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ALLEGATO GRATUITO AL NUMERO ODIERNO DEL
NUMERO 2 FEBBRAIO 2017
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Attenzione alle proteine
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Cervello Più felici con l’arte
Canicross In forma con Fido
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LA CULTURA DELLA PREVENZIONE IN TV I.P. A CURA DELL’UNIVERSITÀ NICCOLÒ CUSANO E DI SPORT NETWORK
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Allegato gratuito al numero odierno del
Numero 2 febbraio 2017
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la cultura della prevenzione in tv i.p. A CURA dell’università niccolò cusano e di sport network
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Numero 2 febbraio 2017
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chetogenesi in cerca di energie alternative testatina per le pagine interne DX
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prima la salute Le diete iperproteiche, povere di zuccheri e carboidrati, sono alla base di molte cure dimagranti. Occorre bilanciarle con vitamine, potassio e magnesio
K Intervista al biologo
Marco Sabatino
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è il processo che si innesca se il nostro organismo si trova nello stato di digiuno
Le diete povere di carboidrati e zuccheri danno vita allo stesso meccanismo Serve il giusto equilibrio Fondazione Niccolò Cusano informa
icavare energia non dagli zuccheri ma dai protidi e dagli acidi grassi. E’ il processo originato dalla chetogenesi, il procedimento catabolico – di degradazione delle molecole – che porta a elevate perdite di peso attraverso l’aggressione dei depositi grassi. Ne abbiamo parlato con il biologo Marco Sabatino, che ci ha condotto per mano in questo complesso sistema di reazioni biochimiche.
Chetogenesi: proviamo a spiegarla in parole semplici «E’ l’insieme delle reazioni biochimiche che portano alla formazione dei corpi chetonici come fonte di energia alternativa al glucosio nel nostro organismo quando si trova nello stato di digiuno. Le reazioni in questione sono cataboliche, cioè di degradazione di una molecola e sono contestualizzate nel metabolismo post-assimilativo. Questo entra in funzione quando, dopo aver mangiato e assorbito i nutrienti, con il passare del tempo il glucosio plasmatico (del sangue, ndr) inizia a diminuire. Le molecole, che degradate portano alla formazione dei corpi chetonici, sono gli acidi grassi e i protidi. La degradazione degli acidi grassi è chiamata lipolisi ed è la più importante via di formazione dei corpi chetonici. La lipolisi parte dai trigliceridi, i quali si accumulano essenzialmente nel citoplasma delle cellule adipose. La maggior parte dei lipidi vengono ingeriti sotto forma di trigliceridi ma devono essere degradati ad acidi grassi per l’assorbimento attraverso l’epitelio intestinale. Qui infatti vengono incorporati in micelle formate con l’ausilio di sali biliari (glicolato), molecole sintetizzate nel fegato a partire dal colesterolo e secrete della cistifellea. In questa nuova forma i trigliceridi possono essere digeriti dalle lipasi pancreatiche e trasformati in acidi grassi liberi e monoacilglicerolo». Cosa sono i corpi chetonici? «Costituiti da acetone, acido acetacetico, acido ß-idrossibutirrico, sono prodotti intermedi del metabolismo dei lipidi. Si formano nel processo di chetogenesi, per sintesi da radicali acetilici attivati, provenienti da vari processi metabolici e in particolare dal metabolismo dei lipidi».
Chetoacidosi diabetica: cosa c’è da sapere
Il biologo sabatino: «la reazione ha inizio quando il glucosio diminuisce»
E il ciclo di Krebs? «Il ciclo di Krebs, o ciclo dell’acido citrico, si svolge all’interno dei mitocondri in condizioni aerobiche e ha lo scopo di raccogliere elettroni ad alta energia dai combustibili carboniosi. Il ciclo rimuove elettroni dall’Acetil-CoA e li utilizza per formare NADH e FADH2. Nella fosforilazione ossidativa attraverso una serie di proteine di membrana (la catena di trasporto degli elettroni) vengono spostati gli elettroni del NADH e FADH2 per generare un gradiente protonico tra le due facce della membrana. Questi protoni fluiscono poi la ATP, sintesi per formare ATP a partire da ADP e fosfato inorganico. Il Ciclo dell’acido ciclico richiede indirettamente ossigeno, in quanto esso è l’accettore di elettroni al termine della catena di trasporto degli elettroni, necessaria per rigenerare NAD+ e FAD». Ci sono casi in cui l’organismo attiva in autonomia la chetogenesi? «In fase di digiuno ma non solo. Anche in caso di carenza insulinica e in una dieta ricca di lipidi che si degradano in acidi grassi e glicerolo». Come si innesca volontariamente questo processo? «Con il digiuno oppure con le diete che eliminano zuccheri e carboidrati e sono ricche di proteine e grassi. Ecco cosa avviene: le proteine possono essere usate per pro-
durre ATP (moneta energetica del corpo). Durante lo stadio assimilativo, gli aminoacidi liberi nell’organismo forniscono il substrato per la produzione di Atp. Se lo stato di post assorbimento si prolunga, le proteine muscolari possono degradarsi per fornire energia». E’ dannoso per la salute? «Se non avviene sotto stretto controllo medico può essere dannoso». Per quanto tempo puo’ essere protratto? «Il protocollo medico dice che una chetogenesi controllata che si avvale di aminoacidi purificati può essere prolungata fino a 3/4 mesi e non va assolutamente interrotta altrimenti si blocca il processo. Senza la supervisione di uno specialista però questo discorso è nullo. Tra i rischi infatti c’è la cheto-acidosi. L’aumento della concentrazione ematica di corpi chetonici può mettere a repentaglio la vita. La più comune di queste patologie è la chetosi diabetica nei pazienti affetti dal diabete mellito (tipo 1). Fegato non in grado di assorbire il glucosio, insulina riduce normalmente la mobilizzazione degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo perciò il fegato produce grandi quantità di corpi chetonici che sono acidi moderatamente forti. Il risultato è un’acidosi di grado elevato, la diminuizione del ph compromette la funzione dei tessuti e questa compromissione è più importan-
