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JJust Jus ust my Impagination mp p n Tutto quello che non sapete, dovreste sapere o vorreste ripassare, su layout, impaginazione, gabbie e griglie. Ordinare il caos!
r e a d NOTIZIE, FOCUS E APPROFONDIMENTI SUL MONDO DELLA TIPOGRAFIA E DELLA COMUNICAZIONE VISIVA. LEGGERE PER PENSARE.
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t h i n k RUBRICHE, ARTICOLI E TRAFILETTI DI ARTE GRAFICA, CULTURA CONTEMPORANEA E STORIA TIPOGRAFICA. ISPIRARSI PER CREARE.
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— editoriale Con quanta soddisfazione stiamo chiudendo questo 2017! Tante sono state le novità, i miglioramenti e i traguardi raggiunti, ma altrettanti ci aspettano nel nuovo anno. Bleed ha spento la candelina numero due e festeggiamo il suo secondo compleanno facendoci un regalo: un numero speciale! Trentasei pagine di curiosità, approfondimenti e consigli su quella che è la base della grafica editoriale: l’impaginazione! Just my impagination (passateci la licenza poetica) è infatti dedicato all’arte di rendere un testo, sia esso un libro, un catalogo, una brochure o anche un semplice volantino, una piccola opera d’arte. Oltre ai nostri fedelissimi compagni di viaggio quali Ninja Marketing, Roba da Grafici e MARKETERs, in questo numero incontriamo anche personaggi illustri del panorama della grafica italiana e non solo: Davide Mottes art director de “IL Magazine” (Il Sole 24 ORE), Matteo Riva, art director di Vita Magazine e Francesco Armitti dello studio Solimena graphisme di Parigi nonché grafico ufficiale dell’Accademia di Francia a Roma. Che aspettate? Girate pagina e iniziate con noi questo viaggio tra griglie, righelli, colonne!
Giovanni Di Virgilio
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r e a d NOTIZIE, FOCUS E APPROFONDIMENTI SUL MONDO DELLA TIPOGRAFIA E DELLA COMUNICAZIONE VISIVA. LEGGERE PER PENSARE.
Tutto quello che non sapete, dovreste sapere o vorreste ripassare, su layout, impaginazione, gabbie e griglie. Ordinare il caos!
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Il layout è l’organizzazione della forma e dello spazio nel quale sono disposti gli elementi che compongono il progetto
nche l’occhio vuole la sua parte. Lo sappiamo, i luoghi comuni sono tremendi da utilizzare, figurarsi come opening line dell’articolo di punta del nuovo Bleed, ma quanta verità è racchiusa in questa frase? E quanto è banale dirlo? Parecchio, ma.
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Facciamo un passo indietro e capiamo perché sembra che siamo impazziti.
— Il Layout Aprite un giornale, una rivista, un qualsiasi magazine e sfogliatelo. Quello che vi si pone davanti, è un layout, ovvero la disposizione grafica di testi e immagini all’interno della pagina; lo stesso Bleed che state leggendo, ha alle sue spalle uno “scheletro”, una struttura ossea, che organizza e delimita le diverse zone della pagina. Nessun elemento è posizionato in maniera casuale, (o almeno così dovrebbe essere) e anzi ci sono degli studi che ci aiutano nella creazione di una pagina armoniosa e proporzionata. Un buon impaginato, infatti, deve essere anche visto, non solamente letto. Bisogna scegliere attentamente le immagini, coordinarle con i font che utilizzeremo e dargli la giusta importanza scegliendo loro, la migliore e più coerente posizione.
“Proprio come in natura sistemi ordinati governano lo sviluppo e la configurazione della materia animata e inanimata, così l’attività dell’uomo è contraddistinta fin dalle origini dalla ricerca dell’ordine... Il desiderio di dare ordine al caos che ci circonda riflette un bisogno profondamente umano”.
Josef Müller-Brockmann
Grid System in Graphic Design
— La Griglia È il suddetto scheletro della pagina, colei che ci aiuta a creare ordine. Il rapporto tra lei e i designer, è sempre stato di amore e odio perché, se da una parte la griglia garantisce ordine dove prima regnava il caos, dall’altro “ingabbia” i designer all’interno di vincoli ben definiti. La strada giusta è quella del compromesso, come ci dice il designer svizzero Josef Müller-Brockmann che in Grid Systems in Graphic Design afferma che “Il sistema a griglia è un aiuto, non una garanzia.” Si deve essere flessibili nell’impaginazione, non rimanere costretti all’interno di limiti troppo definitivi, ma crearsene di nuovi.
Se tutti rispettassimo perfettamente le stesse griglie, che noia sarebbe la grafica editoriale? Libri tutti uguali, ordinatissimi sì, ma tutti uguali! Perché è importante una buona impaginazione? E qui ritorniamo al luogo comune. Cosa ci facciamo di un bel testo, di belle immagini, se poi queste vengono organizzate così male che l’occhio non vuole nemmeno vederle? Assolutamente niente! L’occhio umano è irrimediabilmente attratto dall’armonia, dalle giuste proporzioni, basti pensare alla sezione aurea. Quindi, surfando l’onda dei luoghi comuni, possiamo dire che anche l’occhio vuole la sua parte… E che parte! Durante gli anni ‘20 e ‘30 tanto era diventato importante l’aspetto estetico dei libri, che vennero scritti dei veri e propri manuali dove si alludeva a una fantomatica grafica perfetta. Uno di questi, tra i più importanti, è Die Neue Typographie (1928) di Jan Tschichold, designer e tipografo tedesco che affermava come l’impaginazione simmetrica fosse rigida e poco funzionale, contrariamente alle impaginazioni asimmetriche e dinamiche, che lui stesso favoriva. Nel suo libro, tuttora considerato il principale manifesto della tipografia modernista, affermava anche l’importanza degli spazi vuoti, non intesi come “spazi inutili”, ma come elementi precisi e determinanti del design. Avete pre3
sente quando si dice “Eh, ma mi sembra un po’ vuoto…”? Ecco, ora potrete chiamare in causa il buon Tschichold dicendo che lo spazio bianco, non è spazio da riempire ma ha un suo peso e una sua importanza.
VAN DER GRAAF CANON
— Da Gutenberg a Indesign Sapete che anche Gutenberg usava le griglie? Ebbene sì, ed è lo stesso Tschichold a raccontarcelo! Nel suo The Form of the Book del 1975, ci illustra il canone di Van de Graaf (da J. A. van de Graaf, il suo primo “utilizzatore”) ovvero il metodo che utilizzava il padre della tipografia e che ovviamente esiste da molto prima del computer, della macchina da stampa e anche prima di vere e proprie unità di misura. Non pica, punto pollici o millimetri, ma soltanto foglio, righello e matita. Il canone di Van der Graaf, conosciuto anche come “il canone segreto”, funziona con tutti i formati pagina, qualunque sia il rapporto tra larghezza e altezza e permette di posizionare il corpo del testo, in una specifica area della pagina. Usando questo metodo, le proporzioni saranno mantenute, creando dei margini di 1/9 e 2/9 della misura del foglio. Il margine interno sarà la metà del margine esterno e di proporzioni 2:3:4:6 (interno:superiore:esterno:inferiore).
