TESTATA COPERTINA SU FONDO TRASPARENTE
Allegato gratuito al numero odierno del
Numero 3 marzo 2017
Cervello
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Nella mente degli chef
Allergie
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Pillole al polline per immunizzarsi
Sport
Dopo i 40 è un elisir
r a m O
e c i l e F Di la mia sfida al limite
i.p. A CURA dell’università niccolò cusano e di sport network
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un viaggio straordinario nella mente degli chef testatina per le pagine interne DX
K Intervista
al professor Antonio Cerasa, ricercatore Ibfm-Cnr
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i è mai capitato, magari anche solo per caso, di veder lavorare uno chef in cucina? Ne rimarrete stupiti. Almeno, così è successo ad Antonio Cerasa, ricercatore Ibfm-Cnr. In questo caso l’osservazione, però, ha fatto la differenza. Eccome. All’occhio attento del neuroscienziato, infatti, non sono sfuggite alcune abilità che, per quanto forse non sarebbero passate inosservate anche ai nostri occhi, per chi conosce bene i meccanismi del cervello sono sembrate addirittura sorprendenti. Tanto da meritare di essere studiate a livello neuroscientifico. E così il gruppo di ricerca Ibfm-Cnr, coordinato dallo stesso Cerasa, ha sottoposto 11 emergenti head chef della Calabria, selezionati dalla Federazione italiana cuochi, a un esame di risonanza magnetica e a una lunga serie di test neuropsicologici. Cosa hanno scoperto? I professionisti dei fornelli hanno alcune capacità particolari e un’area del cervello più sviluppata rispetto alle persone che svolgono altri lavori. A raccontarcelo è lo stesso ricercatore che ha ideato e coordinato la ricerca. Dottor Cerasa, come è nata l’idea di analizzare il cervello degli chef? «Per caso, quando mi trovai nella cucina di un famoso chef calabrese appena rientrato da Londra. Fino a quel momento per me gli chef erano lo specchio dell’imma-
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un team di neuroscienziati ha scoperto le loro abilità cerebrali
contro il tempo
Gli chef vivono contro il tempo. La programmazione delle azioni da fare per preparare un piatto mentre si stanno ricevendo altre comande è un’abilità fortemente stressante durante ogni giornata lavorativa
gine filtrata dai programmi televisivi: cuochi con tanta nevrosi e stress addosso. Ma la cucina che ho visto io era tutto il contrario: precisione, pulizia, sincronizzazione, armonia. E soprattutto una velocità di esecuzione spaventosa. Da neuroscienziato so che la mente umana non può andare a quella velocità di elaborazione per troppo tempo. Quindi la loro abilità meritava di essere studiata a livello scientifico».
precisione, pulizia, armonia e sincronizzazione: il lavoro del cuoco è molto diverso da come viene presentato in tv
Come si è svolto l’esperimento? «All’interno del centro di Neuroscienze creato dal professor Quattrone nel Policlinico Magna Graecia di Catanzaro, dove abbiamo la possibilità di studiare il cervello umano con le più moderne tecnologie presenti al mondo. Gli chef, grazie alla mediazione di Carmelo Fabbricatore, venivano sottoposti sia a una lunga batteria neuropsicologica per scandagliare tutte le loro funzioni cognitive sia a un esame di risonanza magnetica per scovare la presenza di anomalie cerebrali».
Fondazione Niccolò Cusano informa
L’allenamento può modificare il nostro cervello L’esperimento
Cosa ha scoperto? «Che una più evidente abilità cognitiva era realmente presente ed è la programmazione motoria: gli chef vivono contro il tempo. La programmazione delle azioni da fare per preparare un piatto mentre si stanno ricevendo altre comande è un’abilità fortemente stressante durante ogni giornata lavorativa. Inoltre abbiamo scoperto che anche un’area particolare del loro cervello era più grande delle altre: il cervelletto». Avere il cervelletto più grande cosa significa? «Il cervelletto è un’area che serve per sincronizzare i nostri movimenti e per apprendere nuovi schemi motori e cognitivi. Ogni volta che apprendiamo un nuovo schema, questo viene sedimentato nel cervelletto. Il fatto che gli chef abbiano un cervelletto più grande della popolazione normale, significa che hanno incredibilmente stressato queste funzioni con un allenamento assiduo ed estenuante per lunghi periodi di tempo». Cosa è necessario per far crescere il cervello? «Cento anni fa, Auguste Escoffier, il padre degli chef, diceva che per diventare chef bisognava studiare e apprendere in continuazione, giorno dopo giorno. La stessa
cosa vale anche per le altre abilità umane. Il cervello cresce in funzione di un obiettivo che richieda il miglioramento di sé e delle proprie abilità». Possiamo definire un head chef come un leader? Se sì, un leader ha facoltà cerebrali in più rispetto agli altri? «Questo non lo sappiamo. La capacità di
dirigere un gruppo con i tempi degli chef è molto simile al lavoro di un comandante militare, di un maître di sala, di un chirurgo o anche di un direttore di orchestra. Tutte categorie ancora non studiate dalle moderne neuroscienze ma che sarebbero sicuramente molto interessate a donare il loro cervello alla scienza». © Copyright Università Niccolò Cusano
Dai test della ricerca sul cervello degli chef coordinata dal dottor Cerasa è anche emerso che le variabili associate all’aumento di volume cerebrale sono la dimensione della brigata, ossia il numero dei componenti della squadra in cucina, e le abilità nello svolgere un compito di pianificazione motoria. Più persone devo coordinare in cucina, più sono veloce a programmare nella mia mente le azioni che dovrò compiere nel tempo, più il cervelletto aumenta di volume. Questi risultati, dunque, confermerebbero che l’allenamento produce modifiche a lungo termine sia a livello comportamentale sia a livello organico, rendendo il cervello degli chef “speciale” come quello di altri expert brain già studiati dalla letteratura scientifica. Questa ricerca, tuttavia, non definisce il grado di competenza di uno chef. Al momento non esiste, cioè, un metro scientificamente validato per stabilire quanto sia più bravo, abile o creativo uno chef rispetto a un altro, al contrario di quanto, ad esempio, avviene per le categorie dei matematici o dei musicisti. © Copyright Università Niccolò Cusano
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ricca di magnesio potassio e zinco la melagrana è un toccasana per il nostro organismo
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il segreto degli antiossidanti
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er la sua forma piena e tondeggiante rappresenta la fecondità ma anche la fratellanza. Stiamo parlando della melagrana, il frutto ricco di proprietà benefiche che ha dato il nome alla città spagnola di Granada e che ha proprietà antiossidanti superiori a molti integratori in commercio. Ricco di magnesio, zinco e potassio è un vero toccasana per il nostro organismo. Il melograno fiorisce a marzo e i suoi frutti raggiungono la piena maturazione in autunno. Rimedio naturale per molti disturbi e buono in cucina, è un frutto che non dovrebbe mai mancare sulle nostre tavole.
