TEMPoREALE
iscrizione al tribunale di gorizia n°409 del 06/06/2009.
letters and colors from street’s young art
GUERRA e PACE
anno 07 • n° 11 febbraio 2015
TEMPoREALE PEoPLE EDITORE Banda_Larga Associazione di Promozione Sociale Partner di progetto Banda Larga young – aggregazione giovanile Direttore responsabile Cristina Visintini Redazione Claudia Fabaz, Daniela Proietti, Pietro Sessolo, Walter Comunello, Luana Momesso, Michel Medeot, Mery Zanolla Collaboratori Ilaria Rovati Massi Faqiri Beatrice Branca Ringraziamenti Paolo Cossi, Vincenzo Bottecchia Nicolò Fornasir Amerigo Visintini Grafica e Impaginazione AndreaAntoni.it Copertina “Pixelreporter” Rachele Ughetti, Leila Di Pasquale, Caterina Celio Realizzato grazie al sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia (Lt. 12/2007)
stam p carta ato su ricic lata
Fratelli Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell’aria spasimante involontaria rivolta dell’uomo presente alla sua fragilità Fratelli Giuseppe Ungaretti Mariano - 15 luglio 1916 Centro Studi Podresca, Prepotto Accademia del Fumetto, Trieste ARCI Trieste ass. La Viarte, Santa Maria La Longa (UD) ass. Benkadì, Staranzano, (GO) Corso Educatori Live (CEL), Bassa Friulana Forum Giovani della Provincia di Gorizia MGS Movimento Giovanile Salesiano ass. cult. Periferia Nordest, Monfalcone (GO) ExisT - Volontari Europei CVCS, Gorizia ass. Scimmie Bisiache Monfalcone (GO) Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Gorizia United World College of the Adriatic Duino (TS) Tenda per la pace e i diritti Il Cerchio Magico - Villesse (Go) Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Udine ISIT Commerciale “L. Einaudi”, Staranzano ISIT Industriale “G. Marconi”, Staranzano CEFAP, Codroipo MO.VI FVG ITT Malignani di San Giorgio di Nogaro
TEMPoREALE LA RETE
IN QUESTO NUMERO... 03 06 08 09
13 12
Al militaret de le margherite
22
Matite di Pace Infospot
26
Tra note ed onomatopee di guerra... Agenda I miei famigliari hanno perso la Guerra, sotto tutti gli aspetti
15 Afghanistan
17
19
Struggle for Peace Afghanistan Una lotta per la Pace Storie di sport tra guerra e pace
É tempo di
Vittima della guerra: intervista ad un’esule dell’Istria E domani? La ragione è di chi se la prende? Video Negli occhi e nella luce
27 28 31 Cover! 32 The Net 33 Numbers 35 Musica per non dimenticare 36 Banda Larga 38 Dove? 39 Collabora con noi!
[editorialerap]
cambiare tutto per colpa della grande guerra siamo ancora tutti in lutto se dovessimo fare un minuto di silenzio per ogni morto in questa vita sarei muto dobbiamo dire sì alla pace e no alla guerra correre su un arcobaleno senza che nessuno ci afferra e con le piccole cose che il mondo può cambiare questa è la vita che voglio questo è
Luca (17 nne)
#01
fotografia di Cristina Visintini
TEMPoREALE
“ Al militaret de le margherite” ... vissuti bisiachi ai tempi della guerra Cristina Visintini “La storia scritta a matita” è il titolo del lavoro di ricerca storica realizzato da Amerigo Visintini, storico, poeta e pittore di Ronchi dei Legionari che ha ricostruito gli avvenimenti che portarono allo scoppio della Prima Guerra, visti però con gli occhi della gente semplice della Bisiacaria che si trovò a vivere, inizialmente come territorio dell’Impero Austriaco la tragedia del conflitto. Visintini ricorda i momenti tragici e dolorosi vissuti dalle genti bisiache: la partenza degli uomini arruolati e mai più tornati a casa, la distruzione delle case e della vita stessa, il dolore e i sacrifici degli sfollati, il disorientamento di chi si trovò improvvisamente ad essere “italiano” dopo essere stato “austriaco”. In particolare di quelli che furono trasferiti a Wagna, vera “città di legno” della Stiria, chiamata così perchè era un agglomerato di baracche dove si trovarono a vivere fino a 20mila persone, che dovettero fare i conti con la fame, le epidemie, la morte. E su tutto, il Carso trasformato in una terra brulla, rossa di sangue, segnato dalle croci di chi perse la vita in battaglia. Non mancano però anche gli accenni più lievi e sereni, con il ricordo della tradizioni bisiache, degli amori nati anche in tempo di guerra e della grande dignità delle genti bisiache. Un lavoro di grande sensibilità e attenzione a quelle che furono le conseguenze della Grande Guerra, ma non per re e generali, ma per contadini, soldati semplici, famiglie. Alle pagine in lingua italiana, si alternano i racconti in “bisiaco”, che danno il senso di quanto questa terra sia sempre stata ruvida eppure gentile, colpita a morte eppure coraggiosa. Dal lavoro è stato tratto un racconto, che vede protagonista una giovane monfalconese e il suo amore per un militare, un amore nato ma mai vissuto. [...] Nel maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria e l’Austria, il fronte, l’aveva tracciato sul Carso, impietrito di morte nelle lunghe trincee, che spaccavano il monte ed erano entrate fra le case rubando la vita ai paesi, facendo fuggire i vecchi, le donne, i bambini e i pochi uomini rimasti. La gente dei nostri paesi spera in un’azione militare di breve durata e ci fu chi, prima di abbandonare la casa, scavò una fossa nel cortile celando le cose di valore che intendeva più tardi recuperare, ma che poi non trovò più. Il 24 maggio vengono attuate le prime azioni difensive dal Comando militare austriaco retto dal Generale Lukachich: viene così bruciato il ponte di legno sull’Isonzo a Pieris ed allagata la campagna fra Redipuglia e Selz,rompendo in più
#03
fotografia di Cristina Visintini punti l’argine del canale Dottori. Vermegliano, Selz, Sagrado, Redipuglia, Polazzo, Sdraussina diventano paesi vuoti perché lì, fra gli abbandonati focolari deve passare la linea del fuoco. Interi Reggimenti vengono scagliati dall’Italia contro la barriera del Carso, una muraglia di pietra e fango, e trappole e trincee e nidi di mitragliatrici che seminano morti davanti ai reticolati. Il coraggio si infrange contro questa ragnatela di ferro, ma gli uomini vanno all’assalto spinti dalla disperazione, intere trincee vengono conquistate passando su un terreno coperto di morti. Ma ai Comandi questo ancora non basta. “Che importano i morti!...avanti!... avanti lo stesso!...i reticolati si sfondano coi petti!...con le baionette!”. Ma sono i soldati semplici a dover correre, buttarsi in una buca ingombra di corpi pigiati,di fucili, di paura ed escrementi. E su tutto il fango, rossastro di sangue mischiato a spoglie aggrovigliate, ammucchiate. E c’è un bersagliere...a braccia spalancate sul bordo di una trincea: pare una croce. Questa diventa la guerra sul Carso. Nel 1914 Monfalcone era abitata da circa 11 mila persone. All’inizio delle ostilità, nel 1915, molti se ne vanno diretti all’interno del territorio austriaco, su treni o su carri trainati da manzi, lungo strade polverose dirette verso l’Austria o l’Ungheria. Gran parte si troverà infine nella Stiria, concentrata fra Pottendorf, Leibnitz e soprattutto Wagna, vera e propria città di legno che ospiterà sino a 20 mila sfollati in condizioni di sovraffollamento che giocherà il suo ruolo nel dilagare di epidemie, tifo, scarlattina, morbillo. Dall’ottobre 1915 al febbraio 1916 si conteranno 516 morti, in prevalenza bambini.