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Raùl Mario Rosarivo Quello che ci illustra Tschichold è basato su semplici proporzioni, l’equivalente della divina proporzione del designer, tipografo e tantissimo altro, Raùl Mario Rosarivo. ROSARIVO’S CANON
Quest’ultimo infatti analizzò molti libri del Rinascimento dal punto di vista “tipografico” e nel suo “Divina proporción tipográfica” (1947) ci spiega come scoprì, utilizzando un compasso e un righello, che c’era una relazione tra il libro di Gutenberg e gli altri del tempo (come ad esempio Peter Schöffer e Nicolas Jenson.) In breve, il sistema funziona dividendo l’altezza e la larghezza della pagina in 9 e disegnando un cerchio e due diagonali per stabilire la larghezza e l’altezza del blocco di testo. Questo ci fa capire come Gutenberg venisse idolatrato e seguito dai suoi contemporanei non solo nella struttura della pagina e per esempio nella forma delle lettere, ma anche nella progettazione della pagina stessa. Tutte queste regole non vi devono far credere, però, che il vostro impaginato sarà corretto solo se metterete il testo a 2/9 di distanza dal bordo esterno. Si tratta di equilibri, equilibri che possono essere modificati, migliorati e, perché no, anche stravolti.
— La grafica svizzera Di natura modernista, la grafica svizzera, nata negli ani ’50, esalta la semplicità, il minimalismo e l’estremo ordine. È facilmente riconoscibile grazie all’utilizzo di schemi asimmetrici, griglie rigide e font sans serif (non graziati, bastoni), associati a immagini semplici ma efficaci. Non è certo un caso che uno tra i caratteri tipografici più famosi, l’Helvetica, sia stato creato nel 1957 da Eduard Hoffmann, direttore della fonderia Haas di Münchenstein e disegnato da Max Miedinger, anche lui svizzero. All’opposto della tavola immaginaria dove siedono le diverse correnti artistiche, troviamo tra gli altri, il Futurismo che con Filippo Tommaso Marinetti ci dà un esempio di libro totalmente differente dalle proporzioni armoniose di cui abbiamo appena parlato.
Jan Tschichold: Die Neue Typographie — 1928
Eppure, guardandolo, si può “leggere” una struttura anche in questo caso… un disordine, ordinato! Sulla sedia accanto, troviamo il Dadaismo movimento nato a Zurigo nel 1906 che, condivideva con il Futurismo, l’intento dissacratorio e la continua ricerca di nuovi meccanismi per fare arte. Visivamente molto simili, le due correnti artistiche, differivano però per ideologia politica: i primi contrari alla guerra, mentre i secondi, favorevoli. Nei loro periodici, si nota come il design grafico fosse il codice della rivolta. Contenuti di grande importanza amalgamati alla perfezione attraverso layout e immagini ben
Filippo Tommaso Marinetti: Zang Zang Tumb Tumb — 1912
studiate, in una disposizione degli elementi che comunicava con immediatezza l’intento artistico dei movimenti stessi. Con una grafica schietta e approssimativa, fecero crollare, mattone dopo mattone, i principi della grafica “professionale”.
— E oggi?
È indubbio che l’arte Grafica sia molto spesso improvvisata: siamo circondati da materiale di dubbia qualità creata su basi non sufficientemente solide da supportare un progetto creativo. Potremmo paragonare la diffusione dei “grafici improvvisati” a quella
dei “fotografi improvvisati”: con la messa in vendita di macchine fotografiche semi professionali a costi relativamente ridotti, tutti si sentono di poter acquistare la qualifica di fotografo. Lo stesso vale con la grafica laddove una volta imparati a usare due strumenti, ci si sente dei maghi di Indesign. Fortunatamente però, ci sono tantissimi esempi di giornali e riviste che invece fanno della parte grafica uno dei loro punti di forza. Basti pensare a periodici come “IL” de Il Sole 24 ore, o “Vita Magazine”... Indovinate chi intervistiamo a pagina 10? 5
I lettori vogliono che le cose importanti siano chiaramente definite; non leggeranno ciò che è troppo fastidioso. — JAN TSCHICHOLD
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Non confondete la leggibilità con la comunicazione. Se qualcosa è leggibile non vuol dire che comunichi e, cosa più importante, non vuol dire che comunichi bene. — DAVID CARSON
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“La forma non può prevalere sul contenuto e viceversa. Bisogna trovare un giusto equilibrio.”
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art director “Vita Magazine”
intervista a
Matteo Riva
vita.it · crockhaus.com
— Noto nel tuo lavoro per “Vita Magazine” una grande coerenza stilistica, illustrazioni e palette hanno sempre un gusto ben preciso e delineato. Come hai raggiunto questa maturità da art director? Studio e ricerca, oppure pensi che queste siano qualità innate in un designer e che si possano solo migliorare? La nostra testata affida da cinque anni la copertina ad un illustratore diverso per ogni numero. La palette interna viene per la maggiore ispirata proprio alla cover. Il merito dei colori ben calibrati è quindi da spartire coi numerosi disegnatori che si avvicendano mese dopo mese. — Ho notato nei tuoi lavori che la presenza delle fotografie nell’impaginato è abbastanza marginale. È una scelta che si lega a una precisa idea comunicativa o è una decisione puramente estetica? Vita da un paio di anni si è modificata geneticamente come rivista, nel senso che abbiamo costruito un prodotto più complesso e “di lunga durata” rispetto al precedente. Ogni numero è monotematico e tendenzialmente il main theme viene trattato molto approfon-
ditamente, spesso con testi tecnici, scientifici e giuridici. Questa struttura dei contenuti avvicina il prodotto più ad un libro che a un periodico in senso classico, motivo per cui abbiamo pensato ad un progetto grafico molto “tipografico”, destinato a ospitare infinite colonne di testo, numeri, diagrammi. — Come vedi il futuro dell’editorial design? Passata un po’ la sbornia del digital publishing degli anni passati, si è tornati a investire sulla carta: pensi che nel futuro la fruizione di magazine e libri su schermo tornerà a far sentire il suo peso e a insidiare nuovamente il cartaceo? Fortunatamente la fisicità della riviste e dei giornali è ancora indispensabile per i pochi lettori rimasti. Penso sia la ragione principale che giustifica la “resistenza” di molti prodotti editoriali. La percezione si sta invece modificando, tende sempre più al prodotto di lusso. Il destino dell’editoria cartacea potrebbe essere in questo senso paragonato a quello del cavallo, mezzo di trasporto secolare che viene sostituito progressivamente dall’automobile. Oggi non è scomparso, appartiene ad una
nicchia specifica. Così secondo me potrebbe accadere alla carta, che è in grado di mantenere un suo pubblico selezionato, fedele e disposto a sostenerla. Certo le enormi strutture editoriali così come sono oggi dovranno rinnovarsi... — Qual è il tuo rapporto con la redazione riguardo le scelte stilistiche? Le condividi con loro, oppure preferisci tenere il processo creativo all’interno del tuo team senza rapportarti troppo con chi fornisce i contenuti? Il magazine è confezionato gomito a gomito con la redazione, che ne guida necessariamente la gestione. Le scelte stilistiche vengono spesso condivise quindi con i colleghi giornalisti. Penso sia importante lavorare insieme, la forma non può prevalere sul contenuto e viceversa. Bisogna trovare un giusto equilibrio. Sulla copertina mi viene lasciata di solito molta libertà d’azione, sopratutto nella scelta dei vari illustratori. È un momento magico vedere come ogni mese si realizza dal nulla una cover, alcuni autori riescono a volte veramente ad emozionare.
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“Siamo molto fortunati qui ad “IL”, il nostro target ci permette di sperimentare molto.”
