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Benedetto XVI e lo sport
from Stadium n. 1-4/2013
by Stadium
All’indomani del ritiro di Papa Ratzinger dal Soglio di Pietro, Stadium gli rende omaggio riproponendo alcuni stralci dei suoi interventi sullo sport
di Andrea De Pascalis
Se Giovanni Paolo II contende a Pio XII il titolo di “papa dello sport”, per il modo in cui entrambi hanno saputo interpretare e indirizzare con il loro vasto magistero il significato del fenomeno sportivo nel XX secolo, Benedetto XVI in più di un’occasione ha dimostrato la sua vicinanza al mondo dello sport, cui ha regalato importanti spunti di riflessione. Come solo i campioni di razza sanno fare, nel momento in cui ha avvertito il declinare delle proprie forze, la difficoltà di continuare ad esprimersi in campo da “fuoriclasse”, con un gesto di grande coraggio egli ha deciso di fermarsi, di ritirarsi dal Soglio di Pietro. Stadium gli rende omaggio ricordando alcuni significativi passaggi dei suoi pensieri sullo sport.
Uno strumento di formazione umana e cristiana
«Lo sport possiede un notevole potenziale educativo soprattutto in ambito giovanile e, per questo, occupa grande rilievo non solo nell’impiego del tempo libero, ma anche nella formazione della persona. Il Concilio Vaticano II lo ha voluto annoverare tra i mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono adatti al perfezionamento morale ed alla formazione umana (cfr. Gravissimum Educationis, n. 4). Se questo è vero per l’attività sportiva in generale, tanto più lo è per quella svolta negli oratori, nelle scuole e nelle associazioni sportive, con lo scopo di assicurare una formazione umana e cristiana alle nuove generazioni». (3 novembre 2009)
Scuola di valori e di sviluppo integrale
«Praticato con passione e senso etico, lo sport, oltre che esercitare ad un sano agonismo, diventa scuola per apprendere e approfondire valori umani e cristiani. Esso, infatti, insegna ad armonizzare dimensioni importanti della persona umana favorendo il suo sviluppo integrale». (15 novembre 2010)
Il rispetto del corpo
«Mediante l’attività sportiva, la persona comprende meglio che il suo corpo non può essere considerato un oggetto, ma che, attraverso la corporeità, esprime se stessa ed entra in relazione con gli altri. In tal modo, l’equilibrio tra la dimensione fisica e quella spirituale porta a non idolatrare il corpo, ma a rispettarlo, a non farne uno strumento da potenziare a tutti i costi, utilizzando magari anche mezzi non leciti». (15 novembre 2010)
Il compito degli operatori cattolici
«Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e spirituale. Infatti, quando sono finalizzate allo sviluppo integrale della persona e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani.... In un’azione formativa coordinata, i dirigenti, i tecnici e gli operatori cattolici devono considerarsi sperimentate guide per gli adolescenti, aiutandoli a sviluppare le proprie potenzialità agonistiche senza trascurare quelle qualità umane e quelle virtù cristiane che rendono la persona completamente matura». (1° agosto 2009).
Campioni nello sport e nella vita
«Voi, cari atleti, siete modelli per i vostri coetanei, ed il vostro esempio può essere per loro determinante nel costruire positivamente il loro avvenire. Siate allora campioni nello sport e nella vita! ... Inoltre, manifestazioni sportive come la vostra, grazie ai moderni mezzi di comunicazione sociale, esercitano un notevole impatto sull’opinione pubblica, dato che il linguaggio dello sport è universale e raggiunge specialmente le nuove generazioni. Veicolare messaggi positivi attraverso lo sport contribuisce pertanto a costruire un mondo più fraterno e solidale» (1° agosto 2009).
Il gioco, un ritorno al paradiso
«Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impiega e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello. Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carattere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anticipa, per così dire, in una maniera liberamente strutturata». (1986)
Al servizio della persona
«Uno sport che voglia avere un senso pieno per chi lo pratica deve essere sempre a servizio della persona. La posta in gioco allora non è solo il rispetto delle regole, ma la visione dell’uomo, dell’uomo che fa sport e che, al tempo stesso, ha bisogno di educazione, di spiritualità e di valori trascendenti. Lo sport infatti è un bene educativo e culturale, capace di rivelare l’uomo a se stesso ed avvicinarlo a comprendere il valore profondo della sua vita». (17 dicembre 2012)
Riconoscere il progetto di Dio
«L’atleta che vive integralmente la propria esperienza si fa attento al progetto di Dio sulla sua vita, impara ad ascoltarne la voce nei lunghi tempi di allenamento, a riconoscerlo nel volto del compagno, e anche dell’avversario di gara!». (17 dicembre 2012)
L’agonismo spirituale
«L’attività sportiva può educare la persona anche all’“agonismo” spirituale, cioè a vivere ogni giorno cercando di far vincere il bene sul male, la verità sulla menzogna, l’amore sull’odio, e questo prima di tutto in se stessi. Pensando poi all’impegno della nuova evangelizzazione, anche il mondo dello sport può essere considerato un moderno “cortile dei gentili”, cioè un’opportunità preziosa di incontro aperta a tutti, credenti e non credenti, dove sperimentare la gioia e anche la fatica di confrontarsi con persone diverse per cultura, lingua e orientamento religioso». (17 dicembre 2012)
Essere testimoni di buona umanità
«Penso dunque a voi, cari atleti, come a dei campioni-testimoni, con una missione da compiere: possiate essere, per quanti vi ammirano, validi modelli da imitare. Ma anche voi, cari Dirigenti, come pure gli allenatori, i diversi operatori sportivi, siete chiamati ad essere testimoni di buona umanità, cooperatori con le famiglie e le istituzioni formative dell’educazione dei giovani, maestri di una pratica sportiva che sia sempre leale e limpida». (17 dicembre 2012)