Era stà proprio un mondo fin l’oto de giugno Quela note la Giusepina no la veva serà oc’ anca parchè, ‘pena che se vesse fat ciaro, la varìa saludà Ludovico, so marì, giandarmo ta la cità cu l’ordine de star lì fin a l’ultin moment e la varià lassà cu la fia Maria,Mofalcon. De colp parò era de novo scopià l’inferno, e le do femene le era tornade de corsa, cu le vissare ‘ntortolade de paura, soto la scala che ‘ndava ta le camere senza rendarse cont che su la Roca era rivadi i taliani e de la parte de la Crosera scuminziava rivar
pass a pass altri taliani. Cussì quan che le xe tornade fora...le se ga trovà taliane. No xe stà giorni facili pa le do’ femene,rivade cussì a colp soto l’Italia. Ma intant che la guera se slargava longo ‘l Lisert e oltra la Roca…’na scudela de pasta la era anca par lore,in fila davanti la cusina de i militari Al nove de lulio tute do’ le pianze vardando crolar al canpanil de la cesa granda,becà de ‘na granata austriaca. Xe ‘l nove de otobre inveze quando che’l Comando talian ghe dise che xe mei che le lasse Mofalcon. Cussì le va via e le se ferma de ‘na parente a Parteole. La Maria la trova de lavorar ta ‘na sartoria pa l’Esercito a Campolongo. L’istà era tornà piturar papavari e margarite in mezo ai campi e le terbane. Anca quela sera la Maria la caminava in mezo a sti spiandori tornando longo al trozo che de Campolongo rivava Perteole co la ga sintì ‘na vose, un fià timidina, che i la ciamava…”Signorina Monfalcone…”. La ga sintì ma no la ga vu’ ‘l coragio de voltarse. Inveze un poc spaurida la ga ciapà i zocui ta le man e la xe ‘ndada squasi corendo fin ta le case del paese. Al giorno dopo parò la ga sintì de novo la vose de quel militaret che’l zercava de ‘compagnarla e cussì altre volte. Anca quela sera la veva zercà de ‘ndar via drita, ma la se ga sintì ciamar “Signorina Monfalcone” c’un tono tant dilicà che, cun grop de emossion, la se ga fermà. “Signorina Monfalcone… volevo darle questo” al ghe ga dit sotovose, slongando un mazet de margherite. Ela la se ga sintì squasi senza rispiro. “Grazie” la ga murmuià, ma sintindo che la deventava rossa, la ga sbassà la testa ‘ndando via svelta como ‘na sisileta. I mesi passava, ma la tragedia la era senpre là, ta la guera color de l’inferno che se lo vedeva fin
de Perteole. Cussì anca ta quela sera de agost quan che i lo ga trovà che i la spetava...””Signorina Monfalcone” al ghe ga dit lù. ”Me ciamo Maria” la ga dit ela, andando ‘vanti pian longo ‘l trozo che’l se perdeva ta campi de girasoi color de oro.”Dopodomani torno al fronte” al ghe ga dit sotovose. Ela la se ga fermà sintindo ta’l cor ‘na strenta dura, violenta. Senza trovar parole, la ghe ga ciapà le man “Te spetarò… pregarò par ti” la ga sunsurà senza rivar dirghe altro. Ta quei giorni fava tant caldo che le cicale cantava, anca se era ormai note. Cussì anca quela sera e a Campolongo, femene, putei, e quei pochi omini che era ta’l paese i se veva sentà, come sempre, fora de le porte par pregar al rosario prima de ‘ndar durmir. Gnanca i rumori de la guera, la zo, sora ‘l Carso,se li sintiva. Era proprio un’ora de pase le oto de quela sera del 4 agosto 1916 a Campolongo…sbregada a colp da un scopio grando, tremendo, rivà semenar morte e distruzion. Femene, putei, omini e ‘nemai restadi soto i muri de stale e de case crolade, ta nui de polvar e zighi e lamenti: colpa de un car de bombe scopià pal massa calor de quela giornada de agost. Tanti xe stadi i paesani morti, ma tanti de più i militari straziadi. Tochi de gambe, de brazi, de corpi i era svoladi fin sora i copi, fin ta i orti, i campi, ta le biave e i girasoi color de oro. Tra lori al militaret de la Maria..quel so amor che’l stava nassendo…. Il comune di Campolongo pose una lapide per ricordare il tragico evento, una scritta che esiste ancora, con il suo indimenticato dolore, su di una vecchia casa di Campolongo. La Maria, tornata a Monfalcone, è scomparsa nel 1988. Ma non aveva mai dimenticato “al militaret de le margherite”
#05
MATITE DI PACE con Paolo Cossi
Ancora una volta prezioso ospite delle nostre pagine, Paolo Cossi ci regala alcune immagini tratte dal lavoro “1914, Io mi rifiuto”, pubblicazione che comprende una graphic novel dell’artista ma anche una raccolta storica, documentale e iconografica sul tema. L’opera è nata in seno al progetto pluriennale“Il Fronte di Fronte” promosso e ideato dalla Pro Loco Prade Cicona Zortea (Tn) e Cicona Fumetto, finanziato dalla Provincia di Trento, e che prevede pubblicazioni, mostre, laboratori. Dal progetto ha preso vita anche un video documentario di Lucia Zanettin che esplora il vissuto sia di chi venne deportato, sia di coloro che rimasero nelle Valli di Primiero del Vanoi, della Valsugana e del Tesino.
