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A Port au Prince, la terza volta del gruppo italhaitiano

Haiti ora viaggia di pari passo col Csi

di Massimiliano Morelli

Parlare di Haiti per il Centro sportivo italiano è diventata una piacevole abitudine. Perché l’isola caraibica che invece d’essere posizionata a due ore d’aereo dall’opulenza di Miami pare essere incastonata in Africa rappresenta ormai una seconda casa. Una dimora umile ma accogliente, dove la gente è bisognosa d’affetto e consigli, esperienza, solidarietà, confronto. Una seconda casa, scrivevamo, al punto che all’inizio di marzo si è tornati per la terza volta da quelle parti. Quasi una piacevole abitudine il dialogare e discettare su Haiti, ma un “obbligo” morale nel contempo - da parte di chi sbarca su uno dei Paesi col Pil più povero del pianeta - di rimboccarsi le maniche perché ogni volta che si va dall’altra parte del mondo, a Port au Prince, c’è sempre da fare qualcosa. E diventa importante oltre all’insegnamento che si può offrire a chi ha sempre voglia d’apprendere, anche il più genuino dei sorrisi o una carezza esternata nei confronti di chi non aspetta altro che affetto. Amore, verrebbe da scrivere, ma rischieremmo d’esser fraintesi, perché qualcuno è ancora convinto che si debbano amare solo le persone con cui si vive a stretto contatto di gomito, non chi s’incontra casualmente in un fazzoletto di terra posizionato a 15, 20 ore d’aereo dalla propria casa. Così, dopo che nella scorsa estate s’erano gettate le basi per un rapporto duraturo e sincero, cui s’è aggiunta sei mesi dopo la firma di una sorta di protocollo d’intesa per esportare gratuitamente competenza dall’altra parte del mondo, adesso s’è scelto di inaugurare il primo corso per allenatori locali, un’iniziativa nata e realizzata grazie alla disponibilità e alla collaborazione della Fondazione Francesca Rava; un’idea che in breve s’è trasformata in un successo se è vero che sono stati 50 gli iscritti al primo corso da coach, suddivisi tra calcio e basket. Che restano per ora inevitabilmente i due sport più vicini alla popolazione, perché un pallone seppur fatto di stracci si rimedia sempre e il bidone della spazzatura si può sempre trasformare in un canestro, così come due sassi rappresentano sempre i pali d’una porta di calcio. Anche stavolta la delegazione del Csi che s’è spostata nel continente americano s’è preparata nel migliore dei modi, accompagnata perfino da Andrea Zorzi, uno che ha esperienza da vendere se non altro per aver fatto parte della squadra del secolo, e parliamo dell’Italvolley che vinse tutto qualche anno fa. Ne deriva che il 4 marzo, mentre in Italia si omaggiava la nascita del mai dimenticato Lucio Dalla, ad Haiti si cominciava a dare il “la” a un’iniziativa breve ma intensa, quattro giorni di corso “all inclusive”, incastonati fra incontri ufficiali organizzati con la Caritas locale e il Governo.

Un Governo, quello haitiano, che ormai ben percepisce la realtà del Centro sportivo italiano, conosciuto in maniera diretta a metà dello scorso anno, quando la prima delegazione sbarcò nell’isola per instaurare iniziali rapporti di collaborazione. Rapporti umani e di lavoro, solidali e piacevoli da tenere in piedi, insomma il frutto di un’alleanza per offrire esperienza, e non solo sotto il punto di vista sportivo. Una sinergia sancita poi al dodicesimo congresso nazionale di Assisi, nel corso del quale è stata presentata in maniera ufficiale l’esperienza che il Csi ha condotto e sta portando avanti ad Haiti, al punto di far nascere un Centro sportivo haitiano e dotarlo di alcune strutture di gioco e di sport destinate ai bambini. Un’esperienza che ha avuto un testimone particolare come Jean Roosevelt René, ministro dello Sport dell’isola centroamericana. Già, Assisi. Sul palco, fra una chiacchierata amabile con Emiliano Mondonico e Mauro Berruto, l’input del Premio Mecenate, la presenza della nazionale amputati e quant’altro, s’è posizionato anche il momento istituzionale. E nessuno si senta offeso se confidiamo che suggellare il protocollo d’intesa istituzioni haitiane-Csi è stato l’attimo più toccante dell’evento d’aggregazione che s’è tenuto in Umbria. E quando Francner Thalusma, segretario di Stato del Ministro dello sport di Haiti, ha letto un discorso rivolto al Csi descrivendo la sinergia innescata e i passaggi fondamentali pronti a fare da fulcro all’iniziativa, c’è stata profonda emozione. Perché le parole di Thalusma hanno riscaldato senza ombra di dubbio una platea già eccitata dall’idea della trasformazione internazionale del movimento. E la mente di tutti è andata inevitabilmente alla devastazione del terremoto, all’uragano e alle susseguenti malattie che hanno colpito la popolazione. Sì, è vero, Haiti ha bisogno di aiuto ma non aspetterà in panciolle la mano tesa, del resto gli haitiani hanno dimostrato di aver voglia di fare, vogliono crescere, puntano al miglioramento. La firma e il protocollo d’intesa hanno rappresentato solo una formalità, in certi casi basta un’occhiata, al massimo una “semplice” stretta di mano.

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