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art director “IL” de Il Sole 24ore
intervista a
Davide Mottes
24ilmagazine.ilsole24ore.com
— Leggendo il tuo profilo ho notato che dedichi molto tempo anche all’insegnamento. Come vedi l’approccio delle nuove generazioni alla composizione grafica? Intravedi delle potenziali rivoluzioni stilistiche in futuro, oppure pensi si continuerà nel solco dei grandi maestri? Credo che ogni generazione sia influenzata dal periodo storico in cui vive, pertanto lo stile del futuro, se così possiamo definirlo, varierà profondamente rispetto a quello contemporaneo o, ad esempio, a quello degli Anni Sessanta. È un processo evolutivo quasi inevitabile che non riguarda solamente la composizione grafica, ma interessa tutti gli aspetti culturali della società. E all’interno di questo processo le nuove generazioni, che nelle mie esperienze al di là della cattedra mi hanno colpito per la profonda passione verso questa professione e la voglia di imparare e sperimentare, dovranno essere abili nel cogliere l’essenza di una determinata contemporaneità, cercando di definirne i canoni estetici. I Grandi Maestri rappresenteranno sempre un’inestimabile fonte d’ispirazione e apprendimento, ma è altresì vero che se continuiamo a rifarci al passato difficilmente riusciremo a progettare degli artefatti con una forte com-
ponente innovativa. È importantissimo imparare dalla Storia, ma è altrettanto importante crearne una nuova, o per lo meno provare a farlo. — Seguendo il tuo lavoro su “IL” vedo che spazi molto tra illustrazioni, foto e infografiche. In base a cosa scegli il media da usare per le copertine e per gli interni? Sono diverse le ragioni per cui scegliamo di raccontare una storia con delle illustrazioni o delle fotografie. Sicuramente il tema è uno degli aspetti che più ci influenza nella scelta della tecnica di rappresentazione. Ad esempio, se la copertina o l’articolo che dobbiamo progettare ha come tema principale un personaggio, possiamo decidere di produrre (o in altri casi acquistare) un servizio fotografico, ma questo non è sempre possibile, soprattutto se il personaggio è particolarmente famoso. Allora una valida alternativa è il ritratto illustrato. Se invece vogliamo raccontare lo stato di una guerra o di un paese il reportage fotografico è certamente la scelta migliore. E per aiutare il lettore a comprendere profondamente il racconto possiamo supportare la narrazione fotografica con delle infografiche che approfondiscono determinati concetti.
— Credi sia giusto (e in che misura) farsi condizionare dalle mode in ambito grafico? Penso dipenda molto da cosa dobbiamo progettare. Se parliamo di una rivista non trovo nulla di sbagliato nel cercare di esprimere e comunicare quelle che sono le mode del momento, perché stiamo progettando un prodotto che è figlio di un preciso periodo storico, che ha una durata piuttosto breve e che viene consumato in un arco di tempo molto ridotto. Ma se parliamo di un marchio o di un logotipo questa regola non vale più, perché progettare un logo che è fortemente condizionato dalla moda del momento, farà si che questo invecchi rapidamente e che nel giro di pochi anni diventi tremendamente obsoleto. — “IL” è un magazine che ha come target “la classe dirigente contemporanea e del futuro”, come si legge dal sito. Quanto un target di questo genere influenza il tuo lavoro? Il target è ovviamente un aspetto da cui nessun prodotto può prescindere ed è così anche nel caso di IL. Noi siamo fortunati perché avendo come target “la classe dirigente contemporanea e del futuro” possiamo permetterci di sperimentare quasi senza limiti, cercando di reinventarci numero dopo numero, copertina dopo copertina.
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“L’Italia ha la carta migliore del mondo, non si può non far entrare la carta nel progetto fin dall’inizio.”
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art director di Solimena
intervista a
Francesco Armitti
solimena.org · villamedici.it
Terme di Diocleziano
— Vedendo i tuoi lavori non si può non notare un amore incondizionato verso la “tipografia”, intesa come caratteri di stampa e come luogo di lavoro. Pensi che attualmente si dia il giusto peso alla scelta dei font nell’impaginazione? Non sempre. Io distinguerei i grafici delle agenzie e delle grandi agenzie da un lato, dove si lavora più per i privati. Qui la regola in generale è quella del marchio e ci si preoccupa di veicolare idee e concetti in modo più rapido, lo scopo è il messaggio e ciò che si può vendere o trasmettere con il messaggio. Il font utilizzato è meno importante di ciò che si propone. Si procede anche al disegno dei caratteri ma è sempre legato ad una esigenza commerciale o quanto meno di diffusione.
— Lavori da tanti anni in Francia. Trovi differenze stilistiche e di approccio rispetto all’Italia per quanto riguarda la grafica editoriale? Non moltissime, il processo di lavorazione è praticamente identico. La vera differenza è la committenza, in Francia più importante a livello culturale (1% del PIL è investito in cultura per legge costituzionale) e i progetti culturali permettono di lavorare in direzioni diverse dal consueto.
Dall’altro gli studi di grafica sempre più leggeri e flessibili. Io lavoro con tre collaboratori fissi tra Italia e Francia soprattutto, e ho sempre lavorato solo con o per istituzioni pubbliche che si occupano di cultura (in Francia, Ministère de la culture et de la communication, Centre Pompidou e altri musei o gallerie; in Italia, Villa Medici che comunque è francese e diversi musei in tutta Italia). Sono formato al disegno e tutti i progetti hanno
— L’influenza del Futurismo e del Dadaismo nei tuoi lavori è evidente. Una corrente artistica che ha rotto le regole anche in ambito grafico. Pensi che nel futuro si potrà sviluppare un linguaggio visivo proprio della generazione digitale che possa anche rivoluzionare il campo editoriale? È vero, ma ormai tutte le avanguardie sono grandi classici del secolo scorso. Per la tipografia propriamente intesa (composi-
caratteristiche di ricerca. Se possibile si cerca comunque di proporre una forma nuova anche quando si utilizzano i grandi classici della tipografia. E tutto la storia della tipografia dall’iscrizione della colonna di Traiano in poi è una storia di ricerca.
t i b i r m a n i h i l zioni di tipi) il linguaggio visivo della generazione digitale già esiste, da quando esiste lo schermo (dal punto al pixel). Tutti i caratteri modulari si basano su forme modulari e assemblati. Per l’utilizzo delle immagini, il discorso è diverso, si va in una direzione che occorre ancora capire. Per esempio un’immagine su Instagram non esiste in senso proprio, esiste quella immagine (tramonto, gatto, piatto di cibo) + il logo Instagram + i simboli correlati per l’utilizzo del programma + i commenti, tutto viaggia insieme. Il progetto compositivo per il momento è sempre lo stesso.
Francesco Arena Meris Angioletti — La tua grafica è sempre essenziale e molKader Attia to concreta. In questo senso l’importanza Elisabetta Benassi della scelta della giusta carta diventa fondaDaniel Buren mentale. Quanto tempo dedichi alla ricerGiorgio Andreotta Calò ca di nuove carte e supporti? Pensi che nel Loris Cecchini mondo della grafica editoriale ci sia “pigriIsabelle Cornaro zia” in questo senso? Michael Dean Tomaso De Luca In Italia c’è la carta migliore del mondo, qualche Gabriele De Santis hanno fa Fabriano ha festeggiato i 750 anni. Per Giulio Delvè intenderci Beethoven e Michelangelo ordinavaMaria Adele Del Vecchio no la carta a Fabriano. Ho lavorato molto in tipoFlavio Favelli grafia e non si può non amare e non far entrare Piero Golia la carta nel progetto, dall’inizio. Petrit Halilaj David Horvitz Kapwani Kiwanga Jannis Kounellis Marko Lulić Emiliano Maggi
24.VI—18.IX 2016 Palatino
21.30... mostre / performance 23.30...