“La guerra non è mai stata unicamente uno scontro tra soldati ed eserciti, è distruzione, disgregazione del territorio e delle reti di relazione delle persone. Questo progetto unisce molteplici sinergie tra attori sociali ed istituzionali, associazioni e privati cittadini, rimarcando le trasformazioni del fronte, dei combattimenti, della tragedia di senso che vide famiglie spezzate, divise da confini continuamente in movimento, dove figli e padri si trovavano a combattere su fronti contrapposti. In questo progetto si parla di donne, anziani e bambini, che rimasero ad assicurare la sopravvivenza delle comunità, le tradizioni, i valori, garantendosi una forma di quotidianità nel vivere in guerra.” (Info: ilfrontedifronte@gmail.com)
#07
INFOSPOT [ Anin! ]
a cura di Claudia Fabaz Le donne, assumendosi ruoli di cura e assistenza a 360°, incarnarono però in vari contesti missioni dal peculiare valore politico militare. E’ il caso delle PORTATRICI CARNICHE, che tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917 macinarono a piedi chilometri di montagne. Dal punto di vista militare, la Zona Carnia, in cui erano dislocati ben 31 battaglioni, rappresentava l’anello di congiunzione tra le Armate schierate in Cadore alla sinistra, e quelle delle prealpi Giulie e Carso sulla destra. La forza media presente nella zona si aggirava intorno ai 10-12 mila uomini. La guerra si consumava sulle montagne, quindi i rifornimenti ai reparti dovevano essere portati a spalla, non potendo però sottrarre potenza alla linea in termini di soldati. Pertanto, il Comando Logistico della Zona e quello del Genio, chiesero aiuto alla popolazione. Le donne di Paluzza aderirono subito all’invito drammatico a mettersi a disposizione dei Comandi Militari per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea. L’esortazione condivisa era: “Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan”, “Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame”. La linea di combattimento rifornita dalle portatrici di Paluzza e degli altri comuni dell’Alto But, Sutrio e Cercivento, aveva un’ampiezza di circa 16 chilometri, poiché si estendeva dal Monte Coglians al Monte Questalta, comprendendo inoltre le posizioni arretrate di Monte Terzo e Lavareit. Identificate da un bracciale rosso, riportante il numero del reparto da cui dipendevano, con un’età che spaziava dai quindici ai sessant’anni, portavano alle prime linee rifornimenti del peso di 30-40 kg. Il compenso per ciascun viaggio era di una lira e cinquanta centesimi. Si costituì un Corpo di ausiliarie che con disciplina militare, di giorno e di notte, partivano a gruppi di 15, 20 senza guide, imponendosi una tabella di marcia. Attraversato il fondovalle con la gerla carica, intraprendevano l’ascesa alla montagna, superando dislivelli di 600-1200 metri, mentre si dirigevano a raggiera verso la linea del fronte. fonte:www.donneincarnia.it
TEMPoREALE
MUSICA / TRA NOTE E ONOMATOPEE DI GUERRA... TA-PIM TA- PUM
RATAPLAN
ta-pùm. – Voce onomatopeica, imitante il suono prodotto dallo sparo di un fucile isolato, e più specificamente del fucile in dotazione alle truppe dell’esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale: si usò infatti allora con riferimento ai cosiddetti cecchini, divenendo titolo di un canto di trincea che esprime il sacrificio e il dolore dei soldati italiani. Secondo una ricostruzione attendibile, a creare “Ta-pum” fu il soldato volontario Nino Piccinelli, nato a Chiari nel 1898.“L’ordine era di conquistare quota 2105. La nostra trincea distava poche decine di metri da quella austriaca….., diedi una nota ad ogni sospiro della mia anima, nacque così l’accorato e disperato canto, tra i lugubri duelli delle artiglierie, il balenio spettrale dei razzi di segnalazione e il gemito dei feriti. Furono 20 giorni d’inferno, senza che nessuno ci venisse a dare il cambio, l’inno venne cantato in quei giorni dai miei commilitoni”
Voce onomatopeica che imita e indica il suono prodotto da tamburi e tamburini. In particolare, nell’esecuzione di musica orchestrale, e soprattutto nelle opere liriche (per es., nel 3° atto della Forza del destino di Verdi), pezzo eseguito in prevalenza da tamburi e altri strumenti a percussione. L’onomatopea rataplan si usa per estensione per definire una brano che comprenda marce, momenti gioiosi, cori militareschi: Nel risorgimento italiano, adottato nella apparentemente “scanzonata” “La bella Gigogin” nasconde l’esortazione a guerreggiare.
testo tratto dal sito http://www.lagrandeguerra.net Archivio fotografico di Gianni Fontanot
#09
illustrazione di Paolo Cossi
TEMPoREALE
AGENDA Si terrà a Gorizia dal 21 al 24 maggio 2015 “èStoria”, il Festival internazionale della storia. Il titolo di questa undicesima edizione è “Giovani”: si analizzerà il ruolo dei giovani nella storia e nell’attualità, grazie anche all’intervento di studiosi del settore provenienti da tutto il mondo. In programma eventi che spazieranno tra storia e letteratura, cinema e teatro, musica e storia dell’alimentazione. Il tutto correlato da spazi espositivi, spettacoli, proiezioni e reading, laboratori per bambini e ragazzi, viaggi di carattere storico-turistico attraverso gli èStoriabus. L’edizione 2015 darà seguito anche al filone inaugurato nel 2014, “Trincee”, dedicato al centenario della Grande Guerra, con una sezione ad hoc che verrà mantenuta all’interno del festival fino all’edizione del 2019, anniversario del trattato di Versailles.
Archivio fotografico di Gianni Fontanot
#11
Archivio fotografico di Niccolò Fornasir
I MIEI FAMILIARI HANNO PERSO LA GUERRA, SOTTO TUTTI GLI ASPETTI di Nicolò Fornasir Sul piano strettamente militare in quanto erano tutti fedelmente cittadini italiani sotto il Regno di Austria Ungheria e quindi, chi di loro era soldato, ha vestito l’uniforme ed ha combattuto sotto quella bandiera. Un fratello di mio padre è morto in Russia, un fratello di mia madre a casa dopo Caporetto per i postumi di ferite ed infezioni conseguenti; mio nonno materno è tornato anche dopo l’affondamento della Viribus Unitis sulla quale era arruolato (pur con otto figli a carico); un suo cognato (quindi zio di mia madre) tornò nel 1920 dalla Cina dopo essere stato dichiarato morto poco dopo l’arruolamento obbligato nel 1914, a pochi mesi dal matrimonio e con la moglie incinta. Da prigioniero era stato via via trasportato attraverso la Siberia fino a Vladivostok e poi a Tianjin arrivando appunto a guerra abbondantemente finita facendo quasi morire di emozione la madre che non si era mai rassegnata a consideralo morto; ma non trovò più libera la moglie che un anno prima, dato che lui “era morto” si era risposata ed aveva avuto un secondo figlio con il secondo marito.