te nel sistema nervoso centrale. Disidratazione e perdita elettroliti (nutrienti caratteristiche elettriche)». La dieta iperproteica come principio base di molte cure dimagranti: cosa ne pensa? «Dipende, deve essere bilanciata ed equilibrata. Va integrata con un complesso multivitaminico, potassio, magnesio e tanta acqua. E’ ideale per chi deve perdere tanto peso, purché condotta sotto stretto controllo medico e non protratta eccessivamente a lungo nel tempo». E’ adatta per chi fa sport? «Avere aminoacidi a disposizione che vanno a incrementare il tessuto muscolare è sicuramente un vantaggio». In un’alimentazione a regime essenzialmente proteico, quanto vengono affaticati i reni? « Molto, infatti le proteine (carne, uova), insieme al sodio (sale) e al fosforo (latte, formaggi, yogurt), sono fra le sostanze che maggiormente impegnano i reni per la loro eliminazione dall’organismo. Si dovrebbe consumare 1 grammo di proteine per kg di peso corporeo. Va anche considerata l’acqua che si beve, se ne beviamo 2 litri al giorno aiutiamo i reni nel loro lavoro. Diminuendo l’acqua le cose peggiorano». © Copyright Università Niccolò Cusano
La chetoacidosi diabetica si riscontra in persone affette da diabete mellito di tipo I ma che in determinate circostanze può verificarsi anche in quelli affetti da diabete di tipo 2. Il disturbo è tipicamente caratterizzato da iperglicemia, concentrazioni di bicarbonati inferiori a 15 mEq/L, e pH inferiore a 7.30, con chetonemia e chetonuria. La chetoacidosi diabetica è dovuta a una marcata carenza di insulina che comporta una risposta compensatoria dell’organismo, il quale, per la produzione di energia, passa a un metabolismo di tipo lipidico vengono bruciati gli acidi grassi e, soprattutto, i trigliceridi - con conseguente produzione di corpi chetonici (acido acetoacetico e acido beta-idrossi-butirrico). Il passaggio nel sangue di queste sostanze provoca una caduta del ph fino a valori di acidosi anche molto marcata. È proprio la produzione di corpi chetonici acidi che causa la maggior parte dei sintomi e complicazioni. La chetoacidosi può essere il sintomo di esordio di un diabete non diagnosticato in precedenza, ma può verificarsi anche in soggetti diabetici con una scarsa adesione alla terapia insulinica. © Copyright Università Niccolò Cusano
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K A cura del professor
Agostino Tucciarone, responsabile sanitario Latina Calcio
L’
artrosi del ginocchio è una patologia cronica caratterizzata da lesioni degenerative della cartilagine articolare e di grande rilievo sociale per la sintomatologia invalidante. Il sintomo principale è il dolore che aumenta con il movimento e si attenua a riposo. Con il progredire della patologia, l’articolarità diminuisce, si verificano contratture muscolari antalgiche in flessione e si avvertono crepitii e scrosci dovuti all’irregolarità delle superfici articolari. La deformità e la sublussazione sono l’evento finale dell’artrosi. La diagnosi, oltre all’anamnesi e all’esame obiettivo, viene effettuata anche attraverso l’ Rx del ginocchio in proiezione antero-posteriore, laterale e assiale di rotula coadiuvata con l’Rx degli arti inferiori sotto carico per calcolare la deviazione dell’asse meccanico in varo o in valgo. La terapia inizialmente prevede l’utilizzo di FANS per ridurre l’infiammazione e il dolore, un’altra alternativa è la terapia infiltrativa intrarticolare con acido ialuronico, con la funzione di viscosupplementazione e lubrificante, da associare ai condroprotettori (integratori alimentari). La fisiokinesiterapia aiuta a prevenire le alterazioni funzionali o ridurne la gravità e comprende terapie come la magnetoterapia, l’elettroterapia antalgica, la tecarterapia, la massoterapia, il linfodrenaggio, l’idrokinesiterapia e la ginnastica di rinforzo muscolare. La chirurgia è da considerare quando la terapia conservativa non mostra risultati soddisfacenti. La protesi di ginocchio permette il recupero di una buona qualità di vita, un notevole riduzione del dolore con un buon recupero funzionale. Le protesi Esistono quattro tipologie di protesi: 1- Protesi totale intesa come sostituzione delle componenti articolari femorale, tibiale ed eventualmente rotulea. 2- Protesi monocompartimentale quando l’artrosi interessa solo l’articolazione femoro-tibiale mediale o laterale. 3- Protesi femoro-rotulea utilizzata nell’artrosi isolata della troclea e della rotula. 4- Protesi da revisione che prevede la sostituzione di una protesi precedentemente impiantata. La componente tibiale, costituita da un piatto di supporto metallico e un inserto in polietilene, la componente femorale, completamente in metallo, e la componente rotulea in polietilene vengono fissate all’osso con un cemento biologico oppure a press-fit senza cemento. La qualità dell’osso, la morfologia femorale e l’età del paziente, indirizzano la scelta del modello della protesi e del mezzo di fissazione. Per ottenere una protesi stabile e funzionalmente valida, è ne-
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GONARTROSI COS’è E COME SI TRATTA L’artrosi del ginocchio è una patologia cronica: si può affrontare in diversi modi dalla fisiokinesiterapia alla chirurgia
Preoperatorio anteroposteriore
Protesi anteroposteriore
Preoperatorio laterale
Protesi laterale
prima e dopo Una serie di esempi di protesi del ginocchio
cessario effettuare durante l’intervento il bilanciamento legamentoso in estensione ed in flessione. Negli ultimi anni la tecnologia di navigazione computerassistita in sala operatoria ha permesso al chirurgo ortopedico di effettuare interventi di protesizzazione migliorando la precisione del gesto chirurgico. Gli obiettivi da raggiungere dopo l’intervento di protesi di ginocchio sono il recupero dell’articolarità, del tono trofismo muscolare, della coordinazione e dello schema motorio del cammino. Con l’introduzione del protocollo Fast-Track il paziente viene preparato e gestito dalle diverse figure professionali come l’anestesista, l’ortopedico, il fisiatra, l’infermiere e il fisioterapista per una ripresa postoperatoria migliore e più veloce, già in piedi dopo alcune ore dopo l’intervento chirurgico, deambulando prima con il girello poi con le stampelle dal 1° giorno dopo post-operatorio. Per un ottimale recupero è consigliabile affidarsi dopo la dimissione ad un qualificato centro di riabilitazione con l’attuazione di un programma di recupero personalizzato concordato con il chirurgo ortopedico, il fisiatra e il fisioterapista. Dopo alcuni mesi dall’intervento, i pazienti più giovani e attivi possono praticare sport come ciclismo, golf, sci, nuoto e tennis.