Metodi di conservazione La melagrana a temperatura ambiente si conserva in modo ottimaha proprietà le per una settimana. In frigorifero si mantiene per un mese ma, se superiori vogliamo averne una piccola ria quelle di molti serva per gustarcela quando non è più stagione di questo preziointegratori so frutto, possiamo raccoglierne che si trovano i grani e conservarli nel congelain commercio tore in comodi contenitori ermetici. O, ancora meglio, possiamo spremerli e conservarne il succo, che in freezer manterrà intatte tutte le proprietà per VALORi almeno due mesi. NUTRIZIONALI Migliore degli integratori? per 100 grammi Ricca di una quantità nettamente maggiore di molecole bioattive antiossidanti rispetto Calorie 70 circa agli integratori in commercio, è un ottimo Grassi 1,2 g alleato contro i radicali liberi, combatte l’inAcidi grassi saturi 0,1 g vecchiamento e dunque il deterioramento Acidi grassi polinsaturi 0,1 g dei tessuti in generale ed è considerato anche un anticancro. Oltre ai flavonoidi, la me- Acidi grassi monoinsaturi 0,1 g lagrana contiene infatti un’alta percentua- Colesterolo 0 mg le di tannini e di polifenoli dal forte potere Sodio 3 mg antiossidante, come l’acido gallico e l’aciPotassio 236 mg do ellagico. Gli estratti di questo frutto eviCarboidrati 19 g denziano un effetto protettivo della memFibra alimentare 4g brana dei globuli rossi. Zucchero 14 g Un toccasana per il cuore Proteine 1,7 g Controlla la pressione sanguigna e i livelli Vitamina A 0IU del colesterolo “cattivo” LDL. Vitamina C 10,2 mg Calcio 10 mg Ideale contro lo stress La Queen Margaret University di Edimbur- Ferro 0,3 mg go è riuscita a dimostrare come il succo dol- Vitamina D 0 IU ce del pomo rubino possa procurare “senVitamina B6 0,1 mg timenti positivi” e voglia di fare, contrastanVitamina B12 0 µg do lo stress da lavoro, l’ansia e il malumore. Magnesio 12 mg © Copyright Università Niccolò Cusano
pannelli Alimentazione, conoscenza e poesia: alla mensa della Cusano il buon cibo è servito con la cultura. Nel riquadro una poesia di Paul Valery
LA RICETTA
Ecco come trasformarla in uno sfizioso condimento INGREDIENTI 280 g di zucca 120 g di broccoli in cimette 1 peperoncino Origano q.b. 1 spicchio d’aglio Olio d’oliva 1 melagrana pepe nero q.b. 1/4 di scalogno 100 gr di robiola Sale q.b.
PREPARAZIONE Lavare i broccoli e separare i gambi dalle cime. Tagliare i primi a cubetti, prendere le cime e rosolare il tutto in padella insieme allo scalogno finemente tritato. Portare a cottura sfumando con acqua e versare il composto in un mixer. Unire la robiola, l’origano e un pizzico di sale e tritare fino a ottenere una crema compatta. Prendiamo quindi la nostra zucca, tagliamola a dadini e scottiamola in acqua salata, quando ha raggiunto la giusta consistenza scoliamola e lasciamola soffriggere in padella con un giro d’olio e del peperoncino. Cuocete le orecchiete e, una volta scolate, ripassatele nella padella dove è stata saltata la zucca. Mettete il tutto in un piatto da portata, aggiungete i chicchi di melagrana e servite. Si consiglia di mettere un po’ di salsa di broccolo sul fondo di ogni piatto o al lato, in modo che siano i commensali ad amalgamare i sapori a loro piacimento.
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Il ping pong uno sport di “testa” chi lo pratica sfrutta la capacità di apprendimento del cervello al massimo
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e ve lo state chiedendo vi risponne, e in grado di creare i presupposti per diamo noi: sì, il ping pong migliorare i tempi di reazione e di esecuzione di gesti complessi di frone il tennistavolo sono te a improvvisi cambi di situasostanzialmente la zione». Occorrono, inoltre, stessa cosa. In gergo ping ottime doti di equilibrio, pong si riferisce all’attività Gli 11.583 sono suddivisi in 8.688 seniores e veterani una buona resistenza aeamatoriale e tennistavolo a quella agonistica. In robica, e un’adeguata re(Over 40) e 2.895 Under 18. Le donne incidono per un 10% sistenza alla velocità. Per Italia questo sport subiI numeri della sce una significativa coned è in crescita la quota giovanile. i curiosi che vogliono avdisciplina in italia correnza da parte delle I Paesi che eccellono sono Cina, vicinarsi a questo sport è Le società affiliate discipline principali. TutGiappone e Corea del Sud e, utile sapere che questa è tavia una soluzione per aualla FITeT sono 572. in Europa, Francia, Svezia, una disciplina praticabile mentare il bacino potenziaI tesserati agonisti sono 11.583, Germania e alcune nazioni a ogni età e senza particolale di utenza c’è: «Potenziare cui si sommano 1.989 ri fattori limitanti «salvo gravi dell’Est, come Polonia, l’attività promozionale partenpromozionali. problematiche di natura osteRomania e Russia. do dalle scuole», sostiene Patrioarticolare e alla vista. Occorre zio Deniso, direttore tecnico della comunque la visita di un medico nazionale Tennistavolo. Per chi non lo specialista in medicina dello sport per sapesse, da poco sono finiti i campional’attività agonistica» avverte il medico del ti italiani assoluti dove i nostri giovani atConi. Per la sua caratteristica di continuleti hanno dimostrato di essere competiità, fluidità dei movimenti e mancanza di tivi ai massimi livelli. Ma come si riconocontatto fisico è poco traumatica, «fatta ecsce un campione? «A livello fisico – spiega cezione per la spalla, il gomito e il rachide cervicale ove occorre un’attenta azioDeniso - deve essere un atleta con grande ne preventiva». E allora i presupposti ci forza, veloce, potente, in particolar modo settore paralimpico sono tutti per cominciare a scoprire quea livello degli arti inferiori. Coordinato e sto sport centenario dai molteplici benereattivo, con grande capacità di reazione agli stimoli complessi, capacità di anfici che Mao Tse-tung in Cina rese, additicipazione e grande attitudine al lavoro». rittura, sport nazionale. © Copyright Università Niccolò Cusano Quello che vi sorprenderà sapere è che, oltre ai sensibili benefici nella funzionalità I disabili in carrozzina hanno grandi vandell’apparato cardiovascolare, respiratorio taggi nella pratica del tennistavolo e la e muscoloscheletrico, il tennistavolo è una disciplina paralimpica ha un grande sedelle attività migliori per chi vuole invecchiare meglio e più lentamente. «Recenguito di praticanti in tutto il mondo e anti studi scientifici hanno dimostrato che che nel nostro paese è presente con una in adulti con problemi di demenza senicompagine di tutto rispetto. «Il movile l’allenamento è in grado di migliorare mento è in grandissima ascesa dal punto di vista numerico e ai prossimi Camsignificativamente l’equilibrio, l’attenzione e la coordinazione motoria. Inoltre, la pionati Italiani di Lignano Sabbiadoro gli pratica regolare di questo sport migliora atleti saranno 150, ovvero il 50% in più sensibilmente lo stato