TEMPoREALE
Archivio fotografico di Niccolò Fornasir Alcuni parenti (anche cugini) dei miei genitori erano diventati “nemici” anche se abitavano a pochi chilometri di distanza (S.Giorgio di Nogaro e Palmanova) in quanto erano stati doverosamente arruolati nell’Esercito Italiano. Mia nonna materna, con il marito ed il figlio maggiore (poi deceduto a casa come ho richiamato prima) a fare la guerra lontano (Pola, Vienna), decise di corrispondere all’invito del banditore che nel maggio 2015 invitava la popolazione, soprattutto mamme e bambini, ad andare nelle retrovie in quanto era imminente il fronte di guerra a Cervignano, dove abitavano da lungo tempo. Raccolte alla svelta le cose principali trasportabili, mamma con quattro femmine e tre maschi, dai 18 ai 4 anni, prese il treno “per andare a Monfalcone dalla zia”: dopo tre giorni di viaggio si ritrovarono a Lubiana, città della quale avevano sentito parlare qualche volta ma che non sapevano assolutamente dove fosse. Trovato con fortuita occasione un alloggio dove sistemarsi dopo una settimana da clandestini in un vagone ferroviario dismesso, furono amorevolmente aiutati, con grande generosità, dalla popolazione slovena ivi residente (tra la stazione ferroviaria e Tivoli); di quella straordinaria accoglienza mia madre serbava un carissimo e riconoscente ricordo, senza dimenticare che l’unica persona davvero cattiva ed ostile era stato il prete che insegnava religione a scuola (dove imparò ben presto a parlare lo sloveno). Tornati a casa a fine 1917 a battaglia vinta di Caporetto, trovarono la pur poverissima abitazione (ancora esistente nell’abbandono totale in piazza S.Girolamo accanto ad un segnale di bomba di quel tempo inesplosa) vuotata di tutto, anche dei vasi dei fiori.
#13
A dimostrazione che “loro” hanno perso la guerra anche sotto l’aspetto morale e civile, con famiglie lacerate da situazioni impensabili, dall’appartenenza a bandiere diverse pur parlando la stessa lingua ed avendo le stesse radici; perdendo oltre alla vita dei loro cari anche le poche cose che consentivano di vivere contro fame e povertà. L’avevano persa anche prima di farla, quando seguivano con partecipazione la battaglia di Mons. Faidutti e dei Popolari (assieme a non molti altri) contro la Guerra, e non solo perché riconoscevano che l’Impero, pur con i suoi limiti, garantiva condizioni di vita sostanzialmente rispettose dei diritti delle persone, che invece il conflitto, soprattutto sulle terre di confine, avrebbero compromesso ed anzi (come è successo) distrutto.
Restava almeno, ed erano ben consapevoli che non era poco, la loro dignità personale e familiare, che consentiva di consumare tali sacrifici sull’altare della fede nel futuro dei figli e delle generazioni successive: quelle che dalla loro esperienza averebbero potuto e quindi dovuto trarre insegnamenti per le rispettive responsabilità verso gli uomini e le comunità.
Archivio fotografico di Niccolò Fornasir a lato - illustrazione di Mery Zanolla
TEMPoREALE
Afghanistan Struggle for Peace
di Massi Faqiri (Afghanistan) United Word... Peace is the most beautiful natural right of human beings but sometimes we have to fight for achieving this beauty. The only reason would be HUMAN BEING’S stupidity. In different eras and generations, holy warriors struggled for peace in their countries or regions and were rewarded promotion and success as their legacy for their future generations. One of the evident examples is Afghanistan, where its people have been fighting since decades for achieving peace because they believe that peace means everything in a country and in ITS NATION’S LIFE. The story of ”STRUGGLE FOR PEACE” in Afghanistan started with the invasion of Soviet Union in 1979 when the people, Aghans, felt that their country is going to be occupied. Every individual felt the need for resistance against the power they were facing. They did not care about how but they believed in why, which was the liberation of their mother land. Everyone got armed with their determination to fight for their mother land and to sell their lives for buying liberty and peace of their country. Eventually, Mikhail Gorbachev, president of Soviet Union ordered for the withdrawal of their troops from Afghanistan after a decade of war with no achievement. Afghans celebrated the accomplishment of their goal; however, they lost one million of
#15
their dear lives. As a newly liberated country, Afghans were dreaming of a prosperous and developed country not knowing the extent of the selfishness of human beings which played with their dreams. The competition for taking the control of this country between foreigner interventions and national parties which were all emerged from their selfishness led to a chaos throughout the country. The peace which was achieved with a million of lives faded away with the selfishness of human beings. Afghanistan divided into pieces which were controlled by different and opposing warlords supported by different countries and they were fighting each other and the victims were the people only. People who fought for liberty got rewarded with a life of terror. They could not justify the present situation but they resisted this wrong and still struggled for unity and peace which resulted in nearly half-‐a-‐ million lives lost. Eventually, this selfishness of the warlords did not allow them to meet a common resolution point and led to the invasion of Uni-
ted States over Afghanistan. Meanwhile, the people, who were not in favor of any party started to strive more for their survival. Anticipating their death in any moment, they resisted any situation and went on struggling for peace until they emptied their country off most of the terrorists and formed their new government in 2004 with the cooperation of many countries. They were tired but determined enough to accept any challenge for opening this new era. Every single family had their members lost in the past decades of war but they were happy for their achievement for at least it is better than yesterday. However, they have not achieved peace with its entire means still. They are needed to struggle more to inherit a more secure country for their children. They are doing it and they will never get tired. No one has gotten tired of fight for peace as long as peace is our ultimate objective in life and we share this objective as human beings and we are more civilized when we approach this objective together as we are doing it.
TEMPoREALE
Afghanistan una lotta per la pace La pace è il più bel diritto che appartiene all’umanità, ma qualche volta capita di dover combattere per raggiungere questa bellezza. E l’unica ragione alla base è la stupidità umana. In epoche e generazioni diverse, i combattenti della Guerra Santa hanno lottato per la pace nei loro Stati o territori ed erano premiati con promozioni e successo, in quanto ciò era considerato come un’eredità per le generazioni future. Uno degli esempi che evidenziano questo meccanismo è l’Afghanistan: il suo popolo ha combattuto per decenni per raggiungere la pace, poiché le persone credevano che la pace rappresentasse tutto per uno Stato e la vita della nazione. La storia di “una lotta per la pace” in Afghanistan iniziò con l’invasione dell’Unione Sovietica nel 1979, quando gli Afghani realizzarono che il loro Stato stava per essere occupato. Ogni singolo individuo sentiva la necessità di resistere al potere che stava affrontando. Non credevano nel “come”, ma nel “perché”, che era la liberazione della loro terra natìa. Ognuno si armava con la determinazione di voler liberare la terra madre e di dare la propria vita per acquistare la libertà e la pace per il Paese. Alla fine M. Gorbaciov, il presidente dell’Unione Sovietica, ordinò il ritiro delle truppe dall’Afghanistan dopo un decennio di guerra senza alcun risultato. Gli Afghani festeggiarono il raggiungimento del loro obiettivo; in ogni caso, persero circa un milione di vite nei combattimenti. Come Stato nuovamente liberato, l’Afghanistan sognava di diventare un Paese prosperoso ed evoluto, non sapendo che l’egoismo dell’uomo avrebbe giocato con i suoi sogni.