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Come siamo arrivati da Gutenberg a David Carson? Cosa è successo in piÚ di seicento anni di storia tipografica? Scopri nella nostra Type Line chi sono i personaggi che dobbiamo ringraziare.
Gutenberg
1453
Realizzata a Magonza a partire dal 1453 nell’officina tipografica di Johannes Gutenberg (coadiuvato dall’incisore Peter Schöffer), la bibbia di Gutenberg si compone di due volumi in folio di 322 e 319 fogli (per un totale di 641 fogli, ovvero 1282 pagine). Riproduce il testo della Vulgata, la bibbia latina tradotta da san Gerolamo nel V secolo: l’Antico Testamento occupa il primo volume e una parte del secondo, che contiene anche tutto il Nuovo Testamento. Gutenberg ideò tipi di carattere che imitavano la scrittura gotica, la più usata all’epoca in Germania.
1499 Aldo Manuzio
Hypnerotomachia Poliphili Il libro fu stampato da Aldo Manuzio a Venezia nel dicembre del 1499. Il libro è molto ricercato in quanto considerato uno dei più belli incunaboli mai creati. È celebre per la qualità e la chiarezza tipografica, con un carattere romano inciso da Francesco Griffo.
Fu il primo a immaginare l’attività editoriale in termini di creazione e forma artistica. Gutenberg aveva reso la lettura, con i suoi caratteri mobili e i suoi inchiostri impressi sugli incunaboli, un’attività meno faticosa e di chiaro impatto visivo. Ma lo stampare non era ancora diventato l’editore. E qui entra in scena la parola “ forma “, grazie ad Aldo Manuzio.
Una delle sue invenzioni più importanti avvenne nel 1795. Firmin Didot si trovò ad affrontare la produzione di un libro piuttosto complicato, per l’epoca: una Tavola dei logaritmi di Callet. I numeri incolonnati e allineati ponevano problemi a una stampa a caratteri mobili, ma la questione fu risolta grazie alla nuova invenzione della stereotipia. La pagina composta, veniva impressa su un materiale plastico, ottenendo un negativo sul quale veniva colata la lega di piombo che produceva una lastra rigida, che - stampando- permetteva di ricavare i numeri allineati in maniera perfetta.
1795 Didot
1818 Bodoni Stampatore ufficiale del duca di Parma, Giambattista Bodoni (1740–1813) sosteneva che la bellezza dei tipi di carattere derivasse da quattro principi: uniformità del disegno, eleganza e nitidezza, buon gusto, incanto. Nel suo Manuale tipografico, pubblicato postumo nel 1818, esemplificò questi principi creando un catalogo completo di tipi di carattere e stabilendo gli standard della stampa tipografica.
Bodoni raggiunse un livello di raffinatezza tecnica ed eleganza visiva allora senza precedenti, indagando le origini dell’apprezzatissimo tipo di carattere Bodoni, tuttora largamente utilizzato nei prodotti a stampa e digitali. Il libro comprende 142 tipi di carattere tondi e corsivi, un’ampia selezione di bordi decorativi, ornamenti, simboli e fregi floreali, oltre ad alfabeti greci, ebraici, russi, arabi, fenici, armeni, copti e tibetani.
Tra i laboratori della Bauhaus, quello di grafica pubblicitaria e tipografia spiccò notevolmente dando frutti di lunga durata. Questo laboratorio ebbe una prima trasformazione con Moholy-Nagy, che seguiva le più avanzate tendenze della grafica internazionale. Fu lui infatti, ad inserire nel corso, dal 1924 in poi, la fotografia come sperimentazione iconografica, dal fotomontaggio fino alla fotografia e il filmogramma astratti. Successivamente il laboratorio grafico ebbe il suo apice con Herbert Bayer il quale, avendo una visione rigorosamente razionale e avanzando l’ipotesi di un legame tra scienza “pubblicitaria” e psicologia, portò avanti un’ideologia basata sul rapporto tra fonetica e scrittura giungendo alla costituzione di una nuova tipografia. Benché la razionalità inizialmente avesse avuto la meglio, ben presto lo stesso Bayer capì che questa eccessiva fede in un tipo di scrittura lineare e geometrica non si sarebbe potuta adattare a ogni contesto. Eccezioni, che confermano dunque la regola secondo cui “la forma segue la funzione” ampliando il concetto di funzione stessa.
1925 Herbert Bayer
1940 Jan Tschichold
Jan Tschichold (1902 - 1974), lo possiamo descrivere con le sue stesse parole, un “leale e fedele servo della parola scritta”. Cresciuto tra le lettere; suo padre era un pittore di segnali stradali a Lipsia, in Germania. Ricorda la sua profonda “soddisfazione” quando a 17 anni ha visto alcune pagine di una rivista
inglese composte con il Caslon. Come studente precoce in calligrafia, si pensava potesse diventare un promettente disegnatore di caratteri, invece la reputazione di Tschichold come designer e tipografo si basa più sulla precisione maniacale per i dettagli con particolare attenzione alla forma e alla proporzione del Libro. Insegnante, teorico e avvocato della Die Neue Typographie (titolo del suo trattato del 1928) un giovane e fiero Tschichold prese con entusiasmo la bandiera di un rigido design modernista influenzato dal design della Bauhaus. Promuovendola tramite l’uso di caratteri Sans-Serif (Grotesk) e dei layout asimmetrici.
1964
Massimo Vignelli Compasso d’Oro nel 1946 e nel 1998, Massimo Vignelli è stato un designer italiano che assieme a Paul Rand, Saul Bass, Milton Glaser e Herb Lubalin fa parte dei più grandi maestri del graphic design della sua generazione. “Design is One” è il suo motto: infatti secondo Vignelli, la disciplina del design è una soltanto. Ogni settore necessita di competenze specifiche, ma se si è davvero in grado di progettare una cosa, allora si è in grado di progettare qualunque cosa.
2000 David Carson
Carson ha popolarizzato e diffuso un modo di fare grafica che coronava il linguaggio postmoderno fiorito negli anni Ottanta, soprattutto in architettura e in letteratura: l’accostamento di diversi stili, di antico e moderno, di linguaggi marginali, di cultura alta e cultura popolare. Il suo “caos” non è semplicemente quello di una chitarra distorta, ma quello del sovrapporsi di più tecniche e discorsi nella stessa pagina. La distorsione c’è: è quella di caratteri tipografici, immagini, colonne di testo che vengono rielaborate, sfumate, spesso perfino erose. Ma più di tutto il lavoro di Carson è il frutto di un approccio molto spontaneo in cui si attinge a qualunque strumento capiti sottomano per creare espressionisticamente. Il concetto base dell’esempio di Carson è farsi guidare dall’intuito anziché dalle regole.
RUBRICA A CURA DI: Ninja Marketing è il blog di riferimento sul Marketing e la Comunicazione online, con Ninja Academy ha formato oltre 40.000 professionisti.