in caso di intervento si può tornare a fare sport dopo pochi mesi
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sulla bilancia dell’umore
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iete assonnati e di cattivo umore, con l’alito cattivo e una certa irascibilità? E’ possibile che stiate attraversando una fase in cui state “mangiando male”. Il che significa, principalmente, che l’organismo sta accumulando troppe proteine. Queste sono una parte fondamentale di una dieta ben equilibrata perché aiutano ad avere energia, costruire e i riparare i muscoli, rafforzare le difese immunitarie, oltre ad avere delle funzioni vitali per il nostro organismo. Ma se si va oltre, si può andare incontro a sbalzi di umore, si può ingrassare, ci si può sentire stanchi. La dose giornaliera raccomandata dai nutrizionisti è di 50-60 grammi al giorno, ma mangiando molta carne e non sopperendo con le verdure, si rischia di eccedere. Ecco gli 8 sintomi con cui l’organismo manda segnali in questo senso. 1 - Essere di cattivo umore Se capita spesso di avere il morale a terra senza motivo, questo potrebbe dipendere da una dose eccessiva di proteine introdotte nella propria dieta. Assumerne troppe può voler dire che non si stanno mangiando abbastanza carboidrati. Una soluzione al problema potrebbe essere capire se stiamo sostituendo troppi carboidrati con proteine. 2 - Il “cervello annebbiato” Sentirsi stanchi e affaticati durante il pomeriggio può significare che l’organismo sta assumendo troppe proteine e che, anche qui, si sta riducendo la dose giornaliera di carboidrati. La sensazione di avere la mente “annebbiata” è causata da un deficit di zuccheri, che dà al cervello l’impressione di “contrarsi”. 3 – Essere irascibili Quando passa troppo tempo tra un pasto e l’altro, si può avere la sensazione di perdere la pazienza. Il livello di zucchero nel sangue crolla e non viene prodotta abbastanza serotonina, facendoci sentire arrabbiati.
4 - Ingrassare Se è vero che una dieta a base proteica aiuta a tenere a bada la fame, non si può negare che chi la segue rischia di ottenere l’effetto contrario, ossia prendere peso. Per una dieta più bilanciata occorre includere proteine magre, cereali, frutta e verdura. 5 - Stitichezza Se si assumono troppe proteine, l’organismo ha difficoltà a digerire e l’intestino fa fatica a restare regolare. Il suggerimento? Assumere almeno 25 grammi di fibre al giorno da cibi come cereali integrali (avena e quinoa), verdura e frutta. gli eccessi 6 - Avere di proteine sempre sete Un altro segnale che causano l’organismo sta asconseguenze sumendo troppe anche sul piano proteine è il costante desiderio di bere. emotivo Un eccesso di proteine può causare una leggera forma di disidratazione. Questo provoca un bisogno frequente di urinare, una leggera disidratazione e, per chi ne è predisposto, la formazione di calcoli renali. 7 - Avere l’alito cattivo Non solo mangiare troppa carne fa sudare di più, ma provoca anche l’alito cattivo. Quando il corpo è in riserva di carboidrati, infatti, usa il grasso come se fosse combustibile, producendo chetoni, che posso dare all’alito uno spiacevole odore di acetone. 8 – Poco appetito Assumere molte proteine, principalmente molta carne, crea un senso di sazietà irrituale, un segnale che il corpo chiede di non accumulare alte sostanze di quel genere.
negatività, stanchezza, scatti d’ira sono alcuni dei sintomi dettati da una alimentazione squilibrata senza dimenticare i problemi fisici
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pannelli Alimentazione, conoscenza e poesia: alla mensa della Cusano il buon cibo è servito con la cultura. Nel riquadro il passo di uno scritto di Pablo Neruda
Cipolla luminosa ampolla, petalo su petalo s’è formata la tua bellezza squame di cristallo t’hanno accresciuta e nel segreto della terra buia s’è arrotondato il tuo ventre di rugiada. (…) Stella dei poveri, fata madrina avvolta in delicata carta, esci dal suolo, eterna, intatta, pura, come semenza d’astro, e quando ti taglia il coltello in cucina sgorga l’ unica lacrima senza pena.
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davanti all’arte la conoscenza è felicità
K A cura di Gloria Di Filippo
preside della Facoltà di Psicologia dell’Università Niccolò Cusano
K Intervista a Fabio Babiloni
docente di fisiologia de La Sapienza
«L
a felicità è un’opera d’arte» scriveva Edith Wharton. Oggi, però, la scienza ci dice di più, cioè che, in realtà, è la conoscenza dell’opera d’arte a renderci felici più che l’opera in sè. E non solo. Sapevate che in un quadro ci emozionano di più alcuni dettagli del viso che la vista di un bel paesaggio? E ancora, che le donne sono più sensibili ai colori rispetto agli uomini? Lo staff del professor Fabio Babiloni, docente di fisiologia de La Sapienle donne za e autore di 220 pubblisono più colpite cazioni scientifiche internazionali, ha indagadai colori to sulle diverse reazioper gli uomini ni del cervello alla vista di un’opera d’arte. Ecco conta invece cosa è uscito fuori.