dell’umore e riduce rispetto allo scorso anno», l’aggressività, influenzando positivamenracconta con orgoglio il dite l’invecchiamento delle cellule del sisterettore tecnico paralimma nervoso», spiega Carlo Tranquilli, mepico, Alessandro Arcigli. Neldico del Coni. Il tennistavolo richiede un le ultime stagioni, dunque, è aumentato il numero dei pongisti in enorme sforzo di concentrazione a causa carrozzina, delle donne e dei giovani. della velocità di scambio che tra i professionisti può avvenire anche in un tempo «Questo – sottolinea Arcigli - è il frutto dell’attività di promozione che la di circa 3 millesimi di secondo. «Le abilità del giocatore sono innanzitutto correlaFederazione ha deciso di fare te allo sviluppo neurofisiologico, le qualispecialmente all’interno deltà di tipo coordinativo migliorano rapidale Unità Spinali». mente in età evolutiva e quindi il momen© Copyright Università Niccolò Cusano to per ottenere il massimo incremento di queste qualità è tra i 6 e i 12 anni – spiega Tranquilli - È un’attività che sfrutta appieno la capacità di apprendimento del cervello legata anche ai “neuroni specchio” responsabili dell’acquisizione di schemi motori, anche complessi, con la semplice osservazione e imitazio-
Uno sport oltre le barriere sociali
K A cura di Francesco Peluso Cassese
professore associato Università Niccolò Cusano
I pongisti possono “vedere” il futuro Considerandone le caratteristiche peculiari - velocità della palla, spazi ristretti di azione, occlusione continua della parte inferiore del corpo dovuta alla presenza del tavolo e forti rotazioni subite dalla palla e non presenti in altri sport - questa disciplina sportiva è un ambito interessante per lo sviluppo di nuove ricerche sul tema dei limiti del sistema visivo in compiti che richiedono un’immediata presa di decisione. Uno dei consigli che spesso si dà ai pongisti è di seguire con gli occhi la palla durante il gioco. Ma questo era in contraddizione con le reali possibilità del sistema visivo umano che non può inseguire oggetti che superano la velocità di 0,7 rad/s (Buser e Imbert, 1975) e questa velocità durante il gioco veniva e viene superata comunemente. Al giorno d’oggi, i pongisti di alto livello colpiscono la palla a velocità superiori a 160 km/h, e per ricevere questi colpi i giocatori devono iniziare i movimenti in anticipo. La maggior limitazione per far ciò arriva dalla velocità con la quale l’occhio può muoversi, gli atleti che praticano sport che richiedono l’esplorazione visiva e il controllo dello sguardo devono adottare delle strategie per sopperire alle limitazioni imposte dal sistema visivo (Ripoll e Fleurence, 1988) dunque si interrogano su quali strategie oculo-motorie venivano adottate dal sistema visivo per ovviare a questo inconveniente. Nella discussione finale dei loro studi osservano che non era possibile effettuare un inseguimento continuo della palla durante il gioco ma solamente nella prima parte. Gli psicologi dello sport sono interessati dunque a identificare gli indizi visivi e le strategie usate dai giocatori di alto livello per ridurre il ritardo nella presa decisionale e dell’azione motoria. L’assunzione di base è che scoprendo e modellando le percezioni di successo, il giocatore riuscirà a minimizzare i propri tempi di azione. La caratteristica dei giocatori è quindi quella di saper selezionare gli stimoli focalizzando l’attenzione non solo sulla pallina ma scomponendo la proprietà su altri fattori che loro individuano come precursori della traiettoria della pallina: in pratica leggono il futuro.
velocità concentrazione coordinazione: i benefici del tennistavolo
Dure socchiuse melagrane dall’eccesso dei chicchi aperte, vedo in voi fonti sovrane fendute da alte scoperte. Se i solleoni che v’assediarono oh melagrane squarciate, frutta d’orgoglio, spezzarono le vostre pareti arrubinate, e se l’oro secco della scorza in gemme rosse di succo esplode per la volontà d’una forza, da quella luminosa spaccatura un’anima che fu mia riode il segreto della sua architettura.
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ssumere pillole in polline per tre anni. In modo da “vaccinarsi” dalle allergie primaverili. è la nuova frontiera della battaglia alle graminacee e alle altre “polveri di fiori” che fra marzo e maggio rendono la vita impossibile a migliaia di persone, provocando febbre da fieno e rinite allergica. Gli scienziati dell’Imperial College di Londra hanno scoperto che il trattamento - a base di iniezioni o pillole - è efficace, ma due anni non bastano per ottenere effetti duraturi. Pazientando un po’ più a lungo, però, i benefici diventano durevoli. A promuovere questo tipo di immunoterapia, che espone i pazienti a quantità crescenti di polline nel corso del tempo, è lo stesso ateneo britannico. «Trattando i pazienti per tre anni, questi hanno un grande miglioramento per diversi anni successivi», spiega Stephen Durham, responsabile di Allergologia e Immunologia clinica dell’Imperial College e a capo dei servizi di allergia al Royal Brompton Hospital, che ha condotto lo studio. «Esporre le persone al polline in questo modo si è rivelato un trattamento molto efficace per le persone che hanno una febbre da fieno veramente debilitante».
“CARAMELLE” PER RESPIRARE I sintomi della rinite allergica stagionale sono abbastanza comuni. Essa si manifesta con attacchi di starnuti, naso che cola e prurito agli occhi, che possono rovinare la quotidianità dei pazienti. Un certo numero di farmaci sono disponibili, dagli spray nasali agli antistaminici, ma i pazienti con sintomi più gravi possono essere trattati con l’immunoterapia, attraverso iniezioni o pillole a base di estratto di polline.
GLI SCIENZIATI DELL’IMPERIAL COLLEGE DI LONDRA PROPONGONO PILLOLE DI POLLINE PER “VACCINARSI” DALLA RINITE ALLERGICA
I PAZIENTI PIù GRAVI possONO ESSERE TRATTATI CON QUESTA FORMA DI IMMUNOTERAPIA
Lo studio ha coinvolto alcuni pazienti volontari del Royal Brompton Hospital di Londra: qui i ricercatori hanno testato l’efficacia di due immunoterapie prescritte dal servizio sanitario britannico a base di estratto di polline: un’iniezione e una pillola da assumere sotto la lingua. Lo studio era in doppio cieco, controllato verso placebo: 106 pazienti sono stati divisi in tre gruppi e trattati con iniezione (settimanale), pillole (quotidiane) o placebo. Un totale di 92 arruolati hanno completato il trattamento, che si è rivelato molto utile, riferiscono i ricercatori. Ma se la terapia durava solo due anni, a un anno dalla fine le condizioni erano nuovamente peggiorate. «Lo studio – conclude Durham mostra che entrambi i trattamenti, iniezioni e pillole, sono stati altamente efficaci, ma due anni di terapia sono insufficienti per risultati a lungo termine. Clinici e pazienti dovrebbero continuare a seguire le linee guida internazionali, che raccoman-
dano un minimo di tre anni di cura».
