche contempla un ritardo psico motorio». La scuola e l’emarginazione.

«Ha frequentato la scuola nel proprio paese – prosegue la mamma – e durante l’ultimo anno di elementari, in occasione di una gita organizzata, ho chiesto a Giulia con chi delle sue compagne si sarebbe seduta sul pullman e lei mi ha risposto “nessuno mamma, vicino a me non si siede mai nessuno”. Non abbiamo mai sospettato che Giulia fosse esclusa dai compagni, perché le maestre dicevano sempre che andava tutto bene. Probabilmente ci hanno tenuto nascoste tante cose anche perché Giulia

non dava problemi: è sempre stata una bambina tranquilla che dava l’idea di stare bene da sola. Situazioni come queste non servono a trovare un colpevole ma a riflettere su come migliorare gli strumenti in ambito formativo. Nel percorso di crescita di Giulia abbiamo incontrato neuropsichiatri, educatori, psicomotricisti, psicologi che hanno contribuito al suo miglioramento comportamentale e cognitivo, ma siamo convinti che il “salto di qualità” sia stato fatto con l’inserimento di Giulia nel mondo sportivo». Crescita. «Il primo approc-

cio – ricorda la mamma di Giulia – a un corso di acquaticità all’età di un anno e mezzo; una passione per il nuoto che negli anni la porta a far parte di una squadra agonistica. Purtroppo la medicina sportiva non permette a persone che hanno mal-

formazioni cardiache genetiche di avere l’abilità agonistica; stanca di allenarsi senza avere la possibilità di confrontarsi, gareggiando, decise di abbandonare. Spesso Giulia diceva “ma mamma io mi alleno con impegno in tutti gli sport che faccio ma se non posso gareggiare o giocare le partite, come faccio a dimostrare quello che valgo?”. Nel 2011 la svolta con l’ingresso in un Team Special Olympics di Lodi,“No Limits Onlus”, che le permette di potersi esprimere appieno. Giulia, dopo un periodo in cui si era chiusa a riccio e parlava a monosillabi, è ritornata a vivere, adesso parla con tutti senza vergognarsi; dice quello che pensa, è schietta, diretta, precisa e meticolosa ed ha un sorriso meraviglioso». nuovi stimoli. «Giulia ha sperimentato diverse discipline sportive, dalla pallavolo

mo che questa nostra testimonianza – conclude Raffaella – possa arrivare a tutte quelle famiglie che hanno nella loro vita delle persone come Giulia e non sanno quanto lo sport sia importante per i propri figli, nipoti o fratelli. Nei Giochi Special Olympics non parliamo di classifiche ma di un percorso di crescita personale importantissimo che valorizza le abilità di ognuno, conduce alla conquista di una sempre crescente autonomia, dona gratificazione, e riconoscimento. L’evento sportivo è uno strumento di aggregazione importante, un momento di vita che ha aiutato Giulia a essere responsabile delle proprie azioni. è stato importante, per noi genitori, parlare sempre di Giulia in modo naturale non nascondendo mai niente. Questo ci ha portato a incontrare persone che ci hanno aiutato e fatto conoscere il mondo; ogni consiglio può rappresentare una fonte preziosa. Non è chiudendoli in casa che facciamo il loro bene, esponiamoli al mondo, senza paure; hanno bisogno di condizioni e stimoli che permettano loro di crescere così come, allo stesso tempo, noi abbiamo tanto da imparare da loro». © Copyright Università Niccolò Cusano

Martina Caironi, portabandiera dell’Italia alle prossime Paralimpiadi di Rio

Continua a stupire lo sprinter biamputato Andrea Lanfri (Sempione 82). Nel Grand Prix di Berlino il suo nome spicca tra i brillanti risultati ottenuti da tutti i nove Azzurri che hanno partecipato alla penultima tappa del circuito mondiale di IPC Athletics prima della finale di Londra. Il velocista lucchese è l’autore di due nuovi record assoluti: la vittoria nei 100 metri T43/44 corsi in 11.88 gli permette di abbassare ancora una volta il limite di 11.97 ottenuto mercoledì scorso al meeting Fidal di Lignano Sabbiadoro, mentre il terzo posto nei 400 metri gli valgono un crono da primato di 56.76. Nella stessa gara buone prestazioni anche da parte di Emanuele Di Marino (H2 Dynamic Handysports Lombardia) che taglia il traguardo in 57.48 e Luca Campeotto (Atletica 2000) che conclude in 1:01.25. PROTAGONISTI. Tra le donne