lo spazio
La conoscenza rende più felici Professor Babiloni, cosa succede al nostro cervello quando ammiriamo un’opera d’arte? «Abbiamo visto che conoscere l’argomento di cui l’opera d’arte tratta aumenta l’emozione provata nell’atteggiamento estetico di godimento. In una serie di studi sull’ascolto della Divina Commedia si è misurato che chi aveva una cultura letteraria più avanzata aveva un piacere intellettuale maggiore rispetto agli altri. Quindi il primo concetto è che la conoscenza rende più felici». Come avete fatto a verificare le diverse reazioni del cervello? «Per misurare la risposta cerebrale ed emozionale alla visione delle opere d’arte abbiamo attrezzato i soggetti con una serie di sensori. I primi sono stati messi sulla testa con una specie di cuffia da pallanuoto per prendere l’attività cerebrale. Poi, allo stesso tempo, abbiamo preso anche l’attività cardiaca e quella di sudorazione delle mani: sono informazioni implicate nella macchina della verità. Dunque, i nostri soggetti andavano in giro con questa cuffia e con la macchina della verità attaccata. Inoltre in certe esperienze abbiamo voluto informarci anche su dove guardavano i soggetti e allora abbiamo fatto indossare loro degli occhialetti, eye tracking, che registravano il puntamento dello sguardo. Da qui ci siamo resi conti che gli occhi rappresentati attraggono una quantità di sguardi rilevante da parte degli osservatori. In una figura guardiamo innanzitutto gli occhi e le labbra, poi osserviamo il resto». Un viso ci emoziona più di un paesaggio Un viso o un paesaggio danno le stesse emozioni? «L’osservazione di ritratti o di quadri con autoritratti provoca un atteggiamento este-
tico molto elevato e il piacere più grande rispetto a quello che le stesse persone provavano nella visione di paesaggi. Questo è interessante perché continua a sottolineare quanto il viso sia una fonte importantissima di informazioni dal punto di vista esperienziale, come premiamo tutto ciò che ha una faccia. Lo abbiamo visto anche in uno studio con il Mosè di Michelangelo (questa scultura ha la testa voltata da una parte, ndr). Nel momento in cui i soggetti si mettevano in linea con lo sguardo in modo tale da incrociare lo sguardo del Mosè provavano un’emozione molto più forte di quella che provavano a vedere la statua di fronte. Insomma tutto converge per dire che i volti sono la sorgente di godimento estetico ed emozionale più importante». Per quale motivo un quadro per alcuni è bello e per altri può invece risultare brutto? «è una questione di conoscenza: è sta-
to osservato che i galleristi di arte moderna, quando vedono un quadro che per noi magari è incomprensibile, hanno un piacere più intenso di quello che proviamo noi. Per esempio, chi ama la musica classica può emozionarsi tantissimo al suo ascolto rispetto a chi non la conosce. In sintesi, ribadisco che la conoscenza ci rende più felici». Differenze di senso estetico: le donne sono più sensibili ai colori. Gli uomini hanno una memoria spaziale più elevata Ci sono differenze di genere nella percezione del bello? «Non ci sono grandi evidenze che supportino questa diversità però è vero che le donne hanno una sensibilità ai colori più elevata rispetto agli uomini. E questo, dal punto di vista evolutivo, è stato spiegato con il fatto che le femmine muovendosi di meno a causa della cura della prole provvedevano a una parte del sostentamento con l’acquisizione di frutta e bacche. L’individuazione di colori diverse dal
uno studio dimostra che le emozioni per chi osserva un quadro o ascolta musica sono amplificate se ne si comprende il linguaggio creativo
unicusano facoltà di psicologia
L’evoluzione della bellezza per l’osservatore A partire dagli inizi del ‘900 le arti figurative hanno subito dei profondi cambiamenti, hanno preso le distanze dal concetto di arte come rappresentazione del bello inteso in senso estetico. L’arte è divenuta astratta e di difficile comprensione che talvolta ci emoziona e altre ci lascia indifferenti. Perché l’arte, ci può anche emozionare, ma questa non è la sua funzione principale, l’arte è il risultato di una cultura e di un ragionamento, tanto dell’artista quanto dell’osservatore. E’ il pensiero dell’osservatore che produce emozione, senza quel pensiero, probabilmente automatico, inconsapevole, non ci sarebbe emozione. In Manfredo Massironi, arte e scienza interagiscono e sono una fonte inesauribile di ispirazione. L’artista che si è occupato di percezione, ha realizzato lavori in cui l’osservatore interagisce con l’opera d’arte, ha dimostrato che in un’opera d’arte, ciò che veramente conta, sono le sue implicazioni di conoscenza e comunicazione con la realtà, il suo valore esplicativo e progettuale e non la forma. E quindi le emozioni scivolano in secondo piano, cedendo il passo ad un concetto più evoluto di arte, intesa come un processo conoscitivo dell’artista e del fruitore. © Copyright Università Niccolò Cusano
fogliame ha selezionato coloro che avevano delle acuità visive più elevate. I maschi hanno meno sensibilità ai colori ma una memoria spaziale più elevata: questo perché se si va alle radici della storia evolutiva della razza umana da sempre i maschi si sono occupati della caccia». Che ricadute potrà avere questo studio? «Può averne sulla color therapy: alcuni colori hanno poteri calmanti o rilassanti, per questo è difficile che vedrà muri rossi in uno studio dentistico. I colori comunicano delle emozioni e questi codici già si sanno. Le ricadute di queste investigazioni è principalmente nella determinazione di quali forme estetiche sono principalmente apprezzate dalle persone e questo ha anche un impatto su cosa possiamo fare per rendere più gradevoli certi ambienti in cui lavoriamo o viviamo. Se pensa che passiamo il 90 % della nostra vita sotto un tetto capirà che comprendere questi meccanismi estetici contribuirà a rendere questi ambienti più piacevoli». © Copyright Università Niccolò Cusano
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silvia bencivelli, debora rasio e pierluigi spada: la loro esperienza a “tutta salute”
è