Nel frattempo, come si previene la febbre da fieno? è fondamentale moderare gli alimenti allergizzanti e isatmino liberatori. Il consumo di latte e derivati, in particolare, provoca un “ipersecrezione di muco che aggrava la sintomatologia di chi soffre di asma e rinite allergica”. «Queste sostanze – spiegano ancora dall’Imperial College – producono delle tossine che vanno drenate dall’organismo. Le persone già deboli a livello emuntoriale (fegato e reni) rischiano di avere ulteriori ripercussioni a livello respiratorio. Per quanto riguarda gli alimenti che stimolano la liberazione di istamina o la contengono, come fragole e cioccalato e crostacei, particolare attenzione va dedicata ai formaggi fermentati che hanno un contenuto elevato di istamina». Anche gli insaccati sono da evitare per gli stessi motivi. «Tra gli alimenti instamino liberatori – prose-
guono gli esperti inglesi – si segnalano anche i molluschi, i pomodori, noci, mandorle, arachidi e frutta secca in generale. Anche il caffè è da evitare anche per le sostanze tossiche che contiene (metilxantine smaltite dal fegato). Gli additivi alimentari, coloranti conservanti e addensanti vari contengono svariate sostanze tossiche e amine vasoattive». Additivi contenenti «benzoati e tartrazina stimolano un aumento dei mastociti, coinvolti nella produzione DI alcuni mediatori chimici pro infiammatori». © Copyright Università Niccolò Cusano
PRIMAVERA KILLER Fra marzo e maggio le graminacee e le altre “polveri di fiori” causano gravi disturbi respiratori ai soggetti allergici
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il numero uno del ciclismo estremo: «la determinazione porta a traguardi impensabili»
cipale, cerco di allenarmi tutti i giorni. Inoltre seguo anche altre attività legate al ciclismo: mi sto dedicando a uno studio di biomeccanica e curo l’immagine di alcuni miei sponsor. Loro mi supportano e io faccio un lavoro di promozione dei brand». Design e ciclismo: trovami un filo conduttore. «Stiamo parlando di due arti. Per me il ciclismo non è un semplice sport ma una forma di espressione di ciò che sei. Compiere i percorsi in sella per me è come tracciare una linea immaginaria su una cartina. Segnare punto per punto le linee sulla road map».
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oglio che il mio corpo faccia ciò che la mia mente e il mio cuore sognano». Lo dice sorridendo, con disinvoltura, Omar Di Felice, il re del ciclismo estremo che in sella ha sfidato il freddo polare Artico mangiando 1.800 chilometri di ghiaccio per unire Helsinki a Capo Nord e ha superato il diluvio universale quando, per la Parigi-Roma non-stop, è partito dalla Tour Eiffel per raggiungere il Colosseo. «I sogni sono soltanto l’anticamera di ciò che realizzerai», dice Omar. E la sua filosofia di vita la riporta in pieno nell’ultracycling, abituando i suoi fan a prodezze che, spesso, superano la fantasia stessa. Era un adolescente quando, in quel di Nettuno, in provincia di Roma, inforcava la sua bike al sorgere del sole abbandonandosi a lunghe pedalate prima di filare dritto sui banchi di scuola perché, come lui stesso tiene a precisare, «i miei genitori mi hanno insegnato l’importanza dello studio e della cultura, ma la vita è soltanto una, per cui sarebbe un vero peccato non dedicarsi a ciò che si ama». Detto, fatto. Ed ecco che il ragazzo che si interessa di cinema, è laureato in Design e non disdegna il gelato, non perde occasione per sfidare i suoi limiti e spingere l’asticella sempre un po’ più in là. La prossima avventura, prevista a settembre 2017, ha il sapore tutto italiano e lo vedrà toccare tutte le regioni del Belpaese.
per me non è un semplice sport, ma una forma di espressione
omar di felice sfido il limite della fatica
Solitarie non-stop, di che parliamo? «Le non-stop sono pedalate continuative in cui faccio delle soste brevissime: ho una macchina al seguito e mi concedo solo dei microsonni di 30-40 minuti ogni 24 ore. Cerco di gestire al massimo il riposo e di far fare al corpo quello che dice la mente». Mangi durante le non-stop? «Ogni 50 minuti. Il fisico ogni ora ha bisogno di reintegrare, il trucco è di non far svuotare le risorse di glicogeno e tenere l’insulina a livelli stabili. Piccoli panini, pezzetti di crostata, barrette energetiche sono le cose che sbocconcello mentre pedalo. Anche l’acqua deve essere accuratamente reintegrata». Quante calorie si bruciano nell’ultracycling? «Circa 500-600 calorie l’ora». Ascolti musica mentre pedali? «Una volta lo facevo spesso durante gli allenamenti. Adesso mi piace più concentrarmi totalmente su ciò che faccio: la mia bici, la fatica, il paesaggio».
Con il freddo pungente, sotto la pioggia e nelle salite più impegnative. A cosa pensi quando pedali? «Sgombro la mente e mi concentro sul momento. Ascolto me stesso, la fatica, mi concentro sulla bici e sul panorama. Se inizi a pensare, è finita. In queste performance il fisico viene spinto al limite estremo e se la mente comincia a chiedersi il perché o se ne valga la pena il risultato potrebbe essere compromesso. Quindi assaporo il momento attimo per attimo, la fatica diventa piacere e sfida con me stesso e la determinazione ti porta a raggiungere traguardi impensati e a compiere imprese che non erano mai state fatte. Per fare le cose più difficili bisogna partire da quelle semplici: salire in sella e divertirmi è l’unico pensiero che occupa la mia testa quando pedalo». Da quanto tempo pratichi ciclismo estremo? «Pedalo da 20 anni, ho fatto tutte le categorie tradizionali, e un anno e mezzo da professionista. Dopo un paio di anni di stop ho iniziato il ciclismo estremo e ora
sono cinque anni che mi dedico a tempo pieno a questa disciplina». Ciclismo tradizionale e ultracycling: quali le differenze? «Ho lasciato il primo principalmente per due ragioni: difficoltà di trovare ingaggi e sponsor. Me ne sono tirato fuori perché le leggi del business avevano tolto la poesia a questo sport. Nel ciclismo estremo, anche se competi contro degli avversari, la sfida principale è con te stesso. La mia attività si divide in due: gare dai 500 km in su contro altri avversari e le avventure in solitaria. Queste ultime sono le sfide che mi danno più soddisfazione perché parliamo di oltrepassare i tuoi limiti. Mentre nelle prime hai qualcuno da battere, in solitaria sei solo tu contro la fatica, e in tal caso rinunciare potrebbe essere la via più semplice».
«Mai. Mi è capitato magari di dover cambiare il percorso per problemi contingenti come la chiusura di una strada, ma non ho mai lasciato a metà. La difficoltà più grande che ho incontrato è stata nella traversata dai Pirenei alle Alpi, dal Tourmalet allo Stelvio, quando dopo 1.200 km ho avuto un forte ascesso dove poggio sulla sella e, arrivato al pronto soccorso, i medici mi avevano detto che non potevo più continuare. Siamo stati fermi una notte ma poi, sostenuto dai miei supporter e dall’intero team che aveva lavorato all’impresa, ho deciso di fare tutte le salite in piedi sui pedali».
Hai mai lasciato un’impresa a metà?