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3 consigli di UX e UI per progetti di digital marketing “Il design deve adattarsi al contenuto”. Spesso è questo ciò che immaginiamo quando ci avviciniamo a un progetto di marketing sul web. Eppure sarebbe più corretto affermare che l’uno influenza l’altro e viceversa, perché anche l’esperienza utente fornisce utili elementi da considerare quando si parla di digital marketing. Questi aspetti, non sempre visibili dal primo momento, vanno considerati e verificati, anche in corsa, attraverso un’attenta analisi e un monitoraggio dei risultati, che potrebbe suggerirci di cambiare qualcosa nell’impaginazione del nostro sito web o del nostro adv. Sul web abbiamo la fortuna di poter modificare, in tempo quasi reale, il nostro design, evitando il rischio di mandare in stampa, in modo definitivo, un contenuto “impaginato” male. La creazione di un nuovo sito web o di un’applicazione mobile è in genere uno dei progetti più difficili da intraprendere, ma oggi è anche uno dei più diffusi. L’opportunità di costruire una presenza online non si può trascurare e le sfide dietro questa attività sono enormi, soprattutto in termini di UI e UX, vale a dire User Interface e User Experience. Ecco quindi tre consigli Ninja per realizzare al meglio un progetto di marketing digitale. 16
DEFINIRE GLI OBIETTIVI
Senza questo passaggio non saremo in grado neanche di valutare il successo o il fallimento. Sembra facile in teoria, ma troppo spesso viene dimenticato o sviluppato in modo sbagliato. Numero di visite, tassi di conversione, tassi di rimbalzo sono solo l’aspetto quantitativo. Andrebbero identificati chiaramente anche obiettivi qualitativi, come quelli legati alla creazione di contenuti di valore e di brand awareness, per rendersi riconoscibili subito grazie ad una User Experience inconfondibile. Questi aspetti faranno migliorare anche i dati quantitativi.
METTERE IN COMUNICAZIONE I DIVERSI TEAM DEL PROGETTO Come dicevamo, contenuto, design, obiettivi e analisi dei dati dovranno sempre andare di pari passo nel nostro progetto. Per questo è essenziale che il Content Manager sia in comunicazione con l’UX designer, che a sua volta dovrà confrontarsi con i dati raccolti dal Digital Strategist, in un processo circolare in cui ognuno sarà aggiornato sulle attività dell’altro anche attraverso tool collaborativi, per raggiungere un risultato, senza rischiare però lo stallo che una serie infinita di approvazioni reciproche rischia di produrre.
CREARE EMPATIA CON GLI UTENTI È la fase cruciale in termini di UI e UX, perché significa non solo conoscere prassi consolidate nel marketing online, ma anche rimanere nel cuore dei nostri potenziali clienti. Quali sono le priorità di chi visita il mio sito o guarda il mio annuncio online? Cosa cerca chi atterra sulla mia landing page e soprattutto in che modo vuole raggiungerlo? Come posso rendere più semplice la vita al mio utente? Come posso offrirgli un’esperienza talmente ricca e gratificante da farlo ritornare ancora a comprare? Non è semplice rispondere, ma se avrai affrontato correttamente i due passi precedenti, il risultato sarà molto più vicino di quanto pensi. Non fermarti solo alla teoria e non rinchiudere il tuo progetto nella gabbia di ciò che hai già visto realizzato da altri. Prova a dare spazio alla creatività, per far parlare il tuo brand attraverso ogni progetto di digital marketing. 17
RUBRICA A CURA DI:
This MARKETERs Life è un magazine di marketers, per appassionati di marketing e non solo. Per chi ama raccontare storie di brand e per chi vuole viverle. Be Curious. www.thismarketerslife.it
IL CASO DELLE COPERTINE PENGUIN BOOKS Nella creazione di una strategia pubblicitaria, molto spesso l’impaginazione e il lavoro grafico passano in secondo piano, sottovalutando così il valore che questi hanno per la creazione di un brand. Ce lo insegna la casa editrice Penguin Books, che fin dall’inizio ha sempre puntato su un’immagine ricercata e riconoscibile.
COME (E DOVE) TUTTO HA AVUTO ORIGINE Iniziamo dal principio, da quando un uomo poco più che trentenne ebbe una delle intuizioni più geniali dell’ultimo secolo. Più precisamente, torniamo a una stazione ferroviaria, con un treno in partenza per Londra con un tale Allen Lane come passeggero. L’allora direttore della Bodley Head, casa editrice ereditata dallo zio John Lane, era di ritorno da un weekend passato insieme alla cara amica Agatha Christie. All’improvviso, cercando qualcosa da leggere durante il viaggio, si era imbattuto in una bancarella piena di libri sporchi e rovinati, talvolta addirittura scollati. Inoltre, gli unici volumi venduti erano delle riedizioni economiche di opere vittoriane o delle riviste di scarsa qualità. Indignato, Lane ebbe allora un’idea geniale: vendere i libri fuori dalle librerie e renderli un prodotto di consumo di massa. Come? Grazie a tre fattori: ampia scelta, economicità e stile. Esatto, stile!
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UN PINGUINO SU OGNI COPERTINA
CATTURARE CON UN’IMMAGINE L’ESSENZA DI UN LIBRO
Il design semplice, accattivante e riconoscibile è sempre stato una priorità per Lane. Si racconta che, al momento della fondazione della casa editrice, egli fosse alla ricerca di un simbolo dignified but flippant, che potesse cioè unire solennità e leggerezza. Il pinguino che in tanti conoscono e amano è nato durante una visita del designer Edward Young allo zoo di Londra.
Negli anni Sessanta, Germano Facetti ricoprì il ruolo di art director alla Penguin Books e donò una veste nuova alle copertine. Lo spazio bianco venne ridotto e la divisione a tre fasce orizzontali abbandonata. Facetti riversò nelle copertine la profonda conoscenza della storia dell’arte, accanto all’istinto infallibile su come una singola immagine potesse catturare l’essenza di un libro. Basti pensare alla copertina realizzata per 1984 di George Orwell.
UN INNO ALLA SEMPLICITÀ Il design delle prime copertine era un inno alla semplicità, con una divisione a tre fasce orizzontali. La prima e ultima fascia, dello stesso colore, identificavano il genere del libro (ad esempio, l’arancione era utilizzato per dei romanzi “generici”, mentre il rosso ciliegia per i romanzi d’avventura). Nel corso degli anni, diversi sono i nomi che hanno contribuito a rafforzare e a rinnovare l’identità dei Penguin. Primo fra tutti, nel 1947, fu il tipografo tedesco Jan Tschichold, che introdusse due temi molto cari ai designer di oggi: i font sans-serif (il Gill Sans, per la precisione) e lo spazio bianco. Entrambi sinonimo di leggibilità ed eleganza.
RITORNO ALLE ORIGINI Di recente, la Penguin Books ha deciso di tornare alla semplicità che caratterizzava le prime edizioni. Nel 2016, la casa editrice ha lanciato una nuova versione dei suoi classici tascabili, con copertine monocromatiche e la divisione a tre fasce orizzontali. A dettare il colore questa volta non è il genere, ma la lingua originale del libro (ad esempio, il blu scuro è per i romanzi francesi). Sebbene molto tempo sia passato dal lontano 1935, il marchio Penguin rimane ancora oggi ben chiaro nella nostra mente. Questo perché la casa editrice inglese ha saputo costruire un’identità solida e memorabile.
Immagini tratte da Book Cover Design: A Case Study of Penguin Books
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ABBONDANZA 5MM
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Verifica che siano presenti 5mm di abbondanza. Consigliata la presenza dei crocini di taglio.
PDF IN ALTA RISOLUZIONE Nell’esportazione ricorda di selezionare il preset High Quality Print oppure Stampa di Alta Qualità. Oppure usa i nostri preset di esportazione in PDF.
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METODO COLORE CMYK Verifica che il metodo di colore sia CMYK e non RGB. Profilo colore FOGRA51/52. Leggi la nostra guida su come installare facilmente i profili.
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RISOLUZIONE 300DPI Imposta la risoluzione delle immagini a 300dpi. Per il grande formato (oltre i 70x100cm) è sufficiente una risoluzione a 150dpi.
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t h i n k
Dieci consigli per fare del vostro progetto grafico, un buon progetto grafico.