stata una scommessa del nuovo direttore di rete, Daria Bignardi. Primo punto: non focalizzarsi sulla malattia. Anzi. Rovesciare la medaglia, riservando la massima attenzione alla cultura del benessere e della prevenzione. L’obiettivo è educare ad un corretto stile di vita. Il tutto, però, dando “a Cesare quel che è di Cesare”. Ecco spiegata la scelta di affidare il “timone della nave” a due medici e una giornalista scientifica (laureata in medicina anche lei). A loro il compito di sciogliere il “medichese”, avvicinare la materia al pubblico e superare vecchi linguaggi televisivi. Questa, forse, la vera sfida. E così la nave di “Tutta salute”, capitanata da Silvia Bencivelli, Debora Rasio e Pierluigi Spada dopo aver inizialmente navigato a vista e superato la fase di messa a punto, ha preso finalmente il largo. E alla grande, se considerate che a sei mesi dalla messa in onda lo share è quasi raddoppiato. Unicusano Up ha voluto sapere un po’ di più sui protagonisti di questa trasmissione (in onda tutti i giorni su Rai 3) che promette di rivoluzionare il classico format del programma di informazione dedicato alla salute e al benessere. Siete tutti e tre laureati in medicina, spesso si dice che fare il medico è una missione oltre che una professione. In veste di conduttori, invece, che missione divulgativa vi siete prefissati? D.R: «Rendere la cultura della salute più disponibile. Essendomi occupata per tanti anni di malattia ritengo che mettere l’enfasi sulla salute sia più vantaggioso sul lungo termine. Prima di tutto, infatti, dobbiamo capire come non ammalarci, perché tante delle malattie oggi diffuse dipendono da uno stile di vita non corretto». S.B: «Non credo alle missioni! Faccio la giornalista e la conduttrice radiotelevisiva da anni: è un mestiere bellissimo che dà la possibilità di entrare nel vivo dei dibattiti culturali e sociali, ed è un mestiere importante che permette ai diversi attori della nostra collettività di confrontarsi tra loro». P.S: «La mia professione si radica in un dialogo intimo e la guarigione che persegue è un misterioso connubio tra arte medica e relazione medico-paziente. Questa relazione dialettica è ciò che cerco di portare in questa nuova sfida, perché attraverso la conoscenza, anche esemplificata, ciascuno possa ritrovare il proprio cammino di salute». Dopo sei mesi di trasmissione vi chie-
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finalmente la medicina parla chiaro divulgare l’importanza di un corretto stile di vita: ecco il segreto
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do di fare un check-up di “Tutta salute”. D.R: «Dopo lo choc iniziale sta navigando bene e le prospettive sono di un miglioramento nel futuro, perché stiamo cominciando sempre più a capire quale linguaggio utilizzare, cosa piace e cosa no… quindi c’è ancora da fare». S.B: «Funziona! All’inizio poteva sembrare una scommessa difficile: tre conduttori di cui due (Debora e Pierluigi) espertissimi nella materia, l’eredità importante di Elisir, un programma tutto da pensare... Invece oggi siamo una squadra affiatata, che funziona e si diverte un sacco». P.S: «è stata una sfida coraggiosa che Daria Bignardi ha osato proporci per ricondurre al medico la chiave dialettica della salute. I risultati hanno dato ragione a questa intuizione. Con entusiasmo e grande umiltà abbiamo costruito con tutto lo staff un percorso di crescita che ci ha permesso di consolidare un risultato positivo e di resistere con grande dignità alle varie intemperie». Quali sono le principali novità di questo programma che lo caratterizzano rispetto a format passati? D.R: «La novità è che chi fa la domanda sa già quali sono le implicazioni delle risposte, quindi chi conosce la materia medica può intuire dove portare il discorso. La sensazione di tirare fuori dall’esperto alcune informazioni che sono utili e a cui magari l’esperto stesso non avrebbe pensato e neanche un conduttore non esperto della materia. Inoltre, c’è una collaborazione continua con tutto il team e ognuno nel proprio piccolo mette a servizio le proprie conoscenze». S.B: «Tre conduttori, che tengono uno stile leggero ma senza rinunciare alla competenza e alla solidità dei contenuti. L’alternanza, sempre ben studiata, di interviste a esperti, storie, spiegazioni tecniche, consigli per la prevenzione delle malattie e notizie di attualità». P.S: «Di certo il linguaggio diretto, non mediato da un conduttore “laico”. è il medico a parlare ma è anche il medico a riportare il linguaggio alla semplicità del dialogare comune. Abbiamo dimostrato che anche in Italia è possibile superare vecchi modelli comunicativi. Ora che abbiamo raggiunto questo risultato anche la struttura potrà prevedere cambiamenti più audaci». Sappiamo tutti che l’attività sportiva fa bene… ma con tutti questi impegni trovate il tempo per farla? D.R: «Non ho tempo per lo sport. Nei rari momenti liberi adoro stare nella natura con il mio cane». S.B: «Cammino per Roma per ore. Lo so che non sembra uno sport, ma da quando ho cambiato i miei orari di lavoro non sono ancora riuscita a organizzarmi, così mi sono dotata di un contapassi. Ho scoperto di fare 7 chilometri al giorno senza nemmeno accorgermene. Poi mi piace il trekking, ma in questi mesi, tra inverno e lavoro, ammetto di non essere riuscita a farne». P.S: «Nonostante gli impegni pressanti, lo sport è un momento importante della mia giornata, dagli esercizi a casa alla palestra, dal correre alla bici, dal pilates al nuoto. Inoltre ho un setter di due anni che mi impone appuntamenti quotidiani con il movimento. Ai più pigri consiglio di prendere un cane». © Copyright Università Niccolò Cusano
radio cusano campus informa
Silvia Bencivelli Biografia: giornalista, saggista, conduttrice radiofonica e televisiva Segni particolari: il primo amore sono i quotidiani di carta. Però il lavoro che ha fatto più a lungo è stato un quotidiano radiofonico, e la sua impostazione da conduttrice si sente ancora. Tra un paio di mesi uscirà il suo primo romanzo ed è già emozionatissima.
Pierluigi Spada Biografia: chirurgo d’urgenza al Policlinico Gemelli di Roma Segni particolari: amante dell’arte e dei viaggi. Ultimamente ha una fissazione con i paesi scandinavi, ma la sua passione sono i viaggi zaino in spalla. I suoi trascorsi scout sono fortemente radicati nel suo dna: chissà che non si possano conciliare con questa nuova avventura narrativa…
Debora Rasio Biografia: oncologa e ricercatrice nutrizionista presso la Sapienza Segni particolari: si concede qualche strappo alla regola ma, essendo in sintonia con il proprio corpo, registra subito l’effetto e si modera. Ricapitolando: bilancia l’80% di cose giuste e il 20% di cose meno giuste…insomma chi si rivolge a lei capisce che la propria debolezza è anche la sua.