Quante volte ti alleni a settimana? «Dal momento che è la mia attività prin-
quando pedalo sgombro la mente, vivo ogni momento se mi fermo a pensare è finita
il riposo? mi concedo dei microsonni di 30-40 minuti ogni 24 ore
Hai mai avuto paura in una delle tue esperienze? «La paura ti accompagna costantemente perché da quando ho fatto del ciclismo estremo un lavoro e non un divertimento, so di essere osservato e, in tal caso, fare il risultato ti crea una pressione diversa. Nella Parigi-Roma, la mia prima traversata così lunga, speravo di partire senza pioggia e invece ho iniziato l’impresa sotto al diluvio. Dopo 20 ore ero totalmente zuppo e in ipotermia, mancavano ancora 800 km. Poi piano piano sono entrato in Italia, ho trovato i miei tifosi a sostenermi e ce l’ho fatta». Il doping, affligge anche il ciclismo estremo? «In questo tipo di sport è controproducente: ingerire della chimica e fare sforzi di questo tipo può portare al blocco renale e all’arresto cardiaco. Poi parliamo di sforzi che oltre l’ottava ora chiamano in gioco la pura capacità di soffrire, la volontà e la resistenza. Spesso è lotta all’ultima salita, ed è lì che saltano tutti gli schemi: conta quanto sei mentalmente motivato a vincere quella gara. La parola chiave è determinazione». © Copyright Università Niccolò Cusano
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mangiare sushi in sicurezza
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anno vinto i ristoranti giapponesi, che poi sono cinesi anche se il cibo è giapponese». Ci scherza su anche Niccolò Fabi, che nel suo ultimo disco ironizza sull’incredibile diffusione dei cosiddetti “Sushi restaurant”, posti dedicati all’antichissima ricetta giapponese del pesce crudo. Non sempre però - come sottolinea anche il cantautore romano in un verso della sua “Ha perso la città” - la delicata preparazione di queste pietanze è affidata a professionisti del settore o comunque a persone non di nazionalità giapponese. Anzi, è noto come i ristoratori cinesi abbiano fiutato il dilagare di questa moda allargando i propri orizzonti verso l’isola del Dragone. Un recente servizio del programma tv “Le Iene”, tuttavia, ha messo in luce come non tutti rispettino le norme igienico-sanitaquando è cinese rie, ancor più stringenti visto Molti ristoratori cinesi, attenzione fiutando il dilagare che stiamo parlando di peal rispetto delle sce crudo, che se non predella moda del sushi, parato a dovere può arrivahanno allargato norme igieniche: re addirittura a essere letai propri orizzonti il pesce crudo le, come accaduto nel 2013 “rubando” la ricetta può essere ai colleghi giapponesi al giornalista del Messaggero Aldo De Luca. In periodo anche letaLE in cui sushi, sashimi e similari si trovano ovunque, dal ristorante chic al discount sotto casa, senza creare allarmismi, dunque, ecco alcuni consigli dei nutrizionisti per valu- prima. Il pesce fresco e adeguatamente tare adeguatamente la sicurezza del cibo conservato deve essere lucido e inodore. che ci accingiamo ad acquistare. Anche la consistenza della carne è un elemento importante per identificare pesce 1. LA POSTAZIONE. Un buon indice della fresco conservato correttamente. professionalità del sushi chef e del livello di igiene in cucina è rappresentato dal- 5. ASPETTO. Come si fa a distinguere una le condizioni della vetrinetta refrigerata porzione di sushi preparata il giorno prima in cui viene conservato il pesce utilizza- e conservata in frigorifero da quello fatto to per preparare i piatti. Per verificare se al momento? In genere quando il sushi è la vetrina è refrigerata, basta appoggiare vecchio, il pesce ha un aspetto opaco, mentre il riso al contrario assume un aspetto una mano sul vetro. vitreo. I chicchi tendono a incollarsi l’un 2. LO CHEF. Anche nella postazione di la- l’altro, dando al prodotto una consistenvoro dello chef e al bancone, ordine e pu- za molto più compatta. lizia devono farla da padrone e, in particolare, il tagliere in polietilene su cui si 6. IL RISTORANTE. Come detto, non bisoprepara il sushi deve essere bianco quan- gna generalizzare. Ma meglio stare alla to più possibile. larga da posti che giapponesi non lo sono neanche con il binocolo. Meglio che il 3. L’ODORE. La puzza di pesce è un indi- luogo sia preferibilmente piccolo, gestice negativo che dovrebbe insospettire. Il to e frequentato da giapponesi, e il menu ristorante non è una pescheria e, in ogni non infinito. caso quando, si cucina pesce fresco e la cucina è dotata come prescrive la norma 7. BARCHE DI SUSHI. Diffidate. Pare che in di legge di cappe di aspirazioni adeguate, Giappone non le abbiano quasi mai viste. l’odore non dovrebbe essere persistente. Non fidatevi nemmeno di un menu costellato di soli maki che nel migliore dei casi 4. INIZIARE DAL SASHIMI. Non necessitan- si chiamano “California Roll”, nel peggiodo di condimenti, il piatto permette di va- re “Oriental Delight”. lutare meglio la freschezza della materia © Copyright Università Niccolò Cusano
se Siete appassionati della cucina giapponese ci sono sette trucchi per scegliere il ristorante giusto
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Temaki, Futomaki e Narezushi:tutte le varietà dei piatti Il sushi è un piatto tipico della cucina giapponese a base di riso insieme ad altri ingredienti come pesce, alghe, vegetali o uova. In Giappone la parola “sushi” significa letteralmente “aspro” e si riferisce a una vasta gamma di cibi preparati con riso. Al di fuori del Giappone viene spesso inteso come pesce crudo o come riferimento a un ristretto genere di cibi giapponesi, come il maki o anche il nigiri e il sashimi (che in Giappone non è considerato sushi perché composto di solo pesce fresco). Abbiamo contato ben 13 tipi diversi di “sushi”, o derivazioni California Roll (nato negli Stati Uniti). La varietà del piatto nasce dalla scelta dei ripieni e guarnizioni, nella scelta degli altri condimenti e nella maniera in cui vengono combinati. Makizushi (“sushi arrotolato”). Una polpettina, cilindrica o conica, formata con l’aiuto di un tappeto di bambù detto makisu . Futomaki (“rotoli larghi”). Una polpetta cilindrica, con il nori all’esterno, tipicamente alta due o tre centimetri e larga quattro o cinque. Hosomaki (“rotoli sottili”). Una polpettina cilindrica, con il nori all’esterno, tipicamente alta due centimetri e larga due. Temaki (“rotoli mano”). Una polpetta a forma di cono, con il nori all’esterno e gli ingredienti che sporgono dall’estremità larga. Uramaki (“rotoli interno-esterno”). Una polpetta cilindrica con il nori all’interno, di dimensioni medie e con due o più ripieni come uova di pesce o semi di sesamo tostati. Oshizushi (“sushi pressato”). Un blocco formato usando una forma di legno detta oshibako. Il blocco viene rimosso dalla forma e tagliato in pezzi delle dimensioni di un boccone. Nigirizushi (“sushi modellato a mano”). Piccola polpettina di riso pressato a mano, spesso con una punta di wasabi. Gunkanzushi (“sushi nave da battaglia”). Una polpettina di riso di forma ovale, circondata da una striscia di nori, con degli ingredienti, come uova di pesce, impilati sopra. Inari / Inarizushi (“sushi ripieno”). Una piccola tasca o cavità riempita con riso sushi e altri ingredienti. La tasca viene ricavata da un pezzo di tofu fritto. Chirashizushi (“sushi sparpagliato”). Una ciotola di riso sushi con gli altri ingredienti mischiati. Detto anche barazushi. Edomae chirashizushi (“Sushi sparpagliato allo stile di Edo”). Gli ingredienti crudi sono miscelati con arte sopra al riso in una ciotola.
Cultura e Cucina. Quando il cibo incontra il sapere “Cultura o cucina. Quando il cibo incontra il sapere” è l’appuntamento radiofonico di Radio Cusano Campus in onda ogni sabato alle 13. Il programma vuole approfondire gli argomenti “gastronomia e turismo”, cruciali nel ridefinire i confini dell’economia italiana. Il programma è condotto da Livia Ventimiglia e Matteo Torrioli.