IL DECALOGO DEL GRAFICO
RUBRICHE, ARTICOLI E TRAFILETTI DI ARTE GRAFICA, CULTURA CONTEMPORANEA E STORIA TIPOGRAFICA. ISPIRARSI PER CREARE.
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1. 2. comic sans, aiuto no
Come apertura ci sembrava un classicone, old but gold. Non dimenticate mai di dimenticarvi il Comic Sans! Ci sarà un motivo se è il font più preso in giro di tutti no?
uno, nessuno, centomila font
Una volta eliminato dalla lista di caratteri tra cui scegliere, tra le raccomandazioni principali c’è quella di non scegliere due font simili per il vostro progetto. Sia esso un libro, un catalogo ma anche un semplice volantino. Vi renderete conto da soli che due font molto differenti tra loro (serif con sans serif per esempio), creeranno un armonioso contrasto. Troppo poetico? Diciamo allora che non darà fastidio ai vostri occhi.
mi sembra un po’ vuoto.
leggibilità
epigrafe solo sulla tomba
Non scegliete font “fantasia” per testi medio-lunghi, ma riservateveli, ad esempio, per titoli. Non a caso per i libri (romanzi, narrativa in generale), vengono utilizzati font con grazie (serif) e non caratteri con orpelli o similari.
Se lo ami, non sai molto di tipografia; anche se lo odi non sai davvero molto di tipografia, e dovresti trovarti un altro hobby.
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3. 4. 5. 6. fantasia sì, ma nei limiti.
— VINCENT CONNARE, CREATORE DEL COMIC SANS
Questa sconosciuta e importantissima. Impaginare un progetto al computer è una cosa, quando poi la vedrete stampata… quella sarà la prova del nove. Ovviamente ci sono varie scuole di pensiero, (vedenti vs “ci tengo alle mie diottrie”) ma di norma per un testo ci si tiene sugli 11 pt (fatta eccezione per biglietti da visita poiché, essendo un prodotto più piccolo, sembrerebbe tutto eccessivamente grande).
Vi sentirete dire questa frase un milione di volte, ottimisticamente parlando. Ma ricordate che il bianco non è vuoto! Riempie eccome, fatelo capire ai vostri clienti e prendete atto di questa cosa. Vivrete meglio!
Salvo rarissime eccezioni, il testo a epigrafe, ovvero allineato sull’asse centrale della giustezza, va evitato. Oltre a essere brutto (ricordate, non sarà mai una motivazione abbastanza valida), rimanda agli epitaffi sulle tombe, dà problemi di leggibilità e, non da meno, qualsiasi testo vi sembrerà una poesia. Sempre meglio preferire un allineamento a bandiera o a blocchetto. 27
7. 9. 10. vedove e orfane
Perfettamente a tema con il punto 6, le vedove e le orfane. Una vedova è una riga di testo finale di un capitolo o di un paragrafo che si trova isolata alla testa della pagina successiva, mentre un’orfana è un’unica riga iniziale di un capitoletto o di un paragrafo che si viene a trovare alla fine di una pagina. Evitiamo di rovinare famiglie, no?
8.
ALL CAPS ARE BASTARDS
Enfatizzare parole, sì ma come? Mettere il testo in maiuscolo non è una buona idea, come il web ci insegna, darete l’impressione di urlare la parola in questione. Utilizzate invece il grassetto! 28
ogni volta che stretchi un font, un grafico muore
Basterebbe questo titolo per chiuderla qui, eppure a quanto pare non è così. Non manca occasione di vedere lettere stretchate, allungate allargate, tirate come fossero di pongo. Le lettere non sono pongo, fate finta siano di pietra! Devono rimanere così, se il font è stato disegnato in quella maniera, ci sarà un motivo (sperando stiate usando un font ben disegnato e non uno creato dal grafico improvvisato di turno).
kerning - tracking
Inglesismi o no, con questi termini intendiamo la riduzione dello spazio in eccesso fra coppie specifiche di caratteri, per dare un aspetto più omogeneo al testo. Non toccate questa impostazione se non volete finire in un vortice senza ritorno.
ERRORI DA EVITARE Impaginare un libro è un lavoro complesso che non si dovrebbe improvvisare! Non ci si deve limitare ad incollare un testo su Indesign (non userete mica Photoshop o Illustrator per farlo, vero?!), ma bisogna prendere in considerazione diversi accorgimenti che non solo faranno del vostro libro un buon libro, ma renderanno la lettura più facile e piacevole. Gli errori in cui si può incorrere sono molteplici, sia dal punto di vista prettamente grafico che estetico: ecco quindi quali sono gli errori da evitare quando si impagina un libro.
TESTO E IMMAGINI VICINI AL TAGLIO Spesso quando iniziamo a inserire testo e immagini nel nostro documento, non ci rendiamo conto della mancanza di spazio tra essi e il taglio. Spazio che invece risulta fondamentale sia dal punto di vista estetico - per dare aria alla grafica\ - sia da quello della stampa. Inserire elementi grafici o di testo troppo vicini al taglio, infatti, non è consigliabile soprattutto su prodotti come le riviste a punto metallico dove l’inserimento dei quartini, uno dentro l’altro, porterà inevitabilmente quello centrale ad avere più margine laterale rispetto al quartino più esterno. Provate a piegare due fogli A4 e metterli uno dentro l’altro: notate il disallineamento dei margini? 29
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FONT
Si tratta dei 5 mm di smargino necessari ad evitare il fastidioso filo bianco che può verificarsi in assenza di essi. Quindi fondi pieni, texture, immagini e tutto ciò che deve essere a filo del taglio è necessario che venga esteso di 5 mm oltre di esso.
Un consiglio più estetico che tecnico, riguarda l’utilizzo dei font. Non utilizzarne più di due e cerca il contrasto tra serif e sans-serif. Non accostare font che si somigliano, questo creerebbe solo confusione nel lettore!
GRANDEZZA DEL TESTO Quando lavoriamo su un impaginato al monitor, spesso non ci rendiamo conto delle grandezze che stiamo affrontando. La cosa migliore da fare è stampare una bozza del nostro progetto per capire da subito se stiamo andando per la strada giusta oppure no. Può capitare infatti di utilizzare un corpo molto grande per riempire più possibile la nostra pagina o al contrario, testo minuscolo che risulterà illeggibile una volta stampato.
QUALITÀ DELLE IMMAGINI Abbiamo inserito le immagini e dal computer sembra tutto perfetto; andiamo a stampare e – sorpresa- le foto sono tutte sgranate! Questo perché probabilmente la risoluzione non era adeguata: questa infatti deve essere sempre a 300 dpi - Pixels/Inch! Per evitare errori, inserisci le immagini già a formato e nella corretta risoluzione. Inoltre, ricorda sempre di convertire la tua foto in metodo colore CMYK e applicare il profilo sRGB per avere una corrispondenza cromatica più vicina possibile a quello che sarà il risultato cromatico di stampa. Per aiutarti in questo, consulta la nostra guida su come preparare un file grafico! sprint24.com/cosa-allegare
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BENE, SEI PRONTO PER APRIRE INDESIGN E INIZIARE A LAVORARE SUL TUO IMPAGINATO! QUESTI OVVIAMENTE SONO SOLAMENTE ALCUNI CONSIGLI PER LA PREPARAZIONE TECNICA, MA UNA VOLTA APPRESE LE REGOLE BASE SAPRAI GESTIRE AL MEGLIO ANCHE IL TUO ESTRO CREATIVO PER DARE LIBERO SFOGO ALLA TUA CREATIVITÀ!
modi per essere
SPECIALE
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A CURA DI MARCO LOMBARDO E MARTINA DELPOPOLO CARCIOPOLO
più sprint I RAGAZZI DI ROBADAGRAFICI.NET VI SPIEGANO IL LORO CICLO CREATIVO E COME EVITARE IL TRACOLLO
Acqua, fuoco, terra, metallo e legno sono i cinque elementi cardine del Feng Shui. Infatti, secondo l a filosofia cinese ogni elemento influenza l’altro regolando la natura e il suo Ciclo Creativo: una ciclicità creativa che dipende sostanzialmente dalle relazioni che si interpongono tra i diversi elementi. Potremmo dire che è tutta questione di chimica, ma se ci riflettiamo bene anche la nostra creatività funziona in modo analogo. Immagino che, anche a voi, sia spesso capitato di ritrovarsi a secco di idee e questo è probabilmente dovuto al fatto di non essere riusciti a equilibrare in modo corretto l’uscita e l’entrata di creatività dalla vostra mente.