i consigli del professor mirabella
«Chi parla di salute ha sempre enormi responsabilità»
Un programma come “Tutta Salute” non poteva non fregiarsi dell’esperienza ventennale di Michele Mirabella. Lo storico conduttore di “Elisir” porta avanti, ogni lunedì, l’onore della bandiera con 25 minuti settimanali. Dottor Mirabella dopo vari anni di conduzione della trasmissione Elisir, da gennaio, ogni lunedì, è entrato nella squadra di Tutta Salute dove si confronta con un nuovo linguaggio. Quali sono gli aspetti positivi? «Sono molto contento. Ogni anno ad Elisir abbiamo regolarmente cambiato la trasmissione aggiornandola all’attualità del
linguaggio e delle stagioni della semiotica televisiva. Questo ennesimo cambiamento in cui sono implicato non mi sorprende e non mi ha trovato impreparato. Certo, loro fanno un lavoro completamente diverso, mi incuriosisce molto, e sono pronto a dare tutta la mia collaborazione». Sempre di più si parla di notizie false, le cosiddette bufale. Trovare e riportare le notizie oggi non basta più. Il ruolo di un programma di salute in questi casi qual è? «Intanto nel campo della divulgazione scientifica è necessario un dovere deontologico ancor più che in ogni altro campo. Bisogna avere un rigore a prova di contestazione. Noi siamo al servizio non tanto della verità, ma della ricerca della verità che deve essere inesausta e instancabile. Quindi tutti quelli che si impancano a dare punti di vista personali trasformandoli in assunti scientifici sono dei cialtroni. Per esempio propagare una bugia clamorosamente dimostrata circa il rapporto di causa-effetto tra vaccinazione e autismo è un atto di disonestà intellettuale. Se la comunità scientifica mondiale ha chiesto di radiare dall’ordine dei medici quel medico che ha sparso questa notizia, noi, che facciamo informazione, abbiamo il dovere di prenderne atto. Meglio stare zitti che elargire opinioni a vanvera. Questo significa fare informazione seria». © Copyright Università Niccolò Cusano
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K Intervista al professor Stefano Cinti,
docente di chimica generale all’Università Niccolò Cusano di Roma
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a Vitamina C più di tutte, ma anche la Vitamina E, i carotenoidi, i polifenoli e le antocianine. Sono solo alcuni degli “antiossidanti” che ci aiutano a combattere i radicali liberi, mantenendoci giovani e, soprattutto, dandoci supporto nella lotta alle malattie tumorali e all’invecchiamento dei tessuti. Il professor Stefano Cinti, docente di chimica generale all’Università Niccolò Cusano di Roma, ci aiuta a capire il ruolo di questi antiossidanti fantastici e dove trovarli. Prof. Cinti, cosa sono gli antiossidanti? «Sono delle molecole, delle sostanze che hanno il compito di proteggerci dai radicali liberi. È la prima funzione che hanno». E cosa sono i radicali liberi? «Anche loro sono delle molecole, a cui però manca un elettrone. In presenza di tessuti, e quindi di cellule, questi vanno a
il segreto degli antiossidanti rubare l’elettrone mancante. La presenza di antiossidanti fa in modo che a cedere quell’elettrone non sia il tessuto come la pelle, ma sia proprio l’antiossidante. È una specie di schermo protettivo dei tessuti, che altrimenti verrebbero danneggiati». Materialmente, dunque, cosa accade? «Il radicale libero arriva su una cellula e attraverso un’azione di ossidoriduzione si prende un elettrone, una carica negativa. Alla lunga questo processo può portare anche patologie come i tumori. Oppure, ad esempio, l’invecchiamento della pelle, che è dovuto all’aziende dei raggi Uv, agente di formazione di radicali liberi. A livello più fisiologico, questi agenti negativi attaccano anche il Dna e lo rompono irrimediabilmente, non permettendo la formazione di proteine buone. Il processo si chiama stress ossidativo». Come dobbiamo fare per difenderci? «Nel nostro organismo abbiamo già un sistema di antiossidanti, ma questi si assumono anche con la dieta, particolarmente attraverso frutta e verdura: kiwi, avocado, frutta rossa e ortaggi di ogni tipo. Anche il vino contiene antiossidanti. Tutti i cibi colorati, insomma. Anche i pomodori sono dei portatori di antiossidanti, pur contenendone più la buccia rispetto alla polpa. Allo stesso modo la verdura bollita
sono un supporto importante nella lotta alle malattie tumorali
ne disperde molti: mangiare frutta e verdura cruda ci permette una maggiore assunzione. L’antiossidante più famoso che conosciamo è la Vitamina C».
vediamo il funzionamento delle sostanze che hanno il compito di proteggerci dai radicali liberi DOVE SONO
Kiwi, avocado, frutta rossa e ortaggi di ogni tipo. Anche il vino contiene antiossidanti.
Come si formano i radicali liberi? «Un esempio è quello dei raggi solari UV. Anche il fumo di sigaretta è deleterio: ad ogni tiro viene immessa nel corpo una grande quantità di radicali liberi. Ai radicali liberi serve un’energia, ha bisogno dell’aiuto della luce e del fuoco, insomma del calore. Anche lo stress è un fattore che porta a una maggiore concentrazione di queste molecole. Lo sport e la dieta, invece, aiutano a combatterli». Parlavamo della verdura cruda o cotta. Altri consigli? «Un esempio classico: quando ci prepariamo una spremuta d’arancia, non dobbiamo far passare troppo tempo per berla, altrimenti queste molecole a contatto con l’ossigeno si ossidano e non fanno più effetto. Anzi, sarebbe addirittura meglio mangiare l’arancia a spicchi. Un altro caso è quello della mela: quando tagliamo e la lasciamo per alcuni minuti, questa si annerisce e perde le sue proprietà. In generale durante la giornata bisognerebbe assumere sempre antiossidanti, dunque vitamine. Per frutta e verdura non ci sono limiti in eccesso». © Copyright Università Niccolò Cusano
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capire la cefalea testatina per le pagine interne DX
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stevia, scopriamo il nuovo oro verde
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al potere dolcificante che oscilla tra le 150 alle 250 volte rispetto al comune zucchero, per non parlare dell’apporto zero di calorie, oggi la Stevia nel comparto alimentare è considerata vero e proprio oro. Contrariamente allo zucchero, i principi attivi non hanno alcun potere nutrizionale (zero calorie appunto) e sono relativamente stabili nel tempo ed alle alte temperature, per cui conservano perfettamente le loro caratteristiche anche in prodotti da forno o in bevande calde, diversamente da altri dolcificanti di sintesi che subiscono degradazione. Ricca di ferro, manganese, carboidrati, proteine e vitamine. Tirata per la giacchetta dalle grandi multinazionali - la CocaCola ha lanciato a Buenos Aires la sua versione life in lattina verde (come se bastasse il colore della lattina o l’utilizzo della stevia a fare della bevanda dalla ricetta non svelata in toto un prodotto green) mentre in Giappone è usata come dolcificante della Coca Cola Light (Diet Coke) - adesso è arrivata fin sugli scaffali dei supermercati. La Svezia ha promosso un progetto di ricerca per fare di questa pianta perenne il sostituto ufficiale su larga scala dei dolcificanti artificiali, considerati gli effetti benefici sulla salute dei cittadini nonché un ottimo deterrente all’obesità e al diabete. © Copyright Università Niccolò Cusano