Gomokuzushi (“sushi nello stile del Kansai”). Ingredienti cotti o crudi miscelati insieme al riso nella ciotola. Narezushi Una forma più antica di sushi. Si rimuovono gli organi interni e le squame dai pesci, quindi li si riempiono di sale. Dopo sei mesi i narezushi sono pronti per essere mangiati. Funazushi Comporta la fermentazione lattica anaerobica di un pesce d’acqua dolce, funa. è considerato una “chinmi”, una prelibatezza della cucina giapponese. © Copyright Università Niccolò Cusano
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12
marzo
il metodo
113 soggetti divisi in due gruppi
sottoposti ad allenamento cognitivo e motorio
Ecco come hanno lavorato i ricercatori
testatina per le pagine interne DX Sono stati
un doppio allenamento per contrastare l’alzheimer e la demenza senile
Sono stati selezionati dalla popolazione generale della provincia di Pisa pazienti anziani con disturbo cognitivo lieve (MCI), sottoponendoli ad accurati esami neuropsicologici e strumentali (come la risonanza magnetica). In questo modo i ricercatori hanno individuato 113 soggetti, che sono stati poi suddivisi in due gruppi: il primo ha partecipato al programma di allenamento cognitivo e motorio; il secondo ha costituito il gruppo di controllo, non coinvolto nel pro-
gramma di allenamento. I soggetti selezionati nel primo gruppo sono stati accolti, per sette mesi e per tre mattine a settimana, nell’Area della Ricerca del Cnr di Pisa, all’interno di una struttura appositamente creata e attrezzata con una palestra e aule cognitive, in un contesto sociale molto ricreativo e rilassante. Al termine dei sette mesi di partecipazione al programma, tutti i soggetti (anche quelli del gruppo di controllo) sono stati rivalutati mediante batterie di test co-
mente e corpo mai troppo tardi K Intervista ad Alessandro Sale,
ricercatore all’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa
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on è mai troppo tardi per allenare il cervello. Anche nella terza età. Anzi. Quando ci impegniamo in attività mentali complesse e in un contesto sociale e giocoso, i circuiti neurali vengono stimolati e rimodellati favorendo la plasticità cerebrale. Una vera strategia anti-invecchiamento, quindi, in grado di contrastare la demenza senile e l’Alzheimer. In parole povere allenare il corpo e la mente contrasta i deficit cognitivi, e questo può essere una risorsa per tutta una fascia di popolazione che spesso vive, invece, in condizioni povere di stimoli. È quello che ha scoperto un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze e dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr, portando avanti uno studio chiamato “Train the Brain”. Abbiamo chiesto al dottor Alessandro Sale, ricercatore all’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, di spiegarci l’importanza di questa ricerca. Dottor Sale, a che tipo di esercizi fisici e mentali avete sottoposto gli anziani coinvolti nello studio? «È stato dato molto spazio alle attività di gruppo, al gioco, alla musicoterapia, all’interno di ambienti dedicati alla stimolazione cognitiva basata, per esempio, su compiti di memorizzazione di volti e parole, esercizi di logica, giochi di attenzione. Inoltre, i soggetti hanno svolto un programma di allenamento motorio calibrato sulle loro possibilità e di difficoltà incrementale». Che risultati avete avuto e perché secondo lei? «I soggetti hanno dimostrato di gradire moltissimo la partecipazione alle
attività proposte e i risultati sono stati sorprendenti: gli stimoli ambientali hanno arrestato il decadimento cognitivo nei partecipanti, con effetti riscontrabili anche a livello dei parametri di funzionalità cerebrale valutati con le più moderne tecniche di imaging. Noi riteniamo che il segreto di un programma di allenamento di successo consista nell’insieme di attività svolte in un contesto altamente sociale, mai noioso, una sorta di arricchimento ambientale per la persona anziana».
so sono soggetti i pazienti con forme avanzate di demenza».
Come può un familiare che ha in casa un anziano con un deficit cognitivo aiutare il proprio caro a stare meglio? «Per mantenersi in forma, il cervello necessita di allenamento, di stimoli continui e adeguati, in condizioni ambientali non stressanti. I pazienti con deficit cognitivi traggono giovamento dal concetto di active ageing. Devono essere incoraggiati alla lettura, a ciI risultati ottenuti sono possibili solo su de- mentarsi nella risoluzione di problemi lomenze cognitive agli stadi iniziali? gici o di attenzione, a compiere frequente«Risultati netti di arresto del decadimento mente compiti di memorizzazione e oriencognitivo possono ottenersi solo median- tamento spaziale. La solitudine deve essere te programmi di intervento precoci, a sta- evitata; al contrario, queste persone devono di iniziali delle forme di demenza. È altresì mantenersi socialmente molto attive. Altretipotizzabile che anche in soggetti con for- tanto importante è praticare con regolarità me più avanzate la stimolazione fisica e co- una moderata attività aerobica commisuragnitiva possa indurre miglioramenti della ta alle proprie possibilità. L’esercizio fisico, funzionalità cerebrale, ancorché non risul- infatti, stimola la plasticità cerebrale, la catando risolutiva della malattia. Niente è più pacità dei circuiti neurali di modificarsi in pericoloso dell’impoverimento ambientale, risposta agli stimoli ambientali». © Copyright Università Niccolò Cusano dell’isolamento sociale e cognitivo cui spes-
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gnitivi e risonanza magnetica strutturale e funzionale. L’esperimento è stato svolto in collaborazione fra Istituto di Neuroscienze del CNR, Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Clinica Neurologica dell’Università di Pisa, Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Pisa, IRCCS Fondazione “Stella Maris” di Calambrone e Dipartimento di patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica dell’Università di Pisa. © Copyright Università Niccolò Cusano
K A cura di Alberto Costa
Psicoterapeuta e Professore associato Università Niccolò Cusano
unicusano facoltà di psicologia
Le relazioni tra fitness e prestazioni cognitive I risultati di diverse ricerche indicano come l’esercizio fisico possa produrre effetti benefici sulle prestazioni cognitive dell’individuo sano, quali, ad esempio, quelle che richiedono capacità attentive ed esecutive (Pedroso e coll., 2017). Nelle persone anziane è stata documentata l’esistenza di una relazione significativa tra fitness, funzioni cognitive e perfusione cerebrale (Brown, 2010). Indicazioni emergono, inoltre, per ritenere che l’esercizio fisico aerobico contribuisca a contrastare il rischio di declino cognitivo e a migliorare la qualità di vita dei pazienti con demenza (Wei-Wei Chen e coll., 2016). Diversi sono i meccanismi potenzialmente implicati nella mediazione della relazione tra esercizio fisico e attività cerebrale. L’attività fisica migliora il funzionamento del sistema cardio-vascolare e incide sul metabolismo favorendo il controllo del glucosio. L’esercizio aerobico può inoltre influenzare i livelli di alcuni fattori neurotrofici quali il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), coinvolti nei processi di neuroplasticità (Vaynman, 2004). In conclusione, dati incoraggianti indicano come l’attività fisica calibrata sui bisogni e le caratteristiche dell’individuo possa produrre effetti benefici sulla salute del complesso mente-cervello. Tuttavia, ulteriori studi si rendono necessari sia per comprendere i meccanismi neurobiologici a essa associati, sia per definire protocolli standardizzati di provata efficacia nelle condizioni di sofferenza cerebrale conclamata. © Copyright Università Niccolò Cusano
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l’elisir di lunga vita? è lo sport dopo i 40 anni
