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Libro bianco, futuro grigio

Nelle prossime settimane dovrebbe essere presentata dal CONI la terza e ultima parte del Libro bianco dello sport italiano. Nell’attesa ripercorriamo cosa è emerso dalle prime due parti

di Andrea De Pascalis

Sta per completarsi il puzzle con la fotografia complessiva dello sport nazionale, bilanci, problemi e prospettive inclusi. A meno di imprevisti, la primavera dovrebbe portarci la pubblicazione della terza e ultima parte del Libro bianco del CONI, base su cui mettere ulteriormente a punto il progetto di autoriforma “Lo sport italiano verso il 2020” varato sotto la presidenza Petrucci. La scelta della presentazione in tre tappe, distanziate l’una dall’altra di alcuni mesi, non semplifica il compito di cogliere il senso complessivo dell’analisi compiuta dal Foro Italico. Un piccolo promemoria può essere utile. La prima parte del Libro bianco, presentata il 10 luglio 2012, era servita a descrivere in sintesi lo stato di salute generale dello sport nazionale, con un ritratto che alternava luci e ombre. Tra le luci l’ulteriore crescita del numero dei praticanti nel primo decennio di questo secolo, con gli sportivi continuativi passati dal 19,3% della popolazione (2001) al 22,0% (2011) e quelli totali, continuativi e non, cresciuti nello stesso intervallo di tempo dal 55,8% al 58,5%. Tra le ombre l’insufficienza dei nostri numeri rispetto alla media europea, la riduzione dei finanziamenti pubblici e la mancanza di certezze circa il loro ammontare, gli squilibri persistenti tra Nord e Sud, l’insufficienza dello sport nella scuola. La seconda parte, presentata il 18 dicembre 2012, ha proposto in massima parte un’analisi del livello di competitività dello sport italiano di alto livello, giudicato in rapporto ai finanziamenti pubblici ricevuti e ai risultati conseguiti nelle competizioni internazionali da altri paesi. Ne è risultato che lo sport azzurro se la cava affatto male, come dimostra il medagliere delle ultime 4 edizioni olimpiche. Aumenta il numero di specialità cui partecipano i nostri atleti, aumenta in qualità e quantità la componente femminile. Di buona salute olimpica gode anche lo sport paralimpico. Tutto questo si configura come una sorta di miracolo all’italiana. La “fotografia” scattata dal Coni, con l’ausilio degli atenei Bocconi di Milano e La Sapienza di Roma, dedica un altro capitolo alla spinosa questione dei contributi pubblici a favore dello sport, arrivando alla conclusione che negli ultimi dieci anni e in termini reali la spesa pubblica complessiva per lo sport è diminuita mediamente del 2,6%, decremento che nel 2010 è ammontato addirittura al 16% rispetto all’anno precedente. Che il sistema sopravviva, e continui a farsi onore a livello di competizioni internazionali, è appunto una forma di miracolo, o meglio un attestato al merito per il modo in cui le risorse sono messe a frutto. Se a livello di medagliere l’Italia ottiene risultati comparabili a quelli di Gran Bretagna, Francia e Germania, il confronto con i loro finanziamenti è impietoso: -50% rispetto a Gran Bretagna e Germania, -65% rispetto alla Francia. Nell’ambito dell’Unione Europea l’Italia si colloca tra i paesi con la spesa pro-capite più bassa (circa 64 euro) insieme a Irlanda e Grecia. L’illogicità di questa scelta è stata evidenziata nelle ultime pagine dello studio del 18 dicembre, che analizzava l’impatto della pratica sportiva sia sulla spesa sanitaria sia sul PIL nazionali. Assumendo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità circa la riduzione di alcune patologie ottenibili con una pratica sportiva regolare, e rapportando tali dati con i numeri della popolazione italiana, si arriva a conclusioni straordinarie: il livello attuale di pratica sportiva consente oggi di evitare ogni anno 52mila malattie (pari alla popolazione del Comune di Pordenone o Campobasso), ovvero circa 1,5 mld di euro risparmiati sulla Spesa Sanitaria Nazionale e 22mila decessi, in euro pari a 32 miliardi di valore della vita “salvaguardato”. I benefici economici, quanto a costi sanitari diretti e indiretti risparmiati, ammontano a più di 2 miliardi di euro l’anno. Si conferma che conferire risorse allo sport va considerato un investimento fruttifero e non uno spreco. In attesa della terza e ultima parte del Libro bianco, che dovrebbe essere tarata in buona parte sullo sport sociale, si può credere il trascorrere dei mesi non ha giovato al significato generale della ricerca come piattaforma del possibile cambiamento. Non solo il CONI ha cambiato i suoi vertici, con l’elezione di Giovanni Malagò alla presidenza, ma su tutto pesa anche l’incognita della difficilissima situazione economica e istituzionale che avvolge il paese.

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