un sintomo troppo spesso sottovalutato, che ha centinaia di tipologie e rischi di cronicità impariamo a distinguerlo e ad affrontarlo
S I fattori di rischio del mal di testa
e e e e e e
Stress fisico e psicologico Alimentazione scorretta (saltare i pasti) Eccessivo consumo di caffè Disidratazione Disturbi del sonno Attività fisica insufficiente oppure eccessiva o inappropriata
pesso prendiamo questo sintomo troppo sottogamba e siamo portati ad assumere analgesici senza consultare il nostro medico. Stiamo parlando del mal di testa o, più correttamente, di cefalea. Sono in molti a soffrire di questo disturbo, che coglie indistintamente uomini e donne di ogni età. Per capire meglio di cosa si tratta e come dovremmo comportarci, abbiamo intervistato il dott. Salvatore Avena, medico generico. «La cefalea è un sintomo aspecifico, ovvero può avere molte possibili cause. Definiamo cefalea qualsiasi sensazione dolorosa a carico di tutta o parte della testa. Ce ne sono oltre duecento tipi». Quali sono i più diffusi? «Le cefalee primarie, ossia la muscolo tensiva, l’emicrania, le nevralgie del trigemino e le cefalee a grappolo. Tra quelle secondarie ricordiamo, tra le tante, le cefalee da lesioni intracraniche ed extracraniche, neurologiche, da patologie internistiche e altre ancora». Ne soffrono più gli uomini o le donne? «Dipende dalla tipologia. Possiamo dire che quella muscolo tensiva affligge di più le donne. Va detto inoltre che
il mal di testa si distingue in sporadico, massimo 3 volte alla settimana, frequente -quasi tutti i giorni - e cronico, ovvero giornaliero, quando il processo infiammatorio acuto si verifica quasi tutti i giorni. La maggior parte delle persone, quando soffre di mal di testa sporadico, ricorre all’auto-somministrazione di analgesici come l’ibuprofene, il paracetamolo o l’aspirina. L’uso prolungato dei farmaci, in caso di cefalea frequente, potrebbe far progredire il disturbo ad uno stadio cronico». In caso di cefalee persistenti, l’uso protratto di farmaci - senza il consulto medico - potrebbe peggiorare il mal di testa. Cosa consiglia allora? «Un trattamento non farmacologico, come il biofeedback. Diversi studi hanno dimostrato che costituisce il mezzo più rapido, duraturo, efficacie e sicuro per curare ad esempio le cefalee di tipo tensivo. Consiste nel posizionare i sensori di rilevamento delle attività fisiologiche dei muscoli della fronte; mediante output visivi e acustici è possibile riconoscere e successivamente controllare in tempo reale l’andamento di questi segnali fisiologici che sono automatici e al di fuori del controllo consapevole».
l’uso troppo frequente di farmaci può essere dannoso
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La Stevia è particolarmente indicata per
Sovrappeso Combattere le carie Curare la pelle (contrasta i radicali liberi)
è ricca di ferro, manganese, carboidrati e vitamine
Lanciata anche dalle multinazionali, viene proposta come perenne sostituto dei dolcificanti artificali
La stevia non è cancerogena L’Organizzazione mondiale della Sanità mette a tacere tutti gli allarmismi e rassicura sulla sicurezza di questa pianta dolcificante. L’accusa è che lo steviolo possa essere cancerogeno.
DOLCIFICANTE La sua grande qualità è l’apporto zero di calorie
unicusano ingegneria agroalimentare
Proprietà e storia dello steviolo Lo steviolo è la forma agluconica (priva di glucosio) dello stevioside e del rebaudioside, composti presenti nelle foglie della pianta Stevia e derivati ed è un mutageno (agente chimico o fisico che determina il verificarsi di mutazioni) riconosciuto. Tuttavia, secondo alcune ricerche, nelle popolazioni che fanno uso di foglie di stevia e derivati, tra cui il Giappone, non esisterebbe una marcata evidenza statistica di tumori riconducibili allo steviolo. Lo studio dell’università di Berkeley confermerebbe tali statistiche. Nel 2003, uno studio belga ha mostrato come lo stevioside somministrato ai maiali venisse completamente convertito in steviolo, ma che quest’ultimo non veniva rilevato nel sangue, nemmeno se trasformato in una forma più facilmente rilevabile con soglia minima di 50pg. © Copyright Università Niccolò Cusano
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cane e padrone, la podistica è un affare di famiglia
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iù in forma con il canicross. Pigri di tutta Italia non avete più scuse: ormai si può correre con una marcia in più. Anzi, con quattro zampe in più. Avete capito benissimo, oltre alla nostra forza e resistenza possiamo contare su quella del nostro cane. Badate bene: il lavoro non deve pesare esclusivamente su Fido, ma va ripartito in parti uguali come in ogni squadra che si rispetti. Trattasi del canicross, una disciplina relativamente giovane – nel nostro Paese sta prendendo piede da qualche anno – dove cane e proprietario corrono insieme. La performance sportiva può essere articolata in vari modi: cane e padrone che corrono insieme, tutti e due imbragati e uniti da una cinta ammortizzata che evita traumi alla schiena per entrambi; oppure il cane che traina un mezzo su ruote, bicicletta o monopattino, sempre condotto dal suo proprietario. Da tre anni a questa parte in Italia si svolge il campionato nazionale di canicross. Per scoprire di più su questa disciplina abbiamo interpellato Ramona Nisi, presidente della Asd Urbandog di Rimini nonché l’incaricata dallo Csen di organizzare l’evento. Quest’anno la gara è fissata per il 25 e 26 marzo presso Lido delle Nazioni (Fe). «Siamo giunti alla terza edizione – spiega Ramona – e il numero degli appassionati è in costante crescita. C’è da dire che la manifestazione sportiva è aperta a tutti grazie alla presenza di due categorie: oltre a quella agonistica abbiamo infatti quella amatoriale, denominata “Happy dog”, in cui tutti possono iscriversi purché il cane abbia raggiunto i 12 mesi per il canicross e i 18 per il bikejoring e lo scooter (dove il cane traina il proprietario sulla bici o il monopattino, ndr). Nella categoria Happy dog – chiarisce ancora l’organizzatrice dell’evento – si può anche camminare, inoltre il percorso è più breve rispetto a quello ideato per gli agonisti, ossia 3,5 km a fronte degli oltre 5 km. Il tragitto è curato nei minimi dettagli per preservare la salute dei nostri amici a quattro zampe: sono ammessi dislivelli che rientrano in determinati range in modo da non danneggiare la struttura dei cani”. è necessario allenarsi per affrontare questa performance? «Nella categoria Happy dog si può anche camminare, quindi non sono necessari tempi da record, mentre in quella agonistica di solito chi partecipa è un podista e si allena minimo tre volte a settimana».