finale scontato con il primo posto ben saldo nelle mani

L’ultima tappa del circuito IPC Athletics si terrà a Londra dal 23 luglio della primatista mondiale dei 100 T42 Martina Caironi (Fiamme Gialle) che si distingue in batteria con un eccellente 14.97. Dietro di lei si piazza Monica Contrafatto (Paralimpico Difesa) che ottiene anche lei il miglior tempo nel turno preliminare (16.53). L’argento europeo T35, Oxana Corso (Fiamme Gialle) ha fatto i suoi 100 in 15.51, mentre Michele Camozzi (Atletica Interflumina) e Luca Campeotto si sono espressi rispettivamente in 11.98 (T13) e 13.72 (T43/44). SALTO. Ottime notizie invece

dal salto in lungo. Per la categoria T44 medaglia d’oro e inno nazionale per il recordman tricolore Roberto La Barbera (Pegaso) che atterra

a 5,93 in una gara fortemente condizionata dal vento. La vicecampionessa iridata Caironi salta a 4,41, a 19 centimetri dal suo primato italiano T42, mentre Arjola Dedaj (Fiamme Azzurre) realizza il personale T11 con la misura di 4,34 (+1 cm). Anche la seconda giornata di gare ha riservato prestazioni di buon livello tecnico sui 200 metri. Sempre Dedaj conclude la prova T11 in 28.07 in batteria, ma è costretta a rinunciare alla finale per un lieve infortunio occorso alla sua guida, Elisa Bettini. Michele Camozzi conquista la terza posizione nella finale T13 (25.23 per lui), mentre Luca Campeotto (T43) termina la sua gara in 28.64. APPUNTAMENTO. L’ultimo ap-

puntamento con il circuito IPC Athletics Grand Prix, che lo scorso aprile ha toccato la città di Grosseto, si svolgerà a Londra allo Stadio Olimpico il prossimo 23 luglio. La partecipazione sarà ad invito. © Copyright Università Niccolò Cusano


martedì 19 LUGLIO 2016

Unicusano FOCUS V CORRIERE DELLO SPORT / STADIO

ricerca e cultura

volete essere felici? metteteci la testa

Nel libro “Happy Brain” la neuroscienziata Suzuki spiega come cambiare vita sfruttando il cervello «Il segreto è avere un buon equilibrio tra mente e fisico L’atteggiamento positivo arriva da lì»

La neuroscienziata Wendy Suzuki, autrice del libro Happy Brain

Un libro che nasce da uno stato personale: Single, sovrappeso e senza amici alla soglia dei 40 anni. Poi qualcosa è cambiato. Cosa? «La prima cosa di cui mi sono resa conto è che ero molto poco felice, ho cercato di capire cosa potessi fare per cambiare questo stato di cose e mi sono resa conto che la cosa più facile era quella di iscriversi in palestra. L’ho fatto e ho perso quei chili in più che avevo. In questo modo sono riuscita a cambiare anche il mio modo di essere e di pensare».

Wendy Suzuki, neuroscienziata, direttore di un importante laboratorio presso la New York University è fra i massimi esperti di funzioni cerebrali al mondo. La sua vita è cambiata quando, alla soglia dei quarant’anni, vedendosi single, sovrappeso e senza amici ha capito di non essere felice e di voler cambiare la sua vita. Inizia così un esperimento su se stessa dove si rende conto che intere aree cerebrali sono inutilizzate, soprattutto quelle sensoriali. Il primo passo è riconnettere il cervello al corpo praticando attività fisica regolare e adottando un regime alimentare più sano che la rimetta in forma. Il suo percorso diventa una “guida” un libro dal titolo: “Happy Brain” edito da Sperling&Kupfer. Ne ha parlato durante la diretta del programma “Genetica Oggi” in onda su Radio Cusano Campus, la radio dell’Università Niccolò Cusano.