Cerco di spiegarmi meglio. Il ciclo creativo si divide infatti in 3 parti: output, processazione e input. La fase di output è il momento di massima creatività, molti lo indicano come il periodo di “ispirazione”. È chiaramente il momento in cui la nostra mente è più fervida ed è pronta a rielaborare tutte le informazioni acquisite sotto una nuova forma creativa. La fase di input è invece il momento in cui acquisiamo informazioni in modo passivo: ad esempio la lettura di un buon testo o la visione di un film ci permettono di acquisire informazioni in modo totalmente inconscio, informazioni che
la nostra mente ripescherà nel momento creativo. La fase di processazione è invece, citando Tolkien, la terra di mezzo. Ovvero quel momento in cui non sei in piena fase creativa ma nemmeno in fase relax: è il momento della sperimentazione. Qui, vengono buttate giù una serie di idee e di schizzi, magari durante l’incontro con il cliente, che potremo poi riutilizzate durante l’output. Tutti sappiamo però che il ciclo creativo non segue sempre questo ritmo scientificamente scandito. È infatti possibile ritrovarsi immersi nella fase output per un lasso di tempo
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esageratamente lungo, magari per non aver saputo gestire il tempo. In questo caso il sovraccarico di lavoro mentale porta inevitabilmente ad un tracollo creativo comunemente chiamato “burnout” o crisi creativa. Per riuscire a ritornare a uno stadio di ispirazione più o meno elevato è necessario che anche la fase di input che seguirà si dilati temporalmente: insomma è necessario ricaricare le batterie! È però possibile imbatterci anche in un’altra fase chiamata “momentum” generalmente un breve-medio periodo in cui la nostra creatività è ad altissimi livelli, per intenderci: siamo in possesso di una super dose di creatività. Cosa fare in quella frazione di tempo? Fare tutto! Comprese dunque quelle che sono le fasi principali del ciclo creativo, vi sveliamo ora con audacia le nostre tecniche segrete per evitare il collasso durante la fase output.
Input
1 Dormire. Un buon sonno riparatore sicuramente aiuta ad affrontare al meglio la giornata di lavoro. Inoltre è bene ricordare che durante la fase REM vengono rielaborate tutte le informazioni acquisite nel corso della giornata appena trascorsa: statene certi, al vostro risveglio tutto apparirà più chiaro! 2 Abbandonati al Caos. Durante la fase di relax è bene non sottostare alle regole di routine. Lasciarsi andare all’improvvisazione e alla confusione fa sempre bene, soprattutto alla creatività. 3 “Fantastica, puoi”. Imbambolati state sognando luoghi lontani e distopici, non sentitevi in colpa, nessuno può leggere nei vostri pensieri e non c’è un Grande Fratello a controllarvi. Infatti per quanto possa sembrare improduttivo sognare ad occhi aperti, a volte permette di trovare il fil rouge che lega il vostro progetto.
4. Meet Mad Hughes. Incontra gente, fai amicizia o semplicemente osserva chi ti circonda. È infatti uno degli esercizi creativi più utilizzati dagli scrittori. Apprendere informazioni dal mondo circostante per poi rielaborarle sotto forma di racconto. 5 Change your surrounding. Tutte le volte che è possibile cambia la location che ti circonda, prova magari a pranzare in posti nuovi come un parco o un luogo che non conosci. Ricorda, un’esperienza nuova può incrementare di molto la tua creatività.
Processazione
1. Sii una spugna. I creativi hanno bisogno di assorbire tutto ciò che sta intorno a loro. Non sai mai cosa sarà utile. In questa fase mentale state avviando i motori e, per farlo, vi servono delle scintille che saranno la spinta per la fase successiva. 2. Torna alle origini. Ritorna al cartaceo, usa dei quaderni o qualsiasi cosa ti ritrovi fra le mani per disegnare e scarabocchiare senza stare particolarmente attento alla qualità del prodotto, indipendentemente dalla tue capacità artistiche e dal risultato finale. Scarabocchiare è sempre un modo fantastico per rimanere creativi. 3. Confrontati. Avere una persona del campo con cui confrontarsi e su cui far rimbalzare letteralmente le proprie idee è inestimabile. Principalmente perché parlando vi renderete conto di come il vostro lavoro può essere percepito e, inoltre, un collega può riportarvi sulla retta via in caso seguiate una linea di pensiero poco corretta. 4. Interroga e interrogati. In questa fase sia in entrata sia in uscita
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è importante farsi delle domande. Ad esempio, prima di un lavoro le tue domande saranno: “come posso servire al meglio questo cliente?”, “come, quello che farò, può migliorare o cambiare in meglio il lavoro che sto per fare?”. Non dimenticare allo stesso tempo di fare tutte le domande che reputi pertinenti al tuo cliente, tutto ciò ti aiuterà ad avere le idee più chiare sul progetto da svolgere e a prevenire eventuali crisi future.
I 30 CERCHI. 5. I 30 cerchi. Altro esercizio utile per allenare la creatività è quello proposto da Bob McKim. Siamo sicuri che chi non lo conosce rimarrà stupefatto, come accadde a noi la prima volta che lo vedemmo al TED Talk di Tim Brown. Si tratta di un semplice esercizio per attivare i collegamenti ipertestuali. Dati infatti 30 cerchi delineati su un foglio e un minuto di tempo è necessario associare ad un ognuno di essi un’immagine e un oggetto che rimandi all’idea stessa del cerchio. In questo modo è probabile che ci troveremo a raffigurare un pallone da basket, un sole, un mappamondo, e
via dicendo. Difficilmente si arriverà a completare tutti e 30 i cerchi, questo perché solitamente l’alta dose di autocritica ci porta inevitabilmente a filtrare la nostra creatività.
Output
1. Deadline. Organizzate il vostro tempo dandovi delle scadenze e stabilendo un tempo limite per ogni task. È molto probabile che vi troviate a sforare i tempi stabiliti, ma l’organizzazione temporale vi permetterà comunque di gestire in modo regolare la vostra creatività. 2. Pensa in grande in tutti i sensi. Pensare a un progetto e pensare a come poterlo fare al meglio (più grande, più vistoso, più assurdo o addirittura più pazzo) non è mai sbagliato. Infatti la cosa peggiore che può accadere in questo caso è dover ridimensionare il progetto, a causa magari delle ristrettezze di budget. Comunque vada siate coscienti che non c’è nulla di cui essere pentiti: avete infatti spronato al massimo la vostra creatività e non vi siete lasciati condizionare. 3. Dedicati ad un side project. Spesso e volentieri alcuni lavori capitano nel momento più sbagliato possibile, forse perché non siamo predisposti o perché quel lavoro ci annoia molto. Fare un lavoro di controvoglia non farà altro che farci produrre un lavoro pessimo e con scarsi risultati. Avere un progetto diverso, magari anche uno personale, può risultare un ottimo compromesso e spesso, lavorandoci, si ritorna sul
progetto principale con nuove idee, affrontandolo in maniera diversa.