#17
La gara a prendere il controllo di questo Paese tra ingerenze straniere ed i partiti interni, tutti animati dall’egoismo, condusse nel caos tutta la nazione. La pace che si era raggiunta con un milione di vite sacrificate fu spazzata via dall’egoismo umano. L’Afghanistan fu diviso in aree controllate da alcuni capi militari, opposti tra loro, supportati da diversi Stati; le uniche vittime erano i civili. Le persone che avevano lottato per la libertà venivano ricompensate con una vita di terrore. Non potevano giustificare la situazione attuale, ma resistettero a questa ingiustizia e lottarono ancora per l’unità e la pace, con il risultato di circa mezzo milione di vite perse. Alla fine, l’egoismo dei gruppi militari non gli consentì di raggiungere un punto comune di risoluzione, e lasciarono che gli Stati Uniti invadessero il Paese, nuovamente. Nel frattempo le persone, che non erano a favore di nessuno schieramento, ricominciarono a lottare per la loro sopravvivenza. Aspettandosi di morire in qualsiasi momento, resistettero ad ogni situazione
e proseguirono a combattere per la pace fino allo svuotamento pressoché totale del loro Paese dai terroristi, e diedero forma al nuovo Governo nel 2004, con l’aiuto di molti Stati. Erano stanchi, ma determinati a sufficienza per accettare ogni sfida che fosse necessaria per iniziare una nuova era. Ogni singola famiglia aveva perso qualcuno nei decenni precedenti di guerra, ma tutti erano contenti per il traguardo raggiunto, sicuramente migliore di quanto lo fosse il passato. Comunque, l’Afghanistan non ha raggiunto la pace nel suo significato più pieno. Dovranno lottare ancora per guadagnare uno Stato più sicuro per i loro figli. Lo stanno facendo, e non sono mai stanchi. Nessuno si è stancato di combattere per la pace, finché la pace resta l’obiettivo principale di una vita: noi uomini condividiamo questo obiettivo, e la nostra civiltà si evolve quando ci avviniamo insieme a questo obiettivo, come stiamo facendo.
TEMPoREALE
Archivio fotografico di Gianni Fontanot
STORIE DI SPORT TRA GUERRA E PACE di Pietro Sessolo Nell’ultimo secolo appena trascorso, sono state tantissime le vicende che hanno intrecciato lo sport e le vicende belliche. Essendo lo sport un’espressione di un paese è stato inevitabile, che nei periodi più drammatici le vicende umane degli sportivi prevalessero sulle vicende agonistiche. In molti casi lo sport è stata la spinta per ricreare qualcosa dopo anni insanguinati dalla guerra, in altri casi lo sport ha addirittura aiutato la creazione di una nazione. Per spiegare il primo caso non serve andare molto lontano, infatti basta restare nel nostro paese; occorre però, andare parecchio indietro nel tempo e cioè agli anni ‘40 subito dopo la seconda guerra mondiale. La situazione dell’Italia in quel periodo era di estrema emergenza, economica e sociale: permanevano infatti molte tensioni sociali e politiche. Lo sport però stava vivendo un’epoca quasi eroica, specialmente il ciclismo, rappresentato da due campioni entrati nella leggenda di questo sport. Un certo Bartali Gino e un certo Coppi Fausto (in ordine di anzianità) avevano acceso una rivalità che travalicava i confini nazionali; avevano lanciato anche un messaggio di vitalità che era necessario dopo gli anni tragici della guerra.
#19
Come prima (se non maggiormente) dell’inizio del conflitto, la gente aveva ricominciato a riversarsi sulle strade, non per proteste o manifestazioni politiche, ma semplicemente per vedere passare i due grandi eroi del pedale. Di materiale cartaceo, audio e video su questa rivalità e, soprattutto, sul contesto in cui questa è avvenuta, ne sono piene le librerie e anche il web, quindi c’è l’imbarazzo della scelta.
Per narrare la seconda storia, si parte dalla visione di un bellissimo documentario realizzato nel 2012 dal titolo “The Other Dream Team”. Il contesto è più vicino temporalmente a noi, e sono cioè le Olimpiadi del 1992: al torneo di basket si presenta una nazionale, che dagli anni ‘30 non esisteva più: la Lituania. Nella precedente Olimpiade l’oro era stato vinto dall’URSS, che annoverava ben 4 lituani nella sua squadra.
La Lituania era una delle repubbliche più piccole dell’impero sovietico, e il basket era l’unica via per far sapere al mondo l’esistenza di questo popolo. Nel 1991 l’URSS esisteva solo formalmente perché molte nazioni si erano già staccate, e la Lituania era una di quelle. Il distacco non fu una cosa tranquilla, perché il governo sovietico inviò i carri armati a Vilnius, la capitale lituana, per reprimere le manifestazioni seguite alla dichiarazione di indipendenza. Dopo infinite trattative, il governo (ancora per poco) sovietico, concesse l’indipendenza alla piccola repubblica baltica (e anche alle altre due, Estonia e Lettonia). Come detto sopra, il basket era un motivo di orgoglio per questo paese di soli 2 milioni di abitanti, e subito si presentò l’occasione di poter mandare una rappresentativa nazionale alle Olimpiadi del ‘92 a Barcellona.
Visto che la squadra era formata da grandissimi giocatori (leggi Sabonis e Marčulonis, tanto per dirne due), non ci fu alcun problema a qualificarsi; il problema fu trovare i fondi per il viaggio. E qui venne in soccorso il marketing: vennero infatti stampate delle magliette con i colori della bandiera lituana e il logo dei Grateful Dead, una rockband americana che non ebbe problemi a prestare il simbolo per la causa dei lituani. Ne vennero vendute milioni di queste magliette e la squadra riuscì a pagare le spese per le successive 2 Olimpiadi. Risultato finale di quell’Olimpiade fu la medaglia di bronzo, conquistata ai danni della Squadra Unificata, cioè quello che rimaneva dell’URSS. L’indipendenza della Lituania è ufficialmente datata 6 settembre 1991, ma per molti la vera nascita di questa nazione è stata il giorno della medaglia olimpica.