C’è un vecchio detto latino che recita: “Mens sana in corpore sano”. Potremmo in parte riassumere così il contenuto del libro? «Assolutamente sì, sono molto d’accordo con questo modo di pensare. Infat-

ti, il segreto per avere una buona vita è proprio quello di riuscire ad avere una combinazione perfetta fra l’equilibrio mentale e quello fisico: ristabilire dunque un buon funzionamento nella connessione fra il corpo e la mente. Tutto questo porta ad avere un atteggiamento positivo. Sono due aspetti che devono viaggiare di pari-passo per uno sviluppo armonico». Lei nel libro sfata un falso mito, non usiamo solo il 10% del nostro cervello «Assolutamente. Noi non usiamo il 10% del nostro cervello. Pensi che, essendo l’essere umano un essere “visivo”, ha un coinvolgimento del cervello, per la visione, del 70% Quando osserviamo, tutte le aree del cervello si attivano, quelle della visione e quelle limitrofe. Questo fa già capire quanto cervello in realtà si usi». © Copyright Università Niccolò Cusano

violenza sulle donne

Femminicidio, la Cusano raccoglie i numeri di un dramma quotidiano In un’infografica curata dall’Ateneo romano il quadro allarmante anche nel nostro Paese Vittime di stalking, di abusi, picchiate e uccise da uomini che avevano scelto come compagni e mariti. Uomini diversi ma accomunati dall’incapacità di accettare la fine di una relazione o in ogni caso incapaci di rispettare la libertà di scelta di una donna. Nelle ultime settimane, uno dei casi più agghiaccianti ha riguardato la 22enne romana Sara di Pietrantonio, uccisa dall’ex fidanzato lungo via della Magliana. Alla sua storia, e a quella di tutte le altre donne che hanno subito violenza o a cui è stata tolta la vita, la Facoltà di Psicologia dell’Università Niccolò Cusano ha dedicato l’infografica “Stop alla violenza contro le donne. Dati e analisi per un cambiamento”. IN CRESCITA. Il femminici-

dio è una piaga cupa e preoccupante, un fenomeno tristemente in crescita in Italia e nel mondo. Secondo la mappa riportata nella prima parte dell’infografica, a livello mondiale la percentuale di donne che hanno sperimentato una violenza fisica o sessuale almeno una volta nella propria vita è superiore al 30%. Le percentuali più elevate si registrano in Australia (68%), Asia (67%) e Africa (64%). In Italia, in media, nei primi 7 mesi del 2016 i casi di femminicidio

Sotto, la parte dell’infografica della Cusano relativa all’Italia

nel nostro Paese sono stati 69. In pratica, una donna ogni tre giorni è stata assassinata dal proprio marito o compagno. Scorrendo l’infografica è possibile osservare come nel nostro Paese le donne vittime di stalking siano circa 3,5 milioni, quasi la metà rispetto a coloro che subiscono violenza fisica o sessuale. I casi più frequenti di violenza psicologica si verificano al Sud e nelle Isole e – dato allarmante – la quasi totalità delle donne è paralizzata di fronte all’atteggiamento dei propri uomini: solo il 12% di loro riesce a trovare il coraggio di denunciare. IL PARERE. A chiudere l’info-

grafica della Cusano sono i consigli dell’associazione Casa delle donne, da oltre 20 anni al fianco delle vittime di violenza, e il parere della criminologa Cinzia Mammoliti. Secondo la dott.ssa Mammoliti, «L’ultimo appuntamento è sempre il più pericoloso. L’abusante capisce di aver perso la donna e chiede l’ultimo appuntamento, magari cercando di convincerla con regali, fiori, ricatti affettivi. Negare sempre l’ultimo appuntamento è essenziale». E alla domanda su quali siano i primi campanelli d’allarme di una relazione ‘malata’, l’esperta risponde: «Quando la vittima sente che sta vivendo un disagio e non riesce più a comunicare con il partner. Quando l’uomo non ha il controllo di sé. Campanelli d’allarme sono i ripetuti messaggi, quando si chiede di essere lasciate in pace». © Copyright Università Niccolò Cusano