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are sport dopo i 40 anni può prevenire le malattie neurodegenerative. E in soggetti affetti da determinate patologie, «lo sport può diventare parte integrante di una terapia per la guarigione o quantomeno per il miglioramento», come affermato da Enrico Arcelli, professore associato presso la facoltà di Scienze motorie dell’Università degli Studi di Milano e specializzato in Medicina dello sport. Uno degli esempi è quello della depressione, spesso fra le concause di patologie come l’Alzheimer. Questa vera e propria malattia, infatti, quando si protrae per lungo tempo può comportare cambiamenti neuroendocrini nelle secrezioni ormonali che regolano l’umore e le attività quotidiane, con conseguente riduzione della forza fisica, mancanza di volontà e disturbi del sonno. «Durante la pratica moderata di sport di resistenza, o anche una camminata di alcune decine di minuti, – spiega il professor Arcelli – il cervello subisce un eustress, ossia uno stress positivo grazie al quale si producono due neuromediatori: l’acetilcolina e le endorfine capaci, queste ultime, di infondere sensazioni di analgesia (assenza di dolore) e benessere e definite, infatti, “ormoni della felicità”. Alcuni sport, quindi, rappresentano una tecnica naturale per il risveglio della capacità del nostro cervello di secernere sostanze antidepressive». Nello specifico, le attività più indicate per combattere la depressione sono certamente quelle aerobiche. Quindi per i soggetti più anziani può essere efficace una camminata sostenuta di qualche decina di minuti, oppure la danza. «Molto efficaci – spiega Arcelli - sono anche gli sport di gruppo o di squadra, come la pallavolo o la pallacanestro. Notevoli risultati si sono ottenuti anche attraverso la pratica di arti marziali come l’aikido o il judo, in cui il rispetto reciproco nel contatto e la ricerca della concentrazione, spesso intrinseca alle filosofie orientali, hanno forti finalità educative». La cosa importante, come afferma Arcelli, è «la continuità dell’attività, sia come sforzo, sia come costanza nel tempo. Per questo sono particolarmente indicati programmi specifici difooting, jogging, bicicletta o step, che producono un moderato, controllato e costante sforzo fisico, da effettuarsi possibilmente più giorni alla settimana per almeno 40
L’attività fisica può diventare parte integrante di una terapia per la guarigione o il miglioramento di patologie neurodegenerative I 9 BENEFICI DI UNA VITA ATTIVA PER GLI OVER 40 1. Benefici per il sistema muscolare 2. Benefici per il sistema respiratorio 3. Benefici per il sistema cardiovascolare 4. Contrasto delle malattie cardiovascolari 5. Contrasto del diabete 6. Contrasto del sovrappeso e obesità 7. Contrasto delle patologie muscoloscheletriche 8. Contrasto del cancro 9. Benefici sulla salute mentale e neurologica
minuti. Da non fare: frequentare le palestre in cui spesso si respira un alto grado di competitività o di impegno tecnico, aspetti che potrebbero essere negativi per l’autostima di una persona depressa».
obiettivi, desidera semplicemente mantenersi in buona salute, camminando a passo sostenuto all’aria aperta. Il segreto è farlo per almeno una mezz’ora al giorno. Gli effetti positivi sono molti: è un ottimo allenamento per l’apparato cardiorespiratorio, aumenta la densità ossea e la resistenza, favorisce il ritorno venoso e tonifica i muscoli, soprattutto degli arti inferiori. Poi c’è la ginnastica in acqua, che può essere praticata proprio da tutti, anche da chi per motivi di schiena, eccessivo peso o problemi le discipline articolari, specie aerobiche agli arti inferiori, è bene esegua attivisono indicate tà senza sovraccariper combattere co per le anche e ginocchia. gli stati
Ma quali sono gli esercizi fisici più adatti? Durante la terza età si può praticare qualsiadepressivi si attività fisica, Il Pilates, infine, è un a patto che sia metodo di ginnastica moderata e costandolce particolarmente inte. è evidente che sarandicato per gli anziani, in quanno avvantaggiati gli anzia- to si compone di sequenze di movimenni che non hanno condot- ti (ben 500) fluidi, controllati e armonici. to una vita sedentaria e che Grande importanza assumono la respiranon soffrono di patologie car- zione e la postura corporea. Ogni esercizio diovascolari o articolari. Il Fit deve essere eseguito in modo molto preciWalking, ad esempio, è idoneo so e, sempre coordinato alla respirazione. © Copyright Università Niccolò Cusano per chi, senza porsi particolari
Per segnalazioni, commenti, informazioni e domande alla redazione del mensile UnicusanoUP potete scrivere all’indirizzo: ufficiostampa@unicusano.it
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marzo
una vita “up” con la dieta mediterranea
2017
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Attività fisica e convivialità completano il mix benefico: uno stile di vita che combatte la sedentarietà
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miglioramento della qualità della vita e longevità: uno studio italiano dimostra gli incredibili effetti dello stile alimentare “nazionale”. vediamo quali
Piramide della Dieta Mediterranea
K Intervista alla dottoressa
Stefania Maggi dell’In-Cnr
Uno stile alimentare moderno, gustoso e sano
Vino Consumo moderato
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he la dieta mediterranea abbia effetti positivi su patologie specifiche come le malattie neurodeBere acqua generative, metaboliin abbondanza che e cardiovascolari, è cosa nota. Oggi, però, uno studio tutto italiano condotto dall’Istituto di neuroscienze del Cnr e dall’Università di Padova, ha portato alla luce per la prima volta un elemento ulteriore, cioè che la dieta mediterranea ha un impatto benefico più globale sulla qualità della vita e sulla longevità. Una novità importantissima che evidenzia come questo stile alimentare, in particolare poi sull’anziano, assicuri una minore prevalenza di disabilità, depressione e dolore. Unicusano Up ha chiesto alla dottoressa Stefania Maggi, della Sezione Invecchiamento dell’In-Cnr, di spiegarci tutti i particolari di questo studio. Dottoressa Maggi, questa ricerca ha portato alla luce per la prima volta un elemento di novità importantissimo, cioè che la dieta mediterranea ha un impatto benefico più globale sulla qualità della vita. Può spiegarci meglio questo aspetto e come si è svolto lo studio? «La dieta mediterranea, intesa come insieme di abitudini alimentari benefiche, regolare attività fisica e convivialità, è associata a una riduzione del rischio delle più Fare comuni patologie croniche (cardiovascolari e metabo-
Carne e dolci Consumo meno frequente
Carne bianca, uova, formaggi e yogurt Porzioni moderate, consumo qualche volta a settimana
Pesce e frutti di mare Consumo frequente, almeno due volte la settimana
proprietà
L’olio extra vergine di oliva è un alimento che, oltre a trigliceridi, acidi grassi essenziali e vitamina E, comprende polifenoli e fitosteroli che esplicano azioni protettive
liche, cancro, disturbi cognitivi), che oggi rappresentano le principali cause di morte e di disabilità nella popolazione dei paesi industrializzati. Proprio perché sana, facile da seguire, gradevole, viene ormai raccomandata come dieta ideale da promuovere in tutto il mondo. Noi abbiamo studiato un ampio campione di persone ad alto rischio di artrosi, che sappiamo essere la principale causa di disabilità nella popolazione anziana, non solo da un punto di vista clinico-patologico specifico, ma anche per quanto riguarda lo stile di vita, inclusa l’alimentazione. Quello che abbiamo dimostrato in questo studio, condotto su circa 4.500 americani, è che l’adesione a un modello di dieta mediterraneo, che può essere adottato in ogni parte del mondo, ha un impatto positivo sulla qualità di vita in generale, intesa come percezione della salute fisica e mentale, sulla sintomatologia depressiva e dolorosa e sullo stato funzionale fisico, documentato con questionari e scale di valutazione cliniche standardizzate e validate». Quali cibi in particolare hanno un impatto positivo su depressione e umore? «Uno degli aspetti più importanti da sotto-
Lo stile di alimentazione mediterraneo, caratterizzato da: • Un elevato consumo di cereali (riso, pane, pasta, ecc.), ortaggi e frutta secondo la stagione e frutta secca e legumi • Olio extra vergine di oliva come principale condimento • Un moderato consumo di pesce, uova e latte • Un basso consumo di formaggi • Un moderato consumo di alcool (vino durante i pasti) • Un basso consumo di carni e derivati.