#21
VITTIMA DELLA GUERRA: INTERVISTA AD UN ESULE DELL’ISTRIA di Beatrice Branca (18nne)
fotografia di Rachele Ughetti
TEMPoREALE Quest’anno si celebrerà il centenario dell’entrata in Guerra dell’Italia, nella primavera del 1915. Un episodio devastante che ha coinvolto numerosi giovani che si sono arruolati e sono andati a combattere sul fronte, ignari di che cosa fosse davvero la guerra. Oltre 70 milioni di uomini furono mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa) di cui oltre 9 milioni caddero sui campi di battaglia; si dovettero registrare anche circa 7 milioni di vittime civili, non solo per i diretti effetti delle operazioni di guerra ma anche per le conseguenti carestie ed epidemie. Non molti sanno, però, che in seguito alla Grande Guerra è incominciato un nuovo conflitto che ha provocato altre vittime nel nostro territorio, in particolare nella nostra regione. Nel 1919, con la presa di Fiume, l’Italia si
impossessò di un vasto territorio della Jugoslavia. Mussolini, salito al potere negli anni Venti in Italia, cercò di italianizzare anche i nuovi territori, istituendo solo scuole italiane e obbligando tutti i cittadini istriani a parlare in pubblico solo ed unicamente la lingua italiana. Nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, Mussolini abbandonò il governo italiano e nei territori istriani, anch’essi senza governo, incominciò la Resistenza contro il dominio italiano. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia perse i suoi territori in Jugoslavia e salì al potere Tito, instaurando un regime comunista.
fotografia di Leila Di Pasquale
#23
fotografia di Leila
Egli si vendicò delle leggi di Mussolini e cercò di cacciare gli italiani dall’Istria. L’episodio che scatenò l’Esodo degli italiani fu la strage di Vergarolla, dove numerose bombe saltarono in aria e uccisero migliaia di famiglie italiane. Un’esule di questa tragedia ci ha raccontato questa pagina di storia: “Mi chiamo Gemma e sono nata ad Orsera nel 1933. Quando avevo dodici anni mio padre fu incarcerato dai soldati titini. Nel giugno del 1945 egli fu costretto a marciare di notte sotto la pioggia e di giorno sotto il sole cocente con le mani legate dietro la schiena e le scarpe slacciate per raggiungere il carcere di Pisino. Dopo pochi giorni fu rilasciato.” Ritornò da voi ad Orsera? “No non poté , temeva di essere ricatturato, così preferì andare a Pola e io e mi madre lo raggiungemmo in seguito. Egli a Pola aprì un magazzino con un altro suo amico dove mise il cibo che comprava a Venezia per poi rivenderlo a basso costo in Jugoslavia. Quando arrivò a Venezia comprò i prodotti alimentari che gli servivano ma, al momento di caricare la merce sulla sua imbarcazione, i facchini si rifiutarono di farlo: avevano saputo che mio padre e il suo amico venivano da Pola per comprare la merce in Italia e pensavano che fossero dei fascisti. Alla fine i facchini caricarono la merce ma la barca affondò.”
TEMPoREALE
fotografia di Michele Medeot Che cosa fece allora suo padre? “Quando ritornò a Pola cercò un altro impiego ma senza successo, così quando seppe che cercavano a Grado qualcuno che potesse restaurare la Basilica, egli colse l’occasione per scappare dall’Istria e accettò l’incarico, dato che era uno scalpellino e la restaurazione di un edificio era un lavoro attinente alle sue capacità del mestiere. Dopo la strage di Vergarolla era diventato pericoloso rimanere in Istria e da quando ci siamo trasferiti in Italia la nostra vita è migliorata. Partimmo da Pola con un imbarcazione diversa da quelle che andavano a Trieste nei campi profughi, siamo stati fortunati!” Che cosa si ricorda della strage di Vergarolla? Lei come l’hai vissuta? “In realtà io e la mi famiglia quella domenica saremmo dovuti andare
nella spiaggia di Vergarolla, ma dato che la località era affollata, decidemmo di stare in tranquillità in una spiaggia vicina. Ad un certo punto sentimmo uno scoppio. Il giorno seguente assistemmo ai funerali di migliaia di famiglie italiane.” L’esodo ha coinvolto un numero minore di vittime ma è solo uno dei tanti esempi di stragi e guerre che ci sono state e che continuano ad esistere ancora oggi dopo cento anni. La storia ci insegna che la guerra porta violenza e distruzione nei territori e all’interno delle famiglie coinvolte nei numerosi conflitti, senza portare ad una concreta risoluzione dei problemi. Nel ventunesimo secolo, però, la guerra sembra essere ancora l’unico strumento valido all’interno di uno Stato per risolvere le diverse problematiche.
#25
fotografia di Michele Medeot
E DOMANI?
La ragione è di chi se la prende?
Studiamo ancor oggi le cause e le ripercussioni delle guerre di ieri, con scrupolo, retrospettiva e lungimiranza, quasi per sentirci padroni di quegli inneschi che “si potevano evitare”. Ma in ogni contesto storico, politico, geografico, religioso, è sempre in agguato una rispettabile forma di conflitto a cui aderire. Che sembra avere la forza della necessità, della rettitudine, della giustizia da ripristinare, della sicurezza da tutelare, del patrimonio da redistribuire. Perché una guerra sembra sempre “giusta”? Oltre che studiare il passato non dovremmo forse mettere a punto un’allerta sulle nuove forme di conflitto e predominio, domandandoci: in qual maniera gli stati oggi annientano, asserviscono, puniscono, depredano altri stati?
Forse con il ratto delle risorse? Forse con lo sversamento dei rifiuti tossici? Forse con l’annientamento delle colture locali di sussistenza? Forse con la vendita mirata di armi a chi di dovere? Ci sono guerre eclatanti, a carattere etnico e religioso, si sono conflitti sommersi il cui strumento bellico è l’economia. In un contesto di pianeta Terra che diventa risorsa scarsa per tutti, diviene urgente l’occupazione di suolo: in due parole, con quella che oggi definiscono “land grabbing”. E se fosse questa una delle molle conflittuali su cui porre un campanello di allarme? Sarebbe interessante capire chi -imparziale- deciderà i torti e le ragioni. Ma se io sono disposto a rischiare la mia vita, le mie sicurezze, la mia famiglia, il mio territorio al punto di entrare in guerra chi sarà così bravo da dissuadermi, da farmi cambiare il punto di vista? Della serie: quello che conta è la motivazione. Per i buoni e per i cattivi. (C.F.)