VI UNICUSANO FOCUS CORRIERE DELLO SPORT / STADIO

martedì 19 luglio 2016

cultura

alla ricerca del lieto fine

Il card game “C’era una volta” scatena la fantasia: ci si muove tra le fiabe per arrivare all’happy ending Regole e strategie sono state illustrate durante “Giochi a Fumetti” su Radio Cusano Campus

alla propria Carta Lieto Fine. Gli altri giocatori utilizzeranno le proprie carte per interromperlo, diventando essi stessi i Cantastorie. Il vincitore sarà il primo giocatore

che, dopo aver utilizzato le proprie carte, avrà condotto la storia verso la propria Carta Lieto Fine. LO SCOPO. «C’era una volta fa

parte della categoria dei giochi di narrazione. Richie-

Quante storie cominciano con “C’era una volta”? Infinite, soprattutto se a crearle sarà la vostra fantasia. C’era una volta, distribuito da Raven Distribution, è un gioco di carte che unisce narrazione, creatività e collaborazione. Un giocatore, nei panni del Cantastorie, inizierà a inventare una favola utilizzando i suggerimenti delle carte, cercando di guidare la trama fino

immediato dove salta all’attenzione la regola principale: «L’obiettivo del gioco non è vincere ma divertirsi inventando insieme memorabili avventure». «C’era una volta – ha spiegato ancora Emiliani – richiede, oltre alla fantasia dei giocatori, anche molta attenzione nell’interazione con gli altri giocatori. La storia raccontata è comune, quindi ogni giocatore d e v e s a p e r sfruttare al meglio la propria fantasia per concludere la storia e vincere la partita. Un gioco vario e divertente. Non c’è nessun giocatore che non sia stato contento e divertito dopo una partita». Un gioco per

Al suo interno si trovano elementi classici delle fiabe come il cavaliere o la principessa liari per potersi divertire assieme. «Ognuno poi ha il suo stile di raccontare le fiabe e il gioco si adatta allo stile e alla natura del gruppo che affronta la partita - ha aggiunto ancora Emiliani - I bambini ad esempio usano spesso strategie narrative molto diverse dagli adulti per arrivare al loro lieto fine. Il gioco ha delle regole, però si basa molto di più sulla narrazione e sul divertimento. L’importante è certamente divertirsi. Le regole ci sono ma vanno rispettate fino a un certo punto. Il gioco ha anche un’importante funzione educativa, è consigliato nelle scuole per aiutare i ragazzi nella fantasia e nella narrazione». © Copyright Università Niccolò Cusano

de al giocatore di raccontare una storia ed è ispirato alle fiabe classiche. Al suo interno si trovano gli elementi classici delle favole, come il cavaliere, la principessa o il castello, oltre al lieto fine che è lo scopo ultimo della partita», ha spiegato Enrico Emiliani, responsabile commerciale della Raven Distribution, intervenuto ai microfoni di Radio Cusano Campus nel corso del format “Giochi a Fumetti”. VERSO IL LIETO FINE. Il gioco è costituito da 114 Carte Racconto, 51 Carte Lieto Fine, un Regolamento compatto e

David Bowie, icona del rock, morto lo scorso 10 gennaio

cinema e musica

Eterno Duca Bianco tutti i volti di Bowie in un gioco di specchi Il critico musicale Ernesto Assante spiega le evoluzioni di un artista inimitabile Camaleontico al limite dell’ambiguità, con la quale ha giocato spesso nella sua carriera. Molteplici le sue facce, maschere e identità dai molti nomi: da Ziggy Stardust – alter ego partorito negli anni ’70 – al Duca Bianco, fino a David Robert Jones, il suo vero nome, anch’esso quasi ridotto ad alias dopo un’intera vita passata a essere David Bowie. Semplicemente – ricorda il giornalista e critico musicale Ernesto Assante, ai microfoni di Radio Cusano Campus – «David non poteva più fare a meno di essere Bowie. Il rock non è un genere – spiega – è un modo di affrontare la vita e l’arte e per lui arte e vita erano una cosa sola, anche nel momento della morte». ULTIMA FATICA. Assante fa riferimento all’ultimo album di Bowie, Blackstar, pubblicato l’8 gennaio scorso, due giorni prima della sua morte: una profonda riflessione dell’artista sul suo ultimo anno e mezzo di vita, trascorso a lottare contro un tumore al fegato, e sulla morte imminente. «Un simile gesto – secondo Assante – ci dice che non c’era nulla di priva-

tutte le età. Ciò che serve è solamente saper leggere, una fervida immaginazione, e un gruppo di amici o fami-

«In troppi sbagliano a non considerarlo alla stregua di Picasso o di altri grandi poeti» to nella sua esistenza poiché tutto veniva espresso artisticamente: quindi perché negare quest’ultimo momento, il più epico dei momen-

on air

Appuntamento con Buio in Sala Il cinema è la forma d’arte popolare più importante del nostro tempo. Attraverso la sua lente è possibile interpretare la quotidianità, ma anche i sogni e gli incubi della Storia. “Buio in sala”, in diretta dal lunedì al venerdì dalle 21.00 alle 22.00 sulle frequenze di Radio Cusano Campus diretta da Piercarlo Fabi, analizza questo rapporto indissolubile tra la Settima Arte e l’immaginario collettivo.