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Canicross tutti di corsa con sei zampe uniti da una imbragatura, su bicicletta o monopattinO: fido e il suo padrone condividono uno sport pieno di benefici
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C ‘è una razza “ più forte” delle altre nel canicross ? «Sicuramente i cani con una leva lunga sono privilegiati, il Greyster in particolar modo. Quest’ultimo deriva da una miscela di razze tra cui il levriero e presenta le caratteristiche di forza e resistenza». Campionato Nazionale 2017: com’è il percorso? «Sebbene sia prevalentemente in piano per evitare quei dislivelli eccessivi dannosi per la salute dei cani, di cui già abbiamo detto sopra, presenta delle difficoltà non
LE GARE Nelle gare agonistiche di solito chi partecipa è un podista e si allena minimo tre volte a settimana
indifferenti. La mappa prevede una porzione di spiaggia che, se battuta a causa della pioggia, è relativamente più facile da percorrere, altrimenti richiede molto sforzo fisico. In generale va registrato che i percorsi non devono avere percorsi pavimentati ma devono snodarsi tra boschi, prati o spiagge, in modo da non provocare danni agli arti degli animali». © Copyright Università Niccolò Cusano
nella categoria happy dog esistono percorsi brevi per amatori
RAZZE TOP Sicuramente i cani con una leva lunga sono privilegiati, il Greyster è il più adatto: un incrocio di diverse razze tra le quali il cane lupo e il levriero
Addestramento, meglio iniziare da cuccioli: è come avere un foglio di carta bianco dove puoi scrivere le informazioni
parla l’addestratore Massimo Perla
Rispettiamo la natura dei nostri amici a quattro zampe «Se mentre mangi dai del pane o altro cibo al tuo cane, avrai sempre uno squalo che gira intorno al tavolo chiedendo le elemosina a te ma anche ai tuoi ospiti. è anche vero però che il cane è l’unico che fa le feste al marito quando quest’ultimo torna a casa la sera». Ironizza Massimo Perla, l’educatore e dog trainer che ha addestrato i cani di mezza Italia, di cui molti sono diventati star del piccolo schermo. Da Shonik, che ha preso parte alla fiction Turbo passando per Rex e il cane Polpetta che ha debuttato in tv con il Commissario Montalbano. Questione di feeling e rispetto. La convivenza tra cane e proprietario ha delle regole ben precise: «Prima del cane bisognerebbe educare i proprietari - dice sorridendo Perla -. Molti comportamenti errati degli animali derivano proprio dagli insegnamenti sbagliati dei padroni, che tendono ad umanizza-
re il cane non rispettando la sua natura ed utilizzando un codice inappropriato di linguaggio».
oppure potrebbe non riuscire a prepararlo in modo corretto all’arrivo in casa del neonato».
Da dove cominciare per un buon rapporto con il proprio cane? «Se si vuole umanizzare il cane si sbaglia tutto. Bisogna rispettare la sua canidità: se lo vogliamo far diventare un bambino o un cane speciale abbiamo perso in partenza. Molte volte i ginecologi, alle coppie che hanno problemi ad avere figli, consigliano un cane. Non c’è cosa più sbagliata sia perché si tende ad accudire l’animale come fosse un bebè, sia perché - qualora si riuscisse ad avere un bambino – la coppia potrebbe tendere a disfarsi del cane
Quali le accortezze per ‘prepararlo’ all’arrivo di un neonato in casa? «Se il cane c’è già e arriva il bambino, bisogna abituarlo a non avere determinati comportamenti: non deve salire sul divano né può pretendere di stare in braccio alla padrona, la quale sarà impegnata a cullare il bimbo e ad allattarlo. Facciamo anche dei corsi per preparare la futura mamma a gestire bebè e amico a quattro zampe, dal momento che quando arriverà a casa il piccolo non ci sarà più tempo per impartire nuove regole e abitudini. Simuliamo passeggiate con cane e carrozzina occupata da un bambolotto per insegnare al nostro amico peloso che non deve poggiare le zampe sul
passeggino. Cerchiamo di abituarlo al vagito del bambino con suoni diffusi dalle casse, poiché il verso del neonato per il cane assomiglia a quello del gatto, analogia che potrebbe far scattare la predazione. Resta il fatto che non dobbiamo mai lasciare il cane da solo con il bambino». Il segreto per riuscire a fare questo mestiere? «La passione». Qual è stata la situazione più strana in cui ti sei imbattuto? «Una relazione a tre. Un cane non solo non faceva più entrare il marito nella stanza ma aveva preso pieno possesso del letto. La signora mi diceva di non essere più padrona del suo letto né di stare in intimità con il marito». © Copyright Università Niccolò Cusano
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Si tratta di una disciplina relativamente giovane che nel nostro Paese sta prendendo piede da qualche anno
Dal 2012 Massimo Perla è l’addestratore ufficiale di Rex, pastore tedesco a cui è dedicata una lunga fiction targata Rai. Ma è sempre grazie a lui che abbiamo visto i cani più famosi su tutti gli schermi: Shonik, il border collie della fiction Turbo e della pubblicità di una compagnia telefonica, il cane Ettore che ha recitato in un noto spot tv al fianco di Naomi Campbell e Polpetta, presenza ‘pelosa’ della fiction ‘Montalbano’. Troviamo lo zampino di massimo Perla in produzioni come: “C’era un castello con 40 cani” di Duccio Tessari, “Cari fottutissimi amici” di Mario Monicelli, “Sogno di una notte di mezza estate” (Midsummer Night’s Dream) di Michael Hoffman, “L’ultimo bacio” e “ricordati di me” di Gabriele Muccino, “Go Go Tales” di Abel Ferrara, “Operazione U.N.C.L.E.” di Guy Ritchie. © Copyright Università Niccolò Cusano