TEMPoREALE
VIDEO A cura di Piero Modena La grande illusione regia di Jean Renoir, Francia, 1937 Con questo film Renoir lancia il suo grido contro la guerra e ne denuncia uno degli aspetti più nascosti ma certo non secondario: la detenzione dei nemici stranieri nelle ristrettezze di una zona adibita alla concentrazione di uomini che sperano soltanto nel termine delle ostilità e nel ritorno di una pace che sembra allontanarsi sempre di più. L’illusione del titolo allude alla speranza degli uomini che lottano nel bel mezzo di un conflitto che separa migliaia di famiglie. Un sacrificio di vite umane ad un prezzo per il quale non vale la pena di morire. Premiato al Festival di Venezia, per lungo tempo l’Italia fascista e la Germania nazista lo proibirono. Orizzonti di gloria regia di Stanley Kubrick, Usa , 1957 La miseria e l’immane sete di potere che caratterizza l’uomo all’interno del contesto bellico. Stanley Kubrick utilizza la guerra come un veicolo per descrivere magistralmente la guerra di trincea e la fiera stupidità di comandanti accecati dall’ego e dal protagonismo. Censurato per vent’anni in Francia, un capolavoro. La Grande Guerra regia di Mario Monicelli, Italia-Francia, 1959 Un coinvolgente mix di comicità, eroismo e buoni sentimenti. L’abilità del regista, e degli splendidi protagonisti interpretati da Gassman e Sordi, mette a nudo i limiti e i meriti insiti nel cuore e nella testa degli esseri umani in guerra. Un modo di ridere della vita e della morte in grado di coinvolgere e commuovere gli spettatori d’ogni tempo. Segnaliamo un preziosa risorsa “orale” multimediale: i video delle lezioni tenute dallo scrittore triestino Paolo Rumiz nelle scuole superiori. Per far sì che la memoria non si interrompa quando verrà meno del tutto la catena orale trasmessa da chi la guerra la vissuta sulla propria pelle, davanti agli occhi, sotto i piedi. http://scuola.repubblica.it/blog/video/paolo-rumiz-e-la-guerra-degli-altri/
#27
fotografia di Michele Medeot
NEGLI OCCHI E NELLA LUCE di Walter Comunello Gavrilo, un diciannovenne serbo, voleva l’indipendenza della sua terra, la Yugoslavia, dal dominio dell’Austria-Ungheria. Il suo desiderio fu avverato, ma né vide i risultati del suo gesto, né poté sognarli in libertà o in salute. Per non essere catturato tentò il suicidio, ma la capsula di cianuro che ingerì faceva parte di un bussolotto scaduto e la pistola con la quale sparò all’Arciduca gli venne strappata di mano prima che riuscisse anche solo a puntarsela alla tempia. In cella soffrì gravemente, sia per l’aspro regime di detenzione a cui fu condannato, sia per una grave forma di tubercolosi che contrasse e che gli divorò le ossa. Morì il 28 aprile del 1918.
TEMPoREALE
Mi chiedo se, sdraiato sulla branda, non si fosse fatto domande, se non si fosse chiesto perché aveva fatto quel che aveva fatto, non per pentirsene ma per tentare di guardare gli eventi da altri punti di vista che non fossero il proprio, dimostrando di poter vedere oltre le proprie ideologie, dimostrando il potenziale di una libertà che nessuna gabbia materiale può confinare. L’arma del ragazzo fu consegnata a un prete, amico del nobile. Dal 2004 è esposta al Museo di Storia Militare di Vienna. Immagino persone che si avvicinano alla teca e pronunciano frasi come “è l’arma con cui fu ucciso l’Arciduca Francesco Ferdinando nel 1914” oppure “questa è la pistola che scatenò la prima Guerra Mondiale”, o ancora “maledetti nazionalisti, ovunque voi siate”, o ancora “Gavrilo era un grande”. Mi chiedo se sia ancora un bene continuare a ricordare cose come ciò che giace dietro a quella pistola. Nulla di quel che vediamo ha un significato in sé, ma acquista il valore o il senso che noi gli diamo. Capita così che, chi coltiva odio, può vedere odio in ciò che lo circonda; chi ha fatto pace con sé stesso ha chiuso un capitolo e può osservare il mondo con distacco, libero dal vincolo del conflitto. Prima che sul campo di battaglia, la guerra è in noi. Quando aggrediamo non facciamo altro che portare all’esterno qualcosa che dimora nella nostra anima da molto più tempo e in luoghi di cui noi stessi, probabilmente, non siamo a conoscenza, né sospetteremmo l’esistenza. Ma il mondo là fuori esiste, che noi lo vogliamo o no: esso si fa carico dei nostri peccati nella stessa misura in cui noi li rifiutiamo; chi è in guerra con il mondo rivela le guerre che combatte contro sé stesso. Quell’oggetto ha ora lo stesso valore che aveva cent’anni fa. Perché? Perché altri hanno detto così, e perché noi li abbiamo ascoltati. Un seme può attecchire solo sul terreno adatto: parole, gesti, oggetti che veicolano il senso vengono recepiti dalle menti che lo comprendono, rendendone possibile la continuazione. Per cui, non trovo corretto dire che “odio causa odio”, in quanto irrealistico e ingenuo. Piuttosto, “odio accoglie odio” mi sembra più adatto. Il mondo era più che pronto ad accogliere la Grande Guerra, checché ne dicano i soliti benpensanti. Così, un solo proiettile ne fece usare milioni, miliardi di altri: la miccia era accesa da tempo, i magazzini erano colmi di polvere pirica che aspettava solo di esplodere. Per cambiare il mondo, quindi, non è sufficiente cambiarlo nel “qui-e-ora”, ma c’è bisogno di un qualche cosa che trascenda il tempo e lo spazio: il cambiamento di ”ora”, per essere davvero efficace, deve risuonare nel “poi” del futuro, con le nostre speranze e i nostri sogni, e nel “fu” del passato, guardando quel che è accaduto alla luce di un modo di pensare completamente diverso, nuovo, originale. Le guerre assumeranno allora altre forme, proietteranno altre ombre, poiché occhi diversi le guarderanno tramite luci diverse. E’ negli occhi e nella luce che dobbiamo intervenire, non altrove.
#29
! COVER
La pagina di copertina è stata realizzata grazie ai raid fotografici delle giovanissime Pixelreporter, nate in seno al laboratorio fotografico tenuto da Riccardo Pizzignach nel corso di Pixel Summer 2014*. Le inviate speciali sono: Rachele Ughetti, Leila Di Pasquale, Caterina Celio. Benvenute nel nostro team! *PIXELSUMMER è un progetto promosso nel 2014 e nel 2015 nell’ambito del Piano di Zona 2013-2015 , attraverso la co-progettazione tra il Servizio Sociale dei Comuni-Ambito Distrettuale 2.2 Basso Isontino e soggetti del Terzo settore, per la realizzazione di laboratori estivi per adolescenti.