ti?». David Bowie come artista assoluto, dunque, tra le figure più complete nella storia della cultura contemporanea. AL CINEMA. Anche al cinema, dove la sua grandezza rendeva impossibile vederlo “sparire” dietro a un personaggio ma questo, anziché essere un limite, divenne un valore aggiunto per le pellicole da lui interpretate. L’alieno de “L’uomo che cadde sulla Terra” di Nicolas Roeg, o il Ponzio Pilato che pontifica contro il cambiamento portato da Gesù in “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese o ancora, il Nikola Tesla visionario e pionieristico di “The prestige” di Christopher Nolan acquisirono, infatti, spessore e livelli di lettura perché costruiti attorno al mito di chi li interpretò, «un gioco di specchi – dichiara Assante – cui Bowie si prestò volentieri». Ogni gesto artistico di David Bowie ha lasciato il segno, e «in troppi sbagliano – conclude Assante – a non considerarlo alla stregua di Picasso o dei grandi poeti. Di coloro, cioè, che hanno segnato la cultura, non soltanto pop, degli ultimi 50 anni». © Copyright Università Niccolò Cusano

università niccolò cusano

Cento anni fa la presa di Gorizia: l’analisi del professor Caroli Il 1916 è l’anno della VI battaglia dell’Isonzo e del primo autentico successo italiano nella “Grande Guerra”: la presa di Gorizia. L’impiego di artiglieria è massiccio: sul campo l’Italia schiera 1200 cannoni e 800 bombarde. Il 6 agosto ha inizio l’offensiva: prima un potente bombardamento, poi l’attacco della fanteria. Privo di riserve, l’esercito austriaco è costretto a ritirarsi sulle colline intorno a Gorizia. L’8 agosto, le truppe italiane entrano in città: il sottotenente Aurelio Baruzzi ha attraversato a nuoto l’Isonzo portando con sé la bandiera tricolore. La isserà sul piazzale della stazione ferroviaria, Gorizia è italiana. Gorizia, la città simbolo, con Trieste, dell’irredentismo e dell’unità nazionale.

VITTIME. Questo evento, le-

gato alla Prima Guerra Mondiale, è stato approfondito a “La Storia Oscura” condotto da Fabio Camillacci dal lunedì al venerdì dalle 13 alle 15 su Radio Cusano Campus per il ciclo dedicato al “Centenario della Grande Guerra”. Ai microfoni della Radio dell’Università Niccolò Cusano, lo storico Giuliano Caroli sui fatti di 100 anni fa ha detto: «Il 1916 è l’anno in cui si tenta di porre fine alla “Grande Guerra” ma con il ricorso alle armi, quindi con grandi offensive come le spaventose battaglie di Verdun, della Somme sul fronte occidentale del conflitto, quindi quello anglo-franco-tedesco. Mentre per quanto riguarda la guerra dell’Italia sull’Isonzo, bisogna ricordare la “Strafe-

Expedition” (“Spedizione Punitiva”, ndr) austro-ungarica contro il nostro esercito e le nostre terre, la tenuta italiana e la controffensiva che maturò poi nella VI battaglia dell’Isonzo». Il professore associato di Storia delle relazioni internazionali all’Università Niccolò Cusano ricorda: «Questa è la famosa fase delle “spallate sul Carso” che in pratica portano anche lì come sul fronte occidentale, alla conquista di poche centinaia di metri, di pochi chilometri al massimo. Una cosa è certa: non sono battaglie risolutive, con grande dispendio di energie, di risorse e soprattutto decine di migliaia di vittime. Nonostante tutto, la guerra non finisce lì ma andrà avanti come sappiamo per altri due anni».