I creativi hanno bisogno di assorbire tutto ciò che sta intorno a loro. Non sai mai cosa sarà utile. 4. Cambia la prospettiva. Uno dei trucchi di quando si disegna è quello di specchiare l’elaborato. In questo modo è possibile scoprire che alcune forme che prima sembravano corrette, in realtà sono del tutto sproporzionate o male allineate. Dunque, quando progettate ricordate di rivedere il vostro lavoro da angolazioni diverse, potreste stupirvi di ciò che noterete! 5. Le regole sono ciò che gli artisti infrangono, ma questo è possibile solo se si padroneggiano davvero. Spesso e volentieri abbiamo visto lavori dove le più semplici regole di composizione o di grafica sono state ignorate. La giustificazione? “Le regole sono fatte per essere infrante”. Questa è infatti una verità solo a metà. Farlo senza cognizione di causa porta ad un sicuro disastro, quindi, se è possibile, ricordatevi di attenervi alle regole base.
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La tipografia ottocentesca La tipografia ottocentesca è segnata da importanti progressi tecnologici che porteranno alla nascita dell’industria editoriale, due su tutti: la produzione industriale della carta e la nascita delle macchine linotype e monotype.
Romanticismo tipografico
I primi progressi sono dell’inizio del secolo decimonono, quando comincia a diffondersi la stereotipia, sebbene la stampa avvenga ancora attraverso una pressione piana. La prima pressa piano-cilindrica è realizzata da Friedrich Koenig, e messa in moto nella stamperia del «Times» di Londra nel 1814; essa permette di aumentare notevolmente la capacità di stampa, quadruplicando la produzione oraria. Pochi anni dopo, nel 1828, viene introdotta la macchina “a quattro cilindri” costruita da Applegath e Cowper sempre per il «Times», mentre la rotativa, in grado di stampare contemporaneamente in bianca e volta un nastro continuo di carta, è della metà del secolo. Nello stesso periodo inizia la produzione industriale della carta e prendono il via i primi esperimenti di composizione meccanica che 34
portano, alla realizzazione della Linotype, nel 1886, e della Monotype, nel 1889. Questa serie di innovazioni, che segna la fine dell’antico regime tipografico, determina, negli anni ’40 dell’Ottocento, il passaggio ad un sistema industriale di produzione degli stampati. Ciò permette agli editori di abbassare i costi e di raggiungere il pubblico più vasto che ha iniziato a formarsi a seguito dello sviluppo economico e dell’urbanizzazione.
Editoria al bavero d’un epoca
In Europa, la seconda metà dell’Ottocento vede così la nascita delle edizioni economiche: la «Railway
Librar y » di Routledge in Inghilterra, la «Bibliothéque des Chemins de Fer» in Francia, la collana «Reclam» in
Germania. Tuttavia, l’aumento dei lettori aveva già determinato l’emergere di un secondo fenomeno: quello dei libri che hanno un successo che può essere definito di massa, i cosiddetti best sellers. Nel 1814 il Corsair di Byron vende 10.000 copie, negli anni successivi, la serie completa delle Waverley Novels di Walter Scott vende quasi 80.000 copie. In Francia le
opere di Verne vedono decine di migliaia di copie e negli Stati Uniti, quando La capanna dello zio Tom viene stampato in volume, dopo essere stato pubblicato a puntate tra il 1851 e il 1852, vende subito 100.000 copie (300.000 in edizione economica). A metà dell’Ottocento nasce anche quello che può essere identificato come un nuovo genere editoriale: il feuilleton, cioè il romanzo che non solo vende, e ha ricadute positive sulla diffusione dei giornali, ma che è scritto con il preciso scopo di vendere molto. In Italia, i primi tentativi di rivolgersi all’emergente mercato di massa sono realizzati dalla ditta di Giuseppe Pomba, che tra il 1828 e il 1832 dà alle stampe la «Biblioteca popolare». Il mercato editoriale italiano però è condizionato dalla censura e dall’esistenza dei privilegi, e anche quando il principio della libertà di stampa viene sancito dagli statuti (dopo il biennio rivoluzionario 184849) esso non viene in realtà tutelato da alcuna legge. Continuano inoltre a sussistere dazi doganali che impediscono lo scambio librario, e mancano norme giuridiche che possano tutelare la proprietà editoriale e il diritto d’autore al di fuori dei confini dei singoli stati che formano la penisola. Dopo l’Unità diversi fattori portano ad un forte incremento della produzione libraria: la scolarizzazione e la diminuzione dell’analfabetismo eil costante aumento del pubblico femminile, la nascita di scuole tecniche,
il diffondersi delle biblioteche popolari circolanti. Questa situazione porta alla nascita di nuove collane destinate a soddisfare i bisogni di apprendimento e di svago delle nuove fasce di lettori. Si affermano così i generi di consumo come il romanzo d’appendice, il romanzo sociale e quello femminile, le opere educative destinate ai ceti operai, e i manuali tecnico-scientifici.
La famiglia Didot
Il nome di Firmin Didot, nato a Parigi il 14 aprile del 1764, è famoso per molti motivi: fu un letterato, un tipografo, un incisore e fonditore di caratteri, un fabbricante di carta. Ma il nome Didot appartiene ad un’intera famiglia che per tutto il settecento e ottocento lavorò alla produzione del libro.
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Il capostipite, François Didot nacque a Parigi nel 1699, figlio di un mercante, divenne libraio e poi stampatore, ricoprì cariche importanti nella corporazione dei librai. Suo figlio François-Ambroise inventò un sistema di misurazione dei caratteri mediante il punto tipografico Didot, che fu poi adottato in tutta Europa. Oltre a questo François-Ambroise perfezionò il torchio, inventandone uno che aveva bisogno di una sola pressione, e introdusse in Francia la fabbricazione della carta velina. Il fratello PierreFrançois diventò anche lui prima libraio e poi stampatore, e i suoi figli lavorarono come tipografi, incisori e fonditori. Il
figlio di François-Ambroise, Firmin, aiutava il padre nella bottega, incidendo i caratteri per alcune edizioni, delle quali sono famose quelle dette Dauphin, o quelle dette di Monsieur. Una delle sue invenzioni più importanti avvenne nel 1795: la stereotipia. La pagina composta, veniva impressa su un materiale plastico, ottenendo un negativo sul quale veniva colata la lega di piombo che produceva una lastra rigida, che - stampando- permetteva di ricavare i numeri allineati in maniera perfetta. Nel 1798 Firmin Didot toccò uno dei momenti più alti della propria produzione, con la creazione del
carattere per l’edizione di Virgilio presentata durante l’esposizione dei prodotti dell’industria. Nel 1811 Firmin fu nominato stampatore dell’Istituto di Francia, e nel 1814 stampatore del re. La sua fama giunse in Russia, presso l’imperatore Alessandro, che gli mandò dei giovani da istruire nell’arte della stampa, i quali si aggiunsero ai numerosi apprendisti francesi. Nel 1827 lasciò ai figli la propria impresa, che comprendeva una fonderia, una fabbrica di carta, una stamperia e una libreria. Morì nel 1836, ma la famiglia continuò il suo lavoro, e la sua fama dura ancora oggi.
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