K A cura della professoressa
Claudia Prestano docente associato in Psicologia clinica all’Università Niccolò Cusano
UNICUSANO INFORMA CHE...
la combinazione dei principali alimenti ha un’influenza positiva sul corpo
Frutta, verdura, cereali (soprattutto integrali), olio d’oliva, fagioli, noci, legumi, semi, erbe aromatiche e spezie Consumo quotidiano, anche più volte al giorno
esercizio fisico: consumare i pasti in famiglia o con gli amici
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Il concetto di convivialità e il nesso socioculturale con l’alimentazione tra vergine di oliva, inoltre, è considerato un alimento che, oltre a trigliceridi, acidi grassi essenziali e vitamina E, comprende polifenoli e fitosteroli che esplicano azioni protettive per il nostro organismo, diminuendo i livelli di infiammazione, alla base delle maggiori patologie croniche che ci affliggono».
lineare è che negli studi che hanno valutato l’associazione tra dieta mediterranea e salute fisica e mentale non si identifica un particolare cibo con un effetto positivo, ma è proprio la combinazione dei principali componenti della dieta mediterranea che esercita l’influenza positiva sul nostro organismo. Inoltre, sottolineiamo che la famosa piramide della dieta mediterranea include non solo alimenti, ma anche attività fisica e convivialità. Il segreto della dieta mediterranea, caratterizzata da frugalità, stagionalità, varietà, condivisione dei pasti con amici e familiari, consiste nel consumo di grandi quantità di alimenti di origine vegetale, in particolare di frutta e ortaggi ricchi di acqua, sali minerali, vitamine e fibra. L’apporto calorico è sostenuto in larga parte dai cereali e derivati che, grazie al loro contenuto in amido e proteine, arrivano a coprire il 55-60% del fabbisogno energetico giornaliero. Facendo un buon uso di cereali e legumi si riesce a contenere il consumo di alimenti di origine animale e ad assumere quella quantità di fibra indispensabile non solo per una regolare funzione intestinale, ma anche per modulare l’assorbimento dei nutrienti. L’olio ex-
Professoressa, lei è responsabile del Progetto Invecchiamento del Cnr. Secondo la sua esperienza e in base a quello che la scienza ha scoperto fin qui, quali sono le regole da seguire per vivere meglio e di più? «La ricerca scientifica sui meccanismi dell’invecchiamento e sulla possibilità di attivare dei geni in grado di proteggere dall’invecchiamento è in una fase di estrema produttività, ma non siamo ancora nella posizione di poter dire che abbiamo una pillola in grado di contrastare gli effetti della vecchiaia. Per ora, la comunità scientifica continua a diffondere il messaggio che si invecchia in salute se durante tutto l’arco della vita si evitano i fattori di rischio certi che ci portano a sviluppare malattie croniche debilitanti in età avan-
L’apporto calorico è sostenuto in larga parte da cereali e derivati
zata. Siamo in una fase storica in cui abbiamo il problema dilagante dell’obesità infantile e del diabete a essa associato che insorge in età sempre più giovane, e questo non predice certo un invecchiamento in salute per una larga fetta della popolazione. Lo stile di vita dei nostri giorni è caratterizzato da grande disponibilità di cibo e da una sempre più diffusa sedentarietà, che portano a vivere una situazione di apparente benessere psico-fisico che spesso non corrisponde allo stato di salute. La nostra dieta si è progressivamente arricchita di cibi ad alto contenuto di proteine, grassi saturi e zuccheri fino a superare l’apporto di nutrienti necessario. All’esercizio fisico vengono dedicate poche ore alla settimana. Tutto ciò ha portato a uno squilibrio tra le calorie assunte attraverso il cibo ingerito e il dispendio energetico che si manifesta con un aumento di peso, una delle cause principali dell’insorgenza di malattie metaboliche, cardiovascolari e tumorali. L’adesione alla dieta mediterranea, invece, ha un impatto positivo sulla longevità, ossia allunga effettivamente la vita, oltre che migliorarne la sua qualità: è infatti associata alla maggiore lunghezza dei telomeri, che si trovano alle estremità dei cromosomi, noti per essere associati alla longevità. Le raccomandazioni devono essere quelle di una promozione della salute e prevenzione della malattia attraverso adeguati stili di vita: attività fisica e dieta mediterranea per il mantenimento di un peso nella norma e l’uso di farmaci di provata efficacia, quando necessari». © Copyright Università Niccolò Cusano
Il consumo di alimenti vegetali è associato alla maggior lunghezza dei telomeri, fattore predittivo della longevità
Il significato del verbo mangiare ha da sempre travalicato la sua mera funzione primaria, non identificandosi semplicemente con l’assunzione di cibo, ma piuttosto legandosi in modo imprescindibile al concetto di convivialità. Il cibo rappresenta, infatti, una forma di relazione con se stessi, con la propria salute e con il piacere; mangiare significa più che nutrirsi, in quanto implica uno stabilire una relazione con se stessi, con gli altri. Oggi l’alimentazione è posta a servizio dell’immagine fisica, perdendo il valore di socialità che la contraddistingue da sempre e creando spesso problemi in soggetti che vivono disturbi alimentari come anoressia, bulimia e obesità. Il cibo appartiene soprattutto al dominio della cultura, e della socialità, come sottolinea Barthes: «Il cibo è in ogni luogo e in ogni epoca un atto sociale» (1988). Condividere il cibo è, universalmente, uno dei modi attraverso cui si possono mostrare, stabilire, mantenere rapporti interpersonali. A tavola le persone si incontrano e dialogano fra loro, la convivialità è l’espressione più completa della vita relazionale, della condivisione, del benessere sociale. Se è vero che l’uomo è tale nella misura in cui si relaziona con gli altri, il sedersi a tavola insieme è un modo per costruire e/o approfondire rapporti interpersonali. La tavola è il luogo non solo dove si consuma il pasto, ma quello dove - di generazione in generazione - si trasmettono valori che hanno significati culturali, religiosi ed ecologici. L’esperienza quotidiana del mangiare insieme fa stare bene psicologicamente in quanto le persone si trovano una di fronte all’altra con la propria individualità e condividono non solo cibo, ma aspetti della propria vita; attraverso il cibo si scambiano interessi, ci si confronta su tematiche differenti, si apprendono nuovi modi, si accoglie la diversità. © Copyright Università Niccolò Cusano