La presa di Gorizia, un secolo fa INCERTEZZA. Il 1916 è dunque

caratterizzato da un clima di grande incertezza. Nessuno dei contendenti sul fron-

te italiano riesce a infliggere all’avversario il colpo decisivo, né si riscontra un risultato effettivo sul piano mili-

tare. La presa di Gorizia richiede un notevole tributo di sangue ma la grande vittoria galvanizza l’opinione pubblica e alza il morale delle truppe guidate dal generale Luigi Cadorna: «Fu una reazione militare rapida alla “Strafe-Expedition” austroungarica - ha spiegato il professor Caroli - perché Cadorna spostò in poco tempo numerose unità militari. In sostanza, accortosi che lo slancio offensivo degli avversari era terminato, volle proseguire perché secondo lui il fronte principale restava quello sull’Isonzo e così volle proseguire le operazioni proprio in quella direzione, anche se poi l’Italia non riuscì a riconquistare tutto il territorio perduto». DISTRUZIONI. Lo scontro per

la presa di Gorizia fu cruento e provocò migliaia di morti: «Tra l’offensiva con l’artiglieria pesante da parte italiana e la strenua resistenza austriaca -ha sottolineato lo storico della Cusano - la battaglia fu molto violenta. I forti bombardamenti che aprirono il campo alla fanteria furono senza dubbio una delle chiavi a livello tattico del successo italiano. Poi il nemico si ritirò e le nostre truppe poterono occupare la città comunque distrutta dai combattimenti; fu distrutto anche il famoso castello medievale di Gorizia. Ma gli austriaci si asserragliarono sulle colline sovrastanti e quindi la battaglia non finì con l’ingresso a Gorizia delle truppe italiane. E di fatto si arrestò pure l’ambizioso progetto di arrivare fino

a Trieste e Lubiana. La presa di Gorizia - ha concluso il professore associato dell’Unicusano - spinse comunque la classe politica e i comandi militari italiani a sfruttare la vittoria per essere parte più attiva nell’ambito dell’Intesa, dichiarando guerra anche alla Germania. Mettendo così fine ai malumori Alleati datati 1915 quando l’Italia dichiarò guerra soltanto all’Austria-Ungheria». Per l’Italia, la conquista di Gorizia è un evento di assoluta importanza, ma la guerra nell’estate del 1916 come detto non è finita e le truppe austro-ungariche dimostreranno ancora un’energia incredibile e saranno capaci di umiliare l’esercito italiano del generale Cadorna a Caporetto nel 1917. © Copyright Università Niccolò Cusano


martedì 19 LUGLIO 2016

unicusano focus VII CORRIERE DELLO SPORT / STADIO

la cusano e il calcio

il credo di pancaro la forza delle idee

UnicusanoFondi

Grande attesa in casa rossoblù: oggi il primo Consiglio Federale

Il presente in panchina dell’ex laziale: «Cerco un club che abbia voglia di rischiare: vincere giocando bene» Quando sono stato chiamato dal Catania, parlando anche di una piazza molto importante, non ho avuto dubbi anche se sapevo che era una situazione molto difficile. Nove punti di penalizzazione, divenuti poi 11, non erano facili da recuperare. Ho accettato con grande entusiasmo. A me allenare diverte e ho pensato solamente a quello». Il campionato è stato duro, quasi sempre in salita: «In termini di risultati e prestazioni è stato molto positivo. Eravamo partiti con l’obiettivo di fare l’impresa di salvarci. Quando sono andato via, a nove giornate dalla fine, la squadra era a buon punto per centrare l’obiettivo. Purtroppo la società prese altre decisioni. La piazza era molto esigente, c’erano molte pressioni e onestamente mi è dispiaciuto non poter finire il lavoro».

«Solo chi ha pazienza e crede in un lavoro a lunga scadenza alla fine può ottenere risultati» La sua bacheca personale riesce a fare invidia a intere società, anche blasonate. Giuseppe Pancaro, in carriera, ha vinto praticamente tutto: due campionati, altrettante Coppe Italia, tre Supercoppe italiane, una Coppa delle Coppe e due Supercoppe europee. Oggi, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo nel 2007, rincorre un nuovo sogno, ovvero quello di diventare un grande allenatore. Per riuscirci ha deciso, nelle ultime due stagioni, di confrontarsi con delle piazze caldissime della Lega Pro: Juve Stabia e Catania. «È stata sicuramente un’esperienza molto positiva – afferma l’ex difensore di Cagliari, Lazio e Milan parlando della sua avventura, nel 2014, a Castellamare di Stabia – Non avevo mai allenato e la Juve Stabia mi ha dato la possibilità di poter partire da una piazza importante ed esigente. La stagione è stata positiva dal punto di vista del gioco espresso e dei risultati. È un ricordo bello per me, anche perché sono riuscito a instaurare dei rapporti che durano ancora oggi fuori dal campo con molte persone con le quali ho lavorato in quella stagione. Purtroppo, per divergenze di opinioni il mio campionato finì in anticipo. Oggi mi sono reso conto che quando riesci a fare bene, esprimendo anche un bel gioco, bisogna cercare in tutti i modi di raggiungere l’obiettivo finale, mettendo da parte alcuni problemi. Quella squadra sicuramente poteva andare in serie B». IN SICILIA. La scorsa stagio-