TEMPoREALE
fotografia di Michele Medeot
fotografia di Leila Di Pasquale
fotografia di Rachele Ughetti
#31
THE NET • • • • • • • • • • • • •
accaddeoggi.centenario1914-1918.it/ www.sentierodipace.rai.it www.itinerarigrandeguerra.it www.cimeetrincee.it/ www.grandeguerra.ccm.it www.carso2014.it/it/ www.facebook.com/carso2014 www.provincia.gorizia.it/parco-memoria www.igrigioverdidelcarso.it www.lagrandeguerra.net/grandeguerradonne.html www.museograndeguerraditimau.it www.tapum.it/ ilpiccolo.gelocal.it/grandeguerra/index.php
S R E B
M U N
TEMPoREALE
1599 i giorni di dolore
per l’intera Europa, durante il primo conflitto mondiale
24 maggio 1915 Italia entrò in guerra 4 miliardi
le missive vistate dall’ufficio censura dell’Esercito italiano; quattro miliardi di lettere: saluti, suppliche, rimproveri, addii, baci, lacrime, raccomandazioni, sentimenti che i soldati italiani scambiarono con le loro famiglie
100.000
i soldati italiani ricomposti dai diversi ossari e cimiteri sparsi ovunque sul Carso e 1 donna sepolti nel monumentale cimitero di Redipuglia, 22 gradoni di pietra bianca del Carso
1938
anno in cui il Sacrario è stato completato
24 ottobre del 1917
data in cui le forze gli austro-tedesche sfondarono il fronte dell’Isonzo a nord, accerchiando a Caporetto la Seconda Armata Italiana, dando origine a quella che passerà alla storia come la battaglia di Caporetto
4 novembre 1918
per l’Italia termina la grande Guerra, in seguito alla sconfitta degli austriaci a Vittorio Veneto, e viene diramato il “Bollettino della Vittoria”
680.000 gli italiani morti
per diretta causa di guerra, ma 750.000 aggiungendovi la stima della mortalità verificatasi per concause di guerra.
#33
“All’alba del 9 giugno 1915 la brigata Granatieri avanzò da est e, in qualche modo, aggirò l’acquitrino, conquista la quota 61 vicino a Cave di Selz e le alture di San Polo dietro l’ attuale ospedale contemporaneamente la brigata Messina oltrepassò Staranzano e da sud entrò in Monfalcone puntando verso la quota della Rocca dove le due brigate alle ore 08.00 si congiunsero. Sulle alture di San Polo si ebbe uno dei primi episodi documentati di vittime da “fuoco amico”. Infatti le artiglierie italiane situate nelle retrovie di Vermegliano per errore colpirono i fanti italiani che andavano all’assalto.“ Cit. Alessandro Zoff, “Breve storia di Monfalcone durante la Grande guerra”
fotografia di Michele Medeot
TEMPoREALE
“Freund und Feind / Im Tode vereint (Amico o nemico uniti nella morte)”
fotografia di Michele Medeot
MUSICA / PER NON DIMENTICARE di Ilaria Rovati (16nne) Sarajevo, 28 Giugno 1914: l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando e a sua moglie Sofia, in visita alla capitale bosniaca per annetterla all’Impero Asburgico, diventerà il fiammifero che accenderà l’aspro conflitto conosciuto come Grande Guerra, che durerà fino al 1918. Le testimonianze musicali che sono giunte fino a noi sono poco conosciute, ma non per questo meno interessanti; i soldati sui fronti di battaglia solevano intonare canzoni rispecchianti il dolore per i lutti e la nostalgia per i cari che attendevano il loro ritorno, dipingendo come in un quadro tutti i loro sentimenti e rendendo chiara la situazione di sofferenza che vivevano quotidianamente. Un classico esempio, il più famoso, è “La leggenda del Piave”, composta nel 1918 ed eseguita a partire da quell’anno ogni 4 novembre, data della vittoria sull’Austro-Ungheria. Ad affiancare i brani più seri non mancavano certamente dei canti atti ad esaltare l’allegria e l’auto-ironia, gli emblemi degli alpini che combattevano sul Carso, e spesso vi erano anche dei riferimenti alla loro passione per il buon vino consumato in compagnia. Così, mentre oltreoceano imperversavano il ragtime e il jazz, nella piccola realtà europea coinvolta nella Grande Guerra venivano composte queste piccole perle, che pur essendo molto semplici riescono ancora a farci ricordare ciò che solo cent’anni fa ha interessato la nostra zona. Per non dimenticare.
#35
Associazione Banda Larga APS
L’associazione Banda Larga ha partecipato nel 2014 al progetto Fvg labor, - dedicato all’imprenditoria giovanile- promosso dall’Unione Province Italiane regionale. Repetita iuvant: grazie all’intervento della Provincia di Gorizia il progetto riparte a favore dei giovani (dai 18 ai 35 anni) che desiderino concretizzare le proprie idee imprenditoriali, grazie al sostegno di nuove azioni di start up. A partire da marzo sarà consultabile sul nostro sito (www.associazionebandalarga.org) il testo del bando di partecipazione. Partecipate numerosi: varie sono le possibilità di realizzare il vostro progetto!
TEMPoREALE
fotografia in alto di Cristina Visintini
fotografia in basso di Leila Di Pasquale
#37
i punti di distribuzione di TempoReale Gorizia
Parrocchia San Rocco Bottega Equomondo Commercio equo CVCS
Monfalcone
Kinemax Teatro Comunale Biblioteca Libreria Ubik - La Rinascita Broken Bones
Mossa
Pizzeria Capricciò
Staranzano
Benkadì ISIT Commerciale “l. Einaudi” Industriale “G. Marconi” Comune
San Canzian d’Isonzo
Latisana
Oratori, Punto Giovani
Prepotto
Centro Studi Podresca
San Daniele del Friuli Casa del Volontariato
Santa Maria La Longa La Viarte
Tarcento
Centro di Aggregazione Giovanile
Trieste
Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Storia e Storia dell’arte Dipartimento di Lingue e Filosofia Arci
Duino Aurisina
Oratorio Centro di Aggregazione Giovanile
Mikey Mouse bar Bowling United World College of the Adriatic
Udine
Mestre
Carlino
Jesolo
Cividale
Treviso
Circolo Arci Cas’aupa Oratorio della Ricca
Pizzeria Capricciò
Gonars Biblioteca
Università SISF Mestre (VE) Centro Giovani “Al Cavallino” Centro Giovani di Paese (TV)
TEMPoREALE
“The wall of love you’s” si trova al centro del giardino Abbesses, nel cuore di Montmartre, a Parigi. Frederique Baron, autore, compositore e collezionista, e Claire Kito, esperta in calligrafia, hanno immaginato e scritto su 511 quadrati di lavagna 311 “Ti amo” in 280 lingue: originale messaggio di pace. fotografia di Michele Medeot
COLLABORA CON NOI! La TUA idea sarà la benvenuta. Se hai tra i 14 e i 29 anni puoi contribuire anche TU con: articoli, dubbi e domande, poesie, vignette, foto, studi grafici, produzioni artistiche, suggestioni, segnalazioni e recensioni di brani musicali e films famosi e non, sms, proverbi, barzellette, fumetti, disegni …
Invia tutto a:
press@tempo-reale.net
Per informazioni: tel 349 4996793 Claudia
#39
TEMPOREALE Prodotto da Associazione Banda Larga APS. Realizzato grazie al sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e dal’lUnione Pronvince del Friuli Venezia Giulia.
Stampato da Poligrafiche San Marco su carta riciclata. Design: andreaantoni.it www.tempo-reale.net