ne la scelta è ricaduta sul Ca-

L’UnicusanoFondi ”guarda” a un futuro in Lega Pro Un’esultanza di Pancaro ai tempi della Lazio

MAESTRI. In carriera Pan-

caro ha avuto tantissimi allenatori, alcuni divenuti grandi tecnici: «Sono rimasto in ottimi rapporti con tutti. Avrò preso qualcosa da tutti quanti, sfruttando la fortuna che ho avuto. Questo, però, è un mestiere nel quale bisogna essere se stessi. Il copia e incolla non paga. Bisogna avere un’idea, la propria

Qui in azione contro la Roma con la maglia del Milan

caro ha le idee chiarissime: «Cerco di raggiungere il risultato attraverso il gioco. Mi diverto quando la mia squadra riesce a fare la partita, quando gioca il più possibile nella metà campo avversaria. Mi prendo dei rischi però a me piace così. Vincere giocando bene». IL FUTURO. Nel frattempo ci si

Giuseppe Pancaro

tania: «A me piace allenare. Non mi interessa la categoria, voglio stare sul campo.

idea di calcio e portarla avanti con coerenza e convinzione». E sull’argomento Pan-

muove per il prossimo anno: «Ho avuto un contatto con una società svizzera, ho parlato in Italia anche con diverse realtà. Alla fine, per un motivo o per un altro, ancora non si è concluso nulla». E la categoria, assicura, non importa: «È un problema che

non mi sono mai posto. A me piace allenare e interessa trovare un posto dove ho la possibilità di lavorare. L’ideale sarebbe parlare di un progetto a lunga scadenza. Per costruire qualcosa di importante ci vuole tempo. Il mio più grande rammarico di queste due stagioni – confida – è che mi sarebbe piaciuto ripartire con la stessa formazione con la quale avevo già lavorato un anno. La continuità tecnica fa la differenza ma in Italia è difficile. Il risultato è più importante di tutto. Chi ha invece la pazienza e crede in un progetto a lunga scadenza alla fine ottiene risultati». © Copyright Università Niccolò Cusano

Comincia di fatto oggi il percorso della nuova stagione di Lega Pro, al quale guarda ovviamente con grande attenzione e fiducia anche l’UnicusanoFondi. Infatti, con inizio alle ore 11.30 è previsto a Coverciano lo svolgimento del Consiglio Federale della Figc, che negli otto punti del suo ordine del giorno ha inserito anche e soprattutto le questioni relative all’assegnazione delle Licenze Nazionali per i campionati professionistici, indicando le società che non sono in regola con quanto richiesto per poter accedere alla prossima annata, fermo restando che le stesse avranno un lasso di tempo

Sono all’ordine del giorno anche le licenze per la Lega Pro: il verdetto ai primi di agosto da utilizzare per mettersi in regola. L’ATTESA. Fari ovviamente ac-

cesi sulle decisioni relative al torneo di terza serie, e al pari di numerose altre aspiranti anche il club dell’Ateneo sta lavorando per fare in modo di essere pronto e che al momento giusto tutto sia perfettamente in regola. Entro il 26 luglio verrà formalizzata la

domanda di ripescaggio, corredata di quanto richiesto dagli organi competenti; si tratta del secondo passo formale dopo l’iscrizione alla serie D avvenuta due settimane fa e che era propedeutica a quanto la dirigenza sta facendo in questi giorni. Quindi bisognerà attendere almeno i primi di agosto, quando verrà diramato l’organico ufficiale della Lega Pro. Che quest’anno, secondo i desideri dei vertici e il dettato delle norme federali, tornerà nella versione a 60 squadre, con i classici tre gironi da venti compagini ciascuno. Organico nel quale il sodalizio rossoblù “sente” e desidera far parte. © Copyright Università Niccolò Cusano



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